sample - Aokigahara Jyukai

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sample - Aokigahara Jyukai
La nostra immaginazione è popolata da terre e luoghi mai esistiti, dalla
capanna dei sette nani alle isole visitate da Gulliver, dal tempio dei Thugs
di Salgari all’appartamento di Sherlock Holmes.
Ma in genere si sa che questi luoghi sono nati solo dalla fantasia di un
narratore o di un poeta. Al contrario, e sin dai tempi più antichi,
l’umanità ha fantasticato su luoghi ritenuti reali, come Atlantide, Mu,
Lemuria, le terre della regina di Saba, il regno del Prete Gianni, le Isole
Fortunate, l’Eldorado, l’Ultima Thule, Iperborea e il paese delle Esperidi,
il luogo dove si conserva il santo Graal, la rocca degli assassini del Veglio
della Montagna, il paese di Cuccagna, le isole dell’utopia, l’isola di
Salomone e la terra australe, l’interno di una terra cava e il misterioso
regno sotterraneo di Agarttha. Alcuni di questi luoghi hanno soltanto
animato affascinanti leggende e ispirato alcune delle splendide
rappresentazioni visive che appaiono in questo volume, altri hanno
ossessionato la fantasia alterata di cacciatori di misteri, altri ancora
hanno stimolato viaggi ed esplorazioni così che, inseguendo una
illusione, viaggiatori di ogni paese hanno scoperto altre terre.
UMBERTO ECO è nato ad Alessandria nel 1932; filosofo, medievista,
semiologo, massmediologo, ha esordito nella narrativa nel 1980 con Il
nome della rosa (Premio Strega 1981), seguito da Il pendolo di Foucault
(1988), L’isola del giorno prima (1994), Baudolino (2000), La
misteriosa fiamma della regina Loana (2004) e Il cimitero di Praga
(2010). Tra le sue numerose opere di saggistica (accademica e non) si
r ic o r d a n o : Trattato di semiotica generale
(1975), I limiti
dell’interpretazione (1990), Kant e l’ornitorinco (1997), Dall’albero al
labirinto (2007), Non sperate di liberarvi dei libri , insieme a JeanClaude Carrière (2009), Costruire il nemico (2011) e Scritti sul pensiero
medievale (2012).
Nel 2004 ha pubblicato il volume illustrato Storia della Bellezza, seguito
nel 2007 da Storia della Bruttezza e nel 2009 da Vertigine della lista.
UMBERTO ECO
STORIA DELLE TERRE
E DEI LUOGHI
LEGGENDARI
UMBERTO ECO
STORIA DELLE TERRE
E DEI LUOGHI
LEGGENDARI
BOMPIANI
© 2013 RCS Libri S.p.A., Bompiani
Tutti i diritti riservati
ISBN 978-88-58-76289-9
Direttore editoriale: Elisabetta Sgarbi
Coordinamento editoriale: Anna Maria Lorusso
Collaborazione redazionale: Federica Matteoli
Progetto grafico:
Polystudio
Francesco Messina
Francesca Zucchi
Gianfranco Casula
Ricerca iconografica: Silvia Borghesi
Realizzazione tecnica: Sergio Daniotti
Prima edizione digitale 2013
da prima edizione Bompiani ottobre 2013
In copertina:
Thomas Cole, The Voyage of Life: Childhood (part.), 1842, Washington, National Gallery of Art
Cover design: Polystudio
www.bompiani.eu
Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore.
È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.
SOMMARIO
Prefazione
1. La terra piatta e gli antipodi
2. Le terre della Bibbia
3. Le terre di Omero e le sette meraviglie
4. Le meraviglie dell’Oriente, da Alessandro al Prete Gianni
5. Il paradiso terrestre, le Isole Fortunate e l’Eldorado
6. Atlantide, Mu e Lemuria
7. L’ultima Thule e Iperborea
8. Le migrazioni del Graal
9. Alamut, il Veglio della Montagna e gli Assassini
10. Il paese di Cuccagna
11. Le isole dell’Utopia
12. L’isola di Salomone e la Terra Australe
13. L’interno della terra, il mito polare e Agarttha
14. L’invenzione di Rennes-le-Château
15. I luoghi romanzeschi e le loro verità
Apparati
PREFAZIONE
Questo libro è dedicato alle terre e ai luoghi leggendari: terre e luoghi perché
talora si tratta di veri e propri continenti, come Atlantide, altre volte di paesi e
castelli e (nel caso della Baker Street di Sherlock Holmes) appartamenti.
Di dizionari dei luoghi fantastici e fittizi ne esistono molti (e il più completo è
l’ottimo Manuale dei luoghi fantastici di Alberto Manguel e Gianni Guadalupi) ma
qui non ci occuperemo di luoghi “inventati”, perché dovremmo includervi la
casa di Madame Bovary, la tana di Fagin in Oliver Twist, o la fortezza Bastiani de
Il deserto dei tartari. Si tratta di luoghi romanzeschi, che lettori fanatici tentano
talora di individuare senza grande successo.
Altre volte si tratta di luoghi romanzeschi ispirati a luoghi reali, dove i lettori
cercano di ritrovare le tracce dei libri che hanno amato, così come i lettori dello
Ulysses ogni 16 giugno cercano di identificare la casa di Leopold Bloom in Eccles
Street a Dublino, visitano la Martello Tower ora diventata museo joyciano, o
tentano di acquistare presso un tale farmacista la saponetta al limone
comperata nel 1904 da Leopold Bloom.
Addirittura accade che luoghi fittizi siano stati identificati con luoghi reali, come
la casa di arenaria di Nero Wolfe a Manhattan.
Ma qui ci interessano terre e luoghi che, ora o nel passato, hanno creato
chimere, utopie e illusioni perché molta gente ha veramente creduto che
esistessero o fossero esistiti da qualche parte.
Gulliver incontra Laputa, l’isola volante, illustrazione da Jonathan Swift, I viaggi di Gulliver,
Leipzig 1910 ca.
Detto questo, ci sono ancora molte distinzioni di cui tener conto. Ci sono state
leggende su terre che certamente non esistono più ma che non è da escludere
siano esistite in tempi antichissimi, ed è il caso di Atlantide, di cui molte menti
non deliranti hanno cercato di individuare le ultime tracce. Ci sono terre di cui
parlano tante leggende e la cui esistenza (sia pure remota) è dubbia, come
Shamballa, a cui però alcuni attribuiscono una esistenza totalmente
“spirituale”, e altre che sono indiscutibilmente effetto di finzione narrativa,
come Shangri-La, ma di cui sorgono di continuo imitazioni per turisti di bocca
buona. Ci sono terre la cui esistenza è asserita solo da fonti bibliche, come il
paradiso terrestre o il paese della regina di Saba – ma credendo nelle quali molti,
Cristoforo Colombo compreso, si sono mossi a scoprire terre davvero esistenti. Ci
sono terre che sono state create da un falso documento, come la terra del Prete
Gianni, che tuttavia ha mosso viaggiatori a percorrere e l’Asia e l’Africa.
Ci sono infine terre che realmente esistono ancora oggi, anche se talora sotto
forma di rovine, ma intorno a cui si è creata una mitologia, come Alamut, su cui
aleggia l’ombra leggendaria degli Assassini, come Glastonbury, ormai associata al
mito del Graal, o come Rennes-le-Château o Gisors, che sono stati resi leggendari
da speculazioni commerciali recentissime.
Insomma, le terre e i luoghi leggendari sono di vario genere e hanno in comune
solo una caratteristica: sia che dipendano da leggende antichissime la cui origine
si perde nella notte dei tempi, sia che siano effetto di una invenzione moderna,
essi hanno creato dei flussi di credenze.
È della realtà di queste illusioni che questo libro si occupa.
Paesaggio fantastico, in Albrecht Altdorfer, Susanna al bagno, 1526, München, Alte Pinakothek
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LA TERRA PIATTA E GLI ANTIPODI
In varie mitologie la terra assume forme poetiche, spesso antropomorfe, come la
Gea greca. Una leggenda orientale voleva che la terra stesse sul dorso di una
balena, sostenuta a sua volta da un toro, che posava su una roccia, e la roccia era
sostenuta dalla polvere, sotto la quale nessuno sapeva che cosa ci fosse, se non il
gran mare dell’infinito. In altre versioni la terra poggiava sul dorso di una
tartaruga*.
LA TERRA PIATTA Quando si è iniziato a riflettere “scientificamente” su quale
fosse la forma della terra, era stato abbastanza realistico per gli antichi ritenere
che essa fosse quella di un disco. Per Omero il disco era circondato dall’oceano e
ricoperto dalla calotta dei cieli, e – a giudicare dai frammenti dei presocratici*,
talora imprecisi e contraddittori a seconda delle testimonianze – per Talete era
un disco piatto; per Anassimandro aveva la forma di un cilindro e Anassimene
parlava di una superficie piatta, contornata dall’oceano, che navigava su una
sorta di cuscino di aria compressa.
Mappa a T, da La Fleur des Histoires, 1459-1463, Paris, Bibliothèque Nationale de France
Solo Parmenide pare ne avesse intuito la sfericità e Pitagora la riteneva
sferica per ragioni mistico-matematiche. Su osservazioni empiriche si erano
invece basate le successive dimostrazioni della rotondità della terra, e si vedano
i testi di Platone* e Aristotele*.
Dubbi sulla sfericità sopravvivono in Democrito ed Epicuro, e Lucrezio
nega l’esistenza degli Antipodi, ma in generale per tutta l’antichità posteriore la
sfericità della terra non viene più discussa. Che la terra fosse tonda lo sapeva
naturalmente Tolomeo, altrimenti non avrebbe potuto dividerla in
trecentosessanta gradi di meridiano, e lo sapeva Eratostene, che nel III secolo
a.C. aveva calcolato con una buona approssimazione la lunghezza del meridiano
terrestre, considerando la diversa inclinazione del sole, a mezzogiorno del
solstizio di estate, quando si rifletteva nel fondo dei pozzi di Alessandria e di
Syene, di cui si sapeva la distanza reciproca.
Malgrado molte leggende, che ancora circolano su Internet, tutti gli
studiosi del Medioevo sapevano che la terra era una sfera. Anche uno studente
di prima liceo può facilmente dedurre che, se Dante entra nell’imbuto infernale
ed esce dall’altra parte vedendo stelle sconosciute ai piedi della montagna del
Purgatorio, questo significa che egli sapeva benissimo che la terra era tonda. Ma
della stessa opinione erano stati Origene e Ambrogio, Alberto Magno e Tommaso
d’Aquino, Ruggero Bacone, Giovanni di Sacrobosco, tanto per citarne alcuni.
Nel VII secolo Isidoro di Siviglia (che pure non era un modello di acribia
scientifica) calcolava la lunghezza dell’equatore in ottantamila stadi. Chi si pone
il problema della lunghezza dell’equatore ovviamente sa e crede che la terra sia
sferica. Tra l’altro la misura di Isidoro, sia pure approssimativa, non si discosta
moltissimo da quelle attuali.
Allora perché si è a lungo creduto, e ancora oggi molti lo credono,
persino autori di libri molto seri sulla storia della scienza, che il mondo cristiano
delle origini si fosse allontanato dall’astronomia greca e fosse tornato all’idea
della terra piatta?
Si provi a fare un esperimento, e si domandi a una persona anche colta
che cosa Cristoforo Colombo volesse dimostrare quando intendeva raggiungere il
levante per il ponente, e che cosa i dotti di Salamanca si ostinassero a negare. La
risposta, nella maggior parte dei casi, sarà che Colombo riteneva che la terra
fosse rotonda, mentre i dotti di Salamanca ritenevano che la terra fosse piatta e
che dopo un breve tratto le tre caravelle sarebbero precipitate dentro l’abisso
cosmico.
Sandro Botticelli, La voragine infernale, illustrazione per la Divina commedia, 1480 ca., Città del
Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana
Il pensiero laico ottocentesco, irritato dal fatto che varie confessioni
religiose stessero opponendosi all’evoluzionismo, ha attribuito a tutto il pensiero
cristiano (patristico e scolastico) l’idea che la terra fosse piatta. Si trattava di
dimostrare che, come si erano sbagliate circa la sfericità della terra, così le
chiese potevano sbagliarsi circa l’origine delle specie. Si è quindi sfruttato il
fatto che un autore cristiano del IV secolo come Lattanzio (nel suo Divinae
institutiones), siccome nella Bibbia l’universo viene descritto sul modello del
Tabernacolo, e quindi in forma quadrangolare, si opponesse alle teorie pagane
della rotondità della terra, anche perché non poteva accettare l’idea che
esistessero degli Antipodi dove gli uomini avrebbero dovuto camminare con la
testa all’ingiù.
Infine, era stato scoperto che un geografo bizantino del VI secolo,
Cosma Indicopleuste*, in una sua Topografia cristiana , sempre pensando al
tabernacolo biblico, aveva sostenuto che il cosmo fosse rettangolare, con un arco
che sovrastava il pavimento piatto della Terra. Nel modello di Cosma la volta
ricurva rimane celata ai nostri occhi dallo stereoma, ovvero dal velo del
firmamento.
Ricostruzione del cosmo in forma di tabernacolo, dalla Topografia cristiana di Cosma
Indicopleuste
Sotto si stende l’ecumene, ovvero tutta la terra sui cui abitiamo, che
poggia sull’oceano e monta per un declivio impercettibile e continuo verso nordovest, dove si erge una montagna talmente alta che la sua presenza sfugge al
nostro occhio e la sua cima si confonde con le nubi. Il sole, mosso dagli angeli – a
cui si debbono anche le piogge, i terremoti e tutti gli altri fenomeni atmosferici –
passa al mattino da oriente verso il meridione, davanti alla montagna, e illumina
il mondo, e alla sera risale a occidente e scompare dietro la montagna. Il ciclo
inverso viene compiuto dalla luna e dalle stelle.
Come ha dimostrato Jeffrey Burton Russell (1991), molti libri
autorevoli di storia dell’astronomia, ancora studiati nelle scuole, asseriscono che
le opere di Tolomeo rimasero ignote a tutto il Medioevo (il che è storicamente
falso) e che la teoria di Cosma divenne l’opinione prevalente sino alla scoperta
dell’America. Ma il testo di Cosma, scritto in greco (una lingua che nel Medioevo
cristiano conoscevano solo pochi traduttori interessati alla filosofia aristotelica)
fu reso noto al mondo occidentale solo nel 1706 e pubblicato in inglese nel 1897.
Nessun autore medievale lo conosceva.
Come si è potuto sostenere che il Medioevo considerasse la terra un
disco piatto? Nei manoscritti di Isidoro di Siviglia (che pure, l’abbiamo visto,
parlava dell’equatore) appare la cosiddetta mappa a T dove la parte superiore
rappresenta l’Asia, in alto, perché in Asia stava secondo la leggenda il paradiso
terrestre, la barra orizzontale rappresenta da un lato il mar Nero e dall’altro il
Nilo, quella verticale il Mediterraneo, per cui il quarto di cerchio a sinistra
rappresenta l’Europa e quello a destra l’Africa. Tutto intorno sta il gran cerchio
dell’oceano.
Mappa a T, da Bartolomeo Anglico, De proprietatibus rerum, 1372
L’impressione che la terra fosse vista come un cerchio è data anche
dalle mappe che appaiono nei commentari all’Apocalisse di Beato di Liébana, un
testo scritto nell’VIII secolo ma che, illustrato da miniatori mozarabici nei secoli
successivi, ha largamente influenzato l’arte delle abbazie romaniche e delle
cattedrali gotiche – e il modello si ritrova in innumerevoli altri manoscritti
miniati. Come era possibile che persone che ritenevano la terra sferica facessero
mappe dove si vedeva una terra piatta? La prima spiegazione è che lo facciamo
anche noi. Criticare la piattezza di queste mappe sarebbe come criticare la
piattezza di un nostro atlante contemporaneo. Si trattava di una forma ingenua
e convenzionale di proiezione cartografica.
Mappamondo, da L’Apocalisse di San Severo, 1086, Paris, Bibliothèque Nationale de France
Particolare dalla Tabula Peutingeriana, copia del XII secolo
Ma dobbiamo tenere in considerazione altri elementi. Il primo ci viene
suggerito da sant’Agostino, il quale ha ben presente il dibattito aperto da
Lattanzio sul cosmo a forma di tabernacolo, ma al tempo stesso conosce le
opinioni degli antichi sulla sfericità del globo. La conclusione di Agostino è che
non bisogna lasciarsi impressionare dalla descrizione del tabernacolo biblico
perché, si sa, la Sacra Scrittura parla spesso per metafore, e forse la terra è
sferica. Ma siccome sapere se sia sferica o no non serve a salvarsi l’anima, si può
ignorare la questione. Questo non vuole dire, che, come è stato sovente
insinuato, non ci fosse un’astronomia medievale. Tra XII e XIII secolo vengono
tradotti l’Almagesto di Tolomeo e poi il De cœlo di Aristotele. Come tutti
sappiamo, una delle materie del Quadrivio insegnato nelle scuole medievali era
l’astronomia, ed è del XIII secolo quel Tractatus de sphaera mundi di Giovanni di
Sacrobosco che, ricalcato su Tolomeo, costituirà una autorità indiscussa per
alcuni secoli a venire.
Mappa da Lucas Brandis, Rudimentum Novitiorum, Lübeck 1475, Oxford, Oriel College Library
Ma il Medioevo era epoca di grandi viaggi, con le strade tuttavia in
disfacimento, foreste da attraversare e bracci di mare da superare fidandosi di
qualche scafista dell’epoca, non c’era possibilità di tracciare mappe adeguate.
Esse erano puramente indicative, come le istruzioni della Guida dei pellegrini a
Santiago di Compostela, e dicevano a un dipresso: “Se vuoi andare da Roma a
Gerusalemme procedi verso sud e chiedi strada facendo.” Ora cercate di pensare
alla carta delle linee ferroviarie che si trova nei vecchi orari. Nessuno da quella
serie di nodi, in sé chiarissima se si deve prendere un treno da Milano a Livorno
(e apprendere che si dovrà passare per Genova), potrebbe estrapolare con
esattezza la forma dell’Italia. La forma esatta dell’Italia non interessa chi deve
andare alla stazione. I romani avevano tracciato una serie di strade che
connettevano ogni città del mondo conosciuto, ma ecco come queste strade
venivano rappresentate nella mappa detta Peutingeriana, dal nome di chi nel
Quattrocento l’aveva riscoperta. La parte superiore rappresenta l’Europa, quella
inferiore l’Africa, ma siamo esattamente nella situazione della mappa
ferroviaria. Da questa mappa si possono vedere le strade, da dove partono e dove
arrivano, ma non si indovina affatto né la forma dell’Europa né quella del
Mediterraneo né quella dell’Africa. Certamente i romani dovevano avere
nozioni geografiche assai più precise, perché nel Mediterraneo navigavano in
lungo e in largo, ma nel tracciare quella mappa ai cartografi non interessava la
distanza tra Marsiglia e Cartagine bensì la notizia che c’era una strada che
collegava Marsiglia a Genova.
Per il resto i viaggi medievali erano immaginari. Il Medioevo produce
enciclopedie, Imagines mundi che cercano maggiormente di soddisfare il gusto del
meraviglioso, raccontando di paesi, lontani e inaccessibili, e questi libri sono
tutti scritti da persone che non avevano mai visto i luoghi di cui parlavano,
perché la forza della tradizione allora contava più che l’esperienza. Una mappa
non intendeva rappresentare la forma della terra ma elencare le città e i popoli
che si potevano incontrare.
La carta del mondo secondo Hartmann Schedel, in Liber Chronicarum, Nürnberg 1493
Ancora, la rappresentazione simbolica contava più della
rappresentazione empirica. Nella mappa dal Rudimentum Novitiorum del 1475
quello che preoccupa il miniatore è di rappresentare Gerusalemme al centro
della terra, non come si arriva a Gerusalemme. Tutto questo mentre mappe dello
stesso periodo rappresentano già piuttosto bene l’Italia e il Mediterraneo.
Ultima considerazione, le mappe medievali non avevano funzione
scientifica, ma rispondevano alla richiesta di favoloso da parte del pubblico,
vorrei dire nello stesso modo in cui oggi riviste in carta patinata ci dimostrano
l’esistenza dei dischi volanti e in televisione ci raccontano che le Piramidi sono
state costruite da una civiltà extraterrestre. Nella mappa della Cronica di
Norimberga, che pure è del 1493, accanto a una rappresentazione
cartograficamente accettabile, vengono rappresentati i mostri misteriosi che si
ritenevano abitare quelle contrade.
D’altra parte la storia dell’astronomia è curiosa. Un grande materialista
come Epicuro coltivava una idea che è sopravvissuta a lungo tanto che ne
discute ancora Gassendi nel XVII secolo, e che in ogni caso è testimoniata dal De