tar, sentenza 19, 15 gennaio 2016.

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tar, sentenza 19, 15 gennaio 2016.
N. 00019/2016 REG.PROV.COLL.
N. 00414/2014 REG.RIC.
R E P U B B L I C A
I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 414 del 2014, proposto da:
-OMISSIS- -OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli avv.ti Giuseppe Ruta e
Margherita Zezza, con domicilio eletto presso l’avvocato Giuseppe Ruta in
Campobasso, corso Vitt. Emanuele II, n. 23;
contro
Comune di Termoli in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv.
Vincenzo Colalillo, con domicilio eletto presso il medesimo avvocato in
Campobasso, via Umberto I, n. 43;
per l'annullamento
- dell'ordinanza di demolizione e riduzione in pristino n. 286 del 20.10.2014;
- del provvedimento notificato alla ricorrente il 1°.08.14 recante il diniego della
D.I.A. presentata in data 20.03.12;
- delle note del 7 marzo 2014 e del 25.5.14 recanti il preavviso di diniego, di tutti
gli atti presupposti, connessi e/o conseguenti;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Termoli in persona del
Sindaco p. t.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 novembre 2015 il dott. Domenico De
Falco e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con ricorso ritualmente notificato e depositato, la sig.ra -OMISSIS- -OMISSIS- ha
premesso di essere proprietaria in Termoli alla contrada -OMISSIS- di una villetta
a schiera e di aver presentato in data 20 marzo 2012 una DIA per eseguire lavori di
ampliamento della propria unità immobiliare, consistenti nella chiusura del portico
esistente ai sensi della legge regionale n. 30/2009 (c.d. Piano Casa).
Sennonché, a lavori avviati nel gennaio 2014, il Comune di Termoli comunicava
“motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza edilizia” a cui faceva seguito in data 28
luglio 2014 il provvedimento di diniego “dell’istanza” fondato sulla seguente
ragione “non sono state rispettate le distanze dai confini e modifica di prospetto non assentita
dagli altri comproprietari”.
A tale diniego faceva seguito il provvedimento che ingiungeva la demolizione delle
opere realizzate e la riduzione in pristino dello stato dei luoghi, non sussistendo un
valido titolo edilizio abilitativo che abilitasse la realizzazione dell’intervento.
La ricorrente ha, quindi, chiesto l’annullamento, previa sospensione cautelare, degli
atti impugnati affidando il gravame ai motivi di diritto così di seguito rubricati.
I) Violazione ed errata applicazione dell’art. 23 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380;
tardività; violazione dei più comuni principi del giusto procedimento anche in
relazione alla violazione degli artt. 7 e ss. della l. n. 241/1990 e dell’art. 97 Cost.;
eccesso di potere per difetto dei presupposti di fatto e di diritto; illogicità
manifesta;
II) violazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990; carenza dei presupposti; errore di
fatto e di diritto; violazione dell’art. 2 della l..r. n. 30/2009 sul c.d. Piano Casa;
eccesso di potere; illegittimità derivata; illegittimità derivata dell’ordine di
demolizione.
Con atto depositato in data 16 dicembre 2014 si è costituito in giudizio il Comune
di Termoli che ha chiesto il rigetto del ricorso unitamente all’istanza di
sospensione cautelare dell’ordine di demolizione.
Con ordinanza del 15 gennaio 2015, n. 1, l’intestato Tribunale ha accolto l’istanza
di sospensione, rilevando che la questione sottesa alla decisione della controversia
andava scrutinata nella più appropriata sede di merito e che, nelle more, evidenti
ragioni cautelari giustificavano la concessione della cautela.
All’udienza pubblica del 5 novembre 2015 la causa è stata trattenuta per la
decisione.
Oggetto del presente giudizio è la legittimità degli atti con cui il Comune di
Termoli ha dapprima negato (con provvedimento del 28 luglio 2014) il rilascio del
titolo edilizio per realizzare la chiusura perimetrale del portico della propria villetta
a schiera e ha, conseguentemente, adottato in data 20 ottobre 2014 l’ordine di
demolizione delle opere realizzate.
Con i due motivi di ricorso che possono esaminarsi congiuntamente data la loro
connessione, la sig.ra -OMISSIS- ha denunciato la violazione dell’art. 23 del d.P.R.
n. 380/2001, affermando che prima della realizzazione dell’intervento oggetto dei
provvedimenti gravati aveva presentato già in data 20 marzo 2012 una
dichiarazione di inizio di attività, corredata dei pareri anche paesaggistici previsti e
che solo nel marzo 2014 il Comune di Termoli aveva fatto pervenire una preavviso
di diniego del rilascio del Permesso di costruire che la ricorrente, invece, non aveva
richiesto.
Pertanto, la sig.ra -OMISSIS- rileva che ai sensi del predetto art. 23 del d.P.R. n.
380/2001, decorso il termine di trenta giorni dalla presentazione della DIA, questa
si consolida, sicché la mancata adozione di alcun atto per più di un anno dopo la
comunicazione della DIA rende illegittimo il successivo diniego di Permesso di
costruire, peraltro mai richiesto.
L’unico strumento che l’Amministrazione aveva a propria disposizione era quello
dell’intervento in autotutela, decorso oramai il periodo entro il quale era possibile
agire con i poteri inibitori, con la conseguente illegittimità del diniego del Permesso
di costruire che non essendo configurabile quale atto di autotutela comunica la
propria illegittimità anche all’impugnato ordine di demolizione.
Quand’anche, poi, si prendesse in considerazione quale parametro temporale non
il momento in cui è stata proposta la dichiarazione di inizio attività (20 marzo
2012), ma quella dell’inizio lavori (gennaio 2014), l’intervento comunale, poi,
sarebbe comunque tardivo, atteso che il termine rilevante ai fini del
perfezionamento della fattispecie è quello della proposizione della dichiarazione,
mentre i lavori possono cominciare entro tre anni.
In ogni caso, prosegue la ricorrente, il Piano Casa approvato con la l.r. n 30/2009
ha espressamente previsto la possibilità di derogare alle previsioni dei regolamenti
comunali e degli strumenti urbanistici, introducendo una normativa di favore che
consentirebbe di derogare anche alle previsioni dei regolamenti comunali nonché
agli strumenti urbanistici e territoriali.
Quanto
poi
al
mancato
consenso
dei
comproprietari,
pure
addotto
dall’Amministrazione, alla modifica del muro comune della villetta schiera,
originariamente in mattoni e rete metallica e, a seguito dell’intervento chiuso in
tutta la sua altezza, esso non sarebbe stato necessario.
Tutti i profili di doglianza riferiti sono destituiti di fondamento alla stregua delle
considerazioni che di seguito si espongono.
La questione si incentra sulla legittimità dell’intervento del Comune di Termoli che
ha, dapprima negato il rilascio del Permesso di costruire, ed ha, poi, adottato
l’ordine di demolizione dell’opera realizzata dalla sig.ra -OMISSIS-.
Il Collegio ritiene che i vizi di violazione di legge e di eccesso di potere denunciati
nel ricorso introduttivo del presente giudizio in relazione ai provvedimenti
impugnati (diniego di Permesso e ordine di demolizione) non sono configurabili.
Ed infatti, in linea con l’orientamento di recente assunto anche dal Consiglio di
Stato, la presentazione di una DIA non può – poi – prescindere dalla “legittimità
dell’intervento”, tenuto conto – in particolare – del profilo afferente alla “conformità
alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico –
edilizia vigente” espressamente imposta dall’art. 22, comma 1, del D.P.R. n. 380 del
2001, a “salvaguardia dell’ordine del territorio” (cfr. Cons. stato, sez. VI, 24 marzo
2013, n. 1413).
Nel caso di specie, è proprio la legittimità dell’intervento che risulta carente, in
quanto se è pur vero che nella dichiarazione e nella relazione tecnica ad essa
allegata, risulta espressamente la volontà dell’interessata di avvalersi delle
disposizioni derogatorie previste dalla legge regionale n. 30/2009 sul c.d. “Piano
Casa”, è altresì vero che le norme sulle distanze legali, la cui violazione viene
contestata nel caso di specie, non possono essere derogate nemmeno dalla predetta
legge regionale.
La tesi della ricorrente si fonda sull’errato assunto secondo cui, poichè l’art. 2 della
predetta legge introduce la possibilità di derogare ai regolamenti edilizi ed alle
NTA dei Piani regolatori, siffatta deroga si estenderebbe anche alle previsioni di
cui al DM 1444/1968 recepite nei predetti atti generali.
Sennonché, come già evidenziato da questo Tribunale, non solo tale asserzione
non può essere condivisa ma va radicalmente rovesciata: proprio in quanto
riproduttivi di norme statali di principio della materia urbanistica quale l’art. 9 del
D.M. 1444/1968, i regolamenti edilizi e le NTA dei piani regolatori non solo non
possono essere derogati neppure dalla legge regionale ma quest’ultima deve essere
interpretata in senso conforme a Costituzione, pena la illegittimità costituzionale
delle relative disposizioni, in quanto in contrasto con norma statale di principio
qual è quella sulla distanza minima tra pareti finestrate (cfr.: TAR Molise, 10 luglio
2013, n. 474).
Del resto, che gli artt. 2 e 3 della legge Regione Molise n. 30/2009 non possano
essere interpretati nel senso di introdurre la possibilità di derogare anche all’art. 9
del D.M. n. 1444/1969 è confermato dalla successiva legge regionale n. 21/2011
che ha fatto espressamente salvi “i limiti stabiliti dalla normativa nazionale”, così
introducendo non una norma innovativa bensì confermativa delle preesistenti
disposizioni sul c.d. piano casa; poiché infatti queste ultime non contengono una
espressa previsione circa la possibilità di deroga dell’art. 9 del citato D.M. si
impone, per le ragioni esposte, la necessità della prospettata interpretazione
conforme a costituzione, con conseguente infondatezza della censura.
Quanto alla circostanza, pure invocata nel ricorso, secondo cui l’Amministrazione
non avendo esercitato i poteri inibitori nel termine di 30 giorni, non avrebbe più
potuto intervenire se non in autotutela, giova premettere che la giurisprudenza non
ha assunto un orientamento univoco sul punto, nel senso che, in alcuni casi, ha
sancito l’impossibilità per il Comune di intervenire “oltre il termine, se non esercitando i
propri poteri di autotutela” (cfr., tra le altre, TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 4799
del 2014, in linea con Cons. Stato, Sez. VI, 22 settembre 2014, n. 4780), mentre, in
altri casi, ha pienamente riconosciuto il potere dell’Amministrazione di adottare
“misure repressive”, specie ove si sia in presenza di dichiarazioni non veritiere,
inidonee – in quanto tali – a giustificare la tutela dell’affidamento del privato, nel
pieno rispetto dell’autoresponsabilità che deve presiedere l’assunzione di qualsiasi
iniziativa, individuata come “un deterrente a violare la legge”, ossia “ad agire in
modo conforme” a quest’ultima (cfr., ex multis, TAR Piemonte, 1° luglio 2015, n.
11149).
Ritiene il Collegio che, nel caso di specie, può prescindersi da una presa di
posizione su tale questione di fondo, in quanto il gravato diniego di permesso di
costruire si presterebbe, in ogni caso, a valere anche come provvedimento adottato
in “autotutela”, dovendosene riconoscere l’indiscutibile natura vincolata, con le
connesse conseguenze in ordine alla ristrettezza dei poteri di annullamento del
giudice in presenza di vizi afferenti alla procedura o alla forma, ai sensi dell’art. 21
octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, ma con le ricadute anche sulle
caratteristiche degli interventi inautotutela. Ed infatti, il difetto di una espressa
valutazione dell’interesse pubblico, che pure dovrebbe connotare i provvedimenti
di secondo grado, non varrebbe, comunque, a legittimare un intervento edilizio
non realizzabile sulla base degli strumenti urbanistici, che, come nel caso di specie,
è stato posto in essere in violazione di una normativa, quella sulle distanze, che,
come visto, non riceve deroga dalle norme della legge sul c.d. Piano Casa (cfr.
TAR Lazio, Roma, sez. IIbis, 15 dicembre 2015, 14059); dovendosi altresì
considerare che la normativa dettata dal ripetuto Piano Casa non introduce alcuna
forma di sanatoria, ma presuppone, invece, la regolarità dell’intervento al momento
in cui viene posto in essere (cfr.: TAR Molise, 23 maggio 2014, n. 332).
Anzi, i rilevanti interessi pubblici tutelati dalla previsione sulle distanze consentono
di affermare che l’autotutela esercitata per assicurare il rispetto di tale inderogabile
precetto reca, in re ipsa, l’esigenza di tutela del suddetto interesse pubblico
sanitario, a cui si aggiunge nella fattispecie anche la finalità indiretta di assicurare
tutela ai controinteressati (proprietari delle villette finitime), titolari di una specifica
e differenziata posizione di interesse al rispetto della suddetta finalità pubblicistica
che l’Autorità procedente deve, del pari, tenere in adeguata considerazione ai sensi
e per gli effetti dell’art. 21 nonies della l.n. 241/1990. In altri termini, proprio
perché le distanze tra le costruzioni sono predeterminate con carattere cogente in
via generale ed astratta, in considerazione delle esigenze collettive connesse ai
bisogni di igiene e di sicurezza, all’Amministrazione non è lasciato alcun margine di
discrezionalità
nell'applicazione
della
disciplina
in
materia
di
equo
contemperamento degli opposti interessi (cfr.: Cons. Stato Sez. VI, 18 dicembre
2012, n. 6489).
Alla luce delle suesposte considerazioni, la problematica specificamente afferente
agli effetti del decorso del termine di 30 giorni, prescritto dall’art. 23 del D.P.R. n.
380 del 2001, perde pertanto inequivocabilmente rilevanza, mentre nessun
affidamento incolpevole da parte della ricorrente poteva maturare in forza di un
intervento che, senza contestazione, è stato posto in essere in violazione delle
norme inderogabili sulle distanze.
Peraltro, il Collegio osserva in punto di fatto che dalla documentazione versata in
atti dall’Amministrazione risulta che la ricorrente ha proposto in data (12 marzo
2012, protocollo comunale 20 marzo 2012) solo un’istanza di “autorizzazione
edilizia”, senza specificare che si trattava di una DIA, mentre dalla produzione
attorea, risulta effettivamente una DIA datata 12 marzo 2012, ma tale documento
risulta priva di sottoscrizione e di qualsivoglia timbro di protocollo che valga ad
accertarne rispettivamente provenienza e data certa, con la conseguenza che non
risulta raggiunta la piena prova dell’effettiva proposizione di una DIA da parte
della sig.ra -OMISSIS-.
In definitiva, tutte le doglianze avverso i provvedimenti impugnati sono infondate
e il ricorso deve pertanto essere respinto, non essendo ravviabile nemmeno
l’invocata illegittimità derivata del gravato ordine di demolizione.
La novità e la complessità delle questioni trattate giustifica l’integrale
compensazione tra le parti delle spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise (Sezione Prima),
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno
2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla
Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro
dato idoneo ad identificare parte ricorrente.
Così deciso in Campobasso nella camera di consiglio del giorno 5 novembre 2015
con l'intervento dei magistrati:
Orazio Ciliberti, Presidente
Luca Monteferrante, Consigliere
Domenico De Falco, Referendario, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 15/01/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)