Il Cuoco e la “sua divisa”

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Il Cuoco e la “sua divisa”
Il Cuoco e la “sua divisa”
Il cuoco e la toque, Marcello Lenghi.
Quella del cuoco è una delle rare professioni che si è distinta per avere una divisa propria.
Osti e macellai, piuttosto che orafi o pittori, non hanno mai reclamato un abbigliamento che potesse caratterizzare la loro
attività. E ciò per ragioni del tutto pratiche.
Nel caso di un cuoco, passare molte ore della giornata in cucina, a contatto con gli alimenti, da sempre ha richiesto un
abito di colore bianco che s’insudicia di più ma anche che si lava più facilmente.toque, serviva per proteggere i capelli dal
grasso e dal fumo di caldaie e padelle, per ripararsi dal riverbero della fiamma di bracieri e caminetti e per difendersi dal
calore soffocante dei locali di un tempo, sprovvisti di sufficiente ricambio d'aria, nonché per limitare la sudorazione.
Anche il cappello del cuoco è destinato, nel corso dei secoli, a seguire le mode, sempre mutevoli.
Segno distintivo di una professione certo non nobile ma in ogni modo da sempre apprezzata e riconosciuta, distingue un
grado gerarchico più o meno elevato dell'organigramma che regola i vari ruoli in cucina, dal capocuoco allo sguattero
passando per l'aiutante e l'apprendista.
All'inizio del Cinquecento, negli anni in cui risalgono le prime rappresentazioni d’interni domestici, il cuoco indossa una
berretta, una specie di basco piegato sul lato.
Come possiamo vedere dall'antiporta dell'Opera Nova, chiamata Epulario (1518), questo copricapo è comune ai tre
personaggi al centro mentre l'inserviente di destra che mescola la minestra e quello di sinistra che squarta un'oca portano
un semplice fazzoletto.
Si noti per contro sulla sinistra il capocuoco, con un cappello a larga tesa, che porta in cucina una lepre da cucinare.
Lo stesso cappello si nota nell'illustrazione che orna il ricettario di Cristoforo di Messisbugo (1549) con il capocuoco che
esibisce i segni distintivi del suo ruolo, ornato da alcune piume.
Per contro i due aiutanti di rango inferiore addetti agli spiedi e quello che prepara, sulla sinistra, una larga sfoglia di pasta
aiutandosi con un mattarello, vestono in ugual modo ma in ogni caso con la stessa berretta che ritroviamo nell’incisione
dell’Opera di Bartolomeo Scappi (1570), laddove tre aiutanti si dedicano, in un locale attiguo alla cucina principale, più
fresco in quanto lontano dal calore del camino, ai lavorieri di latte, panna montata e lattemiele.
Lasciate le fumose cucine, i più celebri cuochi si trasformano alle volte in letterati e autori di ricettari di vasto successo.
In questa nuova veste abbandonano divisa e cappello per farsi ritrarre a capo scoperto, con imponenti baffi e barba
fluente (al pari dei già citati Messisbugo e Scappi) e, più tardi, come Antonio Latini, fieri di potersi fregiare del titolo di
“maestro”, talvolta nobilitati o promossi a ruoli superiori come quello di scalco.
Un secolo più tardi, poco sembra mutato nell'abbigliamento del cuoco.
La veste si presenta più corta, con il coltello appeso alla cintura portato nel suo fodero e il berretto, floscio e senza tesa.
Nel secolo seguente, il berretto terminava a punta con un grande pompon, portato su un lato, come le cuffie da notte che
servivano a proteggersi dal freddo durante le rigide notti invernali.
È soltanto all'inizio dell'Ottocento che la moda cambia radicalmente.
Il merito è da ascrivere, ancora una volta, alla fantasia e al genio di Antonin Carême che, oltre a dedicarsi alla pasticceria
monumentale, definita “la quinta arte”, si improvvisa disegnatore di successo.
Più volte si è scritto, il più sovente riferendo notizie inesatte, sulle ragioni che hanno spinto il grande cuoco a lanciare un
nuovo modello, ma sarebbe stato sufficiente leggere i suoi libri per apprendere quando e per quale motivo egli ebbe
questa geniale intuizione.
Da tempo sono alla ricerca del modo di cambiare la maniera di portare il nostro berretto di cotone; tuttavia non ho voluto
cambiare questo berretto dal colore bianco che si sposa così bene con il resto della nostra divisa, la cui estrema pulizia è il
più bell'appannaggio del cuoco.
Si giudicherà, osservando la differenza della divisa che propongo, se sono stato bene o male ispirato .
Quando ho avuto l'idea di portare il mio berretto completato così da un disco di cartone (si potrebbe fare ottagonale),
cosa che lo rende più grazioso, mi trovavo a Vienna, durante il mio ultimo viaggio.
Ogni giorno, verso le 11 di mattina, ero solito presentare a Lord Steward il menu della sera.
L'ambasciatore una volta mi guardò, mi sorrise e mi disse: «Questo nuovo copricapo sta meglio a un cuoco».
Io feci osservare a Sua Eccellenza che un cuoco doveva rappresentare un uomo in buona salute, mentre il nostro berretto
tradizionale ricordava l'immagine di un malato.
Milord approvò, e io non lasciai più questo nuovo copricapo.
Anche la mia brigata l'adottò e alcuni cuochi a Vienna lo misero alla moda.
In effetti, dal confronto delle due divise disegnate da Carême, si nota subito la differenza tra i due copricapo.
Il tradizionale, a sinistra, termina in punta mentre il nuovo, a destra, porta inserito all'interno un disco di cartone di
forma rotonda o ottagonale che conferisce maggiore ampiezza alla parte terminale che si fa scivolare all'indietro, in
posizione verticale, ornata da un piccolo fiocco, quasi un'aureola profana che cinge il capo.
Da quegli anni è tutto un moltiplicarsi di variazioni.
La proposta di Carême vene adattata, modificata.
Sono impercettibili ma significativi cambiamenti che porteranno alla definizione del cappello ottocentesco, ora non più
cuffia cadente.
Alcuni lo portano floscio, come quello dei pittori, altri più strutturato con la base circolare rigida che serra la fronte, dalla
forma che ricorda il berretto dei marinai.
Altri scelgono una forma più morbida che ricorda un tappo di Champagne, altri ancora si ispirano a un antico copricapo
rinascimentale italiano, “il tocco”, da cui deriva il termine francese toque che definisce ancora oggi il cappello dei cuochi
d'Oltralpe.
Alla metà del Novecento il cappello ha assunto una nuova configurazione perfettamente cilindrica, sorretto dalle
numerose pieghe e reso consistente da un'abbondante apprettatura che gli permette di innalzarsi fino a 40 centimetri.
Negli anni Settanta diventa in breve il vessillo della nouvelle cuisine e lo vediamo portato da Paul Bocuse, vate del nuovo
credo culinario, come da tutta la generazione di cuochi che ha infiammato quegli anni ruggenti.
Recentemente il cotone è stato sostituito dalla carta assorbente o dal tessuto non tessuto, materiale “usa e getta” più
pratico, economico e igienico, e l'altezza si è ridotta a 30-35 centimetri (25 centimetri per i pasticceri) con rare eccezioni,
localizzate soprattutto al sud della Penisola.
Oggi una nuova generazione di cuochi, con atteggiamento provocatorio, rifiuta di portare il cappello.
Divismo televisivo o trasgressione voluta ed esibita per imporre la propria immagine a un pubblico sempre più attento al
tema gastronomico?
Se il pubblico della new economy ha ormai abdicato alla cravatta e affolla i ristoranti di grido esibendo una totale
deregulation vestendo casual, perché obbligare il cuoco a conservare una divisa scomoda e anacronistica?
Quanto lontani sono i tempi in cui, alla metà del Cinquecento, Bartolomeo Scappi, cuoco segreto di Pio V, dettava le
regole alle quali doveva sottostare l'apprendista: «Sopra ogni altra parte, appresso all'humiltà, e a quelle altre dette di
sopra, debba esser pulito, e netto della sua persona, ingegnandosi di compiacere non men con le sue vivande a gli apetiti
communi, che con la politezza, e piacevolezza universalmente a tutti !».