“Treno in ritardo, sporco, freddo… Chiedo i danni?” di
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“Treno in ritardo, sporco, freddo… Chiedo i danni?” di
“Treno in ritardo, sporco, freddo… Chiedo i danni?” di Monica Bombelli e Matteo Iato Fonte: Corriere di Novara n. 120 dell’1/11/2008 Treni in ritardo, sporchi, privi di riscaldamento, sale d’aspetto nelle stazioni non pulite. Spesso si leggono sui giornali le lamentele di chi, con i treni, è costretto a farci i conti tutti i giorni. Per andare al lavoro o a scuola o all’università. I pendolari, insomma, che si dolgono di soffrire disagi per un servizio che però, al tempo, stesso essi pagano. Possono chiederli i danni al gestore del servizio di trasporto su treni? Qualche giudice ha cominciato a dar loro ragione. Però la prudenza è d’obbligo. Si tratta infatti di sentenze emesse da Giudici di Pace, le quali non hanno ancora, almeno allo stato, trovato ancora ulteriore ed autorevole avvallo da parte della giurisprudenza della Corte di Cassazione, davanti alla quale le loro sentenza non sono ancora pervenute. O, se lo fossero, non ancora dato adito, a loro volta, a pronunce della medesima Cassazione. Sia ben chiaro: quelle rese dal Giudice di Pace sono sentenze a tutti gli effetti di legge, che hanno il potere di condannare la parte soccombente e che rappresentano importanti, fondamentali e insostituibili gradini nel percorso di una miglior tutela dell’utente del servizio. Ma sarà inevitabilmente la Cassazione, che è la Corte suprema, a dare incisività ed autorevolezza a quell’orientamento giurisprudenziale che essa corte deciderà di condividere. La prudenza, inoltre, è d’obbligo anche perché i contorni della materia sono ancora, allo stato, piuttosto incerti. Detto questo per dar giusta informazione, va però rilevato che qualche pronuncia, a favore degli utenti, si inizia a riscontrare. In una recente sentenza, un Giudice di pace ha condannato la società gestore del servizio ferroviario a corrispondere all’utente un risarcimento dei danni non patrimoniali, determinati in via equitativa in euro 500. Nella fattispecie, un tizio lamentava i molteplici ritardi del treno, che egli doveva quotidianamente prendere per raggiungere il posto di lavoro. Asseriva che tali ritardi avevano cagionato l’arrivo in ritardo, appunto al posto di lavoro, e conseguentemente, nei suoi confronti, malcontento da parte di superiori e colleghi per tal motivo. Inoltre, i medesimi ritardi gli hanno sottratto tempo che egli avrebbe dedicato alla propria famiglia, dato che si è trovato costretto a fermarsi sul luogo di lavoro per recuperare le ore perse, a motivo dei ritardi del treno. Lamentava altresì di aver perso, anche a motivo della sua inaffidabilità sull’orario di arrivo al lavoro, a cagione sempre dei ritardi dei treni, la nomina a responsabile del servizio e del connesso aumento retributivo. Tutto ciò, affermava, gli aveva provocato rabbia e stress. In più le precarie condizioni igieniche dei treni, sporchi in misura, a suo giudizio, intollerabile, in uno con la, a suo parere, inadeguatezza della sala di attesa della stazione ferroviaria, priva di aria condizionata in estate e di riscaldamento in inverno, avevano accresciuto il suo disagio e la sua stanchezza. Chiedeva quindi che la società, gestore del servizio di trasporto su treno, fosse condannata a corrispondere in suo favore il risarcimento di tutti i danni subiti. La società ferroviaria si costituiva in giudizio, chiedendo il rigetto della pretese attoree. Il Giudice di Pace però la condannava ugualmente. Riteneva infatti provati i ritardi dei treni in alcuni dei giorni indicati dall’attore. E sosteneva, nella motivazione della sentenza, che gli stessi ritardi “dovuti a treni in arrivo in ritardo (…), a ‘guasti alla vettura pilota’, a ‘continue aperture stotz’ – devono essere sicuramente addebitati a responsabilità [della società che gestisce i treni medesimi, ndr] che, pur eseguendo le normali (‘di routine’) operazioni di manutenzione, non è stata in grado di assicurare il regolare funzionamento dei treni che, a parere di questo Giudice, è suo preciso dovere nei confronti dell’utenza”. Steso dicasi per la asserita scarsa igiene. “Pure la sporcizia – scriveva il Giudice di Pace - dei sedili (a volte anche rotti) e in genere dei treni in questione e le condizioni molto disagevoli per l’utenza nella sala d’attesa della stazione (...) devono essere evidentemente addebitate alla scarsa diligenza [della società dei treni] nella manutenzione dei treni e della sala d’aspetto stessa”. Un quesito che può porsi, nell’ambito di controversie che vedono opposti l’utente e la società gestore del servizio di trasporto, è la sussistenza del d.d.l. n. 1949 dell’11/10/1934, convertito nella l. n. 911/1935 nonché del decreto interministeriale del 13/12/1956: tale normativa infatti limita il risarcimento, che eventualmente può spettare all’utente, solo a specifici casi e comunque lo contiene soltanto entro una precisa entità, e non lo consente in misura superiore. Ciò anche quando il danno effettivamente sofferto dalla persona fosse effettivamente quantificabile in misura superiore a detto limite. La società ferroviaria, perciò, quando viene chiamata a rispondere di pretesi danni da parte di qualche soggetto che se ne duole, eccepisce sempre la sussistenza di tale limite e quindi chiede, in ogni caso, di non esser condannata a somme superiori ad esso. Riguardo la rilevanza di tale limite, nei confronti dell’utente, vi sono però non poche perplessità. Si riscontrano infatti pronunce di alcuni Giudici di Pace, i quali hanno ritenuto tali limiti non possano applicarsi al consumatore. Invero, asseriscono nelle loro sentenze, esiste il Codice al Consumo, introdotto dalla legge 206 del 6/9/2005, e diventato anche parte del codice civile. Detto codice al consumo pone delle precise norme a tutela del consumatore e, fra di esse, ve ne sono alcune che stabiliscono la nullità della clausole contrattuali di cui venga accertata la vessatorietà. Come dire, in sostanza, che le norme, ponenti limiti al risarcimento dei danni, sarebbero in contrasto con tale normativa protezionistica del consumatore, e quindi sarebbero ‘illegittime’. In un caso, ad esempio, gli utenti lamentavano che il treno avesse portato un ritardo di otto ore e inoltre che le carrozze fosse prive di riscaldamento adeguato. Il Giudice di pace rilevava che la società ferroviaria, pur essendo a conoscenza dei disagi cui sarebbero andati incontro i passeggeri – atteso che sussistevano problemi sulla linea in questione – “peraltro in assenza di un piano di coordinamento per far fronte alla prosecuzione del viaggio con il cambiamento del percorso – senza alcun rispetto dei passeggeri, tenuti all’oscuro di quanto stava accadendo – ha fatto partire regolarmente il convoglio ferroviario”. In un altro caso, in cui un treno aveva sofferto un’ora e mezzo di ritardo, un altro Giudice di pace aveva condannato la società ferroviaria non solo al risarcimento del costo del biglietto, ma anche al risarcimento del danno ‘esistenziale’, che, dalla giurisprudenza viene inteso, in parole semplici, quale pregiudizio non patrimoniale, che consiste nella lesione di diritti o interessi, costituzionalmente protetti, inerenti alla persona umana, diversi dalla salute, sconvolgendo nel complesso le attività areddituali del soggetto leso. Il Giudice di pace ha quindi condannato la società ferroviaria, proprio in relazione ai disagi subiti dagli utenti. In un altro caso, altro Giudice di pace analogamente condannava il gestore dei treni, in considerazione dei disagi riportati da una passera derivanti dal ritardo del mezzo e anche della mancanza di assistenza da parte del personale di bordo. Altre pronunce, sempre di Giudici di Pace, invece hanno ritenuto valida la normativa di settore del trasporto ferroviario sopra menzionata, con i suoi limiti. Altre infine, si sono limitate a condannare la società dei treni a rimborsare il solo costo del biglietto. Resta poi da domandarsi se può essere applicabile il Codice al consumo, quando ad essere trasportata è una persona che viaggia per lavoro. Può considerarsi, infatti, consumatore un soggetto che viaggia per lavoro quando la normativa protezionistica del consumatore individua quest’ultimo come colui che opera per scopi che sono estranei alla sua attività professionale? Come è evidente, lo scenario è tutt’altro che pacifico. Qualche ‘speranza’ per gli utenti però comincia a intravedersi. Certamente però, a fronte dell’incertezza attuale che ad oggi permane, una pronuncia del legislatore al riguardo o qualche indicazione da parte della Cassazione, sarebbero eventi senz’altro auspicabili. A cura dell’Avv. Monica Bombelli e dell’Avv. Matteo Iato