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In tema di concessioni
Cass. civ.; sez. Un.; sentenza 14.1.15 n. 473; Pres. Rovelli, Rel. Amendola
In tema di accreditamento al servizio sanitario nazionale, l'accesso alla qualifica di erogatore
del servizio continua ad essere mediata da un provvedimento concessorio, sia pure a
contenuto legislativamente regolamentato, ma nessuna erogazione di prestazione sanitaria
finanziariamente coperta dalla mano pubblica è possibile ove non sussista un provvedimento
amministrativo di competenza regionale che riconosca alla struttura la qualità di soggetto
accreditato e al di fuori di singoli, specifici rapporti contrattuali*.
* In tema di concessioni, si veda Consiglio di Stato , Ad. P. sentenza 29.01.2014 n. 6.
Svolgimento del processo
Con atto notificato il 3 settembre 2009 la Procura Regionale della Corte dei conti della Regione
Lazio chiese alla sezione giurisdizionale la condanna di Fenig s.r.l., di A.S., di M.F. e di B.B. al
pagamento dei danni derivati dalla stipula di tre atti di transazione ritenuti falsi.
Espose, a sostegno, che nell'anno 1991 Fenig s.r.l. aveva citato innanzi al Tribunale di Roma la USL
XXX (ora ASL RMC), e la Regione Lazio, domandando il pagamento di somme asseritamente ad
essa dovute quale corrispettivo di prestazioni di terapia intensiva effettuate nell'arco temporale dal
1982 al 1990. Respinta la pretesa, sia in prime che in seconde cure, nelle more della trattazione del
ricorso per cassazione proposto contro la sentenza della Corte d'appello, Fenig aveva nuovamente
convenuto in giudizio la Regione Lazio, chiedendone, in via principale, la condanna al pagamento
di L. 4.161.925.000 o, in subordine, della stessa somma già in precedenza azionata.
Prima della definizione di tali processi, in data 18 gennaio 2002, tra la ASL XXX e Fenig s.r.l. era
intervenuta una prima transazione, avente ad oggetto il pagamento dell'importo di Euro 516.457,93,
avvenuto, peraltro, il 17 dicembre 2001, e cioè in epoca antecedente alla sottoscrizione della stessa.
Il successivo 13 febbraio 2002 era stato siglato altro contratto di transazione, per una somma che,
sommata
a
quella
già
erogata,
corrispondeva
al
petitum
dei
giudizi
pendenti.
Infine con una terza transazione, stipulata in data 16 maggio 2002, la ASL e Fenig si erano accordati
per la definizione della controversia proposta da quest'ultima al fine di ottenere il ristoro di pretesi
danni a essa derivati dalla mancata conclusione della convenzione necessaria alla creazione di una
unità operativa chirurgico - ginecologica presso la propria struttura. La bonaria definizione della
vertenza - peraltro già decisa dal Tribunale con sentenza depositata il 7 maggio, di rigetto della
domanda
-
aveva
comportato
un
esborso
di
Euro
5.800.000.000,00.
Per tali fatti i signori A.S. e B.B. , rispettivamente responsabile dell'ufficio legale e Commissario
Liquidatore della ASL XXXX, nonché M.F. , legale rappresentante di Fenig s.r.l., erano stati tratti a
giudizio del Tribunale di Roma che in data 7 giugno 2013 aveva ritenuto l'A. e il M. colpevoli del
reato
di
corruzione.
Di
qui
l'iniziativa
giudiziaria
della
Procura
regionale.
Con sentenza del 7 luglio 2010 l'adito giudice contabile condannò in via principale A.S., M.F. e
Fenig s.r.l. al pagamento, in favore della Regione Lazio, della somma di Euro 7.612.037,18, nonché
B.B., in via sussidiaria, al pagamento della somma di Euro 2.283.611,00, oltre accessori.
Con la sentenza ora impugnata, emessa in data 7 marzo 2013, la sezione giurisdizionale centrale
d'appello
ha
respinto
i
gravami
di
Fenig
s.r.l.
e
di
M.F..
Ha ritenuto il decidente, per quanto qui interessa, che l'allegazione posta a base dell'iniziativa della
Procura Regionale del Lazio era assolutamente idonea a evocare la sua giurisdizione: la domanda di
rifusione dei danni era invero incentrata sull'esistenza - tra il M. e, per il tramite dello stesso, tra
Fenig s.r.l., e la ASL - di una relazione funzionale derivante non già dalle convenzioni e/o
dall'accreditamento, ma dalla indebita ingerenza dei primi, in forza di un sodalizio criminoso, nei
meccanismi gestionali dell'Azienda pubblica. In tale prospettiva del tutto inconferente era l'enfasi
posta dagli appellanti, con riferimento alla terza transazione, sul fatto che la stessa era connessa alla
mancata stipula di una convenzione, piuttosto che al suo mancato pagamento, considerato che il
contatto tra il M. e l'A. era sufficiente a postulare l'esistenza di un rapporto di servizio, sull'abbrivio
di quanto affermato dalle sezioni unite nell'ordinanza 4 novembre 2009, n. 23332.
I ricorsi proposti da Fenig s.r.l. e da M.F., ex art. 111, ultimo comma, della Costituzione, sono
articolati,
l'uno,
su
un
solo
motivo,
e
l'altro,
su
tre
mezzi.
Hanno risposto con distinti controricorsi B.B., il Procuratore generale presso la Corte dei conti e
A.S..
Fenig s.r.l. ha anche depositato memoria.
Motivi della decisione
1. I ricorsi hinc et inde proposti avverso la stessa sentenza sono stati riuniti ex art. 335 cod. proc.
civ..
2. L'impugnativa di Fenig s.r.l.. Con l'unico motivo la società denuncia difetto di giurisdizione della
Corte dei conti, violazione e falsa applicazione dell'art. 1, comma 4, legge n. 20 del 1994.
Deduce che la ritenuta sussistenza della giurisdizione del giudice contabile in ragione del solo
contatto illecito tra l'A. e il M. farebbe malgoverno del principio, ripetutamente affermato dalla
Corte Regolatrice, secondo cui non è sufficiente a configurare il rapporto di servizio la mera
ingerenza del soggetto privato in un processo decisionale dell'ente pubblico, quale che esso sia,
occorrendo che il contatto tra l'uno e l'altro sia pur sempre orientato allo svolgimento, da parte del
primo, di un'attività tipicamente amministrativa. In sostanza, se, al fine di radicare la giurisdizione
della Corte dei conti è ormai irrilevante la natura pubblica o privata del soggetto che ha concorso
alla determinazione dell'evento dannoso, sarebbe tuttavia pur sempre necessaria l'enucleabilità, in
concreto, di un rapporto di impiego o di servizio, anche in via di mero fatto, idoneo a calare
l’extraneus all'interno dei meccanismi decisionali dell'amministrazione attraverso l'espletamento di
funzioni riconducibili alle finalità pubbliche perseguite dall'ente. Con riferimento alla terza
transazione, quella di valore più consistente, evidenzia in particolare l'esponente che l'accordo
aveva avuto ad oggetto non già il mancato pagamento di somme inerenti al regime di
convenzionamento, ma la responsabilità precontrattuale dell'ente dipendente dalla mancata stipula
di una convenzione con la società per la realizzazione di una unità operativa chirurgicoginecologica. Ricorda all'uopo che l'istituto dell'accreditamento, consistente nel riconoscimento, da
parte dell'autorità competente, del possesso, in capo a una struttura privata, dei requisiti prescritti ai
fini della instaurazione di successivi rapporti tra la stessa e l'ente, è del tutto insufficiente alla
configurazione di una concessione di servizio pubblico nel settore sanitario, occorrendo a tal fine un
apposito accordo che stabilisca il tipo e l'entità delle prestazioni erogabili e il corrispettivo
preventivato. 3. Il ricorso di M.F.. 3.1 Con il primo motivo l'esponente denuncia violazione dell'art.
1, comma 1, legge 14 gennaio 1994, n. 20 ex art. 360, comma 1, n. 1, cod. proc. civ..
Ricordato che, ai fini della sussistenza della giurisdizione del giudice contabile è necessaria la
ricorrenza di due condizioni, e cioè che chiamato a rispondere del danno sia un soggetto legato
all'amministrazione da un rapporto di impiego, o anche solo di servizio, e che il pregiudizio sia stato
causato nell'esercizio di attività inerente a tale rapporto, sostiene l'impugnante che, quanto meno
con riferimento alla terza transazione, il contraente privato si era posto come terzo estraneo all'ente
e addirittura in conflitto con lo stesso. E invero le somme di denaro oggetto dell'accordo non erano
state erogate né nell'esercizio dell'attività accreditata o in occasione della stessa, né nell'ambito del
rapporto di accreditamento, ma erano state versate a titolo di risarcimento dei danni connessi alla
mancata costituzione di un rapporto concessorio con la P.A.. 3.2 Con il secondo mezzo il ricorrente
torna a lamentare violazione dell'art. 1, comma 1, legge 14 gennaio 1994, n. 20 ex art. 360, comma
1,
n.
1,
cod.
proc.
civ.
sotto
un
diverso
e
concorrente
profilo.
L'accreditamento - rileva - non è qualificabile come provvedimento concessorio, ma come
abilitazione tecnica idoneativa che consente all'impresa autorizzata di sottoscrivere gli accordi
contrattuali di cui all'art. 8-quinquies del d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229. Di talché, considerato che le
imprese accreditate non entrano a far parte stabilmente dell'organizzazione amministrativa,
l'affermata giurisdizione della Corte dei conti mancherebbe di ogni base fattuale. 3.3 Con il terzo
motivo l'impugnante nuovamente deduce violazione della medesima norma, ex art. 360, comma 1,
n. 1, cod. proc. civ.. La sentenza contro la quale si appunta il ricorso sarebbe abnorme atteso che per
i medesimi fatti il Tribunale penale di Roma aveva disposto la confisca dei beni sequestrati, in
quanto prezzo e profitto del reato, limitatamente all'equivalente di Euro 12.484.262,93. Da tanto,
stante il principio che il medesimo debito non può essere pagato due volte, dovrebbe dedursi,
secondo l'esponente, l'insussistenza della giurisdizione della Corte dei conti o comunque la carenza
assoluta
di
potestà
decisionale
per
manifesta
carenza
dei
presupposti
dell'azione.
4 Si prestano a essere esaminati congiuntamente il ricorso di Fenig s.r.l. e i primi due motivi
dell'impugnazione di M.F., atteso che le censure con essi proposte attaccano il punto centrale della
decisione della Corte dei conti, quello cioè in cui il giudice contabile da conto dell'esito positivo
dello scrutinio sulla sussistenza della sua giurisdizione. Le critiche sono infondate per le ragioni che
seguono.
5 Occupandosi della natura giuridica della posizione soggettiva attiva di una struttura
sanitaria privata rispetto alla domanda di accreditamento con il servizio sanitario nazionale,
le sezioni unite di questa Corte, chiamate a pronunciarsi in ordine alla devoluzione al giudice
amministrativo, piuttosto che a quello ordinario, della relativa controversia, hanno escluso
che il nuovo regime dell'accreditamento, di cui all'art. 8 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502,
come integrato dall'art. 6 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 e successive modificazioni,
abbia inciso sulla natura del rapporto esistente tra struttura privata ed ente pubblico
preposto all'attività sanitaria, all'uopo precisando che tale rapporto era e resta di tipo
concessorio, con la sola particolarità, rispetto al regime preesistente, che nel nuovo sistema si è
in presenza di concessioni ex lege di attività di servizio pubblico, di tal che la relativa
disciplina è dettata in via generale dalla legge, pur con rinvii integrativi a norme di secondo
grado o regionali e nella perdurante vigenza, in ogni caso, dei poteri di programmazione, di
vigilanza e di controllo delle Regioni sull'espletamento dell'attività concessa (confr. Cass. civ.
sez. un. 8 luglio 2005, n. 14335). Ed è significativo che di tali poteri venga predicata l'inerenza
non solo alle concrete modalità di erogazione delle prestazioni oggetto della convenzione, ma
anche alla valutazione del loro fabbisogno da parte dell'utenza, valutazione correlata
all'impossibilità che le stesse siano fornite direttamente dalle strutture pubbliche (Cons. di
Stato 2 febbraio 2010, n. 454). 6 Più nello specifico, mentre nel sistema inaugurato dalla legge 23
dicembre 1978, n. 833, il principio di libera scelta della prestazione sanitaria da parte dell'assistito
non era assoluto, dovendo contemperarsi con la disciplina posta da altre norme - come l'art. 19 della
legge 11 marzo 1988 n. 67, e le disposizioni regionali che ad essa rinviavano - le quali consentivano
l'accesso alle strutture private convenzionate con il servizio sanitario nazionale ponendo due
condizioni: che il servizio pubblico non fosse in grado di soddisfare la richiesta di prestazioni
specialistiche entro un tempo determinato e che la USL territorialmente competente avesse
rilasciato apposita autorizzazione alla struttura privata; l'idea di fondo del nuovo sistema è quella
di conformare l'organizzazione del servizio sanitario su un modello di tipo anglosassone di
concorrenza amministrata o quasi mercato, caratterizzato dall'esistenza di una pluralità di
soggetti erogatori, tra i quali i cittadini hanno piena libertà di scelta e le cui prestazioni
vengono rimborsate attraverso tariffe standard dall'ente pubblico finanziatore (confr. Cass.
civ. 25 gennaio 2011, n. 1740). 7 Peraltro l'esigenza di contemperare gli obiettivi di liberalizzazione
con la necessità di blindare la spesa pubblica nel settore sanitario ha trovato il suo punto di
equilibrio nel disposto dell'art. 2, comma 7, d.P.R. 14 gennaio 1997, n. 37, a tenor del quale la
qualità di soggetto accreditato non costituisce vincolo per le aziende e gli enti del servizio sanitario
nazionale a corrispondere la remunerazione delle prestazioni erogate, al di fuori degli appositi
rapporti di cui all'art. 8, commi 5 e 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive
modificazioni
e
integrazioni,
nell'ambito
del
livello
di
spesa
annualmente
definito.
Di talché, in definitiva, non solo l'accesso alla qualifica di erogatore del servizio continua ad
essere mediata da un provvedimento concessorio, sia pure a contenuto legislativamente
regolamentato, ma nessuna erogazione di prestazione sanitaria finanziariamente coperta dalla
mano pubblica è possibile ove non sussista un provvedimento amministrativo di competenza
regionale che riconosca alla struttura la qualità di soggetto accreditato e al di fuori di singoli,
specifici rapporti contrattuali. 8 Quanto sin qui detto consente di cogliere le insufficienze
dell'approccio degli esponenti, la cui linea difensiva è tutta incentrata, in contrasto con il diritto
vivente testé richiamato, sulla pretesa inidoneità dell'istituto dell'accreditamento a determinare
l'instaurazione di un rapporto concessorio tra ente privato ed ente pubblico, nonché, con riferimento
alla terza transazione, sulla sua inerenza al danno connesso a una condotta dell'ente qualificabile in
termini di responsabilità precontrattuale, e cioè a una fattispecie, in tesi, particolarmente
emblematica
dell'errore
prospettico
posto
a
base
della
sentenza
impugnata.
E invero, pacifico che i primi due accordi sono venuti a innestarsi in già attivi sistemi di erogazione
delle prestazioni - rilievo che evidentemente spiega lo scarso impegno degli impugnanti con
riferimento agli stessi - è assai difficile sostenere l'estraneità del terzo a uno schema operativo della
pubblica amministrazione fondato sulla cooptazione delle strutture private nella somministrazione
di servizi che ad essa, e non ad altri, mettono capo, considerato che, per quanto innanzi detto,
l'accreditamento
determina,
già
da
sé,
l'instaurazione
di
un
rapporto
concessorio.
9 Val la pena a questo punto ricordare che, sul piano sistematico, l'ampliamento della
responsabilità erariale a soggetti non ricompresi nell'apparato amministrativo è avvenuto
attraverso il cavallo di troia dell'elaborazione di una nozione di rapporto di servizio in senso
ampio, quale rapporto configurabile tutte le volte in cui il soggetto, persona fisica o giuridica,
benché estraneo all'ente, si trovi investito, anche di fatto, dello svolgimento, in modo
continuativo, di una determinata attività in favore dello stesso, venendo conseguentemente a
inserirsi nella sua organizzazione e ad assumere particolari vincoli ed obblighi funzionali ad
assicurare il perseguimento delle esigenze generali, cui l'attività medesima, nel suo complesso,
è preordinata (Cass. civ. sez. un. ord. 22 settembre 2014; Cass. civ. sez. un. 9 febbraio 2011, n.
3165; Cass. civ. sez. un. 3 luglio 2009, n. 15599; Cass. civ. 9 settembre 2008, n. 22652).
Siffatti approdi sono stati giustificati, sul piano letterale e sistematico, con il rilievo che l'art. 52 del
r.d. 12 luglio 2934, n. 1214, applicabile agli amministratori e al personale degli enti locali in forza
dell'art. 58 legge 8 giugno 1990, n. 142, a sua volta trasfuso nell'art. 93 del d.lgs. 15 maggio 2000,
n. 127, manifesta il trasparente intento di non limitare la categoria dei destinatari delle norme in
materia di responsabilità amministrativa ai soli soggetti che abbiano instaurato con lo Stato o con
altro ente pubblico un rapporto di impiego vero e proprio, dato che menziona, oltre agli impiegati, i
funzionari e gli agenti, civili e militari, tout court, siano essi dipendenti ovvero comunque retribuiti
da amministrazioni, aziende e gestioni pubbliche; sotto il profilo teleologia) si è invece rimarcato
che interpretazioni restrittive delle disposizioni che fissano l'ambito della giurisdizione del giudice
contabile appaiono tanto meno giustificabili quanto più siano suscettibili di risolversi nella
restrizione del numero degli obbligati a risarcire il danno in definitiva provocato dall'agente
all'intera comunità (confr. Cass. sez. un. 4 gennaio 2012, n. 11; Cass., sez. un., 4 novembre 2009, n.
23332).
10 Se tutto questo è vero, l'assunto secondo cui la giurisdizione della Corte dei conti non possa
essere riconosciuta laddove, come nella fattispecie, il danno è stato cagionato da accordi
corruttivi nell'ambito dei quali il solo funzionario pubblico ha agito per l'ente di
appartenenza, mancando una relazione funzionale idonea a calare il privato all'interno dei
meccanismi gestionali dell'amministrazione - assunto intorno al quale ruotano i motivi di
ricorso in esame - poggia su una lettura riduttiva e fuorviante della realtà fattuale sottesa alla
decisione del giudice contabile. Le transazioni delle quali sono stati chiamati a rispondere i
ricorrenti sono invero il frutto di una mala gestio del rapporto concessorio in essere tra ente e
struttura privata, di quel rapporto, cioè che, iniziato con il riconoscimento a Fenig s.r.l. della
qualità di soggetto accreditato, ha determinato l'inserimento della stessa, in modo
continuativo
e
sistematico,
nella
organizzazione
della
Pubblica
Amministrazione,
relativamente al settore della assistenza sanitaria. 11 Del resto, ragionando con riferimento a un
caso in cui il giudizio per danno patrimoniale era stato promosso in relazione alla indebita richiesta,
e alla conseguente, indebita corresponsione di un finanziamento ad una società a responsabilità
limitata per la realizzazione dei suoi programmi imprenditoriali, queste sezioni unite, nell'affermare
la giurisdizione della Corte dei conti, hanno segnatamente evidenziato che il baricentro per
discriminare la giurisdizione ordinaria da quella contabile si è ormai spostato dalla qualità del
soggetto - che può ben essere un privato o un ente pubblico non economico - alla natura del
danno e degli scopi perseguiti, cosicché ove il privato, cui siano erogati fondi pubblici,
determini, con la sua condotta, un significativo sviamento dell'ente dalle finalità perseguite, Io
stesso realizza un danno per l'ente pubblico, del quale deve rispondere davanti al giudice
contabile (confr. Cass. civ. sez. un. 3 marzo 2010, n. 5019; Cass. civ. sez. un. 1 marzo 2006, n.
4511).
12
Infondato
è
anche
il
terzo
motivo
di
ricorso
del
M..
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno ripetutamente evidenziato l'autonomia del giudizio
amministrativo contabile e quindi dell'azione di responsabilità esercitata dal Procuratore
presso la Corte dei Conti rispetto ai rapporti civili, amministrativi e disciplinari che possono
intercorrere tra i soggetti passivi dell'azione contabile e i soggetti danneggiati ed esporre i
primi a subire i giudizi penali (come è appunto avvenuto nella specie); ed hanno più volte
enunciato la regola che l'azione proposta dai Procuratore contabile non si identifica con quella
che l'amministrazione può autonomamente promuovere nei confronti dei propri funzionari
e/o di quelli dell'ente esterno autori del danno per farne valere la responsabilità (anche
solidale). Conferma di tale autonomia è stata tratta: a) dalla nota sentenza n. 104 del 1989 (ribadita
dalla più recente pronuncia n. 1 del 2007) della Corte Costituzionale, la quale ha specificato che il
Procuratore Generale della Corte dei conti, nella promozione dei giudizi, agisce nell'esercizio di una
funzione obiettiva e neutrale, rivolta alla repressione dei danni erariali conseguenti ad illeciti
amministrativi; b) dalla legge n. 97 del 2001, art. 7, secondo cui "La sentenza irrevocabile di
condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti indicati nell'art. 3... è comunicata al competente
procuratore regionale della Corte dei conti affinché promuova entro trenta giorni l'eventuale
procedimento di responsabilità per danno erariale...", mentre l'art. 17, comma 30 ter, del d.l. n. 78
del 2009, convertito dalla legge n. 102 dello stesso anno, ha ribadito, rendendola di carattere
generale, la regola che "Le procure della Corte dei conti possono iniziare l'attività istruttoria ai fini
dell'esercizio dell'azione di danno erariale a fronte di specifica e concreta notizia di danno, fatte
salve le fattispecie direttamente sanzionate dalla legge": il che significa che le procure della Corte
dei conti possono attivarsi a prescindere dalla possibilità delle amministrazioni interessate di
promuovere l'ordinaria azione civilistica di responsabilità (confr. Cass. civ. sez. un. ord. 22
dicembre 2009, n. 27092; Cass. civ. sez. un. ord. 4 dicembre 2009, n. 25495; Cass. civ. sez. un. 11
maggio 2009, n. 10667). 13 In continuità con tale giurisprudenza, le Sezioni Unite intendono allora
qui ribadire che, in tema di responsabilità erariale, la giurisdizione civile e quella penale, da un
lato, e la giurisdizione contabile, dall'altro, sono reciprocamente indipendenti nei loro profili
istituzionali, anche quando investono un medesimo fatto materiale, di talché l'eventuale
interferenza che può determinarsi tra i relativi giudizi pone esclusivamente un problema di
proponibilità dell'azione di responsabilità da far valere davanti alla Corte dei conti. Ne deriva
che il rilievo, traducendosi nella deduzione di un error in iudicando, è perciò stesso estraneo alle
previsioni degli artt. 111 Cost. e 362 cod. proc. civ. (confr. Cass. civ. sez. un. 21 maggio 2014, n.
11229; Cass. civ. sez. un. 28 novembre 2013, n. 26582; Cass. civ. sez. un. 8 marzo 2005, n. 4957). Il
ricorso è respinto. La difficoltà delle questioni consiglia di compensare integralmente tra le parti le
spese del giudizio.
P.Q.M.
La Corte, pronunciando a sezioni unite sui ricorsi riuniti, li rigetta entrambi; compensa
integralmente tra le parti le spese del giudizio.