“LA RESPONSABILITÀ EDUCATIVA DEGLI ADULTI”.
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“LA RESPONSABILITÀ EDUCATIVA DEGLI ADULTI”.
“LA RESPONSABILITÀ EDUCATIVA DEGLI ADULTI”. 1. CRISI DELL’EDUCAZIONE. CRISI DELLA GENERAZIONE ADULTA Segnali di difficoltà che impongono l’educazione all’attenzione della società e delle sue espressioni responsabili. Oggi l’espressione “emergenza educativa” è entrata nel linguaggio comune, caricata di toni pessimistici e allarmati, con il rischio di lasciarsi paralizzare dal senso di impotenza che questo porta con sè. Ritengo che l’espressione che meglio può interpretare l’attuale fase sia quella di crisi dei processi educativi tradizionali, andati in crisi per i profondi e accelerati cambiamenti che stanno caratterizzando la nostra società e che danno alla generazione adulta un senso di spaesamento e di stanchezza esistenziale che si riflette anche sull’educazione. La crisi dei processi tradizionali implica la sfida a interpretare in maniera nuova e creativa una situazione inedita. Nella crisi dei processi educativi tradizionali emerge con nuova forza l’esigenza che gli adulti esercitino la loro responsabilità verso le nuove generazioni. 2. GLI ADULTI SONO ALLE PRESE CON LA LORO CRISI. - - - La condizione degli adulti è di grande fatica personale. Si percepisce nella generazione adulta un senso di pesantezza esistenziale, accentuata da un’organizzazione sociale che non può non far sentire stanchi; stanchi di una vita di corsa; del vuoto che si sente dentro e che fa sentire aridi… A volte si rinuncia ad educare per mancanza di energia a reggere l’impegno che educare –essere disponibili, dimenticare le proprie preoccupazioni e la propria stanchezza, essere accoglienti, aver voglia di dialogare, confrontarsi, discutere….- comporta. Educare è un impegno a tratti gravoso, e l’attuale generazione adulta, oltre che essere affaticata, ha escluso dalla propria esistenza alcune dimensioni antropologiche che sono irrinunciabili: il limite, il sacrificio, la rinuncia, parole tutte bandite dal vocabolario di una generazione addomesticata dal consumismo e dalle sue illusioni. Si tratta di un segnale che rivela come sia in crisi, ancor prima dell’educazione, la dimensione generativa della vita adulta, sempre più in difficoltà ad esprimersi nel dono di sé, che richiede la disponibilità a porre l’altro prima di se stessi. La generazione adulta è spiazzata dalla complessità e questo la rende disorientata quanto i giovani. Gli adulti stentano a distinguere ciò che vale da ciò che non vale; faticano a orientarsi in mezzo a situazioni che spiazzano e sorprendono; situazioni per le quali hanno l’impressione di non avere la bussola adatta. È un senso di spaesamento, nel senso letterale del trovarsi in un paese sconosciuto, diverso da quello cui sono abituati. È chiaro che in queste condizioni gli adulti faticano ad offrire ai giovani dei punti di riferimento, sia per quanto riguarda il modo di pensare la vita che per quanto riguarda gli atteggiamenti da assumere in pratica di fronte ad essa. L’ubriacatura di una libertà senza confini si alterna alle manifestazioni di disagio, di malessere e di sofferenza interiore di chi non conosce il senso della propria esistenza e le condizioni che ad essa danno valore. Nella generazione adulta è in crisi il progetto di vita, che sembra essere venuto meno. In tal modo, essa è in difficoltà a mostrare il senso secondo cui essa vive e al tempo stesso comunica – anche implicitamente- se vi sono ragioni di vita ritenute sufficientemente convincenti. Oggi gli adulti sembrano non essere in grado di mostrare e di narrare il valore e la bellezza della vita, in tutti i suoi aspetti. Ai giovani che sono avidi di vita, sta di fronte una generazione adulta che sembra non avere maturato quella sapienza che sa far intravvedere il valore dell’esistenza e a delineare quegli stili che la sanno mostrare. È come se la nostra bisaccia di adulti fosse vuota, o piena di cianfrusaglia che non ha valore e serve solo a ingombrare, perché fa volume, ma non ha consistenza. - A tutto questo va aggiunta la difficoltà degli adulti a “fare gli adulti”. Atteggiamenti, abitudini, persino l’abbigliamento tradiscono la resistenza a lasciare l’età giovanile per diventare adulti, con gli impegni, le responsabilità, le solitudini che questo comporta. Adulti che non hanno ancora scoperto il senso di pienezza che accompagna la loro età e non si sono riconciliati con le fatiche che essa comporta difficilmente possono diventare educatori efficaci e soprattutto autorevoli. Negli adulti è in crisi la fiducia nella vita, come afferma Benedetto XVI: “alla radice della crisi dell'educazione c'è infatti una crisi di fiducia nella vita.”1 - È in crisi la naturale vocazione educativa degli adulti. In famiglia, i genitori più consapevoli sono spaventati dalla responsabilità dell’educazione, soprattutto davanti ai figli adolescenti; negli altri ambiti, è sempre più difficile trovare persone disponibili a dedicarsi all’educazione: basti pensare allo scarso spessore educativo della scuola, o alla difficoltà di trovare educatori disponibili in parrocchia o nelle associazioni. La passione educativa si è affievolita: è aperto l’interrogativo su quali siano le ragioni vere di questo venir meno. Di fatto oggi si parla di educazione citando la fatica che essa comporta, quasi mai ricordando anche la bellezza e la ricchezza umana che tale esperienza dona. 3. EDUCARE, AVVENTURA UMANA DELLA MATURITÀ L’educazione, assunta con responsabilità e con impegno, può costituire una straordinaria avventura umana; l’avventura che segna la maturità di un adulto, qualunque sia la sua condizione e le sue scelte esistenziali. L’educazione è legata alla generazione: si genera alla vita in senso biologico; si genera al senso e alla pienezza della vita attraverso l’educazione. L'educazione è una generazione spirituale. Che ha un po’ le caratteristiche della maternità in senso fisico: dedizione, sofferenza, fatica, cura, distacco… è un passare attraverso la fatica e i dolori del parto; è un modo per dare la vita –in senso fisico e spirituale; fatta dal rinnegare se stessi e dell’accompagnare con gratuità e fermezza. Una spiritualità fatta dell’esercizio dell’autorità per insegnare a camminare nella libertà; fatta dell’ascesi del dialogo; della pazienza che sempre ricomincia; dell’umiltà di cercare e costruire alleanze…. Stanno qui i tratti tutti umani di una spiritualità dell’educazione, come percorso a vivere quel progressivo distaccarsi –dalla nascita fino all’ultimo giorno- che fa parte della vita; a vivere la generazione come dimensione della vita adulta. L’adulto che si affida con disponibilità e maturità alla sua responsabilità educativa scopre a poco a poco di essersi lasciato coinvolgere in una fatica che fa crescere anche lui, che gli restituisce al centuplo, in termini di maturità umana, ciò che ha dato. Il dedicarsi nella gratuità alla vita degli altri e alla loro crescita ci chiede di diventare noi stessi, come adulti, più liberi, più capaci di voler bene nel disinteresse e –se occorre- anche nel sacrificio. Può sperimentare la bellezza di veder fiorire la libertà dell’altro, come un tu che sta di fronte a me, mio interlocutore, generato alla libertà. Diventa testimone possibile di storie straordinarie di umanità, siano esse storie di ricchezza che di dramma; storie di crescita o di umiliazione. Educare è un modo per coinvolgersi in storie di umanità che danno profondità alla nostra stessa umanità. Può veder crescere, quasi sbocciato da lui, il futuro e la novità. È un’esperienza che lo pone in una prospettiva di cambiamento e di novità. L’educazione aiuta una persona a diventare se stessa, a trarre fuori da sé il dono della sua originale personalità, che è unica e irripetibile, non assimilabile a quella di nessun altro, fossero pure il padre e la madre. Ai quali è chiesto di accettare questo aspetto fondamentale dell’educare: accettare che il figlio non sia la ripetizione della loro storia, ma sia il passo 1 Benedetto XVI, Lettera sul compito urgente di educare, 2008. nuovo, inedito della storia. Questo vale, pur in forme diverse per la scuola. Dunque l’educazione è esperienza di novità. In questo senso essa è esperienza di futuro: perché non può accontentarsi di consegnare un patrimonio da conservare, ma perché presume di far fruttare un talento che genererà una novità di vita. Questo non vale solo a livello personale, ma anche sociale. L’educazione è per il cambiamento, perché fa prendere coscienza anche dei limiti del livello di sviluppo che abbiamo realizzato, del modello di civiltà cui abbiamo dato vita; ci rende coscienti dei passi avanti che occorre fare. L’esercizio critico nei confronti di ciò che si è realizzato e il gusto della novità che ci spinge sempre in avanti, in un continuo superamento, fanno dell’educazione un’esperienza di cambiamento. Occorre dunque oggi riscoprire la bellezza e la passione di educare. Penso alla passione educativa da spendere nella scuola; penso ai tanti educatori che nel passato hanno speso la loro vita mettendosi al servizio delle nuove generazioni, compiendo una scelta di servizio educativo come scelta civile; o come scelta apostolica. Ci fossero oggi altre e nuove vocazioni educative, nella scuola, nella comunità o nelle associazioni, l’educazione avrebbe dei riferimenti fondamentali; i genitori avrebbero degli alleati sicuri; e i ragazzi saprebbero dove trovare un punto di forza per una crescita meno solitaria… 4. RISCOPRIRE IL SENSO DELL’EDUCAZIONE L’educazione è dono, che è dare e darsi, che è anche sacrificio come conseguenza di un sincero e profondo donarsi. Si offre il proprio esempio di vita, la propria tradizione, la propria cultura, i propri valori…, nella gratuità che accompagna in un’esperienza di libertà. Generare è dare la vita perché l’altro ne divenga responsabile. L’educazione è responsabilità perché' la vita dell’altro, nella sua crescita e nella sua riuscita, pur nel rispetto della sua libertà, dipende anche dagli adulti cui è affidato. È una responsabilità che si esprime attraverso l’affetto, la cura, il far intravedere il profilo di un’umanità realizzata e interessante. È accompagnare verso la maturità, perché ciascuno sia disposto e capace di andare con fiducia nel mondo, a renderlo migliore. L’educazione è relazione in cui l’adulto, disposto a legarsi all’altro, mette se stesso, la sua esperienza, la sua persona, la sua cultura; questo lo fa autorevole, in grado di sostenere la crescita dell’altro. Il legame mi dice che l’altro c’è, c’è sempre, che attraverso il legame lui è dentro di me e la sua presenza influisce sulla mia vita di persona adulta, la arricchisce con la sua novità e la sua freschezza e la vincola, con le sue esigenze e la sua presenza. L’educazione è distacco, necessario perché un figlio divenga una persona libera, divenga se stesso. Generare è “mettere al mondo”: non si genera per se stessi. Nel corso degli anni, dalla nascita alla maturità di un figlio, sono diverse le forme del distacco. Oltre a quelle che toccano gli affetti, vi è soprattutto il distacco dalla propria immagine del figlio, per accettare che sia se stesso, è non la copia di noi o la realizzazione dei nostri desideri su di lui. Tutto questo, che nella relazione tra genitori e figli ha la sua realizzazione tipica, vale in forme proprie e specifiche per tutti i diversi contesti educativi: la scuola, la parrocchia, l’associazione. “E DUCARE È COSA DEL CUORE ” Tante delle parole usate fino qui per delineare il senso dell’educazione si riconducono ad un atteggiamento antico: quello che ha identificato l’educazione come una forma del voler bene e che don Bosco riassumeva nell’espressione: “educare è cosa del cuore”. Voler bene è espressione semplice, che appartiene al linguaggio comune e che indica la disponibilità di mettere l’altro prima di noi, di dedicarsi a lui per il suo bene, anche a costo di sacrifici e di rinunce. È quello che si vede con evidenza nelle situazioni critiche: una malattia, un dolore… E’ quello che avviene senza clamore e in maniera ordinaria nel giorno per giorno: dedicare tempo; esercitare l’autorità per insegnare a camminare nella libertà; ricominciare con pazienza; cercare e costruire alleanze con umiltà. Voler bene rende disponibili all’ascolto e al dialogo che accoglie e nella pazienza offre ragioni, convince, apre alla prospettiva della verità. È facile voler bene, quando i figli sono piccoli e la loro ingenuità suscita la tenerezza degli adulti; certamente meno facile quando il voler bene deve misurarsi con le provocazioni degli adolescenti e leggere al di là di ciò che si vede: leggere nelle chiusure, nelle ostilità, nel conflitto, il desiderio di diventare se stessi e il timore di non farcela…. Diverso il voler bene dell’educazione familiare da quella della scuola, o da quella del catechista o dell’educatore di un gruppo associativo: il voler bene della famiglia è carico di affetto, di calore, di coinvolgimento. A scuola lo stesso affetto sembrerebbe una caricatura; il voler bene a scuola è aver a cuore la crescita dei ragazzi, di tutta la loro personalità, comunicando loro questo interesse attraverso atteggiamenti di cordialità, di ascolto, di accoglienza, di fiducia. Gli educatori di parrocchia, di associazione o di altri contesti extrafamiliari giocano tutta la loro efficacia educativa sulla qualità e sulla forza della relazione, del legame, dell’autorevolezza. Queste diverse forme dell’amore che educa sono accomunate da alcuni elementi. Innanzitutto la scelta di volere il bene dell’altro. È ciò che rende l’educatore acuto, intuitivo, sollecito, in un atteggiamento di servizio che unisce il calore dell’affetto e della vicinanza con l’intelligenza che ispira gli atteggiamenti più utili al bene dell’altro e alla sua crescita. L’amore che educa in effetti è volto a far sì che l’altro diventi il meglio di ciò che può diventare; e questo non sempre passa attraverso l’immediatezza del voler bene, ma richiede un discernimento più complesso, che sceglie atteggiamenti, che decide le parole più adatte, che sa alternare silenzio e indicazioni, fiducia e regola, in base a ciò che serve a far crescere. Per questo l’amore che educa sa stabilire una relazione, un legame che toglie le persone dalla reciproca indifferenza e le fa essere l’una per l’altra. Nel linguaggio poetico che lo caratterizza, l’incontro tra il Piccolo Principe e la volpe rende con efficacia i caratteri di questa relazione. L’educatore deve saper “addomesticare” le persone che gli stanno a cuore e che gli sono affidate, costruendo una relazione che per loro lo renda unico al mondo (cfr Piccolo principe2). La relazione raggiunge lo scopo di aiutare l’altro a crescere attraverso la parola e oltre la parola. Educazione è parola - ora familiare ora formale - che suscita la passione per la verità e il bene; che apre agli orizzonti dell’interiorità, della responsabilità; che fa scoprire il valore della propria vita; la responsabilità di realizzare se stessi secondo un progetto; che inserisce nella storia da cui veniamo facendo scoprire quella sapienza che realizza l’umanità di ciascuno; e che suscita a poco a poco il desiderio di divenirne i protagonisti del futuro. Educazione è parola che motiva e contesta; che dà certezze e pone domande; che spiega e provoca; che apre alla vita orizzonti nuovi e affascinanti. Ma vi è una parola più penetrante e persuasiva di quelle pronunciate con le labbra: è quella degli atteggiamenti, dei gesti, dello stile di vita degli adulti, che mostrano, al di là delle parole, qual è il senso che essi danno alla vita. La forza che si sprigiona dal loro modo di vivere dà autorevolezza all’educatore e alla sua proposta educativa. In ogni contesto, il voler bene che educa stabilisce una relazione che fa respirare quella fiducia, nella quale soltanto può accendersi l’amore alla vita e ai suoi valori. La fiducia è ingrediente essenziale per crescere: dice che gli altri credono in me e sono disposti a scommettere sulle mie risorse e sulle mie possibilità di bene; questo aiuta anche me a credere in me stesso. Così si scoprono i propri desideri più nobili, si impara a osare e a credere nella proprie possibilità. È un’esperienza decisiva, perché i veri cambiamenti e le vere crescite in una persona non sono prodotti dall’esterno; ogni persona sceglie dentro di sé chi vuole essere, in una decisione in cui la componente determinante è la fiducia di coloro che si hanno attorno. Al tempo stesso, la crescita ha bisogno del calore di una relazione, di un legame con qualcuno che diventa importante: “mi impegno, perché ho qualcuno per cui farlo”. L’assoluta mancanza di impegno che talvolta si riscontra, soprattutto nell’ambito scolastico, da parte di certi ragazzi, è un linguaggio per dire la loro desolata solitudine: appunto quella di chi non ha nessuno per cui fare le cose. L’educazione aiuta una persona a trarre fuori da sé il dono della sua originale personalità, che è unica e irripetibile, non assimilabile a quella di nessun altro, fossero pure il padre e la madre. Ai genitori è chiesto di accogliere questo aspetto fondamentale dell’educare: accettare che il figlio non sia la ripetizione della loro storia, ma sia il passo nuovo, inedito della storia. La stessa cosa vale in forme diverse anche per la scuola, per la parrocchia, per l’associazione. 2 A. S. Exupery, Il piccolo principe, Bompiani, p. 96. L’educazione è esperienza che proietta un altro nel cammino della vita, nell’avventura della libertà, del pensiero proprio, del divenire se stesso, nel dare corpo –nell’ascolto e nel discernimento- al disegno di Dio. 5. ADULTI EDUCATORI IN FAMIGLIA, A SCUOLA, IN PARROCCHIA A chi tocca? Di chi è responsabilità l’educazione? Vi è una forma di educazione diffusa: è quella che costruisce la persona agendo su di essa con i propri stili, con il sistema di valori socialmente approvato; è una forma di “educazione” che agisce sulla persona senza che essa ne sia consapevole, che contribuisce a plasmarla in maniera indiretta, spesso più efficace e penetrante di quanto non faccia l’educazione vera e propria. È il contributo che il contesto di vita dà alla crescita della persona, trasmettendole i suoi valori, i suoi punti di riferimento, le sue acquisizioni, i suoi stili di vita. Nel contesto pluralista di oggi, tanto più numerosi e intensi sono gli stimoli che vengono dall’esterno tanto maggiore deve essere la forza dell’educazione intenzionale, per impedire che sia il contesto a modellare la persona, al di là delle intenzioni e al di là della sua stessa libertà. Ogni contesto contribuisce in modo diverso alla crescita della persona; tra i più decisivi, vi sono certamente la famiglia, la scuola, la comunità cristiana, le organizzazioni del tempo libero. Ciascuno di essi ha uno specifico ruolo educativo, in relazione alla propria identità e alla propria funzione sociale. A) L A RESPONSABILITÀ EDUCATIVA DELLA FAMIGLIA La famiglia è il primo e più naturale luogo in cui avviene l’educazione; i genitori, i primi e principali educatori. Il padre e la madre sono le prime persone che un bambino incontra e con cui entra in relazione all’inizio della sua esistenza; l’educazione che essi gli danno è immersa nell’affetto e intessuta di tenerezza. “Per i genitori, l’educazione è un dovere essenziale, perché connesso alla trasmissione della vita; originale e primario rispetto al compito educativo di altri soggetti; insostituibile e inalienabile, nel senso che non può essere delegato né surrogato” (Orientamenti Pastorali, 36). In famiglia, il legame tra la generazione e l’educazione appare immediato e diretto; e così l’educazione che avviene in famiglia è percepita come un processo spontaneo: naturale come la crescita fisica, o come l’affetto. Proprio per questo, oggi i genitori sono sorpresi dal fatto che quella cura che nasce dalla generazione e dall’affetto non basti più, e si sentono spiazzati. L’educazione familiare attraversa oggi un momento difficile, che dipende in primo luogo dalla crisi dell’istituzione familiare: il modo di vivere il rapporto di coppia, la solitudine che pesa soprattutto nei momenti di prova e di particolare difficoltà, il mutare stesso dell’idea di famiglia e dell’atteggiamento di fronte alla generazione. L’educazione familiare è messa alla prova dai cambiamenti sociali e familiari in atto: il mutare del ruolo paterno e materno; la condizione della donna; le trasformazioni che riguardano il senso dell’autorità e il modo di concepire la libertà; il rapporto tra affetti e regole. In questo contesto è necessario recuperare, nella famiglia in primo luogo, il senso dell’educare, passando dalla fragilità di un’educazione per istinto ad un’educazione riflessiva, frutto di responsabilità e di intenzionalità e ricca di capacità critica. In questo passaggio, l’esperienza educativa diviene cura della persona in tutte le sue dimensioni e conosce il sostegno di un accompagnamento forte e autorevole. L’educazione assunta in questa prospettiva mostra a poco a poco ai genitori stessi il suo volto di un’esperienza umana appassionante, in cui si sperimenta la bellezza di crescere da adulti insieme ai propri figli. Il rapporto tra educazione e generazione in famiglia è particolarmente stretto ed evidente: mettere al mondo un figlio non è un’esperienza tra le altre, ma è un fatto che cambia la vita di una famiglia e quella dei genitori, come persone e come coppia. La famiglia ha un suo modo tipico di educare: la mamma non è la maestra; il papà non è l’allenatore sportivo. In famiglia si educa attraverso l’affetto, la fiducia, il coinvolgimento, la regola, il calore espressi nella forma paterna e materna. La famiglia trasmette dei modelli di vita attraverso lo stile della vita familiare, ancor più che attraverso le parole. Il quotidiano dell'esperienza familiare è il luogo dell'educazione attraverso le parole e i gesti di ogni giorno: la conversazione che si fa a tavola, il modo con cui si racconta ciò che è accaduto durante la giornata; le valutazioni che si danno di situazioni e persone. È lì che si imparano le prime parole di una socialità aperta o egoista; del rispetto o dell’arroganza; dell’attenzione all’altro o del ripiegamento su di sé; dell’apertura a Dio o della chiusura su di sé; della libertà o del sospetto. B) L A FUNZIONE EDUCATIVA DELLA SCUOLA La scuola è il luogo in cui il processo di crescita di un ragazzo si approfondisce e si arricchisce attraverso l’acquisizione di elementi nuovi, a cominciare dal saper leggere e scrivere, l’incontro con la cultura e con gli aspetti di una più ricca socialità, che aprono ai ragazzi nuovi orizzonti e nuove possibilità di crescita. “Essa, infatti, ha il compito di trasmettere il patrimonio culturale elaborato nel passato, aiutare a leggere il presente, far acquisire le competenze per costruire il futuro, concorrere, mediante lo studio e la formazione di una coscienza critica, alla formazione del cittadino e alla crescita del senso del bene comune” (n. 46). La scuola potrà assolvere alla propria funzione, non sostituibile, ripensando profondamente la sua funzione e il suo modo d’essere. All’inizio del Novecento, in un’Italia analfabeta, il compito della scuola si è riassunto nell’impegno dell’insegnare a leggere e a scrivere, primo passo per vivere la titolarità dei propri diritti di cittadinanza. Nella seconda metà del secolo scorso si è avvertita l’esigenza di una scuola capace di dare la parola: l’esperienza di don Milani può essere simbolo di una realtà che a poco a poco ha preso coscienza della necessità di offrire alle persone la possibilità di farsi valere dicendo le proprie ragioni, le proprie esigenze, i propri diritti, i propri pensieri. La parola come via all’espressione della propria dignità; come tirocinio di un’esperienza democratica che doveva maturare nella coscienza delle persone. E oggi, quale scuola per questo tempo frammentato e disorientato? Per questo tempo in cui le persone sembrano soccombere alle proprie emozioni senza riuscire a trasformarle in parola? Per questo tempo di benessere in cui la crescita delle persone costa tanta fatica e sofferenza? Per questa civiltà della comunicazione che lascia i più giovani troppo soli nel costruire il loro progetto di vita? Credo che la risposta non possa che essere quella di una scuola che scopre in modo nuovo il suo compito educativo e si organizza per assolvere in maniera rinnovata a tale funzione. L’educazione è l’esigenza principale dei ragazzi e dei giovani di questo tempo; questo mi pare possa costituire il senso più profondo della scuola nell’attuale contesto sociale. Le nozioni, che i ragazzi sentono come lontane dalla loro vita, dai loro interessi e dalle loro curiosità, sono inefficaci in ordine al compito di aiutare la loro crescita, di aprire loro orizzonti di senso e di speranza; accontentarsi di una cultura libresca, che non prende posizione sulle questioni della vita, si regge sull’idea di un sapere che non è per la vita, ma per apprendimenti che alla fine appaiono fine a se stessi. È la scuola che si accontenta di presentare i contenuti delle diverse discipline uno accanto all’altro, senza lo sforzo di alcuna sintesi, che richiederebbe l’assumere delle chiavi di interpretazione e compiere delle scelte. La scuola rischia così di apparire un supermarket, dove sono esposti oggetti diversi che ciascuno acquista in base alle sue necessità e ai suoi gusti. È chiaro che nella logica del supermercato i saperi stanno su scaffali uno staccato dall’altro; e gli insegnanti si trasformano da maestri a commessi, perdendo il valore di punti di riferimento e l’autorevolezza che la loro funzione comporta. Non si può pensare che alla scuola spetti solo il compito di istruire, interpretato spesso –tra l’altro- come accumulo di nozioni, difficili da collocare nella vita; né si può pensare che l’istruzione, da sé, educhi. Se rinuncia alla funzione educativa, la scuola viene meno al suo compito più nobile, quello tipico per questo tempo, su cui non può essere sostituita né da internet, né dalla TV, né dalle molte agenzie che danno ai ragazzi una quantità di informazioni più numerose di quelle che possono essere offerte nelle aule scolastiche, ma non una relazione che costruisce nel dialogo. Anche la scuola ha il compito di educare, oggi più che mai, anche se il suo modo di farlo ha caratteristiche originali e tipiche. Penso che si possa dire, sinteticamente, che la scuola educa attraverso la cultura, mostrando di essa il carattere vitale e facendo assaporare ai più giovani la ricchezza che essa ha in ordine alla crescita dell’umanità di ciascuno. La cultura dà gli strumenti per capire la realtà e per interagire con essa; ma dà anche le chiavi per comprendere la propria umanità, nel suo senso e nei suoi valori; dà parole per narrare la propria vita, metterla in comunicazione con altri, renderla disponibile al confronto e quindi al suo affinamento e al suo arricchimento. C) L A PARROCCHIA EDUCA ALL’ UMANITÀ E ALLA FEDE D) I L VALORE EDUCATIVO DELLE ESPRESSIONI ASSOCIATIVE “La parrocchia – Chiesa che vive tra le case degli uomini – continua a essere il luogo fondamentale per la comunicazione del Vangelo e la formazione della coscienza credente; rappresenta nel territorio il riferimento immediato per l’educazione e la vita cristiana a un livello accessibile a tutti; favorisce lo scambio e il confronto tra le diverse generazioni; dialoga con le istituzioni locali e costruisce alleanze educative per servire l’uomo. Essa è animata dal contributo di educatori, animatori e catechisti, autentici testimoni di gratuità, accoglienza e servizio. La formazione di tali figure costituisce un impegno prioritario per la comunità parrocchiale, attenta a curarne, insieme alla crescita umana e spirituale, la competenza teologica, culturale e pedagogica.” (Educare alla vita buona del Vangelo, n. 41) La parrocchia ha un’attività educativa multiforme, radicata in una lunga e creativa tradizione: è quella delle parrocchie, degli oratori, come strutture di accoglienza e di educazione dei ragazzi, è quella delle diverse realtà associative e di movimento. La comunità cristiana è un soggetto che ha una voce qualificata per esprimersi sull’educazione, con l’autorevolezza che le viene dall’essersi sempre cimentata con le questioni educative, sollecitate dalla cura pastorale, o dall’esperienza, o dallo stesso impegno catechistico che non può non avere anche un risvolto di attenzione alla persona e di accompagnamento dei più giovani nei percorsi di apertura alla fede e di impostazione della vita cristiana. L’efficacia educativa della comunità è legata alla possibilità che essa ha di coinvolgere ragazzi e giovani in un’esperienza globale di vita. La parrocchia e l’oratorio sono luoghi in cui i ragazzi sono implicati con tutta la persona: corpo, emozioni, voglia di fare, pensiero, interiorità; dove i rapporti tra pari sono diretti, coinvolgenti, ordinati da poche regole che permettono a ciascuno di esprimersi liberamente. Le comunità dove i processi educativi sono efficaci e creano legami stabili e duraturi sono quelle in cui ai ragazzi è data la possibilità di fare un’esperienza, in cui la voglia di vivere dei piccoli si esprime in un contesto ordinato e sprigiona energie creative, orientate a obiettivi comuni. Il carattere informale dell’attività che i ragazzi svolgono consente loro di sperimentare spazi di libertà e di responsabilità superiori a quelli consentiti dalla scuola. Così, l’oratorio e la parrocchia possono essere palestre di socialità e di protagonismo, attraverso un coinvolgimento corresponsabile e attivo. Non è solo l’incontro con gli altri che qui i giovani sperimentano, ma anche la possibilità e il compito di essere per gli altri, dentro spazi ed attività che scelgono di frequentare non perché obbligati a farlo, ma per una libera scelta, motivata dall’interesse e dai legami spontanei. Le associazioni sono realtà che quasi sempre hanno nel loro progetto l’educazione, intesa sia come educazione cristiana, sia come educazione in senso globale. “Nelle diocesi e nelle parrocchie sono attive tante aggregazioni ecclesiali: associazioni e movimenti, gruppi e confraternite. Si tratta di esperienze significative per l’azione educativa, che richiedono di essere sostenute e coordinate. In esse i fedeli di ogni età e condizione sperimentano la ricchezza di autentiche relazioni fraterne; si formano all’ascolto della Parola e al discernimento comunitario; maturano la capacità di testimoniare con efficacia il Vangelo nella società.” (Educare alla vita buona del Vangelo, n. 43) C’è un’educazione offerta dalle realtà associative, i movimenti e i gruppi in cui si articola la comunità cristiana. Alcune di tali esperienze sono di antica tradizione –penso all’Azione Cattolica- altre sono di più recente origine. Esse hanno la caratteristica di avere alla base una sensibilità comune; un ideale e dei progetti condivisi. Soprattutto riescono a trasmettere il senso di un cammino che si fa insieme, a realizzare un’educazione che si realizza anche nel rapporto tra pari, e soprattutto può far conto su figure educative che hanno compiuto la scelta, talvolta anche in prospettiva vocazionale, di dedicarsi all’educazione dei più giovani. Queste esperienze, significative ed efficaci in ordine all’educazione della fede, non sono tuttavia prive di rischi, in particolare quello di una possibile omologazione dei cammini individuali e quello dovuto alla presenza di leadership forti, che talvolta possono influire sulla maturazione di percorsi personali originali. In un tempo di individualismo come l’attuale, la possibilità di fare un’esperienza associativa è un prezioso tirocinio di apertura, di socialità, di relazioni con l’altro. L’appartenenza ad un’associazione per i più piccoli è una scelta dei genitori; impareranno ad apprezzarla loro stessi, nella misura in cui l’esperienza associativa sarà interessante e coinvolgente. Nelle età successive, tale scelta nasce dalle preferenze che nei ragazzi hanno cominciato a delinearsi. All’interno di un’associazione di ragazzi, gli elementi che contribuiscono ad educare sono sostanzialmente riconducibili all’esperienza: educa l’essere insieme, consentendo di fare un tirocinio di socialità in cui entrano le caratteristiche dell’associazione, gli obiettivi in cui essa coinvolge, le esperienze che permette di fare. Ogni associazione è un microcosmo sociale in cui è possibile sperimentare autonomia dalla famiglia, coltivazione dei propri interessi, relazioni con i coetanei in un contesto meno strutturato della scuola e tuttavia organizzato, dove la spontaneità della relazione viene indirizzata verso gli obiettivi dell’associazione e la socialità si fa esperienza di protagonismo, di responsabilità sociale e anche di servizio concreto agli altri, soprattutto per i ragazzi più avanti negli anni. Nell’adolescenza soprattutto, la motivazione che spinge ad aderire ad un’esperienza associativa è la possibilità di sentirsi responsabili di ciò che si pensa e si fa, di esprimersi liberamente, divenendo in tal modo più padroni di sé e più sicuri dal punto di vista psicologico. Il senso di appartenenza favorisce l’assunzione di responsabilità e diviene una scuola 3. In un’associazione, l’aspetto più efficace dal punto di vista educativo è costituito dall’esperienza stessa, prima e al di là delle parole o delle proposte esplicite. Le associazioni che, come l’Azione Cattolica dei Ragazzi, hanno una finalità educativa, educano anche attraverso le iniziative che propongono, le proposte che offrono e le occasioni esplicitamente educative, come la catechesi o i momenti di formazione; educano soprattutto se sanno collegare questi momenti con una vita di gruppo coinvolgente e con esperienze di servizio che facciano sperimentare come l’essere insieme maturi nella dedizione concreta, quella che rende capaci di sporcarsi le mani.. Le presenze educative che animano i momenti di vita dell’associazione hanno in questo un ruolo determinante. 6. IMPARARE A FARE GLI ADULTI Per assolvere ad un compito di così grande responsabilità e di così alta complessità è necessario che gli adulti siano persone mature,che sono riconciliate con la loro età e con la loro condizione di vita. E che per questo siano disponibili a formarsi. Non si può pensare che venga una stagione in cui un adulto non abbia più bisogno di crescere. Il tema della formazione permanente degli adulti, in termini umani, culturali, spirituali, ha bisogno di essere affrontato ora con molta convinzione, e anche con la consapevolezza che tante questioni della società attuale richiedono proprio un nuovo impegno su questo fronte: quello di aiutare gli adulti ad essere fino in fondo adulti, a vivere le caratteristiche e le responsabilità della propria età senza sconti, con vigore, in maniera piena. Educare oggi chiede agli adulti di essere loro stessi dentro un processo di formazione continua, che li aiuti a mettersi in gioco e in discussione, a non fermarsi a ciò che sono, ma a rivedersi criticamente, di continuo. Certo questo è faticoso, ma al tempo stesso costituisce per la stessa vita adulta un appassionante elemento di novità, di rinnovamento, di freschezza. In questa prospettiva, le esperienze associative mai come in questa fase della storia della nostra società sono preziose e andrebbero valorizzate in tutte le loro potenzialità. E se gli adulti –genitori, docenti, educatori, persone sensibili alle grandi questioni di oggi - lasceranno per qualche sera la TV per incontrarsi tra loro, per tornare a dare vita a occasioni di confronto e di dialogo, non solo resteranno dentro un processo di formazione continua, ma contribuiranno a ritessere la nostra società, che ha necessità di nuovi luoghi di socialità: di una socialità vissuta da protagonisti, e non trasformata in spettacolo di cui i più siano solo spettatori; come adulti dobbiamo riscoprire la nostra umanità. 3 Cfr su questo tema Dal Toso P., Per una persona sociale, Editrice La Scuola, Brescia 2010 7. ADULTI, TESTIMONI DI SPERANZA L’adulto che accetta di vivere con maturità il suo compito di educatore è un testimone e un fattore di speranza. L’educazione contiene tutte le caratteristiche della speranza: è sogno sulle persone, pur nel rispetto della loro vita e della loro identità; è desiderio della loro crescita; è impegno perché si realizzino le qualità migliori di ciascuno; è lavorare per il futuro senza fuggire dal presente. Il dinamismo della speranza è quello che si lascia orientare e attrarre da una visione alta della vita, dai valori di un’umanità piena e intensa che non si lascia frenare né trattenere dalla fragilità delle realizzazioni e che ricomincia con coraggio; è fiducia nell’altro e nella sua libertà. Se la speranza non è mero ottimismo e fiducia che domani le cose andranno meglio, ciò significa che i giovani non vanno sempre e comunque rassicurati, ma vanno il più possibile attrezzati per le scelte che saranno chiamati a compiere. E questo è l’educazione. Si deve dunque riconoscere che la persona che più incarna la speranza oggi è proprio l’educatore: uomini e donne dallo sguardo profondo, che sanno andare oltre l’immediato e che, in un certo senso, agiscono come vedendo l’invisibile: le doti di ciascuno, la libertà e la maturità che sbocceranno a poco a poco. Solo in questo modo si possono aprire le persone alla novità, senza che essa sia solo l’ultima moda: educando, ossia partendo dal fatto che ognuno è una realtà originale, fondata su due pilastri essenziali: la coscienza e la libertà. Oggi si può vivere all’altezza della dignità dell’essere persone solo passando attraverso processi formativi che si prendano cura non solo della quantità di informazioni da possedere o delle competenze da acquisire, ma che siano capaci di dare alla coscienza la forza e il gusto della libertà, ragioni per sceglierla e determinazione a vivere da persone libere. Passa attraverso la coscienza la possibilità di fare unità nella propria vita, nonostante la dispersione dell’esistenza di ogni giorno e la frammentazione delle esperienze.