Le Alpi e la diffusione delle Alpi
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Le Alpi e la diffusione delle Alpi
TANGRAM Viaggi nella storia dell’Alto Adige Agenzia certificata ISO 9001 L’ARRIVO DEI PRIMI CRISTIANI NELLE VALLI ALPINE Relatore: prof. Franco Bontempi La rilevanza delle Alpi nella storia dell’Europa Per ragioni che vedremo in seguito, la rilevanza della regione alpina corrisponde alla diffusione del cristianesimo nel quarto secolo d. C. Precedentemente il territorio alpino era naturalmente conosciuto ed era percorso per arrivare dall’Adriatico al centro Europa, ma i grandi movimenti economici e i traffici si ponevano alla periferia dell’altopiano. L’ultima invasione del secolo precedente la nostra era, quella dei Celti, si è posta ai confini, sulle coste del lago di Garda e nella pianura padana. Già i commercianti fenici e greci raggiungevano le coste dell’Adriatico settentrionale per comprare i prodotti metallici delle Alpi, ma gli importatori compravano le merci nei porti dove attraccavano le loro navi e non si spingevano oltre. Nelle incisioni rupestri camune si trovano iscrizioni in greco, in cui sono rappresentati alcuni personaggi dell’Iliade, armi e scudi prettamente greci, ma coloro che li hanno rappresentati erano sicuramente artisti locali che hanno conosciuto i miti sulle coste del mare, dove portavano i loro prodotti. Movimenti di popolazione erano avvenuti durante tutto il millennio, ma si trattava di piccoli gruppi, che non incidevano sulla maggioranza. Essi elaboravano produzioni sempre più raffinate, fino ad arrivare all’acciaio negli ultimi secoli del millennio, ma non avevano una reale importanza nella espansione della repubblica romana. Tale situazione è continuata nei primi secoli dell’impero. Una serie di poeti, da Catullo a Virgilio, appartengono all’area perialpina, collegata al lago di Garda e al percorso del Mincio, ma abitano sempre ai limiti del territorio. Rispetto al millennio precedente i romani stabilirono dei punti di controllo all’interno della regione alpina, ponendoli accanto ai centri di produzione metallurgica, ma tali insediamenti erano collocati a distanze considerevoli tra di loro ed erano abitati da esponenti della area prealpina, romanizzati, ma che avevano scarsi contatti con le popolazioni circostanti. Nelle loro città le divinità locali erano denominate con nomi provenienti dal pantheon latino. Quanto fosse superficiale il contatto con le diverse etnie è possibile verificalo al momento del crollo dell’impero romano. A questo punto le genti alpine ritornarono ai loro culti precedenti. La posizione religiosa dell’impero era tollerante verso i diversi culti e, tolti gli abitati romanizzati, le popolazioni continuarono ad onorare le proprie divinità. La conquista, prima della repubblica e poi quella imperiale, introdusse, inoltre, comunità ebraiche significative nell’area. Commercianti ebrei si stabilirono nell’area perialpina e di essi abbiamo una presenza significativa sempre nello stesso territorio, con una serie di lapidi, conservate nel Museo romano di Brescia, una delle quali dedicata alle dee Iunones. Il nome è la latinizzazione del termine Aliune, le divinità delle Alpi che presiedevano alle acque le quali avevano un’importanza fondamentale nelle lavorazioni e nel raffreddamento dei prodotti della siderurgia. Gli ebrei sono quindi entrati in contatto con la civiltà alpina e la loro specialità non riguardava solo i traffici dei prodotti siderurgici per il medioriente, ma essi intervennero molto presto nei processi di fusione, offrendo conoscenze acquisite nei forni siderurgici, ma anche nella produzione del vetro. La presenza di comunità ebraiche intorno alle Alpi ebbe come effetto di diffondere l’interesse per il monoteismo nelle classi più evoluto del territorio perialpino e nelle città in esso esistenti. Si diffuse il culto del dio Sabatios, un dio che portava il nome del sabato, il giorno sacro agli ebrei. Nonostante l’antisemitismo romano, rilevabile nelle satire di Orazio e negli scritti di Tacito, sorto alcuni secoli prima con la polemica contro Cartagine, una città semitica, e poi per la sollevazione del 70 d. C., non risultano episodi di antisemitismo nelle Alpi, almeno fino al quarto secolo. La presenza ebraica si consoliderà nei secoli del medioevo e diventerà rilevante fino al 1475. Da quel momento si perseguì con metodo l’espulsione degli ebrei da tutto il territorio alpino. La situazione delle Alpi nel quarto secolo Le Alpi, essendo il cuore dell’Europa, furono coinvolte nei movimenti delle popolazioni della Europa orientale che portarono alla caduta dell’impero romano. I nuovi venuti si sarebbero stabiliti negli stessi luoghi in cui si erano insediati i Celti e i romani, cioè nel territorio prealpino, controllando in questo modo tutto il commercio dei metalli. © Tangram 2010 In questo secolo tale processo non si era ancora compiuto, anzi l’impero era convinto di poter vincere la sfida dell’immigrazione di intere popolazioni. La convinzione si tradusse nello spostamento della residenza imperiale da Roma a Milano. E’ interessante osservare, a questo punto, che nella geografia antica le grandi città erano considerate all’interno della regione alpina. L’Italia settentrionale è chiamata Gallia cisalpina, come pure la Francia meridionale è denominata Gallia transalpina. A questo punto le Alpi diventarono il centro dell’impero occidentale. Se prima il passaggio sulle montagne era considerato un cammino disagevole, possibilmente da evitare, proprio l’altezza delle montagne viene vista, invece, come una barriera contro le invasioni dei popoli, provenienti dall’area orientale. E’ implicito, nella scelta di questa linea politica, da una parte il tentativo di evitare il saccheggio da parte dei barbari da cui ci si doveva difendere elevando delle barriere, dall’altra emergeva la convinzione che, alla fine, si salvava la penisola, mentre il resto dei territori europei occidentali si poteva anche abbandonarlo. Proprio in questo secolo l’impero aveva potuto incassare, a suo favore, il passaggio delle comunità cristiane dalla propria parte, in cambio della sospensione di ogni forma di persecuzione e, in seguito, del riconoscimento del cristianesimo come religione di stato. In realtà non si trattava di una comunità religiosa compatta. Una divisione ecclesiastica, presente in modo massiccio nel territorio prealpino, era quella degli ariani, attestati in modo particolare a Milano. Tuttavia il problema, che si presentava nella seconda metà del secolo, era il dato di fatto per il quale il cristianesimo si trovava presso le popolazioni cittadine, anche se non è possibile stabilirne la percentuale, mentre quelle della campagna e della montagna erano pagane. Non si trattava di un paganesimo introdotto da Roma, ma precedente alla romanizzazione, anche se spesso le divinità ancestrali avevano un nome latino. I letterati e le famiglie senatorie restavano pagane e celebravano le divinità romane come custodi dell’impero, ma i contadini e i montanari non erano così devoti alla causa imperiale e non è detto che, nel caso dell’invasione, non avrebbero potuto far fronte comune con i barbari, che avrebbero concesso loro maggiore autonomia. L’alleanza tra trono ed altare era, comunque, ritenuta vantaggiosa per tutti e due gli interlocutori. Una presenza significativa dell’arte paleocristiana è avvertibile in modo concreto, nell’area europea, solo a partire dal quarto secolo. Non è stato ancora stabilito con precisione il numero effettivo, ma molte chiese paleocristiane erano anticamente delle sinagoghe, che furono requisite per l’uso dei fedeli. Inoltre la situazione delle comunità ebraica fu resa sempre più difficile. Se fino a quel momento tale culto era considerato religio licita, man mano lo spazio fu ridotto. Gli ebrei non potevano più esercitare nessuna forma di proselitismo e per loro non era lecito accedere alle cariche pubbliche. L’aiuto dello stato permetteva di combattere gli eretici e di convertirli, secondo il detto di Agostino, preso dal vangelo, «compelle entrare», costringili ad entrare. Lo spostamento della sede dell’impero occidentale rinsaldò i vincoli tra i due poteri e li mise davanti al compito di convertire tutta l’Europa, cominciando dalle Alpi. L’interesse era, in questo senso convergente. L’apparizione del cristianesimo nelle Alpi Certamente, nei primi tre secoli della nostra era, dei cristiani avranno percorso le strade delle Alpi, ma una presenza ecclesiastica non è possibile registrarla se non negli anni ottanta del quarto secolo. Precedentemente sono attestate piccole comunità monoteistiche, vicine alle sinagoghe ebraiche. Al di la dei singoli avvenimenti, distribuiti in tutto l’arco alpino, il fatto rilevante consiste nel tipo di chiesa che si è presentata alla fine del secolo: le comunità hanno incontrato l’annuncio cristiano attraverso una chiesa imperiale, in cui il potere religioso e politico erano intimamente uniti. Nessuno dei due aveva dubbi sulla utilità dell’altro e tale valutazione durerà nel nostro paese fino all’età contemporanea. Da un punto di vista storico si deve costatare che l’appoggio dell’autorità politica ha oggettivamente accelerato la cristianizzazione dell’Europa, ma rimane il problema della profondità di tale cristianizzazione e fino a che punto queste popolazioni abbiano condiviso i valori cristiani, considerato il comportamento di intere nazioni durante l’olocausto. Come si vedrà in seguito, il processo di evangelizzazione era cominciato in modo benevolo, inviando missionari nelle diverse regioni, ma di fronte alle difficoltà incontrate, si fece ricorso al potere politico. Si deve inoltre sottolineare che l’inizio della missione, alla fine del quarto secolo, coincise in primo luogo con un periodo di sviluppo economico, innescato dalle accresciute attività militari contro i barbari che richiedevano la preparazione delle armi prodotte nelle fucine alpine. Inoltre l’oggettiva debolezza dell’impero, apriva la strada alla ripresa dei diversi culti precedenti e ad un rifiorire delle autorità locali, che, come accadeva spesso nella società antica, avevano anche compiti religiosi. Diversamente da quello che si pensa generalmente, l’evangelizzazione avvenne in un clima di effervescenza religiosa pagana, che durerà almeno fino all’epoca carolingia avanzata. Si può collocare nel © Tangram 2010 decimo secolo l’ultima presenza del politeismo nelle valli. La sua fine apparente non fece cessare i culti preistorici, che andranno avanti fino alla fine del 1600. Il lavoro missionario è stato complesso ed ha conosciuto degli avanzamenti e degli arretramenti durante la storia, ma, quello che più colpisce, è l’assenza di dialogo tra le culture, per cui non vi era alternativa all’accettazione pura e semplice di quello che veniva annunziato. La certezza dell’appoggio politico spingeva a credere che l’uso della forza e della costrizione fosse il modo più veloce per convertire le popolazioni delle valli. A questo punto si deve anche liberarsi di un equivoco a cui siamo portati considerando la situazione contemporanea, in cui la missione antica è valutata come se essa avvenisse presso popolazioni povere. In realtà le genti alpine erano ricche. Le disponibilità derivanti dalla produzione di oggetti di metallo, in particolare delle armi, permettevano di acquistare i cereali nella pianura e di colmare così il disavanzo alimentare caratteristico di zone di alta montagna, per cui non si trattava un tessuto sociale bisognoso. Basta considerare le città romanizzate del territorio dove vi erano terme, teatri, ville sontuose. Tutto questo non derivava certo dalla produzione agricola, ma dall’artigianato diffuso. La complessità della situazione rendeva lo sviluppo dell’artigianato molto laborioso, anche se ormai non si poteva fare a meno. La missione ambrosiana nelle Alpi La missione nelle Alpi comincia con il vescovo Ambrogio di Milano che riunisce sia l’autorità episcopale sia la precedente magistratura civile. Che egli avesse coscienza dell’importanza delle Alpi è riconoscibile in discorso sul martire Satiro del 378: «Quale afflizione per te (Satiro) se ora vivessi e vedessi che ogni nostra salvezza sta nel baluardo delle Alpi e che alcuni tronchi d’alberi, accatastati nelle gole dei monti, sono l’unica barriera che ci difende dagli assalti di un nemico infame e crudele, il quale non sa perdonare né alla vita né al pudore». Dieci anni più tardi scrive a Teodosio, informandolo di aver aiutato l’esercito, inviando soldati dalle Alpi. Durante l’anno 386 fonda la diocesi di Como e insedia il vescovo Felice. Nel 387 partecipa alla ordinazione del vescovo Gaudenzio a Brescia. Nello stesso anno inaugura l’attività più decisa. Il suo intervento comprende tutta la regione: da Trento a Novara si appoggia ai vescovi locali: Vigilio di Trento, Gaudenzio di Brescia e Felice di Como. All’interno della città ha il sostegno degli artigiani e della piccola borghesia. Per attuare la sua attività egli si serve del monachesimo occidentale. A partire dal 355 il vescovo Atanasio era stato esiliato in occidente e aveva portato con sé la vita di Antonio abate, facendo emergere nei ceti cittadini un grande entusiasmo per il monachesimo. Chi raccolse la sua esperienza nell’Italia settentrionale fu il vescovo Eusebio da Vercelli, che fondò delle case di vita comune vicino alla città. Di esse ci dà notizia il Ambrogio: «Nella chiesa di Vercelli sembra che fossero richieste due cose: la continenza del ministero e la disciplina della chiesa. Infatti Eusebio per primo in occidente congiunse queste due realtà». L’istituzione ebbe un grande successo e, sebbene Eusebio fosse morto nel 371, Ambrogio riprese questo modello e lo applicò alla sua diocesi, dove istituì un monastero. Tra i monaci residenti prese i missionari da inviare nelle Alpi. Per loro venne scelto il centro di San Zeno, nella Val di Non, uno dei grandi centri siderurgici. La scelta non è affatto casuale, in quanto la stessa sopravvivenza da parte di persone che giungevano da fuori era possibile unicamente nei luoghi dove c’era una ricchezza, ed essi erano i villaggi dove si lavoravano i metalli. I tre inviati: Sisinio, Martirio e Alessandro giunsero a Trento, portando le reliquie di Gervasio e Protasio, due martiri milanesi. Essi quindi dimorarono a San Zeno per dieci anni. La loro esperienza fu troncata tragicamente nel 397, quando, durante la festa pagana degli Ambarvalia, furono uccisi. Nella descrizione del martirio, che analizzeremo più avanti, emergono le caratteristiche della loro abitazione: una casa di legno e un edificio di culto, pure in legno. Una descrizione più precisa delle case dei monaci è ricostruibile grazie al libro delle Confessioni di Agostino (8.7.15) in cui Agostino, nell’estate del 386, in un colloquio con Ponticiano, viene messo al corrente dell’esistenza di comunità monastiche in Germania. Ponticiano racconta che, trovandosi a Treviri, con alcuni funzionari della corte: «Vagando entrarono in una capanna (irruisse in quidam casam) abitata da alcuni tuoi servitori, poveri in spirito, e quelli a cui appartiene il regno dei cieli, e vi trovarono un libro su cui era scritta la vita si S. Antonio». La capanna era negli orti vicino alla città. D’altra parte Agostino aveva appena affermato: «A Milano stessa, fuori dalle mura della città, esisteva un monastero abitato da buoni fratelli sotto la guida di Sant’Ambrogio». Le stesse istituzioni, fondate da Ambrogio nelle Alpi, erano delle capanne in legno, in cui risiedevano due o tre monaci, con attigua una chiesa sempre costruita in legno. Nelle Alpi centrali ricorre il toponimo zobia, una forma storpiata di Eusebia, un neutro plurale che indica gli eusebii, i monaci che abitavano nel territorio secondo la regola di Eusebio di Vercelli. Quale fosse il lavoro di questi monaci, proprio partendo dalla presenza in un villaggio siderurgico come San Zeno, può essere visto non tanto come inserimento nel lavoro dei © Tangram 2010 fabbri, molto specializzati, ma nella produzione del carbone di legna la cui preparazione, fatta nella stagione primaverile ed estiva, non implicava una preparazione particolare e lasciava molto tempo libero. I monaci potevano essere impegnati in altri lavori. A Breghenza Colombano viene a sapere da San Gallo che alcuni monaci erano stati uccisi mentre pascolavano le mucche. Secondo Ennodio, vescovo di Pavia, il monaco Antonio passò dalla Pannonia alla Valtellina, attraverso il passo dell’Aprica e risedette per 23 anni presso la chiesa di San Fedele in Val Chiavenna, dove già esisteva una comunità monastica. Che poi tutti i monaci non fossero di buon esempio viene riconosciuto dallo stesso Ambrogio: «In alcuni luoghi, molto distanti, alcuni monaci ebbero prole con la scusa dell’Antico Testamento». L’evangelizzazione delle Alpi fu inaugurata dall’episcopato ambrosiano in accordo con i vescovi locali e si fissava nei centri artigianali, dove tutto contato la popolazione li accettava. Essi costruivano delle capanne al di fuori del villaggio e vicino a luoghi di transito, in modo da incontrare le persone. E’ necessario sottolineare che alla luce di queste notizie, la prima evangelizzazione non è avvenuta facendo uso della forza, ma lasciando all’opera di testimonianza e del dialogo la loro presenza. Evidentemente si trattava della prima parte della loro missione, durata circa un decennio. A questo punto interviene la reazione delle popolazioni e l’opera missionaria subirà una svolta fondamentale. Ma analizziamo il racconto dei martiri anauniensi. Il martirio cristiano nelle Alpi L’uccisione dei tre monaci a San Zeno coinvolse non solo l’episcopato trentino, ma ebbe una risonanza internazionale. Addirittura fu coinvolto l’arcivescovo di Costantinopoli, Giovanni Crisostomo, oltre i vescovi di tutta l’Italia settentrionale. Nella lettera del vescovo di Trento a Crisostomo si fa una descrizione del martirio. Sisinio viene colpito con una scure e con una tromba. Non muore immediatamente, ma viene portato in casa per essere assistito; nelle prime ore del mattino seguente, è trafitto nel letto. I due fratelli, Martirio e Sisinio sono sorpresi nella capanna che serviva per chiesa: Martirio è ucciso con pali, nell’orto dove si era rifugiato. Alessandro viene fatto a pezzi. I pagani saccheggiano la chiesa e trascinano i corpi per la strada fino a bruciarli. La descrizione è di fonte cristiana e mancano le testimonianze degli accusati. In ogni caso rimane l’interrogativo sulle ragioni per cui la folla sia intervenuta in un modo così violento, dal momento che la condanna mortale non avviene per una denuncia e un processo, ma per l’esaltazione di una gente inferocita. Sempre nel linguaggio episcopale del periodo Vigilio afferma che tutto questo è avvenuto allorché, durante la processione della festa degli Ambarvalia, la popolazione aveva chiesto ad alcuni neofiti cristiani di offrire delle vittime per i sacrifici. I tre monaci erano intervenuti per impedirlo. Il motivo della reazione violenta sta nel rifiuto a partecipare ad una festa della comunità, quale la preghiera per i campi durante la primavera, che si trasformerà poi nella liturgia cristiana delle rogazioni. In un secondo tempo tale pratica sarà integrata nella prassi cristiana, dimostrando come non era possibile mutare una tradizione che attingeva alla preistoria. L’atteggiamento dei tre monaci irritò profondamente la popolazione alpina. Si deve comunque notare che per un lungo periodo non era successo nulla e che la festa degli Ambarvalia era una festa annuale. Non è possibile stabilire se i neofiti fossero i primi convertiti e quindi che fossero occorsi dieci anni prima di ottenere qualche risultato. In ogni caso siamo alla fine del secolo quarto e appare che le autorità religiose non sono più disposte ad accettare dei compromessi con la religione locale. Nello stesso tempo viene sottovalutata la forza dei culti precedenti. E interessante osservare la reazione della diocesi di Trento all’avvenimento. In primo luogo si dà notizia dell’avvenimento alle comunità cristiane in un ampio raggio. Tale procedura presuppone un duplice interesse nella comunicazione. In primo luogo era diffuso in tutto il quarto secolo il culto dei martiri e le loro spoglie accreditavano la venerabilità della chiesa, dove era avvenuto il martirio. Nella comunicazione vi è quindi la gloria di una testimonianza in terra trentina di cristiani sacrificati per la fede. Si deve anche sottolineare che episodi del genere dovevano essere aboliti con la persecuzione di Diocleziano e, quindi, la possibilità che avvenissero uccisioni, in una regione appartenente all’impero, produceva un evidente sconcerto. Infine l’appello, inviato da Vigilio, era anche un invito a sostenere la chiesa da parte del potere imperiale. Le notizie finali sull’esito della vicenda non sono molto chiare. Sul luogo della uccisione viene edificata una basilica. In realtà il martirio era avvenuto davanti al tempio di Saturno. Quindi il tempio fu distrutto per costruire la chiesa. Lo studio dei luoghi archeologici all’interno delle Alpi, soprattutto dove si trovano dei santuari, testimonia un’opera distruttiva nei secoli seguenti con incendi devastazioni, decapitazione di statue. Tutto il patrimonio artistico dell’antichità romana fu praticamente cancellato. Nel caso in cui non si poteva impedire la frequentazione di alcuni luoghi, considerati sacri dalla popolazione, si costruirono dei santuari cristiani nelle vicinanze. In ogni caso l’avanzamento del cristianesimo, alla fine dell’impero © Tangram 2010 romano, nelle Alpi incontrò una serie di difficoltà che resero lento il passaggio e la conquista del territorio complessivo. Per quanto riguarda la Val Rendena e la Val di Sole il cristianesimo è arrivato al passo del Tonale nel Novecento, quindi mezzo millennio dopo gli avvenimenti della Val di Sole. In Val d’Ultimo addirittura giunse nell’undecimo secolo. La svolta della società alpina tra l’ottavo e l’undicesimo secolo Tra la fine del regno longobardo e il tardo impero carolingio le Alpi sono coinvolte in una trasformazione economica che condizionerà la loro economia per tutto il resto del medioevo e, in un certo senso, fino ai nostri. Si tratta della introduzione della ruota ad acqua. Essa era già conosciuta in epoca romana, ma è stata la regina Ansa che l’ha usata nei suoi territori bresciani. Furono in particolare i benedettini, che la adoperarono nei loro monasteri, diffusi nei territori alpini e prealpini, dopo che Carlo magno, spinto dalla chiesa di Roma, aveva affidato parte delle Alpi ai diversi monasteri francesi. Ancora una volta entra in gioco Milano con il vescovo Anghelberto, che manda due monaci francesi, Leutgario e Hildemaro, i quali avevano sperimentato l’uso della ruota ad acqua, a fondare il monastero bresciano di San Faustino. Se la ruota ad acqua muoveva lentamente i mulini, applicata ai torrenti che scendevano rapidamente dalle montagne, offriva un energia immensamente superiore a quella prodotta dal semplice sforzo umano. Una volta applicata alla lavorazione dei metalli, attraverso il maglio, offriva la possibilità di creare un numero immenso di oggetti rispetto a quelli costruiti prima. Se fino a questo momento l’Europa viveva in una profonda depressione, proprio la produzione alpina diede la possibilità di riprendere lo sfruttamento dei campi, che erano stati abbandonati, e di estendere lo spazio disponibile all’agricoltura con l’abbattimento delle foreste e ottenendo una messe agricola più abbondante. Tutti conoscono la rivoluzione agricola dell’undicesimo secolo, ma essa fu resa possibile attraverso la produzione metallurgica degli strumenti che provenivano dalle Alpi e che venivano utilizzati nei diversi lavori. Si deve riconoscere che all’inizio gli opifici appartenevano agli ordini monastici e, in un secondo tempo, anche alla nobiltà laica, ma le lavorazioni presentavano una parte di invenzione, lasciata all’intelligenza del singolo artigiano. Inoltre lo stabilirsi di abili lavoratori nel proprio territorio richiedeva l’offerta di condizioni vantaggiose da parte dei proprietari. Durante la rivoluzione agricola il dissodamento delle terre presupponeva delle condizioni per cui coloro che si recavano in un territorio da dissodare fossero emancipati dai doveri dei servi della gleba e avessero riconosciuti i diritti di uomini liberi. Lo sviluppo economico alpino comportava quindi il dispiegarsi storico in tre momenti. L’introduzione della nuova economia, da parte dei sovrani longobardi, con intenti al di fuori di ogni impegno religioso, la diffusione da parte del monachesimo benedettino, la condivisione di forme e di ordinamenti sociali nuovi da parte di tutta la popolazione europea. La svolta religiosa Nell’est Europa, nei secoli in cui si affermò la nuova economia, si assiste alla ascesa e alla fine dell’impero khazaro. Tale impero, formato da popolazioni turcomanne, si era convertito all’ebraismo, ma fu distrutto a metà del decimo secolo dall’avanzata degli slavi del regno di Kiev. I khazari si spostarono ad occidente. Prima entrarono nell’impero bizantino, quindi emigrarono in Ungheria e in Bulgaria. Non si deve dimenticare che Bizanzio arrivava a Ravenna, a Venezia e ad Aquileia. La stessa Val Venosta era sotto l’autorità del patriarcato di Aquileia. La via da Aquileia incrociava la Slovenia, la Bosnia, l’Ungheria e la Bulgaria. Alla fine dell’800 d. C. gli Ungari compirono una serie di incursioni in Italia, seguiti dai khazari, che avevano il compito di assistere il loro esercito come artigiani. I khazari avevano importanza in Ungheria in quanto il duca Taksony, era figlio di una principessa khazara. Gli Ungari compirono le loro scorrerie fino al 954, poi rientrarono in Ungheria, anche se molte famiglie, col nome Ungari, sono testimoniate in Italia anche attualmente. Il tragitto di invasione era la via Postumia, che univa Aquileia a Genova, percorrendo la pianura padana. Liutprando di Cremona, uno storico del periodo, afferma: «(Nell’899) gli Unghari, raccolta una numerosa folla, e si rivolsero verso Verona, Pavia, Treviso, Vicenza, Bergamo,Vercelli e arrivarono ai confini del Gran San Bernardo». L’attestazione di una presenza khazara in Italia è confermata sul lago di Garda, dove i nuovi venuti sono chiamati Gazari. Le leggi della comunità del Garda affermano: «Parimenti è stato determinato, che il Signor Capitanio della Riviera, sii tenuto, e debba per vincolo di giuramento scacciar dalla Comunità della Riviera tutti i Gazari, Heretici, e Patareni, inimici della Fede Christiana; e di procedere contro di quelli; e di osservare inviolabilmente tutte le disposizioni, tanto civili, quanto canoniche promulgate sopra l’Heretica malvagità, e specialmente la constitutione di Federico Imperatore fatta in favor della Fede Christiana contro essi Gazari, Heretici, e complici, o seguaci di quelli e l’istessi © Tangram 2010 s’intenda anco delli Cingari» 1 . Ancora nel 1600 sono presenti a Riva, dove sono attestati come commercianti del ferro su tutto il lago e sono chiamati Cuzeri. La loro specialità era la lavorazione del legno. Essi avevano a tracolla una bisaccia, chiamata bag, per costruire oggetti di legno. Essi arrivarono ai confini delle Alpi quando era introdotta la ruota ad acqua e costruirono i congegni che permisero di impiegare la ruota per muovere il maglio. A questo punto è necessario stabilire un rapporto tra khazari e catari. Questi ultimi si collocarono proprio nello stesso territorio. Si devono ricordare le grandi comunità di Sirmione e di Desenzano. Ebert di Shonau, nel 1152, nei Sermones contra Catharos, fa derivare il nome dal greco: katharos, puro. In realtà il termine non era di origine greca e riguardava una popolazione del Caucaso di origine turcomanna. I Catari in realtà sono derivati da khazari ed erano artigiani come loro. Anch’essi sono presenti in tutte le Alpi e di diffusero in Germania, da cui abbiamo le prime informazioni, e nella Francia meridionale, dove convertirono tutta l’Occitania. La spiritualità catara assorbe l’entusiasmo delle nuove scoperte e l’importanza dell’energia in tutto il processo religioso. Il pensiero cataro Lo studio del pensiero cataro presenta delle notevoli difficoltà, in quanto gli scritti sono stati distrutti e le testimonianze sono solo quelle estorte con la tortura dalla inquisizione. Si deve, purtroppo, osservare che spesso gli stessi studiosi della eresia sono coinvolti nel modo di ragionare degli scrittori medioevali e tendono a prendere per autentico pensiero delle comunità le affermazioni acquisite sotto la tortura. A questo proposito entra in gioco un meccanismo della comunicazione secondo il quale colui che fa le domande di fatto condiziona le risposte ed indirizza il discorso nella direzione preordinata. Pur nella distruzione delle principali opere della teologia catara e tutta la corrispondenza tra le comunità, sono state conservate e ritrovate nell’età contemporanea due opere fondamentali. Il Liber de duobus principiis, scritto da un esponente della comunità di Desenzano, e il rituale cataro, nella versione latina e occitanica. Leggendo i due testi si respira un atmosfera di grande spiritualità. E’ possibile intuire che gli incontri delle comunità implicassero un coinvolgimento profondamente emotivo. Scrive a questo proposito uno studioso: «Il catarismo non deriva da ossessioni quotidiane sul problema del male, né produce visioni pessimistiche: semmai, un distacco dal mondo terreno e dai suoi valori in vista di un mondo celeste e luminoso di valore totalmente altro. I catari annunciarono un messaggio di liberazione della parte divina di ogni individuo dalla materia-prigione. La sequela di Cristo, una scelta di penitenza e addirittura di martirio, fu la strada per togliere i vincoli di questo mondo (e della sua logica) all’anima dell’uomo puro» 2 . Nel rituale del consolamentum, l’entrata nella comunità è considerata una partecipazione alla figliolanza con Dio. Ogni fedele, in quanto figlio, «è chiamato “amore del Padre”, perciò colui che desidera ereditare, in quanto figlio, si astiene completamente dalle opere malvagie». La meditazione, proposta durante il consolamentum, sottolinea la scelta morale che deve essere seguita dal consacrato: «È necessario che ami Dio con verità, con dolcezza, che sia fedele e leale nelle cose temporali e in quelle spirituali. E’ anche necessario che non commetta mai omicidio, adulterio o furto, né pubblico né privato. Non giurare volontariamente in alcuna occasione, né sulla vita né sulla morte. Per la giustizia di Cristo bisogna che tu sopporti la fame, la sete, gli scandali, la persecuzione e la morte: sopporterai tutto ciò per amore di Dio e per la tua salvezza». L’inquisizione ha insistito molto sul dualismo cataro, mettendo in risalto la fede in due divinità, presentandola come un paganesimo. E’ interessante che una analoga accusa riguarda i cristiani, in quanto gli ebrei considerano la dottrina trinitaria una negazione del monoteismo. Gli scritti non avallano una dottrina così definita. La condanna La spinta rivoluzionaria della nuova economia, che aveva animato i secoli decimo, undicesimo e dodicesimo si allenta nei secoli successivi fino ad arrivare alla grande crisi nella prima metà del 1300, con la peste nera. A partire dal 1200 si avverte la ripresa delle antiche istituzioni. Nelle Alpi si costituiscono le signorie di passo le quali hanno tutto l’interesse ad avere l’approvazione del sacro romano impero e della chiesa di Roma. E’ interessante osservare come questa nobiltà, nata dalle riunione degli uomini liberi delle città del territorio prealpino, si è formata in un clima molto vicino ai movimenti ereticali e alle comunità ebraiche. Fondamentalmente era ghibellina ed aveva una posizione anticlericale. Nei suoi territori ospitava i dissidenti. Tuttavia nella seconda metà del secolo il successo del movimen1 In: MAGNIFICA COMUNITA’, Statuti criminali e civili della magnifica comunità della Riviera di Salò, Sala Bolognese 1986, p.77. 2 GRADO GIOVANNI MERLO, Eretici ed eresie medioevali, ed. Il Mulino, Bologna, pag. 45. © Tangram 2010 to guelfo costrinse le signorie ad un accordo con Roma e, nelle condizioni dell’accordo, viene posto l’impegno ad annullare la presenza ereticale, in modo particolare quella dei catari. Il che fu messo in pratica in maniera metodica. Nel 1278 a Verona vengono bruciati, nell’Arena, duecento catari e sono distrutte le comunità di Desenzano e Sirmione. Si può collocare in questo momento la fine delle comunità che erano sorte nelle Alpi e nella regione prealpina all’inizio del millennio. Proprio lo studio della vivacità di questi movimenti pone un problema sugli inizi della nostra letteratura: Dante, che scrive un trentennio dopo la Divina Commedia, ignora le ragioni di tutte le comunità dissidenti. Non si deve dimenticare che fu ospite dei Della Scala a Verona, che avevano bruciato i catari, e non era certo bello ricordare contraddizioni e aspetti spiacevoli a coloro che lo ospitavano. Si deve anche sottolineare che le signorie di passo e la costituzione di poteri locali legati a singole famiglie, che si erano arricchite con i commerci del ferro, si esauriranno nel Trecento con la costituzione degli stati regionali, che ingloberanno i magnati settoriali. In questo senso la storia alpina si avviava ad un lungo meriggio. Conclusione Le vicende tra la fine dell’impero romano e la costituzione delle signorie di passo testimoniano una forte presenza nella realtà alpina non solo di movimenti economici significativi, ma anche di conflitti religiosi estremamente vivaci. Tutto questo attesta una serie di comunità che hanno una forte coscienza di propri diritti e che esprimono una visione positiva del contributo che ogni individuo può portare alla società. Il rapporto con il cristianesimo non è quello della religione delle origini, ma di una chiesa che ha assunto un potere decisivo nelle Alpi e che, soprattutto nell’ultimo periodo, diventa un potere di controllo attraverso l’introduzione degli ordini francescano e domenicano. Gli elementi nuovi sono appartenenti alla categoria degli artigiani, i quali animano le diverse chiese di dissidenti. Ci si può chiedere come mai, nonostante i nuovi modelli tecnologici, tali movimenti non siano riusciti ad imporsi, anzi siano stati schiacciati e distrutti. Da un punto di vista tecnologico si deve osservare che le innovazioni si arrestarono e non si innescò un processo di crescita scientifica come avverrà nell’epoca moderna e contemporanea. Inoltre la produzione si rivolse alla agricoltura, e, in questo caso, l’ampliamento delle aree coltivabili conobbe un arresto, dal momento che l’aumento della produzione fece crollare i prezzi e quindi i guadagni. L’effetto sulla società della politica ecclesiastica del dodicesimo secolo produsse la convinzione che i conflitti si sarebbero risolti con la soppressione o l’espulsione delle minoranze. L’ideale era una società che avesse una sola direzione ed un solo pensiero. Ma proprio l’assenza di minoranze e del dialogo con chi la pensava diversamente impoverì la civiltà alpina e la rese priva non solo di idee, ma anche decadente da un punto di vista economico. © Tangram 2010