ritratto - IC 16 Valpantena
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ritratto - IC 16 Valpantena
SCUOLA SECONDARIA DI I GRADO AUGUSTO CAPERLE CLASSE II B VOLTI E PAROLE ANNO SCOLASTICO 2013-2014 INTRODUZIONE “No, no bambina, non era lui. Era il pittore Vermeer. Era Johannes Vermeer con la moglie. Tu dovrai fare le pulizie nel suo atelier”. L’idea di questo lavoro è nata dalla lettura del romanzo La ragazza con l’orecchino di perla di Tracy Chevalier, parte letto in aula. L’autrice ha preso in considerazione il famoso quadro di Johannes Vermeer, conosciuto anche come Ragazza con turbante, e ha deciso di raccontarcene la storia. Si sa poco di questo dipinto, non si conosce né il nome del soggetto rappresentato né il significato dell’opera. Un mistero avvolge poi la tela: perché la ragazza, ritratta in abiti popolani, tipici dell’Olanda del Seicento, indossa un orecchino di perla, ornamento prezioso più adatto a giovani nobili? Non vi è spiegazione reale, ma Tracy Chevalier ha tentato di costruirne è una possibile. Così anche noi, partendo da ritratti, di cui gli alunni non conoscevano né il titolo né il nome del loro autore, abbiamo cercato di costruire dei racconti possibili. Il lavoro si è svolto a tappe. In un primo momento sono stati assegnati agli allievi dei ritratti a caso. L’unico legame tra i dipinti era di essere stati realizzati tra Quattrocento e Cinquecento (l’epoca storica che stiamo studiando) e di avere un legame con la Galleria degli Uffizi (che visiteremo in gita scolastica). Gli alunni, poi, grazie all’aiuto della professoressa di arte, dovevano stilare una scheda di lettura iconografica, descrivendo segno, linea, punto, colori, luce, spazio compositivo; evidenziando i valori espressivi dell’opera attraverso il linguaggio visivo e simbolico. Con tutti questi elementi, partendo dall’analisi dell’opera pittorica, hanno scritto quindi il loro racconto, cui hanno poi dato un titolo. Solo alla fine è stato detto loro il titolo e il nome dell’autore della tela che hanno raccontato. Ora non ci resta altro che andare a Firenze, alla Galleria degli Uffizi per vedere queste opere dal vivo. Wanna Bianchi ELISABETH Ritratto di donna di Piero del Pollaiolo Era una giornata d’autunno, il vento era freddo e lieve, il cielo grigio e l’erba era per una buona parte ingiallita. Era domenica mattina, il mio giorno libero dal lavoro. Giravo per i campi, curioso di vedere come la natura si stesse trasformando. Osservavo le foglie dai colori e gradazioni più variate che cercavano di restare attaccate agli alberi e di resistere al vento, le gemme grandi come la punta di una matita e gli uccelli, che cinguettavano pigramente nascosti nei loro nidi nella siepe che circondava le mura del castello, dove mio padre lavorava. Passando sfioravo con le dita i ruvidi tronchi degli alberi. Ero diretto verso la scuderia, il posto preferito di tutto il castello. Lì c’era sempre silenzio e non c’era mai nessuno se non io (che mi occupavo dei cavalli) e mio fratello Robert, che ogni tanto mi aiutava. Le scuderie, il castello e i campi che lo circondavano erano tutte di proprietà della famiglia Swan, per cui lavoravamo. Era la famiglia più nobile e ricca di Londra, tutti la rispettavano. I contadini ci ritenevano molto fortunati perché gli Swan pagavano tutti i loro dipendenti, molto bene e li rispettavano. Mio padre aveva buonissimi rapporti con il signor Swan: erano vecchi amici di infanzia. Per questo, quando ero piccolo, giocavo sempre con Elisabeth, la loro unica figlia. Io e lei siamo cresciuti insieme, eravamo migliori amici e ci incontravamo tutti i pomeriggi sotto la grande quercia del cortile, dove c’era attaccata un’ altalena. Raggiunta l’età di dodici anni però la signora Swan ci proibì di incontrarci, perché diceva che Elisabeth era diventata una signorina ed era troppo grande e nobile per frequentare “ragazzacci” della mia classe. La signora Swan, al contrario del marito, era una persona fredda, rigida e altezzosa. Si faceva sempre chiamare “signora o madame” ed era sempre di cattivo umore con me e con la figlia. Elisabeth mi diceva che non la considerava molto, la lasciava sempre con la dama di compagnia che la sorvegliava spesso. Così da quel giorno ci incontrammo di nascosto nella scuderia, parlavamo di pettegolezzi, giocavamo a nascondino nel fienile…. I nostri incontri diventavano sempre più interessanti e intensi e mano a mano che ci frequentavamo, cominciammo ad innamorarci l’uno dell’altra. Notavo sempre di più la sua bellezza: aveva lunghi capelli lucenti biondi, i lineamenti delicati e precisi, le labbra sottili e il mento un po’ sporgente. Gli occhi piccoli di un delicato marrone misto ad un verde chiaro, le orecchie piccole e portava sempre orecchini d’oro o argento. Era alta e bella, il suo corpo era un’armonia di forme, aveva una postura retta e teneva sempre le spalle rilassate, ma composte. Il suo viso era come illuminato dal suo sorriso delicato e solare che mi incantava tutte le volte che la vedevo. Io invece avevo i capelli folti e castani, gli occhi di un marrone intenso, ero alto e robusto, almeno era così che la gente mi descriveva. I nostri incontri segreti durarono fino all’età di quindici anni, può sembrare tanto, ma a noi non bastò. Il fatto era che la signora Swan cominciò a considerare e a sorvegliare molto di più Elisabeth, quindi erano pochi i giorni in cui ci potevamo incontrare. I mesi passarono e i genitori di Elisabeth decisero che era ora per lei di iniziare a educarla come una vera dama. Da quel giorno di autunno in poi lei dovette “sottoporsi” (come diceva) a lezioni di aritmetica, inglese, francese, ma soprattutto di ballo, buone maniere, galateo, equitazione … che le occupavano tutta la giornata. Io le portavo sempre il cavallo, una scusa in più per vederla e, ogni giorno che passava la vedevo sempre più stanca e forse un po’ arrabbiata o infastidita. Mi mancavano molto i nostri incontri segreti, ora non sapevo più con chi parlare e trascorrevo i pomeriggi a pulire o mettere in ordine la stalla, a cercare di leggere alcune parole del libro che per il mio compleanno un paio di anni fa mi aveva regalato o a sbirciare dal fienile le sue lezioni di ballo che si svolgevano nel grande salone da ballo affacciato alla vetrata precisamente alle cinque e mezzo dopo il tè pomeridiano. Quasi non la riconoscevo! Quando ballava portava costosi abiti di seta di colori chiari, ornati da un pizzo di solito argentato o color oro. Era costretta a ballare con una pila di libri sopra la testa in modo da farla restare ritta ancor più di prima. Passò qualche mese e venne la primavera, non la riconoscevo veramente più. Girava di continuo per il giardino con la madre con il suo abito da passeggio giallo e un ombrellino appoggiato solla spalla destra. Passeggiavano sbattendo di continuo il ventaglio (che entrambe avevano) gesticolando, in particolare la madre parlava animatamente e di continuo. Un giorno attraversarono tutto l’immenso cortile e si avvicinarono alla scuderia dove io stavo strigliando un cavallo. Alzai lo sguardo e sorridendo le salutai molto cortesemente << Buongiorno signore Swan>>. La signora Swan mi guardò dall’alto in basso e fece un lieve gesto col capo e lanciò un’occhiata a Elisabeth, che prima mi fece un debolissimo sorriso (quasi invisibile), ma poi vide l’occhiataccia della madre e abbassò di colpo lo sguardo arrossendo un po’ e prese a sbattere il ventaglio lentamente. Alzò nuovamente lo sguardo senza però guardarmi negli occhi. Sua madre mi fisso con aria di superiorità e di sfida e insieme proseguirono. Ci rimasi malissimo, possibile che avesse dimenticato tutto? Perché stava diventando come sua madre che prima tanto detestava? Non sapevo spiegarmi il suo strano comportamento. Nonostante tutto però non riuscivo a non guardare la sua bellezza, ora era veramente una bella donna. Entrambi avevamo diciotto anni, quella che chiamavano l’età della ragione. Per il compleanno di Elisabeth ci furono balli e festeggiamenti per tre giorni. Lei era più bella di come non l’avevo mai vista. Quando lei passava gli invitati si invitati si aprivano in due varchi per lasciarla passare e si levavano mormorii di stupore, approvazione e meraviglia. Io vedevo queste scene dal fienile, dove ormai andavo spesso quando mi veniva nostalgia dei nostri pomeriggi. I mesi passavano e Elisabeth mi ignorava sempre di più. Passava i pomeriggi in compagnia delle cugine, venute in visita da Vienna, Parigi… a parlare, bere tè e ridacchiare. Molte volte mi guardavano e poi bisbigliavano qualcosa tra loro mentre pulivo la stalla o strigliavo i cavalli. In quei momenti la odiavo profondamente, ma in fondo il mio cuore batteva ancora per lei. Passarono alcune settimane e non la vedevo praticamente mai, però c’era sempre uno strano via vai di carrozze che entravano e uscivano dal cancello. Più volte la cercai per il cortile, ma non ebbi alcun risultato. Una sera d’autunno mentre mi avviavo nella stalla, strisciando i piedi perché avevo perso ogni speranza udii dei singhiozzi provenire dal fienile. Salii le scale, saltando gli scalini due a due. Arrivato di sopra rimasi impietrito dallo stupore. Seduta su una balla di fieno Elisabeth piangeva. Si copriva il volto con le mani delicate. Non appena entrai nella piccola stanza di legno, lei si girò di scatto e mi fissò. Aveva le guance rigate di lacrime, il volto in fiamme, i capelli un po’ scompigliati ma soprattutto sembrava sconvolta. Le sarei saltato addosso riempendola di domande, ma mi trattenni. <<Posso?>> le chiesi cortesemente. Altre lacrime le scivolarono giù dalle guance. Mi avvicinai lentamente e mi sedetti per terra vicino a lei. <<Elisabeth, cos’è successo?>> le chiesi dolcemente, ma anche un po’ preoccupato. All’inizio non mi rispose, poi cominciò a raccontare tutto quello che era successo. Mi raccontò di quanto era costretta a quelle lezioni, di quanto è brutto essere al centro dell’attenzione e di sentire parlare solo di te, di quanto è stato difficile ignorarmi e non salutami quella mattina che era con la madre e poi mi disse <<E ora, vogliono che mi sposi con il conte Bloom! Un matrimonio combinato! Non era questa vita che volevo!.>> La guardai stupito <<Ti devi sposare!? Un matrimonio combinato! Non ti lascerò vivere così Elisabeth! >> dissi quasi urlando. Si alzò in piedi e posò le sue labbra sulle mie. Tutto d’un tratto mi parve di volare. Non avevo mai provato quella sensazione, mi passarono davanti agli occhi tutti i momenti belli trascorsi nella scuderia, i sorrisi, gli abbracci, le risate… una sensazione che non scorderò mai. Quando riaprii gli occhi lei mi disse <<Ti ho sempre pensato!>> <<Mi sei mancata tanto!>> le dissi io. In quel momento l’amai più di ogni altra cosa <<Ti prego, mi disse lei, ti prego, portami via di qui.>> Ci abbracciammo forte poi lei tornò nel palazzo. Saremmo partiti l’indomani sera verso mezzanotte. Quella sera stessa ne parlai con mio padre che con mia grande sorpresa mi disse <<Vai e stai attento, io sono dalla tua parte>>. Mio fratello se n’era andato alcuni mesi prima in una bottega di falegnameria, quindi non c’era motivo di preoccuparsi, saremo partiti. Il giorno seguente passò più in fretta del previsto, e quando scoccò la mezzanotte ci ritrovammo davanti alla scuderia. <<Mio padre sta dalla mia parte>> le dissi<<anche il mio>> disse lei trionfante. << Ha detto che vedeva che stavo soffrendo e che tutti hanno diritto al vero amore>>. Ci abbracciammo increduli e felici. Sellai un cavallo, vi caricai sopra i pochi vestiti e le poche provviste che ci eravamo procurati e partimmo. Galoppammo per diversi chilometri nella notte nera, nulla ora mi spaventava, l’importante per me era allontanarmi da quel castello e di avere Elisabeth fra le mie braccia, non desideravo altro. Mentre l’alba spuntava gioiosa all’orizzonte pensai e decisi che nulla ci avrebbe più separati. ADELE ANNECHINI IL RAGAZZO DAL BERRETTO ROSSO Giovane uomo con cappello rosso di Sandro Botticelli C’era una volta, due figli entrambi del re: uno era Dennis figlio di una serva che era povero e l’altro era Pedro figlio della regina che era il principe ed avevano entrambi otto anni. Il re era stato invitato dai loro cugini Gonzaga. Il re sapendo che suo fratello Eduardo era egoista e aspirante al trono, temeva un’imboscata, allora rinforzò le truppe e vestirono Pedro con abiti da povero e lo fecero viaggiare con la servitù. Dennis invece lo vestirono con abiti da principe che in caso di imboscata fingeva da esca. Arrivati nel mezzo della foresta sentirono degli urli e videro Eduardo con i suoi cavalieri. Tutti andarono in preda al panico e si misero ad andare avanti indietro urlando. Cercarono di difendere il principe ma non vi riuscirono, perché Eduardo aveva radunato tante truppe. Dennis, difeso da nessuno, riuscì a scappare. Quando era sicuro di essere distante si fermò per prendere fiato. Sentì molte urla in quella corsa, ma a un certo punto finirono e sentì un grido di vittoria di suo zio Eduardo. Camminò per giorni ma si perse. Una pattuglia reale, inviata dai cugini Gonzaga, trovò Dennis malridotto scambiandolo per Pedro. Quando arrivarono alla casa, Dennis racconto loro tutto, ma non che lui era Pedro. A Dennis della sua famiglia rimase solo il berretto rosso di Pedro, cui era molto affezionato, che era riuscito a prendere mentre fuggiva. Dennis aveva molta cura di sé, infatti aveva le sopracciglia fine e una pelle chiara e liscia. Aveva gli occhi tra il verdeazzurro e i capelli un po’ ondulati. Fin da piccolo era appassionato di lirica, aveva una voce profonda. Infatti verso i quindici anni diventò famoso per la sua voce e si esibì in molti teatri dell’Italia settentrionale. Era molto vanitoso e aveva amici nobili come lui e aveva un grande stuolo di ragazze, cui faceva delle serenate bellissime. In seguito diventò famoso in tutta Italia, andò perfino a Roma ad esibirsi. Quando arrivò il suo diciottesimo compleanno gli regalarono il suo autoritratto. Quando ebbe aperto tutti i regali, rimase stupito da un inaspettato regalo, che aveva ricevuto da una graziosa fanciulla che si chiamava Costanza. Costanza e Dennis si conoscevano fin da piccoli e iniziarono a frequentarsi. Pian piano si innamorarono e a vent’anni si sposarono. Ebbero quattro figli, uno in particolare chiamato Pedro in ricordo del fratello. Suo zio, che aveva conquistato la loro terra, si arrese e venne decapitato per avere ucciso la famiglia reale. La loro vita era molto felice perché erano amati per la loro onestà. DAVIDE BALLINI LA RAGAZZA CON IL MEDAGLIOLE DELL’INQUIETUDINE Bia de’ Medici di Agnolo Bronzino Nel regno d’ Inghilterra viveva una nobile famiglia. Il padre commerciante, il suocero banchiere e la madre casalinga . C’era anche una giovane fanciulla. Fragile, comprensiva, ma soprattutto gentile. Non molto alta e non troppo robusta. La sua pelle era candida e vellutata, le sue dolci guance erano ben truccate di un rosso sfumato, gli zigomi non particolarmente evidenti. Il suo minuto naso era affascinante, le sue dolci labbra erano dello stesso colore delle guance, i suoi occhi leggermente a mandorla, di un colore celeste abbastanza scuro. I suoi capelli erano stupendi, a caschetto ma non con la frangia, castani chiari, sempre pettinati secondo l’elegante moda del tempo e sotto loro si intravedevano delle piccole orecchie con degli orecchini di enorme valore. Al collo indossava molto spesso una collana di perle. Il suo nome era Jennifer Smith. La famiglia Smith era molto conosciuta nel regno. Il padre commerciava pregiate stoffe con la lontana India. Essendo molto ricchi, il padre, poteva permettersi enormi scambi commerciali, ma quando voleva esagerare doveva chiedere prestiti alla banca di suo suocero. Una famiglia perfetta si oserebbe dire. O almeno fino a quando non giunse il nono compleanno di Jennifer. Il padre le regalò un costosissimo vestito, ricamato con stoffe indiane, invece la madre le regalò un medaglione molto speciale. C’ era inciso lo stemma della loro famiglia e dall’altro lato la loro immagine. Per festeggiare il padre chiamò alcuni dei migliori intrattenitori indiani e alcuni dei suoi più fedeli venditori. La madre invitò anche il suo invidioso fratello. Lo zio di Jennifer aveva portato una grande bottiglia di vino fiorentino. Lo fece assaggiare a sua sorella, che di colpo cadde a terra. Il padre si chinò per verificare la situazioni della moglie e, nel frattempo, lo zio che precedentemente aveva pianificato la morte degli Smith, fece cenno agli indiani di agire; l’intrattenitore sfilò una spada dai calzoni e davanti agli occhi della piccola ragazzina decapitò suo padre. Jennifer si riempì di angoscia, tristezza, ma soprattutto di inquietudine. Lo zio, orgoglioso ma dispiaciuto allo stesso tempo, cercò di uccidere la povera Smith ma la sua poca coscienza la risparmiò e le ordinò di andarsene. Lei guardò per l’ultimo istante i suoi poveri genitori. La madre a terra con gli occhi bianchi, con la bocca spalancata piena di tossine. Il corpo dello sfortunato padre in ginocchio senza testa. Con il cappotto intinto di schizzi di sangue. Jennifer baciò il medaglione, salutò i suoi amati genitori e scappò in un mare di lacrime. Andò vagabondando lungo le vie del regno a cercare un riparo. Un giovane pittore la accolse nella sua umile dimora. Fecero conoscenza. Diventarono amici. Diventarono amanti. Diventarono sposi. Diventarono genitori. Alla fine divenne protagonista di un quadro che la rappresentava come: LA RAGAZZA COL MEDAGLIONE DELL’IQUIETUDINE. GIULIO BALLO UNA NOTTE SPECIALE Ritratto di una donna con lo sguardo rivolto verso il basso di Leonardo da Vinci La ragazza era seduta davanti al camino. Stava leggendo un testo teatrale perché la sua più grande aspirazione era quella di diventare un’attrice, ma nella sua epoca solo gli uomini potevano recitare. In più, essendo una nobile era costretta a comportarsi secondo le regole dell’etichetta. Avrebbe voluto indossare un paio di pantaloni per imitare l’attore più famoso dell’epoca e per questo si fece procurare dalla serva più fidata dei vestiti da uomo. Non aveva un piano ben preciso, ma sapeva che quella notte qualcosa sarebbe successo e fu così che al calar del sole la ragazza improvvisò una breve fuga della durata di una notte. La ragazza dal volto florido e regolare, portava i capelli ondulati raccolti da un lato con una fascia che le avvolgeva la testa. Si tagliò una ciocca di capelli, ne fece dei baffi e iniziò il suo travestimento. Nel giro di poco tempo era in mezzo a una folla che stava ammirando gli attori di una compagnia teatrale itinerante. Che meraviglia! Affascinata la ragazza travestita si avvicinò e uno dagli attori la trascinò in mezzo alla piazza. Intimidita iniziò però ad improvvisare una parte, seguendo la scia degli altri attori. Ricevette applausi e complimenti, ma la paura di essere scoperta la fece fuggire verso quella casa che per lei era ormai diventata una prigione. Era già passata l’alba quando passando attraverso una fiera un ritrattista, affascinato dal suo volto, le fece un ritratto a carboncino. L’unico ricordo di quella notte che non sarebbe tornata più. GAIA BARBIERI LA PRINCIPESSA DEL LAGO Le Grazie (particolare de La Primavera) di Sandro Botticelli Un giorno un bel giovane stava camminando verso la città di Zagabria, per recarsi alla corte del re per chiedergli se desiderava commissionare un suo ritratto o di qualcuno della sua famiglia. Prima di arrivare alla città dovette attraversare una fitta foresta di faggi, finché non sentì uno scroscio d’acqua, lasciò il sentiero e camminò fino ad arrivare ad un bellissimo lago. Si stupì di questo paesaggio con il colore verde smeraldo dell’acqua e le bellissime ninfee color rosa. Quando Leonard, il bel giovane, si sedette sulla riva del lago estrasse dalla sua borsa un flauto. Quando lo suonò, la melodia che usciva si udì in tutto il bosco. Intanto una ragazza a cavallo passò sul sentiero ma quando sentì questa dolce melodia si diresse, verso il luogo da cui proveniva quel suono. Qui vide un bel giovane seduto, scese da cavallo ascoltando il ragazzo estasiata. Quando finì la melodia, Leonard sentì un fruscio dietro lui, si girò e vide una bellissima ragazza, con dei lunghi capelli biondi e un mantello rosso, che gli fece le congratulazioni. Appena dopo la ragazza se ne andò senza lasciare il tempo a Leonard di chiederle il nome. Il giorno seguente, sempre con il pensiero di quella bellissima ragazza, arrivò a Zagabria. Quando arrivò si diresse subito alla corte del re, entrò e vide affacciarsi al balcone la ragazza vista nel bosco, sempre con la sua solita espressione pensierosa. Quando si dovette incontrare con il re in presenza della propria figlia, Leonard chiese immediatamente di poter fare un ritratto alla figlia. Il re rispose subito che sarebbe stata Aurora, la figlia, a decidere questo. Aurora esclamò subito il suo sì e chiese a Leonard di immaginarsi lei nel bosco con uno sfondo azzurro come il cielo. Lui allora cominciò a dipingere il suo bellissimo volto ovale, gli occhi marroni luccicanti, il naso regolare, la bocca grande con delle bellissime labbra, il mento tondeggiante, la fronte alta e i capelli di colore biondo che sopra le delicate orecchie mentre i restanti erano legati dietro al colo e sulla testa da una tiara di perle. Al collo portava una collana con tre perle, segno della sua cristianità. Terminato il dipinto, la donna si piacque molto e fu così che Aurora si innamorò di Leonard e quando lui divenne un pittore famoso grazie ai ritratti fatti si sposarono. DANIELE BRAGANTINI LA RAGAZZA DAI CAPELLI D’ORO La nascita di venere di Sandro Botticelli Firenze 1454. Era una notte tenebrosa quando si sentirono dei soldati avvicinarsi alla porta di ingresso della casa, dove ero cresciuto insieme a mia sorella Laura. La svegliai, era una giovane dai capelli biondi, dai lineamenti marcati, alta e magra e le dissi che i soldati della sua rivale erano alle porte di casa. Lei si svegliò di soprassalto e corse via insieme a me. Dovevamo trovare un posto sicuro dove avremmo potuto nasconderci. Trovammo un vecchio castello risalente a qualche secolo prima. Pioveva a dirotto e ci rifugiammo lì per la notte. Avevamo perso i genitori in guerra e ora ce la cavavamo da soli. Mia sorella amava un figlio della famiglia De Medici che però era già stato promesso in sposa alla figlia del signore di Milano. Lorenzo De Medici amava Laura non la milanese, per questo la perfida figlia di Milano la voleva uccidere o rinchiudere in una prigione. Dissi a mia sorella di restare in quel castello e le promisi che le avrei portato da mangiare ogni giorno. Mi diressi verso la città per trovare il modo di sbarazzarmi della cattiva rivale. Provai a cercare una vecchia veggente che viveva nella periferia di Firenze che forse avrebbe potuto incantare la rivale di Laura e farla innamorare di un altro. Mi feci dare un filtro incantante. Come promesso ritornai con la cena da Laura che mi raccontò cosa le fosse successo durante quel brutto giorno. Intanto i soldati nemici avevano continuato a cercare in tutta Firenze, ma quel posto dove eravamo nascosti era introvabile. Seppi che nella città di Genova c’era un ricco e giovane signore che era pronto per sposarsi, ma non trovava moglie. Raccontai a Laura del mio piano per sbarazzarsi della rivale. Quando De Medici seppe dell’ira che la milanese stava sfogando contro mia sorella cercò di calmarla ma fu inutile. Il giorno dopo mi allontanai dal nascondiglio per prendere da mangiare quando i soldati milanesi trovarono Laura e la rinchiusero in prigione. Quando ritornai mi accorsi che era stata portata via, ma attraverso un piccione viaggiatore riuscii a comunicare con Laura. Sarebbe stata decapitata il giorno seguente. Riuscii a entrare nella prigione, ma dovetti aspettare notte fonda finchè le guardie non si fossero addormentate tutte per agire e salvare mia sorella. Quando fu l’ora mi prese un’ ansia tremenda e mi feci quasi scoprire. Presi le chiavi da una guardia addormentata , aprii la cella e la liberai. Scappammo ed entrammo furtivamente nel palazzo dove dormiva la rivale(per i preparativi del matrimonio) e le mettemmo il filtro incantato, che mi aveva dato la veggente, nel suo bicchiere. Poi scappammo via e ci rifugiammo in un boschetto. Il mattino seguente il signore di Genova era venuto a Firenze per una riunione con Lorenzo De Medici e facemmo incontrare per caso la rivale con il Genovese che se ne innamorò subito. La rivale partì per Genova e Laura potè finalmente sposare il futuro signore della città. ROBERTO BUSATO LA RIBELLIONE DI MIRIAM Ritratto di giovinetta di Rosso Fiorentino Sono Miriam, ho quindici anni e sono la principessa del regno di Dambrog. Non voglio diventare come tutte le altre principesse, anzi, voglio essere libera e andare per la mia strada. Mi devo alzare sempre alle sette del mattino per ricevere le amiche di mia madre per il tè. Vado sempre di fretta, invece che scendere le lunghe scale che collegano il piano sopra al salotto principale, mi metto seduta all’indietro sulla sponda di legno delle scale e al volo scendo alla sala da pranzo, ancora con la camicia da notte. In velocita faccio colazione per poi ricevere gli ospiti. Mia madre mi presenta un vestito dall’aspetto vecchio anche se mai indossato. Appena lo indosso, mi fa sentire stretta, bloccata, immobile, insomma una bella statuina. Verso le otto sono arrivate le ospiti, regine venute da altri regni insieme alle loro figlie super viziate. Mentre eravamo andate in cortile a sorseggiare una tazza di tè tutte insieme, le altre regine discutevano del matrimonio delle figlie. Molte avevano già scelto il marito e a breve si sarebbero sposate. Mia madre mi guardò con uno sguardo deludente, come dire che io fossi l’unica immatura. Arrivò l’ora di cena quando mia madre mi diede una notizia sconvolgente. Avrei dovuto sposarmi entro una settimana e che erano già stati convocati tre re con i loro figli per presentarli. Arrivò il giorno e, uno dopo l’altro, si presentarono davanti a me dicendo che mi volevano sposare più di ogni altra cosa. Visto che non volevo scegliere mia madre mi disse che se non avessi preso una decisione entro l’indomani, avrebbe scelto lei. Per me il matrimonio era molto importante e non volevo sprecare così una possibilità, quindi decisi di scappare, non so dove ma ovunque sarebbe stato meglio di questa scelta. Così, nel bel mezzo della notte scappai via dal castello con un cavallo per le campagne vicine. Galoppai per quasi tutta la notte. La mattina dopo ero molto assonnata e affamata ma per mia grande fortuna trovai una casa con del fumo che usciva dal camino. Capii che ci abitava qualcuno. Bussai alla porta e subita mi aprì una signora, molto simpatica all’apparenza. Mi chiese se cercavo qualcuno o qualcosa e io risposi che cercavo una casa in cui vivere. La signora mi face entrare e sedere su una sedia malridotta e disse: <<Puoi restare a patto di svolgere dei lavori casalinghi>>. Io dissi di si e poco dopo entrò dalla porta di ingresso un giovane molto affascinante e mio coetaneo. Appena si avvicinò mi presentai, non dicendogli di essere una principessa, solo il mio nome. Quel contadino era figlio della signora che mi aveva ospitato. Dopo un po’ di tempo che lavoravo lì, io e il figlio di nome Jack, cominciavamo ad innamorarsi l’una dell’altro e quindi avevamo deciso di fidanzarci davanti a tutti i parenti di Jack. Era la sera prima dei festeggiamenti, quando la mamma di Jack mi chiamò in camera sua per darmi un velo da sposa che aveva cucito con le sue mani. La ringraziai tanto e le diedi la buona notte. La mattina dopo mi preparai: avevo un velo bianco, splendido e trasparente, un vestito nero e uno scialle sulla spalla destra. Arrivò l’ora e io e Jack eravamo entusiasti. Mi dispiace solo che mia madre non fosse presente, ma non potevo permettere di vivere una vita infelice. SOFIA CACCIATORI OMAR Ritratto di giovane di Hans Memling Omar, un giovane ragazzo nato a Firenze nel 1450, era il secondo di quattro figli e apparteneva ad una famiglia benestante e religiosa. Infatti Omar all’età di dodici anni decise di ritirarsi al monastero di Pavia. La madre era frastornata, non sapeva se essere felice o triste, sapeva solo che sarebbe stato lontano dalla famiglia per molto tempo, ma avere un figlio che avrebbe portato la parola di Dio in tutto il mondo la rendeva felice. Infatti quelle poche volte che tornava a casa tutti erano contenti di vederlo. Era partito che era un ragazzino ed era diventato uomo dai lineamenti del viso teneri e delicati, educato e saggio dalle buone parole. Amici e conoscenti quando sapevano che Omar era in visita dai genitori andavano a trovarlo e ascoltavano molto volentieri l’esperienza che stava vivendo al monastero, facendo molte domande, chiedevano come fosse la vita al monastero e volevano sapere tutto nel minimo dettaglio. Omar spiegava, si vedeva che era felice della scelta che aveva fatto, anche se sentiva molto la mancanza della famiglia. Infatti ogni volta che ripartiva non avvisava nessuno, si sentiva responsabile delle malinconie che procurava alla famiglia, soprattutto la madre che ogni volta lo abbracciava e non lo lasciava più andare. Con il passare del tempo genitori e fratelli si abituarono alla vita che Omar aveva scelto. Omar si sentiva amato da tutti, diceva sempre che la sua fortuna era di essere stato messo al mondo da una grande e bella famiglia e di servire una grande e bella comunità. DAVIDE CAUSEVIC UN RAGAZZO E IL SUO SOGNO Il grande Ferdinando de’ Medici di Antonio Franchi Una volta esisteva un bambino che viveva in un piccolo villaggio, il luogo era sconosciuto in quanto era lontano dalle principali strade. Era figlio di un povero contadino e per aiutare i genitori lavorava con un fabbro che produceva armature per cavalieri. Il ragazzino, lavorando, pensava che in futuro si sarebbe fabbricato un’armatura per andare a combattere. Giorno dopo giorno il ragazzo, di nome Hasmir, raccoglieva gli scarti di ferro dal pavimento e andava a nasconderli nella sua piccola casa. Dopo qualche anno il fabbro morì e avendo imparato molto bene l’ arte della lavorazione del ferro Hasmir si ritrovò solo a fabbricare armature per molti cavalieri. Con il tempo diventò un artigiano il cui talento e maestria nella fabbricazione delle armature superarono i confini della regione . Mentre lavorava, pensava ancora al sogno di quando era un bambino cioè avere un sua armatura. Alcuni anni dopo la piccola bottega fu incendiata durante una guerra. Fortunatamente il giovane ragazzo non morì e a quel punto decise di intraprendere un viaggio per fuggire dagli orrori della guerra e per cercare un lavoro che poi consentirebbe di realizzare il suo sogno. Con sè portò un piccolo taccuino, dove faceva dei piccoli disegni e i frammenti di ferro, quelli che raccoglieva dal pavimento della piccola bottega ormai andata in fumo. Giunto in un paesello non molto lontano dal suo, trovò un artigiano disposto a farlo lavorare con lui. Il proprietario della bottega decise di mettere Hasmir a dipingere dei piccoli oggetti in legno. Con il tempo esso diventò bravo e in breve molti vennero a conoscenza della maestria e talento del giovane, anzi molti cortigiani gli chiesero di dipingere qualche quadro. Lui non sapendo cosa rispondere disse che prima avrebbe dovuto un po’ di pratica e forse dopo avrebbe dipinto qualche quadro. L’artigiano a quel punto gli diede una tela e dei colori e gli chiese di dipingere un quadro a suo piacimento. Dopo qualche mese l’artigiano vide il quadro e lo mise in vendita nel suo negozio perché era un lavoro ben fatto. In molti vedendolo rimasero stupefatti dal dipinto e chiesero ad Hasmir di fare dei quadri per abbellire le loro case con dei magnifici dipinti . Lui nel frattempo venne dimenticato come fabbricante di armature in compenso venne ricordato come un pittore. I suoi schizzi li fece sul suo taccuino dove da bambino scriveva tutto quello che faceva alla bottega del fabbricatore di armature. Nel frattempo Hamir continuava a pensare al suo sogno e quindi al posto dell’armatura vera volle dipingere un ragazzo con l’armatura dei suoi sogni. Il ragazzo ritratto aveva i capelli lunghi e si sollevavano in aria come se ci fosse una brezza a soffiare sul viso. Questo era per rappresentare la leggerezza e delicatezza di forgiare un’armatura in maniera perfetta. Il viso con una espressione seria rappresentava il coraggio dei cavalieri, ovvero il coraggio di lottare fino alla morte. Il colletto con un fiocco azzurro rappresentava la ricchezza. L’elmo sotto la mano rappresentava l essere sempre pronti ad andare in guerra in qualsiasi occasione. Quei decori sull’armatura rappresentavano la grandezza del cavaliere. La luce che illumina alcune parti del corpo una fine gloriosa di un eroe non fuggito alla guerra, che ha combattuto fino alla fine, versando l’ultima goccia di sangue per il popolo. MARTINA FERLINI FRANCESCA Ritratto di giovane donna (Simonetta Vespucci) di Sandro Botticelli <<Francesca! Francesca! È ora di svegliarsi.>> <<Ogni mattina la stessa storia, Maria, devi svegliarmi più dolcemente, siediti qui vicino a me. Questa notte ho fatto un sogno, stavano arrivando i turchi, non per via terra ma dal mare e volevano conquistare Otranto.>>. <<Dove siamo noi!>> aggiunse Maria. <<Dicevano di chiamarsi “i corsari della fede”>>. <<È stato solo un sogno Francesca. È vero che i Turchi si sono impossessati di Costantinopoli ma a loro interessano solo le ricchezze di Venezia, non verrebbero mai in questo piccolo ducato. Oggi tuo padre ti aspetta a corte, devi scegliere un marito e accompagnarlo dal Papa per ricevere l’indulgenza plenaria, gli rimangono poche settimane di vita e lui insiste perché ti sposi presto; questo ducato deve avere un erede>>. Mi vestii in fretta e m’incantai guardando fuori dalla finestra, vidi che al centro del giardino, dove era situato il pozzo, la servitù attingeva l’acqua portandola con delle brocche oltre il cancello ferrato che chiudeva il parco. Mi specchiai, era da tanto che non lo facevo, ero cambiata dall’ultima volta, ero diventata molto più alta e i capelli biondi rossicci erano cresciuti, m’intrecciai delle perle intorno alla coda e alla traccia che avevo legato lungo la schiena. Vidi anche il mio naso e il mento caratteristici della mia famiglia. Inoltre mi legai una collanina. Mi misi un vestito rosso e nero, un vecchio regalo di mia cugina, sposa del duca di Mombreb. La mattinata trascorse bene ma non per mio padre perché non ero riuscita a soddisfare il suo desiderio di trovarmi un marito. Nel pomeriggio andammo a Napoli, in quei giorni il Papa si trovava in quella città per bandire una crociata. Durante il viaggio in carrozza raccontai a mio padre il sogno che non lo turbò minimamente. Giunti a Napoli ci accolse la servitù del Papa e, mentre mio padre si trovava in udienza, io feci un giro nell’immenso parco attorno alla residenza. M’incamminai lungo un viale alberato, sembrava infinito e mi stupii che più avanzavo più i cipressi diventavano incolti e mal curati. Mi accorsi anche che la via si faceva sempre più stretta, fino a diventare un sentiero in salita e a zig zag, i cespugli e i rovi situati ai bordi impedivano alla luce del sole di giungere sul sentiero; faticavo a percorrere quella strada scoscesa. Percepii un gran caldo e una puzza di zolfo. Davanti a me apparve all’improvviso del fumo. Mi fermai di colpo, stavo per svenire; ero arrivata sul precipizio del cratere del Vesuvio. Urlai più che potei, mi voltai di scatto e corsi via velocemente inciampando però su una radice sporgente, caddi, sbattei la testa su un sasso e svenni. Non so dopo quanto tempo mi risvegliai su un letto di foglie in una casa di legno. Mi guardai intorno ma non c’era nessuno. La luce veniva da un caminetto acceso che scaldava l’ambiente e cuoceva della carne. Mi avvicinai e la tolsi per preparare una zuppa. Avevo molta fame. Uscendo in cerca di spezie mi accorsi che mi trovavo in un bosco. Trovai chiodi di garofano, bacche di ginepro e dei funghi e attinsi dell’acqua da un torrente. Tornai alla casetta, misi i funghi con le spezie e la carne in una pentola con dell’acqua e la misi sul fuoco. Pulii la casa e quando vidi delle coperte e alcuni vestiti da uomo per terra, capii che in quella casa abitava qualcun’ altro. Apparecchiai la tavola per due, assaggiai la zuppa e aspettai con ansia il ritorno di qualcuno. Sentii ululare molto vicino. La porta si aprì piano piano ed entrò un grosso lupo grigio che ringhiando mi si avvicinò. Spaventata, indietreggiai e mi accostai alla parete. La belva avanzava mostrando i denti. In quel momento apparve sulla soglia un uomo che disse:<<Murtagh a cuccia! Ti sembra il modo di accogliere una fanciulla?>>. Io impaurita continuai a fissare l’animale che passandomi accanto si accovacciò nella sua cuccia. <<Piacere di conoscerti, sono Albert e lui e il mio fedelissimo compagno>>.Disse porgendomi la mano, io gliela strinsi e mi presentai: <<Francesca. Figlia del duca Giovanni II>> <<Ah! L’ultimo duca di Otranto>>. <<Come l’ultimo duca?>> <<I Turchi sono giunti via mare e hanno attaccato il ducato di Otranto, l’intera Calabria sta costruendo numerose torrette sulle coste e la popolazione si sta rintanando sulle montagne, nessuno può fermare l’avanzata dei Turchi, nemmeno il Papa>>. <<Io devo salvare la mia gente!>> <<Sono stato a Otranto per vendere selvaggina e ho capito che gli abitanti sono molto coraggiosi e pronti a rischiare la vita pur di difendere le loro case. Per ora la cosa migliore da fare è migrare al nord, a Genova>>. Io scoppiai a piangere, le sue mani presero le mie, lo guardai in faccia, era bellissimo e immediatamente me ne innamorai. Durante la cena gli dissi ciò che provavo e raccontai com’ero finita sul Vesuvio. Lui mi spiegò il seguito e insieme progettammo il nostro futuro. Alla mattina seguente si presentò con due cavalli e le provviste per il viaggio, io raccolsi tutto ciò che potesse servire e alcuni oggetti che avremmo potuto vendere o barattare. Raggiungemmo Roma e poi Firenze e fummo sempre ospitati da amici di mio padre che ci aggiornavano sulle condizioni della mia famiglia e della situazione generale. Giunti a Genova vendemmo i cavalli, con i soldi ricavati e l’aiuto dei parenti di Albert, riuscimmo a sposarci e a iniziare una nuova vita insieme. MATTEO MONTOLLI BASTIEN Federico da Montefeltro e Battista Sforza di Piero della Francesca Nonostante la sua espressione dura e il suo sguardo malfidente lo facessero sembrare una persona malvagia, Bastien era un uomo dall’animo gentile. Il mento sfuggente e le piccole orecchie si mettevano in contrasto con i corti capelli corvini e il maestoso naso aquilino che fin da piccolo (e con suo grande sollievo) avevano tenuto lontani i ragazzini più impertinenti e ispiravano rispetto, ma quasi tutte le ragazzine della sua età lo prendevano in giro mentre lui avrebbe preferito stare nell’ombra. Nessuno sapeva la sua vera storia poiché veniva da molto lontano, da un paesino francese immerso nel verde della campagna. Qui era cresciuto nella più umile delle condizioni: una piccola casupola con dieci fratelli tutti più grandi di diversi anni. Ragazzo gentile ed introverso non amava il contatto con la gente poiché sentiva di non avere niente da dire. Fin da ragazzino aveva amato studiare, ma un giorno tutto era cambiato: nel suo piccolo paese, nonostante la povertà del luogo, arrivò una famiglia di ricchi mercanti di stoffe. Tra questi mercanti lui scorse una fanciulla, figlia del più ricco del gruppo, minuta e dai lunghi capelli biondi con vestiti eleganti ma abbastanza pratici da poter fare un viaggio. Un giorno, mentre Bastien leggeva un libro sdraiato su di un prato, aveva visto la fanciulla da lontano avvicinarsi sempre più fino a sedersi al suo fianco. Il ragazzo era imbarazzato e confuso ma lei, che si chiamava Adelaide, riuscì a farlo parlare di sé come nessuno aveva mai fatto. Da allora i due ragazzi furono inseparabili. Giunto però il giorno in cui la famiglia di lei sarebbe dovuta ripartire per il suo viaggio Adelaide, la notte, scappò poiché il padre non avrebbe mai accettato che lei stesse con un uomo di così poco conto e senza nemmeno un nome di valore. I due si erano spostati insieme nella periferia di Parigi, trovando alloggio solo in una piccola casa malandata che cadeva a pezzi. Nonostante la miseria in cui vivevano, i due erano felici perché vivevano del loro amore facendo sogni e progetti. Purtroppo però quella vita era troppo bella anche per la sua semplicità. Passarono neanche due anni quando Adelaide si ammalò gravemente. Le sue condizioni peggioravano giorno dopo giorno e avevano a malapena il denaro per mangiare. Bastien non sapeva più che fare per aiutare la sua amata e, dopo enormi agonie per lui e per lei, Adelaide morì. Lui non riuscì mai a perdonarsi di non averla potuta aiutare e per questo si richiuse del tutto in se stesso ritrovando un po’ di pace solo nello studio. Fu così che, conosciuto per le sue traduzioni dei poeti antichi, venne chiamato a Firenze dove gli venne affidata la cattedra di lettere all’università. La sua unica consolazione era leggere un libro, il libro da cui era iniziato tutto. LUCIA MOSER IL GUERRIERO JAME Ritratto di cosimo I de’ Medici del Bronzino Era arrivato il giorno della nascita del figlio di uno tra gli uomini più ricchi di Scozia. L’uomo, di nome Ben, organizzò una grande festa in onore del primogenito, sperando che un giorno diventasse l’uomo più ricco di Scozia. Il figlio Jame, però, non sembrava incarnare l’idea del padre. Diceva di essere attratto dal ruolo del guerriero. Al padre, però, queste affermazioni non piacevano e a causa di ciò ci furono molte discussioni. La madre, invece, era d’accordo con le idee del figlio. Per il suo quindicesimo compleanno, Jame chiese ai genitori di regalargli un’armatura, ma il padre non acconsentì. Nel frattempo peggiorarono i rapporti familiari. Cinque anni più tardi Ben morì e Jame venne chiamato per andare in guerra e, finalmente, realizzò il suo sogno: diventare guerriero. Era un ragazzo molto coraggioso e determinato, aveva gli occhi marroni e i capelli neri, una corporatura robusta, ma non era molto alto, al contrario del padre. Sua madre Jennifer gli regalò un’armatura all’età di ventidue minuti. Gli occhi del giovane brillavano: era l’armatura che aveva sognato per tanti anni e, finalmente, poteva indossarla. Era di colore grigio, con alcune parti bronzo e altre in viola. Andò per la prima volta in guerra all’età di ventitre anni. Gli scozzesi vinsero anche grazie al giovane che diventò un punto di riferimento per loro. Purtroppo morì molto giovane, all’età di trentaquattro anni durante una battaglia. Jennifer, a causa dell’accaduto, si suicidò pochi mesi dopo. GIOVANNI PERUSO UNA MADRE E UN FIGLIO Eleonora di Toledo del Bronzino Era il giorno della celebrazione del battesimo di Giovanni: sua mamma Maria si preperava per l’ occasione. Era vestita con un abito molto raffinato e pregiato , indossava un orecchino di perla a forma di goccia ed una collana con una medaglia e sotto una perla, mentre il bambino indossava un completino viola con un colletto color oro. L’ abito della mamma era bianco e nero con al centro un simbolo color oro che sembra quasi uno stemma. Il bambino era molto agitato e preoccupato nonostante le coccole che la mamma gli faceva. Il papà non era presente perché morì in un incidente in carrozza quando il bambino era in pancia, la mamma aveva sofferto molto e ricevette lettere di condoglianze da tutto il paese, si trattava di un avvenimento anche questo molto triste perché era un uomo buono e allegro ed era amato da tutto il paese. La mamma era pronta per celebrare il battesimo nonostante le domande del bambino : <<Mamma perché tutta questa gente che mi sorride? – Mamma perché tutte queste persone ci guardano ? Perché siamo i protagonisti ? >>. La mamma rispondeva : <<Stai tranquillo piccolo non succederà niente ci sarà un signore che ti metterà una goccia d’acqua nella fronte per farti ricevere lo spirito santo! >> . Giunto l’ avvenimento tutti dettero un bacio al bambino come segno di pace. Per l’ avvenimento la mamma invitò un fotografo ed un pittore. Entrarono in una sala scura così il pittore nel dipinto poteva fare risaltare la luce sulla mamma ed il bambino. Il ritratto venne benissimo nonostante il bambino non stette fermo un attimo: Maria ringraziò l’ artista ed dopo la mamma ed il bambino andarono a festeggiare. FEDERICA PIRAS DIARIO DI LAVINIA Ritratto di Lucrezia Pucci Panciatichi del Bronzino Lavinia è il nome che mi hanno dato i miei genitori: Olga ed Eufasto. Quando ero giovane, ero più affezionata a mio padre che mia madre perché lei era seria e taciturna, una donna che lavorava tantissimo in casa che però non si preoccupava dell’igiene e della bellezza; infatti aveva il viso quasi sempre sporco di nero, capelli unti, naso bitorzoluto, abbastanza robusta e alta. Mio padre in confronto era Zeus, potente, un bellissimo uomo dagli occhi verde acqua e dalla bocca sottile e rossa come il sangue, anche lui robusto e alto, un uomo molto simpatico e chiacchierone ma, la cosa che mi piace di più di lui, è la sua voglia di viaggiare. Io adoravo e adoro ancora viaggiare per il mondo. Da ragazza ero molto esile e abbastanza bassa, capelli rossi come il fuoco occhi marroni, pelle molto chiara e vellutata, il mio abbigliamento era elegante e complesso nella sua semplicità, indossavo sempre vestiti cuciti dalla mia sarta personale. La mia famiglia era nobilissima, infatti abitavo in un castello molto grande ed imponente, occupava quasi tutta la collina, attorno a noi c’era una strada per andare in città a comprare il cibo o per commerciare, poi c’erano distese di campi sempre di nostra proprietà. Abitavamo in campagna, un luogo molto isolato dalla città. Mio padre partiva ogni mese sulla sua nave con gli schiavi che aveva comprato in Mesopotamia per commerciare sete preziose, spezie, schiavi e molte altre cose. Quando tornava dai suoi viaggi mi portava sempre qualche soldo per comprare i semi da coltivare, per pagare le tasse o per farmi preparare dalla mia sarta qualche vestito oppure per andare a scuola. Nel corso degli anni ci fu un terribile cambiamento che rivoluzionò la storia e anche la mia vita: tutte le principali vie di comunicazione diventarono pericolose per la gente e anche le campagne erano un pericolo per la gente del luogo dove vivevo. Così dovetti cambiare casa ed emigrare a nord, verso l’attuale Francia. Mia madre e mio padre avevano comprato una casa sempre a nord della Francia. All’età dei quattordici anni mio padre fallì le sue ultime imprese e finì in una classe sociale molto bassa; i miei genitori furono cosi crudeli che mi vendettero mi avevano come schiava al re di Francia. Lavoravo sodo e avevo solo qualche ora di riposo, dovevo seguire delle duravano mesi spedizioni in nave che oppure viaggi in carovana che duravano addirittura anni. Nonostante tutto io ero felice e contenta perché mi piaceva moltissimo viaggiare per il mondo. Ora che ho quarant’anni sono ancora schiava e sarò costretta ad esserlo per sempre. Non posso vestirmi più come una volta: vestitini di seta preziosa, collane in perle, anelli grandi portati all’indice. No, ora mi vesto con degli stracci grigi come sottoveste, e sopra ho una specie di armatura pesante di ferro, tengo sempre la mia pietra portafortuna: l’ambra, e so che non mi succederà niente. Io sono cristiana ma credo anche alla fortuna. Da quando ho lasciato i miei genitori porto sempre con me il mio diario di bordo, perché sono quasi sempre a bordo di una nave, e poi porto sempre nascosti i miei gioielli di quando ero una semplice ragazza di campagna. Durante tutto l’inverno, si va in città a riposarsi per qualche mese e dopo, quando inizia la primavera, si ricomincia. Quest’inverno ho conosciuto un uomo della mia stessa età, affascinante, un mercante che indossa sempre un cappello ricamato a mano, un cappotto dai colori freddi e delle scarpe basse, occhi neri come la pece e bocca molto carnosa. Lo avevo conosciuto passeggiando al mercatino che allestivano in una giornata fredda, buia e piovosa d’inverno, lui era il mercante ed io la cliente: < Buonasera signorina, che cosa desidera comprare?> io ero incerta fra le spezie dell’Oriente o la frutta e la verdura così ho detto> <Della frutta grazie, le spezie costano troppo> lui diventò tutto rosso perché era imbarazzato e un po’ perché aveva molto freddo: <Ecco un omaggio, due sacchetti di spezie con la frutta che però mi deve pagare> io rimasi a bocca aperta per la sua generosità e risposi con grazia e lo ringraziai. Ogni mattina succedeva lo stesso e lo ringraziavo ogni volta che mi offriva qualche cosa, dopo due settimane che ci conoscevamo bene, il mercante gentile di nome Giacob, mi chiese la mano ed io accettai. Così ci sposammo a gennaio e cambiai classe sociale e lavoro: non ero più una schiava ma ero diventata una nobile avventuriera in cerca di terre nuove da esplorare , mentre lui era soltanto un mercante che guadagnava abbastanza da vivere in due. Così proprio quattro mesi fa partii per una avventura molto importante con Cristoforo Colombo e mille schiavi a bordo della nave, anche se ero della classe sociale nobile dovevo obbedire lo stesso al capo. Così eravamo partiti per trovare un nuovo passaggio per andare dalla Spagna alle Indie. Cristoforo aveva previsto quattromila chilometri nautici di distanza tra la Spagna e le Indie, cioè meno di cento giorni di viaggio. Dopo una paio di mesi di viaggio iniziammo a dubitare dei calcoli che aveva fatto Cristoforo Colombo. Dopo un altro mese un marinaio aveva avvistato terra e finalmente toccammo terra. Colombo definì il posto: il Paradiso. Eravamo stati accolti da indigeni completamente nudi, con atteggiamenti simili alle bestie. Il posto era comunque incantevole ma non come descritto dal viaggio di Marco Polo: tetti d’oro e molti altri dettagli spettacolari. Era invece come un bosco fitto di alberi e piante rare, animali ed indigeni nudi. Allora, finita la nostra esplorazione, tornammo a casa sani e salvi dopo quest’impresa. Non tutti salvi come gli indigeni: che vennero uccisi tutti quanti, dall’ordine che aveva dato Cristoforo Colombo. In tutti i viaggi che ho fatto questo è stato il più emozionante e che mi ha dato più soddisfazione. Spero di farne altri così. Lavinia Cerati. EMMA RAULE LA RAGAZZA CON IL CAPPELLO Ritratto femminile di Lucas Cranach il Vecchio Una volta viveva una ragazza di nome Sarah, in una casetta in mezzo a un campo di fiori bianchi e rosso chiaro. I suoi genitori erano morti in un incidente in carrozza quando Sarah aveva sei anni ed è rimasta orfana vivendo con gli zii. Si trovava bene con loro perchè la trattavano come fosse una loro figlia. Sarah aveva iniziato a lavorare come fioraia quando aveva quindici anni nel campo di fiori. Quando ebbe ventidue anni decise di andare a lavorare con i suoi zii, nel loro negozio di confezione d'abiti e quando poteva si portava a casa dei pezzi di seta. Pochi anni dopo ci fu un violento temporale che distrusse la loro piccola bottega lasciandoli in condizioni molto gravi. Dopo circa un mese morì sua zia.Lo zio assieme a lei e ai suoi figli rimesero in sesto la piccola bottega e riniziarono tutti a lavorare, anzi cucire vestiti molto più preziosi. Con i soldi guadagnati, Sarah e sua cugina decisero di aprire una bottega di stoffe in un altro stato. Ripresero a far fortuna, così Sarah riuscì a cucirsi un bel vestito adornato di un cappello con fiori che erano rimasti la sua passione. Il cappello piacque molto e le nobili del regno andavano appositamente da lei per farsi "costruire" cappelli su misura. Così Sarah divenne ben presto "la ragazza del cappello". CHIARA TARTALI BISOGNA SCEGLIERE Adorazione dei Magi (particolare, autoritratto) di Sandro Botticelli Ero seduto davanti al caminetto con mio padre a fianco, da sempre, per la mia famiglia, quando il padre era sul punto di morire si aveva l’ usanza di invitare a corte una serie di damigelle; Quella sera mio padre avrebbe dovuto scegliere la mia anima gemella. Io non ero dell’ idea che lui scegliesse la donna che poi sarebbe diventata mia moglie… Lo guardai e lo vidi intento a mangiucchiarsi l’ unghia del medio, così pensai che fosse nervoso… Andai in camera mia e subito un servitore di mio padre mi portò un vestito da cerimonia, devo dire molto elegante… Capii che non era di quest’ epoca, infatti doveva appartenere al mio bisnonno. Tornai nella sala d’ aspetto vestito di tutto punto. Mia madre mi mise a posto il colletto e iniziò con la sua serie di raccomandazioni:- Stai seduto composto, parla con tutti gli ospiti e non bere troppo vino, faresti una brutta impressione con le damigelle… La guardai e le dissi che non si doveva preoccupare; entrai nella sala dei ricevimenti, lì vidi una serie di ragazze, tutte con gli occhi puntati su di me io salutavo e loro ricambiavano il mio gesto. Ballai a lungo con varie damigelle e ne rimasi colpito dalle loro doti. C’ erano moltissime fanciulle: alcune dall’ aria gentile altre parevano superbe e arroganti, alte, magre, tozze… di tutti i tipi! Naturalmente tutte accompagnate dai loro genitori o parenti. Vidi mio padre e mia madre che parlavano con delle persone dall’ aspetto molto rispettabile. Mia madre mi vide e mi fece cenno di accostarmi. Subito non notai che la loro figlia era accanto, ero intento a guardare l’ abbigliamento della madre e della figlia che erano entrambe molto belle. I loro vestiti dove vano venire dall’ India (questo lo si capiva dai ricami), l’ uomo era più basso della moglie e i suoi vestiti erano simili a quelli di mio padre. La damigella mi squadrò da cima a fondo, dopo qualche istante punto il dito indice verso il mio labbo superiore. Io capii che non le piacevo, anzi li mio labbro non le piaceva; non ci potevo fare niente… il labbro a “onda” era tipica della nostra famiglia… I miei genitori, Anna e Luis, si voltarono e si allontanarono a grandi passi. Subito vidi una fanciulla molto graziosa, aveva lunghi capelli color pel di carota, occhi verdi smeraldo e una carnagione chiara (considerata un segno di nobiltà). Era bellissima! Come accompagnatori aveva i suoi genitori, dall’ aria molto socievole e colta. Mio padre iniziò a parlare con il suo. Lei mi guardò ed ebbi la sensazione di arrossire... Era vestita in maniera molto elegante: il vestito era panna e lo scialle rosa pallido, la rappresentava in tutta la sua delicatezza, per completare l’ opera al collo indossava una collana di perle. Ad un certo punto mi decisi a chiederle il nome, si chiamava Isabel. Mio padre si accorse che mostravo interesse per lei. Salutò i suoi genitori e, quando furono abbastanza lontani, mi disse che avrebbe scelto lei. Il momento si avvicinava sempre di più; io chiamai mio padre per fare un brindisi e lui accettò. Proprio mentre stavamo finendo di bere l’ ultimo sorso, scoccò la mezzanotte e nella sala calò il silenzio. Mio padre salì sulla scalinata che portava alle camere, mi fece cenno avanzare, e prima che lui annunciasse chi sarebbe stata la mia sposa iniziarono tutti a pregare per me e per il mio futuro regno. Io non ascoltai tutta la preghiera perché ero molto nervoso. Finalmente mio padre disse a gran voce:- La dama che accompagnerà mio figlio per sempre si chiama Isabel della dinastia dei Casidori!Vidi molte facce deluse, ma io ero immensamente felice. Mio padre la invitò a salire vicino a me e, con un sorriso radioso, giurò di starmi vicina per sempre. ILARIA ZANONI IL GIOVANE LADRO Ritratto di un membro della famiglia Medici di Leonardo da Vinci Un giorno, mentre passeggiavo in aperta campagna, vidi in lontananza un signore che si stava avvicinando. Era un ragazzo giovane e rimasi molto colpito dal suo aspetto. Era di statura alta, corporatura vigorosa, indossava una tunica nera che lo faceva sembrare ancora più imponente. Lo osservai molto attentamente e notai che il suo volto era allungato con gli zigomi pronunciati, le guance scavate e la carnagione di colore olivastra. Aveva il naso affilato, la bocca grande, carnosa e il mento con una piccola fossetta. I suoi occhi erano seri, penetranti, di color marrone che mi fissarono in continuazione. Non potei vedere la fronte e le orecchie, perché erano nascoste dai lunghi capelli neri, ondulati. Sul capo portava un cappello di panno rosso. Pensai subito che questo ragazzo fosse un ricco mercante borghese proveniente da qualche città lontana, perché teneva tra le mani una grossa moneta d’ oro. Ad un certo punto, iniziò a parlare con un accento straniero che si faceva fatica a capire, raccontandomi che era proprio un mercante che commerciava oggetti preziosi. Mi disse che comprava e vendeva pietre preziose, stoffe e manufatti antichi e che si era fermato in quel luogo con il suo cavallo per riposare dalla fatica del lungo viaggio. Quando gli o chiesi il suo nome lui volle dirmelo come se nascondesse qualcosa; la sua faccia era molto tesa dalla paura. Mi raccontò anche delle insidie e dei vari pericoli che incontrava durante i suoi lunghi viaggi e di come riusciva sempre a superarli grazie alla sua forza. Io lo ascoltai con molto interesse, perché era un ragazzo semplice, colto e soprattutto coraggioso. Quando ci salutammo, sperai proprio in futuro di rincontrarlo. Un giorno mentre passeggiavo per Firenze davanti al palazzo del Comune vidi il mio amico accusato di omicidio e rapina e così capii perché non mi avesse detto il suo nome. CHRISTIAN ZERMIANI