Il libro delle idee

Transcript

Il libro delle idee
Le ultime cento ore, ovvero: come imparai a riconoscere la voce di
Stanley Kubrick in mezzo al chiasso di tutti gli altri.
di Filippo Ulivieri
Nel dicembre 1999, a pochi mesi dalla morte di Stanley Kubrick, Tullio Kezich
raccontava sul «Corriere della Sera» della comparsa «dagli anfratti della
Biblioteca “Luigi Chiarini” della Scuola Nazionale di Cinema» di un
«dattiloscritto d’epoca, 214 pagine su carta giallina» scritto in italiano, sulla cui
copertina in cartoncino semirigido ormai consunta dagli anni un timbro quasi
del tutto sbiadito recava la data 24 giugno 1964. «Sulla prima pagina –
continuava Kezich – si legge, con una certa sorpresa: Le ultime cento ore di
Stanley Kubrick»1.
Nessuna delle biografie sul regista americano fresche di stampa conteneva
informazioni su questo film; neanche «gli amici italiani di Kubrick» Riccardo
Aragno, traduttore per il nostro paese dei copioni degli ultimi film, e Mario
Longardi, press agent che aveva incontrato il regista negli anni ’70, sapevano
nulla. Secondo Kezich sarebbe bastato questo a decretarne lo status di falso
seppur d’epoca, comunque – concludeva – «c’è qualcuno disposto a farsi vivo
per diradare il mistero?».
La sera stessa il Centro Sperimentale di Cinematografia diffuse un
comunicato che negava l’esistenza di un giallo Kubrick, come l’avevano subito
battezzato i giornali: «Sono state fatte da tempo approfondite ricerche e quindi
non c’è alcuna sorpresa o mistero»2, tagliava corto Lino Miccichè, all’epoca
Presidente del CSC, troncando subito gli entusiasmi; «si trattava di un
progetto inglese presentato negli anni ’60 alla commissione per la
coproduzione dell’allora Ministero dello Spettacolo da un ben identificato
produttore»3. Il comunicato però non rivelava il nome di questo produttore e
giungeva frettolosamente alla granitica conclusione che la sceneggiatura «non
è certamente del regista anglo-americano [ma] è senza ombra di dubbio
scritta da altri»4.
Poteva almeno dirci il Presidente cosa c’entrava Kubrick con queste Ultime
cento ore? «Probabilmente – disse Miccichè – proprio per ottenere i
finanziamenti fu lasciato nella domanda il nome dell’allora già importante
regista»5.
Dicendola in modo un po’ più chiaro: qualche ignoto aveva scritto la
sceneggiatura, che un produttore inglese aveva proposto a Kubrick, che
l’aveva rifiutata ma il cui nome era stato comunque usato dal suddetto
produttore per scucire soldi al Ministero con una traduzione italiana del
copione.
Andò così? Per fugare i dubbi fu chiamato uno che negli anni a venire si
sarebbe rivelato più interessato ad attribuirsi il ruolo di superesperto custode
kubrickiano che a far chiarezza: il produttore esecutivo Jan Harlan, cognato
del regista. Giammai Harlan avrebbe confessato l’ovvio, ossia di non sapere
assolutamente nulla di un bizzarro dattiloscritto italiano di trentacinque anni
prima la cui unica attinenza con Kubrick era il nome in copertina. Infatti, certo
che sapeva cosa c’era dietro, guarda caso proprio quello che gli veniva
chiesto: «La sceneggiatura fu data in visione al regista che la rifiutò e la
rispedì al mittente»6. Dove, in Italia? In Inghilterra? Poco importa: ubi maior,
minor cessat. Jan Harlan conferma, caso chiuso. Fine del giallo Kubrick, titoli
di coda.
Eppure, eppure, questo giallo non mi ha convinto. La risoluzione è
insoddisfacente, come nell’odissea di Bill Harford in Eyes Wide Shut quando
Victor Ziegler si affretta a dare tutte le risposte che Bill cerca, e anche
qualcuna in più, liquidando tutti i misteri con un abile gioco di prestigio e di
potere.
Chi aveva compiuto le approfondite ricerche? Chi era il produttore associato a
quel progetto? Perché il copione portava il nome di Kubrick se non era stato
scritto da lui? E soprattutto, chi ha scritto queste Ultime cento ore?
Kezich avrà avuto di meglio da fare che star dietro a queste inezie e aveva
mollato l’osso; io, che l’estate scorsa mi stavo annoiando ed ero stufo di
rubare l’aria condizionata ai supermercati, ho fatto una visita alla biblioteca del
CSC, ho preso posto nella freschissima sala lettura e mi sono fatto
dissotterrare il manoscritto in carta giallina. Infilati i guanti bianchi da detective
(non è vero), ho iniziato a sfogliare le pagine – anzi, che dico, si tratta di
Kubrick: la reliquia.
La sceneggiatura racconta le gesta di un plotone di paracadutisti tedeschi di
stanza in Lombardia durante gli ultimi giorni della Seconda Guerra Mondiale;
spedito in missione suicida da un colonnello che si ostina a credere nella
vittoria del Terzo Reich, il plotone deve riuscire a far saltare un ponte sul Po
vicino Piacenza, di importanza strategica per gli spostamenti dell’esercito
americano.
I nomi dei due protagonisti, i tenenti Dietrich e Kraus, suonavano familiari:
avevo l’impressione di averli già trovati nelle mie sterminate letture
kubrickiane («Non hanno avuto gli uomini più saggi di tutti i tempi i loro
cavallini a dondolo, i loro dadà?» Grazie, Laurence Sterne). Scartabellando
tra i miei archivi trovo infatti che si chiamano così i due protagonisti di The
German Lieutenant, una «sceneggiatura perduta di Stanley Kubrick, scritta
dopo Orizzonti di Gloria e prima di Spartacus», per citare la pagina di eBay
dove il copione era stato messo in vendita nel 2000. Avevo salvato il file nel
2003 quando era apparso sul gruppo di discussione alt.movies.kubrick,
ribattuto in digitale grazie all’opera pia di qualcuno con 85 dollari e un bel po’
di tempo libero. Andiamolo a leggere.
La sceneggiatura racconta le gesta di un plotone di paracadutisti tedeschi di
stanza in Baviera durante gli ultimi giorni della Seconda Guerra Mondiale;
spedito in missione suicida da un colonnello che si ostina a credere nella
vittoria del Terzo Reich, il plotone deve riuscire a far saltare un ponte sul
Meno vicino Obernburg, di importanza strategica per gli spostamenti
dell’esercito americano.
Suona familiare.
Nella mia collezione di interviste a Stanley Kubrick ne trovo una della
primavera 19597 in cui il regista diceva di aver scritto The German Lieutenant
con un certo Richard Adams, ex paracadutista con la passione della scrittura
per il cinema: prendendo spunto dalle sue esperienze durante la Guerra di
Corea, aveva steso una storia la cui ambientazione era stata spostata nella
Germania della Seconda Guerra Mondiale, idée fixe di Kubrick.
I due copioni sono quindi la stessa storia, fine del giallo? Non proprio.
Confrontandoli ci si accorge subito che il copione italiano sembra essere una
traduzione da un testo inglese piuttosto diverso da quello lasciato da Kubrick
e Adams: ci sono scene in più, altre sono state eliminate, i dialoghi sono
spesso diversi e soprattutto è previsto un finale alternativo pensato
espressamente per la distribuzione del film in Germania8.
Forse il copione italiano è allora la traduzione di una stesura successiva
sempre ad opera di Kubrick? Non direi: lo script tradotto è infatti purgato degli
elementi tipicamente kubrickiani, come l’insistenza sui dettagli della procedura
militare (cartine, bussole, munizioni, descrizioni di armi ed esplosivi, ecc.) e
l’uso delle mappe per chiarire la strategia del plotone: «La riunione sarà
visivamente interessante» aveva appuntato Kubrick nel suo script a margine
della scena in cui il tenente spiega ai soldati con l’ausilio di una lavagna
appesa alla parete come si sarebbe svolta l’azione una volta atterrati nel
territorio occupato, «l’obiettivo di questa scena è far sì che il pubblico capisca i
dettagli della missione, così che quando in seguito verrà messa in atto si
sentirà partecipe»9. Sono pronto a giurare che Kubrick non avrebbe mai tolto
queste righe dalle nuove stesure perché dieci anni dopo, quando scriverà una
sceneggiatura per un film su Napoleone Bonaparte, preciserà di nuovo di
voler usare numerose mappe animate per far comprendere al pubblico la
bellezza tanto strategica quanto estetica di un piano militare ben congegnato.
Dopo quindici anni di cavallino a dondolo conosco il mio balocco fin troppo
bene.
La riscrittura del copione trasforma poi una scena con Dietrich e l’immancabile
vedova di guerra, che Kubrick e Adams avevano scritto con cinismo in
controtendenza al dramma bellico classico, reintroducendovi tutto il canonico
disperato romanticismo da filmetto e, come se non bastasse, presenta anche
un nuovo personaggio femminile per assegnare un’identica scena anche a
Kraus – tante volte non ci fossero abbastanza lacrime e tette tra le lenzuola.
Eppure Kubrick aveva esplicitamente detto poco tempo prima a proposito
dell’appena concluso Orizzonti di gloria di voler «mantenere una certa
distanza dalla spazzatura di Hollywood, le maggiorate e le storie lacrimevoli»
rivendicando orgogliosamente che «anche un film totalmente maschile può
essere altrettanto buono»10.
Intendiamoci, The German Lieutenant è tutt’altro che buono: di base è una
trafila noiosissima di scene in cui il plotone tedesco viene decimato, scritta in
modo rozzo e con una contraddittoria caratterizzazione dei personaggi. A
leggerlo si ha l’impressione che Kubrick avesse pescato lo sconosciuto
Adams da qualche parte e gli avesse chiesto di buttar giù una serie di scene
d’azione ispirate a quel che aveva visto in guerra, a cui il regista aveva
appiccicato una scena finale espressione della propria fascinazione nei
confronti dell’eroismo bellico11.
Sembrerebbe più ragionevole concludere che il copione italiano derivi da una
riscrittura di The German Lieutenant a opera di qualcun altro, una nuova
stesura che presa complessivamente non risolve i difetti dello script di Kubrick
e ne elimina i guizzi di originalità. Non sorprende affatto che non abbia trovato
i finanziamenti necessari all’avvio della produzione.
La scarsa brillantezza della revisione si affianca a una altrettanto ingenua
traduzione italiana che sposta bizzarramente l’azione dalla Baviera alla
Pianura Padana: Karlstadt viene sostituita da Vigevano, Wurtzburg diventa
Reggio, Gretzburg Villa Rosa, Mungersdorf Voghera, Obernburg prima
Cremona poi Piacenza; nel montaggio iniziale dei cinegiornali viene inserita
una scena con «Hitler e Mussolini che si abbracciano» e descrizioni sparse
qua e là di «una trattoria tipicamente italiana» e della ragazza che «ha
davvero l’aspetto molto italiano»12 ci ricordano questo improbabile trasloco
della storia. Dico improbabile perché rende la descrizione dei luoghi
totalmente inappropriata, materializzando nelle lande del Po valichi di
montagna, intricati boschi di arbusti, pioppi e querce sulle ombrose colline,
ripidi pendii su cui i soldati si arrampicano faticosamente sudando nell’aria
gelida, gole di burroni dove il fiume – sempre il Po, tocca ricordarlo – corre
rapido e stretto sopra pietre e macigni. Ed ecco «tagliando improvvisamente il
cielo, vi è l’arco del ponte che brilla uscendo da una sponda nera e
lanciandosi sull’altra» con «l’intrecciarsi di travate, traverse, sostegni e tiranti
[che] forma un intrico che contrasta drammaticamente con l’unica potente
massa dell’arcata [sul] vertiginoso abisso della gola»13. Sul Po nei pressi di
Piacenza, metri sul livello del mare: 45.
Mi immagino l’aitante produttore che pensava di fare il furbo cambiando in
fretta e furia i nomi delle città per gabbare il Ministero e scucirgli il
finanziamento. Ma non serve certo uno Stanley Kubrick per rendersi conto
quanto sia assurdo anche solo pensare di girare nelle piatte lande padane
una storia che basa interamente le peripezie del plotone sull’asperità del
territorio e la spettacolarità dell’azione sull’altezza del ponte.
Comunque, cosa è successo a The German Lieutenant, tra revisioni,
traduzioni e improbabili localizzazioni, per approdare alla biblioteca del CSC?
L’inventario indica che Le ultime cento ore è un copione catalogato in data 8
marzo 1995 come «deposito legale (ex lege 1213/65)»14 limitandosi a
confermare solo l’origine ministeriale senza fare riferimento a The German
Lieutenant. Si può fare altro? Sì, indagare presso l’Archivio di Stato – mi
dicono alla Biblioteca “Chiarini”, incuriositi dalla ricerca. Ottimo. Intanto io mi
rituffo nei miei archivi.
Trovo una manciata di articoli che per tutto il corso del 1963 racconta la
cronaca di una produzione nascente dal titolo familiare. Una pubblicità sulle
pagine di «Variety» dell’8 maggio elenca «Die Letzen Hundert Stunden (The
Last Hundred Hours) scritto da Richard Adams in preparazione» per la casa di
produzione CCC Films Berlin;15 nello stesso numero, un articolo
sull’incremento delle produzioni cinematografiche in Spagna spiega che «il
produttore indipendente Niels Larsen ha messo in piedi una cordata tedescoispanico-italiana per la produzione di The Last 100 Hours, con inizio delle
riprese questo mese o il prossimo, con Jeff Hunter protagonista e la regia di
Gerd Oswald»;16 cinque mesi dopo, la rivista «Backstage» collega per la prima
volta il nome di Kubrick a questo progetto, annunciando che la neonata casa
di produzione indipendente Osen & Zucker Associates ha tra i progetti «in
fase di progettazione o acquisizione The Last Hundred Hours, scritto da
Stanley Kubrick, con Hugh O’Brian in trattativa per la parte del protagonista, e
diretto da Gerd Oswald»17. Verso la fine dell’anno, «Daily Variety» conferma
che «Gerd Oswald è stato assunto dalla Trio Films di Parigi per produrre e
dirigere The Last Hundred Hours, con Jeffrey Hunter come protagonista. La
sceneggiatura di Stanley Kubrick e Robert Adams sarà girata a Madrid,
nell’Italia settentrionale e a Hollywood la prossima primavera. La trama
racconta la caduta dell’esercito tedesco nell’Italia settentrionale durante gli
ultimi giorni della Seconda Guerra Mondiale. Trio Films è in trattative con
James Mason per la parte del Generale Kesselring, il comandante tedesco» 18.
Un nuovo cambio di produttore attende il progetto a metà 1968, quando
rispunta nelle brevi di «Variety»: AICO Film, compagnia italiana che sta
finanziando Susanna… e i suoi dolci vizi alla corte del re, commedia erotica
con Jeffrey Hunter in mezzo a fräuleins, mesdemoiselles e signorine
scollacciate (di nuovo tette in questa storia, e un paio sono di Edwige
Fenech), produrrà una sceneggiatura di Stanley Kubrick, One Hundred
Dollars, per la regia di Hugo Fregonese, in procinto di trasferirsi da Madrid a
Roma per seguire il progetto19.
Un decennio dopo qualcuno ci sta ancora provando: «Alianza
Cinematografica Española sta preparando una coproduzione con la società
tedesca di Artur Brauner per iniziare le riprese a novembre di The Last 100
Hours, scritto molti anni fa da Stanley Kubrick»20.
A parte aver trovato l’anello di congiunzione tra Stanley Kubrick ed Edwige
Fenech (Trivial Pursuit non ti temo), non ho fatto grandi passi avanti. Vista la
data sul copione custodito dal CSC – 24 giugno 1964 – sembrerebbe sia stato
qualcuno collegato alla Trio Films a spostare l’azione dalla Germania all’Italia
settentrionale.
Mumble… mumble. Nella primavera del 1959 il film veniva dichiarato
imminente dalla Harris-Kubrick Pictures, la casa di produzione indipendente
che il regista aveva formato con l’amico James B. Harris. Apro la biografia di
Kubrick scritta da Vincent LoBrutto in cerca di indizi ma no, si limita a dire che
non fu messo in produzione e che la Harris-Kubrick decise di venderlo21. Va
beh, Kubrick è morto, telefoniamo a Harris.
«Pronto?», mi fa una voce bella arzilla da Los Angeles.
Gli spiego tutta la trafila, quindi «Che mi sai dire di questo German
Lieutenant?».
«Probabilmente Richard Adams aveva catturato l’attenzione di Stanley con
qualcosa», mi fa James B., «lo facemmo venire in California, lo mettemmo
subito al lavoro, a scrivere una storia sulla Seconda Guerra Mondiale, e ne
venne fuori The German Lieutenant».
«Allo Stanley Kubrick Archive ci sono documenti di pre-produzione. A che
punto erano i lavori?».
«Uhm… A che punto erano i lavori, pensavate già agli attori?».
«A un certo punto volevamo Alan Ladd, ricordo di averlo incontrato a tal
proposito senza però arrivare a un accordo».
«Quindi che avete fatto?».
«Non ci giurerei, ma da quel che ricordo credo che abbiamo venduto The
German Lieutenant a Jack Palance».
«E poi?».
«E poi l’hanno girato, no? Mi pare qualcuno l’avesse fatto. Non l’hanno fatto
Jack Palance e Alan Ladd?».
«Ah, non ne ho idea… No, a guardare su internet non risulta. Però sui giornali
ho trovato articoli su un film intitolato The Last Hundred Hours, sempre scritto
da Kubrick e Adams».
«Non mi dice niente».
«Potrebbe essere un altro titolo per The German Lieutenant?».
«Potrebbe, potrebbe. Mi ricordo che abbiamo lavorato con Richard Adams
una volta sola, non credo abbiamo lavorato su più progetti».
«La cosa buffa è che c’è un copione con questo titolo, tradotto in italiano, qui
a Roma, in una biblioteca. La storia è la stessa però è stata ambientata in
Italia».
«Non ne sapevo assolutamente nulla. Proprio strano»22.
Dunque Harris conferma che The German Lieutenant e The Last Hundred
Hours (Le ultime cento ore nella versione tradotta in italiano) sono titoli diversi
per la stessa sceneggiatura scritta in prima battuta da Stanley Kubrick e
Richard Adams, ma non ci aiuta a capire come, una volta venduta a Jack
Palance, sia passata tra tutte quelle mani.
Fermi tutti! È arrivata la risposta dall’Archivio Centrale dello Stato!
«Abbiamo esaminato il fascicolo CF 4587 relativo al film Le ultime cento ore
dal quale si ricavano le seguenti informazioni: Il 24 giugno 1964 la società di
produzione Jolly Film srl presentò al Ministero una istanza per il
riconoscimento della coproduzione italo-spagnola-tedesca di un film dal titolo
provvisorio Le ultime cento ore. Il film era basato sull’opera originale di
Richard Adams e sulla sceneggiatura di Christian Longolius e Pedro de Juan,
con la regia di Gerd Oswald. Nel fascicolo è presente l’accordo di
coproduzione (con la specifica delle quote di partecipazione di ciascuna casa
produttrice, il personale impegnato, gli attori, ecc.) e la documentazione
richiesta dal Ministero per il riconoscimento dell’accordo, il quale riceve un
parere di massima favorevole che però viene condizionato alla presenza di un
attore italiano fra gli interpreti principali e ad almeno 14 giorni di riprese girate
in Italia. All’8 gennaio 1965 – data di protocollo dell’ultimo documento
presente nel fascicolo – la pratica non risulta conclusa»23.
Possiamo ricapitolare. Kubrick ingaggia Richard Adams, i due scrivono la
sceneggiatura, Kubrick trova di meglio da fare e Harris la vende a Jack
Palance. Il copione passa di mano e nel 1963 arriva alla CCC Films Berlin,
che lo cede alla Osen & Zucker di New York, che lo vende alla Trio Films di
Parigi, che lo de-kubrickianizza e riambienta in Italia e si accorda con la nostra
Jolly Films, che nel ’64 lo presenta al Ministero, che al mercato mio padre
comprò.
Nonostante l’aria condizionata sono ormai troppo sudato per decidere quale
sia stato quel «ben identificato produttore» che presentò il progetto al nostro
Ministero e mi accontento di concordare con Miccichè che il nome di Stanley
Kubrick rimase in copertina per aumentare l’appeal del copione a scapito di
Adams, Longolius e de Juan. Adesso si può scrivere “The End” sul giallo
Kubrick.
Sì, sì, ora il finale mi convince, ma senti, perché mi hai chiamato per una roba
così vecchia? – mi fa Harris.
È il senso del dovere che ci frega, amico mio, il senso del dovere ci frega.
© Filippo Ulivieri, 2015
L’autore ringrazia Debora Demontis e Maria Orsini della Biblioteca “Luigi
Chiarini” per il prezioso aiuto.
Filippo Ulivieri è curatore di ArchivioKubrick.it, principale risorsa online sul
cinema di Stanley Kubrick, e autore di "Stanley Kubrick e me" [Il Saggiatore,
2012], biografia di Emilio D'Alessandro, assistente personale del regista: un
ritratto inedito e personale di trent'anni di segreti dai set, storie di famiglia,
confidenze e affetti.
Note
1. Tullio Kezich, Il ponte sul fiume Po firmato Kubrick. O da qualcuno che fingeva di esserlo,
«Corriere della Sera», 2 dicembre 1999.
2. Sceneggiatura di Kubrick: nessun giallo, «La Repubblica», 3 dicembre 1999, articolo non firmato.
3. Ibid.
4. Non esiste il «giallo» Kubrick, «Il Manifesto», 3 dicembre 1999, articolo non firmato.
5. Sceneggiatura di Kubrick, «La Repubblica», cit.
6. Ibid.
7. Young, Colin, The Hollywood war of independence, «Film Quarterly», vol. 12, n. 3, Spring 1959.
8. Nel copione originale, i tenenti Dietrich e Kraus, amici d’infanzia che si erano promessi fedeltà
eterna, discutono animosamente, tra un’imboscata e un attacco dei cecchini, sulle ragioni della
guerra senza però arrivare a una vera rottura. Nel copione italiano invece gli occasionali diverbi
risultano via via più accesi: Kraus inizia ad avere pensieri da disertore sognando il ritorno alla
pace mentre Dietrich è sempre più spregiudicato e considera l’amico un codardo traditore. Nel
finale alternativo italiano, quando Kraus osteggia apertamente Dietrich minacciando la riuscita del
suo piano, questi impugna una pistola e gli spara. «Ti hanno mentito tutti» dice Kraus in punto di
morte, «perché gli hai creduto?». Questa scena strappalacrime e palesemente didattica pone i
due protagonisti a simbolo delle due anime del popolo tedesco, quella ligia al dovere che ha
favorito l’ascesa di Hitler e quella critica e infine ribelle al sistema militare preda della follia.
Questo finale rende l’intero film una messinscena del conflitto che doveva essere presente nelle
coscienze tedesche del dopoguerra e, per sciacquarle entrambe, fa saltare in aria in ponte, il
piano fallisce (Hitler perde) e tutti i tedeschi del plotone muoiono precipitando nella gola.
9. Stanley Kubrick e Richard Adams, The German Lieutenant, inedito, reperito online su
http://www.archiviokubrick.it/opere/progetti/germanlieutenant.html, traduzione dell’autore.
10. Pfeift auf hübsche Mädchen, «Filmblätter», 1957, articolo non firmato, traduzione dell’autore.
11. Per un’analisi più dettagliata della sceneggiatura e delle motivazioni dietro la sua scrittura, si
veda Ulivieri, Filippo, The German Lieutenant, una sceneggiatura inedita di Stanley Kubrick,
«Segnocinema», n. 186, 3 aprile 2014.
12. Stanley Kubrick, Le ultime cento ore, Roma, 1964, conservata presso la Biblioteca “Luigi
Chiarini”, Centro Sperimentale di Cinematografia, Roma.
13. Ibid.
14. A seguito della determinazione di legge denominata “Nuovo ordinamento dei provvedimenti
a favore della cinematografia” (L. 1213/1965 e successive modificazioni), la Direzione Generale
per il Cinema, presso il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, deposita le pellicole di
produzione italiana presso la Cineteca e, contestualmente, soggetti, trattamenti e sceneggiature
presso la Biblioteca “Luigi Chiarini”.
15. CCC Films, «Variety», 8 maggio 1963, traduzione dell’autore.
16. Hank Werba, New Spanish Empire: Films, «Variety», 8 maggio 1963, traduzione dell’autore.
17. Osen-Zuker set indie film firm, «Backstage», 27 settembre 1963, articolo non firmato,
traduzione dell’autore.
18. Oswald to Produce, Direct Paris ‘Hours’, «Daily Variety», 11 novembre 1963, articolo non
firmato, traduzione dell’autore. L’autore sbaglia il nome di Adams, cambiandolo in Robert.
19. International Sound Track, «Variety», 19 giugno 1968, articolo non firmato. L’autore confonde il
titolo del progetto.
20. ACE plans $6.5-Mil German coproduction, "Last 100 Hrs." from old script by Kubrick, «Variety», 1
ottobre 1980, traduzione dell’autore.
21. LoBrutto, Vincent, Stanley Kubrick: l’uomo dietro la leggenda, Il Castoro, Milano, 1999, p. 171.
Al Kubrick Archive di Londra, dove sono custoditi tutti i documenti di produzione dei film del
regista, esistono fogli di budget che comprovano la pre-produzione del progetto.
22. Intervista dell’autore con James B. Harris.
23. Risposta via email da parte dell’Archivio Centrale dello Stato alla Biblioteca “Luigi Chiarini”, 3
aprile 2015.