1 Scheda tratta da Giovanni Battista Moroni. Il Cavaliere in nero. L

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1 Scheda tratta da Giovanni Battista Moroni. Il Cavaliere in nero. L
Scheda tratta da Giovanni Battista Moroni. Il Cavaliere in nero. L’immagine del gentiluomo nel
Cinquecento, catalogo della mostra tenutasi al museo Poldi Pezzoli di Milano nel 2005-2006,
Milano 2005, pp. 78-82, cat. 1.
Giovanni Battista Moroni
(Albino, Bergamo, 1520/24 circa - 1579)
Il Cavaliere in nero, 1567 circa
Olio su tela, 190 x 101,5 cm
Iscrizioni: firmato in basso a sinistra “JO(HANNES) BAPTISTA / MORONUS P(INXIT)” Milano, Museo
Poldi Pezzoli, legato testamentario di Annibale Scotti Casanova, 2004, inv. 5240
Provenienza: collezione Secco Suardo, Bergamo (?); Caterina Terzi Secco Suardo, Bergamo, alla
fine del Settecento; Barbara Secco Suardo Mosconi, Bergamo (?); Giovanni Mosconi, Bergamo;
collezione dei conti Moroni, Bergamo, dal 1845, per legato testamentario; acquistato da Luciano
Scotti, Giulia Scotti Casanova e Annibale Scotti, Milano, nel 1952; Giulia Scotti Casanova e
Annibale Scotti, Milano, dal 1958; Annibale Scotti Casanova, Roma, dal 19621. Restauri: un
intervento non documentato, in cui la tela di supporto è stata foderata e rintelata, è stato éseguito
probabilmente nell’Ottocento. L’opera è stata restaurata nel 2004-2005 da Luisa Gusmeroli presso
l’Opificio delle Pietre Dure e Laboratori di Restauro di Firenze2.
Esposizioni: “Esposizione provinciale bergamasca”, Palazzo delle Scuole ai Tre Passi, Bergamo
1870; “Esposizione d’Arte Antica”, Palazzo delle Scuole al Tre Passi, Bergamo 1875; “Exhibition
of Italian Art 1200-1900”, Royal Academy of Arts, Londra 1930; “Kunstschätze der Lombardei 500
vor Christus - 1800 nach Christus”, Kunsthaus, Zurigo 1948-1949; “I pittori della realtà in
Lombardia”, Palazzo Reale, Milano 1953.
Rappresentato a grandezza naturale, il gentiluomo raffigurato nel quadro si staglia contro tino
sfondo grigio, caratterizzato soltanto da alcuni semplici elementi architettonici: la cornice superiore
di una zoccolatura, che divide orizzontalmente in due la scena, e le basi e le parti inferiori di due
grandi lesene che poggiano su di essa. L’elegantissimo abito scuro indossato dal personaggio, da cui
trae origine il titolo con cui l’opera è conosciuta da oltre un secolo, è dipinto con straordinaria
finezza, in particolare nelle pieghe del panneggio e nei delicati passaggi di luce e ombra che ne
animano e quasi fanno palpitare la superficie. Il bianchissimo orlo arricciato del colletto e dei
polsini della camicia — la cosiddetta lattuga —‘ crea un forte contrasto tonale con il colore nero del
vestito. Il volto, incorniciato dalla barba e raffigurato di tre quarti, è colpito in pieno dalla luce che
spiove da sinistra, mentre gli occhi sono puntati con intensità verso lo spettatore; l’incarnato è molto
chiaro, leggermente arrossato in corrispondenza dell’orecchio, delle guance e del naso. La mano
destra afferra un lembo della corta mantellina ornata con tre strisce di velluto, mentre la sinistra
stringe l’impugnatura della spada appesa alla cintura3. La pelle delle mani è bianchissima, quasi
1
Per un resoconto dettagliato delle vicende collezionistiche dell’opera si rimanda al relativo saggio, a cura di chi scrive,
in Giovanni Battista Moroni. Il Cavaliere in nero. L’immagine del gentiluomo nel Cinquecento, catalogo della mostra di
Milano, Milano 2005, pp. 17-23.
2
Per le vicende conservative, le analisi tecniche e l’ultimo intervento eseguito sul dipinto si veda la sezione sul restauro
dell’opera, a cura dell’Opificio delle Pietre Dure e Laboratori di Restauro di Firenze, ibid., pp. 119-134.
3
Si tratta propriamente di una spada cosiddetta “da lato”, in cui si possono distinguere alcuni elementi del fornimento,
privo di guardia e decorato fittamente a diamanti: in particolare sono riconoscibili il pomo di forma sferica, uno dei due
bracci e i due anelli. La decorazione diamantata e la struttura del fornimento della spada trovano riscontri molto precisi
nella Spada da lato di produzione milanese, databile verso il 1560-1365 circa, conservata al Museo Poldi Pezzoli (inv.
2575), e nella spada da cavallo raffigurata nel Ritratto di gentiluomo di Bartolomeo Passerotti del Museo Bardini di
Firenze, datato 1579; cfr. Boccia, Coelho 1973, p. 382, cat. 465-467; Boccia, Godoy 1986, pp. 433, cat. 595, 552, tav.
1
trasparente, e lascia intravedere al di sotto le vene azzurre. L’identità del personaggio, che mostra
un’età apparente di circa trent’anni, è destinata, almeno per ora, a rimanere sconosciuta4.
Unanime è sempre stato il riconoscimento dell’altissima qualità del dipinto in esame, fin dalle sue
prime citazioni nella letteratura critica, che ne ha sottolineato in particolare gli squisiti esiti
coloristici e tonali, ottenuti con una tavolozza assai semplice e limitata, e lo straordinario grado di
aderenza al vero. Giuseppe Beltramelli, nelle sue postille alle Vite de’ pittori scultori e architetti
bergamaschi di Francesco Maria Tassi, redatte alla fine del Settecento, lo menziona fra i ritratti di
Moroni che il Tassì aveva omesso di segnalare, affermando che “è degno di essere conosciuto
singolarmente”5. Nella prima metà del XIX secolo, quando si trovava presso Giovanni Mosconi, il
dipinto viene descritIo in termini lusinghieri da illustri collezionisti e conoscitori bergamascbi: nel
1824 Girolamo Marenzi lo definisce “un ben conservato ritratto di G. B. Moroni”6 nel 1833 è
l’unico fra i dipinti della collezione Mosconi a meritare una menzione specifica di Pietro Moronì,
che lo dichiara “un ritratto di figura intiera 4el Moroni della di lui più bella maniera”7. Nel 1854
Charles Eastlake, cbe lo vede presso la collezione dei conti Moroni di Bergamo — dove era
pervenuto nel 1845, per legato testamentario di Giovanni Mosconi —‘ ne redige un commento forse
un po’ frettoloso e non del tutto positivo, ma cbe denuncia il suo interesse per l’opera: dopo aver
descritto il Cavaliere in rosa e l’Isotta Brembati, a proposito del ritratto in esame scrive: “Another,
man, partly in armour. Too black for him”8. Di notevole interesse sono le considerazioni espresse
sul dipinto da Bernard Berenson, che in una lettera a Isabella Srewart Gardner del 12 maggio 1895,
in cui illustra alla sua corrispondente le opere d’arte più significative che si possono ammirare a
Bergamo, afferma: “The finest Moroni in the world belongs to Conte Moroni. He has other pictures
as well [...] Having seen the latter collection tell me whether in your opinion there is a more
distinguished, and more refined, as well as more genial portrait in the world than Moroni’s Man in
Black. You will see it was not by any means Whistler who invented tone”9. Si tratta, a mia
conoscenza, della prima menzione del Cavaliere in nero con il soprannome che lo ha reso celebre.
Elia Fornoni (1847-1925), nelle sue note manoscritte sui Pittori bergamaschi conservate presso
l’Archivio della Curia di Bergamo, afferma che il “Il Cavalier Nero nel Palazzo Moroni, in figura
intera è un vero capolavoro”10. Anche Achille Locateli Milesi, negli anni venti del Novecento,
sottolinea la straordinaria qualità dell’opera e il raffinato trattamento tonale del colore che si può
ammirare in essa: “Altro insigne capolavoro di G.B. Moroni, del periodo medio della sua attività
artistica, esiste presso i conti Moroni, ed è il ritratto di gentiluomo in abito nero e cappa nera, dal
viso fine e meditativo, la cui nobile figura stacca su un fondo grigio. In quest’opera possiamo
constatare a quale grado di sensibilità e di sicurezza giungesse la visione del maestro, e quanto
potesse, nell’estrema semplicità, la sua facoltà rappresentativa. I rapporti di tono delle carni pallide,
628; si veda inoltre la scheda di Domenico Collura in Giovanni Battista Moroni. Il Cavaliere in nero. L’immagine del
gentiluomo nel Cinquecento, catalogo della mostra di Milano, Milano 2005, pp. 112-113 cat. 8.
4
Si veda il saggio sulla provenienza dell’opera (qui citato alla nota 1), alla nota 59, per la proposta, avanzata, è bene
sottolinearlo, con molta cautela, di identificare il Cavaliere in nero con un membro della famiglia Secco Suardo, forse
Socino, figlio di Marc’Antonio e nipote del Pietro I raffigurato da Moroni nel dipinto conservato agli Uffizi.
5
G. Beltramelli [1797-1814 circa], in F. M. Tassi, Vite de’ pittori, scultori e architetti bergamaschi [1793], ed.
anastatica a cura di F. Mazzini, Milano 1969-1970, Il, 1970, p. 180. Per l’identificazione del ritratto citato da
Beltramelli con il Cavaliere in nero si veda il saggio sulla provenienza del dipinto citato alla nota1.
6
Guida di Bergamo 1824 del conte Girolamo Marenzi, trascrizione e indici di C. Solza, ricerca iconografica e
coordinamento di F. Buonincontri e C. Rodeschini Galati, Bergamo1985, pp. 125-126.
7
[P. Moroni], Della pittura in Bergamo (Aggiunta all’Almanacco Bergamo del 1833), in “Bergamo o sia notizie Patrie,
raccolte da Carlo Facchinetti, Almanacco per l’anno 1833”, XIX, 1833, p. 13.
8
C. Eastlake, Note-books, Ms., 1852-1864, Londra, Archivio della National Gallery, 1954, 2, c. 1r.
9
The Letters of Bernard Berenson and Isabella Stewart Gardner 1887-1924 with Correspondence by Mary Berenson,
edited and annotated by R. van N. Hadley, Boston 1987, p. 41. Pochi mesi dopo aver ricevuto questa lettera di
Berenson, e aver contemplato il Cavaliere in nero presso i conti Moroni, Isabella Stewart Gardner riuscì ad acquistare il
Ritratto di cavaliere dell’albinese tuttora conservato a Boston, nel museo fondato dalla collezionista, un ritratto a figura
intera che ricorda molto da vicino – nella posa del personaggio, nell’abbigliamento e nell’ambientazione – il dipinto in
esame.
10
E. Fornoni, Pittori bergamaschi, VI, ms. s. d., Bergamo, Curia vescovile, Ufficio Beni culturali.
2
delle biancherie, delle vesti nere e del fondo in penombra sono di una verità assoluta e di una
delicatezza veramente straordinaria”11. Adolfo Venturi nel 1929 rileva nel dipinto “lo studio del
pittore di dar un’azione libera al personaggio, quasi da lui sorpreso” e afferma che “per la
semplicità del motivo pittorico, è tra le opere più significative del maestro, in quella signorile
armonia di stoffe nero argentare e di pietra bigia col rosa luminoso del pavimento”12. Gertrud
Lendorff nel 1939 afferma che “il Cavaliere in Nero [...] mostra poi l’indole della vita e le forme di
tipo spagnolo, nella loro più alta significazione. Relativamente alla rappresentazione dello spazio,
l’illusione della profondità in quest’ultimo quadro è completa anche senza la parete laterale: i piedi
posti fra loro ad angolo retto, l’ombra della figura, che cade sulla parete, gli orli del mantello, la
gorgiera e l’ala del cappello sono più che sufficienti per renderci evidenti gli sviluppi spaziali della
figura e della scena del quadro. Il contorno della persona è ancora fissato con rapidi scorci, ma essi
sono interrotti da piccole e capricciose mosse dell’abito: la penna nel cappello, il Lembo del
mantello a sinistra, tolgono la continuità nel sistema delle oblique. La pelle e la stoffa sono ora
completamente morbide e pittoriche [...] La riproduzione del vero è magistrale, ad esempio sono
indimenticabili le mani solcate dalle vene azzurre e accuratamente trattate. Anche l’armonia fra la
rappresentazione psichica e l’idea del quadro è ora trovata: l’uomo nel suo riserbo di cavaliere non
opprime più l’osservatore, perché non si presenta più con altezzosità. Egli trova l’equilibrio interno
ed esterno nella forma di vita consciamente scelta, nel suo sussiego spagnolo [...] nel Cavaliere in
nero lo scorcio è un aspetto prescelto liberamente e consciamente, sia rispetto al pittore sia rispetto
a tutto l’ambiente; è quella parte rappresentativa che il personaggio preferisce nel mondo reale”13.
Antonio Morassi, nella Relazione sul dipinto da lui redatta nel 1952, scrive: “Il dipinto, modulato in
tonalità grigia e nera (con soltanto pochi tocchi di rosei incarnati e di bianchi) potrebbe intitolarsi,
alla maniera whistleriana, ‘sinfonia in grigio e nero’: esso è di una descrizione cromatica assoluta;
un esempio di ciò che si può raggiungere con una raffinata sensibilità ‘tonale’, come era quella del
Moroni. Dal grigio cenere al nero, le graduazioni sono infinite: e in certe zone hanno la morbida
luminosità della seta, in altre la profonda intensità dell’ombra più cupa. Ma in nessun punto il nero
manca della sua funzione cromatica. Esso non significa ‘assenza di colore e di luce’, bensì ‘colore’
nero. E la varietà dei grigi è squisita laddove essi si trasmutano in argentei, come nei chiari delle
lesene; e laddove i passaggi tenuissimi si congiungono ai rosati, come dal parapetto al pavimento
[...] Si tratta pertanto di un’opera insigne, che rappresenta una delle più alte realizzazioni
ritrattistiche del Moroni; e, in sostanza, si tratta di uno degli esemplari più significativi della
ritrattistica italiana dell’alto Rinascimento [...] Il valore venale del dipinto può essere calcolato,
oggi, in Italia, sui 15-20 milioni di lire italiane [...] alla sua alta quotazione venale concorrono i
seguenti elementi: a) della sua perfezione artistica; b) della sua assoluta originalità; c) della sua
ottima conservazione; d) della sua celebrità”14. Nel 1953 Roberto Longhi, nel testo introduttivo del
catalogo della mostra su I pittori della realtà in Lombardia, annovera il Cavaliere in nero fra le
“grandi opere del Moroni più fedele”1515. Alessandro Morandotti infine, in un recente articolo
pubblicato sui “Giornale dell’Arte”, afferma che il Cavaliere in nero e “uno dei quadri più poetici
[di Moroni] [...] tutto giocato sui toni grigi e sui neri, tra cromie cinerine e neri accesi, utili a
11
A. Locatelli Milesi, La collezione dei Conti Moroni di Bergamo, in “Dedalo”, III, 1922-1923, pp. 576-578.
A. Venturi, Storia dell’arte italiana, IX, La pittura del Cinquecento, parte 4a, Milano 1929, p. 242.
13
G. Lendorff, Giovanni Battista Moroni. Il ritrattista bergamasco, ed. italiana, riveduta ed aumentata dall’autrice,
presentazione di D. Cugini, Bergamo, 1939, pp. 87-88.
14
A. Morassi, Relazione sul ‘Ritratto d’un gentiluomo in nero’, dipinto di Giovanni Battista Moroni, conservato nel
palazzo dei conti Moroni in Bergamo, datata 11 maggio 1952, Ms. (Milano, Archivio del Museo Poldi Pezzoli), pp. 2-4.
La relazione fu compilata da Antonio Morassi su richiesta di Luciano Scotti, prima che questi perfezionasse l’acquisto
dell’opera dai conti Moroni. In una seconda expertise di Antonio Morassi, del 26 giugno 1974, il valore complessivo del
Cavaliere in nero e del Paesaggio di fantasia con tenda di pescatori di Francesco Guardi, di proprietà di Annibale
Scotti Casanova, è indicato in 130 milioni di lire (si veda il saggio sulla provenienza del dipinto, citato alla nota 1).
15
R. Longhi, Dal Moroni al Ceruti, in “Paragone”, 41, 1953, p. 23.
12
3
restituire l’effetto dei velluti: colori lombardi, nati in una civiltà che, sempre al centro della storia
della moda, ha privilegiato talvolta i toni austeri”16
L’opera è stata datata nel “periodo medio” dell’attività dell’artista —vale a dire verso il settimo
decennio — da Achille Locatelli Milesi17, tra il 1560 e il 1565 da Antonio Morassi18 tra il 1563 e il
1565 da Gertrud Lendorff19 e, “per considerazioni che si basano sullo stile, sul costume e sul clima
che si esprime nell’eleganza spinta sotto l’apparenza austera, simile in questo al Secco Suardo
[degli Uffizi] e al Vedovo di Dublino”, da Mina Gregori20, tra il 1367 e il 1368 da Heinrich
Merten2121 dopo il 1570, sulla base del confronto con i coniugi Spini della Pinacoteca
dell’Accademia Carrara, nella scheda del catalogo della mostra I pittori della realtà in Lombardia22,
nel primo lustro dell’ottavo decennio da Paolo Plebani, che considera il Cavaliere in nero, i Ritratti
di Bernardo e Pace Rivola Spini e il Cavaliere di Boston “un piccolo ma compatto gruppo di opere
eseguite nell’ultimo decennio di vita del pittore, che documenta, da parte dell’artista, una ripresa di
quelle ricerche sulla tipologia del ritratto a figura intera, in cui Moroni si era cimentato con
successo anche precedentemente”, e nel quale il dipinto della collezione Stewart Gardner, datato
1576, “rappresenta il momento più avanzato, cronologicamente parlando”23.
Il fatto che il dipinto in esame, i due Spini e il Cavaliere di Boston siano tutti e quattro ritratti a
figura intera caratterizzati da uno sfondo architettonico simile non implica, però, necessariamente
che siano stati eseguiti negli stessi anni. La parete di sfondo grigia, caratterizzata dalla presenza di
lese-ne o di semicolonne poggianti su una zoccolatura, ricorre infatti nella produzione ritrattistica di
Moroni lungo tutto l’arco cronologico della sua attività, e non è tipica soltanto dell’ultimo periodo
(si veda, ad esempio, il Ritratto di Gian Ludovico Madruzzo conservato all’Art Institute di Chicago,
databile all’inizio del sesto decennio2424, in cui lo sfondo è assai simile)25.
Il Cavaliere in nero fu con ogni probabilità eseguito verso il 1567, nell’ambito della cosiddetta
seconda maniera argentea del pittore, come confermano i dati dello stile, quelli di storia della moda
ricavabili dall’abito indossato dal personaggio (sul quale si veda la puntuale analisi di Grazietta
Butazzi, qui di seguito) e anche l’analisi della spada da lato appesa alla vita, così simile a quella del
Museo Poldi Pezzoli (inv. 2575), che si data al 1560- 1565 circa26. Questa cronologia è corroborata
anche dal confronto con il Ritratto di un personaggio di casa Mosca (?) di Amsterdam, del 156527,
16
A. Morandotti, I cavalieri gemelli di Moroni, in Il Giornale dell’Arte”, n. 238, dicembre 2004, p. 30.
Locatelli Milesi 1922-1923, cit. alla nota 11, p. 576.
18
Morassi Ms. 1952, cit. alla nota 14, p. 1.
19
Lendorff 1939 cit. alla nota 13, pp. 87-88, 140, cat. 61.
20
M. Gregori, Giovan Battista Moroni. Tutte le opere, estratto da I pittori bergamaschi dal XIII al XIX secolo. Il
Cinquecento. III, Bergamo 1979, p. 286, cat. 153.
21
H. Merten, Giovanni Battista Moroni. Des Meisters Gemälde und Zeichnungen, Marburg 1928, p. 59, cat. 111.
22
Pittori della realtà 1953, p. 30, cat. 23.
23
P. Plebani, in Giovan Battista Moroni, lo sguardo sulla realtà 1560-1579, catalogo della mostra di Bergamo, a cura
di S. Facchinetti, Bergamo 2004, p. 196. Questa proposta di datazione avanzata è stata inizialmente accolta anche da chi
scrive, in una recente pubblicazione didattica del Museo Poldi Pezzoli (A. Di Lorenzo, in Il Museo Poldi Pezzoli a
Milano. Capolavori della pittura, Milano-Torino 2005, p. 64, cat. 28). Una riconsiderazione complessiva dei ritratti
realizzati da Moroni nei suoi due ultimi decenni di attività mi ha però infine portato ad anticipare di alcuni anni la
cronologia del Cavaliere in nero; si veda più oltre nel testo.
24
Cfr. Gregori 1979, cit. alla nota 20, pp. 251-253, cat. 92: C. Lloyd, Italian Paintings before 1600 in The Art Institute
of Chicago. A Catalogue of the Collection, with contributions by M. Andreotti, L. J. Feinberg, M. Wolff, Chicago 1993,
pp. 165-171.
25
Non condivido la proposta di Francesco Rossi, riferita da Mina Gregori, di identificare il Cavaliere a figura intera di
Boston con un membro della famiglia Spini – in particolare Gian Francesco, fratello di Bernardo –, dato che “il fondo
del vano in cui è rappresentato è specularmente simile a quello del Ritratto di Pace Rivola Spini” (cfr. Gregori 1979, cit.
alla nota 20, p. 243, cat. 66; l’ipotesi è stata ripresa da Francesco Frangi, Moroni, Giovanni Battista, ad vocem, in The
Dictionary of Art, ed. by. J. Turner, London 1996, 34 voll., vol. XXII, p. 134). In effetti in questi dipinti i personaggi
non sono raffigurati in un interno reale, ma contro uno scenografico fondale di fantasia, riutilizzato, con minime
varianti, a più riprese dall’artista nel corso della sua carriera.
26
Vedi supra nota 3.
27
Inv. A 3410; cfr. Gregori 1979, cit. alla nota 20, pp. 223 -224, cat. 11.
17
4
e con il Ritratto di giovane uomo di Moroni conservato alla Carrara, datato 156728. In particolare in
quest’ultimo sono rilevabili dettagli di moda vestimentaria coincidenti con quelli del dipinto in
esame e un medesimo punto di stile: si noti in particolare come la lattuga della camicia sia
praticamente sovrapponibile nei due dipinti29.
Andrea Di Lorenzo
28
Inv. 86/670; cfr. Gregori 1979 cit. alla nota 20, pp. 230-231, cat. 29.
È questo un dettaglio della moda vestimentaria che si trasforma significativamente nel corso del settimo e dell’ottavo
decennio del Cinquecento e che può quindi essere utilizzato –seppure con le dovute cautele e tenendo conto delle
possibili preferenze individuali dei differenti personaggi – per trarre utili indicazioni riguardo la cronologia dei ritratti di
Moroni. La lattuga tende infatti ad aumentare progressivamente di dimensioni con il procedere degli anni (cfr. Newton
1979, p. 292): si può vedere come sia raffigurata più piccola, rispetto a quella del Cavaliere in nero, ancora nel Ritratto
di un personaggio di casa Mosca (?) di Moroni conservato al Rijksmuseum di Amsterdam, datato 1565, mentre assume
proporzioni ben maggiori nei ritratti dell’albinese degli anni settanta, come, ad esempio, l’Avvocato della National
Gallery di Londra, il Gentiluomo della National Gallery of Canada di Ottawa, i coniugi Spini, il Cavaliere di Boston.
29
5
La moda vestimentaria nel Cavaliere in nero di Giovanni Battista Moroni
Il gentiluomo del ritratto rappresenta perfettamente, con il suo abbigliamento, la moda maschile alla
spagnola quale si è diffusa in Europa – al di là delle relazioni dei singoli paesi con la Spagna o della
testimonianza di fede religiosa – fino dalla metà del XVI secolo. Purtroppo, la composizione
dell’abito non è del tutto leggibile per la difficoltà di individuarne le diverse zone in un insieme di
capi tutti neri, tanto più che risulta parzialmente coperto dalla mantellina (capa).
La prima cosa che si nota è la disinvolta vivacità nell’indossarla, appoggiata sulla spalla sinistra e
passata sotto il braccio destro, con cui ne trattiene un lembo sul petto. La capa sostituì
gradualmente, intorno alla metà del secolo, gli ampi “roboni”, con o senza maniche, che,
allargandosi dalle spalle, coprivano i fianchi con effetto quasi di mantella. Di matrice militare,
risultava evidentemente indumento più comodo e spigliato soprattutto per le generazioni più
giovani1. La mantellina sembra eseguita in raso, mentre le balze applicare sono in velluto; una
tipologia decorativa molto diffusa, lungo tutto il secolo, in molte regioni italiane, che mantiene la
stessa disposizione anche quando le balze sono ricamate2.
Sotto la corra mantella, il cavaliere indossa un indumento che rimane in gran parte nascosto, di cui
si vede solo una porzione della zona inferiore: l’indumento è chiuso sotto la vita con piccole falde
(si possono vedere gli ultimi due bottoni e alcune faldine). Sulla spalla destra, che rimane libera, si
vede la manica, stretta al polso e aderente al braccio, con l’aletta, molto ridotta, decorata da
centinatura. La manica sembra inserita in un’altra manica, aperta e pendente, che potrebbe
appartenere a un elemento da indossare sopra il giuppone. Potrebbe trattarsi di un “coletto” con
maniche (spesso aperte per non avere le due maniche sovrapposte) oppure una “ropiglia” (dallo
spagnolo ropilla), che in Spagna viene indicata come fuori moda nella seconda metà del secolo, ma
in varie aree dell’Italia settentrionale è citata in inventari anche oltre la fine. Reade33 la ritiene
analoga al coletto con maniche e sono del parere che si tratti infatti di questo indumento;
probabilmente è solo la presenza delle maniche che a volte fa richiamare il termine spagnolo.
Coletto e ropiglia presentano infatti piccole falde sotto la vita, sono abbottonati davanti e hanno
maniche aperte e pendenti, come si può vedere dai rispettivi modem riprodotti nel manuale di Juan
de Alçega4, e questo effettivamente causa confusione nel definirla. Ropiglia o coletto, l’indumento è
bene individuabile nell’Abito di Gustavo Adolfo il Grande conservato a Stoccolma, dove viene
portato appunto sopra il giuppone, di cui compaiono solo le maniche.
I calzoni del cavaliere sono già molto gonfi, ma meno estesi e corti, nella loro evoluzione, di come
appariranno negli anni settanta5 e sono formati da una parte esterna costituita da strisce di velluto
operato o ricamato, nero su nero, mentre le calze sono sicuramente eseguite ai ferri, in seta, per la
loro perfetta aderenza; in tessuto di seta, probabilmente velluto, sono anche le scarpette, finite sul
dorso con un motivo a centina, che modellano con precisione la forma del piede.
La berretta è confezionata in tessuto di seta, evidentemente su qualche struttura di sostegno interna,
secondo il modello cortigiano; il cappello, di uso più pratico e borghese, era invece in feltro. La
forma – con cupola un po’ rialzata e gonfia e con una minuscola ala rigida disposta attorno alla testa
– compare in altri ritratti moroniani, dai quali si ricava che le stesse caratteristiche di altezza e di
1
Si veda in Giovanni Battista Moroni. Il Cavaliere in nero. L’immagine del gentiluomo nel Cinquecento, catalogo della
mostra di Milano, Milano 2005, la scheda relativa al Ritratto di Filippo II di Sofonisba Anguissola (pp. 94-96, cat. 4: la
scheda sul dipinto si deve a Marco Tanzi, la nota sulla moda vestimentaria è a cura di chi scrive; sul dipinto si veda
anche M. Kusche, in Sofonisba Anguissola e le sue sorelle, catalogo della mostra di Cremona, a cura di M. Gregori,
Milano 1994, pp. 242-245, cat. 26) a proposito di un riammodernamento dell’abbigliamento del re attraverso la capa.
2
Per altri dettagli su questo tipo di decorazione si veda il mio saggio Intorno al “Cavaliere in nero”: note sulla moda
maschile tra Cinquecento e Seicento, in Giovanni Battista Moroni. Il Cavaliere in nero. L’immagine del gentiluomo nel
Cinquecento, catalogo della mostra di Milano, Milano 2005, pp. 47-55.
3
B. Reade, The Dominance of Spain 1550-1660, London 1951, p. 196.
4
J. De Alçega, Libro de Geometria, Pratica y Traça, [Madrid 1589] Madrid 1993.
5
Si veda in particolare il Ritratto di Bernardo Spini della Pinacoteca dell’Accademia Carrara di Bergamo.
6
espansione della cupola si accentuano nel corso degli anni settanta6. La berretta del cavaliere, ornata
da una bella piuma nera, reca, sopra la piccola ala, una fascia decorata con rosette di metallo
brunito.
L’abbigliamento del gentiluomo, compreso l’accentuarsi della ruche attorno al collo e ai polsi,
concorda con l’evoluzione subita da una struttura vestimentaria, modellata sul cortigiano spagnolo,
nel settimo decennio del secolo; tutte le sue caratteristiche, comunque, sì presentano già
completamente mature, molto vicine allo sviluppo del decennio seguente. L’abbigliamento perciò è
riferibile alla seconda metà degli anni sessanta, in-torno al 1567-1568 circa.
Grazietta Butazzi
Bibliografia sull’opera aggiornata al 2005
F. M. Tassi, Vite de’ pittori, scultori e architetti bergamaschi [1793], 2 voll, ed. anastatica a cura di
F.
Mazzini, Milano 1969-1970 [1793], II, 1970, p. 180.
Guida di Bergamo 1824 del conte Girolamo Marenzi, Bergamo 1985, pp. 125-126.
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9