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Alce Nero Cooperativa Agrobiologica
DISCIPLINARE DI PRODUZIONE
MONTEBELLO
DEI GRANI ANTICHI
Alce Nero Cooperativa Agrobiologica a r.l.
Via Strada delle Valli n.21
61030 Isola del Piano PU
P. IVA 02030920413
Disciplinare di produzione Montebello
dei “CEREALI ANTICHI”
Approvato da Alce Nero Cooperativa
Agrobiologica a r.l. in data 10 maggio ’06
Approvato da Bios srl in
data 23 giugno ’06.
Pag.1
Alce Nero Cooperativa Agrobiologica
INDICE
INTRODUZIONE ..................................................................... ERRORE. IL SEGNALIBRO NON È DEFINITO.
1.
ECOSISTEMI BIOLOGICI ........................................................................................................................ 3
1.1. GESTIONE DELL’ECOSISTEMA .................................................................................................................... 3
1.2. CONSERVAZIONE DI ACQUA E SUOLO ......................................................................................................... 4
1.3. ORGANISMI GENETICAMENTE MODIFICATI ................................................................................................. 5
2.
CONVERSIONE AL METODO DELL’AGRICOLTURA BIOLOGICA ..................................................... 5
2.1. CONVERSIONE DELL’INTERA AZIENDA ......................................................................................................... 6
2.2. PRODUZIONI PARALLELE............................................................................................................................ 6
3.
PRODUZIONE .......................................................................................................................................... 6
3.1. AMBIENTE ................................................................................................................................................ 6
3.2. PERIODO DI CONVERSIONE PER LE PRODUZIONE VEGETALI.......................................................................... 6
3.3. TECNICHE COLTURALI DEI CEREALI ............................................................................................................ 7
4.
RACCOLTA, TRASPORTO, STOCCAGGIO POST RACCOLTA E RINTRACCIABILITÁ.................. 15
4.1. RACCOLTA ............................................................................................................................................. 15
4.2. TRASPORTO ........................................................................................................................................... 15
4.3 STOCCAGGIO .......................................................................................................................................... 15
4.4. RINTRACCIABILITÀ................................................................................................................................... 16
5.
PRODUZIONE DI SEMOLA E FARINA................................................................................................. 17
5.1. CONSERVAZIONE DEI CEREALI ................................................................................................................. 17
5.2. MOLITURA .............................................................................................................................................. 17
6.
PRODUZIONE DI PASTA ...................................................................................................................... 17
6.1. INGREDIENTI ........................................................................................................................................... 17
6.2. ACQUA D’IMPASTO .................................................................................................................................. 17
6.3. ESSICCAZIONE........................................................................................................................................ 18
6.4. MATERIALE PER IL CONFEZIONAMENTO .................................................................................................... 18
6.5. ETICHETTATURA ..................................................................................................................................... 18
Allegati: 1, 2, 3, 4
Disciplinare di produzione Montebello
dei “CEREALI ANTICHI”
Approvato da Alce Nero Cooperativa
Agrobiologica a r.l. in data 10 maggio ’06
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data 23 giugno ’06.
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Alce Nero Cooperativa Agrobiologica
INTRODUZIONE
Obiettivo generale del presente disciplinare di produzione è quello di fornire agli agricoltori biologici
e ad Alce Nero Cooperativa le medesime linee guida in grado di disciplinare tutta la filiera dei
“CEREALI ANTICHI”, dalla scelta della varietà, alla coltivazione in campo fino alla produzione di
pasta.
Pertanto, l’azienda agricola biologica, integrata nella filiera dei GRANI ANTICHI, deve essere
considerata come un’unità di produzione fortemente collegata con le altre unità produttive, sotto
tutti i punti di vista, in cui coltivazioni, allevamenti, trasformazioni e risorse umane sono connesse
in un sistema di produzione unitario che non può essere facilmente scisso.
In accordo ai principi agroecologici, il successo di un’azienda biologica è, di conseguenza,
strettamente legato alla comprensione e alla conoscenza delle interazioni tra le sue componenti ed
alla loro efficace utilizzazione, allo scopo di ridurre al minimo il ricorso a mezzi di produzione extraaziendali.
Dove possibile il presente Disciplinare è organizzato in tre sezioni: “Consigliato, Ammesso e
Vietato”. Lo scopo è, da un lato, quello di evitare equivoci nella comprensione del testo e, dall’altro,
offrire una chiara rappresentazione della visione di Alce Nero Cooperativa riguardo ai concetti
dell’agricoltura biologica.
Conformemente a quanto previsto dagli articoli 28, 29 e 30 del Trattato sulla libera circolazione
delle merci e dal paragrafo 4.1.2 delle norme UNI CEI EN 45011 l’accesso al marchio GRANI
ANTICHI non può essere negato a nessuna azienda, a meno che non sia sprovvista dei requisiti
previsti dal presente disciplinare. Tale accesso non può essere negato per il fatto che il
richiedente non risiede in una particolare area geografica purché ricadente nell'
Unione Europea.
Per tutto quanto non espressamente menzionato nel presente disciplinare si rimanda al Reg. CE
2092/91 e successive modifiche e integrazioni; ai regolamenti della PAC, in particolare all’insieme
delle norme sull’ecocondizionalità1, e alle norme sulla tracciabilità2, in particolare per la parte
relativa alla produzione di pasta.
1. ECOSISTEMI BIOLOGICI
1.1. GESTIONE DELL’ECOSISTEMA
E’ generalmente riconosciuto che l’agricoltura biologica arrechi beneficio alla qualità degli
ecosistemi.
1.1.1. Gli Operatori dovranno adottare misure per mantenere e migliorare il paesaggio con
particolare attenzione alla salvaguardia - anche incrementandola laddove possibile - della
biodiversità naturale e di quella agricola.
Consigliato
Vietato
L’azienda agraria dovrebbe convertire alcune aree - Distruggere ecosistemi primari.
appropriate in habitat specifico per accogliere flora e fauna
selvatiche. Queste includono:
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pascoli estensivi, canneti o terreni asciutti;
in generale tutte le aree che sono fuori dalla rotazione
gestite in modo estensivo: prati, arboreti estensivi, siepi,
spazi a confine tra aree agricole e forestali, piccoli
boschetti di alberi e/o cespugli, boschi veri e propri;
aree a riposo ecologicamente ricche ovvero arativi;
aree a margine dei campi, ecologicamente diversificate
ed estensive;
torrenti, stagni, sorgenti, fossati, aree soggette a
periodica inondazione, aree umide, paludi e altre zone
ricche d’acqua che non sono utilizzate per agricoltura
intensiva od acquacoltura;
aree con flora spontanea;
corridoi ecologici che forniscono raccordi e collegamenti
con habitat nativi.
1.2. CONSERVAZIONE DI ACQUA E SUOLO
I metodi di agricoltura biologica conservano e migliorano il suolo, proteggono la qualità dell’acqua
e la utilizzano efficacemente e responsabilmente.
Consigliato
Vietato
Gli Operatori dovrebbero:
- Danneggiare il territorio o inquinare le
- ridurre al minimo la perdita di suolo
risorse idriche attraverso una gestione del
superficiale attraverso la lavorazione
pascolo inappropriata.
minima (adottando sistemi conservativi di - Impoverire o sfruttare in maniera eccessiva
lavorazione del terreno), l’aratura secondo
le risorse idriche.
le curve di livello, la scelta delle colture da - Abbattere delle foreste primarie.
impiantare, il mantenimento della copertura - Utilizzare fertilizzanti che contengono feci e
vegetale, un’idonea regimazione delle
orine di origine umana.
acque superficiali e anche attraverso altre
pratiche che proteggono il terreno;
- intraprendere misure atte a prevenire
l’erosione,
il
compattamento,
la
salinizzazione e altre forme di degrado del
suolo;
- limitare quanto possibile la bruciatura della
vegetazione e dei residui colturali;
- adottare tutti i sistemi di riciclo (esempio
uso di scarti dell’industria agroalimentare),
di rigenerazione, e di apporto di materiali
organici (letamazioni, sovesci, interramento
dei residui colturali) e di nutrienti al terreno,
al fine di conservare la sostanza organica e
le altre risorse rimosse dal suolo attraverso
la raccolta;
- utilizzare tecniche che favoriscono la
conservazione dell’acqua nel suolo, come
ad es. aumentare il contenuto di sostanza
organica del terreno, effettuare sovesci,
piantare/seminare
tempestivamente,
adottare una pianificazione degli interventi
irrigui che sia appropriata ed efficiente;
- applicare acqua e mezzi tecnici in modo da
non dare luogo ad erosione superficiale e
creare inquinamento alle risorse idriche di
superficie e di falda;
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coloro che preparano gli alimenti, o che
comunque li manipolano, dovrebbero
adottare strategie che consentono l’uso
responsabile dell’acqua e il suo riciclo,
senza inquinare o contaminare la risorsa
idrica con prodotti chimici o patogeni
animali e umani;
Gli Operatori dovrebbero progettare sistemi
che utilizzano l’acqua con responsabilità e
in armonia con il clima locale e la posizione
geografica.
La gestione biologica dell’azienda dovrebbe
prevenire e mitigare gli impatti sulle risorse
idriche, anche (ma non solo) regolando
l’applicazione dei concimi, la densità degli
allevamenti, l’applicazione di fertilizzanti
solubili e controllando le acque di scarico
degli impianti di trasformazione e
lavorazione alimentare.
Gli Operatori dovrebbero adottare una
gestione sostenibile delle risorse e del bene
comune.
1.3. ORGANISMI GENETICAMENTE MODIFICATI
Gli Organismi Geneticamente Modificati (OGM) sono esclusi dalla produzione e dalla
trasformazione alimentare biologica.
Vietato
- L’uso deliberato o l’introduzione negligente di OGM o dei loro derivati nei sistemi di agricoltura
biologica o nei prodotti biologici. Il divieto riguarda gli animali, la semente, il materiale di
propagazione e i diversi mezzi tecnici, come fertilizzanti, ammendanti, vaccini o materiali
utilizzati per la protezione delle colture.
- L’uso, nei prodotti alimentari preparati, di ingredienti, additivi o coadiuvanti della trasformazione
alimentare derivati da OGM.
- L’uso, in qualsiasi attività di produzione aziendale separata (inclusa la produzione parallela), di
OGM.
1.3.1. I mezzi tecnici, i coadiuvanti e gli ingredienti della trasformazione alimentare devono essere
ben identificabili (tracciabili) lungo tutta la filiera biologica, fino all’organismo che rappresenta la
sorgente diretta dalla quale si originano, per verificare che non derivano da OGM.
1.3.2. La contaminazione del prodotto biologico da parte di OGM come risultato di circostanze che
sono al di fuori del controllo dell’Operatore possono alterare lo status biologico dell’attività e/o del
prodotto. Quindi, l’agricoltore biologico dovrebbe accertarsi, nelle sue coltivazioni, delle opportune
distanze da colture transgeniche che eventualmente dovessero essere impiantate nella zona
circostante, quando eventualmente consentito dalla normativa.3
2. CONVERSIONE AL METODO DELL’AGRICOLTURA BIOLOGICA
La conversione è un periodo di transizione dall'
agricoltura convenzionale all'
agricoltura biologica.
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2.1. CONVERSIONE DELL’INTERA AZIENDA
2.1.1. Tutta la produzione vegetale e animale deve essere convertita all’agricoltura biologica.
Tuttavia, la conversione può essere realizzata lungo un periodo di tempo, dal momento che
un’azienda può essere convertita in tappe successive.
2.1.2. La durata del periodo di conversione e il modo di procedere lungo la conversione devono
essere previsti nel Piano di Conversione Poliannuale (PCP), che deve essere approvato
dall’Organismo di controllo. Il PCP dovrà interessare tutta la superficie dell’azienda. Esso può
essere modificato durante il processo di conversione, ma solo dietro autorizzazione dell’Organismo
di controllo.
2.1.3. In ogni caso, la completa conversione dell’azienda dovrà essere completata entro 3 anni al
massimo.
2.1.4. L’Operatore deve dimostrare che il sistema di produzione non si basa su continui passaggi
da metodo biologico a metodo convenzionale. Di conseguenza è vietato passare dal metodo
biologico a quello convenzionale e di nuovo a quello biologico.
2.2. PRODUZIONI PARALLELE
Nel caso in cui la conversione avvenga in tappe successive e quindi non coinvolga
simultaneamente tutte le produzioni l’Organismo di controllo deve assicurare che i settori biologici
e convenzionali dell’azienda siano separati e ispezionabili.
La produzione simultanea di prodotti vegetali o animali convenzionali, in conversione e/o biologici
è consentita solamente dove tale produzione è distinta chiaramente: in ogni caso, è vietato
coltivare la stessa varietà colturale o la stessa specie animale simultaneamente con metodo
biologico e convenzionale nella stessa azienda, anche se ciò si verifica in distinte unità produttive
aziendali.
Per assicurare una chiara separazione tra produzione biologica e convenzionale, l’Organismo di
controllo deve ispezionare l’intera attività produttiva e di trasformazione dell’azienda (dalla
produzione di materia prima alla commercializzazione dei prodotti).
In aziende che adottano, transitoriamente, sia il metodo biologico sia convenzionale non è
consentito l’utilizzo di organismi geneticamente modificati nella parte convenzionale.
3. PRODUZIONE
3.1. AMBIENTE
Condizione indispensabile è il mantenimento o il ripristino - qualora esso sia stato alterato dell’equilibrio fra gli elementi che compongono l’agro-ecosistema.
Il suolo agrario, risorsa indispensabile per attuare i cicli produttivi, deve essere protetto da dissesti
di ogni genere: smottamenti, erosioni, ristagni, perdita di sostanza organica e fertilità nel suo
complesso.
Devono essere messe in atto le sistemazioni idrauliche agrarie più idonee alle diverse situazioni,
avendo cura del loro mantenimento in efficienza nel tempo.
Nell’azienda biologica deve essere favorita la diversità e la complessità ambientale con la
presenza di siepi, gruppi di alberi e/o macchie spontanee, corsi d’acqua, stagni, sorgenti, fossi,
zone umide ed altri elementi naturali simili.
Le siepi di protezione dall’inquinamento esterno devono essere commisurate nell’altezza, nella
larghezza, nello spessore e nelle specie vegetali ai diversi casi che ricorrono.
Per le aziende agricole situate nelle immediate prossimità di fonti d’inquinamento (strade,
fabbriche, colture convenzionali contigue, ecc.), l’Organismo di controllo valuta se ammettere
l’azienda alla produzione biologica ai fini della certificazione del prodotto, oppure suggerisce le
soluzioni tecniche che l’azienda deve mettere in atto per limitare gli inquinamenti ambientali (effetti
indesiderati della deriva).
3.2. PERIODO DI CONVERSIONE PER LE PRODUZIONE VEGETALI
Quando viene considerato il singolo campo/appezzamento, il periodo di conversione di base avrà
durata pari a:
• due anni, prima della semina o della piantumazione per colture annuali e poliennali;
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• tre anni, prima della raccolta per piante perenni (es. alberi da frutto, olivi e vite).
L’inizio del periodo di conversione deve essere calcolato a partire dalla data della Notifica.
3.3. TECNICHE COLTURALI DEI CEREALI
Tutte le tecniche colturali devono essere finalizzate ad un utilizzo sostenibile delle risorse naturali e
alla più efficiente integrazione di tutti gli elementi del sistema colturale, al fine di ottenere il miglior
risultato quanti-qualitativo della produzione, inteso come produzione in termini assoluti e
sostenibilità ambientale ed economica del processo produttivo.
La coltivazione dei cereali si inserisce in questo contesto di sistema. Si evidenzia con forza il fatto
che nel nostro Paese, nella nostra regione, come in altre del bacino del Mediterraneo, la coltura di
queste specie ha origini lontane nel tempo e si identifica con la storia dell’agricoltura e dei popoli
che l’hanno coltivata e continuano a coltivarla. Non è possibile pensare alla nostra agricoltura
senza il frumento, né oggi né in futuro. E le caratteristiche pedo-climatiche degli ambienti in cui
opera Alce Nero Cooperativa, seppure diversificati, sono adatte alla coltivazione del frumento e
all’ottenimento di un prodotto di qualità.
Tutto il sistema colturale deve tenere conto delle caratteristiche delle varietà coltivate, in
particolare, nel caso della specifica scelta di Alce Nero Cooperativa di privilegiare i cereali antichi,
alcuni elementi fondamentali riguardano la densità di semina, il livello di fertilizzazione del terreno,
la suscettibilità ad alcune delle patologie più diffuse.
3.3.1. Scelta di colture e varietà, con particolare riferimento alla posizione dei cereali nei
nostri sistemi colturali.
Il primo passo di qualsiasi attività agricola è la scelta della specie da coltivare - nel rispetto
dell’opportuno avvicendamento colturale - e, al suo interno, della varietà; tale scelta è condizionata
da:
- fattori climatici e pedologici dell’areale in cui si opera:
o devono essere preferite le specie tipiche della zona, frutto di un lungo processo di
adattamento (mentre riserve devono essere poste su specie di nuova introduzione,
mai coltivate in quel territorio, originarie di ambienti completamente diversi); frumento
duro, frumento tenero e farro dicocco sono certamente specie tipiche dei nostri areali
di coltivazione;
o vanno individuate - sulla base di dati sperimentali ed esperienze aziendali dirette - le
varietà4 con caratteristiche morfo-agronomiche rispondenti alle condizioni agroclimatiche dell’azienda (esempio lunghezza del ciclo vegetativo, taglia, resistenza
agli stress biotici e abiotici) e aspetti qualitativi in grado di soddisfare la filiera
produttiva della Cooperativa (in particolare - nel caso del frumento duro - le
caratteristiche di pastificazione, quindi contenuto proteico e di glutine, qualità del
glutine, colore delle semole, contenuto in ceneri); Alce Nero Cooperativa - per ragioni
diverse - ha deciso di lavorare con varietà antiche, sia varietà locali, sia cultivar di
lontana selezione;
- richieste del mercato e del sistema agro-alimentare in cui è inserito (l’attuale mercato dei
prodotti agro-alimentari, soprattutto di quelli da agricoltura biologica, mostra una forte
attenzione ai prodotti derivati da specie e varietà di nicchia);
- esigenze organizzative dell’azienda agraria stessa.
Le sementi, il materiale di propagazione vegetativa e le piantine da trapianto devono provenire da
coltivazioni che seguono il metodo di produzione biologico.
Consigliato
4
5
3
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Ammesso
6
Vietato
6
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Di prendere in
considerazione, nella
scelta delle varietà, la
diversità genetica
(biodiversità).
-
L’utilizzo di sementi e
materiale di riproduzione
vegetativa, proveniente da
coltivazioni non biologiche,
solo dietro deroga da parte
dell’ENSE per quelle
specie che non sono
presenti nell’allegato del
Reg. CE n. 1452/2003 e
successive modificazioni
ed integrazioni.
-
La coltivazione di specie
e varietà geneticamente
modificate (OGM).
L’impiego di materiali di
propagazione trattati con
prodotti non inclusi
nell’Allegato B del Reg.
Ce 2092/91
3.3.2. Rotazione colturale e consociazione
L’avvicendamento delle colture nel tempo e nello spazio è fondamentale per mantenere l’equilibrio
fra le diverse componenti del sistema colturale, garantire il mantenimento della fertilità del terreno,
favorire la buona struttura fisica del terreno, ottenere i migliori risultati da talune colture sfruttanti
(come il frumento), evitare problemi di stanchezza del terreno legati all’impoverimento di alcuni
elementi nutritivi e/o all’accumulo di cariche patogene o parassitarie.
I cereali sono colture tipicamente “sfruttanti”, pertanto il giusto posto nella rotazione è dopo una
coltura da rinnovo (mais, girasole, bietola, colza) o una miglioratrice (leguminose da granella e
foraggere). Frumento duro e frumento tenero hanno maggiori esigenze rispetto al farro dicocco
che si adatta a situazioni pedo-climatiche marginali, scarsa fertilità del terreno (eccessiva fertilità,
precessioni “buone” come le leguminose, possono causare in questa specie eccessivo rigoglio
vegetativo, taglia elevata e forte rischio di allettamento). Inoltre, le varietà antiche, in tutte le specie
considerate, hanno minori esigenze in generale rispetto alle varietà moderne e quindi sono in
grado di dare buoni risultati anche in ambienti agronomicamente poveri.
Uno degli elementi più importanti della fertilità del terreno è certamente l’azoto (fermo restando
l’equilibrio generale fra le diverse componenti), perché la granella dei frumenti (farro incluso)
contiene glutine, cioè proteine, componenti sì importanti dal punto di vista nutrizionale, ma
fondamentali dal punto di vista tecnologico e di trasformazione. Nel caso del frumento duro esso è
utilizzato per la produzione di pasta, per la quale serve un elevato contenuto in glutine (quindi in
proteine) e una buona qualità di questo. Tali caratteristiche sono, in parte, legate alla varietà, ma
prevalentemente sono influenzate dalle condizioni agronomiche e, fra queste, in modo rilevante,
dalla disponibilità di azoto assorbibile da parte della pianta: le piante assorbono prevalentemente
l’azoto in forma nitrica, tra l’altro la più dilavabile. Lo ione nitrico non è trattenuto dal terreno, quindi
la presenza di azoto è molto variabile, così come ne deriva variabile la disponibilità per la pianta al
momento giusto. L’unico modo per trattenere l’azoto nel terreno è in forma organica, che rilascia
lentamente l’elemento utile alla pianta in seguito al processo di nitrificazione che avviene per opera
dei microrganismi del terreno, particolarmente attivi nel periodo primaverile-estivo, quando la
temperatura del suolo supera 10°C.
Sulla scorta di quanto sopra, è evidente che un buon contenuto in sostanza organica e la
precessione di una coltura miglioratrice (leguminosa) sono due presupposti fondamentali per la
coltivazione di un frumento destinato alla trasformazione in prodotto specifici quali pasta (frumento
duro e farro dicocco) e prodotti da forno (frumento tenero). Pertanto l’avvicendamento colturale
deve essere impostato in relazione a tali premesse.
Nelle modalità di gestione sostenibile della fertilità dei terreni una soluzione interessante è la
possibilità di consociare il cereale con una specie leguminosa. La tecnica, ampiamente diffusa
nella produzione foraggera (bulatura dell’erba medica nell’orzo o nel frumento), ma non ancora
introdotta in modo consistente anche nei sistemi di agricoltura biologica per la produzione di
granella, semplifica notevolmente gli interventi colturali e ottimizza la gestione dei terreni in postraccolta. I cereali traggono vantaggio da questo sistema di coltivazione dalla disponibilità di azoto
fissato nel terreno dalla leguminosa, svincolandosi dall'
apporto di concimi azotati. Esempio:
consociazioni con favino e trifoglio alessandrino, mentre negli ambienti più asciutti si utilizza
trifoglio sotterraneo. Nel primo caso il cereale è seminato a file binate e nell’interfila è seminato il
favino, all’inizio della levata si interviene con una fresatura nell’interfila che interra il favino,
operando una sorta di sovescio. Nel caso dei trifogli si seminano contemporaneamente al
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frumento, il primo fornisce azoto al cereale e contrasta lo sviluppo delle infestanti. A fine ciclo il
frumento si trebbia, mentre il trifoglio rimane in campo; il trifoglio alessandrino che è specie
annuale, chiude il ciclo o potrebbe avere un debole ricaccio se c’è disponibilità idrica), mentre il
sotterraneo rimane fermo fino all’autunno, quando riparte in vegetazione, potendolo così utilizzare
per un pascolo o un sovescio.
Nel caso del farro dicocco, come ricordato sopra, la disponibilità di azoto è un fattore meno
limitante, perché si tratta di una specie più “rustica”; inoltre, questa produzione è in parte destinata
alla preparazione di granella perlata o altri trasformati dove la presenza di proteina e di glutine non
sono fattori importanti, a differenza della produzione di pasta.
Nell’ambito dell’avvicendamento vanno prese in considerazione colture a perdere con funzione di
cover crop e sovescio, utili a ripristinare sia la fertilità del terreno che a mantenerne il suo stato
fisico.
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Consigliato
Inserire nella rotazione colture di
copertura (cover crop, colture da
sovescio), che migliorano le
proprietà fisiche e fisico-chimiche
del terreno; hanno azione
soffocante sulle infestanti;
ostacolano l’erosione dei terreni e
migliorano il controllo dei parassiti;
trattengono i nutrienti dall’essere
lisciviati.
Diversificare le colture allo scopo
di favorire un maggior grado di
biodiversità all’interno dell’azienda.
Consociare le colture per gli effetti
positivi che esplicano nei confronti
del terreno e delle colture stesse.
Porre in successione colture con
caratteristiche diverse (piante a
radice profonda e piante con
apparato radicale modesto; azotofissatrici e piante particolarmente
avide d’azoto; etc.), coltivate in
periodi dell’anno differenti (semina
autunnale e semina primaverile;
semine a file distanti o a file strette;
etc.).
Non ripetere una leguminosa da
granella sullo stesso
appezzamento prima di almeno 3
anni.
Ammesso
Dopo un prato almeno
triennale di foraggere
(leguminose) è ammessa
la ripetizione della stessa
specie al massimo per
un altro anno (es. dopo
tre anni di erba medica si
può coltivare frumento
duro anche per due anni
consecutivi). Tuttavia è
da preferire una
successione con una
specie diversa di
cereale: esempio
frumento duro il primo
anno, poi farro o
frumento tenero al
secondo.
-
Vietato
Praticare la
monosuccessione.
3.3.3. Lavorazioni del terreno
Le modalità e i tempi di lavorazione del terreno devono consentire la conservazione della sostanza
organica (così da favorire i processi di umificazione piuttosto che quelli di mineralizzazione),
favorire l’assorbimento delle acque superficiali (evitare i ruscellamenti), permettere un buon
sgrondamento delle acque profonde e consentire un buon arieggiamento dello strato coltivato di
terreno (evitare ristagni idrici, smottamenti), garantire l’approfondimento degli apparati radicali.
Il frumento è una coltura poco esigente nei riguardi della preparazione del terreno, possiede un
apparato radicale di tipo fascicolato, dotato di elevata capacità esplorativa, beneficia della fertilità
residua presente nei terreni e si adatta anche a suoli lavorati superficialmente o non lavorati.
- Dopo una coltura con elevati residui colturali e con terreni compattati, trinciare attentamente i
residui (consentendone il contatto con la terra) ed eseguire l’aratura.
- L'
applicazione di lavorazioni ridotte o della non lavorazione è possibile in assenza di residui
della coltura precedente, su terreni ben livellati e non eccessivamente compattati. La riduzione
dell'
intensità degli interventi di lavorazione del terreno è sempre auspicabile, perché riduce il
traffico delle macchine operatrici (causa di destrutturazione, impattamento e depressione
dell'
attività biologica nei suoli); evita la diluizione della sostanza organica e abbatte i costi di
produzione.
Tipo, profondità e tempi di lavorazione influiscono sulla eventuale rinascita della coltura della
stagione precedente, sullo sviluppo delle infestanti, sull’emergenza e sul grado di copertura della
coltura del frumento.
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Consigliato
Non utilizzare macchinari
ed attrezzi che provocano
costipamento e
destrutturazione del suolo.
Limitare il ricorso a
macchinari pesanti.
L’uso di strumenti discissori
per le lavorazioni profonde
oltre i 25 centimetri,
piuttosto che attrezzi che
rovesciano il terreno.
Eseguire l’aratura in caso
di precessione colturale
con elevata quantità di
residui colturali (esempio
mais, sorgo, erba medica).
Ricorrere alle lavorazioni
minime in caso di
precessioni colturali idonee
(leguminose da granella,
bietola, ortiva, ecc.)
L’uso di pneumatici a
sezione larga, di cingoli e
semi-cingoli.
-
Sconsigliato
Lavorare i terreni bagnati.
Lasciare integri e non
interrati adeguatamente i
residui della coltura
precedente.
-
Vietato
L’uso della tecnica del
disseccamento tramite
diserbanti totali.
3.3.4. Semina
Modalità. La semina a righe è, in termini generali, il metodo più conveniente, sia tecnicamente sia
economicamente, che si possa utilizzare per il frumento nei nostri ambienti. I sesti di impianto
(distanza fra le file e sulla fila) devono essere tali da garantire uno spazio uniforme a tutte le piante
e consentire alla coltura una rapida “chiusura” del terreno, aspetto particolarmente importante per il
controllo delle infestanti nelle coltivazioni biologiche.
Densità. La densità di semina varia in funzione:
della varietà (ciclo, capacità di accestimento, taglia, suscettibilità alle malattie);
dell’areale di coltivazione (negli ambienti più marginali gli investimenti devono essere inferiori di
circa 50-100 semi per metro quadrato);
della fertilità del terreno e della disponibilità di risorse idriche (terreni più fertili sopportano
investimenti più alti, rispetto a terreni poveri e siccitosi);
delle condizioni del letto di semina (le dosi di seme vanno aumentate al peggiorare del
terreno);
dell’epoca di semina (ritardi nella semina richiedono un maggiore investimento).
Si sottolinea che le varietà antiche sono prevalentemente a taglia alta, pertanto va posta
particolare attenzione alla densità, evitando eccessi che favorirebbero l’allettamento.
Epoca. Nei nostri areali il frumento duro, il frumento tenero e il farro invernale devono essere
seminate in autunno, tra ottobre e fine novembre (prima nelle zone a maggiore altitudine e nei
terreni esposti a nord, dopo in quelle più basse e negli appezzamenti più assolati). In particolare,
per le varietà antiche, la semina tempestiva favorisce l’accestimento, elemento fondamentale per il
contenimento delle erbe infestanti.
Le principali cause dei ritardi derivano dall'
andamento climatico, dalla preparazione dei letti di
semina e dall'
esigenza di effettuare operazioni di falsa semina per il controllo della flora
infestante. Relativi anticipi o ritardi possono rendersi necessari in funzione del ciclo della varietà
(semina più anticipata per varietà tardive, più ritardata per quelle precoci), della possibilità di
sfuggire a problemi fitopatologici (ad esempio il mal del piede è favorito da alte temperature
autunnali, quindi il ritardo potrebbe consentire minori attacchi), di stress abiotici (l’anticipo di
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dei “CEREALI ANTICHI”
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Alce Nero Cooperativa Agrobiologica
semina negli ambienti meridionali consente alla coltura di sfruttare al meglio la piovosità invernale;
il ritardo di semina, invece, permette di sfuggire ai ritorni tardivi di freddo nei terreni di fondovalle).
Tutte le varietà di frumento duro oggi disponibili, comprese le varietà antiche, sono ad habitus
alternativo e quindi possono essere seminate anche a fine inverno; il frumento tenero e il farro
dicocco includono varietà sia alternative sia invernali (queste ultime vanno obbligatoriamente
seminate in autunno).
Concia. È una pratica consigliata nella gran parte dei casi, con prodotti opportunamente scelti e
ammessi. Tale tecnica fornisce un ausilio nella protezione della giovane plantula nelle prime fasi di
sviluppo; l’efficacia della concia dipende dalla carica fungina sul seme e nel terreno e dalla/e
specie di patogeni presenti, dall’andamento climatico, dalla rotazione adottata. I prodotti ammessi
sono di tipo contatticida e quindi sono efficaci su patogeni esterni alla cariosside o presenti nel
terreno.
-
-
-
-
Consigliato
Utilizzare semente sana e con
buone caratteristiche
sementiere (purezza specifica e
varietale, germinabilità, vigore
germinativo) (aspetti garantiti
dalla semente certificata).
Adottare le densità di semina di
450÷500 (frumento duro), 500
(frumento tenero) e 350-400
(farro dicocco) semi
germinabili/m2 (i quantitativi di
seme per ettaro variano in
funzione del peso e della
germinabilità della semente5).
Seminare in epoca ottimale per
ciascuna varietà (semine più
anticipate per varietà tardive e
ambienti freddi, semine più
ritardate per varietà precoci e
ambienti più caldi).
Usare semente conciata con i
prodotti ammessi. Una buona
concia deve essere eseguita con
attrezzature opportune e
adottando la tecnica ad umido,
l’unica che garantisce una
distribuzione uniforme del
prodotto su tutta la massa
conciata e su tutta la superficie
della cariosside, inoltre
consente di non sprecare
prodotto e salvaguarda la
salute degli operatori.
-
-
-
-
Sconsigliato
Adottare investimenti
superiori a quelli indicati
perché causano
un’eccessiva fittezza della
coltura, favoriscono
l’allettamento e l’attacco di
malattie fungine.
Adottare investimenti
inferiori a quelli indicati che
spingono la pianta ad
accestire di più (troppe
spighe secondarie,
cariossidi più piccole,
scalarità di maturazione) e
rendono più lenta la
capacità della coltura di
coprire il terreno.
Utilizzare semente
riprodotta in azienda
proveniente da colture non
sane o molto infestate da
malerbe.
Seminare in periodi diversi
da quelli ottimali.
Effettuare interventi
concianti in polvere nella
tramoggia della
seminatrice, per motivi sia
igienico-sanitari sia di
efficienza del sistema.
Vietato
Utilizzare sementi
conciate con prodotti
non ammessi
dall’Allegato B del Reg.
Ce 2092/91.
-
3.3.5. Controllo erbe spontanee
Il controllo agronomico delle infestanti deve essere effettuato attraverso una o più delle seguenti
pratiche, a seconda delle circostanze:
1. impostazione di un razionale avvicendamento colturale;
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2. uso di varietà con elevato grado di accestimento, con portamento delle piante
tendenzialmente prostrato e di taglia alta (le varietà antiche di cereali presentano
frequentemente tali caratteristiche);
3. consociazioni;
4. impiego di sementi ad elevata purezza specifica;
5. impiego di letame maturo;
6. esecuzione di una o più «false semine»;
7. strigliatura all’accestimento (evitare l’intervento su piante in levata);
Ammesso
L’uso di mezzi meccanici e/o termici.
-
-
Vietato
La pulizia dei campi attraverso
bruciatura dei residui colturali (debbio
della cotica).
L’uso di diserbanti sintetici.
3.3.7. Fertilizzazione
Un buono stato nutrizionale della coltura significa maggiore capacità della stessa di reagire alle
diverse avversità, garantire una produzione valida sia produttivamente sia qualitativamente.
Il programma di fertilizzazione deve mirare alla conservazione o all’aumento della fertilità e
dell’attività biologica del suolo. Pertanto è utile conoscere le caratteristiche del terreno (mediante
analisi chimico-fisiche), al fine di garantire una equilibrata disponibilità di tutti gli elementi nutritivi
necessari alla coltura e, nel caso del frumento duro in particolare, garantire la giusta disponibilità di
azoto soprattutto in funzione della qualità della granella destinata alla pastificazione6.
La sostanza organica deve essere alla base del programma di fertilizzazione, anche attraverso la
valorizzazione dei residui vegetali ed animali mediante compostaggio. È importante gestire con
attenzione la distribuzione di letame su frumento, in relazione al possibile sviluppo di patogeni nel
terreno soprattutto in fase di emergenza/accestimento (periodo invernale). Inoltre, va tenuto in
considerazione che le varietà antiche sono molto alte e l’elevata disponibilità di sostanza organica
da letamazione potrebbe comportare un eccessivo rigoglio vegetativo, un allungamento del ciclo,
con conseguente maggiore rischio di malattie fungine e di allettamento. Pertanto, per la
coltivazione di queste varietà (in talune circostanze agro-ambientali) potrebbe essere più
conveniente ricorrere alla rotazione con leguminose da granella e da foraggio, più che alla
concimazione letamica.
Gli interventi per mantenere ed aumentare la fertilità del suolo devono basarsi su:
1) coltivazioni di leguminose (azotofissatrici7), o comunque di specie vegetali aventi un apparato
radicale profondo nell’ambito di un adeguato programma di rotazione pluriennale;
2) scelta razionale delle colture in successione;
3) inserimento di colture da sovescio nella rotazione;
4) incorporazione nel terreno di materiale organico, possibilmente compostato.
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Alce Nero Cooperativa Agrobiologica
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Consigliato
Effettuare un’analisi fisicochimica del terreno, al fine
di conoscere le
caratteristiche dello stesso
e poter mirare la meglio la
fertilizzazione.
Far seguire la coltura del
frumento duro ad una
leguminosa, da granella o
foraggera.
Gestire letame e compost
in modo tale da rendere
minima la perdita degli
elementi nutritivi.
Non utilizzare concimi
organici in copertura, che
non sortirebbero i dovuti
benefici perché devono
essere interrati.
L’apporto di concimi in
copertura è valido solo se
interrato (quindi è
necessario strigliare).
-
Ammesso
Se le tecniche per
mantenere ed aumentare
la fertilità del terreno non
consentono di assicurare
un nutrimento adeguato
alle colture, sarà possibile
l’integrazione della
fertilizzazione con i
prodotti indicati
nell’Allegato II, parte A del Reg. Ce 2092/91 purché
non venga superata la
quantità di 170 kg di N per
ettaro all’anno di superficie
agricola utilizzata.
Vietato
L’utilizzo di fertilizzanti
diversi da quelli inclusi
nell’Allegato II, parte A del
Reg. Ce 2092/91.
Non rispettare le
condizioni d’uso
aggiuntive previste
nell’Allegato II, parte A del
Reg. Ce 2092/91.
Aumentare la solubilità dei
fertilizzanti minerali
ammessi attraverso
trattamenti chimici. I
fertilizzanti minerali
devono essere applicati
nella loro composizione
naturale.
3.3.8. Cure fitosanitarie
3.3.8.1. Interventi indiretti e preventivi
Le pratiche di conduzione di un’azienda biologica devono permettere, nel tempo, di rendere
irrilevanti, o comunque molto limitate, le perdite causate dai parassiti. Tra queste pratiche, che
creano le condizioni per una difesa indiretta-preventiva, si possono elencare:
• mezzi agronomici (programma di rotazione adeguato, fertilizzazione equilibrata, densità di
semina, inerbimenti, consociazioni, regimazione delle acque, modalità d’irrigazione,
lavorazioni del terreno, etc.);
• scelta di specie e varietà ben adattate all’ambiente e quindi naturalmente resistenti;
• mantenimento e/o ripristino dell’equilibrio dell’agro-ecosistema;
• tutela dei nemici naturali presenti ed azioni favorevoli ad un loro incremento (mantenimento
e/o impianto di siepi ed aree di rifugio, diffusione d’artropodi predatori e/o parassitoidi).
3.3.8.2. Interventi diretti
Interventi di lotta diretta sono autorizzati quando si verifica un pericolo o un danno tale da
compromettere il risultato finale della coltura; vale a dire quando tutte le misure preventive
applicate non hanno sortito effetto positivo per controllare il danno. I prodotti che possono essere
impiegati per il controllo delle avversità biotiche sono compresi nell’Allegato II parte B del Reg. Ce
2091/91.
Vietato
L’impiego di prodotti per le cure fitosanitarie non compresi nell’Allegato II parte B del Reg. Ce
2092/91.
3.4.8.3. Evitare la contaminazione
Tutte le attrezzature utilizzate in agricoltura convenzionale devono essere pulite con la massima
cura onde rimuovere sostanze contaminanti, prima di essere utilizzate in aree gestite con il metodo
dell’agricoltura biologica.
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L’Operatore dovrà adottare misure specifiche per prevenire una possibile contaminazione
accidentale dell’area aziendale e dei prodotti biologici, anche derivante da acque di drenaggio e
irrigue; le misure possono includere barriere e zone di rispetto.
4. RACCOLTA,
TRASPORTO,
RINTRACCIABILITÁ
STOCCAGGIO
POST
RACCOLTA
e
4.1. RACCOLTA
La mietitrebbiatura deve essere eseguita tempestivamente, su prodotto maturo, in buone
condizioni di operatività di campo e con macchine adeguatamente regolate, al fine di evitare
perdite di produzione per sgranatura, rottura delle cariossidi (che comporta deprezzamento
qualitativo del prodotto e riduce la resa molitoria), raccolta di granella ad umidità eccessiva (che
rende difficoltosa la conservazione).
4.2. TRASPORTO
Il trasporto dall’azienda al centro di stoccaggio può essere eseguito direttamente dall’agricoltore,
se dispone di cassoni adeguati al trasporto e se le distanze possono essere coperte agevolmente
con una trattrice agricola. Diversamente, nella prevalenza dei casi, avviene tramite camion con
sponde rialzate.
In entrambi i casi massima attenzione deve essere posta alla pulizia dei cassoni, sia da materiali
inerti (sassi, terra) sia da semi di altre specie.
In particolare, nel caso dei camion, deve essere accertato che la licenza consenta il trasporto del
cereale e che lo stesso non sia adibito anche al trasporto di materiali pericolosi (esempio letame,
rifiuti, fanghi, scorie, altro assimilabile a rifiuti tossico-nocivi).
4.3 STOCCAGGIO
Nella filiera dei cereali lo stoccaggio è un anello fondamentale, che può incidere sulle
caratteristiche igienico-sanitarie ed anche qualitative delle granaglie destinate alle successive fasi
della trasformazione. Nel caso specifico di Alce Nero Cooperativa lo stoccaggio può essere
effettuato direttamente dall’agricoltore che consegna alla Cooperativa secondo i programmi di
lavorazione del pastificio oppure viene consegnato ai centri di stoccaggio dei molini convenzionati
con la Cooperativa e opportunamente controllati, oppure viene consegnato direttamente al Centro
di stoccaggio della Cooperativa.
Lo stoccaggio non ha una funzione solamente limitata alla conservazione della granella, ma svolge
anche un’azione di orientamento della produzione e di concentrazione di partite omogenee
secondo le esigenze della Cooperativa.
4.3.1. Strutture di stoccaggio
La tipologia delle strutture di stoccaggio è la più variegata possibile, si va dai magazzini a terra ai
silos, alla conservazione in big-bag e tale organizzazione non sempre è rispondente alle esigenze
della filiera, sia in termini organizzativo/logistici sia in termini igienico-sanitari.
I silos verticali sono generalmente i più idonei alla conservazione e i più agevoli dal punto di vista
operativo, mentre sarebbero da escludere i magazzini a terra.
In ogni caso, magazzini, silos e attrezzature per lo stoccaggio e la movimentazione dei cereali
devono essere adeguatamente puliti da residui di partite precedentemente stoccate. Inoltre, in
impianti misti di stoccaggio, le strutture destinate al prodotto biologico devono essere
opportunamente identificate.
Le partite prodotte e destinate alla trasformazione, devono:
rispettare i requisiti previsti per essere stoccate (in particolare l’umidità della granella, assenza
di parassiti e patogeni);
essere sottoposte a pre-pulitura, prima dell’immagazzinamento, mediante aspirazione e
vagliatura (questo intervento elimina le pule, le polveri, la terra, i semi delle infestanti e
favorisce la perdita di umidità);
essere immagazzinate, se richiesto, in modo differenziato.
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4.3.1.1. Stoccaggio differenziato.
Lo stoccaggio “differenziato” del frumento rappresenta un intervento fondamentale per la
valorizzazione della produzione e per accrescere la competitività della coltura.
Lo stoccaggio differenziato è importante non solo sul piano commerciale e per rispondere alle
esigenze della trasformazione, ma è essenziale ai fini della tracciabilità del prodotto. Infatti, il lotto
elementare è rappresentato dal singolo silo o magazzino e la sua omogeneità è fondamentale per
offrire garanzie a tutta la filiera. Sebbene la singola partita non sia più rintracciabile all’interno del
lotto è necessario conservare un campione della stessa ai fini di eventuali controlli di anomalie
riscontrate nel lotto stesso.
Per effettuare la differenziazione è necessario conoscere la varietà e la qualità della granella
fornita dall’agricoltore. Mentre il primo elemento è di facile identificazione, il secondo è più
complesso perché deve essere di tempestiva determinazione, aspetto difficile al momento della
consegna sotto trebbiatura. La determinazione delle caratteristiche merceologiche (peso ettolitrico,
peso 1000 semi, bianconatura, volpatura e presenza di impurità) è fondamentale per una prima
valutazione del prodotto, quindi va valutato il contenuto proteico. I primi parametri possono essere
agevolmente determinati con le strumentazioni classiche (bilancia di Chopper o sistemi rapidi per il
peso ettolitrico, controllo visivo per gli altri), mentre per le proteine è necessario disporre di
strumentazioni NIR (che lavorano all’infrarosso) in grado di fare una lettura immediata del
contenuto proteico (e anche del contenuto in glutine, ma è un dato meno attendibile) e in taluni
casi anche del colore (questo è un parametro che interessa di meno in questa fase di stoccaggio,
perché conoscendo la varietà sappiamo anche il suo indice di giallo che è poco influenzato
dall’ambiente). Ovviamente, analisi più approfondite saranno condotte in laboratorio su campioni
omogenei della massa stoccata e destinata alla trasformazione.
4.3.1.2. Sistemi di conservazione della granella
La granella di cereali è un frutto secco e quindi di facile conservazione, se sono seguite norme
minime nello stoccaggio.
É necessario che l’immagazzinamento sia effettuato:
- con una umidità massima del 13-14% e previa pre-pulitura,
- che la massa sia movimentata periodicamente sia per favorire la perdita di eventuale umidità
sia per arieggiare e consentire una uniforme “maturazione” della granella prima della molitura
(la cariosside è un organismo vivente e quindi respira, seppure in modo impercettibile);
- utilizzo di sistemi di refrigerazione e uso di CO2 (nel caso di conservazione a lungo termine).
Non è consentito l’utilizzo di prodotti chimici non previsti nell’allegato nell’Allegato II, parte B del
Reg. Ce 2092/91.
4.4. RINTRACCIABILITÀ
La rintracciabilità occupa la scena della produzione agro-alimentare con lo stesso peso della
sicurezza alimentare, entrambe fortemente richieste dal consumatore. Lo stabilisce all’articolo 18 il
Regolamento (CE) n. 178 del 28 gennaio 20028 che, fra l’altro, ai fini della sicurezza alimentare,
introduce il principio secondo cui deve essere assicurata “la possibilità di ricostruire e seguire il
percorso di un alimento, di un mangime, di un animale destinato alla produzione alimentare o di
una sostanza destinata o atta a entrare a far parte di un alimento di un mangime attraverso tutte le
fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione” (articolo 3, paragrafo 15). Quindi,
rintracciabilità significa avere la possibilità di ripercorrere il processo produttivo a ritroso, da valle a
monte, in pratica dal prodotto finito all’origine della materia prima. Ovviamente non si può
rintracciare il percorso del prodotto, se prima non è stato tracciato.
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5. PRODUZIONE DI SEMOLA E FARINA
5.1. CONSERVAZIONE DEI CEREALI
Durante questa fase, la prevenzione, i metodi fisici e meccanici assumono un ruolo prioritario nella
protezione dei cereali da malattie e infestazioni.
Consigliato
I seguenti procedimenti da impiegare
a seconda dei casi per la protezione
dei cereali:
• controlli regolari;
• pulizia accurata e continua dei
magazzini e dei locali adiacenti;
• controllo della temperatura
ambiente (ventilazione,
refrigerazione, congelamento e
riscaldamento);
• controllo dell’umidità
(essiccazione);
• stoccaggio in camera a tenuta
stagna o in atmosfera controllata
(impiego di azoto, anidride
carbonica e ossigeno);
• impiego di sostanze repellenti, di
trappole con esche e attrattivi.
Ammesso
- Tutti i prodotti per
la difesa delle
derrate compresi
nell’Allegato II,
parte B del Reg.
CE 2092/91.
Vietato
L’uso di disinfettanti e
pesticidi persistenti o
cancerogeni.
- Le pratiche di controllo delle
infestazioni che non sono
ammesse includono le seguenti
sostanze e metodi:
• pesticidi non inclusi
nell’Allegato II parte B del
Reg. Ce 2091/91;
• fumigazione con ossido di
etilene, metil bromuro,
fosfuro di alluminio o altre
sostanze non incluse
nell’Allegato II parte E del
Reg. CE 2092/91;
• radiazioni ionizzanti.
-
5.2. MOLITURA
Consigliato
- Di riportare sulle confezioni la data di molitura e il tipo di macina utilizzata.
- Di effettuare la molitura con macine in pietra naturale.
- Di evitare il surriscaldamento della farina.
6. PRODUZIONE DI PASTA
6.1. INGREDIENTI
Vietato
- Utilizzare: glutammato monosodico; sorbato; glutine; proteine idrosolubili del latte; coloranti ed
antifermentativi.
6.2. ACQUA D’IMPASTO
L’acqua deve essere potabile, batteriologicamente pura, incolore, inodore ed insapore (l’acqua
deve essere potabile secondo quanto previsto dal Dlgs. N. 31 del 02/02/2001).
Consigliato
- L’uso di acqua sorgiva.
- L’uso di acqua priva di cloro.
- Per la produzione di pasta è consigliato avere un valore di residuo fisso <500 mg/L.
- Il cloro presente nell'
acqua di impasto è un fattore importante da tenere sotto controllo; il cloro
agendo come ossidante, ha un'
influenza negativa sul colore della pasta; se la quantità di cloro
supera il livello di 1,2 mg/l si potrà avvertire nella pasta un odore sgradevole dovuto al clorofenolo
formatosi per combinazione del cloro con le altre sostanze organiche presenti.
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6.3. ESSICCAZIONE
L’essiccamento rappresenta un punto cruciale della preparazione della pasta: questa, all’uscita
delle trafile o dell’estrusore, contiene circa il 30% di acqua che, per legge, deve essere portato ad
un massimo del 12,5%; in tal modo il prodotto, oltre ad assumere la giusta consistenza, si
conserva più a lungo. Ad una prima fase di essiccamento, che riguarda prevalentemente gli stati
superficiali della pasta, fa seguito lo stazionamento che consente di riequilibrare l’umidità su tutta
la superficie. Infine si attua l’essiccazione definitiva la cui durata è in funzione della temperatura
raggiunta, dell’umidità ambiente, della misura e della forma della pasta.
Consigliato
Medie basso temperature che possono andare da
45° a 55°C, con brevissimi picchi a temperature
più alte (ma sempre inferiori a 70°C): in questo
modo si segue una tecnologia quasi naturale, che
non modifica i contenuti della semola di
pastificazione ma ne conferma la qualità, i
nutrienti ed i contenuti organolettici.
Questo metodo di essiccazione permette di
mantenere inalterato le caratteristiche della
semola proveniente da grano duro ottenuto con
questo disciplinare. Ciò consente di mantenere più
alto il contenuto di Lisina, un amminoacido
essenziale che è contenuto nel frumento.
L’apporto proteico è quindi maggiore. Infatti, le
qualità organolettiche ed il valore nutritivo sono
proprietà importanti della pasta, così come in tutti
gli alimenti; proprio nel rispetto di questo pensiero
Alce Nero cerca di limitare il più possibile le
perdite dal punto di vista nutrizionale della materia
prima, durante la sua trasformazione. Le medie
basse temperature confermano la qualità della
materia prima utilizzata: proteine, colore, sapore.
Tecnologia di essiccazione
Medie –basse temperature
Vietato
Alte temperature maggiori di 75° C: che con
lo
scioccante
trattamento
termico
trasformano la materia di base ponendo in
secondo ordine la sua qualità e consentendo
di ottenere paste di qualità solo apparente in
cottura e tutte simili per caratteristiche
sensoriali.
Temperatura di essiccazione
Min.
Max.
45°C
55°C
Tempo di essiccazione (ore)
Pasta lunga
Pasta corta
27
10
6.4. MATERIALE PER IL CONFEZIONAMENTO
La pasta può essere confezionata con materiale naturale, cellophane e polipropilene.
I materiali ammessi per il confezionamento possono essere: carta, polipropilene, polietilene, e
comunque materiali idonei a venire a contatto con gli alimenti come previsto dal D.M del
21/03/1973 e successive modifiche.
6.5. ETICHETTATURA
Per quanto riguarda l’etichettatura dei prodotti conformi al presente disciplinare non prevede
diciture specifiche tali da modificare quanto previsto dal Reg. Ce 2092/91 e dal DLgs n. 109 del
27/01/1992 e successive modifiche. Infatti, la dicitura “GRANI ANTICHI” e/o “PASTA PRODOTTA
CONFORMEMENTE AL DISCIPLINARE PRIVATO GRANI ANTICHI” e/o il marchio GRANI
ANTICHI saranno inseriti fuori dal campo relativo alle diciture di legge previste per i prodotti da
agricoltura biologica. Pertanto il riferimento al suddetto disciplinare non crea una discriminante
all’interno del metodo produttivo biologico, ma definisce nel dettaglio un processo produttivo dalla
coltivazione fino alla pastificazione, prevedendo determinati standard produttivi.
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Esempio di etichettatura con gli eventuali riferimenti al disciplinare privato GRANI ANTICHI.
Marchio commerciale e nome del produttore assoggettato
al sistema di controllo
MONTEBELLO
di Alce Nero Cooperativa Agrobiologia srl
Via Strada delle Valli, 21
61030 isola del Piano (PU)
Riferimento al disciplinare privato GRANI ANTICHI
Denominazione di vendita o descrizione del prodotto
GRANI ANTICHI
PASTA DI SEMOLA DI FRUMENTO DURO
da Agricoltura Biologica
Marchio privato GRANI ANTICHI e/o dicitura
“Pasta prodotta conformemente al disciplinare
privato Grani Antichi”
Indicazione degli ingredienti
Ingredienti: Semola di grano duro
Agricoltura Biologica
Regime di controllo CE
Indicazioni concernenti il metodo di produzione biologico
Estremi dell’autorizzazione ministeriale
all’Organismo di Controllo
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Disciplinare di produzione Montebello
dei “CEREALI ANTICHI”
Approvato da Alce Nero Cooperativa
Agrobiologica a r.l. in data 10 maggio ’06
IT XXX – X999 T0000XX
Approvato da Bios srl in
data 23 giugno ’06.
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Alce Nero Cooperativa Agrobiologica
ALLEGATO 1
I FRUMENTI, L’AGROBIODIVERSITÁ, LE RISORSE GENETICHE E LA SCELTA DELLE
VARIETÁ
Il frumento: specie, origine, classificazione e aspetti evolutivi in relazione alle diverse
specie
I frumenti appartengono alla famiglia delle Graminaceae, alla tribù delle Triticeae, alla
sottotribù delle Triticinae, al genere Triticum. Il numero cromosomico di base è x = 7 e le specie
maggiormente diffuse e utilizzate sono poliploidi, cioè il corredo cromosomico di base (7 nei
frumenti) è ripetuto più volte, due nelle forme diploidi (2n=2x=14), quattro nelle forme tretraploidi
(2n=4x=28) e sei in quelle esaploidi (2n=6x=42).
In particolare, i frumenti sono allopoliploidi o anfidiploidi, cioè hanno avuto origine dalla
combinazione di genomi di specie diverse (ibridazione interspecifica) e successiva
poliploidizzazione (cioè raddoppiamento del corredo cromosomico). Trattandosi di specie diverse
(quindi con genomi diversi, indicati con lettere maiuscole dell’alfabeto) le specie derivate hanno
genomi composti (come illustrato nella tabella 1). Questi incroci sono avvenuti in maniera
spontanea e casuale nel corso di migliaia di anni e le specie attuali sono frutto di un lungo
processo evolutivo che, in quelle coltivate, è rappresentato principalmente dalla domesticazione.
Un contributo fondamentale alla classificazione dei frumenti è stato dato recentemente dagli
studi di filogenesi, che hanno stabilito le relazioni fra le diverse forme attuali, sia coltivate che
spontanee. Attualmente un ragionevole compromesso sembra essere stato raggiunto fra i diversi
aspetti e la terminologia utilizzata a livello internazionale, salvo piccole eccezioni, è
sufficientemente omogenea. Il genere Triticum è stato ed è ancora oggi certamente quello più
studiato per comprendere i fenomeni di domesticazione, cioè il passaggio di una specie dalla
forma selvatica a quella coltivata.
Il primo frumento coltivato è stato il farro piccolo (T. monococcum), la cui coltivazione,
probabilmente, ha cominciato ad essere abbandonata nell’Età del Bronzo. Circa 9000 anni fa
l’uomo ha cominciato ad effettuare inconsciamente una forma di selezione che ha portato alla
scelta di tipi a rachide non fragile (i cui reperti sono frequentissimi nei ritrovamenti archeologici di
quell’epoca, unitamente a quelli di spighe fragili) che progressivamente hanno sostituito quelli a
rachide fragile.
La domesticazione delle forme tetraploidi (i frumenti duri) è iniziata probabilmente al di fuori
delle zone dove le forme selvatiche erano molto diffuse e facilmente disponibili e un solo
progenitore tetraploide, il T. dicoccoides (genoma AABB), ha dato origine a numerose forme
coltivate. Fra queste il T. dicoccum (farro dicocco) ha prevalso, fino all’età del Bronzo in tutta la
Mezza Luna Fertile. Da questa zona la specie, tra 9500 e 7000 anni fa, si è espansa verso le
pianure della Mesopotamia e successivamente in Egitto, nel bacino del Mediterraneo, in Etiopia e
poi verso est in Asia e India. In queste aree il dicocco è rimasto il frumento più diffuso sino alla
comparsa dei tipi a cariosside nuda (frumento duro).
Solo successivamente alla coltivazione delle forme diploidi e tetraploidi inizia quella dei
frumenti esaploidi (frumenti teneri), che sono stati sempre di più utilizzati dagli agricoltori - sia le
forme nude sia quelle vestite - probabilmente per la loro maggiore adattabilità ai climi umidi, le
migliori proprietà del prodotto raccolto, la più elevata “trebbiabilità” [capacità della cariosside (se
nuda) di liberarsi dalle glumelle o della spighetta (se vestita) di liberarsi dalle ariste].
È evidente che la lontana origine nel tempo di queste specie, il lungo processo evolutivo frutto di un’intensa pressione selettiva naturale e antropica - l’ampia diffusione di coltivazione e
utilizzazione, trovano un profondo riscontro con le radici storiche, culturali e sociali che queste
specie hanno in particolare con i popoli di tutto il Mediterraneo. Le tradizioni, i riti e le usanze, i
piatti di tutta questa area sono indissolubilmente legati ai cereali, al farro prima, ai frumenti tenero
e duro poi.
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Tabella 1. Principali caratteristiche delle più importanti specie di Triticum (evidenziata in giallo la posizione
del frumento duro).
(1) T.= Triticum; Ae. = Aegilops
Nome
comune
Terminologia
italiano
anglosassone
Genoma e
ploidia
Tipo di rachide
(asse della
spiga)
Tipo
di
cariossid
e
AA
Fragile
Vestita
T. monococcum L.
spp. monococcum
AA
Resistente
Vestita
Precedente
nomenclatura(1)
Nomenclatura
attuale (1)
T. boeoticum
T. monococcum L.
spp. boeoticum
Boiss
Monococco
selvatico
Wild einkorn
Farro piccolo
Cultivated einkorn
Forma
selvatica
Wild T. urartu
T. urartu
T. urartu Tuman
AA
Fragile
Vestita
Forma
selvatica
Wild Ae. Tauschii
Ae. tauschii
Ae. tauschii Coss
DD
Fragile
Vestita
Dicocco
selvatico
Wild emmer
T. dicoccoides
T. turgidum L. spp.
dicoccoides
Aschers.
AABB
Fragile
Vestita
Farro medio,
dicocco
Cultivated emmer
T. dicoccum
T. turgidum L. spp.
dicoccum Schubler
AABB
Resistente
Vestita
Frumento duro
Durum (semolina)
wheat
T. durum
T. turgidum L. spp.
durum Desf.
AABB
Resistente
Nuda
Forma
selvatica
Wild Thimopheev’s
wheat
T. araraticum
T. timopheevi Zhuk.
spp. araraticum
Jakubz.
AAGG
Fragile
Vestita
Forma
coltivata
Cultivated
Thimopheev’s
wheat
T. timopheevi
T. timopheevi Zhuk.
spp. timopheevi
AAGG
Resistente
Vestita
T. spelta
T. aestivum L. spp.
spelta
AABBDD
Resistente
Vestita
T. vulgare
T. aestivum L. spp.
vulgare Host
AABBDD
Resistente
Nuda
Spelta, farro
grande
Spelt
Frumento
tenero
Bread (common)
wheat
T. monococcum
Le risorse genetiche agrarie
Il Trattato Internazionale sulle Risorse Fitogenetiche per l’Alimentazione e l’Agricoltura9
(ITPGRFA) - oggi il punto di riferimento ufficiale, dopo la convenzione di Rio de Janeiro del 1992 definisce le risorse genetiche agrarie “come qualsiasi materiale genetico di origine vegetale che
abbia un valore effettivo o potenziale per l’alimentazione e l’agricoltura”. Esse sono una parte
dell’intera variabilità genetica presente sulla terra (biodiversità), comprendono tutte le forme
coltivate, i progenitori selvatici delle forme coltivate, le specie affini non progenitrici di quelle
coltivate e le specie spontanee non coltivate, utilizzate dall’uomo per scopi particolari (piante
officinali, piante tintorie, ecc.).
Gli obiettivi principali del Trattato, che è giuridicamente vincolante per i Paesi che lo hanno
ratificato, sono “la conservazione e l’uso sostenibile delle risorse fitogenetiche per l’alimentazione
e l’agricoltura e la ripartizione giusta ed equa dei benefici derivati dal loro utilizzo, in accordo con la
Convenzione sulla Diversità Biologica”, ai fini di un’agricoltura sostenibile e della sicurezza
alimentare. E ancora, molto importante, il Trattato “riconosce l’enorme contributo che gli agricoltori
e le comunità contadine di tutto il mondo hanno dato e continuano a dare alla conservazione e allo
sviluppo delle risorse fitogenetiche. Questo riconoscimento è la base dei ‘Diritti degli agricoltori’
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(Farmer’s Rights), che comprendono la protezione delle conoscenze tradizionali e il diritto a
partecipare in maniera equa alla ripartizione dei benefici, così come il diritto di partecipare alle
decisioni prese a livello nazionale in materia di risorse fitogenetiche” (Commissione FAO sulle
Risorse Fitogenetiche, 2004)10.
Fra le risorse genetiche di interesse agrario oggi utili all’attività agricola sono comprese:
le varietà locali (landraces), sono le
varietà tradizionali (folk varieties, varietà del popolo), coltivate dagli agricoltori che ne riproducono
la semente; sono state oggetto della selezione dell’agricoltore, spesso condotta
inconsapevolmente; sono popolazioni eterogenee, in rapporto dinamico con l’ambiente naturale e
le tecniche colturali;
le varietà migliorate (cultivars, cioè
cultivated varieties) sono derivate da attività di miglioramento condotte dai costitutori varietali, a
partire dalla fine del XIX secolo (il lavoro di Nazareno Strampelli può essere identificato come inizio
di un’attività organizzata di miglioramento genetico). Sono popolazioni omogenee, spesso
costituite da un solo genotipo (linee pure, ibridi semplici, cloni).
La storia dell’agricoltura e del miglioramento genetico delle piante coltivate sono frutto di uno
scambio continuo di risorse genetiche, fra comunità rurali più o meno vicine, fra paesi (scambi
mercantili), fra istituzioni scientifiche.
Le varietà locali. La permanenza in coltivazione delle varietà locali in determinati areali è
frutto di fattori biologici, tecnici, economici, culturali e politici strettamente interconnessi. Nei paesi
sviluppati le landraces sono una valida strategia di sopravvivenza dei sistemi agricoli nelle aree
marginali, dove la costanza di produzione negli anni è garantita dalla larga base genetica di
queste varietà. Nelle economie sviluppate, inoltre, le varietà locali restano legate a specie di
importanza economica minore e/o specie il cui utilizzo era legato a usanze e tradizioni scomparsi
negli anni recenti. Nei paesi in via di sviluppo, invece, la coltivazione delle varietà autoctone è
realtà ancora abbastanza diffusa in quelle economie locali, caratterizzate da struttura di tipo
familiare o di villaggio. Anche in questo caso uno dei motivi che spinge l’agricoltore ad usare tali
varietà è la possibilità di avere una produzione costante nel tempo, grazie al loro adattamento
ambientale.
Le varietà locali sono popolazioni bilanciate, in equilibrio con l’ambiente e con i patogeni,
geneticamente dinamiche, ma anche soggette ad un certo grado di selezione attuato
dall’agricoltore. Sono evolute in condizioni di basso input e la diversità genetica che le
caratterizza è necessaria ai fini della risposta sia ad eventi ambientali estremi, che ai
cambiamenti dei criteri selettivi avvenuti nel tempo. I fenomeni riconducibili alle migrazioni sono
tra i più importanti fattori che hanno determinato nel corso dei millenni l’incremento della
variabilità nel germoplasma delle principali specie coltivate e soprattutto nei cereali, sia per le
maggiori possibilità di introgredire nuova variabilità genetica delle accessioni selvatiche già
presenti nei nuovi ambienti, sia per l’esposizione a differenti condizioni ambientali e quindi a
diverse pressioni selettive.
Alcune di queste varietà sono ancora coltivate da comunità agricole locali, su piccole superfici
sufficienti a soddisfare gli usi familiari o quelli della comunità. La loro permanenza in coltura fino
ad oggi è sinonimo di adattabilità ambientale sensu latu e di rispondenza alle esigenze
dell’agricoltore/utilizzatore. Vuol dire che queste hanno un vantaggio selettivo (agronomico, di
trasformazione, culturale/storico) rispetto ad altre già da tempo abbandonate e probabilmente
perse definitivamente.
Altre varietà sono state ritrovate grazie ai numerosi programmi di ricerca sostenuti da enti
pubblici e amministrazioni locali, nell’ambito di più ampie iniziative di conservazione e
valorizzazione della biodiversità agricola. Dalla valutazione dei tratti agronomici e qualitativi (di
trasformazione o nutrizionali) di questi materiali genetici, emerge che alcuni presentano
interessanti caratteristiche tali da sostenerne un’azione di reintroduzione in coltura e nel processo
di trasformazione.
10 Commissione FAO sulle Risorse Genetiche per l’Alimentazione e l’Agricoltura. 2004. Trattato Internazionale sulle Risorse
Fitogenetiche per l’Alimentazione e l’Agricoltura. Roma, 3 novembre 2001.
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Infine, si tenga presente che l’entità della sopravvivenza di varietà locali nell’ambito delle
diverse specie agrarie coltivate è in funzione dell’importanza economica e della diffusione della
coltura stessa: le piante più diffuse (le cosiddette commodities a livello mercantile) come il
frumento, il mais, il riso, la soia e altre, sono state oggetto di più intense attività di miglioramento
genetico e il processo di sostituzione delle varietà moderne a quelle locali è stato più intenso e
rapido nel tempo. Viceversa, il fenomeno ha interessato di meno le specie minori, le cui risorse
genetiche locali hanno avuto maggiori possibilità di sopravvivenza fino ad oggi.
Le varietà locali di frumento e farro. Le ricerche condotte fino ad oggi (vedi bibliografia
consultata) hanno consentito di ritrovare un numero relativamente ampio di di varietà locali di farro
dicocco e frumento tenero in Italia, mentre minori sono quelle di frumento duro. Probabilmente
questa situazione è in relazione al fatto che la specie più diffusa nel nostro paese è sempre stata il
tenero, mentre il duro era limitato agli areali meridionali e insulari del nostro paese. In alcune
regioni, come le Marche, l’introduzione in coltivazione del frumento duro, è relativamente recente
(anni settanta).
Quindi è possibile riscontrare alcune varietà locali di tenero ancora in coltivazione, seppure in
misura modesta. É il caso della varietà “Solina” in Abruzzo, la cui coltivazione, con buona
probabilità, non è stata mai interrotta nel corso dei secoli (le sui origini si rintracciano fino al 1500).
È una varietà invernale, coltivata su piccole superfici in molte aziende delle zone interne e pedemontane (anche fino a 1000-1200 m s.l.m.) e la sua coltivazione ha un forte legame con il territorio
e con le tradizioni locali. Le farine di Solina sono molto interessanti per l’estensibilità dell’impasto
che consente una buona lavorabilità anche a mano, considerando che la farina di questa varietà è
destinata prevalentemente alla preparazione del pane in casa. Si ottiene un pane di discrete
caratteristiche, con una alveolatura della mollica non ottimale, ma comunque soddisfacente.
Spesso la farina è mescolata con altri prodotti, come la patata lessa, tradizione ancora diffusa in
alcune zone dell’Abruzzo perché favorisce una più lunga conservazione del pane. Su questa
varietà è stato condotto un importante lavoro da parte dell’ARSSA (Agenzia Regionale Servizi
Sviluppo Agricolo dell’Abruzzo) che, a partire dal 1996, ha sostenuto vasti programmi di collezione
e caratterizzazione delle risorse genetiche agrarie regionali, avviando una serie di iniziative di
valorizzazione, coordinate fra i diversi operatori sul territorio (aziende agrarie, mulini, forni, reti
commerciali). A fianco di questa attività di promozione l’Agenzia sostiene anche un’azione di
conservazione on farm, attraverso una rete di aziende agrarie scelte e un consorzio di produttori.
Decisamente ridotto è il numero di varietà locali di frumento duro e ancora minore la
permanenza in coltivazione.
Sempre in Abruzzo sono state ritrovate soltanto tre varietà locali, ancora coltivate su
piccolissimi appezzamenti e da singoli agricoltori: nella zona di Torrebruna (CH) è ancora coltivata
la varietà Cappella Duro (con buona approssimazione si tratta della cv Cappelli, costituita da
Strampelli nel 1915); a Castelvecchio Subequo (AQ) un vecchio agricoltore coltiva ancora La
Ruscia, chiamata localmente anche “ruscia” o “rosciola” in relazione al colore rosso della spiga e
delle ariste. Da Montenerodomo (CH) proviene la varietà Marzuolo che qui, ad altitudini di circa
1000 m s.l.m., può essere seminato soltanto tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera (da qui
deriva la nomenclatura).
Fra queste è molto interessante la cv La Ruscia, glume e ariste rosse, da non confondere con
“rosciola” frumento tenero, citato in testi archivistici e usata da Strampelli nei suoi incroci. Il
frumento duro La Ruscìa è coltivato in una sola località dell’Abruzzo e deriva, per testimonianza
diretta dell’agricoltore che l’ha conservata, da una varietà siciliana, “Rossìa”, portata in Abruzzo da
un confinato negli anni immediatamente precedenti la seconda guerra mondiale. Per oltre 60 anni
è stata coltivata e moltiplicata in terreni a 1000 metri di quota, diventando nel corso degli anni una
varietà di frumento duro di montagna. Per questa ragione nelle prove di valutazione è stata inserita
- come testimone - la varietà Ruscia, appunto di provenienza siciliana.
Un altro dei rari esempi di varietà locali di frumento duro sopravvissute fino ad oggi è Russello
in Sicilia. Si tratta di una varietà molto diffusa in passato, oggi sono rimaste piccolissime superfici
nella zona di Ragusa, dove è utilizzato per la preparazione del pane ragusano, prodotto di ottima
qualità. La Stazione Consorziale Sperimentale per la Granicoltura di Caltagirone, istituzione
pubblica nata negli anni Venti con il compito di occuparsi della cerealicoltura siciliana, sta
svolgendo un interessante lavoro di recupero e collezione delle popolazioni siciliane di frumento,
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con l’obiettivo di non perderne la risorsa genetica, ma al tempo stesso di verificare le eventuali
possibilità di sviluppo di alcuni di questi materiali. Oltre a Russello, anche la varietà Timilia è
presente in colture residuali in alcune zone del sud della Sicilia.
Numerose notizie storiche sono disponibili su un gruppo di frumenti duri, probabilmente
pugliese, denominato “Saragolle”11. Non risultano più in coltivazione e l’unica fonte di seme sono le
banche di seme di alcune istituzioni pubbliche. Questo gruppo presenta caratteristiche morfoagronomiche molto simili al ben più noto Kamut.
Da studi condotti su questa varietà a confronto con altri materiali genetici italiani (Grano del
Faraone, Saragolle, ecc…), è evidente che si tratta di un frumento tetraploide, una forma di
Triticum turgidum, seppure variamente classificata dai diversi gruppi di ricerca (probabilmente
turanicum, mentre è da escludere - almeno per il Kamut reperibile in Italia - il polonicum perché le
glume e le glumelle sono di dimensioni normali). Kamut presenta tratti simili ai materiali genetici
diffusi nel Bacino del Mediterraneo (infatti le notizie ne riportano un’origine egiziana) e il suo
successo, in Italia come in altri paesi, è sicuramente attribuibile alla forte pressione di marketing
condotta dai detentori del marchio commerciale. Circa le vere caratteristiche qualitative, si tratta di
un frumento duro con una cariosside molto grande e allungata, con frattura prevalentemente
vitrea, e contiene glutine come tutti i frumenti duri (pertanto non utilizzabile dai celiaci), ha un
elevato contenuto proteico (in relazione alle diverse situazioni agronomiche), ma la tenacità del
glutine è scarsa. Questa ultima caratteristica, appunto, potrebbe essere la ragione del suo
successo, in quanto numerosi soggetti sono oggi sensibili ai frumenti moderni, caratterizzati invece
da elevato contenuto in glutine e molto tenace (selezionati in tale direzione per ottenere pasta di
elevata qualità, maggiormente rispondente alla moderna industria di trasformazione). Un grano
con glutine “debole” crea minori problemi a soggetti sensibili; tuttavia, va sottolineato che
numerose varietà italiane, non solo locali, presentano glutine con tali caratteristiche, pertanto
avrebbe simili risultati alimentari e dietetici. Bisognerebbe avviare studi approfonditi e sistematici
sulle varietà italiane, a confronto con Kamut, e valutarne con attenzione le caratteristiche
qualitative e organolettiche, sempre a confronto con Kamut.
Fra le varietà antiche di frumento duro è compresa anche Graziella Ra, reintrodotta in
coltivazione da Alce Nero Cooperativa. Si tratta di una varietà simile al Kamut.
Le varietà migliorate. Dall’analisi storica del grande lavoro di miglioramento genetico svolto a
partire dalla fine del Settecento, emerge che in tutti i programmi, più o meno organizzati, il
materiale genetico originario era rappresentato dalle varietà locali. Grazie alla loro variabilità
interna i selezionatori hanno potuto scegliere i tipi migliori e, adottando metodi diversi, hanno
ottenuto varietà stabili da far coltivare agli agricoltori. Il successivo ricorso all’incrocio, per creare
nuova variabilità entro cui selezionare, ha ancora fatto uso delle varietà locali, almeno fino a
quando non sono stati disponibili pools di materiali genetici migliorati da utilizzare come parentali.
Inoltre, negli ultimi tempi è aumentato l’utilizzo delle risorse genetiche provenienti dalle specie
selvatiche affini, grazie a tecniche di breeding sempre più efficienti.
In relazione al periodo di costituzione e rilascio sul mercato, si distinguono:
varietà moderne, di recente
costituzione (indicativamente ultimi 20-30 anni);
varietà antiche
o ancora iscritte al registro varietale (costituite fra gli anni sessanta e ottanta), ancora
coltivate in superfici anche importanti, la cui semente non sempre è facilmente
reperibile sul mercato (trattandosi di varietà ancora iscritte, la loro
commercializzazione è consentita soltanto previa certificazione ufficiale);
o costituite prima degli anni 60, iscritte d’ufficio al registro nazionale, ufficialmente
avviato nel 1971non più iscritte varietà molto vecchie, non più presenti nei registri
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varietali (in alcuni casi iscritte nei repertori regionali12), spesso rintracciabili soltanto
nelle banche del germoplasma o presso collezioni; pochissime di queste sono
coltivate in esigue superfici.
Le varietà migliorate di frumento duro. Le cultivar moderne di frumento hanno in larga
parte raggiunto gli obiettivi dei diversi programmi di breeding nelle diverse epoche storiche. Alcuni
esempi sono la riduzione della taglia, l’aumento della resistenza all’allettamento e ad alcune
fitopatie, il miglioramento della produttività e della qualità del prodotto, l’adattabilità a specifiche
situazioni pedo-climatiche. Questi risultati hanno avuto un’indiscussa ripercussione positiva
sull’intero sistema produttivo e si stima che il progresso varietale sia responsabile almeno del
50% dell’incremento di produzione. La contropartita è stata - e resta - la riduzione della base
genetica dei materiali coltivati, che comporta una maggiore vulnerabilità della coltura a
cambiamenti ambientali, una diminuzione della plasticità del germoplasma in relazione
all’adattamento ambientale e un minor progresso selettivo dalle attività di miglioramento genetico
più recenti.
Ovviamente, quelli indicati sono obiettivi finalizzati all’ottenimento di varietà per l’agricoltura
convenzionale. In pratica, nessun programma di miglioramento genetico, fino ad oggi - salvo rare
recenti eccezioni – ha avuto come scopo varietà adatte a sistemi agricoli biologici, per le quali gli
obiettivi dovrebbero essere più mirati a migliorare:
• la capacità di competizione con le erbe infestanti (portamento della pianta alla fine
dell’accestimento, grado di accestimento, rapidità di accrescimento nelle prime fasi vegetative,
…);
• l’utilizzazione degli elementi nutritivi mediante
o alta efficienza di utilizzazione,
o colonizzazione del suolo da parte delle radici (apparato radicale sviluppato, in grado
di sfruttare al meglio gli elementi nutritivi e l’acqua),
o interrelazione con la microflora del terreno;
• la tolleranza agli stress biotici e abiotici (evitare resistenze verticali, facilmente superabili da
mutazioni della razza del patogeno/parassita, meccanismi di escape, ecc…);
• qualità (tecnologica, nutrizionale, salutistica).
Fra le varietà attualmente presenti sul mercato, definibili “moderne” alcune (di cui è disponibile
anche semente certificata biologica) sono in grado di fornire risultati interessanti per gli obiettivi di
Alce Nero Cooperativa, sia in funzione di caratteristiche morfo-agronomiche rispondenti ai sistemi
agricoli biologici sia per gli aspetti qualitativi.
La scelta delle varietà di frumento duro da parte di Alce Nero Cooperativa
La scelta della varietà è uno degli elementi più rilevanti per ottenere un buon successo dalla
coltivazione di qualsiasi specie agraria. Nel caso specifico della produzione di pasta di Alce Nero
Cooperativa, la scelta varietale deve essere mirata in funzione di:
caratteristiche pedo-climatiche e agronomiche degli areali di coltivazione;
esigenze di trasformazione del pastificio
o processo di pastificazione utilizzato,
o ottenimento di prodotto con buone caratteristiche organolettiche e di cottura
(gradimento da parte del consumatore),
o eventuale programmazione di linee differenziate di prodotto (pasta integrale, pasta
bianca, pasta monovarietale13).
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Sintetizzando quanto riportato nei paragrafi precedenti, le possibilità di individuare la varietà
adatta vanno individuate nei gruppi seguenti:
1. varietà locali:
1.1. originarie delle Marche o degli areali in cui opera Alce Nero Cooperativa;
1.2. originarie di altre regioni italiane14 (Abruzzo, Sicilia, altre regioni meridionali e insulari):
1.2.1. ancora coltivate, seppure in piccole superfici (esempio Russello, Timilìa, Ruscìa,
Marzuolo),
1.2.2. recuperate da banche del germoplasma, moltiplicate e reintrodotte in coltura
(esempio Saragolle, Cannizzara);
1.3. originarie di altri paesi (si tratta di introdurre materiale esotico, la cui adattabilità ai nostri
areali non sempre è garantita) (esempio Kamut);
2. varietà migliorate:
2.1. di recente costituzione
2.2. di vecchia costituzione
2.2.1. ancora iscritte al registro varietale (soggette a certificazione): esempio Cappelli;
2.2.2. non più iscritte al registro varietale (quindi non soggette a certificazione): esempio
Trinakria, Capeiti 8.
Tabella 1. Varietà siciliane di frumento duro identificate dalla Stazione Sperimentale di Granicoltura per la
Sicilia di Caltagirone. La gran parte delle varietà è stata rintracciata presso diverse banche mondiali del
germoplasma ed è stata ricostituita la collezione.
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(Bidì) Margherito (riconducibile a Cappelli)
Inglesa
Biancuccia
Lina
Bivona
Martinella
Bufala Bianca
Paola
Bufala Nera Corta
Pavone
Bufala Nera Lunga
Realforte
Bufala Rossa Corta
Regina
Bufala Rossa Lunga
Ruscia
Russello
Castiglione Glabro
Sammartinara
Castiglione Pubescente
Scavuzza
Chiattulidda
Scorsonera
Ciciredda
Semenzella
Cotrone
Timilia Reste Bianche
Farro Lungo
Timilia Reste Nere
Francesa
Trentino
Francesone
Tripolino
Gigante
Tunisina
Gioia
Urria
Girgentana
Vallelunga Glabra
Giustalisa
Vallelunga Pubescente
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Tabella 2. Varietà di frumento duro diffuse nelle aree interne del Mezzogiorno negli anni Venti. La gran parte
di esse corrisponde con varietà analoghe presenti in Sicilia, fatta eccezione per Vatra. Soltanto Vatra,
Carusedda, Francesa sono state riscontrate fino ad anni recenti in piccole aree residuali in Basilicata.
Rossia (sinonimi Rossino, Ruscia)
Saragolla
siciliana)
Cappelli
(sin.
Saragolla
zingaresca,
Disciplinare di produzione Montebello
dei “CEREALI ANTICHI”
Francisa (sin. Francescani, Francesa, Franzesa,
Francesella)
Saragolla Triminia (sin. Marzuolo, Timilia, Tumminia, Tuminia,
Riminia, Napoletana)
Vatra
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ALLEGATO 2
LA QUALITÁ DEI FRUMENTI
I frumenti, in funzione della loro ampia diffusione e del peso ricoperto nell’alimentazione di molti
popoli nel mondo, sono destinati a numerose e diverse preparazioni alimentari. Le caratteristiche
qualitative del prodotto di partenza influenzano fortemente il processo di trasformazione e, quindi, i
requisiti dei prodotti finali; anche se le tecnologie moderne di trasformazione tendono ad appiattire
le differenze fra le materie prime e a standardizzare di più i prodotti. Ne deriva un concetto di
qualità molto complesso, che evolve rapidamente nel tempo in funzione dei cambiamenti delle
abitudini alimentari e dei processi tecnologici.
Schematicamente è possibile individuare diversi aspetti della qualità di un frumento tenero o
duro, tutti strettamente legati fra loro:
qualità merceologica e commerciale,
qualità molitoria,
qualità di stoccaggio o di concentrazione del prodotto,
qualità nutrizionale,
qualità tecnologica o di trasformazione.
Un aspetto qualitativo che interessa tutte le fasi della filiera, dal campo, allo stoccaggio, alla
trasformazione, alla distribuzione del prodotto finito, è quello igienico-sanitario. Ovviamente esso
assume modi e dimensioni diversificati per ogni fase, così come diversificati sono tempi e modalità
di controllo. Il controllo fitosanitario della coltura in campo e la gestione dello stoccaggio sono i
passaggi più delicati di tutta la filiera in termini sanitari. Ad esempio, la presenza di micotossine,
prodotte da funghi parassiti, su granella e derivati, è attualmente uno dei problemi di maggiore
attenzione sul mercato; così come la presenza di residui di prodotti chimici utilizzati nei trattamenti
in campo e nei centri di stoccaggio. Le dimensioni e la gravità dei due problemi appaiono talvolta
sovradimensionati (almeno rispetto al passato, quando condizioni colturali e di stoccaggio non
potevano certo essere considerate migliori di oggi) e opportunamente presentati all’opinione
pubblica.
Qualità merceologica. È legata al mercato e alle borse merci ed è contraddistinta da indici
semplici e di uso comune (i cui valori previsti dal mercato sono riportati nei contratti commerciali
attualmente in uso nelle contrattazioni e negli scambi commerciali):
provenienza del prodotto;
peso ettolitrico o volumetrico o peso specifico apparente: dipende dalla forma e dal peso delle
cariossidi (caratteristiche varietali), dal grado di riempimento dei semi durante la fase finale del
ciclo (influenzato dall’andamento stagionale), dall’entità di semi minuti e striminziti,
dall’eventuale presenza di cariossidi pre-germinate, dalla varietà;
bianconatura: fenomeno per il quale nelle cariossidi di frumento duro, tipicamente traslucide e
a frattura vitrea, sono rilevabili parti farinose più o meno estese; è causata da uno squilibrio
nell’assorbimento dell’azoto e quindi nella formazione delle proteine di riserva; la bianconatura
riduce il contenuto in proteine e la resa in semola;
volpatura: è la presenza di “puntature” nere sui tegumenti esterni della cariosside causate da
un complesso di funghi patogeni favoriti generalmente da condizioni ambientali umide durante la
granigione; c’è anche una componente varietale;
slavatura: è il fenomeno per cui la granella perde lucentezza e in parte anche peso ettolitrico in
seguito al dilavamento causato da piogge persistenti durante la fase finale della maturazione;
striminzimento: si verifica quando, per cause ambientali ed anche per effetto varietale, la fase
di granigione non procede regolarmente; lo striminzimento incide negativamente sul peso
ettolitrico e sulla resa alla molitura;
pre-germinazione: l’eccesso di umidità sulla cariosside già matura può causare l’avvio della
germinazione; in linea generale i frumenti duri sono più resistenti dei teneri, fra questi ultimi
quelli a granella chiara pre-germinano più facilmente di quelli a granella rossa o ambrata o
vitrea.
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Qualità molitoria. È la resa alla macinazione di una granella per produrre semola (circa 6065%) nel frumento duro e farina (circa 70-75%) nel tenero; essa è influenzata da varietà (peso e
dimensioni della cariosside), peso ettolitrico, grado di bianconatura, volpatura, slavatura,
striminzimento, pre-germinazione, contenuto in ceneri (più sono alte, minore è la resa).
Qualità di stoccaggio. Qualsiasi pastificio, anche di piccole dimensioni, necessita di partite
omogenee e con caratteristiche qualitative costanti per poter programmare la produzione; è
necessario consentire ai piccoli produttori di convogliare il prodotto presso centri di raccolta
adeguatamente organizzati (con idonei sistemi di conservazione, consentiti dal regolamento
sull’agricoltura biologica, esempio il freddo e l’anidride carbonica); lo stoccaggio può essere fatto
per singola varietà o per gruppi di varietà qualitativamente simili (stoccaggio differenziato).
Qualità nutrizionale. È legata alle componenti nutrizionali della cariosside, in modo particolare
proteine (glutine soprattutto) e glucidi (amido), a loro volta correlate con i prodotti derivati (pasta,
pane e prodotti da forno) a base di queste due componenti.
Recentemente sono state avviate ricerche anche su altri composti del frumento (esempio
proteine minori, zuccheri solubili, beta-glucani, ecc..) e su usi alternativi dei cereali nel settore degli
alimenti funzionali (functional food), salutistici (healt food) e farmaceutici (nutraceutica).
Qualità tecnologica o di trasformazione. Riassume tutti gli aspetti sopra illustrati ed è
l’attitudine di un cereale ad essere trasformato in un prodotto alimentare secondo determinate
tecniche. Essa dipende dalle proteine di riserva (quantità e qualità) ed è quindi influenzata dalla
varietà, dalla tecnica colturale e dalle condizioni pedo-climatiche. L’estrazione di tutte le proteine
insolubili da una semola di frumento duro o da una farina di tenero consente di ottenere il glutine,
che unito all’acqua dà un impasto con caratteristiche plastiche ed elastiche (diversificate in
relazione alla sua qualità), che ne consentono la lavorabilità.
La qualità di trasformazione assume aspetti diversi fra le due specie.
Frumento tenero. I prodotto finali ottenuti da questa specie sono numerosi e con caratteristiche
svariate: un grano destinato alla produzione di farine per fare biscotti non può che essere diverso
da un grano destinato alla panificazione ed è ancora diverso da quello impiegato per i prodotti da
forno ad alta lievitazione. Sulla scorta di queste caratteristiche, costitutori, molini e trasformatori
hanno concordato su un raggruppamento in cinque classi di qualità (frumenti di forza, panificabili
superiori, panificabili, da biscotti, frumenti per altri usi).
Frumento duro. A parte piccole eccezioni al sud per la produzione di pane, il frumento duro è
destinato principalmente alla produzione di pasta. Secondo gli standard attuali, una buona pasta
deve essere di colore giallo brillante ambrato, mantenersi al dente dopo la cottura, non incollare e
non intorbidire l’acqua di cottura. La qualità della pasta è legata a quantità e qualità del glutine. Il
colore giallo delle semole è un ulteriore elemento di apprezzamento da parte del mercato, ma ha
soltanto una funzione “estetica” e non qualitativa.
Le metodologie di analisi per la valutazione della qualità differiscono in funzione delle esigenze
di precisione, rapidità ed economicità dell’indagine, nonché dei quantitativi di granella disponibili.
Inoltre, la valutazione può essere condotta in relazione ad un’attività di ricerca e sperimentazione,
oppure in relazione alla commercializzazione delle partite di frumento. Il miglior metodo è quello di
sottoporre la partita in oggetto direttamente alla trasformazione per il prodotto finale. Tuttavia i test
diretti - panificazione per il tenero e pastificazione per il duro - richiedono quantitativi elevati di
granella, ma soprattutto tempi molto lunghi.
Sulla scorta di tale circostanza sono stati sviluppati numerosi metodi indiretti, basati
generalmente su processi di trasformazione, i cui risultati possono considerarsi, dopo numerosi
anni di calibrazione e di affinamento, più che attendibili.
I parametri maggiormente richiesti dal mercato sono:
frumento tenero: contenuto proteico, qualità alveografica, stabilità degli impasti, indice di
durezza delle cariossidi (hardness), indice di caduta amilasica;
frumento duro: contenuto proteico, contenuto in glutine, qualità del glutine (indice di glutine),
colore delle semole, contenuto in ceneri. Nelle valutazioni più approfondite è presa in
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considerazione anche l’analisi alveografica delle semole, i cui parametri sono correlati
positivamente con la qualità delle stesse.
In funzione dei parametri di cui sopra, sono state definite le classi di qualità, basate su
valutazioni dell’interprofessione nel caso del frumento tenero (Tabella 1) e sulla base delle norme
UNI nel caso del frumento duro (Tabella 2).
Tabella 1. Classificazione dei frumenti teneri in relazione alle classi di qualità previste dal contratto 101
15
(Borasio, 1997 ).
DI FORZA
Parametri
W (1)
PANIFICABILE
PANIFICABILE
SUPERIORE
ALTRI USI
200-250
140-170
140-110
70
300-340
>250
170-220
110-80
100
>200
<80
130
70
1,8-1,2
1,2-0,8
1,2-0,7
0,7-0,5
1,2-0,7
<0,8
<0,7
<0,5
100
130
<0,7
PROTEINA % (2)
INDICE di BRABENDER (min) (3)
12,5-13,5
10.5-11,5
9-11
11-10
70
13,5-14,5
11,5-12,5
10-11
10-9
100
>14,5
>12,5
>11
<9
130
11-13
7-9
3-5
<4
70
13-16
9-11
5-6
100
>16
>11
>6
130
>220
>220
PESO ETTOLITRICO (kg/hl) (4)
>75
FALLING NUMBER (sec) (5)
>250
(1)
(2)
(3)
(4)
(5)
PUNTEGGIO
(ISQ)
270-300
>340
P/L (1)
BISCOTTI
>220
W e P/L: sono parametri stabiliti con lo strumento chiamato Alveografo di Chopin, che valuta le caratteristiche dell’impasto,
misurandone la forza (W, maggiore è questo valore, maggiore è la forza dell’impasto) e l’elasticità (P/L, più è basso questo valore,
più elastico è l’impasto); sono detti anche parametri “reologici”, cioè riferiti alle caratteristiche tecnologiche dell’impasto in funzione
della forza, dell’estensibilità, dell’elasticità e della tenuta alla lievitazione.
Proteina totale della granella: misurata in % su sostanza secca.
Indice di Brabender: è una misura della stabilità dell’impasto, misurata in minuti, con il farinografo di Brabender (più alti sono i
valori, più stabile è l’impasto).
Peso ettolitrico o volumetrico: peso di un determinato volume, misurato in kg/hl.
Falling number: è l’indice di caduta amilasica, misurato in secondi; stima l’attività enzimatica (dell’alfa-amilasi, responsabile della
fermentazione) della farina (valori bassi indicano un rapido “cedimento” dell’impasto per un’intensa attività enzimatica, viceversa
valori molto elevati indicano una scarsa attività enzimatica e una difficoltà dell’impasto ad avviare la fermentazione).
16
Tabella 2. Classificazione dei frumenti duri in relazione alle norme UNI (D’Egidio et al., 2006) .
Parametro qualitativo della
granella
Peso ettolitrico (cariossidi( kg/hl
Proteina (cariossidi) % s.s.
W alveografico (cariossidi e
semola)
P/L alveografico (cariossidi e
semola)
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Disciplinare di produzione Montebello
dei “CEREALI ANTICHI”
1°
80
14,5
250
2,0÷0,5
(
)
Classi di qualità del frumento duro
2°
3°
78 e <80
75 e <78
13,0 e <14,5
11,5 e <13,0
180 e <250
100 e <180
1,0 e <2,0
)
Approvato da Alce Nero Cooperativa
Agrobiologica a r.l. in data 10 maggio ’06
* )
0,5 e <1,0
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%
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Proteine (semola) % s.s.
Glutine secco (semola) % s.s.
Indice di glutine
13,5
12,0
>80
12,0 e <13,5
10,5 e <12,0
60 e <80
10,5 e <12,0
9,0 e <10,5
30 e <60
Un aspetto da sottolineare e che, nella valutazione della qualità delle semole di frumenti
particolari o di altri cereali (ad esempio il farro dicocco) destinate a processi di pastificazione
definibili artigianali, con essiccazione a bassissime temperature spesso non si trova riscontro fra i
risultati delle analisi condotte con le metodiche di cui sopra e l’effettiva qualità del prodotto
ottenuto. Equivale a dire che, nel caso in cui la qualità analitica non sia eccellente, frequentemente
non altrettanto tale è la qualità della pasta. Tale situazione, ad esempio, si verifica con frumenti di
vecchia costituzione e con il farro. Con buona probabilità, ciò è da attribuire alla tecnologia di
pastificazione, un processo “soft” come quello adottato nel nostro caso altera in misura minore le
caratteristiche della materia prima, anche se non di elevato livello.
Un’ultima considerazione, sempre in riferimento ai criteri di valutazione e di analisi della qualità,
riguarda il fatto che la qualità non può essere assunta in modo assoluto, così la qualità del prodotto
finito va assolutamente affrontata in modo relativo. A titolo di esempio, una pasta di farro non
presenta nessuna delle caratteristiche che dovrebbe avere una “buona” pasta, di cui abbiamo
parlato sopra, eppure è un prodotto squisito sotto l’aspetto organolettico, culinario, di gusto. Così
come le paste di frumento dure prodotte artigianalmente, non hanno certamente la capacità di
resistere la cottura che invece mostrano le paste industriali, eppure questo nulla toglie alla bontà
delle prime. Inoltre, il tipo di macinazione modifica fortemente il gusto di una pasta: una semola
macinata a pietra naturale è sicuramente diversa da una semola proveniente da mulini a cilindri.
Le diverse tipologie di prodotto sono tutte “buone”, ma diverse e ciò conferma la “relatività” della
qualità e quindi il diverso approccio dei sistemi produttivi al suo raggiungimento.
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ALLEGATO 3
I GRANI ANTICHI COLTIVATI DA ALCE NERO COOPERATIVA
Senatore Cappelli: il frumento duro italiano e la sua storia
Senatore Cappelli merita certamente un posto di privilegio fra le varietà di frumento duro di vecchia
costituzione, perché è stata la prima varietà “eletta”, ottenuta da Nazareno Strampelli, il “mago del
grano”, nei primi decenni del XX secolo per selezione genealogica nella popolazione tunisina
Jeahn Rhetifah. La selezione era stata eseguita a Foggia, dove era presente una delle stazioni
periferiche dell’attuale CRA-Istituto Sperimentale per la Cerealicoltura.
Il nome ai più non dirà niente, ma molti ricorderanno il filmato televisivo in cui Benito Mussolini lo
mieteva e lo trebbiava. Era proprio il frumento duro "Senatore Cappelli". Si chiama così, in onore
del senatore abruzzese Raffaele Cappelli, promotore nei primi del '
900 della riforma agraria, che
ha portato non solo alla distinzione tra grani duri e teneri, ma che aveva esteso la coltivazione del
frumento anche a zone non vocate, proprio per rispondere alle esigenze dell’autosufficienza.
La riforma mirava all’introduzione delle “razze elette”, per migliorare le rese e ampliare gli areali di
adattabilità.
Per decenni è stato il frumento duro più coltivato in Italia, in particolare al Sud e nelle Isole. Un
primato mantenuto fino al diffondersi delle varietà più produttive e di taglia bassa. La sua
coltivazione era quasi scomparsa dopo gli anni Cinquanta, tuttavia l’Istituto per la Cerealicoltura
aveva mantenuto la selezione conservatrice. Agli inizi degli anni Novanta alcuni piccoli artigiani del
Centro-Sud hanno cominciato a produrre paste particolari, utilizzando varietà locali e vecchie
varietà fra cui Cappelli, organizzando anche filiere monovarietali.
E'un frumento, con ariste (le “barbe” che si allungano sull’estremità della spiga), molto lunghe, che
a maturazione si colorano di un nero intenso, molto appariscente sul colore bianco della spiga.
Si tratta di un frumento con caratteristiche particolari. I suoi culmi forti, semipieni possono
raggiungere e superare i 180 cm. La notevole altezza ha reso questa varietà difficile da coltivare
nei sistemi convenzionali perché a rischio di continuo allettamento (favorito dal vento e dalle
piogge). In condizioni ottimali di terreno e con un andamento climatico mite il Senatore Cappelli
può raggiungere anche 18÷20 q/ha di produzione. Ha un ciclo medio-precoce, si adatta molto bene
in pianura e in collina, un po’ meno in montagna. Ogni spiga è composta da 19÷21 spighette fertili,
contro le 15÷20 del frumento duro in genere, e produce mediamente 40÷60 cariossidi. La granella
è di colore giallo ambra e di elevato peso unitario: 58 grammi per 1000 cariossidi, con un buon
contenuto proteico.
La varietà Senatore Cappelli, può essere definita comunque una "razza eletta", sia perché ha avuto
per anni il primato della resa per ettaro unita ad eccezionali caratteristiche proteiche ed organolettiche, ma
anche perché è stata progenitrice di moltissime altre varietà coltivate ancora oggi, dalle quali però continua a
distinguersi nettamente.
Graziella Ra: il grano della Regina del Nilo
Ricostruire la vera storia del grano duro Graziella Ra significa ripercorrere la storia del frumento
nel bacino del Mediterraneo. Sebbene, per quanto ne sappiamo, esso sia stato recuperato dal
pioniere dell’agricoltura biologica Ivo Totti, che lo ricevette a sua volta da un archeologo, fu
reintrodotto nelle nostre campagne grazie al lavoro di alcuni agricoltori biologici dell’Italia Centrale.
La maggior parte degli scienziati ritiene che tale varietà sia sopravvissuta in modo anonimo nel
corso dei secoli, mantenuta in vita grazie alla diversità delle varietà coltivate dai piccoli contadini
nei loro appezzamenti nel bacino del Mediterraneo, dall’Egitto all’Italia.
Sulla specie e il genere vi è concordanza di opinioni: appartiene al genere Triticum e alla specie
turgidum. La controversia verte sulla sottospecie, infatti, c’è chi sostiene che appartenga alla
sottospecie polonicum, altri alla sottospecie turanicum, altri ancora alla sottospecie durum.
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Di certo si tratta di una popolazione di frumento duro che attualmente è stata riseminata e fatta
conoscere al grande pubblico grazie alla pasta da agricoltura biologica prodotta da Alce Nero
Cooperativa. È coltivato nelle colline del Montefeltro, in provincia di Pesaro e Urbino, con metodo
rigorosamente biologico. E’ un frumento a ciclo medio lungo, taglia alta ed è dotata di una spiga di
grandi dimensioni fornita di lunghe ariste. Le rese non superano i 18÷20 q/ha. Le cariossidi sono
molto lunghe, rispetto a quelle di un normale frumento duro, di color giallo ambra. Il peso di mille
semi è intorno a 60 grammi, con un buon contenuto in proteine.
Da analisi condotte dall’Università di Urbino – Dipartimento di biotecnologie alimentari, risulta
essere un frumento particolarmente ricco di proteine, di sali minerali e di selenio, un potente
antiossidante in grado di contrastare efficacemente i radicali liberi, responsabili di molte patologie
umane.
Altra caratteristica importante di questo frumento è che non essendo stato oggetto di
miglioramento genetico, si presta meglio degli altri frumenti ad essere introdotto nelle diete delle
persone che soffrono di disturbi per intolleranze alimentari. Tuttavia questa varietà, come tutti i
frumenti, contiene glutine, quindi non è adatto all’alimentazione dei soggetti affetti da celiachia.
Infine, perché chiamare questa popolazione di frumento “Graziella Ra”? Sia per onorare il ricordo
di Ivo Totti, il seed saver di questa popolazione, che aveva espresso il desiderio di dedicare questa
popolazione alla figlia dell’archeologo che glielo donò, appunto Graziella, uccisa dai nazisti all’età
di 16 anni. “RA” nell’antico Egitto è il sole e questa nuova varietà, oltre che a “GRAZIELLA”, è
dedicata all’astro che ogni giorno ricarica la Terra di quel campo elettromagnetico indispensabile
alla nostra vita.
Il farro: una storia lunga diecimila anni (Porfiri e Fiorani, 2002)
Questo cereale è vissuto nella memoria e nella quotidianità di interi popoli del Mediterraneo e in
particolare della dorsale appenninica centro-meridionale dell’Italia da oltre diecimila anni, cioè da
quando è nata l’agricoltura e per diecimila anni essa è evoluta, o meglio co-evoluta, insieme a
colture e culture.
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il farro piccolo o monococco (Triticum monococcum);
il farro medio o semplicemente farro o dicocco (Triticum dicoccum), è la specie
geneticamente più vicina al frumento duro e generalmente utilizzata nella pastificazione;
il farro grande o spelta (Triticum spelta), simile al frumento tenero e quindi utilizzata per
prodotti da forno.
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La coltivazione del farro si è tramandata fino ad oggi lungo questi diecimila anni che ci separano
dal Neolitico; addirittura in alcune aree, come già ricordato la Valnerina , ma anche la Garfagnana,
probabilmente la coltivazione delle relative varietà locali non si è mai interrotta. Tuttavia, nel corso
della seconda metà del XX secolo, in seguito alla modernizzazione dell’agricoltura e al
cambiamento delle abitudini alimentari, anche il farro ha subito lo stesso inesorabile destino di altre
colture “minori” ed è via via scomparso dalle rotazioni per rimanere “relitto” in piccolissime aree
marginali. E minore è l’uso di una specie, più alto è il rischio che essa diventi “sottoutilizzata” e tale
sottoutilizzazione può a sua volta essere causa di erosione genetica, cioè perdita di variabilità
genetica.
La consapevolezza di questo processo, i contingenti motivi di politica agricola comunitaria, la
maggiore sensibilità nei confronti della qualità dell’alimentazione, la necessità di diversificare le
produzioni e la crescita esponenziale dell’agricoltura biologica, hanno fatto sì che negli ultimi anni,
“risorgesse” l’interesse per le specie oggi “minori”, in particolare per il farro.
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ALLEGATO 4
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stabilisce norme comuni relative ai regimi di sostegno diretto nell'
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comune e istituisce taluni regimi di sostegno a favore degli agricoltori e che modifica i regolamenti
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