Discorsi alla nazione

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Discorsi alla nazione
Persinsala Teatro
Daniele Rizzo
dicembre 3, 2012
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In tournée in Toscana, Ascanio Celestini registra il sold out con
il suo nuovo spettacolo-studio, Discorsi alla nazione.
Molti tra noi lo hanno conosciuto per le sue incursioni
televisive, surreali e poetiche nella loro irriverenza goliardica e
acutezza politica. Ad Ascanio Celestini, il parterre toscano “di
sinistra” riserva, a teatro, lo stesso calore che qualche anno fa riscuoteva
Beppe Grillo alle Feste dell’Unità, prima di essere sconfessato dai suoi più
tenaci sostenitori nel momento in cui “osava scendere in campo”.
Analogia, questa, forse impropria e irriverente, ma Celestini ce la
consentirà: dato che, come ieri vedevamo i pidiessini ridere alle battute
del comico genovese, che pure accusava dal palco proprio loro di deriva a
destra e perdita di ideali e prospettive politiche, oggi vediamo i pd –
cambia il nome ma non la sostanza – ridere ai Discorsi alla nazione,
altrettanto mordaci e ben poco concilianti o assolutori. Bisogna
ammetterlo: la cosiddetta sinistra italiana o non capisce le battute oppure
ha molto senso dell’autoironia.
Ma veniamo allo spettacolo, strutturato in due parti. La prima è
un’introduzione a braccio – da “studio” – più televisiva che teatrale, ma
non per questo meno gustosa – soprattutto quando puntualizza che l’Italia
non è sempre stata una Repubblica Democratica fondata sul lavoro e
“costituzionalmente” pacifista, ma nei suoi “gloriosi” 150 anni ha visto lo
spoglio del Sud, la guerra al brigantaggio, la rapacità sabauda, la dittatura
fascista, e molto altro.
La seconda, i Discorsi alla nazione veri e propri – comizi elettorali per
futuri dittatori della sempre verde Repubblica delle banane – intervallati
dalle parabole alla Celestini – dall’uomo con l’ombrello a quello con la
pistola, entrambi volti dei potenti per i quali, nella nostra democrazia di
facciata ma non di sostanza, siamo solo carne da macello o sagome da
bersaglio (perché, per chi se lo fosse dimenticato, laddove non esiste
democrazia economica reale, e non fittizia soddisfazione di bisogni
velleitari, non esiste nemmeno autentica democrazia). Come ricorda
Celestini: la differenza tra quest’ultima e la dittatura è che in dittatura si
deve temere di esprimere giudizi perché anche i muri hanno orecchie,
mentre in democrazia si può parlare liberamente perché nessuno ascolta –
e tanto meno si perita di rispondere ai bisogni reali.
Il ritratto che emerge dai Discorsi è devastante. Si ride molto quando si
dovrebbe piangere. Un Paese dove il padrone spera arrivino i marziani per
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fare quella rivoluzione anti-capitalista che i comunisti, così democratici da
convertirsi sempre più alle idee di destra, hanno ormai dimenticato –
peggio: rinnegato. Un Paese senza alternative praticabili, dove, come dice
lo stesso Celestini in un’intervista a Il Messaggero: «Un salario, anziché
garantire tredici mesi di stipendio, ferie e maternità, è una specie di
paghetta». Un Paese, aggiungeremmo noi, dove ci hanno spogliato di
tutto: ideali e sogni, in primis, e poi, a caso: tfr – che deve concorrere a
formare, per i pochi fortunati che lo percepiranno, quella pensione che
prima sfamava e in futuro sarà obolo elargito; o sanità – che si vuole
sempre più privatizzare non tenendo conto di quanto maggiormente pesi
sul Pil la sanità privata e altamente discriminatoria statunitense in
confronto con quella democratica europea, né del fatto che con 800 euro
al mese saltuari è un po’ difficile pagarsi un’assicurazione privata per la
pensione, una per la sanità, un po’ di quel mutuo che nessuna banca
elargirebbe mai a un precario e, per finire, anche la moltiplicazione di
balzelli e l’aggravio fiscale che si sono inventati, negli ultimi 10 anni, per
“cinesizzare” sempre più i lavoratori occidentali. Un Paese che sembra
richiamare concretamente – e non a caso – le parole Bertolt Brecht: “ci
sono molti modi di uccidere un uomo, si può infilare un coltello nella
pancia, togliergli il pane, non guarirlo da una malattia, ficcarlo in una casa
inabitabile, massacrarlo di lavoro, spingerlo al suicidio, farlo andare in
guerra. Solo pochi di questi modi sono proibiti nel nostro Stato.”
Ciliegina sulla torta, il bis: la storiella sul Piccolo Paese dove potenti – laici
e cattolici – si risvegliano, una mattina, e si ritrovano senza “fallo”, ossia
senza pene – non senza errore. E la battuta che maggiormente affonda
nelle viscere di un Paese eminentemente fallocratico – come il nostro – è
quella che denuncia l’impossibilità per chi voglia gestire il potere reale di
vivere da donna in Italia, dopo che il “gentil sesso” è stato trasformato –
aggiungeremmo: con la complicità di quelle donne che credono in
un’emancipazione che passa attraverso la coscia lunga e la taglia sesta – a
tal punto che la differenza tra una donna e una bambola gonfiabile è che,
sulla prima, i maschi possono bellamente spegnere le sigarette, senza
tema che scoppi.
Applausi scroscianti: qualcuno avrà capito a chi erano rivolti frizzi e lazzi?
Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro dei Differenti
vicolo del Teatro, 1 – Barga
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domenica 2 dicembre, ore 21.15
Teatro Moderno
piazza Anna Magnani, 1 – piazza Antonio Gramsci, 4
Agliana (Pistoia)
sabato 1° dicembre, ore 21.30
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Studio per uno spettacolo presidenziale
di e con Ascanio Celestini
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