IMPATTO DELLE ATTIVITÀ UMANE SUI CICLI GENERALI, CICLI

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IMPATTO DELLE ATTIVITÀ UMANE SUI CICLI GENERALI, CICLI
A.B.A.P. Associazione Biologi Ambientalisti Pugliesi
IMPATTO DELLE ATTIVITÀ UMANE SUI CICLI
GENERALI, CICLI TERRITORIALI E SINGOLI
ECOSISTEMI
Dott.ssa Elvira Tarsitano
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INDICE
1.1 L’uomo e gli equilibri naturali
1.1a Influenza dell’uomo sui cicli globali
1.1b Influenza antropica sui cicli territoriali
1.1c Influenza su singoli ecosistemi: l'esempio eutrofizzazione
1.2 Ricreare l’equilibrio uomo – natura
1.2a Necessità di una cultura etico-ambientale
Bibliografia
1.3 Gestione ecologica dei sistemi urbani e delle trasformazioni connesse
Bibliografia
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1.1 L’uomo e gli equilibri naturali
La comparsa dell’uomo come membro della comunità biologica sulla terra non influenzò,
all’inizio, i cicli naturali in misura tale da rappresentare un rischio per la sua
sopravvivenza e per quella di altre specie animali in maniera massiccia; l’uomo era, cioè,
in completa armonia con il suo ambiente, pur non sapendolo. Questa armonia, infatti,
non derivava tanto da una coscienza piena del proprio posto negli ecosistemi, ma
semplicemente dalla sua ridotta possibilità di incidere, in maniera determinante, sugli
equilibri generali del pianeta.
Il rapido aumento delle dimensioni totali e della densità locale della popolazione
umana, verificatasi in seguito alla rivoluzione industriale, unita al sempre crescente
potere della specie umana di modificare il suo ambiente, ha iniziato invece, a cambiare
pesantemente il quadro.
1.1a Influenza dell’uomo sui cicli globali
L’estrazione di petrolio e combustibili fossili ha determinato il trasferimento di masse
di carbonio organico, localizzate inizialmente nella crosta terrestre, sulla sua
superficie. La combustione di questi prodotti in anidride carbonica ne ha trasformato
la natura organica. Contemporaneamente la quantità di vegetali capaci di fissare
l’anidride carbonica (CO2) si è ridotta drasticamente con il disboscamento, per cui
sono variati sia il tempo di permanenza che i flussi di tale elemento tra e nei vari
comparti.
Inoltre, l’uso dei combustibili fossili ha influenzato il ciclo dell’azoto e dello zolfo
riversando grandi quantità di ossidi di azoto (NO e NO2) e di zolfo (SO2)
nell’atmosfera. Questi composti costituiscono prodotti normali ma transitori dei
rispettivi cicli, e sono presenti nell’ambiente in concentrazioni molto basse. L’uso dei
combustibili fossili ha enormemente aumentato la concentrazione di queste sostanze
nell’aria, specialmente nelle aree urbane, a tal punto che si sono raggiunti i limiti di
avvelenamento per i componenti biotici dell’ecosistema.
Una grossa quantità delle sostanze inquinanti riversate nell’atmosfera (più di 100
tonnellate annue solo negli Stati Uniti) è costituita da NO, NO2 e SO2. La quasi
totalità dell’SO2 è dovuta a centrali elettriche che bruciano carbone e l’NO2 ai motori
a scoppio. L’SO2 è dannosa per i processi fotosintetici (la distruzione della
vegetazione nei pressi degli stabilimenti in cui si lavora il rame è dovuta a questo gas)
e gli ossidi di azoto possono essere dannosi per la respirazione degli animali superiori
e dell’uomo. Inoltre, le reazioni chimiche con altre sostanze inquinanti producono un
sinergismo (l’effetto totale dell’interazione è maggiore della somma degli effetti delle
singole sostanze) che aumenta il danno. Ad esempio, i raggi ultravioletti della luce
solare provocano una reazione fra l’NO2 e gli altri idrocarburi incombusti (prodotti
entrambi in grande quantità dai motori a scoppio), che dà origine allo smog
fotochimico.
L’energia ricavata dai processi di combustione ha consentito la trasformazione
massiccia di materie prime. Grosse masse minerali sono state estratte dalle miniere e
convogliate ai processi produttivi. Anche in questo caso si è determinata una
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variazione netta nei flussi e nei tempi di permanenza di questi elementi. L’estrazione
supera infatti spesso la capacità di ridepositamento di questi elementi, per cui essi si
concentrano sulla superficie della terra e in particolare aree, ad esempio, quelle
industrializzate, e possono diventare nocivi a causa della loro anomala concentrazione.
In altri casi, come per il fosforo, l’uomo sfortunatamente sta accelerando la velocità
con cui l’elemento va perduto, rendendo il suo ciclo meno perfetto. Sebbene la
quantità di pesce che l’uomo consuma sia enorme, si valuta che soltanto 60.000
tonnellate di fosforo elementare l’anno vengono riciclate in questo modo, contro
l’estrazione di uno o due milioni di tonnellate l’anno da rocce contenenti fosforo, la
maggior parte del quale va perduta.
Attualmente, ci si preoccupa, invece, dell’aumento della concentrazione di fosfati nel
compartimento acqueo, dovuto all’erosione e alle acque di scolo, per gli effetti
eutrofici che determina e non del ciclo globale che suggerirebbe invece un recupero e
riciclo di questo prezioso elemento.
Un altro capitolo è quello dei composti di sintesi: nell’ultimo secolo l’industria chimica
ha prodotto una sempre crescente varietà di composti organici di sintesi largamente
utilizzati nei settori tessile, delle materie plastiche, dei solventi e detergenti e come
componenti di pesticidi in genere. In particolare, l’uso di questi ultimi comporta una
loro larga diffusione negli ambienti naturali. Tali composti sono definiti xenobiotici,
poiché estranei alla biosfera.
Solo alcuni di essi, essendo simili a composti naturali, vengono completamente demoliti
dai microrganismi ed i loro elementi inseriti nei cicli biogeochimici. Molto altri, nella
loro forma originaria o in forma parzialmente demolita, risultano non biodegradabili
ovvero persistenti. Il loro continuo rilascio quindi, oltre a determinare una sorta di
apertura dei cicli naturali della materia, spesso causa un loro accumulo negli ambienti e
nei tessuti degli organismi superiori (processo di magnificazione) con gravi effetti
eco-tossicologici.
1.1b Influenza antropica sui cicli territoriali
L’industrializzazione ha portato come conseguenza anche l’urbanizzazione e quindi la
necessità di convogliare verso aree ad alta densità grandi quantità d’acqua.
Contemporaneamente, però, non è stato previsto un efficace sistema di
ridistribuzione nelle aree e compartimenti di provenienza del flusso in uscita dei
prodotti catabolici e di risulta della vita urbana e dell’acqua con la conseguenza che
alcune aree, in particolare quelle di origine, si impoveriscono ed altre, quelle di
destinazione, si arricchiscono troppo, risultando così inquinate.
Nei processi di trasformazione, inoltre, queste risorse vengono ulteriormente
concentrate, trasformate in prodotti che vengono inviati al consumo, cioè
principalmente agli insediamenti urbani.
Sia ai processi produttivi, che alle città, affluisce anche una grossa quantità di acqua.
L’acqua che defluisce dai processi produttivi e dalle nostre città, cioè i così detti
reflui delle lavorazioni dei prodotti ed i reflui urbani, diventa facile veicolo per i
prodotti di rifiuto che essa può trasportare in soluzione.
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Ammesso che nei processi di lavorazione e nel nostro metabolismo, una buona fetta
delle sostanze prelevate dal territorio venga utilizzata, resta comunque una grande
quantità di sostanze che si troveranno concentrate nei reflui urbani ed industriali.
L’acqua deve tornare nell’ambiente seguendo il suo ciclo; finirà nei fiumi, nelle falde o
nei laghi o direttamente a mare. Ovunque scaricati in alta concentrazione, in un volume
limitato di corpo recettore, i reflui producono inquinamento.
Queste aree ristrette, infatti, dovendo recepire grandi quantità di sostanze
complesse, non sono in grado in tempi brevi di degradarle e di restituire gli elementi
che le compongono all’ambiente in forma diffusa, reinserendoli nei cicli naturali della
materia. L’ambiente in queste zone si degrada a causa di uno scompenso, di
un’alterazione degli equilibri.
1.1c Influenza su singoli ecosistemi: l'esempio eutrofizzazione
Uno dei primi fenomeni ben studiati di degrado ecosistemico per aumento di apporti è
quello della eutrofizzazione. Anche se non particolarmente significativo, conviene
approfondirlo più in dettaglio poiché rappresenta un chiaro esempio dei concetti che
abbiamo citato precedentemente.
Negli ambienti acquatici le variazioni della biomassa vegetale sono causate da vari
fattori, tra i quali i più importanti sono:
1) la velocità di riproduzione cellulare;
2) la velocità con cui la biomassa vegetale (viva o morta) viene asportata
dall'ambiente
acquatico;
3) la velocità con cui viene immessa la sostanza organica;
4) la velocità con cui la biomassa vegetale viene consumata dai consumatori
primari;
5) la velocità con cui la massa vegetale muore e si decompone.
Nell'ambiente le condizioni qualitative si mantengono accettabili quando la sostanza
organica che giunge al sistema e quella prodotta all'interno non eccedono quella che
viene asportata, utilizzata o decomposta.
Quando invece ciò si verifica si instaurano delle condizioni di sovrapproduzione alle
quali seguono eventi degenerativi che vanno a incidere sulla qualità delle acque.
Tra i fattori sopra elencati che interagiscono nel controllare la biomassa, l'aumento
del grado di riproduzione assume il ruolo principale nel determinare l'aumento della
produzione primaria. In condizioni bilanciate la crescita della biomassa, e in
particolare di quella vegetale è, di norma, controllata dalla disponibilità nell'ambiente
di sostanze nutritive. Quando il controllo viene meno, il fenomeno può assumere un
andamento esplosivo dando luogo alla produzione di enormi quantità di vegetazione
algale, che innescano dei processi che possono portare alla degenerazione qualitativa
delle acque.
L’aumento spropositato di produzione algale, specie come fitoplancton, determina nelle
acque, oltre all'intorbidamento, forti sbalzi nella concentrazione dell'ossigeno tra
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notte e giorno: infatti mentre di giorno la massa algale produce ossigeno mediante
fotosintesi, di notte ciò non avviene è vi è solo un alto consumo di O2 dovuto ai
processi di respirazione.
Questi notevoli sbalzi della quantità di ossigeno disciolto portano ad un progressivo
allontanamento di specie animali che male li sopportano. In più la morte delle alghe e il
loro deposito sui fondali determina, con la loro mineralizzazione, un ulteriore calo
dell'ossigeno specie sul fondo.
Si innesca così un processo a catena che porta inevitabilmente all'anossia delle acque
nella zona interessata dal fenomeno, e ciò, nei casi estremi, significa una completa
scomparsa delle specie animali sia bentoniche che nectoniche.
Da ciò si intuisce che, in un ambiente acquatico, il fattore più importante nel bilancio
del sistema è la quantità di nutrienti di cui può disporre la biomassa vegetale.
Il termine eutrofizzazione (dal greco eutrofos = ben nutrito), in una definizione
corretta, dovrebbe riferirsi solo alla prima fase del processo e cioè all'arricchimento
dell'acqua da nutrienti. Oggi però il termine ha assunto un significato più ampio,
comprensivo dell'intero processo: aumentata disponibilità dei nutrienti, incremento
della produzione primaria e insorgenza di alterazioni qualitative delle acque, come
l'anossia.
Da quanto detto l'eutrofizzazione può dare origine a tre tipi di effetti nocivi:
- il primo è la produzione abnorme di sostanza organica rappresentata sia da
fitoplancton in sospensione sia da alghe macrofite;
- il secondo è la graduale diminuzione di ossigeno disciolto disponibile per la
vita
animale;
- il terzo è la possibile formazione di composti quali i nitriti, l'ammoniaca, il
metano, i
sulfuri, derivanti dalla degradazione anaerobica della sostanza organica.
In un fenomeno di eutrofizzazione non è detto però che tali tre effetti nocivi si
manifestino contemporaneamente.
Infatti a parità di immissione di nutrienti, la comparsa di questi effetti dipende molto
dalle caratteristiche fisiogeografiche delle acque (fisiche, idrodinamiche,
morfologiche, climatiche).
Si possono prevedere quindi differenti risposte a seconda che si tratti di acque
correnti o di acque calme non soggette ad un rapido ricambio.
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1.2 Ricreare l’equilibrio uomo - natura
1.2a Necessità di una cultura etico-ambientale
L’ambiente è un patrimonio comune, che deve essere conservato e protetto, nei
confronti del quale dobbiamo avere rispetto, essendo una componente fondamentale
per qualità della vita.
Rispettare la natura significa rispettare le leggi, i meccanismi, gli equilibri secondo cui
la natura vive, poiché l’uomo è parte integrante di essa stessa; rispettare la natura
significa, in definitiva, rispettare se stessi.
L’uomo industrializzato con un abuso incondizionato delle risorse territoriali,
energetiche e naturali, con un non responsabile uso della tecnologia, sta
pericolosamente interferendo con i meccanismi di funzionamento dei processi naturali
ossia i cicli globali biogeochimici e i flussi di energia che attraversano la biosfera,
minacciando seriamente il suo futuro sulla terra.
Secondo le attuali proiezioni demografiche, nei prossimi cinquanta anni, è previsto un
raddoppiamento della popolazione. La capacità della terra di sostenere miliardi e
miliardi di esseri umani, in modo dignitoso per tutti, dipenderà dalla capacità dell’uomo
di oggi di autocorreggersi per riportare lo sviluppo da un sentiero di insostenibilità,
quale quello attuale, ad uno di sostenibilità, attraverso uno sviluppo consapevole, che
tenga conto dei nostri limiti di specie e sia rispettoso della natura e quindi
riproducibile nel tempo.
La domanda chiave da porsi è “saremo capaci di offrire ospitalità ad un numero doppio
di persone senza rovinare le risorse naturali per le generazioni successive?”. La
giustizia non ci chiederà domani di dare di più ad altri popoli ma di prendere di meno,
quindi creare un’economia che pesa molto di meno sulla terra e sugli altri popoli (W.
Sachs, 2000).
Perché ciò si realizzi occorre:
 La razionalizzazione delle risorse naturali, territoriali ed energetiche.
 Il ricorso ad una agricoltura alternativa (agricoltura biologica) rispetto a
quella convenzionale, che non contribuisca all’erosione e quindi
all’impoverimento del suolo mediante l’uso di prodotti chimici, ma che sia
basata sulla combinazione di moderne tecnologie e metodi tradizionali per la
produzione, nel rispetto dell’ambiente, di prodotti privi di residui chimici e
con migliori caratteristiche biologiche.
 La revisione dell’attuale ciclo industriale in modo tale da assimilarlo il più
possibile ad un ciclo ecologico naturale; una revisione attraverso cui le
imprese potranno migliorare l’efficienza interna e avere un impatto quasi
nullo sull’ambiente circostante (ad esempio ridurre al minimo i rifiuti
prodotti, riutilizzando i materiali di scarto). L’adesione al sistema
comunitario di Ecogestione e Audit (EMAS), introdotto dal regolamento
comunitario 1836/93, costituisce da parte delle aziende un passo importante
verso il miglioramento dei cicli produttivi industriali.
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Rendere le città ecologicamente compatibili; esse attualmente costituiscono
dei centri altamente dissipativi, in cui vi sono un uso irrazionale di energia e
di materiali, una sempre più evidente degradazione dell’ambiente ed in
generale della qualità della vita.
 Effettuare una contabilità ambientale ed integrare questa con la contabilità
economica; attualmente un paese può dissipare risorse naturali e degradare
il proprio ambiente senza che ciò risulti dal bilancio patrimoniale nazionale.
Ciò avviene in quanto l’attuale sistema economico si considera
(illusoriamente) indipendente dal sistema ecologico da cui, però, trae energia
e materie prime.
 Controllare le applicazioni tecnologiche nelle diverse attività umane. Mentre
lo studio delle leggi fondamentali della natura, ossia la scienza non può
essere in rapporto conflittuale con la natura, la tecnologia e la tecnoscienza
possono essere usate per la vita o contro di essa; per cui non tutto ciò che è
tecnicamente possibile deve essere considerato moralmente lecito.
Oggi più che mai s’impone la necessità di un agire etico il cui fine sia il bene dell’uomo
e del suo ambiente, acquisire la consapevolezza dei propri limiti e delle proprie
responsabilità; capire che le speranze di un futuro sostenibile sono affidate
all’evoluzione delle istituzioni ma soprattutto ad un mutamento generalizzato del modo
di vivere.
E’ quindi fondamentale la diffusione di una profonda cultura etico-ambientale che
ponga i propri accenti sui valori del rispetto e della responsabilità non solo nei
confronti dell’uomo ma di tutto l’ecosistema terrestre.

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Bibliografia
- AA VV (1973). Western Man and Environmental Ethics. A Theology of the Earth
(’69)– Reading MA, pp. 43-54.
- AAVV (1983). I cicli della biosfera. Serie Quaderni - Le Scienze- n° 6 - marzo
1983.
- AA.VV. Risorse ambientali. Serie Quaderni - Le Scienze n° 90, giugno 1996.
- AA.VV. (1996). Ecologia Applicata. A cura di Roberto Marchetti, Società Italiana
di Ecologia, Città Studi.
- AA.VV (1997), Progetto: Vivere secondo natura, educare le future generazioni a
vivere nel rispetto della natura. Gruppo di studio ‘Agricoltura sostenibile e
Alimentazione Naturale’, Associazione Biologi Ambientalisti Pugliesi (A.B.A.P.).
- AA.VV. (1999). Noi per lo sviluppo sostenibile. ENEA, novembre 1999.
- Blonda M. (1996). I criteri biologici per una corretta gestione delle acque di
scarico. Dispensa del corso di aggiornamento “Criteri biologici per il corretto
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- Ciccone F. (1999). Biocentrismo, olismo e complessità. In Biologando, Periodico di
informazione dell’Associazione Biologi Ambientalisti Pugliesi (A.B.A.P.), Anno 3, n°
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- Ciccone F. (1999). “Nuovi paradigmi per il nuovo millennio”. In Biologando, Periodico
di informazione dell’Associazione Biologi Ambientalisti Pugliesi (A.B.A.P.), Anno 4,
n° 1-2, Gennaio/Giugno 2000, pp.2-4.
- Hargrove E.C. (1990). Fondamenti di etica ambientale. Muzzio Scienze.
- Naess A. (1986). The Deep Ecological Mouvement: Some Philosophical aspects.
“Inquiry”, n° 1-2, pp. 10-31.
- Scandurra E.(1995). "L’ambiente dell’uomo: verso il progetto della città
sostenibile". Etas Libri.
- Turner, Pearce, Bateman (1996) “Economia Ambientale”. Edizioni Il Mulino,
Bologna, 1996.
- White jr. L. (1967). The Historical Roots of Our Ecologic Crisis. “Science” pp.12031127.
- Worster D. (1999). Storia delle idee ecologiche. Il Mulino, pp. 89-153.
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1.3 Gestione ecologica dei sistemi urbani e delle trasformazioni connesse
La gestione corretta di un territorio deve partire da una profonda conoscenza
dell’ambiente, dei suoi meccanismi dinamici per permetterci di individuare le sue
peculiari caratteristiche, le sue potenzialità e i suoi punti deboli, in modo da non
rischiare, con qualunque tipo di attività, di modificarlo al punto di turbarne gli equilibri
in maniera irreversibile. Obiettivo di ciò è l’individuazione di una strategia di utilizzo
razionale ed equilibrato del valore dell’habitat naturale in cui viviamo. Quindi la parola
“sfruttamento” tanto usata, oggi, quando si parla si sviluppo economico deve essere
sostituita da un’altra: “utilizzo” o meglio “gestione”. Si sottolinea che le risorse dei
territori non sono illimitate e non possiamo turbare gli equilibri degli ecosistemi senza
aspettarci delle loro modificazioni con conseguenze più o meno negative per la qualità
della nostra vita. L’azione antropica legata all’urbanizzazione o alla produzione, non può
essere indiscriminata, ma deve tenere in seria considerazione le peculiarità
dell’ambiente in cui viene effettuata. Occorre avere una visione integrata ed armonica
della città inserita nel suo ambiente e strettamente legata ad esso, e non
frammentaria, come è purtroppo ancora adesso.
Si deve promuovere un processo di recupero, valorizzazione e sviluppo del territorio
con una corretta pianificazione ambientale a livello comunale, considerando l’ambiente
urbano come strettamente legato all’ambiente naturale in cui si sviluppa. I criteri per
guidare un’azione di gestione territoriale devono essere ispirati a principi che
consentano di usufruire del valore dell’habitat naturale senza distruggerlo, ma al
contrario, cercando di mantenerlo il più possibile integro e in equilibrio, e nello stesso
tempo, di garantire per gli abitanti di quel territorio, il massimo livello possibile di
qualità della vita.
Prima di avviare qualunque attività antropica si dovrebbe fare:
1. un’analisi approfondita del territorio e delle sue dinamiche sia in termini ambientali
che in termini culturali;
2. un’analisi dell’azione antropica che si intende attuare;
3. una ricerca ed una analisi delle interazioni fra azione antropica e territorio;
4. un rilevamento dei miglioramenti o dei peggioramenti (impatti) conseguenti
all’azione; bilancio degli stessi;
5. eventuali riarrangiamenti o modifiche al progetto iniziale e scelte operative.
Quindi, di un territorio dobbiamo conoscere le caratteristiche ambientali, quelle
socio-economiche, le peculiarità culturali e tradizionali; dobbiamo cercare di intuire le
potenzialità specifiche e di conseguenza la sua “vocazione”; solo in questo modo
potremo utilizzarlo verso un tipo di sviluppo compatibile e sostenibile, quindi
equilibrato e in grado di rimanere a buoni livelli anche a lungo termine.
Tutto ciò ha senso, però, se “gli abitanti del luogo si riappropriano del proprio
habitat”, ovvero occorre avere un atteggiamento di consapevolezza del valore
intrinseco dell’ambiente in cui si vive e della stretta dipendenza che ad esso ci lega, ed
in una attenzione continua a contestualizzare qualunque tipo di azione antropica (V.
Bevilacqua, 1998).
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Bibliografia
- AA.VV. (1996). Risorse ambientali. Serie Quaderni - Le Scienze n° 90, giugno 1996.
- AA.VV. (1996). Ecologia Applicata. A cura di Roberto Marchetti, Società Italiana di
Ecologia,
Città Studi
- Bevilacqua V. (1998). “Riappropriarsi dell’habitat. In Biologando”, Periodico
d’Informazione dell’Associazione Biologi Ambientalisti Pugliesi, Anno 2 – n.1
Gennaio/Giugno 1998, pp.4-5.
- Blonda M., Campanile M., Rubino L. (1997). “La Pianificazione Integrata/Partecipata;
dai biologi una proposta multidisciplinare altre categorie professionali ed alle
amministrazioni”. In Atti del 1° Congresso Regionale I Biologi per lo sviluppo
sostenibile della Puglia”. Coordinamento tecnico-scientifico ABAP-Associazione
Biologi Ambientalisti Pugliesi, Bari, 1999, pp.163-174.
- Odum E. P. (1988). Basi di ecologia. Loreto Rossi (a cura di), Edizioni Piccin.
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