Contributi sulla formazione culturale e politica di Mario Alicata

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Contributi sulla formazione culturale e politica di Mario Alicata
Contributi sulla formazione culturale e politica
di Mario Alicata
Nel 1966, ricordando Mario Alicata, Giorgio Amendola sottolineava la necessità
di ricostruire l’itinerario politico-culturale di quel gruppo di giovani, formatosi nella
università romana negli anni quaranta, che divenne un tramite di grande impor­
tanza nel collegare « il vecchio gruppo dirigente illegale del PCI con la nuova realtà
nazionale come si era venuta maturando nel secondo decennio antifascista » (« L’Uni­
tà » 7 dicembre 1966).
Per molti anni le uniche raccolte di testi di Mario Alicata sono state le due
antologie Scritti letterari (Milano, Il saggiatore 1968) e La battaglia delle idee (Ro­
ma, Editori Riuniti 1968), nelle cui introduzioni Natalino Sapegno e Luciano Gruppi
si soffermano più sugli aspetti memorialistici e sulle lotte politiche e culturali che
sottendevano i nessi profondi della scelta politica di Alicata. D’altra parte la scelta
dei curatori di dividere gli scritti alicatiani in letterari e politici, non agevolava
certo questo sforzo di approfondimento.
Soltanto negli ultimi anni gli studi sulla « cultura fascista » o in generale sui
rapporti tra cultura e fascismo e le opere numerose sulla storia del Partito comu­
nista prima e dopo la Resistenza hanno aperto nuove prospettive sulla formazione
antifascista di tanti giovani. Per questi motivi la pubblicazione delle Lettere e tac­
cuini di Regina Coeli (Torino, Einaudi 1977), dell’antologia Intellettuali e azione
politica (Roma, Editori Riuniti 1976) e del recente volume Mario Alicata, intellet­
tuale e dirigente politico (Roma, Editori Riuniti 1978) permette di riprendere final­
mente su nuove basi e con nuovi elementi l’invito di Giorgio Amendola. L’anto­
logia Intellettuali e azione politica curata da Renzo Martinelli e Roberto Maini
raccoglie in un unico volume i più importanti articoli e saggi politico-letterari di
Alicata dal 1940 al 1966 e si avvale di una bibliografia pressoché completa utile
per ricercare la vasta produzione sparsa su vari giornali e riviste. L’introduzione
di Renzo Martinelli, come del resto quella di Albertina Vittoria alle Lettere e tac­
cuini, si incentra in particolar modo sulla prima formazione culturale di Alicata
nel tentativo di ricercare i nessi e i collegamenti con la militanza politica postresistenziale. Tuttavia se l’esigenza di sottolineare l’inseparabilità del momento po­
litico da quello letterario ci sembra assai giusta, bisogna pur notare che le due
introduzioni non evitano, ancora una volta, di presentare la formazione politica e
culturale di Alicata come un «lungo viaggio», come una linea ininterrotta dove
le date periodizzanti, i momenti di rottura, ma anche le sottili connessioni non
emergono in tutta la loro complessità. Come abbiamo già ricordato lo stadio avan­
zato degli studi su questi temi, le ricerche più generali di Alberto Asor Rosa e di
Luisa Mangoni, ma anche i numerosi saggi su alcuni momenti particolari della
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cultura durante il fascismo sollecitano ad entrare più nel merito della formazione
di Alicata.
Nel periodo preso in esame dalle due introduzioni, che grosso modo va dal 1937
al 1943, ciò che ci sembra importante è l’intreccio stretto tra i primi approcci al­
l’antifascismo attivo e i luoghi culturali dove questo antifascismo poteva manife­
starsi. I giornali, le riviste diventano così momenti particolarmente significativi per
seguire attraverso quali vie Alicata si accostò alla politica. Dal « Piccolo » a
« Il meridiano di Roma », a « Leonardo », « Oggi », « Cinema », « La ruota »,
«Prim ato», i suoi interessi si allargano e mettono a frutto quegli incontri clande­
stini in casa Zangrandi o in casa Calogero, quelle sue « fughe » a Perugia per
ascoltare Aldo Capitini dove si finiva per parlare della guerra di Spagna e di Croce,
dell’URSS e di Gentile e De Sanctis.
La collaborazione di Alicata alle riviste non ebbe sempre lo stesso taglio, al con­
trario noi pensiamo che con il precipitare degli avvenimenti internazionali, con i
contatti più intensi con gli ambienti dell’antifascismo, anche i suoi interventi di­
ventano più stringenti ed evidenziano meglio i rapporti tra politica e cultura, defi­
nendo criticamente il ruolo dell’intellettuale in quel frangente storico.
Gli scritti sulla rivista « La ruota » sono il punto più alto di questo primo periodo
non soltanto perché Alicata ebbe la possibilità di gestire una propria rubrica, que­
sto era già avvenuto sulle colonne del «Piccolo» e del «Meridiano di Roma >,
e di portare a maturazione in saggi di più ampio respiro i propri gusti letterari,
ma perché « La ruota » diventa momento di un lavoro collettivo più vasto, tentativo
di aprirsi uno spazio anche attraverso esclusioni, insofferenze, polemiche, tessendo,
attraverso una linea culturale netta, una trama di intese e resistenze. Questo pro­
gramma proietterà la propria ombra ben oltre quegli anni, negli indirizzi culturali
del dopoguerra, nel dibattito sul nazional-popolare e il neorealismo, nelle polemiche
che accompagnano l’affermazione e il declino di questi indirizzi.
Sarebbe dunque stato opportuno inserire nella antologia due scritti importanti di
Alicata apparsi nel 1940 rispettivamente nel primo e nel secondo numero de « La
ruota ». I saggi Nota su Montale e Notizia per un saggio su Carducci avrebbero
permesso non solo di valutare il diverso peso che questi due poeti ebbero nella
formazione di altri giovani intellettuali, ma soprattutto di valutare attraverso quali
modelli Alicata veniva formulando il proprio impegno in quel momento storico.
La nota su Montale è indubbiamente più filologica, più interna, ma anche qui
traspare la volontà di ritrovare i segreti profondi della poesia montaliana. L’erme­
tismo di Montale risulta non un prodotto di compiacenza intellettualistica, ma un
intreccio tra arte e vita, un rapporto con il quale « la sua poesia risulta una dura,
secca precisa testimonianza di gesti umani, di dati, di fatti o, come egli ci sugge­
risce di occasioni». Crogiuolo e mosaico di esperienze poetiche diverse la lingua
di Montale diventa «sociale [...] immediata, quotidiana, spietatamente reale come
il contenuto della sua poesia, è insomma <vita>».
Questo incontro con la « vita », che solcherà tante pagine delle lettere dal carcere,
è, per altri versi, presente nel saggio sul Carducci, il lavoro certamente più denso
scritto da Alicata in questi anni. Nel riproporre Carducci come « classico » della
letteratura italiana Alicata non soltanto realizzava una scelta immediata di dire­
zione de «La ruota», indicando un passato di moralità culturale, che, ponendosi
al di sopra e in avanti rispetto al vuoto morale e politico del momento, si batteva
contro « le miserie, gli errori, i divertimenti oziosi », ma riproponeva con dram­
maticità la propria condizione di intellettuale travagliato tra una stagione che
muore e il nuovo che si avvicina con fatica « ma non si sa se sarà più felice o
più triste». In questo scritto, in cui Alicata tira le fila di tutto il dibattito critico
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sulla figura di Carducci, la prosa si fa più calma e distesa quasi a sottolineare
che « l’età dei processi si è ormai conclusa ed è venuta, o dovrebbe essere di là
da venire, l’età della critica». È soprattutto attraverso Serra che c’è «intera una
storia del carduccianesimo da rifare», non tanto, come è stato scritto, per rimet­
tere il Carducci nel panorama europeo, ma per ricongiungersi, al pari di Serra,
con il letterato e con l’uomo. Riteniamo dunque che ancora nel 1940, nonostante
la militanza e l’iscrizione al Partito comunista, nonostante le amicizie con Bufalini, Trombadori, Salinari, Antonio Amendola e altri Alicata non avesse ancora
deciso. La lezione de « La voce » e soprattutto di Boine e Serra continuava a
vivere; « il letterato » e « l’uomo » che in Carducci si ricomponevano, rimanevano
in lui ancora scissi. Alicata riteneva che bisognava impegnarsi a fondo anche sul
piano politico perché era la coscienza morale, era la drammaticità di quegli anni
che lo richiedevano, ma senza che questa scelta intaccasse la propria separatezza
di intellettuale. Nel mettere a frutto la lezione di Boine nella rubrica Plausi e
botte, che riprendeva il titolo di un vecchio lavoro boiniano, pur sviluppando
una specie di corpo a corpo con l’autore esaminato, in un confronto pieno di
umori e di giudizi personali, Alicata non riusciva a saldare il conto con la propria
formazione.
Si può notare a questo proposito che negli anni dal ’37 al ’42, ma in definitiva
anche nel periodo carcerario, egli non dedichi un’attenzione particolare ai lavori
di Benedetto Croce; non un saggio, non una nota vengono a confutare le posi­
zioni del filosofo abruzzese. La presenza di Croce, che nel dopoguerra Alicata
attaccherà ripetutamente e duramente, è avvertibile sotterranea in tutta questa pri­
ma parte, ma non viene mai portata al centro delle proprie riflessioni. Nel venir
meno di tante certezze, nell’appannarsi della lezione di Borgese e Gargiulo, che
pure in anni passati aveva « assunto l’abito e i modi di un maestro » (« La ruota »,
1940 n. 3), nello stemperarsi in De Robertis dell’amore e della fedeltà disinteressati
alle lettere in un semplice « buon gusto » che nulla ormai aveva a che spartire
con il « gusto estremo » delle letture di Renato Serra, nel fallimento della giovane
critica ermetica, da Bo a Falqui, tutta rinchiusa « nell’egoismo intellettualistico »
(«L a ruota», 1940 n. 9), l'unico intellettuale che poteva insegnare qualcosa rima­
neva Benedetto Croce e non tanto o non solo per la sua resistenza al fascismo,
ma per l’esempio di moralità, per la fedeltà alla propria ricerca che niente con­
cedeva alle facili mode. Solo negli anni successivi la liberazione fino alla fine degli
anni cinquanta Alicata avvertirà la necessità di sbarrare la strada non solo alle
linee politiche di Croce, ma anche alla sua influenza su tanti quadri del movi­
mento operaio.
Prima di indagare il taglio di questi scritti, converrà tuttavia ancora soffermarsi
sulla prima formazione per comprendere meglio le tappe che contraddistinguono
la vicenda politico-culturale di Alicata da quella di altri giovani. Già alla fine
degli anni quaranta si intravedono gli esiti diversi di questo cammino. Nell’articolo
sul romanticismo apparso su « Primato », una rivista che risentirà anch’essa degli
eventi sconvolgenti della guerra, Alicata traccerà una sorta di propria storia intel­
lettuale. In maniera forse meno lucida ma più coinvolgente ed intensa delle con­
clusioni di Della Volpe, Alicata affrontava il tema della crisi ormai europea della
cultura. Davanti alla possibilità di « tracciare un crocione nero, una ingenua e in­
giusta condanna » sulle esperienze della precedente generazione o alla necessità,
espressa nell’intervento di Pintor, di appellarsi ancora alla Dea Ragione recupe­
rando la lezione delPilluminismo, Alicata con uno sforzo tenace in cui « le parole
stanno arrivando ad assumere un tono abbastanza diverso e lontano da quello
che avrebbero avuto agli inizi » leggeva la crisi della propria generazione come
« crisi morale, definitiva in un certo senso, diciamo pure della cultura borghese,
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per la quale nessuna vecchia misura o strumento o terapia potrà giovare ». La
conclusione era che davanti ad un « nostro segreto e personale Sturm und Drang »
veniva messa in discussione proprio la lezione de «La voce», la tradizione dei
chierici tenacemente difesa da Pintor. La crisi che investiva la cultura e la società
borghese non lasciava più spazio agli appelli, ai ritorni al passato; si trattava al
contrario « di mettere in serbo il coraggio necessario a scendere tra gli altri, fra
gli uomini per ricercare le condizioni nuove della nostra nuova esistenza ».
Come sappiamo fu rincontro con la politica, con il Partito comunista che por­
tarono Alicata a concretizzare questi suoi « astratti furori ». L’attività nell’orga­
nizzazione clandestina comunista e l’esperienza carceraria gli consentiranno di
bruciare nel fuoco della lotta i legami con il suo passato uscendo definitivamente
dall’ottica, fortemente presente in tanti intellettuali, del ristretto gruppo clande­
stino. Non è dunque un caso che il più importante intervento politico di Alicata,
scritto insieme a Franco Rodano e frutto di una più stretta collaborazione con i
cattolici-comunisti, porti come titolo Dal gruppetto clandestino al partito di massa.
Stupisce in questo scritto la capacità di Alicata e Rodano di leggere la crisi interna
del regime, la lucidità di prevedere alcuni sbocchi della situazione politica italiana,
la lettura attenta di alcuni testi di Lenin. Davanti al nuovo capitolo della storia
italiana apertosi con la guerra, l’antifascismo, secondo Alicata, si era rinchiuso o
« nel fuoriuscitismo sterile e statico, dei Nitti, dei conti Sforza, dei don Sturzo »
0 nell’inazione di chi, pur rimanendo in Italia, « attende pur esso da forze esterne
alla sua volontà e capacità politica la caduta del regime ». Sembra quasi una pole­
mica ante litteram contro l’attendismo. La costruzione dunque di un partito di
massa che rompa definitivamente con questo vecchio modo di fare politica è posto
da Alicata e Rodano con insistenza. Soltanto costruendo il partito di massa e
seguendo gli insegnamenti di Lenin, la guerra imperialista potrà trasformarsi in
guerra rivoluzionaria mobilitando anche la classe borghese rimasta impotente per
l’esaurirsi dei vecchi gruppi antifascisti.
Le Lettere e taccuini di Regina Coeli si pongono dunque come rottura violenta e
definitiva con le scelte precedenti e come continuità, cerniera con il periodo post­
resistenziale. L’introduzione di Albertina Vittoria, che si avvale della testimonianza
di tanti protagonisti del gruppo romano, preferisce soffermarsi sugli anni prece­
denti. È invece proprio in queste lettere e taccuini che Alicata compie prima di
altri suoi compagni la scelta di diventare un « rivoluzionario di professione ». Con
la passionalità e la franchezza che saranno sempre una componente non trascu­
rabile del suo carattere, Alicata rimetterà in discussione tutto il suo lavoro prece­
dente attraverso una verifica che coinvolgerà affetti e amicizie. Ciò che si può
subito rilevare in questi scritti è il cambiamento dei suoi interessi; ora è soprat­
tutto la letteratura dell’ottocento italiano ed europeo ad incontrare maggiormente
1 suoi consensi, mentre giudizi sempre più severi vengono espressi sull’esperienza
delle avanguardie del primo novecento. Affiorava così un ideale ottocentesco astrat­
tamente indenne dalla crisi del primo novecento, un ideale che anche in Alicata
risentirà della rimozione troppo rapida di certe esperienze giovanili. Sarebbe tut­
tavia ingiusto e fuorviante insistere, come pure è stato fatto dalla critica più re­
cente, sulla incapacità di Alicata nel rendersi conto dei pericoli di queste scelte.
Al contrario, proprio riflettendo sull’esperienza comune del film Ossessione egli
sottolineerà l’ambiguità, la allusività del messaggio contenuto nel film e in parti­
colare nella figura dello Spagnolo nella quale il richiamo alla guerra di Spagna,
alla irregolarità, all’amore per la libertà aveva finito per trasformarsi in un mito,
quello della via giusta, diritta dal quale nasceva il reale autentico significato anti­
fascista del personaggio.
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Vecchio e nuovo s’intrecciano dunque in queste lettere e taccuini, mentre emerge
con forza l'interesse per la storia, attraverso il quale Alicata cominciava a pagare
il debito con il « bagno crociano ». I rapidi appunti stesi nei taccuini sulla co­
struzione e i primi anni dello stato unitario dimostrano come egli si andava pro­
gressivamente distaccando dalla concezione crociana. La lotta delle classi espunta
dal Croce nella sua Storia d ’Italia veniva messa al centro delle riflessioni alicatiane, quasi a sottolineare il ruolo nuovo avuto dalle masse nel processo storico
e l’incapacità del Croce di comprenderne l’importanza. Rileggendo La questione
meridionale di Antonio Gramsci, Alicata sottolineerà nell’importante saggio Be­
nedetto Croce e il mezzogiorno («Rinascita», 1952 n. 12), la strada diversa da
quanti, prendendo le mosse da Fortunato e Dorso più che dal pensiero di Croce
arriveranno, durante la lotta contro il fascismo e la Resistenza, a collocarsi su
posizioni democratiche o a militare nel partito socialista e in quello comunista.
Queste brevi note sulla prima formazione culturale di Alicata vogliono tuttavia
sottolineare come il compito più impegnativo e arduo rimanga quello di cercare
attraverso quali vie e mediazioni si arrivi al periodo post-resistenziale. Questo non
tanto per misurare ciò che è vivo e ciò che è morto nella sua elaborazione o per
dare giudizi affrettati e liquidatori su una vicenda certamente complessa, ma per
mettere a fuoco gli esiti di scelte che ancora oggi hanno un loro peso. Emergono
così nella sua attività del dopoguerra due grandi questioni nazionali: il Mezzo­
giorno e la politica culturale. Seguendo la lezione di Gramsci, Alicata vive inten­
samente la questione meridionale come uno dei termini su cui direttamente e in
modo più impegnativo si deve esercitare la capacità dirigente e la funzione na­
zionale della classe operaia. Il tema della riforma agraria come chiave del riscatto
meridionale, come condizione di una industrializzazione che investa tutto il tessuto
economico del Mezzogiorno non sarà mai abbandonato neanche negli anni diffìcili
del boom economico, dell’espansione monopolistica. La complessità dei problemi
nazionali e la nuova fase politica dopo il 1956 e il XX Congresso imponevano,
secondo Alicata, una ripresa del dibattito teorico sia all’interno del partito sia
con altre forze politiche e culturali. A questa situazione Alicata aveva g à dato
una risposta nel 1955 con l’importante relazione al Comitato centrale che, impo­
stando in maniera nuova il rapporto intellettuali-masse, individuava nella scuola
il cardine di una strategia di largo respiro, ma sarà soprattutto nel 1960, con
l’intervento al IX Congresso che egli, riprendendo uno spunto sulla tolleranza
contenuto nella relazione di Togliatti, sottolineerà la necessità di abbandonare gli
schematismi del periodo della guerra fredda e di confrontarsi con i nuovi feno­
meni e le nuove posizioni culturali proprie della società di massa. Tuttavia non
si sfugge all’impressione che in questo campo vi fosse ancora un nodo non risolto,
la contraddizione tra la visione lucida del marxismo come pensiero non dogmatico,
come strumento di interpretazione del reale e zone in cui questa visione veniva
in qualche modo ad attenuarsi, a ridursi, alcune volte a contraddirsi. La consa­
pevolezza che la cultura si rinnova non più nell’ambito dei suoi problemi, bensì
attraverso il rapporto intellettuali-masse attraverso la presenza della classe operaia
nella vita culturale e nella lotta delle idee risultava alcune volte appannata nella
letture dei Quaderni dal carcere.
Ci si limitava a ricavare valori, modelli, stimoli, per un generoso appello contro
la separatezza degli intellettuali, o a postulare un concetto di nazional-popolare che
non veniva letto nella ricchezza delle sue indicazioni e come nuovo livello del
politico, in quanto per la prima volta si poneva il nesso « politica-classe-stato »
radicato al nesso «popolo-nazione-stato», ma come motivo di un diverso rapporto
con il popolo-nazione che nella critica letteraria diventava forma valutativa, giudizio
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estetico, esame contenutistico dell’opera d’arte. Più che interpretare Gramsci, lo
si usava e inevitabilmente lo si riduceva e forzava in determinate direzioni.
Da questo tipo di lettura ci sembra che Alicata non fu immune, ma anche per
questo occorre ricostruire tutta la sua vicenda, perché solo attraverso questa volontà
di capire il fatto personale diventa un fatto di tutti.
GIANFRANCO TORTORELLI
Il ponte
Anno XXXIV nn. 7-8 31 luglio-31 agosto 1978
Direttore: Enzo Enriques Agnoletti; Redattore capo: Giuseppe Favati
Enrico
Pea
Eugenio montale, A ll’amico Pea; Enrico pea, Viareggio a cent’anni con una Postfazione
di Marcello ciccuto; Gianfranco contini, Una lettera di Enrico Pea; Rita badassarri, La
poesia di Enrico Pea, Fole - Montignoso - Lo Spaventacelo - Poesie 1914-1940; anna
barsotti, Il teatro novecentesco di Enrico Pea e i « maggi »; Silvio guarnieri, La trilogia
di Moscardino, Moscardino - Il Volto Santo - Il Servitore del Diavolo; lorenzo greco,
Il mondo magico del primo Pea: mito di una cultura sommersa. Religione e magia - Lo
straniero e il mare - Forestiero come « aduena », - Peregrinus - Il Nonno e Moscardino Pea, gli esclusi e il riscatto magico; Giancarlo bertoncini, La tensione utopica nella nar­
rativa di Pea da « La figlioccia » in poi; franco petroni, Scrittore d ’avanguardia; Antonio
L ’orto di Pea; Costantino paolicchi, Vita e morte; Bibliografia.
tabucchi,
Questo numero speciale è stato curato da
zione della rivista
Silvio
guarnieri,
in collaborazione con la reda­