prologo:Conoscere una sola lingua, un solo lavoro un
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prologo:Conoscere una sola lingua, un solo lavoro un
prologo:Conoscere una sola lingua, un solo lavoro un solo costume una sola civiltà, conoscere una sola logica è prigione! Racconto dedicato alle secolari scalabriniane di Milano, all’ISMU(istituto per gli studi multietnici) e al sito WWW.STATIGENERALI-immigrati.org! Lunedi 23 gennaio , inizio di settimana ed un'altra giornata lavorativa fatta dal solito tran, tran, cammino quotidiano di schiavitù. Il cielo invernale ha assunto una posa spettrale, il freddo pervade le mie membra; il mio cuore non è contento di affrontare una giornata troppo simile alle altre. Dalla sveglia all’arrivo alla stazione di metropolitana è una corsa contro il tempo, un razionalizzare ogni azione , un agitarsi in continuazione. La metro è un luogo in cui si incontrano una moltitudine di persone:tutte affette dal morbo del “muoviti polentone, non dormire” Salgo sul vagone gremito oltre l’inverosimile, con gran fortuna mi accorgo di un posto a sedere appena liberato, uno slancio ed è mio. Novanta, cento persone in quel vagone , tanti io che seppur costretti alla vicinanza rimangono lontani: la barriere della privacy, di una vita individualista che ci fa mantenere sempre le distanze. Distanze quasi incolmabili quando si affronta la questione del noi (gli italiani) e gli altri ( gli immigrati) ! Seduto comodamente vagavo con lo sguardo fra una miriade di fattezze: occhi a mandorla, pelle scura, capelli di un biondo lucente dell’est europeo, tutto paese è mondo! Quante storie dietro occhi assonnati, chissà quale cammino ha dovuto percorrere questa convivialità delle diversità prima di giungere a Milano. Di sfuggita leggo i titoli di un giornale:” Immigrato stupra una ragazza italiana” e sotto un altro titolo scritto in caratteri cubitali:” Emergenza sbarchi in Sicilia”, chissà perché i mass media quando devono occuparsi d’immigrazione debbano sempre ricorrere in termini negativi! Io per fortuna restavo immune da questa visione sfalsata dell’altro dopo cinque anni di lavoro in un ristorante multietnico: io Alberto Mori unico italiano assieme a due giordani, due egiziani, due ecuadoriane e un palestinese. 1 Il gusto della diversità, l’incontro con chi è totalmente altro da me, la scoperta sorprendente di nuove culture, di nuovi punti di vista! L’altro un soggetto curioso da osservare, un altro me da mirare ed accogliere, senza alcuna distinzione di razza o etnia. Troppo spesso ci sono orecchie che non vogliono ascoltare la parola dell’altro, occhi che rimangono accecati e bocche che si aprono solo per proferire i soliti stereotipi. Il vagone diventa un fiume di vita rinchiuso in troppi campalinismi, di vite non vissute in pienezza ,un continuo tuffarsi da un desiderio effimero ad un altro senza mai raggiungere una certa felicità. Scorgo una grande tensione che serpeggia in vari visi, stanchi e schiacciati da chissà quali pensieri, la leggerezza dell’essere viene a mancare. “Soffrire ma non soccombere” amavo ripetermi fra me e me, anch’io a volte schiacciato da pesantezze avvilenti, da preoccupazioni ingigantite. Il godere la vita, il vivere il presente venivano spazzate via da illusioni lesive che mi creavo, da distorsioni della realtà che mi spingevano verso angoscianti solitudini. Immersi in un benessere senza confini eppur tristi, pieni di cose ma mai soddisfatti. Due ragazze nigeriane di fronte a me, di una bellezza abbagliante, ridevano di gusto; furtivamente mi ero messo in ascolto della loro conversazione captando qualcosa della loro vita: disavventure grottesche in lavori di basso profilo, ciò nonostante allegre allo stesso tempo, la vita veramente vissuta non si ferma di fronte a nulla. Sentivo nel mio profondo una certa invidia di fronte a questa allegria che andava a solleticare il mio periodo di acuta tristezza, un amore mai corrisposto che mi aveva portato ad una solitudine disarmante. Il vagone intanto sfrecciava velocemente, le fermate non facevano in tempo a fare la loro comparsa che venivano subito inghiottite dal correre impetuoso di ogni cosa. La vita una centrifuga in perenne movimento dove tutto viene risucchiato e atomizzato, anche il nostro respiro interiore, i nostri sentimenti più profondi. Triste, troppo triste da non accorgermi di quante diversità erano presenti di fronte a me: con lo sguardo mi sarebbe piaciuto entrare nelle loro intimità più recondite e gustare il mare di desideri, speranze che portavano dentro. 2 Con una certa intraprendenza mi ero messo a parlare con una raggiante bellezza romena, i suoi occhi di un verde cristallino mi facevano sobbalzare il cuore , il suo corpo sinuoso agitava la mia eroticità! Maria era il suo nome, andata via un po’ per curiosità da una città della Romania e finita a Milano ad abbracciare una nuova realtà, una nuova cultura. Una esistenza semplice non mossa da particolari interessi ,né da una particolare vocazione da seguire, solo una intima felicità da donare in continuazione agli altri. Ecco, poche battute, alcuni minuti di conversazione ed il mio io dilatato nell’accogliere la diversità di un altro, pazienza poi la scoperta del suo forte innamoramento verso un ragazzo marocchino, a ciascuno il suo. Disarmato scoprivo una gran gioia nel mettermi nei panni dell’altro, vivere non solo la mia vi ta ma quella di tutte le persone che avrei incontrato durante la mia esistenza. Vivere i rapporti umani diversamente, abbandonare quelle false certezze che appesantivano troppo i miei passi e tuffarmi nel vuoto,disponibile totalmente nella condivisione di me stesso con più persone. Ai rapporti calcolati, alle amicizie interessate preferivo i legami liberi d’amore reciproco, le mie nudità accostate a quelle di altri, ogni limite messo in comunione: un rinascere a nuova vita immersa in un grande flusso di amore solidale. Il flusso di persone, che ad ogni fermata usciva ed entrava nel vagone, non sembrava invece proprio un “flusso solidale d’amore”. Una frenesia inarrestabile si faceva spazio con gomitate robuste e con piedi schiacciati, sembrava di assistere alla scena di un film western “Nessuna pietà”. Ad un certo momento mi ero messo a contare i sorrisi delle persone, cercando sprazzi di felicità in un contesto di gran alienazione; l’unico sorriso che riuscivo a scorgere era quello che scorreva sui display dei cellulari: simpatici smile che accompagnavano i sms. Ecco la droga della cellularmania, uno schizofrenico ed ininterrotto schiacciare i tasti dei cellulari per scrivere messaggi, l’unica modalità di comunicazione che sembrava regnare nel vagone. Una forma di comunicazione virtuale in cui grandi desideri e speranze venivano immessi, mentre nel concreto non appena uno incrociava lo sguardo con un altro subito si stendeva un velo di imbarazzo. Seduto sulla mia destra un ragazzo parlava in toni concitati delle sue conquiste virtuali fatte su delle chat line ed il suo amico si vantava dei messaggi di ragazze che aveva ricevuto in un sito a cui era iscritto dedicato a cuori solitari. Di fronte a questi due ragazzi c’era una procace bellezza mediterranea e nessuno dei due sembrava darle uno sguardo: non era troppo bella virtualmente. Virtualità e gioco delle apparenze, edonismo spinto a idolo della nostra vita. 3 Ragazze che si pavoneggiano in micro abiti firmati, che occhieggiano seppellite da una quantità industriale di terra adoperata per sembrare più attraenti. Uomini con il loro inconfondibile doppio petto e scarpe fatte su misura, baldanzosi nel mostrare la loro indiscussa classe. Eterna disfida fra essere ed avere, partecipazione ad un mondo artefatto composto da tanti io arroccati nel proprio egoismo! Il viaggio in metro è anche lo scoprire gli attori della “bella vita” accostati forzatamente con umili figure; che mondo variopinto attraverso in metro! Quale mirabile luogo di studio e conoscenza della nostra realtà il vagone in cui mi trovavo, storie e personaggi che velocemente entrano ed escono dalla mia esistenza. Prima di scendere all’ultima fermata, un attimo e il mio sguardo viene rapito da un libro che una ragazza dalle fattezze orientali stava leggendo con avidità “il mercante di Venezia” di W. Shakespear , ricordo di una piacevole lettura che feci qualche tempo fa. Nell’uscire dal vagone alcune frasi di quel libro riecheggiavano nella mia mente:”E che dunque? Non ha forse occhi un ebreo? Non ha mani, organi, membra, sensi, affetti e passioni? Non si nutre egli forse dello stesso cibo di cui si nutre un cristiano? Non viene ferito dalle stesse armi? Non è soggetto alle sue stesse malattie? Non è curato e guarito dagli stessi rimedi? E non è infine scaldato e raggelato dallo stesso inverno e dalla stessa estate di un cristiano? Se ci pungete non versiam sangue,forse?E se ci fate un solletico non ci mettiamo forse a ridere? Se ci avvelenate non veniamo a morte? Un'altra giornata lavorativa si avviava all’inizio ed io incamminato verso il luogo di lavoro ormai prossimo mi tuffavo con la mente verso il futuro: un lungo cammino di uscita dal mio io verso l’altro! Alberto Mori L’autore di questo piccolo racconto si chiama Alberto Mori nato a Milano il 2 Maggio 1976, creatore del sito WWW.AGAPEDEIDIVERSI.IT, collaboratore della rivista on line WWW.ILDIALOGO.ORG sulle tematiche legate all’immigrazione. 4