Rivaroxaban nella fibrillazione atriale non valvolare

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Rivaroxaban nella fibrillazione atriale non valvolare
Monaldi Arch Chest Dis
2014; 82: 16-19
RASSEGNA
Rivaroxaban nella fibrillazione atriale
non valvolare: l’importanza dei sottogruppi
Rivaroxaban in non valvular atrial fibrillation:
subgroups analysis
Cesare Greco
ABSTRACT: Rivaroxaban in non valvular atrial fibrillation:
subgroups analysis. C. Greco.
After the ROCKET AF study main paper several subgroups analysis were recently published. These studies are
useful to better evaluate the rivaroxaban efficacy and safety
in different clinical conditions. Here the subgroup analysis
of patients with moderate renal failure, heart failure and diabetes are presented. Post hoc data on patients who underwent an electrical or pharmacological cardioversion during
ROKET AF follow up were available and here we analyze
also the results of the first randomized study on electrical
cardioversion in patients treated with new oral anticolagulants: the X-VeRT trial. A metanalysis of all the studies with
rivaroxaban (one on stroke prevention in atrial fibrillation,
two on acute coronary syndromes, four on deep venous
thrombosis prophylaxis and two on pulmonary embolism
treatment) with respect to the risk of myocardial infarction
is examined.
Keywords: atrial fibrillation, new oral anticoagulants,
rivaroxaban.
Monaldi Arch Chest Dis 2014; 82: 16-19.
UOC Cardiologia III - Azienda Complesso Ospedaliero S Giovanni Addolorata-Roma
Corresponding author: Dott. Cesare Greco; Viale Parioli 47; I-00197 Roma, Italy; E-mail address: [email protected]
Il problema della fibrillazione atriale
La probabilità di andare incontro ad una fibrillazione atriale (FA) nel corso della vita è sorprendentemente elevata e si aggira intorno al 25%. La prevalenza dell’aritmia nella popolazione generale si
aggira infatti intorno all’1-2% con valori crescenti
con l’aumentare dell’età, fino a superare il 15% nei
grandi anziani; analogamente anche l’incidenza
della FA e delle sue complicanze è età dipendente.
La complicanza più grave è certamente l’ictus: più
del 15% dei casi di ictus possono essere attribuiti
alla FA ed in questo caso hanno più alta mortalità,
maggiore durata di degenza ospedaliera, più disabilità e maggiore rischio di recidive rispetto all’ictus
non associato a FA. La FA aumenta infatti la mortalità per tutte le cause. Il numero di pazienti con FA
in Italia può essere stimato in circa 1 milione di casi
con circa 160.000 nuovi casi all’anno. Dei 200.000
casi di ictus mediamente stimati verificarsi ogni
anno in Italia, quasi il 20% sono imputabili alla FA,
con le ospedalizzazioni per complicanze a determinare la maggior parte dei costi per il SSN [1].
La prevenzione dell’ictus
nella fibrillazione atriale: i NAO
In questo contesto epidemiologico la prevenzione dell’ictus rappresenta un provvedimento terapeutico molto importante. Essa è basata sull’uso di
anticoagulanti in funzione delle caratteristiche del
paziente con FA per rischio embolico ed emorragico, questi ultimi valutati secondo score validati.
Secondo le Linee Guida dell’ESC [2] nei pazienti a
basso rischio embolico (età inferiore ai 65 anni con
FA non valvolare isolata, sesso femminile incluso)
con CHA2DS2-VASc uguale a 0 non è raccomandata alcuna terapia anticoagulante. Nei pazienti con
CHA2DS2-VASc pari o maggiore di 1 è consigliabile utilizzare una terapia anticoagulante orale a
scelta tra i tradizionali antagonisti della vit.K (VKA)
o tra i nuovi anticoagulanti orali (NAO): un inibitore
diretto della trombina (dabigatran) o uno degli inibitori diretti del fattore X (rivaroxaban, apixaban, ed
ora anche edoxaban).
I NAO, avendo mostrato nella FA non valvolare
di essere non inferiori ai VKA e più sicuri, sono in
generale preferibili rispetto ai VKA a causa delle interazioni di questi ultimi con altri farmaci e con la
dieta e per la necessità di continui aggiustamenti del
dosaggio in base all’INR. Gli anticoagulanti orali
tradizionali sono infatti farmaci efficaci e sicuri se il
paziente è ben controllato; in caso contrario il rischio di eventi avversi come ictus ischemico ed
emorragie, incluse le emorragie intracraniche, aumenta considerevolmente.
La scelta del trattamento antitrombotico più opportuno deve essere basata sulla stratificazione del
rischio trombo embolico, sulla qualità della terapia
anticoagulante orale (TAO) attuabile e sul rischio
emorragico del singolo paziente.
Nello spazio di soli quattro anni sono stati pubblicati i trial di comparazione dei VKA ed i NAO
RIVAROXABAN NELLA FIBRILLAZIONE ATRIALE NON VALVOLARE: L’IMPORTANZA DEI SOTTOGRUPPI
attualmente approvati (RE-LY dabigatran, ARISTOTLE apixaban, ROCKET-AF rivaroxaban, ENGAGE AF edoxaban). Questi farmaci hanno effetti
prevedibili, non necessitano di monitoraggio e si
sono dimostrati altamente efficaci nella riduzione
dell’ictus e dell’embolia sistemica non a carico del
sistema nervoso centrale, rispetto alla terapia con
VKA, con benefici rilevanti in termini di riduzione
delle emorragie intracraniche. I trial registrativi dei
NAO sono stati condotti su popolazioni ampie di
pazienti con FA non valvolare caratterizzate da diversi livelli di rischio di ictus, da varie comorbilità
e dalla diversità dei trattamenti precedenti lo studio.
Le varie analisi per sottopopolazioni condotte sono
risultate sostanzialmente coerenti con le analisi
principali per quanto riguarda la direzione dell’effetto del trattamento.
Non esistendo studi diretti che confrontino i
nuovi anticoagulanti tra di loro in termini di efficacia e sicurezza, non è possibile stabilire con certezza quale tra essi sia preferibile ed in quale contesto. D’altra parte, come riconosciuto dalle stesse
Linee Guida europee e da documenti delle Società
Scientifiche italiane, l’eterogeneità dei trial clinici in
cui le nuove molecole sono state testate (differenze
nel disegno dello studio, nella popolazione di pazienti arruolati, nella definizione degli end point primari di sicurezza e nei periodi di follow-up) non
consente un confronto “indiretto [2, 3, 4]. A causa
delle differenze tra le popolazioni incluse nei recenti
trial sui NAO e della conseguente difficoltà nel confrontare l’effetto dei diversi farmaci, l’analisi dei
sotto gruppi assume una grande importanza
Il ruolo di rivaroxaban e l’analisi dei sottogruppi
Nel ROCKET [5] il rivaroxaban ha dimostrato,
in una popolazione ad alto rischio con uno score
CHADS2 >2, pari efficacia in termini di prevenzione dell’ictus e delle embolie sistemiche (1.7% vs
2.2%, P<0.001), pari incidenza di sanguinamenti
maggiori e minori rispetto ai VKA ma con una riduzione significativa delle emorragie intracraniche
(0.5% vs. 0.7%, P = 0.02) e dei sanguinamenti fatali
(0.2% vs. 0.5%, P = 0.003). Esso, anche per la facilità della mono somministrazione, si propone quindi
per efficacia e maneggevolezza.
Recentemente sono stati pubblicati alcuni importanti studi e sottoanalisi dello studio ROCKETAF che chiariscono alcuni dettagli e possono meglio
orientare nella scelta del farmaco più appropriato.
L’insufficienza renale moderata
Dei 14.264 pazienti randomizzati nel ROCKET,
2950 (20.7%) avevano un’insufficienza renale moderata (con clearance della creatinina 30-49
mL/min) all’arruolamento e venivano trattati nello
studio con un dosaggio ridotto di. I pazienti randomizzati in questo gruppo erano più anziani (mediana
dell’età 79 anni), avevano uno score CHADS2 di
3.7, una maggiore prevalenza di scompenso cardiaco, infarto miocardico ed arteriopatia periferica
ed una più alta incidenza di eventi durante lo studio,
indipendentemente dal trattamento anticoagulante
ricevuto. Nell’analisi per protocollo si osservava nei
trattati con rivaroxaban il 2.32 per 100 pazienti/anno
di eventi dell’end point primario verso il 2.77% dei
trattati con VKA. Il risultato aveva lo stesso andamento di quello ottenuto nei pazienti con clearance
della creatinina > 50mL/min (1.57 per 100 patienti/anno verso 2.00 per 100 patienti/anno rispettivamente). L’analisi eseguita con il metodo intention
to treat mostrava risultati analoghi (HR 0.86; 95%
CI 0.63-1.17). L’incidenza dei sanguinamenti maggiori e non maggiori rilevanti (17.82 verso 18.28 per
100 pazienti/anno) e di quelli intracranici (0.71
verso 0.88 per 100 pazienti/anno) era sovrapponibile
nei due bracci dello studio, mentre i sanguinamenti
fatali erano meno frequenti tra i trattati con rivaroxaban (0.28 verso 0.74 per 100 pazienti/anno).
In definitiva i pazienti con insufficienza renale
moderata, trattati con una singola dose di 15 mg
/dì di rivaroxaban, rispetto a quelli trattati con
VKA rispondono favorevolmente così come quelli
con funzione renale conservata trattati con la dose
di 20 mg/dì.
La cardioversione elettrica
Lo scorso anno era stata pubblicata un’analisi
post hoc sul sottogruppo di pazienti del ROCKET
AF sottoposti a cardioversione durante il follow up
dello studio [7]. Si trattava di 143 pazienti sottoposti a cardioversione elettrica e di 142 sottoposti a
cardioversione farmacologica. L’incidenza dell’ictus/embolie sistemiche e della mortalità era risultata simile nei pazienti trattati con rivaroxaban e
VKA (rispettivamente 1.88 verso 1.86 ed 1.88
verso 3.73 interazione p=0.58). Va comunque sottolineato come in generale i dati sulla cardioversione
di pazienti trattati con NAO fossero scarsi e provenienti tutti da analisi post hoc, metodo con evidenti
limitazioni.
Per questo motivo è importante segnalare la recente pubblicazione dell’X-VeRT [8], primo studio
randomizzato sull’utilizzo dei NAO in soggetti con
FA non valvolare sottoposti a cardioversione elettrica. Nell’X-VeRT sono stati randomizzati a rivaroxaban o a VKA, in rapporto 2:1, 1504 candidati a
cardioversione elettrica o farmacologica in elezione, secondo una strategia di cardioversione precoce (1-5 giorni) o ritardata (3-8 settimane dalla
randomizzazione). L’end point primario era composto da ictus, TIA, embolia periferica, infarto miocardico e morte cardiovascolare. Rivaroxaban risultava globalmente associato a un rischio trombo embolico e emorragico basso e simile a quello osservato con l’uso di antagonisti della vitamina K
(0.51% vs 1.02%, RR=0.50; 95% CI 0.15-1.73).
Eventi emorragici si sono verificati nello 0.61% nei
pazienti trattati con rivaroxaban e nello 0.80% dei
pazienti trattati con VKA (RR=0.76; 95% CI 0.212.67). Questo andamento era evidente sia nei pazienti avviati alla strategia di cardioversione precoce che in quelli avviati verso quella tardiva. Va
osservato che, per quanto lo studio non avesse la
potenza statistica per evidenziare differenze statisticamente significative (per questo sarebbe stato necessario arruolare 25-30.000 pazienti), i rapporti di
rischio indicano una chiara tendenza verso la riduzione delle complicanze emboliche ed emorragiche.
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C. GRECO
Nella cardioversione precoce rivaroxaban somministrato almeno quattro ore prima della cardioversione permetteva già una efficace e sicura anticoagulazione mentre in quella ritardata il farmaco consentiva di eseguire la cardioversione dopo un periodo più breve e certo rispetto a quello necessario
con VKA (25 giorni vs 34 giorni). Nel corso dello
studio, 95 pazienti con VKA non hanno potuto eseguire in 3° settimana la cardioversione, perché non
ottimamente scoagulati contro 1 solo paziente trattato con Rivaroxaban, presentandosi così Rivaroxaban come un farmaco efficace e maneggevole.
risultati ottenuti nei pazienti senza diabete (p interazione= 0.15 e 0.42 rispettivamente). Nella sottoanalisi si osservava un trend verso la riduzione del rischio di emorragie intracraniche con rivaroxaban rispetto a VKA (HR 0.50; p=0.07).
In definitiva rivaroxaban è pari a VKA per efficacia e sicurezza in pazienti con e senza diabete
mellito e rappresenta quindi una alternativa efficace
e maneggevole, anche per la monosomministrazione, rispetto al VKA nella prevenzione dell’ictus
nei pazienti diabetici con fibrillazione atriale.
La metanalisi sul rischio di infarto miocardico
Lo scompenso cardiaco
All’interno dello studio ROCKET [9] 9033 pazienti (63.7%) risultavano avere una diagnosi di
scompenso cardiaco, definito come storia di scompenso cardiaco o presenza di una frazione di eiezione
< 40%. I pazienti con scompenso avevano più spesso
una fibrillazione atriale persistente (83% vs 77%) ed
uno score CHADS2 più alto (3.7 vs 3.1) rispetto ai
pazienti senza scompenso. L’efficacia di rivaroxaban
in termini di incidenza di ictus o embolia sistemica
rispetto al VKA risultava equivalente nei soggetti
con scompenso (1.9 vs 2.09) e senza scompenso (2.1
vs 2.54; p interazione = 0.62). Il rischio di sanguinamenti maggiori o non maggiori clinicamente rilevanti era simile tra rivaroxaban e VKA nei pazienti
con scompenso (14.22 vs 14.02) e senza scompenso
(16.12 vs 15.35; p interazione = 0.99). Nei soggetti
con scompenso cardiaco l’efficacia del rivaroxaban
era indipendente dal valore della frazione di eiezione
(< 40% o > 40%), frazione di eiezione preservata vs
ridotta), della classe NYHA (I-II vs III-IV), o
CHADS2 score (2 vs > 3). Rivaroxaban determinava
però una incidenza significativamente minore di
ictus emorragico nei soggetti con scompenso cardiaco, come già nell’intera popolazione dello studio.
Questi dati pertanto suggeriscono che il rivaroxaban
rappresenta una alternativa efficace e sicura al VKA
anche nei soggetti con scompenso cardiaco e fibrillazione atriale non valvolare, tradizionalmente ritenuti
a maggior rischio di complicanze emboliche.
I diabetici
In una seconda sottoanalisi del ROCKET AF
[10] sono state valutate l’efficacia e la sicurezza del
rivaroxaban in pazienti con e senza diabete mellito.
Nello studio 5635 pazienti erano affetti da diabete mellito. Una piccola parte di questi è stato trattato con dosaggio ridotto di rivaroxaban (15
mg/die), in base alla funzione renale, rispetto ai pazienti non diabetici (16% vs 24%).
Il rischio di ictus e tromboembolismo sistemico
nei pazienti diabetici, trattati con rivaroxaban e
VKA (1.59% vs 2.15%; HR=0.74; p=0.055), era simile al rischio rilevato nei pazienti senza diabete
mellito (1.77% vs 2.16%, p interazione = 0.60) e
consistente con i risultati generali dello studio.
Il rischio di sanguinamenti maggiori (HR=0.98;
p=0.84), oppure maggiori o non maggiori ma clinicamente rilevanti (HR=0.97; p=0.57), nei pazienti
diabetici trattati con rivaroxaban era simile ai pazienti trattati con VKA,, e,) ed era consistente con i
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Una metanalisi [11] ha valutato il rischio di infarto miocardico correlato all’uso del rivaroxaban.
Sono stati presi in considerazione nove studi in cui
veniva utilizzato il farmaco: uno studio nell’ambito della prevenzione dell’ictus nella fibrillazione
atriale non valvolare, due studi nelle sindromi coronariche acute, quattro nella profilassi a breve
termine della trombosi venosa profonda e due nel
trattamento della trombosi venosa profonda e dell’embolia polmonare. Rivaroxaban era confrontato
con enoxeparina da sola o seguita da VKA in sei
studi, con placebo in due e con VKA in uno. La
popolazione dei nove studi comprendeva 58.827
pazienti, di cui tre studi (ROCKET AF, ATLAS
ACS TIMI 46 ed ATLAS ACS 2 TIMI 51) comprendevano il 73% dei pazienti totali ed il 97%
degli eventi registrati.
Rivaroxaban risultava associato ad un rischio di
infarto miocardico significativamente più basso rispetto ai farmaci usati nel braccio di controllo (OR=
0.82; 95% IC 0.72-0.94; P= 0.004), a fronte di una
buona eterogeneità dei dati analizzati (I2=0%) e in
una varietà di condizioni cliniche ed in confronto
con diversi regimi terapeutici. I dati di altri studi
suggeriscono che questo non sia un effetto di classe
e dunque che il dato sia importante per operare una
scelta terapeutica nel campo dell’anticoagulazione
in presenza di elevato rischio cardiovascolare.
Conclusioni
Le evidenze sui NAO ed in particolare su rivaroxaban si sono arricchite di nuovi elementi che possono portare ulteriore chiarezza in un campo che
esploriamo quotidianamente, caratterizzato da scelte
terapeutiche delicate e difficili.
Rivaroxaban rappresenta quindi una alternativa
efficace e maneggevole alla TAO, anche grazie alla
sua posologia in mono somministrazione, nella prevenzione dell’ictus ed eventi tromboembolici periferici in un ampio setting di pazienti affetti da fibrillazione atriale non valvolare
Riassunto
Dopo la pubblicazione del ROCKET AF sono
state eseguite alcune analisi su sottogruppi di pazienti dello studio, utili a meglio comprendere l’efficacia e la sicurezza del rivaroxaban in diversi contesti. In particolare sono stati analizzati i sottogruppi di pazienti con insufficienza renale moderata, con scompenso cardiaco e quelli con diabete
RIVAROXABAN NELLA FIBRILLAZIONE ATRIALE NON VALVOLARE: L’IMPORTANZA DEI SOTTOGRUPPI
mellito. Sono inoltre presentati i risultati della sottoanalisi sui pazienti sottoposti a cardioversione
elettrica o farmacologica durante il follow up del
ROCKET AF ed il nuovo studio randomizzato XVeRT sulla cardioversione elettrica. Infine viene
esaminata la metanalisi sul rischio di infarto miocardico comprendente tutti gli studi che hanno utilizzato rivaroxaban, uno nella prevenzione dell’ictus
in pazienti con fibrillazione atriale non valvolare,
due nelle sindromi coronariche acute, quattro nella
profilassi della trombosi venosa profonda e due nel
trattamento della trombosi venosa profonda e dell’embolia polmonare.
Parole chiave: fibrillazione atriale, nuovi anticoagulanti orali,rivaroxaban.
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