Barbara D`Annunzio, Fabio Caon, Francesca Della Puppa

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Barbara D`Annunzio, Fabio Caon, Francesca Della Puppa
Modulo 3E
Approcci didattici interculturali: area scientifica
Franco Favilli
Università di Pisa
Indice
3E.0: Guida al modulo
3E.1: Approccio interculturale ai linguaggi dell’area scientifica
3E.1.1 Intercultura e discipline scientifiche
3E.1.2 L’apporto delle discipline scientifiche all’educazione interculturale
3E.1.3 Lingua naturale e linguaggio scientifico
3E.1.4 Didattica interdisciplinare delle discipline scientifiche
3E.2: Educazione alle scienze matematiche
3E.2.1 La matematica come strumento di comunicazione con la realtà
3E.2.2 Lingua naturale e linguaggio matematico
3E.2.3 La terminologia scientifico-matematica nelle lingue “giovani”
3E.2.4 Le attività matematiche universali
3E.3: Didattica interculturale delle materie scientifiche
3E.3.1 Discipline scientifiche ed educazione interculturale
3E.3.2 Educazione matematica ed Italiano L2
3E.3.3 L’approccio interculturale alla didattica della matematica
3E.3.4 I micro-progetti
3E.3.5 Esempi di micro-progetti
3E.4: Guida bibliografica
3E.0: Guida al modulo
L’apprendimento della matematica e delle discipline scientifiche è fortemente condizionato dal
fattore linguistico. L’esistenza di una terminologia, di una sintassi e di codici linguistici specifici
sono una caratteristica di queste discipline.
La difficoltà intrinseca ad alcuni argomenti e concetti matematici o, in generale, scientifici viene
spesso accresciuta dalla poca attenzione posta dal docente al modo con cui tali argomenti e concetti
vengono comunicati agli alunni ed alla scarsa consapevolezza che il linguaggio scientificomatematico stesso può rendere ancora più arduo il processo di apprendimento.
In un contesto scolastico multiculturale le problematiche collegate alla lingua divengono ancor più
evidenti e richiedono un impegno ancora maggiore da parte di un insegnante che sia attento alle
dinamiche di apprendimento di ciascun alunno presente nell’aula.
È un dato di fatto che per molti degli alunni di cultura e lingua diversa da quella italiana lo studio
delle discipline scientifiche risulta di gran lunga più difficile rispetto alle altre discipline (ed ai loro
compagni…).
Una metodologia didattica che sia più attenta alle differenti culture presenti nell’aula e che dia
maggiore risalto ad aspetti della vita quotidiana, anche di culture minoritarie, può rappresentare un
valore aggiunto per l’efficacia didattica di un insegnante di discipline scientifico-matematiche e per
la fruibilità dei suoi insegnamenti da parte di tutti gli alunni, in particolare di quelli di cultura
minoritaria, per i quali il fattore linguistico può, in tal modo, venire ad avere un peso meno
significativo.
3E.1: Approccio interculturale ai linguaggi dell’area scientifica
3E.1.1 Intercultura e discipline scientifiche
Le tematiche collegate all’intercultura sono quasi sempre riferite alle aree della sociologia, della
psicologia e della pedagogia, da una parte, ed all’area umanistica, dall’altra. In questa seconda area,
la maggiore attenzione è posta alle tematiche correlate alla lingua, ma anche a varie forme
espressive sia di natura letteraria che artistica, come pittura, musica e cinema.
Un forte interesse, sempre nell’ambito del dibattito sull’interculturalità, è suscitato dal grande tema
delle religioni.
Ma perché non sottolineare come perfino le tradizioni culinarie dei vari Paesi siano oggetto di
grande attenzione, perché, giustamente, rappresentative di culture, tradizioni, ecc.?
Quelli su citati sono tutti elementi che sono chiaramente presenti nelle singole culture, sono parte di
esse: sono elementi comuni, come categorie, ma diversi nella loro essenza, in quanto propri,
caratteristici di una determinata cultura: sono allo stesso tempo prodotti e fattori culturali.
Completamente assenti, fra le tematiche collegate all’interculturalità, sono invece quelle di natura
scientifica, fatta eccezione per alcuni aspetti correlati alla medicina o, meglio, alla salute dell’uomo,
ed all’astronomia.
Perché accade questo? Cosa è che fa sì che le discipline scientifiche debbano essere considerate in
qualche modo escluse da qualunque tipo di riflessione sull’interculturalità? Forse che la scienza è da
considerarsi al di sopra di ogni questione correlata con la differenza fra culture? Forse che l’unico
problema è quello della terminologia specifica, di cui diverse lingue sono carenti per molte
discipline scientifiche? Forse che la maggiore attenzione deve essere posta, a scuola, ad insegnare
agli alunni di cultura minoritaria, nella lingua scolastica veicolare L2, i termini che nella loro lingua
madre spesso non esistono?
Provare a dare delle risposte a queste domande può essere di grande utilità per chi vuole iniziare a
studiare il rapporto fra educazione interculturale e discipline scientifiche.
3E.1.2 L’apporto delle discipline scientifiche all’educazione interculturale
Le discipline scientifiche hanno nella società attuale un ruolo sempre più importante. Lo sviluppo
tecnologico, che ha inizialmente interessato il mondo occidentale, si è gradualmente manifestato in
altre realtà geografiche, in particolare in alcune regioni dell’Asia centrale. Di più, da tali aree si è
avuto un ulteriore impulso, sia per quanto riguarda l’aspetto puramente produttivo che per quello
della progettazione e della ricerca. Da una semplice produzione o riproduzione (clonaggio) di
prodotti della tecnologia occidentale si assiste al passaggio ad una proposizione sempre più
interessante ed articolata di opere dell’ingegno di scienziati e tecnici di Paesi una volta considerati
in via di sviluppo. Oggi già si prevede che l’apertura al mondo esterno della Cina avrà sicuramente
un grosso impatto sullo sviluppo delle conoscenze scientifiche e tecnologiche dell’intero pianeta, al
di là delle preoccupazioni di mero interesse finanziario da parte di alcuni rappresentanti del mondo
economico occidentale.
Questa premessa serve a riflettere su come l’interazione fra culture diverse possa avere degli
sviluppi positivi assolutamente imprevedibili anche in ambito scientifico-tecnologico e su quanto
sia quindi opportuno porre l’attenzione sulle relative discipline in ambito educativo.
Occorre allora, innanzitutto, riconoscere che ogni cultura (sia a livello micro che a livello macro) è
la risultante di un insieme di atteggiamenti e conoscenze posti in essere e costruite da un
determinato gruppo o categoria di persone per affrontare e risolvere i problemi che vengono loro
posti dalla realtà e dall’ambiente in cui si trovano a vivere e/o operare: fra queste conoscenze ve ne
sono sicuramente sempre alcune, importanti e spesso caratteristiche di quel gruppo o categoria di
persone, di natura tipicamente scientifica.
Da questo riconoscimento deriva quindi che, in ambito scolastico, l’attenzione degli insegnanti che
si trovino ad operare in contesti di multiculturalità deve essere rivolta anche alle discipline
scientifiche; occorrerà allora che gli insegnanti acquisiscano un minimo di conoscenza sia dei
contributi che culture diverse hanno dato ed ancora danno allo sviluppo della scienza (aspetto
storico) che delle specifiche conoscenze scientifiche di determinate aree culturali (aspetto
disciplinare).
Sarà poi utile per gli insegnanti acquisire informazioni sul contesto educativo da cui i loro allievi
provengono (ambito scolastico), così da poter progettare dei percorsi didattici che tengano
effettivamente ed efficacemente conto del variegato contesto culturale dell’aula (ambito
metodologico).
È evidentemente importante, però, che tale integrazione didattica di elementi culturali diversi,
nell’ambito delle discipline scientifiche, sia effettiva, profonda: se restasse superficiale, i contributi
forniti da culture minoritarie ed utilizzati per la trattazione di un determinato argomento o per la
introduzione di un certo concetto, rischierebbero altrimenti di apparire dei semplici “fiori
all’occhiello” o, peggio, aspetti di pura natura folkloristica.
Le scelte curricolari saranno, in linea generale, rivolte a tutta la classe e dovranno integrare elementi
culturali diversi sia nell’ambito della didattica della singola disciplina scientifica che in quello di
una didattica di tipo interdisciplinare che, soprattutto a livello di scuola primaria, dovrebbe essere il
più possibile privilegiata.
L’utilizzo di elementi culturali diversi in una progettazione didattica rivolta all’intera classe può
rivelarsi uno strumento forte per il raggiungimento di quell’inclusione scolastica che è il fine
primario dell’educazione interculturale. Nella classe si viene infatti a creare un clima di reciproco
rispetto ed interesse per le differenze culturali che vi sono rappresentate, sia in misura maggioritaria
che minoritaria: con la pratica dell’aula anche di matematica o di scienze, ciascun alunno acquisisce
la consapevolezza che ogni cultura ha valori propri, da cui ciascun alunno può trarre beneficio,
qualunque sia il suo background socio-culturale.
3E.1.3 Lingua naturale e linguaggio scientifico
La seconda metà del secolo scorso è stato caratterizzato da un grandissimo sviluppo delle
conoscenze in ambito scientifico e tecnologico. Dopo la seconda guerra mondiale, infatti, le
ricerche nel campo delle scienze di base hanno avuto un forte impulso e discipline quali la
matematica, la fisica e la chimica hanno assunto un ruolo sempre più importante. Ad esse ed alle
loro scoperte si è fatto ricorso in misura sempre maggiore per affrontare problemi che traevano
origine non più solo da aree quali l’ingegneria, ma anche da ambiti diversi, quali le scienze naturali
e le scienze geologiche, le scienze della vita e la medicina: ambiti fino ad allora solo
occasionalmente correlati alla matematica, la fisica e la chimica, appunto.
Il ricorso sempre più frequente alla modellizzazione di fenomeni legati alla natura ed alla fisiologia
dell’uomo, la richiesta di elaborare processi di astrazione di situazioni e fatti della vita reale, ha
costituito l’elemento più significativo della vita scientifica degli ultimi decenni: fra le scienze di
base (spesso giudicate astratte) e le altre discipline scientifiche si è venuto in questo modo a creare
un ponte le cui strutture si sono andate sempre più rafforzando.
Il sempre maggiore impegno nella ricerca di base in ambito scientifico e la sempre maggiore
richiesta di collegare queste ricerche con la realtà e le istanze che da essa provengono, hanno dato
origine, per i ricercatori e gli studiosi, a due esigenze opposte ed apparentemente contrastanti: da
una parte quella di specializzarsi nelle conoscenze di una determinata disciplina, dall’altra quella di
aprirsi all’esterno per cercare di individuare e capire le problematiche presentate da altri settori
scientifici.
A queste due esigenze hanno corrisposto altre due esigenze di natura linguistica:
• arricchire la terminologia ed il linguaggio della singola disciplina
• rendere efficace la comunicazione fra studiosi di discipline diverse.
Come conseguenza della prima esigenza, ogni disciplina scientifica, in misura più o meno estesa ed
evidente, ha creato codici linguistici e gerghi propri, utilizzati e compresi spesso solo da gli
appartenenti a quella particolare comunità scientifica. Ma l’abitudine all’utilizzo di linguaggi
specifici rende spesso problematica la comunicazione e la comprensione fra studiosi di aree diverse!
E cosa immaginiamo che possa allora accadere se l’interazione avviene fra studiosi od esperti di
una determinata disciplina scientifica e soggetti che non sono né studiosi né esperti di alcuna
disciplina scientifica? In particolare, se entriamo in un’aula scolastica ed ascoltiamo un insegnante,
ad esempio di matematica, che parla alla classe, pensiamo davvero che il registro linguistico da
lui/lei utilizzato sia lo stesso dei suoi alunni?
Molto spesso la distanza fra il linguaggio dell’insegnante e quello della classe è enorme: questa
distanza non è semplicemente dovuta al diverso grado di conoscenze linguistico-disciplinari, ma
dipende dalla spesso significativa differenza fra il linguaggio disciplinare, utilizzato dall’insegnante,
ed il linguaggio naturale, utilizzato dagli alunni.
La frattura fra linguaggio scientifico e lingua naturale è uno degli aspetti più delicati della didattica
disciplinare, ma raramente viene avvertita ed è oggetto di riflessione da parte dagli insegnanti.
Anche perché, a livello di studi e ricerche, poco è stato fatto in questa direzione, almeno per quanto
riguarda la lingua italiana.
3E.1.4 Didattica interdisciplinare delle discipline scientifiche
Il contributo dato dalle diverse culture, presenti nella classe e nella comunità educativa, sono
occasione di scambio di conoscenze e di crescita culturale ed umana. L’utilizzo di aspetti della vita
quotidiana come punto di partenza per osservazioni, considerazioni ed approfondimenti di tipo
scientifico, è una pratica didattica da tempo riconosciuta come indispensabile – soprattutto, ma non
solo, a livello di scuola di base – per ottenere e mantenere l’attenzione e l’interesse degli alunni, per
trasmettere un’immagine dinamica della discipline scientifiche di base (quali la matematica, la
fisica e la chimica), che contrasti con la visione eccessivamente condivisa, soprattutto per la
matematica, di discipline statiche, aride, astratte.
La scelta anche di aspetti della vita quotidiana propri di culture diverse da quella locale,
maggioritaria, diventa allora non solo un elemento importante di interscambio di culture, ma anche
occasione di scoperta e valorizzazione di conoscenze e tecniche che attività scientifiche comuni
hanno prodotto in culture che sono rappresentate in forma minoritaria nell’aula.
Una tale metodologia didattica, che prenda a riferimento continuo il vissuto quotidiano degli alunni
e delle culture che essi rappresentano, favorisce d’altra parte una pratica educativa fondamentale, se
non indispensabile, nel percorso formativo degli alunni: l’interdisciplinarietà.
Troppo spesso, fin dai primi anni della scuola elementare, abbiamo invece la sensazione, ad
esempio, di un insegnamento della matematica autonomo, indipendente ed orgogliosamente
differenziato (anche nella eleganza e rigidità del suo linguaggio) dalle altre discipline, eccezion fatta
di solito per la fisica. La matematica appare come una materia che vive di luce propria, si nutre di se
stessa ed è capace di esistere di per sé.
Quale può essere, nel tempo, l’impatto di un tale tipo di rappresentazione sociale sull’alunno
comune? Raramente positivo, soprattutto dopo una qualche esperienza scolastica negativa!
La matematica, la fisica e la chimica, invece, come tutti i prodotti culturale dell’uomo, hanno le loro
radici e le proprie motivazioni nella realtà, in moltissimi dei suoi aspetti. Non sono discipline che si
coltivano e trovano la loro ragione di essere solo all’interno di una biblioteca o di un laboratorio.
L’utilizzo pertanto di pratiche didattiche di tipo interdisciplinare, che interessino queste materie,
non deve quindi apparire come un’eccezione, un fiore all’occhiello, qualcosa di occasionale e
singolare; deve invece essere perseguito costantemente dagli insegnanti, soprattutto a livello di
scuola di base, dove (almeno in Italia) fra l’altro è unico il docente di matematica e di scienze
sperimentali e della vita.
Assistiamo invece spesso ad un atteggiamento paradossale da parte di alcuni insegnanti delle
discipline scientifico-matematiche della scuola primaria (elementare e media), che arrivano a
separare nettamente la matematica dalle scienze sperimentali, non solo nella pratica didattica, ma
addirittura nell’orario interno delle lezioni.
Il rapportarsi con colleghi di altre discipline, quando non addirittura solo con se stessi (!), potrebbe
invece fornire all’insegnante di matematica e scienze l’occasione per riflettere sulle proprie pratiche
e metodologie didattiche, per provare ad osservare da un punto di vista diverso (quello dei colleghi)
aspetti disciplinari a volte eccessivamente familiari, per avvicinarsi (forse) meglio alla
comprensione delle difficoltà che specifici argomenti causano ai propri alunni.
Può darsi che, in questa pratica di collaborazione e di interazione fra docenti di discipline diverse,
l’insegnante di matematica possa avere la sensazione di sacrificare qualcosa del rigore della propria
disciplina, della usuale linearità del percorso curricolare; ma perché non pensare che a questo
sacrificio potrebbe corrispondere un maggior interesse da parte degli alunni, una loro maggiore
disponibilità all’apprendimento, una migliore efficacia di tutto il processo educativo, soprattutto se
accompagnato dalla scelta di una metodologia didattica a spirale, che veda cioè il docente tornare
successivamente su un medesimo argomento, in momenti diversi, con diversi livelli di
approfondimento?
3E.2: Educazione alle scienze matematiche
3E.2.1 La matematica come strumento di comunicazione con la realtà
“Cos’è la matematica?”: proviamo a rispondere a questa semplice domanda! È davvero facile? Le
risposte possibili sono sicuramente tante e tutte probabilmente valide e ben motivate. Qui ne
vogliamo proporre una semplice e forse sorprendente, se non provocatoria (senza alcuna pretesa che
debba essere considerata la migliore!): “La matematica è il complesso di attività che l’uomo pone
alla base di ogni sua azione finalizzata ad affrontare e risolvere problemi posti dalla vita reale”.
Se vogliamo usare un paragone, potremmo dire che, come la lingua è lo strumento che l’uomo crea
per mettersi in comunicazione con l’uomo che gli sta vicino, così la matematica è lo strumento che
l’uomo crea per mettersi in contatto con la realtà circostante. Ma allora, come l’uomo crea strumenti
diversi per comunicare con i suoi vicini (lingue diverse), così crea strumenti diversi per mettersi in
contatto con la realtà circostante (linguaggi diversi, matematiche diverse).
Ancora, come l’uomo, nel creare lo strumento linguistico, è evidentemente condizionato
dall’ambiente sociale e culturale in cui vive, così è condizionato dalla società e dalla cultura a cui
appartiene anche quando crea lo strumento matematico. Possiamo quindi dire che la matematica è
un prodotto culturale dell’uomo e pertanto culture diverse (anche a livello micro) producono non
solo lingue (o dialetti), ma anche matematiche diverse. Il complesso di queste matematiche può
essere individuato col termine etnomatematica. In questo modo, l’immagine della matematica, vista
come disciplina universale e culture-free, viene ad essere completamente modificata: almeno finché
guardiamo all’essenza, alla natura stessa della matematica, al cos’è?.
Vi sono quindi tante matematiche, di cui quella usualmente utilizzata nelle aule scolastiche – la
Matematica con la M maiuscola – è, se vogliamo, una sublimazione, uno strumento creato da
addetti ai lavori per comunicare fra loro indipendentemente dai contesti culturali di provenienza.
Ma è giusto proporre sempre, comunque e dovunque, solo questo linguaggio matematico? Siamo
sicuri che, ad esempio, a livello di istruzione di base non si possa ricorrere anche e soprattutto alle
matematiche (con la m minuscola) caratteristiche delle culture presenti nell’aula?
• Una possibile obiezione è che, sempre utilizzando il paragone delle lingue/linguaggi, in
questo modo la classe diventerebbe una sorta di Torre di Babele. Questa obiezione è
facilmente superabile se ripensiamo all’idea di (supposta) universalità della matematica;
perché, anche se, come abbiamo visto, tale universalità non è accettabile se riferita alla
matematica (in quanto insieme di conoscenze e strumenti), si può però dire che ogni
matematica (con la m minuscola) è costituita da e si sviluppa tramite una serie di attività che
sono comuni, non nei contenuti e nei modi, ma come categorie.
3E.2.2 Lingua naturale e linguaggio matematico
Lo sviluppo delle discipline scientifiche ha creato spesso e crea tuttora l’esigenza di arricchire il
vocabolario della lingua naturale di termini nuovi, che possano rappresentare nuovi concetti e nuovi
oggetti, fisici o mentali che siano. A volte questi concetti od oggetti richiamano in qualche modo,
nel loro significato o nella loro essenza, qualcosa già rappresentato da determinate parole e quindi
tali parole vengono scelte per rappresentare anche tali concetti od oggetti.
Capita così che ad una stessa parola si debbano attribuire significati diversi, a seconda sia del
contesto linguistico in cui viene utilizzata, quello naturale o quello di una determinata disciplina
scientifica, sia del contesto specifico all’interno di una stessa disciplina. Questo è soprattutto il caso
della matematica, una disciplina per la quale l’esigenza di creare termini specifici è sempre stata
molto forte, ma per la quale molto spesso si è anche ricorso all’utilizzo di parole già esistenti nella
lingua naturale. Ciò è accaduto e continua ad accadere per tutte le lingue (in misura più o meno
rilevante a seconda del grado di esigenza avvertito) e quindi anche per la lingua italiana.
Ma quello che rende singolare la matematica è che gli studiosi di questa disciplina, molto di più dei
loro colleghi delle altre discipline scientifiche, hanno sviluppato una forma di comunicazione delle
loro conoscenze che fa uso di un linguaggio che, pur ricorrendo evidentemente ad elementi della
lingua naturale, appare, a volte, possedere una sua struttura originale
Un’altra caratteristica fondamentale del linguaggio matematico (scritto) è la sua continua ricerca di
un simbolismo che, al di là di una valenza puramente stenografica, rappresenta una volontà di
universalizzare tale linguaggio, di renderlo interpretabile indipendentemente dalla lingua naturale
usata dal lettore. Nel suo complesso, il linguaggio matematico appare dunque come un intreccio
costante di due codici: quello linguistico naturale e quello simbolico.
L’uso di un codice simbolico rende allora evidentemente ancora più complicata la lettura e la
comprensione, perché sono richiesti un continuo riconoscimento ed interpretazione dei simboli, una
loro trasformazione in una espressione del linguaggio naturale e l’inserimento e raccordo di questa
espressione con il resto della frase in cui si fa uso invece del codice linguistico.
L’utilizzo in aula, da parte dell’insegnante, di un linguaggio quale quello matematico, è allora un
elemento di attento studio per meglio valutare le dinamiche di comunicazione all’interno dell’aula,
che giocano un ruolo determinante nel delicato processo di insegnamento/apprendimento.
I fattori linguistici nell’insegnamento/apprendimento della matematica possono essere studiati da
vari punti di vista, che vanno dalla psico-linguistica e socio-linguistica al discorso dell’aula Il loro
studio richiederebbe quindi innanzitutto di verificare se gli insegnanti e gli allievi usano la stessa
lingua madre, appartengono alla stessa cultura ed organizzano in maniera sufficientemente simile i
loro ragionamenti: solo in questo modo è possibile instaurare nella classe un sistema di
comunicazione efficace, di cui tutti possano usufruire.
Se, infatti, le idee base della matematica restassero racchiuse all’interno di un linguaggio che è
accessibile ed utilizzabile solo da alcuni eletti (nella scuola, gli insegnanti), tali idee resterebbero
sicuramente inaccessibili alla maggioranza degli allievi.
3E.2.3 La terminologia scientifico-matematica nelle lingue “giovani”
Alcune delle lingue utilizzate dagli alunni che si trovano oggi a frequentare le scuole italiane hanno
avuto, fino a pochi decenni fa, la caratteristica di non avere una loro scrittura; la limitatezza delle
zone in cui venivano utilizzate o la occasionalità della necessità di comunicare a distanza con altre
persone della stessa cultura, la condizione di sottomissione (in quanto colonie) a culture esterne,
sono stati elementi che, di fatto, hanno perpetuato fino ai tempi nostri la tradizione di molte
popolazioni di comunicare e trasmettere conoscenze (di un qualunque tipo) esclusivamente per via
orale.
L’apertura al mondo esterno, in molti casi coincidente con la fine della colonizzazione, e la
necessità di organizzare un sistema educativo autonomo e rispettoso della cultura locale hanno a
loro volta rappresentato l’occasione per arrivare alla decisione di dare una rappresentazione scritta
alla lingua naturale.
Sia in questi casi, come nel caso di altre lingue, per cui la forma scritta già esisteva, agli esperti di
linguistica, che fossero locali o consulenti stranieri, si è presentato il problema di arricchire il
vocabolario già esistente con termini che, vuoi per motivi collegati all’istruzione vuoi per la
necessità sempre maggiore di comunicare con settori avanzati del mondo esterno, si riferivano ad
ambiti scientifico-tecnologici.
Le modalità con cui questo arricchimento è stato ottenuto sono state diverse, così come diverso è
stato l’impatto che le scelte fatte ha avuto sulla popolazione, soprattutto quella scolastica.
Certamente, in molti casi, si è trattato di una vera e propria intrusione culturale, frutto di un lavoro
difficile ma necessario; vi è stata come una frattura fra ciò che veniva proposto, scritto ed introdotto
sui libri e nelle scuole e la realtà della vita di tutti i giorni.
Per quanto riguarda più specificamente la matematica, il suo linguaggio e la sua didattica, studi e
ricerche condotti sia in Paesi significativamente diversi, dal punto di vista culturale, da quelli
dell’area occidentale che in Paesi di questa stessa area, in cui la multiculturalità in aula non è un
fatto recente, sono infatti emerse alcune indicazioni e valutazioni, in parte ovvie ma spesso, nei
fatti, trascurate nella pratica quotidiana dell’aula. Vediamone alcune:
• ogni cultura ha il suo modo di contare: anche quando due sistemi numerici appaiono uguali,
alle loro radici vi sono (o vi sono state) di fatto delle differenze;
• alcune popolazioni non avvertono la necessità di contare al di là di numeri a volte anche
inferiori a cento;
• le uniche attività matematiche praticate sono quelle collegate a situazioni concrete e da esse
sono, a volte, addirittura regolate;
• le unità di misura non sono di tipo generale, ma dipendono dal contesto in cui devono essere
utilizzate;
• in alcune culture il potenziale linguistico di una determinata lingua non permette di svolgere
in maniera corretta e completa una determinata attività matematica (ad esempio, il
classificare);
• alcune strutture logiche, caratteristiche della matematica occidentale (negazione,
congiunzione, implicazione, equivalenza, ecc.), sono, in certe lingue, rappresentabili solo
con complicati giri di parole, creando così possibili confusioni e difficoltà;
• l’organizzazione del discorso in una determinata lingua influisce sull’organizzazione del
discorso matematico occidentale, a volte in maniera decisamente negativa.
3E.2.4 Le attività matematiche universali
Le differenti conoscenze matematiche che portano alla creazione ed allo sviluppo delle singole
matematiche (con la m minuscola) nelle diverse culture, si fondano su una serie di attività che
possono essere raggruppate secondo categorie che sono da considerarsi, queste sì, comuni, in
quanto riscontrabili in ogni contesto culturale. Queste categorie di attività matematiche vengono
quindi ad assumere, solo come tali, un valore di universalità e sono individuabili (Bishop, 1988)
nel:
• contare: l’uso di un metodo sistematico di confrontare ed ordinare fenomeni;
• misurare: la quantificazione di qualità per confrontare ed ordinare, utilizzando strumenti di
misura con unità associate;
• localizzare: l’esplorazione del proprio ambiente spaziale e la sua concettualizzazione e
simbolizzazione tramite modelli, diagrammi, disegni, parole od altri mezzi;
• disegnare: la creazione di forme o disegni per un oggetto o qualsiasi parte dell’ambiente
spaziale proprio;
• giocare: escogitare piani ed impegnarsi nei giochi e passatempi con regole più o meno
formalizzate che i giocatori devono rispettare;
• spiegare: la ricerca di modi di dar conto dell’esistenza di fenomeni, religiosi o scientifici che
siano.
Queste categorie di attività matematiche, qualunque siano specificamente le attività stesse, sono
riconosciute come necessarie e sufficienti per lo sviluppo di una qualunque matematica (con la m o
con la M che sia). Esse danno origine, con il loro specifico complesso di regole, ad una teoria
matematica che ha una sua dignità e validità (garantita appunto dal rispetto delle regole prefissate),
che non possono non venirle riconosciute; in questo si ha ancora un elemento di universalità: la
verità di una teoria matematica come valore universale.
Se gli alunni si abituano a vedere e riconoscere queste attività matematiche nella loro pratica
quotidiana, se gli insegnanti privilegiano un insegnamento della matematica che parta veramente da
situazioni e problemi della vita reale e che tenga conto delle culture presenti nella comunità
educativa (didattica in-contesto della matematica), ecco che le lezioni di matematica in situazioni di
multiculturalità diventano occasione di reciproco scambio di conoscenze (anche matematiche) fra
culture diverse: le differenti matematiche possono interagire liberamente, rese comprensibili ed
accettabili dalla universalità delle categorie su cui sono fondate.
3E.3: Didattica interculturale delle materie scientifiche
3E.3.1 Discipline scientifiche ed educazione interculturale
Negli ultimi anni, moltissimi autori, anche in ambito nazionale, hanno affrontato il tema della
educazione interculturale. La continua crescita delle presenze, nelle scuole italiane, di alunni
provenienti da Paesi di aree culturalmente diverse, anche in modo significativo, dalla nostra ha
creato una sorta di emergenza educativa ed una serie di istanze provenienti dal mondo della scuola a
cui tali autori hanno cercato di rispondere con le loro indagini, studi e ricerche.
Il grande tema dell’educazione interculturale è stato in questo modo approfonditamente esaminato,
innanzitutto, dal punto di vista sociologico e pedagogico e la grande maggioranza degli insegnanti
della scuola italiana ha così acquisito un bagaglio di conoscenze di tipo generale sull’educazione
interculturale, che costituisce il supporto indispensabile per una qualunque azione di tipo didattico.
Per quanto riguarda la didattica delle singole discipline in contesti multiculturali, molto è stato
sicuramente fatto e si continua a fare (e non potrebbe essere altrimenti!) per l’insegnamento della
lingua italiana. Dotare gli alunni di cultura minoritaria dello strumento di base per qualsiasi forma
di comunicazione ed apprendimento, la lingua, è stata ed è una delle priorità educative della scuola
italiana.
Una qualche attenzione è stata data, in un certo senso per affinità, alla didattica di materie dell’area
umanistica (letteratura, storia, geografia, ecc.). Scarsa attenzione è stata invece prestata finora in
Italia alla didattica interculturale di materie scientifiche, ad iniziare dalla matematica, disciplina di
base per qualsiasi conoscenza di natura scientifico-tecnologica.
Come è naturale, questa non è la situazione in altri Paesi (Stati Uniti ed Australia in primis) in cui il
fenomeno delle immigrazioni e della interculturalità è da tempo conosciuto e studiato per gli aspetti
relativi all’educazione ed all’istruzione. Studi e ricerche condotte in quei Paesi hanno portato ad
acquisire alcuni elementi di conoscenza e valutazione che possono risultare di grande utilità anche
per le nostre realtà educative.
Per quanto riguarda le discipline scientifiche, in generale, si sono evidenziati alcuni aspetti che non
sono assolutamente sorprendenti, ma di cui occorre tenere di conto nella pratica dell’aula.
Ogni società attribuisce dei suoi valori ai singoli elementi che costituiscono la propria cultura: per
conseguenza, se ci riferiamo alle conoscenze scientifiche, i valori che noi attribuiamo ad esse non è
detto che coincidano con quelli attribuiti da altre culture. Questa possibile differenza non può non
incidere nella dinamica di classe: la trasmissione di saperi non è culturalmente neutra e
l’attribuzione di valori diversi a conoscenze specifiche può costituire un ostacolo molto più arduo
da superare della comprensione stessa dei contenuti di tali conoscenze!
Alcuni dei concetti che si vogliono proporre possono risultare completamente estranei, se non in
conflitto con la cultura e la visione del mondo proprie di una determinata cultura.
Alcuni dei concetti che vengono proposti non hanno la possibilità di essere consolidati all’esterno
dell’aula, nella pratica di vita quotidiana e familiare, da parte di alcuni alunni, perché non utilizzati
od estranei alla loro cultura.
Alcuni dei concetti presentati presuppongono conoscenze ed esperienze precedenti che alcuni
alunni di cultura minoritaria di fatto non hanno avuto; reciprocamente, gli insegnanti spesso non
hanno alcuna idea di quali realmente siano le conoscenze e le esperienze di questi loro alunni. In
questo modo viene meno uno dei principi pedagogici di base, per cui nell’insegnamento si deve
tenere conto di ciò che è conosciuto, prima di introdurre ciò che non lo è.
3E.3.2 Educazione matematica ed Italiano L2
Il ruolo della lingua nella trasmissione di conoscenze è da tempo riconosciuto come fondamentale.
Per la matematica è stato anche qua evidenziato il delicato rapporto che esiste fra lingua naturale e
linguaggio matematico.
La delicatezza di questo rapporto diventa vera e propria fragilità e concausa, non secondaria, delle
grosse difficoltà che incontrano nelle scuole italiane (ma non solo) gli allievi che utilizzano la
lingua italiana come lingua seconda (L2). Una gran parte di questi alunni proviene infatti da Paesi
la cui lingua indigena appartiene alla categoria di quelle che abbiamo chiamato “lingue giovani”,
anche se giovani sono da considerarsi solo per la recente acquisizione di una terminologia
scientifico-matematica.
Le difficoltà degli alunni L2 nell’apprendimento delle discipline scientifiche, in generale, e della
matematica, in particolare, è di gran lunga superiore a quella incontrata, per gli stessi argomenti, dai
loro compagni per i quali l’italiano è la lingua naturale (L1). Se riflettiamo su come la matematica
sia già per molti allievi L1 una delle materie (se non la materia) in cui incontrano le maggiori
difficoltà di apprendimento, si capisce come la didattica della matematica in presenza di alunni L2
sia centrale nel dibattito sull’educazione interculturale.
Tali maggiori difficoltà sono ancora più marcate in alcune aree della matematica, in particolare
nella geometria, rispetto ad altre, quali l’aritmetica e l’algebra. Mentre infatti in aritmetica ed in
algebra le conoscenze e le abilità possono essere acquisite, soprattutto a livello elementare, tramite
l’attenta osservazione ed utilizzo di tecniche e pratiche di calcolo, in geometria una gran parte delle
attività richieste necessitano di riflessioni e procedimenti logico-deduttivi, a cui deve seguire la loro
esplicitazione, in forma scritta od orale.
Accade così che, mentre in ambito aritmetico-algebrico si possono presentare anche casi di alunni
L2 molto bravi (non solo il solito cinese, ma anche l’africano abituato a vivere in una realtà socioculturale in cui la memoria è stata per secoli l’unico mezzo per trasmettere conoscenze), in
geometria e nella risoluzione di problemi verbali è veramente raro trovare alunni che non incontrino
difficoltà.
Infatti gli alunni L2, per qualunque informazione che venga loro presentata, devono mettere in moto
una procedura che gli consenta di decodificare il messaggio, trasferendolo dalla lingua italiana alla
lingua propria e successivamente inquadrandolo nel linguaggio matematico di tale lingua; una volta
terminata questa prima fase, se ne ha una seconda che, passando attraverso l’analisi e la
elaborazione delle procedure matematiche richieste per la comprensione del messaggio, lo obbliga a
rappresentare mentalmente nella propria lingua tali procedure logiche ed a trasporle poi (spesso
tramite una rozza traduzione) nella lingua L2 veicolata nell’aula.
Una procedura troppo lunga e complessa perché tutto fili liscio. Procedura che è stata più volte
osservata e che sembra priva di alternative, almeno finché l’alunno non acquisisca una tale
familiarità con la lingua L2 da doversi considerare bilingue .
In attesa di questo l’insegnante di matematica dovrà attivare delle strategie che consentano
all’alunno L2 di padroneggiare in tempi rapidi, non solo la lingua L1, ma anche il linguaggio
matematico, che di essa è parte.
3E.3.3 L’approccio interculturale alla didattica della matematica
Se gli alunni si abituano a vedere e riconoscere le attività matematiche direttamente od
indirettamente riconoscibili, esplicitamente od implicitamente presenti in molti aspetti della vita
quotidiana, se gli insegnanti privilegiano un insegnamento della matematica che parta veramente da
situazioni e problemi della vita reale e che tenga conto delle culture presenti nella comunità
educativa (didattica in-contesto della matematica), ecco che le lezioni di matematica in situazioni di
multiculturalità diventano occasione di reciproco scambio di conoscenze (anche matematiche) fra
culture diverse: le differenti matematiche possono interagire liberamente, rese comprensibili ed
accettabili dalla universalità delle categorie su cui sono fondate.
Può facilmente accadere così che anche culture ritenute meno sviluppate offrano elementi originali
di conoscenza, sconosciuti a molti ed utili perfino allo sviluppo della matematica della cultura
maggioritaria, che è sostanzialmente coincidente con quella della scuola, la Matematica con la M
maiuscola: Matematica che, è bene non dimenticarlo, si è sviluppata sì nel bacino del Mediterraneo,
raccogliendo e valorizzando però, soprattutto fino al Medio-Evo, i contributi che via via erano stati
offerti dalle matematiche di Paesi lontani, con culture molto diverse.
L’acquisizione da parte degli insegnanti di matematica di alcune pratiche, tecniche ed attività
matematiche, caratteristiche di Paesi culturalmente diversi, è condizione essenziale per poter
costruire dei percorsi didattici veramente interculturali. L’importante è rendere fruibili ed accettabili
anche in contesti scolastici come quelli occidentali conoscenze lontane, la cui utilità potrebbe essere
individuata nel sollevare un interesse nella classe di natura essenzialmente e semplicemente
folkloristica. L’opposto di quanto si deve ricercare nell’ambito di una educazione interculturale!
Alcuni studiosi ritengono che elementi culturali di società diverse dovrebbero essere presi in
considerazione in modo assoluto, in quanto tali: i prodotti culturali, affermano alcuni, non devono
essere letti ed interpretati se non con gli occhi e la mente di chi alla cultura che li ha prodotti
appartiene.
A questa presa di posizione si oppongono quanti osservano che, nel momento in cui alunni di
culture diverse sono presenti in una stessa aula, le variabili culturali presenti devono essere messe in
gioco, cercando di creare un sano ed onesto dibattito e confronto su conoscenze diverse: ciò
significa che esse possono essere lette, interpretate e messe in rete anche in contesti culturali diversi
da quelli in cui sono state prodotte. Al limite, adattate alla nuova realtà sociale e storica.
Un esempio è dato dai disegni sona, che sono fatti sulla sabbia da racconta-storie della tradizione
popolare in alcune aree dell’Africa sub-sahariana e dell’Asia Centrale. Questi disegni sono stati
ampiamente studiati da Gerdes (1999), che ha messo in evidenza moltissimi concetti matematici che
entrano in gioco nel disegno di tali figure, realizzate tracciando alcune linee secondo determinate
regole. Il Massimo Comune Divisore è il concetto matematico più semplice associato a questi sona.
Recentemente (Favilli, Maffei e Venturi, 2002) sono stati anche creati dei software didattici che
consentono di disegnare questi sona e di calcolare il M.C.D. di due numeri naturali positivi: al di là
dell’aspetto tecnico, l’idea è quella di non lasciare questo tipo di contributi, scoperti oggi ma
presenti probabilmente da secoli nella tradizione di popolazioni lontane, in una sorta di limbo
espositivo (guardare ma non toccare!), ma di renderli realmente fruibili e didatticamente utili (per
tutti), anche ricorrendo a strumenti tecnologici che sembrano confliggere con la natura di tali
disegni, ma che sicuramente li fanno apprezzare…insieme alla cultura che li ha prodotti!
3E.3.4 I micro-progetti
La nozione di micro-progetto in didattica interculturale della matematica, a cui si fa riferimento, è
quella introdotta da Oliveras (1996).
Nella attuazione di un micro-progetto, l’insegnante osserva una certa attività (ad esempio,
artigianale), che sia caratteristica di una determinata cultura e che sia conosciuta anche al di fuori di
essa, ed individua tutte le fasi del suo sviluppo. Per ciascuna fase, l’insegnante arriva così ad
individuare i passaggi, le varie abilità, conoscenze e nozioni matematiche utilizzate dall’artigiano
per la realizzazione del prodotto artigianale. Tramite questa osservazione è sicuramente possibile
cogliere riferimenti ad altre discipline, anche di tipo non scientifico: in questo modo si hanno allora
buone opportunità per una programmazione didattica di tipo interdisciplinare!
A seguito di questo studio preliminare, l’insegnante propone a tutti gli alunni l’attività scelta,
chiedendo (ove possibile) di svolgerla essi stessi, sia pure in modo approssimativo, per imitazione,
dopo averla magari osservata ed analizzata anch’essi, tramite per esempio, una registrazione video.
Durante o dopo questa fase, a seconda del tipo di attività scelta e delle conoscenze matematiche ad
essa intrinseche, l’insegnante guida gli alunni ad una osservazione critica di ciò che stanno facendo
o hanno fatto, portandoli a scoprire che alcune cose sono state rese possibili dal ricorso ad alcune
idee e concetti di natura matematica.
Può accadere che alcuni di questi concetti già siano noti e che, quindi, gli alunni li ritrovino in un
contesto inaspettato; ma può anche accadere che alcuni passaggi dell’attività da svolgere o già
svolta siano possibili solo ricorrendo a conoscenze matematiche di cui gli alunni sono ancora privi:
di fronte ad un tale ostacolo, il confronto fra gli alunni stessi (tutti, che siano di cultura minoritaria o
maggioritaria) e la guida dell’insegnante renderanno possibile l’introduzione di nuovi concetti, in
modo naturale, come passaggio indispensabile per la soluzione di un problema concreto.
Con il ricorso ad una metodologia didattica basata sui micro-progetti, oltre che migliorare il
rendimento in matematica del ragazzo di cultura minoritaria, si intende anche
• favorire negli alunni la consapevolezza che la matematica è un prodotto culturale
• dotarli di esempi di attività matematica non scolastica e legata a culture non occidentali
• far acquisire loro un metodo di lavoro di tipo interculturale
• interessare e motivare l’intera classe
• valorizzare altre culture invitando allo scambio di conoscenze.
3E.3.5 Esempi di micro-progetti
Nella scelta dei micro-progetti, la cui elaborazione è avvenuta nell’ambito di un progetto europeo
SOCRATES/Comenius az. 3.1 di durata triennale (Favilli, César & Oliveras, 2002 e 2003) , si
prende spunto da alcune attività di tipo artigianale che siano significative e rappresentative di
culture di aree geografiche da cui è più forte l’immigrazione verso l’Italia ed il sud del’Europa.
Come punto di partenza è stato filmato l’intero processo di lavoro che consente ad artigiani
dell’area andina di costruire una zampoña (il flauto andino), ad artigiani dell’Africa sub-sahariana
di fabbricare un tessuto batik e ad artigiani del nord Africa di tessere un tappeto. Attraverso una
attenta lettura del filmato, per ciascuna di tali attività, sono state individuate le varie fasi di lavoro e
per ciascuna di queste fasi si è cercato di individuare le conoscenze e nozioni matematiche di cui gli
artigiani fanno uso, sia in maniera implicita che esplicita.
In aggiunta alle conoscenze e nozioni matematiche di cui gli artigiani fanno uso, si è cercato però di
individuarne altre, che potremmo genericamente indicare come la matematica che un ricercatore
può vedere in ed/od associare a tali fasi di attività.
Come è naturale, il complesso di conoscenze e nozioni matematiche, via via individuate nello
sviluppo del processo di lavorazione seguito dagli artigiani, sono difficilmente collocabili in
maniera consecutiva all’interno di un curriculum scolastico standard per una qualche classe; a volte
è opportuno che alcune nozioni vengano introdotte in tempi od addirittura in classi successive
rispetto ad altre nozioni utilizzate immediatamente prima o dopo dagli artigiani. Per questo motivo
le proposte didattiche progettate ed elaborate sono state presentate agli insegnanti in maniera aperta,
cioè non come un pacchetto rigidamente strutturato, con indicazioni prescrittive in termini di
itinerari didattici e modalità di fruizione.
Agli insegnanti-ricercatori, che hanno collaborano alla sperimentazione del progetto, è stato
comunque suggerito di far seguire alla visione in aula del filmato con la costruzione del manufatto
da parte dell’artigiano, la costruzione diretta in aula di tale oggetto da parte degli alunni,
singolarmente od a piccoli gruppi. Questa attività, apparentemente di natura completamente tecnica
ed imitativa di un processo seguito da altri, obbliga invece gli alunni ad alcune riflessioni, a volte
inaspettate, spesso di natura matematica. Queste riflessioni, collettive o individuali (ma sempre
condivise fra i componenti dei singoli gruppi), sono originate dalla necessità di affrontare e
risolvere piccoli problemi di natura pratica; possono però scaturire anche da considerazioni di tipo
astratto, che gli alunni stesso possono fare durante l’attività di costruzione.
Questa prima fase, dedicata alla costruzione dell’artefatto e prevista per ciascuna delle tre proposte
didattiche progettate ed elaborate, si presta ad essere portata avanti in maniera coordinata e
collaborativa da diversi insegnanti, non solo da quello di matematica. Infatti, ad esempio:
• l’insegnante di educazione tecnica deve fornire il necessario supporto alle attività di
costruzione, non solo dal punto di vista pratico ma anche fornendo opportune informazioni
sui materiali e gli attrezzi utilizzati;
• l’insegnante di geografia può fornire agli alunni molte informazioni relative alle
caratteristiche geo-fisiche dell’area in cui tali artefatti vengono prodotti;
• l’insegnante di storia può partecipare con notizie e considerazioni sui principali avvenimenti
che dai secoli passati fino ad oggi hanno interessato quell’area;
• l’insegnante di scienze umane può contribuire ad una migliore definizione del contesto
culturale di tale area dando informazioni sulle radici e caratteristiche principali della lingua
locale, sul suo uso e sviluppo, sulle modalità di trasmissione della cultura, sui principali
rappresentanti di tale cultura (scrittori, poeti, pittori, scienziati, etc.).
A seconda del microprogetto in fase di sperimentazione, è inoltre possibile coinvolgere nella sua
attuazione anche l’insegnante di educazione musicale e quello di scienze (per il flauto andino)
oppure l’insegnante di educazione artistica (per il tessuto batik e per il tappeto).
L’interdisciplinarietà è infatti una metodologia didattica da perseguire in maniera sistematica
nell’insegnamento della matematica, soprattutto a livello di scuola di base.
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Educazione Interculturale alla Tecnologia
Paolo Mascellani ([email protected])
9 settembre 2003
Capitolo 1
Introduzione
Parlare di approccio interculturale alla tecnologia è reso particolarmente difficile, ma,
proprio per questo, anche particolarmente necessario da vari fattori:
1. prima di tutto, lo sviluppo abnorme della tecnologia che oggi sperimentiamo è
un fatto molto recente nella storia e non del tutto ancora analizzato e, soprattutto,
compreso;
2. in secondo luogo, questo fenomeno è avvenuto nell’ambito di un ben preciso contesto culturale, quella che oggi chiamiamo la “cultura occidentale”, che, pur essendo
estremamente diversificato al suo interno, ha molti elementi di unitarietà;
3. infine, l’espansione, propiziata in gran parte proprio dalla tecnologia, dell’influenza
della cultura occidentale su tutte le altre, è stato in gran parte tutt’altro che un fenomeno di assimilazione quanto uno di imposizione e, almeno in una certa misura, di
violentamento.
Ci sono procedimenti mentali tipici, senza i quali la tecnologia odierna non avrebbe mai
potuto svilupparsi, come l’astrazione dai particolari non significativi e dall’ambiente, la
finalizzazione della ricerca a discapito della pura speculazione, l’oggettivizzazione della
realtà e la sua matematizzazione, che non sono per nulla scontati per la maggior parte degli
abitanti del nostro pianeta, i quali devono però lo stesso confrontarsi con automobili, aerei,
televisori, telefoni, calcolatori, ... Non credo che sia un caso che in Africa, ad esempio, si
trovino ottimi meccanici, ma si fatichi non poco con i tecnici elettronici ed informatici.
1.1 Cos’è la tecnologia
Non è facile dare una definizione univoca di “tecnologia”: è possibile indicare con questa
parola i processi e le conoscenze che portano a produrre industrialmente dei beni a partire da materie prime o semilavorate o, piú in generale, da “componenti”, individuando in
3
CAPITOLO 1. INTRODUZIONE
4
questo modo un insieme di “tecnologie”, anche molto diverse tra loro, piú che una singola
entità; cos’hanno in comune un’automobile con un calcolatore elettronico o un televisore
con l’ascensore di casa? Eppure, pur nella loro diversità, è chiaramente riconoscibile in
tutte le “tecnologie” un carattere unico, un insieme di principi portanti o, se si preferisce,
di chiavi di lettura, che rendono possibile, di fatto, di parlare della “tecnologia” e, addirittura, di collocarla ai primissimi posti, se non al primo, tra i caratteri distintivi della civiltà
moderna.
Pur essendo strettamente legato allo sviluppo delle scienze ed alla loro matematizzazione,
il fenomeno tecnologico è chiaramente distinto da queste discipline, che, in sè, sono volte
a capire il mondo, ma non a trasformarlo (esiste però un importante fenomeno di “ritorno”,
per il quale certe scoperte scientifiche sono possibili solo in presenza di una tecnologia
“abilitante”; pensiamo ad esempio alla misura della velocità della luce, uno dei principali
problemi che ha portato alla formulazione della teoria della relatività, ma che, per essere
affrontato, ha richiesto la presenza di una raffinata tecnologia meccanica e ottica).
Possiamo allora dire che la tecnologia, nel senso che interessa in queste note, è essenzialmente caratterizzata dalla presenza di un “progetto”, cioè da:
1. un obiettivo concreto, cioè la necessità, o comunque l’opportunità, di realizzare un
oggetto che abbia determinate caratteristiche;
2. un insieme di conoscenze;
3. un insieme di componenti;
4. la capacità di comporre conoscenze e componenti disponibili al fine di raggiungere
l’obiettivo.
Educare alla tecnologia, quindi, significa essenzialmente educare a comprendere il progetto che ha permesso di produrre gli oggetti che utilizziamo tutti i giorni, al fine di saperlo
utilizzare in modo appropriato, di capirne il pregi e ed i limiti, cosí come i pericoli insiti
nella loro utilizzazione, ma anche le potenzialità, ad esempio in congiunzione con altri
oggetti.
1.2 Dipendenza dal contesto culturale
Se la tecnologia, in senso generale, è espressione di tutto il genere umano (ed anche, in
certi casi, di altri animali), è però evidente che il mondo cosiddetto “occidentale” ha spinto
questa attitudine ai suoi massimi livelli (e, secondo alcuni, anche oltre un livello compatibile con l’ecosistema e la stessa sopravvivenza dell’umanità). In questo contesto, le
CAPITOLO 1. INTRODUZIONE
5
persone che vi appartengono utilizzano oggetti “tecnologici” senza quasi rendersene conto, come fossero oggetti naturalmente presenti e, soprattutto, senza nulla sapere proprio
del progetto che è in qualche modo contenuto in essi.
Molto diversa, invece, è l’esperienza di chi è nato in un villaggio africano o, comunque,
in una delle tante aree “povere”, anche tecnologicamente, del mondo, che, molto probabilmente, non solo non ha avuto a disposizione negli anni dell’infanzia la gran quantità di
diavolerie elettroniche dei suoi coetanei europei o nordamericani, ma, spesso, neppure la
luce elettrica. Vero è che anche nei paesi poveri si stanno diffondendo oggetti prodotti con
tecnologie sofisticate, ma questi sono normalmente a disposizione solo di alcune elite e,
comunque, quando anche si tratti di una semplice radio portatile, largamente conosciuta
anche dai piú poveri, di oggetti estranei alla cultura, dal funzionamento misterioso se non
magico.
Anche restringendo l’attenzione alle aree del mondo tecnologicamente piú sviluppate, il
rapidissimo progredire della tecnologia, come fenomeno d’insieme, pone problemi non
indifferenti: i ragazzi di oggi fanno veramente fatica ad immaginare come si possa vivere
senza televisione o telefono portatile o calcolatore elettronico, eppure vivono a fianco a
persone che alla loro stessa età non conoscevano alcuno di questi oggetti; d’altra parte,
queste ultime sono spesso refrattarie all’utilizzazione di questi oggetti, che cambiano (non
sempre in meglio) abitudini e stili di vita consolidati e necessitano di una grande capacità
di adattamento nonostante il loro scopo dichiarato sia quello di adattarsi alla vita delle
persone al fine semplificarla.
Se quindi, come abbiamo detto, educare alla tecnologia vuole dire rendere esplicito il
progetto, in un contesto interculturale questo si traduce anche, sia nel caso di persone
immigrate da un altro posto o da un altro tempo, sia in quello di persone naturalmente
immerse nel mondo tecnologico, nel saper leggere il cammino percorso, anche in modo
critico, ma con grande apertura mentale e dai piú diversi punti di vista.
È facile essere d’accordo sul fatto che, non solo nel passato, ma anche nel presente, vi sono
elementi di conoscenza, anche di natura scientifica, che sono propri, peculiari, di determinate
popolazioni in aree diverse del nostro pianeta. Conoscenze che appartengono aduna determinata
cultura e che sembrano perdere di interesse scientifico se da essa estrapolate, perché magari
facilmente sostituibili con altre a noi più familiari o per noi più avanzate. Ma conoscenze anche che,
sviluppate in un determinato contesto geografico e culturale lontano da quello occidentale, si
rivelano di grande utilità per la sviluppo della scienza tutta.
Alla prima categoria di conoscenze di natura scientifica possiamo far risalire, ad esempio, i vari ed
interessanti modi di studiare ed interpretare il sistema solare, con la posizione reciproca delle stelle
e dei pianeti e lo scorrere delle stagioni: studi astronomici che ciascuna cultura ha sviluppato in
maniera autonoma alla ricerca di un modo di comprendere il mondo celeste che consenta di meglio
affrontare gli accadimenti e le pratiche del vivere quotidiano.
Alla stessa prima categoria appartengono i numerosissimi differenti modi di contare e misurare che
ciascuna popolazione ha creato e sviluppato, per la sola ma importante esigenza di affrontare e
risolvere problemi di natura pratica che si presentano nell’ordinario svolgersi della vita all’interno
di una determinata società.
Nella seconda categoria di conoscenze scientifiche, che esplicitamente hanno contribuito e tuttora
contribuiscono allo sviluppo della scienza tutta, possiamo sicuramente includere quelle collegate
alla medicina tradizionale, ma anche a quella ufficiale (si pensi alle conoscenze acquisite in alcuni
Paesi africani nell’ambito della lotta contro la malaria).
A questa stessa categoria appartengono, ad esempio, le conoscenze di tipo naturalistico favorite
dalla presenza solo in alcune aree geografiche di alcune specie di piante ed animali: piante ed
animali che le popolazioni indigene conoscono molto bene, al di là della loro capacità di
collocare queste conoscenze all’interno degli schemi che consentirebbero di classificarli. Lo
stesso si può dire per la geologia: la differente struttura della terra e le risorse che la terra offre
all’uomo sono stata e sono proficuamente osservate e studiate in zone lontane del nostro pianeta,
anche in modo autonomo, da esperti locali, ricorrendo spesso all’esperienza ed alle conoscenze
acquisite dalla tradizione della cultura del luogo.
Torna al paragrafo 3E.1.2
La parola etnomatematica è stata introdotta dal matematico brasiliano Ubiratan D’Ambrosio (1985)
per rappresentare la matematica che è praticata all’interno di gruppi culturali identificabili, quali
società nazional-tribali, gruppi di lavoratori, ragazzi di una certa fascia di età, classi professionali e
così via…Il termine è divenuto subito il punto di riferimento per molti ricercatori, alcuni dei quali
erano interessati ad argomenti non completamente riferibili alla didattica della matematica, ma
anche alla storia della matematica, all’antropologia ed all’etnologia. Questi studiosi sono mossi da
motivazioni diverse: principalmente dalla volontà di contribuire a salvare le culture locali o
dall’esigenza di dover affrontare il compito educativo di insegnare a) in presenza di minoranze o di
situazioni multiculturali o b) in Paesi in via di sviluppo. Il significato stesso di matematica ed il suo
ruolo nella storia sono presto diventati oggetto di acceso dibattito. Anche in conseguenza di questo
dibattito, che ha interessato un gran numero di studiosi, il termine etnomatematica è stato da molti
discusso ed ad esso sono stati attribuiti molteplici significati. In un certo senso potremmo addirittura
dire che esso non è ancora ben definito: lo stesso D’Ambrosio (1995-1996) ha ritenuto infatti di
dover ritornare su questo termine, completandone ed ampliandone il significato per arrivare a
rappresentare la etnomatematica come le arti o tecniche sviluppate da differenti culture per spiegare,
comprendere, affrontare il loro ambiente.
I percorsi di studio e ricerca che sono stati individuati dai ricercatori nell’ambito del programma
etnomatematico sono numerosi: una loro attenta analisi, anche in forma critica riguardo alla loro
attuabilità, è stata fatta da Vithal e Skovmose (1997). Fra questi filoni di ricerca essi indicano:
• quello storico, a cui si possono collegare gli studi di Joseph (1992), per la contestazione
della lettura eurocentrica della storia della matematica;
• quello etno-antropologico, a cui si possono collegare gli studi di Ascher M. & R. (1980) e
Zaslavsky (1975);
• quello attento ai gruppi di persone in situazioni reali specifiche e professionali (si veda, ad
es., Nunes, Schliemann & Carraher, 1993);
• quello didattico-curricolare, a cui è possibile collegare non solo le proposte di Gerdes
(1988), ma anche il lavoro di Griffiths e Howson (1974).
Quest’ultimo filone di ricerca si fonda su e necessita dei primi tre ed contribuisce anche a studiare
le relazioni fra la matematica dei contesti quotidiani e quella del sistema scolastico formale.
Occorre però vedere se e come una prospettiva etnomatematica possa essere efficacemente
utilizzata in ambito scolastico (Favilli, 2000 e 2003) ed è quindi necessario porsi alcune domande:
• quali aspetti della realtà devono essere osservati?
• la realtà di chi, degli adulti o dei bambini?
• e che dire degli insegnanti che non condividono il retroterra culturale dei loro allievi?
• portare i contesti culturali nei curricula riconcilia o esaspera le differenze ed i conflitti
culturali?
• è un elemento positivo in vista di una corretta integrazione di culture o negativo?
• fino a che livello di istruzione questo adattamento dei curricula, delle pratiche e metodologie
didattiche in aula per la matematica è possibile?
Le opportunità di raccogliere, da tutti questi studi (e da altri quali, ad esempio, quelli in
Frankenstein e Powell (1998) ed Oliveras, (1996), le idee utili per una didattica della matematica in
contesti multiculturali sono numerose ed eccezionali. Nel fare ciò occorre però tenere presente che
la specifica situazione della scuola italiana e quella di alcuni altri Paesi europei, richiede ulteriori
momenti di riflessione.
In particolare occorre osservare che:
• nelle classi gli alunni immigrati, quando ci sono, sono ancora poche unità e spesso
rappresentano culture profondamente diverse fra loro e da quella del resto della classe;
• alcuni di essi iniziano il loro percorso scolastico nel Paese di immigrazione, altri lo hanno
già iniziato nel Paese di origine;
•
la stragrande maggioranza di essi non parla la lingua locale e non sono previste, a volte,
lezioni specifiche per farla acquisire;
• l’organizzazione scolastica ed i curricula dei Paesi da cui provengono gli alunni, già
parzialmente secolarizzati, sono spesso molto diversi, fra loro e da quelli locali;
• la loro emigrazione è stata spesso causata da guerre civili, repressioni, carestie, indigenze;
la condizione socio-economico e familiare di molti di questi alunni è quasi sempre tremendamente
grave: per essi la scuola può essere anche e soprattutto il luogo dove possono avere un pasto e
stare al caldo.
Torna al paragrafo 3E.2.1
Nel linguaggio matematico si fa uso di un sottocodice linguistico, costituito sia da parole
assolutamente nuove che di parole già esistenti nella lingua naturale, ma utilizzate con un
significato diverso.
Soffermiamoci su alcune di queste ultime, per mostrare come, a volte, il diverso significato possa
creare difficoltà nella comprensione dei concetti matematici interessati, il significato comune
influisce sull’apprendimento del nuovo.
•
angolo: nella lingua comune può essere usato per indicare una parte di una stanza o di un
ambiente esterno - in matematica è la regione di piano individuata da due semirette. Cosa si
deve immaginare allora quando si parla di angolo piatto?
•
simile: viene usato nel linguaggio matematico con due accezioni diverse, a seconda che il
contesto sia geometrico (figure simili) od algebrico (monomi simili), nessuna delle quali
corrisponde al significato che ad esso viene dato nella lingua naturale!
•
frazione:nella lingua comune è la parte di un tutto, di un qualcosa considerato nella sua
interezza – nel linguaggio matematico è una scrittura del tipo m/n, dove m ed n sono interi,
con n diverso da zero. Nella pratica scolastica, gli alunni sono portati allora a considerare la
frazione come un numero non superiore all’unità: se 4/5 è una frazione, che ne è di 5/4?
•
rapporto: nella sua accezione comune è inteso come il legame fra due persone o cose o una
relazione di un qualche tipo – in matematica è il quoziente fra due grandezze, siano esse
omogenee oppure no.
Un altro punto delicato è rappresentato dalla equivoca attribuzione di significato che, nell’uso
comune del linguaggio matematico, si ha per alcuni termini.
Solo per dare un esempio, cos’è un’altezza in un triangolo? Una semiretta (con origine in un vertice
e perpendicolare al lato opposto), un segmento (che ha per estremi quel vertice ed il punto
d’intersezione della precedente semiretta con il lato opposto al vertice) od un numero (la lunghezza
di questo segmento)? Molto spesso, nella stessa lezione, l’insegnante usa il termine altezza con i tre
significati (profondamente) diversi, anche per semplificare il discorso: ovviamente, se ci riferiamo
al linguaggio matematico formale (quasi un pleonasmo…), uno solo è corretto: cosa succede nella
testa degli allievi? Quale concetto avranno di tale termine?
Torna al paragrafo 3E.2.2
Proviamo a leggere alcune tipiche frasi di un testo o di un discorso matematico:
Dati un punto ed una retta, esiste una ed una sola retta passante per il punto e parallela alla retta.
oppure
Una funzione si dice surgettiva se ogni elemento del suo condominio è immagine di almeno un
elemento del suo dominio.
oppure ancora
Nella moltiplicazione, cambiando l’ordine dei fattori il prodotto non cambia.
o
Se un triangolo è rettangolo allora la somma dei quadrati costruiti sui cateti è equivalente al
quadrato costruito sull’ipotenusa.
Innanzitutto, come si può vedere, queste frasi appaiono come delle scudisciate, affermazioni
asciutte, perentorie, che vogliono rappresentare un assioma, una definizione, una proprietà ed un
teorema. Già, ma come fare a capire di quale di questi situazioni si tratta? Anche ammettendo di
conoscere il significato delle singole parole utilizzate, come riusciamo a comprendere il significato
della frase? Dobbiamo già essere inseriti in un discorso che, probabilmente, è iniziato da tempo,
forse addirittura alcuni anni prima che noi ascoltassimo o leggessimo queste frasi.
Questa è una delle peculiarità del linguaggio matematico: niente è autoesplicante, è sempre
necessario conoscere qualcosa che è stato detto in precedenza per poter comprendere il messaggio.
Ma ritorniamo alle parole evidenziate in neretto: esse sono tipiche del discorso matematico, hanno
un loro significato preciso che va ben al di là della loro apparente semplicità nel linguaggio
naturale.
Dati significa in qualunque modo si considerino.
Esiste una ed una sola non è una espressione pleonastica, perché in matematica una vuol dire
almeno una (quindi non è assolutamente detto di per sé che sia una sola).
Passante: il participio presente è molto frequente nel discorso matematico, anche nell’uso della
lingua naturale si cerca di essere sintetici!
Si dice: e perché non dire è detta o, meglio, è chiamata?
Ogni: costituisce uno dei capisaldi della logica matematica, è uno dei quantificatori (l’altro è esiste
almeno un).
Cambiando: vedi quanto detto sopra per passante.
Se…allora: costituisce la struttura logica fondamentale per la matematica, quella del teorema!!!
Costruiti: non si costruisce niente, si disegnano i quadrati che hanno per lati i cateti, se ne calcola le
aree, si sommano queste ultime e poi si va a confrontare il risultato numerico ottenuto con quello
che rappresenta l’area del quadrato costruito sull’ipotenusa: in un triangolo rettangolo i due numeri
sono uguali, se non lo è i due numeri sono diversi (anche se molti insegnanti si dimenticano di dirlo
agli alunni, anche quando ne fanno ampio uso).
Torna al paragrafo 3E.2.2
Il codice simbolico, di cui si fa un grande uso in matematica (ma qualcosa di molto simile accade
anche in chimica), sembra rispondere a tre esigenze fondamentali:
• precisione
• concisione
• universalità.
Esso viene utilizzato, con opportune regole di natura logica, tramite la combinazione di opportuni
simboli e segni ed ha due funzioni specifiche:
• funzione di designazione
• funzione di localizzazione.
Rispetto alla prima funzione, secondo Laborde (1995):
Si assegna ad un oggetto matematico una designazione quale un nome proprio che è
sufficiente menzionare quando se ne vuole parlare: A, B, C,…,P per un punto, a, x,…, n per
un numero, ecc. Queste designazioni possono essere complesse, cioè il risultato di una
raccolta di designazioni semplici mediante regole precise: f(x), (AB) che nei manuali
francesi indica la retta definita dai punti A e B.
Rispetto alla seconda funzione, Laborde aggiunge:
Le designazioni composte esercitano la funzione supplementare di localizzare gli oggetti
rispetto ad altri oggetti matematici: la designazione (AB) non ha come sola funzione di
designare una retta, ma esprime il fatto che questa retta contiene i punti A e B.
Si potrebbe aggiungere che, implicitamente, tale designazione richiama anche l’assioma della
geometria euclidea secondo cui per due punti passa una ed una sola retta!
Il rischio insito nell’utilizzo di un linguaggio di tipo simbolico è costituito dalla possibile perdita di
controllo delle proprietà e delle caratteristiche degli enti, dei concetti o delle procedure logiche che
da tali simboli sono rappresentati. Il lavoro di traduzione ed interpretazione dei simboli deve essere
quindi costante, ancorché a volte difficile e faticoso. Infatti molto spesso è più facile vedere le
situazioni matematiche che descriverle: la definizione di un concetto è qualcosa di molto più
complesso dell’immagine di un concetto (Tall eVinner, 1981). Quando veniamo richiesti di dare la
definizione di un concetto dobbiamo ricorrere ad una mediazione fra l’immagine che ne abbiamo, le
nostre capacità espressive ed il ricordo della definizione di tale concetto, come ci è stata presentata
(in un libro o da un insegnante). La nostra immagine di un determinato concetto a sua volta si viene
formando non solo tramite l’ascolto ed il ricordo della sua definizione, quale abbiamo ascoltato la
prima volta, ma anche dalle successive esperienze, che, a seconda delle circostanze, possono anche
portare alla costruzione di misconcetti: accade spesso quindi che le immagini stesse siano errate,
che rappresentino un concetto diverso.
Rispetto all’attività di traduzione, interpretazione o decodifica del linguaggio scientifico, De Mauro
(1984) afferma che:
La traduzione da una ‘forma di concettualizzazione’ a un’altra, cioè da un linguaggio
scientifico a un altro o da uno dei due al parlare comune e viceversa, appare collegabile al
grado di riducibilità interna di ciascun campo concettuale.
Quanto più un campo del sapere
è fondato su assiomi (è assiomatizzato),
è fatto di teoremi fondati su tali assiomi (è teoricamente coerente),
consente di prevedere per vie analitiche, di calcolo, se sono vere o false certe asserzioni
circa le materie di cui il campo si occupa,
tanto più quel campo è internamente riducibile. E quanto maggiore è la sua riducibilità
interna, la sua hardness, tanto più difficile è rendere le sue frasi in un campo di sapere meno
riducibile.
Torna al paragrafo 3E.2.2
Gawned (1990) ha proposto un modello socio-psico-linguistico per l’origine di un qualsiasi
linguaggio, compreso quello matematico, affermando che:
ha le sue radici nelle prime esperienze proprie del bambino nel mondo. Il modo in cui la gente comunica con i
bambini, specialmente la lingua che usa, aiuta l’organizzazione delle percezioni e delle esperienze concrete del
bambino. La lingua aiuta a dare forma a queste esperienze interne (mentali) ed esterne. Ad esse vengono
attribuiti dei nomi e delle descrizioni. Il loro uso inizia a collocarsi all’interno di modelli prevedibili. I bambini
sviluppano schemi per eventi quotidiani o che avvengono con regolarità sui quali un nuovo linguaggio trova
quindi collocazione. Allo stesso tempo, le percezioni e le esperienze proprie del bambino servono da stimolo
per lui per iniziare una interazione e per comunicare con quelli intorno a lui. (p.31)
Ecco allora che anche all’interno della classe la lingua svolge un ruolo formativo per gli allievi e la
loro comprensione, nello specifico, della matematica. Ogni classe ha una sua propria cultura, i suoi
propri modelli linguistici, controllati da regole esplicite ed implicite, a cui tutti contribuiscono,
anche se gli insegnanti mantengono comunque la guida.
Ma, necessariamente, occorre guardare allora all’esterno della classe, ai luoghi in cui le culture
rappresentate nella classe si formano, così come suggerisce ad esempio Corson (1985):
Un curriculum scolastico è una selezione di conoscenze tratte dalla cultura: tutte quelle cose che nella cultura è
ritenuto vantaggioso che siano trasmesse tramite la scuola. Poiché tutte le forme di conoscenza sono ‘filtrate’
dalla lingua, l’elemento chiave di conoscenza in qualsiasi cultura è la sua lingua. L’obiettivo principale della
scuola è di incoraggiare la completa padronanza della lingua della cultura, perché senza tale padronanza ai
ragazzi viene negato il potere e l’influenza sulle loro proprie attività ed una opportunità di successo nel campo
dell’educazione. (pp. 1-2)
Torna al paragrafo 3E.2.2
Parlando di comunicazione nelle aule di matematica, possiamo individuare sostanzialmente questi
punti:
• il discorso dell’aula
• la lingua e la valutazione
• la struttura semantica
• la scrittura
Quanto la comunicazione e l’abilità di porre problemi siano importanti in ambito scientifico fu
sottolineato in maniera chiara già da Einstein e Infeld (1938), che scrissero:
La formulazione di un problema è spesso più essenziale della sua soluzione, che può essere
semplicemente una questione di abilità matematiche o sperimentali. Il porre nuove
questioni, l’aggiungere nuove possibilità, il vedere vecchie questioni da una nuova
angolazione, richiedono immaginazione creativa e segnano il reale avanzamento nella
scienza (p. 92)
Gli studiosi di didattica della matematica hanno riconosciuto questo molto più tardi…
Recentemente, lo stesso Bruner (1996) ha affermato che l’arte di inquadrare questioni impegnative
è tanto importante e difficile quanto quella di dare risposte chiare e che l’arte di coltivare tali
questioni, di mantenere vive buone questioni, è altrettanto importante.
Torna al paragrafo 3E.2.2
All’interno dell’aula di matematica vi sono essenzialmente due forme di linguaggio: il discorso
finalizzato a trasmettere un messaggio ed il discorso finalizzato a raggiungere e soddisfare
l’ascoltatore. Il primo tipo di discorso può svilupparsi anche secondo canoni non formali, attento
com’è a rendere efficace la comunicazione. Il secondo si snoda lungo percorsi e costrutti
standardizzati, canonici, rigorosi ed è molto spesso usato dagli insegnanti di matematica: questo
linguaggio è però altrettanto spesso gradito ed utilizzato dagli allievi, che ricorrono ad esso sia per
rispetto di una sorta di contratto didattico con l’insegnante che per mascherare all’interno di esso la
frequente inconsistenza del messaggio che vogliono trasmettere. In un certo senso, il ragionamento
è questo: all’insegnante piace utilizzare questo linguaggio, vuole che (in qualche modo) dica le cose
così come le ha dette lui …ed io lo faccio, anche se non capisco del tutto il messaggio che sto
trasmettendo. E d’altra parte l’utilizzo dell’altro tipo di linguaggio, quello finalizzato a trasmettere
un messaggio, presuppone la conoscenza e la comprensione di ciò che si vuole trasmettere.
Torna al paragrafo 3E.2.2
Per la valutazione delle conoscenze matematiche degli alunni si ricorre quasi sempre, in forma più o
meno estesa, alle prove scritte in cui vengono posti agli alunni alcuni problemi ed esercizi. Alla
ovvia domanda “Perché gli allievi danno risposte corrette ed errate nelle prove scritte?”, Newman
(1977) ha cercato di rispondere suggerendo di esaminare il percorso che viene fatto dagli allievi di
fronte ad un problema carta-e-penna. Secondo Newman questo percorso è una vera e propria
procedura che passa attraverso (nell’ordine):
• lettura (o decodifica) del problema;
• comprensione di ciò che è stato letto;
• trasformazione (o matematizzazione): passaggio dalle parole del problema alla scelta di una
strategia matematica appropriata;
• abilità nel processo, da applicare in quanto richieste dalla strategia scelta;
• codifica della risposta in una forma scritta accettabile, per l’insegnante.
Una qualunque mancanza in uno qualsiasi di questi passaggi inficia l’intera procedura e porta
pertanto ad una risposta errata. Vari studi sulla procedura di Newman hanno mostrato che la
stragrande maggioranza degli errori fatti dagli allievi avvengono al secondo e terzo livello:
comprensione e matematizzazione del problema.
Ciò sembra suggerire allora due cose:
• l’insegnante deve porre la maggiore attenzione possibile nella proposizione (scrittura) del
problema,
• l’allievo deve esercitarsi (o deve essere abituato) a trasferire i messaggi verbali in messaggi
concettuali, da associarsi a conoscenze e concetti di natura strettamente matematica.
Nel caso di classi multilingue questi due punti assumono allora un ruolo cruciale, di cui l’insegnante
non può non tenere conto.
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La struttura semantica gioca un ruolo determinante nella comprensione dei problemi di matematica
di tipo verbale, sia in ambito algebrico che in quello geometrico: problemi che non siano cioè del
tipo “calcolare…” o “risolvere…”, in cui invece la conoscenza e l’abilità nell’utilizzo di particolari
tecniche od algoritmi hanno spesso un’influenza determinante nella correttezza delle risposte.
Proviamo a confrontare infatti questi due classici esempi in cui si fa uso della stessa espressione in
più:
“Francesco, per il suo compleanno, ha già ricevuto 20 euro dalla mamma; la nonna gliene
regala 25 in più. Quanto denaro ha Francesco?”
“Francesco ha 4,50 euro e vuole andare a vedere una partita di calcio, il cui biglietto
d’ingresso costa 10 euro. Di quanto denaro in più ha bisogno Francesco?“
L’espressione in più verrà associata dagli alunni all’operazione di addizione nel primo problema,
ma, nel diverso contesto del secondo problema, la stessa espressione verrà collegata alla sottrazione.
Un altro esempio, in cui la struttura del discorso gioca un ruolo cruciale nella correttezza o meno
della risposta data dagli alunni, è dato da quest’altro tipico problema:
“Giovanna è di 21 giorni più anziana della sua compagna di scuola Carla. Se il compleanno
di Giovanna è il 30 marzo, quand’è il compleanno di Carla?”
Vari studi hanno dimostrato che, in matematica, è proprio la struttura semantica del discorso che
influisce sull’apprendimento e sulla stessa partecipazione al discorso di classe; più di altre variabili
linguistiche, quale il vocabolario. Se questo accade con gli alunni che parlano la stessa lingua madre
utilizzata dall'insegnante, non è difficile immaginare che cosa possa accadere per gli alunni per i
quali tale lingua è invece la lingua seconda.
E infatti, nell’ambito delle ricerche focalizzate sull’insegnamento della matematica in contesti
scolastici in cui sono rappresentate differenti strutture linguistiche, viene segnalato che proprio la
specificità culturale di alcuni elementi della struttura semantica, quali i termini comparativi “più di”
e ‘meno di”, è la causa primaria dei differenti risultati ottenuti dagli alunni.
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In molte discipline scientifiche lo scrivere su un determinato argomento è un’attività che non
sempre viene svolta con le stesse modalità e procedure. Il contesto in cui si opera, le finalità ed i
destinatari dello scritto sono elementi che condizionano lo studioso o l’insegnante. Fra questi
contesti possiamo sicuramente includere:
• la relazione per una conferenza
• la proposizione di un problema
• la scrittura di un articolo o di un libro
• il monitoraggio dell’apprendimento da parte degli alunni
• le relazioni di progetti di ricerca.
In ciascuno di questi contesti lo studioso o l’insegnante ricorrono a tecniche di comunicazione ed
esposizione diverse, per meglio andare incontro alle esigenze ed alle aspettative dei lettori.
Le cose, da un certo punto di vista, funzionano se vi è omogeneità di conoscenze e background
culturale fra chi scrive e chi legge. Ma cosa accade se questa non è la situazione?
Cosa accade se, ad esempio in un contesto scolastico, chi legge (lo studente) è in una situazione di
netto svantaggio rispetto a chi scrive (l’insegnante o l’autore del libro di testo)?
Chi scrive, oltre ad essere depositario di tutte le conoscenze necessarie per farlo, sa già anche
perché lo fa, sa dove vuole arrivare. L’alunno che legge non solo si appresta a leggere cose
assolutamente nuove, ma spesso non ha ancora consolidate le conoscenze precedentemente proposte
e soprattutto, molto spesso, non viene posto nelle condizioni di sapere perché gli si stanno per
proporre informazioni, idee e concetti aggiuntivi.
Cosa accade se il registro linguistico utilizzato dall’autore del libro di testo è diverso da quello
utilizzato dall’insegnante? Cosa accade se il modo di porre i problemi da parte dell’autore del libro
è diverso da quello a cui ricorre l’insegnante nella pratica scolastica? L’autore del libro scrive un
esercizio e pone un problema per una classe qualsiasi, anonima, culturalmente neutra, ideale e
quindi inesistente… L’insegnante, avendo una conoscenza diretta dei suo alunni, cerca di modulare
la sua scrittura in accordo al linguaggio utilizzato nel discorso di classe, in questo modo rispettando
un contratto didattico con i suoi alunni. Il fatto però è che qualunque persona, e quindi anche
l’insegnante, quando scrive tende a nobilitare il suo linguaggio rispetto a quello usato nel dialogo
all’interno dell’ambiente in cui si trova e questo per soggetti deboli (gli alunni ed in particolare gli
alunni L2) può essere causa di ulteriori difficoltà.
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La scelta di nuovi lemmi da inserire nel vocabolario di una determinata lingua è una attività molto
delicata, data la probabile irreversibilità della scelta, ed è frutto di valutazioni diverse nonché di
compromessi culturali, giustificati dalla necessità di raggiungere il risultato voluto, pagando il
minor prezzo (culturale) possibile.
Nel caso dell’adeguamento di una lingua giovane alle esigenze dettate dalla realtà esterna o di
quella interna che si è modificata radicalmente, il compito deve essere veramente impegnativo e
può portare a scelte che, magari nel tempo, possono rivelarsi non felici; questo è il caso soprattutto
della terminologia scientifica e di quella matematica in particolare.
Nella terminologia scientifica, comunque, eventuali errate valutazioni nella scelta di un nuovo
termine hanno un impatto i cui effetti negativi sulla comprensione dell’oggetto, concetto od idea
che si vogliono rappresentare sono di solito diminuiti dalla possibilità, per chi tale termine si trova
ad ascoltare prima ed a utilizzare poi, di fare riferimento a qualcosa di concreto, che appartiene alla
vita reale, se non nella società in cui vive, in altre di cui ha però conoscenza tramite i mezzi di
comunicazione sempre più diffusi nei vari angoli della terra.
La stessa cosa non si può dire, purtroppo, per la terminologia matematica. Scelte infelici sono
raramente compensabili con il ricorso all’esperienza quotidiana: perché nessuno ha mai visto un
triangolo, un perimetro, un’altezza, una retta, un punto, un numero intero, una frazione, un
polinomio, ecc. Ma nessuno ha mai visto neppure un cubo o una sfera: se qualcosa è capitato di
incontrare sono modellizzazioni di queste figure solide.
I termini utilizzati nel linguaggio matematico sono rappresentazioni verbali di concetti, di
astrazioni; le stesse figure piane sono una rappresentazione grafica, questa volta, di concetti figurali,
di immagini mentali che ci veniamo a creare nel tentativo di idealizzare entità astratte, intangibili, di
cui ci sono state indicate alcune proprietà.
Ecco allora che i termini (le figure) devono corrispondere a queste immagini, a queste entità, a
queste proprietà; la scelta non accorta di un termine (di una figura) può causare confusione nel
lettore, in colui che ascolta per apprendere. Può essere origine di fraintendimenti o, peggio, di
misconcetti difficilmente rimovibili.
A volte, ad esempio, per introdurre dei termini corrispondenti ad alcune figure piane si è ricorsi ad
oggetti conosciuti nella cultura la cui lingua doveva essere arricchita; oggetti concreti e, in quanto
tali, solidi e dunque tridimensionali! Oppure, per rappresentare, ad esempio, il cubo (figura solida)
si è ricorsi alla circumlocuzione esponente tre, volendo cioè indicare quel solido il cui volume si
ottiene calcolando la potenza che ha per base la lunghezza del suo spigolo e per esponente tre! Con
il risultato che gli allievi sono portati ad identificare un ente geometrico (il cubo) con un ente
algebrico (la potenza), che ne rappresenta la misura ma che non è il cubo. E c’è anche chi, di fronte
ad un modello di cubo, in cartone, essendo invitato a provare a dare una definizione di cubo, si
trova a rispondere: un cubo è come x3.
Torna al paragrafo 3E.2.3
L’attività del contare ha contribuito allo sviluppo, ad esempio, di questi concetti:
numeri, modelli di numeri, relazioni numeriche, sistemi numerici, rappresentazioni algebriche,
infinitamente grande ed infinitamente piccolo, eventi, probabilità, frequenze, metodi numerici,
iterazione, combinatoria, limiti.
Torna al paragrafo 3E.2.4
L’attività del misurare ha contribuito allo sviluppo, ad esempio, di questi concetti:
confrontare, ordinare, lunghezza, area, volume, tempo, temperatura, peso, sistemi metrici
convenzionali e standard, strumenti di misura, stima, approssimazione, errore.
Torna al paragrafo 3E.2.4
L’attività del localizzare ha contribuito allo sviluppo, ad esempio, di questi concetti:
posizione, orientamento, coordinate (ortogonali, polari e sferiche), latitudine e longitudine, angolo,
retta, rete, cambio di posizione, luoghi geometrici, cambio di orientamento, rotazione, riflessione.
Torna al paragrafo 3E.2.4
L’attività del disegnare ha contribuito allo sviluppo, ad esempio, di questi concetti:
proprietà degli oggetti, forma, modello, disegno, forme geometriche (figure e solidi), similitudine,
congruenza, rapporti.
Torna al paragrafo 3E.2.4
L’attività del giocare ha contribuito allo sviluppo, ad esempio, di questi concetti:
puzzles, paradossi, modelli, giochi, regole, procedure, strategie, previsione, interrogazione,
opportunità, ragionamento ipotetico, analisi dei giochi.
Torna al paragrafo 3E.2.4
L’attività dello spiegare ha contribuito allo sviluppo, ad esempio, di questi concetti:
classificazioni, convenzioni, generalizzazioni, spiegazioni linguistiche (argomentazioni, connessioni
logiche, dimostrazione), spiegazioni simboliche (equazioni, formule, algoritmi, funzioni),
spiegazioni figurali (diagrammi, grafi, grafici, matrici), strutture matematiche (assiomi, teoremi,
analisi, coerenza), modelli matematici (presupposti, analogie, generalizzabilità, previsione).
Torna al paragrafo 3E.2.4
Per moltissimi anni la matematica è stata considerata una conoscenza value-free
I docenti di matematica che lavorano in situazioni di interfaccia culturali si possono però accorgere
facilmente quanto i differenti valori attribuiti da parte dei loro alunni alla matematica influiscano
sull’apprendimento.
D’altra parte, se non c’è una esplicita attenzione ai valori, si ha solo una pratica matematica e non
una vera educazione matematica.
Un’educazione matematica dovrebbe rendere espliciti quindi i valori che la regolano, per sviluppare
la consapevolezza e la capacità di scelta dell’allievo, anche perché la presenza crescente dei
computer possono indebolire le argomentazioni a favore di una semplice pratica matematica.
Facendo riferimento alle tre categorie che sono state indicate da White (1959) come componenti di
ogni cultura, Bishop (1988) arriva ad individuare, per il mondo occidentale, coppie antitetiche di
valori attribuibili alla matematica:
Le categorie di componenti di ogni singola cultura indicate da White sono:
• la componente ideologica: credenze, simbolismi, filosofie;
• la componente sociologica: usanze, istituzioni, regole e modelli di comportamento
interpersonale;
• la componente sentimentale: atteggiamenti, sentimenti, comportamenti.
Queste tre componenti di valori della cultura hanno ciascuna una coppia di valori complementari
associati alla matematica:
• alla componente sentimentale si possono associare a) il potere della matematica nella
società, dovuto alle possibilità di controllo che essa offre, al senso di sicurezza che tramite
essa si ottiene e b) il progresso;
• alla componente ideologica si possono associare a) il razionalismo (la logica, il
razionalismo e la ragione hanno sempre garantito la preminenza della matematica nelle
culture occidentali) e b) l’oggettivismo (oggettivizzare le astrazioni della realtà, i simboli
matematici vengono trattati come oggetti);
• alla componente sociologica (le relazioni fra la gente e la conoscenza matematica) si
possono associare a) l’apertura (tutti possono verificare tutto) e b) il mistero (l’astrazione
da un contesto reale porta ad una conoscenza decontestualizzata, che è priva di senso).
In realtà White individua una quarta componente della cultura,
− la componente tecnologica: costruzione ed uso di strumenti (in matematica, simboli,
formule, linguaggio, ecc.).
che viene giudicata la più importante, in quanto ad essa attribuisce il ruolo di sintesi rispetto alle
altre tre, fra loro correlate, ma che dalla quarta traggono forma e contenuti.
Tutto questo, ovviamente, può essere accettato come una struttura plausibile per la cultura e la
matematica occidentale: probabilmente in altre culture ci sono valori differenti. Così come esistono
sicuramente simbolismi differenti.
Torna al paragrafo 3E.3.1
L’analisi delle risposte ad un questionario sottoposto agli insegnanti di matematica di un centinaio
di alunni di cultura minoritaria, presenti nelle scuole elementari e medie della Provincia di Pisa, ha
fornito alcune interessanti indicazioni rispetto alle difficoltà incontrate da tali alunni (Favilli e
Tintori, 2002).
Si riportano qui di seguito due tabelle che, almeno a livello locale, possono essere ritenute
significative, tenuto conto del fatto che sono rappresentative di circa il 20% della popolazione
scolastica con quelle caratteristiche.
Materia in cui il ragazzo straniero incontra le principali difficoltà di apprendimento:
ELEMENTARI
MEDIE
ITALIANO
42%
21%
MATEMATICA
32%
42%
STORIA
11%
16%
GEOMETRIA
14%
58%
ENTRAMBE
29%
38%
L’alunno straniero ha maggiori difficoltà in
ELEMENTARI
MEDIE
ARITMETICA
42%
4%
Sono interessanti anche i commenti fatti da alcuni insegnanti, in occasione di successive interviste;
riportiamo qui sotto alcuni di questi commenti, raggruppati secondo la causa della difficoltà
nell’apprendimento della matematica da parte dell’alunno L2, indicata dal suo insegnante:
•
•
•
•
•
•
difficoltà legate alle poche conoscenze in materia o alle scarse preconoscenze del ragazzo
straniero:
“Loro geometria non sanno nemmeno cosa vuol dire”,
“quando mi sono venuti quei bimbi, mi sembra che entrarono in seconda media, non
avevano fatto praticamente niente, un livello terza o quarta elementare, non di più”
difficoltà dovute al linguaggio che si evidenziano sia nella scarsa comprensione del ragazzo
sia in una più specifico inadeguato utilizzo del linguaggio nell’ambito della matematica:
“Questi ragazzi hanno difficoltà , intanto, nella lingua, per cui il linguaggio un pochino
anche disinvolto del parlare dell’insegnante…i ragazzi cosa apprendono di questo
linguaggio?…Credo pochissimo”,
“Le difficoltà maggiori, secondo me, vengono a matematica, ma per problemi di linguaggio,
cioè la matematica richiede una conoscenza della lingua per la quale non basta, diciamo
capire il significato dal contesto…perché uno deve essere in grado di analizzare i
quantificatori, capire…”
Torna al paragrafo 3E.3.2
Esprimere concetti ed idee matematiche è un compito molto più delicato della definizione stessa di
tali concetti. Occorre infatti esprimere in un linguaggio corretto (anche dal punto di vista
linguistico) e rigoroso (soprattutto dal punto di vista matematico) cose che spesso si intuiscono e si
vedono solo nella mente; raramente è disponibile una loro rappresentazione reale.
L’utilizzo della lingua L2 rende a volte troppo arduo il compito per gli alunni di cultura minoritaria.
L’insegnante di matematica deve quindi porre in essere alcune strategie didattiche che consentano a
questi alunni di acquisire il complesso di conoscenze che costituisce il linguaggio scientificomatematico, nel mentre che progrediscono nella loro appropriazione della lingua italiana.
Il ricorso alla elaborazione ed alla implementazione di micro-progetti, moduli didattici compositi di
natura interdisciplinare che si fondano sullo studio di attività caratteristiche di una determinata
cultura, costituisce la principale di queste strategie: lavorando in piccoli gruppi, culturalmente
differenziati, gli alunni L1 potranno beneficiare, per il loro progresso linguistico, sia della presenza
di compagni L1 che della circostanza di potersi liberamente esprimere in lingua italiana, senza la
soggezione che deriva loro dalla consapevolezza di essere ascoltati dall’insegnante.
Un’altra attività, che si è rivelata (oltre che divertente) utile per progredire nell’appropriazione
specifica del linguaggio della geometria in contesti di multiculturalità, consiste nel formare nella
classe coppie di alunni uno dei quali deve fare disegnare all’altro una determinata figura
geometrica, di cui non viene rivelata la natura né ovviamente il nome; le regole del gioco prevedono
che il primo alunno dia una serie di successive istruzioni, a ciascuna delle quali corrisponda
un’attività grafica da parte dell’altro; il disegno nel suo sviluppo non deve essere visibile
all’istruttore se non quando lui stesso ritiene di non avere ulteriori istruzioni da dare. Il primo
alunno, che dà le istruzioni, deve essere il più possibile preciso nella scelta sia dei termini della
lingua italiana che di quelli tratti dal linguaggio matematico. L’esercitazione si conclude con
l’esposizione della figura disegnata dal secondo alunno: ogni coppia che è stata capace di arrivare al
disegno corretto della figura scelta viene considerata vincitrice del gioco.
Un tale tipo di attività richiede da parte degli alunni L2 (ma non solo da essi!) una capacità di
sintesi e di chiarezza nell’esposizione delle proprie idee, una conoscenza delle proprietà che
caratterizzano la figura scelta ed una sufficiente conoscenza della lingua italiana e del linguaggio
matematico; l’alternare quindi, periodicamente in lezioni diverse, l’alunno L2 nei due ruoli, lo
costringe ad acquisire una sempre maggiore capacità di espressione e di comprensione in ambito
matematico.
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Le conoscenze e nozioni matematiche utilizzate dagli artigiani nelle varie fasi della costruzione del
loro prodotto sono state da loro apprese o da artigiani più anziani ed esperti o direttamente tramite
la loro esperienza di lavoro: quasi mai tali conoscenze e nozioni sono state apprese in un contesto
scolastico. Infatti molto spesso tali artigiani non hanno avuto la possibilità di frequentare la scuola
o, se lo hanno fatto, solo le classi iniziali.
Eppure questi artigiani, nella pratica del loro lavoro, dimostrano di possedere abilità matematiche
sorprendenti, ancorché non di tipo scolastico. Capita così di incontrare artigiani capaci di fare
misure senza ricorrere al metro, di costruire oggetti di forma quadrata senza l’uso della squadra, di
tracciare archi di circonferenza senza il compasso, di eseguire operazioni di calcolo senza ricorrere
agli algoritmi scolastici ma neppure alle calcolatrici, etc.
Sono conoscenze di cui anche molti studiosi di matematica ignorano l’esistenza, ma che provano
come le attività matematiche anche di piccoli gruppi professionali abbiano una loro dignità ed
originalità; tali attività, di fatto bandite dalle aule scolastiche, dimostrano invece quanto ricco sia il
complesso di conoscenze matematiche di cui spesso si ignora addirittura l’esistenza.
Una delle finalità dell’introduzione dell’etnomatematica e dell’utilizzo dei micro-progetti in ambito
didattico è appunto quella di far emergere queste conoscenze e, mettendole a disposizione della
classe, farne oggetto di riflessione e di discussione, per poterne così fruire nella vita comune
(probabilmente con maggiore profitto rispetto all’uso delle conoscenze comunemente trasmesse
nella scuola).
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La trasmissione di concetti matematici non dovrebbe mai apparire fine a se stessa, bensì scaturire
dalla esigenza di risolvere problemi della vita reale, in accordo con l’essenza stessa della
matematica. Lo stesso Galileo Galilei, nel “Saggiatore”, diceva: Chi non la [la matematica] conosce
non può leggere il grandissimo libro dell’universo.
Troppo spesso invece la matematica viene introdotta in maniera astratta e se anche si cerca,
occasionalmente di collegarla con la realtà, lo si fa a posteriori a modo di esempio di utilizzo di un
qualcosa che già esiste di per sé; anche nei problemi, in cui più spesso si ricorre a contesti reali, di
fatto le situazioni proposte sono non raramente fittizie.
A questo proposito Nunes et al.(1993), lamentano che
Scarsa attenzione è prestata nei libri di testo di matematica al collegamento della matematica con
la situazione del problema e le fasi iniziali dell’insegnamento hanno a che fare principalmente
dimostrazioni formali. Le dimostrazioni formali sono seguite da esercizi in applicazione della
procedura. Nell’applicazione è presupposto che quella procedura appena appresa è appropriata;
pertanto gli studenti non si concentrano su una discussione di quali connessioni ci potrebbero
essere tra I modelli matematici e le situazioni empiriche.
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Il microprogetto elaborato e sperimentato in Italia è quello che prende a riferimento la costruzione
della zampoña o flauto andino, strumento a fiato di solito costituito da due serie di sette e sei canne
fra loro affiancate. In questo modo, alternando fra il primo ed il secondo ordine di canne, si hanno
due scale musicali successive con un solo do centrale. La zampoña appartiene alla tradizione delle
popolazioni che oggi abitano l’Ecuador, il Peru, la Bolivia, il Cile ed era uno strumento già
utilizzato fin dall’epoca degli Incas.
Il microprogetto si basa sulla registrazione video della costruzione di una zampoña da parte di un
artigiano di Cuzco, in Peru, Il microprogetto si articola in tre fasi:
1. introduzione e costruzione (alla scoperta della zampoña!)
2. analisi qualitativa (conosciamola meglio!)
3. analisi quantitativa (costruiamone una più grande/più piccola!).
Per la fase 1 – introduzione e costruzione, rimandiamo alle foto qui sotto (estratte dal filmato),
tramite le quali si cerca di far capire alcuni dei passaggi più interessanti della procedura seguita
dall’artigiano nella sua costruzione.
Dall’esame della video-registrazione e dalla costruzione diretta della zampoña emergono – fase 2 analisi qualitativa – numerosi riferimenti a concetti matematici che sono utilizzati, anche
inconsapevolmente, dall’artigiano o che possono essere associati alle varie fasi della sua attività da
parte di un ricercatore. Indichiamo alcuni di questi concetti ed attività matematiche, già in parte
individuabili dalle foro stesse.
relazione – funzione – successione – ordinare – classificare – misurare – media, moda e mediana –
cilindro – cerchio – rapporto fra grandezze – proporzionalità.
Per quanto si riferisce alla fase 3 - analisi quantitativa, un ruolo determinante è giocato dalle
nozioni di rapporto fra grandezze e proporzionalità e su questo vogliamo soffermarci più a lungo, a
titolo di esempio delle potenzialità offerte da questo micro-progetto..
Nella costruzione della zampoña, gli alunni hanno a disposizione due tabelle di dati che
corrispondono alle misure, effettuate dall’artigiano al termine della sua costruzione, della lunghezza
e del diametro di ciascuna delle (due serie di) canne da lui tagliate ed utilizzate per costruire lo
strumento musicale.
In effetti l’artigiano misura la lunghezza delle canne da tagliare tramite un listello di legno, di
lunghezza e larghezza rapportata alla dimensione della zampoña che vuole costruire; su questo
listello vi sono delle tacche, corrispondenti alle varie note. Questo modo di misurare, che ricorre ad
una sorta di scala graduata costruita in base alla sola esperienza, è esso stesso motivo di riflessione e
di commento in aula, per le implicite conoscenze ed attività matematiche messe in gioco
dall’artigiano! Infatti, le misure sono state da lui fatte utilizzando un metro.solo al termine della
costruzione e su esplicita richiesta del ricercatore. Sul confronto fra la matematica utilizzata fuori e
dentro la scuola e sulle differenti abilità matematiche di lavoratori illiterati e studenti si può vedere
il lavoro di Nunes et al. (1993).
La costruzione della zampoña costituisce quindi uno spunto concreto per trattare il concetto di
rapporto. In particolare l’insegnante può porre l’attenzione sulla proprietà fondamentale del
rapporto (moltiplicando entrambi i membri per uno stesso numero non nullo il rapporto non
cambia). Avere riconosciuto l’esistenza di un rapporto fra le due classi di grandezze (le canne delle
due zampoñas) permette infatti di ricavare, a partire dalle grandezze della prima classe, tutte le
grandezze della seconda e viceversa.
E che dire della ricchezza di collegamenti alle altre discipline possibili a partire dalla zampoña?
Se solo ci si vuole limitare all’ambito delle scienze sperimentali, è chiara la possibilità di parlare
• delle canne di bambù e dei terreni e climi in cui esse meglio crescono, dei loro habitat,
• delle caratteristiche morfologiche e climatiche della regione andina,
• della flora e della fauna caratteristica di quei luoghi,
• del Rio delle Amazzoni che dalle Ande sorge e della immensa regione amazzonica;
• dell’effetto che questa regione ha sul clima del continente sud-americano e dell’intero
pianeta terrestre, etc.
Ancora, per quanto riguarda la fisica, sia pure non nel dettaglio, si possono introdurre
• le leggi che regolano l’emissione e la propagazione dei suoni (in particolare tramite un tubo
chiuso),
• le nozioni di lunghezza d’onda e di frequenza.
Per quanto riguarda le scienze dell’uomo si può spiegare
• la funzionalità dell’orecchio, ma anche
• la fisiologia dell’apparato respiratorio.
Si può così fare facilmente capire, anche con dei semplici esempi di tipo matematico, che possiamo
pure costruire una zampoña di dimensioni grandi quanto vogliamo, ma non è detto che sia poi
possibile utilizzarla, facendole emettere i suoni voluti:la nostra capacità polmonare è un vincolo di
cui occorre tenere conto!
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Conclusa la fase 1, gli allievi hanno a disposizione ciascuno una zampoña a 6 canne od una a 7
canne (od eventualmente un’unica zampoña con entrambi gli ordini). È possibile allora, facendo
riferimento direttamente a questi strumenti, svolgere in classe un’attività che permetta di suscitare
autonomamente negli allievi la consapevolezza di cos’è una funzione, cosa si intende per grandezze
indipendenti e dipendenti, quali aspetti contraddistinguono funzioni invertibili e non invertibili .
Si può suddividere la classe in gruppi di due alunni ciascuno, proponendo loro di fare, all’interno di
ciascuna coppia, alcuni semplici “indovinelli”. Ogni ragazzo ha a disposizione la zampoña
costruita, a cui riferirsi.
Indichiamo ora alcune possibili semplici considerazioni collegate al concetto di funzione e, per
ognuna di esse, la relativa attività da proporre agli studenti:
a) Facendo riferimento alla zampoña costituita da due serie di canne, si può notare che, scelta una
nota musicale, si possono verificare due situazioni diverse: ad alcune note corrisponde una sola
canna, ad altre note corrispondono due canne. La corrispondenza
nota musicale → canna della zampoña
non è una funzione; è bene precisare che in realtà le note che sono presenti in due ordini diversi di
canne, come il La, sono diverse perché appartenenti a due ottave diverse, cioè hanno due suoni
diversi: quindi, in effetti, la corrispondenza che si stabilisce è
nome della nota musicale → canna della zampoña.
L’attività proposta agli alunni potrebbe quindi essere questa: un ragazzo sceglie una nota musicale
(pensando alla canna da cui è prodotta) e l’altro indica quale canna la produce (poiché la zampoña a
cui gli allievi si riferiscono è formata da due serie di canne, è possibile che non ci sia accordo fra la
canna pensata dal primo studente e quella indicata dal secondo: infatti alcune note sono
rappresentate da due delle tredici canne di cui si compone lo strumento).
b) Facendo riferimento sia alla zampoña a due ordini che a quelle ad un unico ordine, si nota che,
scelta una determinata canna, ad essa corrisponde una sola nota musicale. La corrispondenza
canna del flauto → nota musicale
è un esempio di funzione (o corrispondenza univoca).
L’attività proposta agli alunni potrebbe quindi essere questa: un ragazzo sceglie una canna
(pensando ad una determinata nota) e l’altro dice la nota prodotta da tale canna (in questo caso c’è
sempre accordo fra la nota pensata da uno studente e quella detta dall’altro, se corretta);
c) Considerando una delle zampoñas costituite da un’unica serie, è possibile osservare che la
corrispondenza
nota musicale → canna dello strumento
non solo è una funzione ma è anche una funzione invertibile (o corrispondenza biunivoca).
L’attività proposta agli alunni potrebbe quindi essere questa: si ripetono gli indovinelli proposti
nelle due attività precedenti utilizzando le zampoñas ad una sola serie di canne e si osserva
l’univocità della risposta in entrambi i casi.
d) È possibile trovare altre corrispondenze, di vario tipo, che si riferiscono ancora agli strumenti
costruiti:
canna della zampoña → diametro della canna, come esempio di funzione
canna della zampoña → lunghezza della canna, come esempio di funzione invertibile
lunghezza della canna → diametro, come esempio di corrispondenza univoca, nel caso in
cui le canne abbiano tutte lo stesso diametro o più in generale ce ne siano almeno due con lo
stesso diametro, e come esempio di funzione biunivoca, se i diametri delle diverse canne
sono tutti differenti (come accade per i dati forniti per il flauto a 7 canne).
Attività analoghe a quelle descritte nei punti precedenti possono essere proposte agli alunni, in
relazione a queste nuove funzioni: ad esempio, il primo ragazzo può dare una lunghezza ed il
compagno può indicare allora in modo univoco la canna di quella lunghezza, e viceversa. Si può
procedere in maniera simile richiamando altri legami fra i vari elementi che caratterizzano lo
strumento.
Questo tipo di attività ha, evidentemente, delle grosse potenzialità anche dal punto di vista
dell’acquisire padronanza della lingua, in quanto gli alunni sono in continua relazione fra loro e
sono costretti a fare ipotesi e proposte ad i loro compagni, fare domande e dare risposte, discutere la
correttezza o meno delle proposte avanzate dagli altri. Tutto questo mentre iniziano ad acquisire,
prima, ed approfondire poi nozioni e concetti di tipo matematico.
Per gli alunni L2 questo tipo di attività risulterà un poco più difficile, proprio per le loro carenze
linguistiche, ma, proprio per la necessità di comunicare e mettersi in competizione con i compagni,
ne saranno i maggiori beneficiari dal punto di vista linguistico.
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Le problematiche connesse alla introduzione da parte degli insegnanti ed all’acquisizione da parte
degli allievi delle nozioni di rapporto fra grandezze e di proporzionalità sono state oggetto di
numerosi studi e ricerche, per la intrinseca difficoltà di tali concetti, di solito presentati ad alunni di
12-13 anni, durante il loro settimo anno di scuola. Dopo gli studi di Piaget e dei suoi collaboratori
(1968) sulla proporzionalità, che lasciavano intendere che, una volta gli alunni avessero avuto
chiaro il concetto di funzione lineare, essi sarebbero stati capaci di risolvere problemi di
proporzionalità indipendentemente dalla particolare problem situation, gli studi di Vergnaud (1983)
hanno suggerito invece che, per la comprensione del concetto di proporzionalità, la natura della
problem situation gioca un ruolo importante.
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