aprile - maggio 2005 - Provincia di Modena
Transcript
aprile - maggio 2005 - Provincia di Modena
SEMINARI PET THERAPY aprile - maggio 2005 Seminari ideati e organizzati da Assessorato alla Sanità, Politiche sociali e delle Famiglie, Associazionismo e Volontariato della Provincia di Modena Assessore Maurizio Guaitoli Coordinamento Dott.ssa Eleonora Bertolani Tavolo tecnico Provinciale Pet Therapy: Dott. Marcello Burgoni direttore Servizio Socio Sanitario Azienda USL di Modena Dott.ssa Annalisa Lombardini Servizio veterinario InforMo Castelnuovo Rangone Azienda USL Modena Antonella Bardani Responsabile Settore Handicap Adulto Distretto di Pavullo Azienda USL Modena Dott. Marco Piccinini Dirigente Medico Psichiatria Distretto di Modena Azienda USL Modena Monica Patroncini Centro Cinofilo Cangrande Bagnolo in Piano (RE) Dott.ssa Daniela Grenzi Associazione Lune Nuove Modena Dott.ssa Angela Spampanato Comune di Modena Editing, grafica e impaginazione: HEIDI progetti di comunicazione www.heidicomunicazione.com Convegno sulla Pet Therapy L’ Assessorato alla Sanità, Politiche sociali e delle Famiglie, Associazionismo e Volontariato della Provincia di Modena ha organizzato nei mesi di aprile e maggio 2005 il Convegno intitolato “Pet Therapy”. L’evento era articolato in una serie di sette seminari tenuti da esperti veterinari, educatori, addestratori, medici, che hanno affrontato diverse tematiche legate a tale attività ed evidenziato come essa abbia applicazioni significative in varie realtà più o meno problematiche: dall’ospedale psichiatrico alle strutture residenziali per anziani, dalle scuole materne alle carceri. L’apporto ora “terapeutico”, ora educativo della relazione uomo animale riserva aspetti importanti che, nel tentativo di allargare e diversificare gli interventi di supporto e aiuto in situazioni cruciali e diffuse della nostra società, reclamano il diritto di essere studiati con attenzione e serio approccio scientifico, onde trovare cittadinanza nel panorama delle specializzazioni scientifiche. Le pagine che seguono, pur mancando del sostegno fotografico e documentario di cui molte relazioni si sono servite, sono un estratto degli interventi dei relatori, che ricalca il più possibile fedelmente il programma del corso. Presentazione H o appoggiato e condiviso fortemente l’idea di un corso dedicato alla Pet Therapy, perchè ritengo che la nostra provincia sia in Italia uno dei punti di riferimento più avanzati in questo tipo di sperimentazione terapeutica. I seminari, che caratterizzano il corso, si fondano su esperienze consolidate, il cui scopo principale è quello di dar vita a un confronto tra gli operatori e le persone interessate per fare un salto di qualità. Il nostro desiderio più grande è infatti quello di poter estendere ad altri in Italia la nostra esperienza, considerati i risultati positivi che la P.T. può vantare. Un altro impegno dell’Assessorato è garantire la creazione di un gruppo di lavoro qualificato e permanente che si dedichi all’assistenza nella creazione di singoli progetti locali e alla formazione di professionalità operative in tale settore. Come si sa e come emergerà dagli interventi, non esiste un corso di studi né di scuola superiore, né universitario, che rilasci attestati, diplomi o lauree di idoneità all’esercizio della Pet Therapy, non essendo ancora tale pratica terapeutica validata come tale da un punto di vista scientifico. Il nostro impegno non pretende di colmare a livello ufficiale tale carenza, tuttavia potrebbe significare un primo passo verso l’istituzione di corsi adeguati e studiati in sede Ministeriale. Con questo impegno da parte della Provincia, di tutti gli Enti e le Istituzioni pubbliche che hanno collaborato alla realizzazione del seminario auguro buon lavoro. Maurizio Guaitoli (Assessore provinciale alla Sanità, Politiche sociali e delle famiglie, Associazionismo e Volontariato) Seminario n°1 – Lunedì 4 aprile 2005 IL METODO E LE LINEE OPERATIVE DI ZOOANTROPOLOGIA APPLICATA “ GLI ASPETTI NORMATIVI AFFERENTI ALLA PET THERAPY” Annalisa Lombardini – Servizio Veterinario Azienda USL di Modena I l termine Pet Therapy (P.T.), coniato da Boris Levinson nel testo “The dogs as a cotherapist” e indicante il beneficio assistenziale-terapeutico nelle situazioni di interazione dell’uomo con un animale, ha dato luogo a equivoci. Al mutato concetto di salute - non più assenza di malattie, bensì stato di completo benessere psicofisico secondo OMS - si accompagna quello di terapia nella sua accezione più ampia di “cura”. In questo ambito va collocata la Pet Therapy, che comprende le AAA (attività assistite dagli animali) e le TAA (terapie assistite dagli animali), secondo le classificazioni dell’Istituto Zooprofilattico di Teramo, riprese dalla statunitense Delta Society. Le AAA sono interventi educativi, ricreativi e/o terapeutici che hanno lo scopo di migliorare la qualità della vita, erogati in ambienti vari da professionisti e/o volontari insieme ad animali; non hanno obiettivi specifici e non rientrano nell’obbligo di conservazione dei dati. Le TAA sono interventi con obiettivi specifici predefiniti, volti alla risoluzione di problematiche fisiche, emotive, razionali, comportamentali, educativo-cognitive ecc. e nei quali gli animali, diretti da professionisti, sono parte integrante del trattamento e dei quali è obbligatorio tenere una documentazione. In sostanza non basta avere un animale per fare P.T.. Quanto alla normativa, il Decreto del Presidente del Consiglio del 28 febbraio 2003 recepisce l’accordo Stato e Regioni a proposito dell’ingresso nelle strutture per anziani degli animali, anche se non risulta che alcuna regione abbia accolto l’invito. La legge regionale dell’Emilia Romagna n°5 del 17 febbraio 2005 che tratta le norme a tutela del benessere degli animali definisce animali da P.T. quelli che svolgono attività utili all’uomo. Un importante passo verso l’affrancamento dallo spontaneismo della metodica e la sua operatività scientifica, è costituito da Carta Modena, un documento che traccia le linee guida della P.T. , ne definisce valori e principi. Carta Modena, redatta dalla Usl modenese, dai Comuni di Modena e Formigine e altre istituzioni e realtà del territorio, ha avuto il patrocinio del Ministero della Salute, dell’Università degli Studi di Bologna, dell’Istituto Zooprofilattico del Molise, della federazione degli Ordini Professionali e della Scivac. 3 “ LE LEVE OPERATIVE IN ZOOANTROPOLOGIA APPLICATA. LA DEFINIZIONE DEGLI OBIETTIVI NEI PROGETTI DI PET THERAPY” Roberto Marchesini – Medico Veterinario Università degli Studi di Bologna P remessa fondamentale è che le attività di zooantropologia utilizzano la relazione uomo-animale; l’animale è coinvolto, non utilizzato, come accade nella zootecnia. Tale relazione produce degli effetti (=referenze) che permettono di stabilire un percorso che può essere educativo (zooantropologia didattica o Pet Education) oppure assistenziale (zooantropologia assistenziale o Pet Therapy). Nelle attività di zooantropologia l’animale non deve essere antropomorfizzato, ma riconosciuto e apprezzato per le sue diversità e in quanto produttore di prospettive diverse, sciolto da regole peculiari soltanto al rapporto interumano. In sintesi la zooantropologia si fonda su tre principi: 1)relazione referenziale uomoanimale; 2) l’animale è un referenza specifica diversa dall’uomo; 3) l’uomo ha bisogno di tale diversità. Prima di affrontare il tema dell’effetto beneficiale della relazione uomo animale, occorre definire le dimensioni di tale relazione. C’è la relazione incontro-confronto non-affiliativo, es. un cane va a trovare un anziano; c’è la relazione affiliativa, es. il rapporto tra una persona e il suo cane (pet ownership), infine c’è la relazione di pet partnership, ovvero la conoscenza perfetta tra padrone e cane e la capacità di lavorare insieme, anche attraverso il consolidarsi di Script, ossia di comportamenti complessi standardizzati e riferiti a situazioni particolari. Per beneficialità in P.T. si intendono 4 cose: il benessere (saper rispondere agli stimoli, essere in linea con le motivazioni personali), l’integrazione ( uscire dall’isolamento e saper creare contatti con gli altri), l’assistenza generica (favorire l’autonomia) e la coadiuvazione (azione sinergica con altri interventi che ne aumentano l’efficacia). Se l’individuazione dei livelli di beneficialità sono registrati dalle figure di riferimento (i professionisti che hanno in carico un potenziale fruitore di P.T.), è il team prescrittivo di un eventuale intervento di P.T. che individua gli obiettivi plausibili auspicabili. Sulla base degli obiettivi plausibili auspicabili inizia la fase di prescrizione, quella che individua le dimensioni di relazione prescritte e le dimensioni di relazione proscritte. Il passo successivo è quello di pianificare l’intervento sulla base di una attenta valutazione dell’ambiente. Le sedute possono essere di due tipi: le attività referenziali che fanno riferimento all’animale, ma che non lo coinvolgono e le attività relazionali che coinvolgono 4 l’animale; le attività referenziali nell’ambito della pet education in genere precedono le attività relazionali e sono preparatorie. Un’attività preparatoria può essere simulativa (si simula un incontro e si stabilisce cosa dovrà fare il bambino) oppure propedeutica (si lavora sulle dotazioni esperienziali del bambino). Nella pet therapy le attività referenziali non solo precedono, ma sono utili anche come accompagnamento alle attività relazionali. Le attività referenziali sono di diverso tipo: di manipolazione, di mimo, di motricità motoria, somatostatiche come lo yoga, somatomotorie come la ginnastica; ci sono attività di tipo percettivo, espressivo, di drammatizzazione. Le attività di tipo relazionale sono quelle che coinvolgono l’animale. Esse hanno livelli di complessità e di articolazione diversi a seconda del grado di interazione che c’è tra il fruitore e l’animale. Il livello più semplice è rappresentato dalle attività di osservazione, vale a dire che il fruitore osserva una presentazione oggettiva-soggettiva dell’animale, oppure la relazione che c’è tra il conduttore e l’animale, una dimostrazione, o ancora una attività libera che il cane realizza. Le attività osservative sono utili quando il fruitore non è in grado di entrare in contatto diretto con l’animale e quando la competenza è ancora poca; osservare può facilitare i processi di controllo emozionale, di equilibrio emotivo ecc. e anche abituare a socializzare con l’animale. Ci sono le attività di interazione guidata, ossia l’insieme di modalità con le quali si entra in contatto con un animale guidando letteralmente la mano del fruitore: come si dà un bocconcino, come si fa una carezza. Le attività di interazione guidata sono molto utili quando si lavora con bambini autistici per i quali è molto diffcile una manualità corretta. Spesso in questo tipo di attività è assolutamente indispensabile che ci siano due operatori, uno che guida la mano del fruitore e uno che controlla l’animale. Ci sono inoltre le attività gestionali, che si usano dove c’è una maggiore vicinanza tra il fruitore e il cane: spazzolare, dar da mangiare, accarezzare, fare un piccolo percorso cino-sportivo, una piccola passeggiata al guinzaglio, impostare un gioco. Ci sono anche attività gestionali più complesse, denominate performative, che si fanno solamente in progetti a lungo termine. Il team operativo deve essere formato sulle caratteristiche dei fruitori; gli operatori devono sapere se andranno in un asilo, in un ospedale psichiatrico, in carcere, ecc. Una seduta deve avere innanzitutto la dimensione della relazione, che a sua volta può essere ludica, epistemica, affettiva, edonica, sociale. Ogni area dimensionale ha degli specifici referenziali; per esempio la dimensione ludica è una dimensione di interscambio all’interno di una cornice di gioco, ma naturalmente il gioco è diverso se è performativo, se è un gioco di finzione, o se è semplicemente un gioco per sol5 lecitare il riso. Per questa ragione ci sono diverse dimensioni: la dimensione ludico performativa, ludico cognitiva, ludico comica; in genere le dimensioni ludiche aumentano l’attivazione del soggetto ed è sicuramente la dimensione migliore nell’ambito della pet education. La dimensione epistemica può essere esplorativa (osservare il mondo, l’animale ecc) o centripetativa, basata sull’autonarrazione, sull’indagine del sè, sulla costruzione biografica; la dimensione epistemica aumenta la capacità di significazione del soggetto. La dimensione affettiva si divide nella dimensione di attaccamento e nella dimensione epimeletica. La prima fa in modo che il cane funga da base sicura per il fruitore sostenendo il suo contatto con l’esterno; è una dimensione adatta per aumentare l’autostima del soggetto. La dimensione affettiva epimeletica si basa sui meccanismi di auto efficacia: il bambino che si prende cura dell’animale si sente più capace e aumenta la sua autostima attraverso meccanismi di autoefficacia, inoltre la dimensione epimeletica tonifica l’area della cura, della diligenza, della dedizione, dell’altruismo, dell’organizzazione, dell’acquisizione di metodo. La dimensione edonica si basa sul piacere; può essere di due tipi, centrifugativa o estetica, e centripetativa o narcisistica. 6 Seminario n°2 - Giovedì 14 aprile 2005 ATTIVITÀ E TERAPIE ASSISTITE DAGLI ANIMALI E DISABILITÀ “ IL RUOLO DELLE AAA/TAA NEI PROGETTI EDUCATIVI PER DISABILI” Daniela Grenzi – Associazione Lune Nuove di Modena Anna Pezzullo – Istituto Charitas di Modena L a relazione si concentra sul tema della programmazione degli interventi di P.T. e si completa con la visione di un filmato realizzato nell’Istituto residenziale Lune Nuove, che ospita portatori di handicap grave e gravissimo. La programmazione di un intervento in una struttura inizia dall’analisi delle risorse a disposizione, poichè qualsiasi attività si intenda programmare non riguarda esclusivamente il diretto beneficiario, ma deve essere condivisa e valorizzata da tutte le risorse che lo circondano: i familiari, gli operatori interni ed esterni, il luogo, il tempo, il metodo. L’elaborazione di un progetto di intervento personalizzato non può prescindere da due dimensioni fondamentali che riguardano il beneficiario: la dimensione biologica e corporea (le abilità motorie e psicomotorie) e la dimensione psicologica (le capacità di socializzazione, di comunicazione, gli interessi e le motivazioni, le emozioni e le percezioni). Un progetto può coinvolgere più abilità; inoltre il raggiungimento di un obiettivo può avere effetti anche al di fuori della seduta, imparando delle modalità applicabili in altri contesti. Un altro fattore legato alla programmazione sono gli aspetti contingenti: la tipologia dell’utente, il numero degli utenti, lo spazio e la dotazione di strumenti operativi. Vanno considerate inoltre le linee terapeutiche su cui operare, che possono essere di due tipi: la comunicazione e l’esperienza. La prima coinvolge tutti i poli del progetto (team operativo, operatori della struttura e soggetti beneficiari); nel rapporto tra questi soggetti tutto deve essere programmato anche negli atti più semplici e formali, verificato in itinere e documentato. Per quanto riguarda il rapporto tra utente e animale la comunicazione si basa su istinti spontanei e capacità innate di grande efficacia, mentre quello tra team terapeutico e utente si fonda invece sull’ascolto. Per quanto concerne l’esperienza, è fondamentale la tipologia dell’utente, poiché a 7 diverse capacità cognitive, comportamentali, psicofisiche e motorie corrispondono differenti livelli di risultati. Viene riferito del lavoro svolto su due gruppi: il gruppo A formato da 6 soggetti con handicap grave e invalidante delle aree motorie, cognitive e comunicative, che ha richiesto un percorso individualizzato mirato sull’impatto visivo, le interazioni motorie, la comunicazione gestuale, corporea e sensoriale; il gruppo B formato da 8 soggetti con deficit meno gravi, che ha attuato un percorso di gruppo, di socializzazione, di gioco e di relazione con risultati importanti anche dal punto di vista dell’astrazione e della generalizzazione. “ L’ESPERIENZA A FAVORE DI DISABILI ADULTI DEL DISTRETTO DI PAVULLO. PROGETTO PROMOSSO E FINANZIATO DALL’ANFFAS DI PAVULLO PRESSO LA FATTORIA DEL PARCO DI GORZANO” Lorena Carraro – Resp. delle attività assistite della Fattoria del Parco di Gorzano L a Fattoria del Parco è una cooperativa sociale di tipo B che prevede inserimenti lavorativi di persone svantaggiate e che fornisce dei servizi come le attività con gli animali o la ricreazione ed educazione equestre. La Fattoria è un luogo dove uno dei principi più importanti è il rispetto della natura. E’ un luogo aperto a tutti, dove anziani, bambini, persone diversamente abili possono trovare un posto dove stare bene. E’ un luogo in cui gli animali sono dolcemente addomesticati, perchè tutti sono cresciuti in fattoria a contatto con molte persone, dunque ben disposti verso gli estranei. Sono gli utenti a recarsi in loco, anche se talvolta si organizzano interventi in struttura per poi passare in Fattoria. Gli animali sono quasi tutti di campagna e sono considerati operatori al pari degli uomini. La varietà di animali permette a ogni ospite di entrare in contatto con l’animale con cui ha più feeling. Le attività vengono svolte tutte all’aria aperta. Ogni specie vive libera in ampi recinti collegati da un camminatoio percorribile anche in carrozzina. L’habitat degli animali fornisce una vastissima gamma di stimolazioni sensoriali: tattili, olfattive, visive, acustiche e affettivo-emozionali. Tutta l’attività si basa sulla cura e sul rispetto degli animali: pulire i loro recinti, spazzolarli, dar loro da mangiare, conoscerne il comportamento, sperimentare la nascita e la crescita dei cuccioli. Dopo la prima fase di conoscenza che di norma si verifica nella prima seduta, inizia la fase di osservazione, durante la quale si cerca di capire le reazioni, i timori o le preferenze per poter individuare la tipologia delle attività da proporre e creare quindi un progetto educativo individualizzato e la valutazione di percorsi successivi. 8 Elena Lambertini – Coordinatrice Centri Diurni per disabili L a relatrice fa riferimento, oltre alla Fattoria, al centro semiresidenziale Bucaneve 1, caratterizzato dalla presenza di persone diversamente abili con un handicap medio grave e grave, e alla Casa della Mariola di Montecreto, che ospita utenti con deficit differenziati di tipo psichico e di tipo fisico e con età variabile dai 20 fino ai 57 anni. Le iniziative per tutti e tre i centri sono state promosse dall’ ANFFAS. Le ragioni che hanno portato alla scelta del progetto della Fattoria del Parco sono molte. La prima è legata al contesto ambientale: aperto, disponibile e molto familiare per gli utenti che vivono in ambienti simili. Tra gli obiettivi c’è la promozione dell’autostima e l’acquisizione di semplici autonomie. Una persona che porta un secchio può sembrare una situazione banale, semplice, in realtà comporta una serie di stimolazioni e di capacità, molto importanti sia a livello motorio, sia cognitivo, sia di acquisizione di un’ autonomia, ossia la possibilità di riproporre la medesima azione anche in altri contesti più quotidiani o diversi da quello della fattoria. Si acquisiscono anche semplici regole di consapevolezza dello stare a contatto con un animale, insegnate dal tecnico operatore: non porsi mai dietro un asino o a un cavallo perchè può scalciare, non avvicinarsi mai all’animale in maniera violenta o invasiva. Tutti i ragazzi coinvolti nel progetto hanno un’esperienza di vita legata a contesti simili a quelli della Fattoria, determinanti per rievocare esperienze già vissute e per contrastare l’isolamento. Per tutti e tre i servizi coinvolti nell’esperienza gli incontri avvengono con piccoli gruppi di 4 o 5 ragazzi che vengono condotti dagli educatori e dagli operatori dei vari servizi presso la Fattoria del Parco; in genere gli incontri hanno una durata di circa un’ ora e una frequenza settimanale. I condizionamenti climatici, che spesso limitano la continuità di intervento rispetto agli incontri previsti, ha determinato la necessità di dotarsi di sale polivalenti dove sia possibile svolgere le attività, adattandole alle esigenze degli animali che non si troveranno più in un ambiente naturale. Inoltre, nonostante gli animali siano dolcemente addomesticati, possono avere reazioni diverse in situazioni imprevedibili, che necessitano della presenza costante di un tecnico, per quanto riguarda la conoscenza degli animali, e degli operatori per quanto riguarda la conoscenza dei ragazzi. Un’ ulteriore difficoltà è legata all’evoluzione del rapporto tra gli animali e gli ospiti. Può capitare che i ragazzi si leghino particolarmente ad alcuni degli animali presenti in fattoria, e che questi per motivi vari non siano più presenti. La gestione di queste situazioni va attuata con molta attenzione, scegliendo animali particolari che possono ridurre eventualità di questo tipo. 9 “ LA VALUTAZIONE DELLE ESPERIENZE DELLE AAA/TAA NEGLI INTERVENTI PER DISABILI COORDINATI DALL’ AZIENDA USL DI MODENA” Nazarena Lancellotti – Operatore Pet Therapy D opo avere riassunto e schematizzato le fasi di strutturazione di un progetto di intervento, la relazione considera il tema della valutazione. Essa si attua attraverso due criteri: i test psicodiagnostici e le griglie di osservazione. I primi costituirebbero il metodo ideale ove fosse possibile una loro applicazione corretta e costante, ma le carenze strutturali, organizzative ecc. ne rendono arduo l’utilizzo. Si fa ricorso invece alle griglie di osservazione e alle video registrazioni degli interventi. Le griglie di osservazione sono schemi sia concettuali sia pratici prestabiliti, ma adattabili a situazioni diverse, a patologie di partenza diverse, e finalizzati all’analisi di un comportamento e/o di uno stato emotivo, emozionale ecc., alla verifica degli stadi di miglioramento e di progresso dell’utente e alla correzione del percorso di P.T. in base ai risultati ottenuti fase dopo fase. Nell’esposizione della relazione seguono esempi di griglie di osservazione, illustrate e spiegate attraverso la visione di slides; dall’analisi dettagliata si evince che uno stesso tipo di intervento possa attuarsi a diversi stadi del percorso e avere significati differenti secondo lo stato psicofisico del fruitore. Altro strumento di valutazione sono le videoregistrazioni, determinanti per l’aggiornamento di un team operativo multidisciplinare. Non è operativamente possibile che tutti i componenti di un team siano presenti a tutte le sedute contemporaneamente: la visione delle registrazioni permette di vedere i progressi e confrontare i dati. Non solo. Rivedere le sedute permette sia di analizzare molte variabili altrimenti difficilmente valutabili in corso di seduta, sia di non disperdere alcun dato utile. Silvia Campana – Coordinatrice Centri diurni per disabili L’ intervento si concentra sulle esperienze maturate all’interno di due centri diurni per disabili adulti, il Centro Arcobaleno e il centro Girasole di Castefranco Emilia, che da molti anni realizzano progetti di attività assistita con animali. In particolare si fa riferimento a un progetto realizzato nel 2004. Nel primo centro si è lavorato su persone con disabilità media, buoni livelli di autonomia e capacità motorie integre; nel secondo su persone con disabilità gravi e gravissime, con compromissione importante dell’autonomia di base e del movimento 10 e gravi deficit di comunicazione e di relazione. L’intervento affronta il tema della valutazione in un’ottica diversa, ossia quella di un operatore interno, che utilizza modalità meno asettiche e meno scientifiche, ma molto più coinvolgenti dal punto di vista della relazione costante con i fruitori del progetto. Fare valutazione in questo caso significa considerare il raggiungimento degli obiettivi educativi prefissati rispetto a ciascun ospite e soprattutto della capacità di astrazione e di generalizzazione di un comportamento. Anche in queste esperienze occorre un dialogo tra il team operativo esterno e i responsabili interni, una figura fissa di riferimento che possa tenere le fila del percorso stabilito e la verbalizzazione degli incontri come strumento di analisi, di verifica, di accertamento e aggiustamento in itinere. Attraverso la descrizione di singoli casi, la relatrice descrive obiettivi individuali e percorsi adeguati al raggiungimento degli stessi. Ad esempio raggiungere uno stadio di socializzazione accettabile in un individuo affetto da autismo e deficit motori gravi, oppure sollecitare la cura di sé e l’autonomia in soggetti chiusi con medie difficoltà motorie. A questi obiettivi si è risposto con attività assistite con animali mirate, nelle quali gli animali erano il tramite, il mezzo, la chiave per ottenere un progresso. Lejla Valeri – Istituto Zooprofilattico di Teramo L a relazione chiude i lavori della giornata illustrando l’esperienza di Teramo come primo centro italiano operativo in ambito di P.T. La storia dell’Istituto, legata all’esperienza della Delta Society statunitense, nasce da valutazioni fatte sul campo e legate all’analisi dei benefici che anche un rapporto casuale con gli animali ha sempre dato a disabili, bambini, anziani ecc, stimolandone la curiosità, la fantasia, l’emotività. Da questo primo passo evidenziato dai veterinari, si è pensato di sistematizzare la materia coinvolgendo altri esperti, psicologi, istruttori, psicoterapeuti. A questo sono seguiti interventi in diversi ambiti di disagio e di patologia. L’utilità a fini terapeutici della P.T. sembra essere indiscussa tra gli operatori, ma necessita di scientificità, di criteri fondanti riconoscibili e riconosciuti a livello scientifico e sperimentale tali da non lasciare spazio alla casualità tra gli scettici e i profani. La disciplina è nuova e ancora in fase di definizione, ma rivela sul campo ottime prospettive. E se da un lato occorre schematizzare gli interventi per garantire buoni livelli di strutturazione, dall’altra è necessario non dimenticare il benessere degli animali per non perdere il grado di spontaneità che sottende un rapporto uomo-animale. Il coinvolgimento familiare infine risulta determinante per una valutazione complessiva dei progressi, delle reazioni, delle conquiste di ciascun intervento operativo. 11 Seminario n°3 - Martedì 19 aprile 2005 LA PET THERAPY NELLA RIABILITAZIONE E CURA DEL PAZIENTE PSICHIATRICO INTRODUZIONE Giancarlo Gibertoni – CSM di Pavullo n/F L’ intervento affronta il tema della riabilitazione psichiatrica definendone in primo luogo il significato generico, quindi in relazione alla P.T. . Il modello cui fa riferimento la riabilitazione psichiatrica è quello di stressvulnerability-coping competente, un modello che tiene conto delle interazioni di fattori bio-psico-sociali. In altre parole il modello vuole spiegare, a seconda della vulnerabilità di ciascun individuo, l’azione degli stress sulle sue capacità di adattamento, evidenziando, qualora si superino i livelli di adattamento, alterazioni delle competenze e dunque dei sintomi patologici. Sulla base di questo modello l’intervento riabilitativo agisce sulle capacità di adattamento. La riabilitazione psichiatrica è un processo terapeutico specifico, fondato su criteri precisi orientati a migliorare la qualità della vita e misurati su obiettivi raggiungibili, uno per tutti l’empowerment. In sostanza un rafforzamento delle capacità, delle potenzialità e delle opportunità del paziente sempre più orientate verso attività spendibili da un punto di vista sociale. In questo quadro anche la P.T. rientra come approccio possibile alla riabilitazione psichiatrica. “LA RIABILITAZIONE PSICHIATRICA” Giovanni Neri – Resp. Servizio Salute Mentale Regione Emilia-Romagna I l concetto di riabilitazione psichiatrica si è imposto da circa 30 anni simultaneamente a quello della deistitualizzazione, evidenziando il problema della reintegrazione sociale dei cittadini prima internati in strutture manicomiali. Tale concetto non nasce dunque come entità tecnica assoluta, ma come procedimento inquinato tra pratica sociale e pratica clinica. La riabilitazione ha dunque esigenze di natura politica e di natura etica. La riabilitazione coinvolge tre ambiti: 1) l’ambito di trattamento dei sintomi residuati; 2) l’ambito della riduzione o eliminazione dei fattori ambientali di cronicizzazione; 3) l’ambito del coinvolgimento del servizio psichiatrico come contenuto terapeutico. Alla luce di queste precisazioni per riabilitazione si intende l’insieme di 12 attività svolte dal dipartimento di salute mentale che tendono alla massimizzazione delle opportunità del paziente psichiatrico, alla minimizzazione degli effetti disabilitanti della cronicità per mezzo del trattamento dei sintomi residuati del disturbo mentale. In tale evoluzione del concetto di riabilitazione si evidenziano importanti passaggi: • il passaggio dall’emarginazione dell’ospedale psichiatrico alla socializzazione nella comunità; • lo sviluppo di un criterio riabilitativo, fondato sull’idea che ogni processo psico-patologico significativo può causare una compromissione delle capacità sociali; • il passaggio dal lavorare con il paziente al lavorare sul paziente attraverso l’empowerment, concetto speculare a quello opposto di alienazione; • la terapia di ambiente, ovvero l’individuazione nell’ambiente di vita degli elementi protettivi nocivi rispetto ai processi di cura e di riabilitazione e la sperimentazione di nuovi contesti (esempio la P.T.); • il collegamento con il territorio come ambiente reale in cui collocare il contesto terapeutico. Le attività e le funzioni di riabilitazione hanno nella psichiatria di comunità italiana un ruolo centrale e insostituibile proprio per il loro fondamento terapeutico, che le esperienze particolari hanno evidenziato. Le frontiere attuali più impegnative del piano socio sanitario in tema di riabilitazione psichiatrica sono: l’inserimento lavorativo, la qualificazione dell’intervento e l’integrazione istituzionale, finanziaria, culturale e quantitativa. DEFINIZIONE E LA VALUTAZIONE DELLE “LA ATTIVITÀ DI P.T. NEI CSM DELL’ AREA SUD” Marco Piccinini - CSM Vignola L a relazione riguarda il progetto di P.T. che dal 2001 è attivo nei centri di salute mentale di Vignola, Sassuolo e Pavullo grazie alla collaborazione con l’AICA (Associazione Italiana Cani Amici). Tale progetto riguarda un gruppo di pazienti lungo degenti; è regolato da un protocollo che precisa le attività, gli obiettivi e la valutazione dei risultati. In questo contesto la P.T. è considerata una cooterapia individuale, che fa parte di un progetto terapeutico complesso e viene svolta da una equipe multidisciplinare: un medico, due infermieri, personale volontario dell’AICA. Il progetto prevede delle linee guida per l’ammissione dei pazienti; essi non sono scelti in base alla patologia, ma in base alla comune condizione di disabilità, alla limitazione e perdita dei ruoli sociali, all’incapacità di gestire la vita quotidiana e 13 alla adesione consapevole. A questi criteri generali si affiancano criteri specifici per le diverse attività di riabilitazione. Il gruppo preso in esame è composto da pazienti consenzienti con disabilità e diagnosi gravi, di età compresa tra i 18 e i 65 anni; soggetti a inibizioni affettive, regressione comportamentale, isolamento sociale, discontrollo degli impulsi, lunga durata della malattia. Gli obiettivi del progetto di intervento di P.T. sono il rilassamento, la stimolazione delle capacità relazionali, il contatto fisico e le capacità di comunicazione; obiettivi che mirano al miglioramento della qualità della vita. La P.T. in questo caso agisce sull’emotività, l’affettività, la comunicazione verbale, la socializzazione attraverso il contatto e la mediazione con l’animale che agisce da facilitatore. Gli incontri sono settimanali, di un’ora e mezza ciascuno per un periodo di nove mesi. L’attività del primo semestre è il raggiungimento degli obiettivi generici, quella dell’ultimo trimestre la valutazione dei progressi individuali. A ciascuna seduta è presente un infermiere e un operatore cinofilo, mentre ogni due mesi il medico attua una valutazione dei livelli raggiunti. Giuseppa Caloro – CSM di Pavullo n/F L’ intervento traduce in numeri quanto è stato descritto nell’intervento precedente con l’ausilio di slides e di schemi di supporto. In sostanza viene precisato un bilancio delle attività di P.T. svolte su 52 pazienti psichiatrici ospiti dei CSM dell’area sud. Il numero ristretto degli utenti e l’approccio sperimentale dell’intervento non può avere un carattere di scientificità sistematica, tuttavia i buoni risultati ottenuti su alcuni pazienti non rendono vana e inutile l’esperienza. Di tutti i casi analizzati i più incoraggianti sono rappresentati da tre pazienti che hanno intrapreso percorsi terapeutici differenziati; due di loro, che vivevano isolati ed erano incapaci di intraprendere una qualsiasi attività, sono stati inseriti in un centro diurno; il terzo è stato recuperato a una attività lavorativa e ora vive in casa in completa autonomia. Rompere dunque il corso della cronicità attraverso la P.T. anche soltanto per un solo paziente costituisce un obiettivo raggiunto. DELL’OSPEDALE “L’ESPERIENZA GIUDIZIARIO DI REGGIO EMILIA” PSICHIATRICO Irma Usai – Azienda USL di Reggio Emilia L a relatrice è criminologo clinico nel carcere di Reggio Emilia e si occupa della personalità, della pericolosità sociale e del trattamento dei detenuti durante la pena. Ha elaborato un progetto di P.T. puntando sulla stimolazione dell’aspetto emotivo e affettivo del detenuto. La vita dei detenuti è segnata dalla 14 perdita della vita affettiva e della progettualità, ancor più evidente nei casi di detenuti schizofrenici; i casi di autolesionismo sono moltissimi e inoltre il carcere di Reggio Emilia ha il triste primato di suicidi. L’isolamento spesso è anche una condizione precedente all’ingresso in carcere, condizione in cui matura il reato. Pensando proprio all’isolamento del detenuto in generale, e a quello del malato detenuto in particolare, si è pensato di affiancare alla necessaria cura farmacologica un’attività cooterapeutica che aiuti a recuperare quell’aspetto di sé ormai soffocato e perduto. Il progetto ha preso in esame quelle persone che nel carcere avevano rifiutato altri corsi di formazione, che trascorrevano le giornate in cella. Per questi individui l’attività doveva mirare al recupero e allo stimolo delle emozioni e dell’affettività e simultaneamente al recupero di parte di loro stesse. Il cane doveva agire, e in effetti ha agito, da facilitatore in tale azione. Il progetto ha coinvolto un gruppo di specialisti (una psicologa, un veterinario, un educatore P.T., un agente) e si è concentrato su un gruppo di detenuti selezionati e consenzienti. E’ stato costruito un canile in un’area cortiliva e sono stati introdotti otto cani. Il solo doversi prendere cura degli animali ha segnato il primo successo: accendere una motivazione esistenziale. L’impegno ha portato benefici alla struttura della personalità dei partecipanti al progetto per l’aspetto genitoriale (accudimento dell’animale), per l’aspetto infantile (il gioco con il cane) e per l’aspetto adulto (l’organizzazione della giornata). Il successo, le richieste di partecipazione di altri ricoverati, la progressiva diminuzione dell’uso di farmaci, ha spinto gli organizzatori a dare al progetto una connotazione propedeutica, articolata in momenti teorici e in momenti di relazione pratica, per aprire le porte ad altre attività più formative e altrimenti impensabili in situazioni di isolamento cronico. “ L’AVVIO E LO SVILUPPO DI UN’ATTIVITÀ DI PET THERAPY NELLA CASA DI CURA VILLA IGEA” Lucia Zanni – Casa di Cura Villa Igea V illa Igea è una casa di cura psichiatrica che al suo interno opera in diversi ambiti di cura e all’esterno della struttura principale di attività riabilitative (la Comunità psichiatrica Il Borgo). Anche in questa struttura l’adozione della P.T. è stata una scelta innovativa che ha suscitato problematiche nuove nella gestione del malato psichiatrico. Dopo una prima esperienza di successo, seppure casuale, sono stati programmati cicli di attività, definiti da linee guida e da protocolli di verifica e 15 di valutazione, che sono andati ad arricchire la gamma di attività riabilitative della casa di cura. Vengono riferiti esempi di cicli di P.T. : • un ciclo durato due anni, focalizzato su un unico paziente di 33 anni, affetto da schizofrenia cronica molto grave con sintomi allucinatori e deliranti dall’età di 18 anni, ripetuti ricoveri anche in TSO, brevi periodi a casa, fino a un ricovero stabile in struttura dal 1996; stato di grave regressione, difficoltà enormi di comunicazione e di relazione, atteggiamento aggressivo e persecutorio, nessuna attività riabilitativa precedente. Il paziente viene inserito nel 2000 in un progetto di P.T. esterno. Gli obiettivi: miglioramento delle capacità sociali, ripresa della comunicazione, riduzione delle inibizioni psicomotorie, riduzione dei discontrolli degli impulsi. Dopo i primi due anni il paziente riusciva a uscire da solo, a sbrigare piccole commissioni, a frequentare luoghi pubblici; nel 2002 è stato inserito in un percorso operativo percependo una borsa lavoro; nel 2004 è stato dimesso e accolto in una residenza esterna della casa di cura. In questo caso la P.T. ha inciso sull’aggressività e ha cooperato con altri presidi terapeutici e farmacologici mirati. • un ciclo di sei mesi su 4 pazienti degenti a Villa Igea; sintomi e obiettivi simili al caso precedente. Tutti e quattro i pazienti, in tempi diversi, sono stati dimessi, tre vivono in strutture residenziali, uno in alloggio protetto. Paradossalmente la P.T. ha dato i benefici più significativi sui pazienti con sintomi più negativi. • cicli di riabilitazione all’esterno della casa di cura della durata di sei mesi per 14 pazienti non degenti, ma residenti in strutture esterne. Obiettivi: creare un gruppo, suscitare la consapevolezza dei limiti individuali, la solidarietà e il sostegno. Tutti i pazienti hanno concluso il ciclo e sono passati a un’attività più evoluta. Linda Pagliani – CSM di Sassuolo L a relazione si concentra su una rapida analisi pratica delle schede di valutazione inerenti i risultati della P.T. e che accompagnano i dati (cartella clinica) relativi a un paziente psichiatrico. Le schede forniscono informazioni su tre aree diverse: l’osservazione individuale dello stato clinico del paziente durante il trattamento P.T.; l’osservazione dell’utente nel gruppo, ossia la relazione che riesce a instaurare con gli altri; l’osservazione del rapporto utente-animale. Tali dati divengono fondamentali ai fini dell’individuazione dell’efficacia di trattamenti riabilitativi di P.T. a livelli superiori. 16 Seminario n°4 – Giovedì 12 maggio 2005 L’INSERIMENTO E LA PROGRAMMAZIONE DI ATTIVITA’ CON ANIMALI NELLE STRUTTURE PER ANZIANI Marcello Burgoni – Direttore Servizi Socio-Sanitari Azienda USL di Modena L a relazione introduttiva fa riferimento alla posizione della Regione Emilia Romagna in tema di P.T. espressa nel testo della Legge Regionale n°5/94 che recita: “Una attenzione particolare dato il crescente utilizzo, in diversi ambiti, è stata rivolta all’attività con gli animali. All’esame del Parlamento sono state presentate diverse proposte di legge confluite nel 2003 nel testo unificato “Disciplina delle attività e delle terapie assistite dagli animali” attualmente all’esame delle commissioni parlamentari. Con il superamento di una visione prevalentemente centrata sulla specificità delle singole problematiche sociosanitarie e lo sviluppo di un nuovo approccio in cui il benessere della persona acquista valore terapeutico nell’accezione più ampia del significato, il valore aggiunto delle nuove opportunità di cura è dato dalla possibilità di coadiuvare le attività convenzionali portando benessere alla persona nella sua totalità e anche al di là del suo specifico problema. La regione Emilia Romagna, anche sulla base delle importanti esperienze già presenti nel proprio territorio, intende promuovere e sostenere la diffusione del loro utilizzo a livello locale, avendo come bene primario il benessere complessivo delle persone.” Ciò letto la relazione si concentra sulla situazione del territorio modenese in tema di assistenza agli anziani: in funzione ci sono una trentina di centri diurni per anziani con circa 370/380 anziani non autosufficienti e parzialmente autosufficienti, ci sono 2500 posti in case protette per anziani, di cui circa 2000 convenzionati con l’USL. 17 “ LA FATTORIA E L’AGRITURISMO: LUOGHI DI RICORDI, ESPERIENZE E ATTIVITÀ ASSISTITE” Mirko Menabue – Casa Protetta Roncati di Spilamberto L’ esperienza descritta nella relazione riguarda un progetto di attività assistita con animali riservata ad anziani ospiti di una casa protetta. Gli obiettivi generali riguardano il mantenimento e il miglioramento delle capacità comunicative, verbali e non, e relazionali degli anziani. Il progetto si è sviluppato in tre fasi. La prima riguarda la selezione dei soggetti. Gli anziani sono stati selezionati in base al grado di coinvolgibilità attiva nel progetto, e non in base alla gravità della patologia, poiché per l’efficacia dell’intervento ciò che più conta è che ci sia possibilità di instaurare una relazione tra operatore e utente. Gli operatori sono ovviamente professionisti qualificati, ma anche dei volontari per i quali il principale requisito è dato dall’elevata motivazione. Quanto agli animali, sono stati coinvolti due cani addestrati e due cavalli. La seconda fase è stata realizzata all’interno della struttura e aveva lo scopo di ricostruire il vissuto, la memoria storica dell’anziano. Dall’esperienza maturata nelle fattorie didattiche, nelle quali i bambini fanno un percorso formativo preliminare, analogamente era necessario fare un lavoro simile anche per gli anziani. Durante sei incontri nella casa di residenza si è parlato di ricordi legati alla vita in campagna, di stagionalità del lavoro, ecc. Questa fase è stata facilitata dalla familiarità di molti anziani con queste tematiche. La terza fase si è svolta in un agriturismo esterno alla casa di residenza e ha riguardato più da vicino il contatto anziano-animale attraverso attività di avvicinamento e di accudimento. Nella valutazione finale dell’esperienza il dato più significativo emerso è stata la maggiore socializzazione sia tra gli anziani, sia tra anziani e operatori e una migliore qualità di comunicazione. “ LA SICUREZZA DEI PROGETTI DI PET THERAPY DALLA PARTE DEL CANE E DALLA PARTE DELL’UTENTE” Monica Pallavicini – Operatore cinofilo e pet-partner delle associazioni Canalgrande e Universo Cane L a relazione prende in esame la complessità delle attività P.T. dal punto di vista dell’animale, nella fattispecie del cane. L’approccio di base ideale è quello di considerarlo nella sua specificità: un’alterità con caratteristiche, necessità, abilità specifiche. Prima di iniziare un progetto occorre valutare lo stato dell’animale, le sue attitudini, le sue capacità adattative, il suo stato di salute e le sue abilità, sia quelle attuabili in18 sieme all’operatore sia quelle innate. L’animale utilizzato per attività di P.T. ha cioè delle caratteristiche connaturate alla razza, ma anche specificità acquisite attraverso l’addestramento, l’affiatamento e la sintonia con l’operatore; deve saper riconoscere determinati comandi e avere una dotazione adeguata di Script ( una serie ripetitiva di gesti, segnali, comandi che rendono riconoscibile una situazione e un’attività). L’età e l’equilibrio psico-fisico sono condizioni determinanti: un cucciolo pur capace di ispirare tenerezza, è considerato inadatto per vivacità e mancanza di disciplina; quanto all’equilibrio, il minimo segnale di stress è condizione per sospendere qualsiasi attività. La sicurezza dell’animale, e di conseguenza dell’utente, deriva dal training, che consiste nel far emergere caratteristiche innate e sviluppare determinati requisiti che già sono patrimonio del suo carattere (es. un cane con forte istinto predatorio sarà in grado di sviluppare con facilità attività di gioco di riporto). Cosa diversa è l’istruzione del cane che consiste nell’insegnare cose nuove, una certa condotta che lo rende adatto a vivere in un ambiente umano che non gli è connaturato. Infine c’è l’addestramento a una determinata disciplina, es. agility, restare fermo sul posto, ecc. Un cane selezionato per entrare a lavorare in una struttura (per anziani, disabili, bambini, ecc) deve saper comunicare, essere performativo, sapersi relazionare, sentirsi sicuro, essere fiducioso. Le attività di P.T. sono di vario genere (cura dell’animale, gioco, esercizio mirato) e hanno scopi diversi, dall’ausilio alla socializzazione fino alla riabilitazione di capacità motorie, psichiche, cognitive. La relazione, con il supporto di diapositive, descrive momenti di attività P.T.. Dopo ogni seduta l’operatore deve sempre far rilassare il cane, anche se non ha dato segnali di stress, attraverso attività piacevoli: un gioco, una corsa, una passeggiata, ecc. 19 Seminario n°5 – Giovedì 19 maggio 2005 QUALE PROSPETTIVA PER LA PET EDUCATION “PROGETTO MI FIDO NON MI FIDO” Teresa Grazian – Nido part-time Cappellaio Matto I l nido part-time Cappellaio Matto è un piccola realtà che ospita 18 bambini e 3 maestre. Le caratteristiche ideali del centro hanno permesso di aderire a iniziative di pet education già da tre anni. Dopo un primo anno sperimentale, alla seconda esperienza si sono ottenuti significativi successi dal punto di vista della consapevolezza di sé da parte dei bambini. Il gioco con gli animali si è evoluto sul piano simbolico: in presenza, ma soprattutto in assenza degli animali, i bambini si divertivano a imitare i loro comportamenti, dimostrando di avere acquisito la consapevolezza della differenza esistente tra un bambino e un cane e imparando a padroneggiare la realtà. Il terzo anno di attività di pet education ha generato altre esperienze. All’inizio la mediazione delle maestre tra bambino e animale è stata necessaria al superamento delle paure, alla facilitazione del contatto, della esplorazione, della scoperta e dunque dell’acquisizione di nuove conoscenze. Questo ha portato alla creazione di uno stato di empatia tra bambini e animali, importante nella formazione del carattere per la ricaduta sulla disponibilità verso l’altro. Attraverso la visione di una serie di diapositive, la relatrice illustra stadi di apprendimento, di consapevolezza raggiunti da alcuni bambini grazie al rapporto con gli animali. Es.: un bambino che impara a condurre un cane al guinzaglio migliora la sua postura e il suo movimento. Toccare e farsi toccare dagli animali è per i bambini un linguaggio tattile che fa prendere coscienza di sé e dell’altro. E’ in sostanza una opportunità di crescita insostituibile, in cui l’animale aiuta il bambino a scoprire la complessità e la diversità delle forme e delle funzioni di ciò che lo circonda. Attraverso le azioni compiute nei confronti degli animali, i bambini ricompongono la loro immagine corporea rispecchiandosi e differenziandosi da quello che scoprono negli animali, disegnando i confini dentro cui ogni identità si definisce. Sabrina Torricelli – Nido part-time Momo N el 2004 nasce il progetto “Crescere insieme” riservato a bambini di 2/3 anni. Il punto di partenza del progetto sta nella constatazione della sostanziale somiglianza tra cucciolo di uomo e cucciolo di animale in un 20 rapporto interattivo e complementare. In sostanza il bambino non si identifica con l’animale, ma si confronta con lui. Da questo presupposto nasce il progetto orientato allo sviluppo e alla maturazione dei bambini attraverso il loro rapporto con gli animali. Tale rapporto procede per fasi: la fase del poppante, nella quale il bambino cerca nel cane un ruolo genitoriale; la fase del gioco, nella quale il bambino vede nel cane un compagno; la fase della parata, nella quale il bambino stabilisce dei ruoli; la fase del tallonatore, nella quale il bambino diventa capobranco e infine la fase della separazione, nella quale il bambino capisce che il cane può non seguirlo o giocare con lui a comando, bensì farlo con i suoi tempi. Da tutto ciò appare evidente come lo svolgersi delle tappe sociali nell’apprendimento del cane premono nella realizzazione di quelle del bambino in una continua relazione segnata dall’assoluta flessibilità. Nel progetto “Crescere insieme” messo in atto al nido Momo, il cane è stato considerato un alunno alla stessa stregua dei bambini, un alunno con le sue modalità e le sue particolarità. Se, come evidente, il cane non ha imparato cose come parlare o scrivere o far di conto, tuttavia partecipando alle attività dei bambini ha dato loro una cosa inestimabile nella loro crescita e formazione: l’affettività. Non solo. I bambini imparando a considerare il cane uno di loro hanno superato il concetto di asservimento del cane ai voleri dell’uomo. LA VALUTAZIONE DEGLI ANIMALI PER LE ATTIVITÀ “ALL’INTERNO DELLE STRUTTURE SCOLASTICHE” Annalisa Lombardini – Servizio Veterinario Azienda USL di Modena L a relazione affronta il tema della salute dell’animale coinvolto in attività di Pet Therapy e di Pet Education. Le attività che si svolgono nelle strutture, siano esse case protette, nidi d’infanzia, centri residenziali per anziani ecc., vedono il coinvolgimento degli animali a due livelli: essi possono essere già presenti oppure venire dall’esterno. In entrambi i casi è fondamentale e necessario che l’animale abbia un certificato di buona salute rilasciato da un medico veterinario dopo appropriate e accurate indagini diagnostiche ed eventuali profilassi terapeutiche. Se questo è valido in tutte le strutture in cui gli animali entrano, lo è ancora di più in quelle che ospitano persone in condizioni fisiche deficitarie, quindi maggiormente esposte a possibili contagi di zoonosi di diversa natura. Non solo. Il benessere dell’animale deve essere analizzato anche dal punto di vista etnologico, ovvero delle sue innate caratteristiche e abitudini di specie. L’animale portato in una struttura dall’esterno, generalmente il cane, non deve soltanto essere in buona salute, ma garantire degli standard di comportamento fondamentali alle attività: deve essere affidabile e prevedibile - ossia avere il medesimo comportamento in 21 situazioni analoghe - deve essere controllabile, socievole, tollerante al contatto e agli abbracci (il significato dell’abbraccio per un cane è diverso da quello che gli attribuisce l’uomo); deve essere idoneo e qualificato per gli obiettivi specifici del progetto. Per quanto concerne la figura dell’operatore Pet Therapy a livello normativo non esiste una qualifica riconosciuta e allo stato si parla unicamente di addestratore cinofilo; ma nonostante questo il ruolo dell’operatore è importante non solo per l’attività che andrà a svolgere in una struttura insieme all’animale, ma è garante di tutte le norme igieniche necessarie nei confronti degli utenti e responsabile del benessere psicofisico dell’animale durante le sedute. IN FATTORIA ATTRAVERSO IL LAVORO “DIDATTICA CON GLI ANIMALI: EDUCAZIONE E RISPETTO” Lorena Carraro – Fattoria del Parco di Gorzano L a Fattoria del Parco di Gorzano svolge attività didattiche di vario genere legate alla vita dei campi; tra queste anche i percosi didattici di conoscenza degli animali. Tali percorsi si rivolgono a bambini piccoli in età scolare e hanno l’obiettivo di far loro conoscere animali, che nella maggior parte dei casi non hanno mai visto dal vivo, sollecitandone il rispetto. Gli animali (cani, gatti, caprette, conigli, maialini, pony ecc.) vivono liberi in grandi recinti, ai quali i bambini possono avvicinarsi facilmente. Questo dà loro la possibilità di conoscere gli animali nel loro ambiente naturale, scoprendone caratteristiche, abitudini, particolarità legate all’alimentazione, alla cura, al carattere. Con il supporto di diapositive la relatrice descrive una giornata tipo di visita alla Fattoria del Parco di Gorzano. “ LE ATTIVITÀ ASSISTITE CON ANIMALI A FAVORE DI MINORI CON DISABILITÀ COORDINATI DA AZIENDA USL DI MODENA” Nazarena Lancellotti – Operatrice Pet Therapy L’ intervento si concentra sulla descrizione e l’analisi di alcuni progetti di attività assistita con animali realizzati nelle scuole, sia dell’infanzia, sia superiori, nelle quali possono essere presenti bambini diversamente abili. In tutti i casi descritti lo scopo primario degli interventi è quello di far avvicinare i bambini al mondo animale, di favorire esperienze dirette, di fornire un primo e semplice modello di convivenza tra uomo e animale e, infine, di favorire la relazione tra bambini e animali. Tali progetti sono di norma inseriti nella programmazione 22 scolastica relativa alla sfera dell’esperienza di sé e dell’altro, acquisendo la conoscenza e la comprensione di ciò che costituisce un “diverso”, un altro da sé. Il senso della diversità può riferirsi sia all’animale (un diverso rispetto al bambino), sia alla disabilità. Viene riferito di un’esperienza fatta in una scuola materna in cui era presente una bambina di 5 anni non vedente; in questo caso le attività assistite si concentravano tutte sulla conoscenza sensoriale e sull’approfondimento delle sensazioni tattili e olfattive. Un altro genere di intervento è quello costituito da attività educativo-didattico previsto nelle classi in cui sono inseriti casi di disagio emozionale e/o familiare. La finalità di tali progetti è di recuperare e valorizzare l’integrazione di ogni singolo, in particolare dell’alunno portatore di deficit o con problemi di disagio, all’interno del gruppo. Gli obiettivi sono concentrati sullo stimolare la fiducia in se stessi, migliorare la capacità di comunicazione e di socializzazione, aumentare la capacità di ascolto e di attenzione, stabilizzare l’umore e l’emotività e, come in tutti i progetti, fornire modelli per una corretta convivenza uomo-animale. Queste attività sono articolate in interventi pratici e interventi teorico-didattici. I primi consistono in incontri di circa 30 minuti durante i quali si familiarizza con un animale (generalmente un cane) addestrato, abituato cioè a rispondere a comandi di base, adeguati a una corretta convivenza. Gli interventi teorico-didattici sono lezioni informative sul mondo animale, in particolare su cani e gatti: anatomia, morfologia e linguaggio dell’animale, osservazione oggettiva e soggettiva, adozione e acquisto di un animale, abbandono e randagismo; temi in altre parole legati a una conoscenza di base degli animali e delle problematiche più importanti loro legate. La relazione sottolinea che i risultati principali, che nella maggior parte dei casi emergono a bilancio delle attività assistite con animali, sono che i bambini diversamente abili rivelano grandi potenzialità, talvolta maggiori rispetto a quelle degli altri bambini e che acquisiscono sempre la consapevolezza del valore delle modalità degli altri per la loro crescita, ovvero fanno proprie le conquiste degli altri per modificare le loro competenze. Un discorso a parte meritano le esperienze di AAA nelle scuole superiori; in questi casi si tratta quasi sempre di progetti e di interventi individuali. Di norma sono percorsi richiesti in casi di estrema gravità di un utente per il quale è molto difficile trovare un tipo di attività interessante, stimolante e coinvolgente al cento per cento. In questi casi il problema non consiste nella socializzazione dell’utente con il resto della classe, nella quale è quasi sempre ben inserito e ben integrato, ma di attività riservate a lui solo con fini didattici e di sviluppo specifici. 23 Seminario n°6 - Giovedì 26 maggio 2005 ANALISI OPERATIVA DEI PROGETTI DI PET THERAPY I PARAMETRI DI OPERATIVITÀ INTRINSECA ED “ ESTRINSECA. LA FASE DI PIANIFICAZIONE DELL’INTERVENTO” Roberto Marchesini – Medico Veterinario Università degli Studi di Bologna L a relazione con un animale non va data per scontata, va bensì costruita superando una serie di vincoli e di impedimenti che nascono dalla visione antropocentrica che l’uomo ha del mondo; questo porta generalmente a considerare l’animale qualcosa di inferiore, non già qualcosa di diverso per genere rispetto all’uomo. L’animale è un altro rispetto all’uomo. La dimensione dell’alterità implica un’immersione nel mondo completamente diversa, con aspettative e modalità differenti. Per comprendere tale diversità occorre prendere in considerazione alcune variabili. In primo luogo la percezione. Ogni animale percepisce ed elabora la realtà in maniera differente; ad esempio ci sono stimolazioni particolarmente piacevoli per l’uomo che non lo sono affatto per gli animali, cose interessantissime per l’uomo che invece all’animale non dicono nulla e viceversa. Un’altra variabile fondamentale è la comunicazione, soprattutto a livello paralinguistico. I medesimi segnali, i medesimi gesti significano cose diverse per l’uomo e per l’animale; per esempio un abbraccio per l’uomo indica affetto, per un cane sfida; dare la mano per l’uomo è segnale di confronto, dare la zampa per l’animale è segnale di regressione. Non solo. La comunicazione tra uomo e animale deve prescindere da un’interpretazione antropocentrica dei segnali, che è sicuramente fuorviante. Un’altra variabile è la motivazione, ossia il far emergere dall’ambiente determinati stimoli che rendono piacevoli particolari attività, che rendono il soggetto interessato o frustrato, attività che ovviamente sono diverse per ogni animale. Conoscere l’aspetto motivazionale di un animale e di una specie significa gratificarlo o viceversa frustrarlo. Anche l’espressione comportamentale è una variabile che differenzia l’uomo dall’animale, e animale da animale: il comportamento predatorio di un cane è completamente diverso da quello del gatto; conoscere il profilo comportamentale significa 24 riconoscere la normalità dalla devianza. Ogni specie animale ha delle funzioni cognitive specifiche, suggerite dallo stile di vita della specie cui appartiene; mentre per un cane la cosa principale è pensarsi in gruppo e dunque comprendere il mondo in un’ottica sociale, per il gatto che ragiona in termini di solista la conoscenza del mondo si risolverà in atti individuali. Diverso è anche il posizionamento sociale delle diverse specie: ritenere ad esempio di costruire con un cane una relazione di tipo parentale è assolutamente errato, poiché il cane, una volta diventato adulto ha bisogno di una relazione collaborativa, desidera una struttura relazionale di tipo cooperativo non certo di tipo protettivo. Avere dunque un rapporto antropocentrico con un animale equivale ad averne uno egocentrico con un altro essere umano, un atteggiamento cioè che non tiene conto dei desideri dell’altro e delle sue disposizioni particolari, ovvero la sua percezione, la comunicazione, l’intelligenza, il posizionamento sociale, le motivazioni. Date queste premesse e ritornando all’idea di relazione uomo-animale, si può affermare che oggi tale relazione è ostacolata, vincolata e viziata. In primo luogo dallo stile di vita dell’uomo immerso in un mondo non più fatto di uomini e animali, bensì fatto di uomini e macchine. Paradossalmente l’uomo stesso è portato a pensarsi come una macchina dotata di pulsanti di accensione, spegnimento ecc.; si ricorre alla pillola per dormire, a quella per svegliarsi, a quella per sentirsi più attivi. Questa concezione macchinomorfa si attaglia ancor più all’animale che l’uomo considera esattamente come una cosa da usare, da possedere, da addestrare a performance a misura delle sue necessità. Questo rischio è altissimo anche in Pet Therapy: dire infatti che in tale metodica si “usano” gli animali significa non avere compreso cosa sia la pet therapy, che invece si fonda su una relazione nella quale si accetta l’animale come un partner, non come un oggetto. Alla concezione macchinomorfa fa da contraltare quella antropomorfa, che considera l’animale assimilabile all’uomo, anche se in misura più modesta, banale, elementare, un “bambino” da proteggere e insieme un essere meno intelligente e meno capace dell’uomo. Dunque macchinomorfismo, iconomorfismo, antropomorfismo, pietismo e banalizzazione, sono vincoli gravi che allontanano da un incontro-confronto con gli animali. L’uomo moderno pensa all’animale come a un’entità che sta alle sue spalle, considerandolo come una regressione rispetto all’evoluzione umana. In realtà la relazione vera con l’animale è progressiva, poiché costruisce dei predicati, delle qualità che migliorano la condizione umana. Su queste basi il relatore fissa la sua concezione di Pet Therapy e di Pet Education come attività zooantropologiche, basate su una relazione progressiva uomo-anima25 le visto, quest’ultimo, come un soggetto “altro” con sue caratteristiche peculiari di pari dignità rispetto a quelle dell’uomo, un partner che agisce sinergicamente con l’uomo. La lezione si addentra nelle problematiche organizzative di programmazione e gestione di attività di Pet Therapy, che seguono una richiesta di intervento, affrontando nel dettaglio tutte le variabili contingenti e tipologiche che determinano, strutturano e caratterizzano un’ attività. Schematicamente i punti chiave si concretizzano in: • creazione del gruppo di intervento con formazione zooantropologica comune; • analisi di tipologie di intervento: attività assistenziali, educative, consulenziali; • individuazione della figura di riferimento; • delineazione dell’orizzonte di auspicabilità definito dalla figura di riferimento + delimitazione del campo di plausibilità definito dal gruppo di progetto = definizione degli obiettivi; • definizione delle dimensioni prescritte e delle dimensioni proscritte → prescrizione; → cornice dimensionale dell’intervento; • valutazione ambientale + valutazione relazionale = parametri di operatività estrinseca; • individuazione dei parametri di operatività intrinseca; • costruzione piano di attività: referenziali, interattive, gestionali; • fase attuativa dell’intervento: team prescrittivo e team operativo. 26 Seminario n°7 – Martedì 31 maggio 2005 TRAINING E VALUTAZIONE DELLA PET PARTNERSHIP IL PROCESSO DI TRAINING PER I LIVELLI DI PET “ PARTNERSHIP. DIMOSTRAZIONI RISPETTO ALLE CAPACITÀ DEL PET PARTNER” Luca Spennacchio – Addestratore cinofilo I l relatore si occupa di zooantropologia applicata alla didattica e alla Pet Therapy insieme al suo cane Zac, un cane tutor, specializzato nella rieducazione dei cani con problemi di aggressività, comunicazione e socializzazione. La relazione affronta il tema dei processi di training. Premessa fondamentale è che quando si parla di training ci si riferisce alla coppia cane-uomo, come a una unità operativa. Il pet training si divide in tre ambiti distinti: istruzione, educazione e addestramento. Apparentemente sinonimi i tre termini agiscono su aspetti diversi della formazione del cane e del conduttore. Educare significa declinare e perfezionare il registro innato del cane attraverso processi di apprendimento. Istruire significa fornire al cane conoscenze nuove, che non fanno parte dell’innato, per migliorare la sua relazione nella realtà umana (es. la parola “seduto” non significa nulla per un cane, perché non fa parte delle sue conoscenze innate, ma gli si può insegnare a farlo, ossia ad associare la parola a un atto preciso). Addestrare, o abilitare, significa insegnare a fare una specifica attività insieme all’uomo, ovvero realizzare una pet partnership attraverso una sorta di copione (“Script”) che il cane ha imparato a riconoscere. Addestrare non è altro dunque che sommare educazione a istruzione e finalizzarle a un lavoro specifico. E’ importante comprendere che le performance che si creano con l’addestramento nascono da una relazione uomo-cane che si è creata nel processo educativo-istruttivo. La relazione uomo-cane è dunque un prerequisito al training. Educazione, istruzione e addestramento non sono processi chiusi, ma concatenati e spesso coincidenti; se ad esempio si insegna a un cane un gioco che mira a tenere sotto controllo la sua motivazione predatoria innata, si sta facendo un’attività di educazione e insieme di istruzione, poichè il cane impara una cosa nuova e nello stesso tempo doma un istinto. Anche quando si addestra un cane a una attività precisa gli si insegna una cosa nuova, e insieme la contestualizzazione di un comportamento, ovvero uno “Script”. Giocare con una pallina o farsi accarezzare da un disabile, che per l’uomo sono attività definite come gioco la prima e lavoro la seconda, per un cane sono attività equivalenti rispetto alla sua relazione con l’uomo. L’addestramento implica la capacità dell’uomo di creare nel cane una situazione di appagamento sia mentre gioca, sia mentre fa un’altra attività apparentemente più seria, attaverso il controllo della sfera emozionale del cane. Per ottenere questo risultato esistono delle pratiche, degli esercizi 27 che consentono al cane, attraverso il controllo delle sue motivazioni, di acquisire la capacità di gestire il proprio stato emozionale e raggiungere così un equilibrio. Alla luce di quanto detto, si possono ulteriormente migliorare le definizioni di partenza e affermare che educare significa bilanciare le motivazioni istintive, istruire significa ampliare la gamma di strumenti per la decodificazione del mondo e insieme acquisire un catalogo di istruzioni di base. Lavorare sinergicamente su queste due sfere cognitive in situazioni diverse, costruendo degli script specifici, è esattamente il significato di addestramento o training. Il relatore, attraverso una serie efficace di esempi pratici, spiega le modalità per l’ acquisizione di una pet partnership, ossia per la creazione di una vera coppia uomo-cane, capace di svolgere un’attività sinergica di intervento, sia esso di pet education o di pet therapy. L’obiettivo è quello di creare un equilibrio relazionale sempre in atto. Da un punto di vista metodologico l’addestratore si serve di esercizi apparentemente banali (es. andare al bar con il cane), che servono a consolidare l’intesa tra i due, a stimolare l’analisi meticolosa dell’ambiente da parte dell’uomo prevenendo eventuali imprevisti e imparando a fronteggiarli adeguatamente. Lo scopo finale è quello di imparare a vivere esperienze normali in una dimensione che non sia semplicemente quella di un uomo accompagnato da un cane, bensì di un’unica entità uomo-cane. Se questo è il primo passo fondamentale per l’ottenimento di una perfetta pet ownership, l’addestramento alla pet partnership prevede ulteriori approfondimenti e specializzazioni. Occorrono capacità di comunicazione (creazione di un codice condiviso tra i due), di accreditamento come leader (gestione delle risorse e delle potenzialità del cane attraverso esercizi non coercitivi ma interessanti e stimolanti), di flessibilità (adattamento a situazioni simili ma sempre diverse), di stimolazione dell’attenzione e del coinvolgimento del cane; il conduttore deve acquisire capacità di arbitraggio in tutte le situazioni in cui si troverà. Non solo. Durante una seduta di P.T. il conduttore non deve mai perdere il controllo della dimensione prescritta dell’intervento. Se ad esempio l’attività P.T. è nell’ambito dell’accudire, il conduttore non può virare arbitrariamente l’intervento verso altre attività, poiché il team operativo ha stabilito che quella è l’area utile per ottenere risultati (dimensione prescritta e dimensione proscritta). Il conduttore pur essendo un’entità relazionale con il suo cane è l’unico ad avere la responsabilità della sicurezza sia del fruitore sia del cane, imparando a riconoscere i segnali di pericolo e tenendo sempre presente l’aspetto della concertazione con gli altri membri del team operativo. Se la pet partnership è considerata un prerequisito inderogabile alla P. T., non altrettanto certo è che una perfetta pet partnership sia capace di attuare P.T. .Pertanto i prerequisiti pretendono una relazione uomo-cane, ma occorrono anche doti speciali dell’animale perché sia efficace nella P. T. .La magia della P.T. in sostanza si ha soltanto quando il cane, acquisita serenità, tranquillità, appagamento e competenze, agisce in maniera creativa nella relazione sempre in atto con il suo padrone, facendola diventare strumento dell’attività. 28