1 La Corte costituzionale dichiara infondate le questioni sollevate

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1 La Corte costituzionale dichiara infondate le questioni sollevate
La Corte costituzionale dichiara infondate le questioni sollevate con riferimento al nuovo contributo di solidarietà
di Valeria Mastroiacovo
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(Corte costituzionale, sentenza n.173 del 13 luglio 2016)
La sentenza n.173 del 2016 della Corte costituzionale ha dichiarato non fondate tutte le questioni sollevate da
varie sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti relative al cd. contributo di solidarietà, introdotto
dall’art.1, comma 486 della legge n.147/2013 (legge di stabilità 2014), limitatamente al triennio 2014 - 2016,
sulle pensioni di importo più elevato (cioè superiori da 14 a oltre 30 volte il trattamento annuo minimo Inps).
È una sentenza che si colloca a pieno titolo sulla scia di quella cd. giurisprudenza della crisi su cui molto ed
autorevolmente è stato scritto in dottrina non solo in ambito tributario, ma anche in ambito costituzionale e
giuslavoristico (sarebbe impossibile, in questo contesto, anche solo tentare una bibliografia esaustiva e,
dunque, ci limitiamo a rinviare alla nota a Corte cost. n.96/2016 di recente pubblicata sul RDT supplemento on
line da SCALINCI, La Consulta nega la natura tributaria al “taglio degli aumenti” per progressioni di carriera dei
dipendenti pubblici non togati).
Ci permettiamo sommessamente di segnalare che si tratta di una sorte che, senza straordinarie capacità
divinatorie, avevamo presagito già in occasione di un commento alla sentenza n.116 del 2013, la quale, invece,
come è noto, aveva accolto le questioni sollevate e dichiarato costituzionalmente illegittimo il differente
contributo perequativo di cui all’art.18, comma 22 bis, del d.l. n.98/2011 (sia consentito il rinvio a
MASTROIACOVO, L’uguaglianza di capacità contributiva nella prospettiva della Corte costituzionale, in Giur. cost.,
2013, 1140).
Del resto, il risalto, sia dal punto di vista sociale che economico, dato dalla stampa alla sentenza di accoglimento
del 2013, era ancora così attuale nei giorni di discussione della legge di stabilità 2014 che era stato piuttosto
semplice constatare che il legislatore si era determinato ad adottare un nuovo contributo perequativo proprio
facendo tesoro delle possibili eccezioni di incostituzionalità cui potrebbe nuovamente incorrere, provando
quindi a spostare l’intervento autoritativo dall’ambito del tributo a quello della prestazione patrimoniale
imposta non avente funzione fiscale. La nuova formulazione prevedeva infatti che per concorrere al
mantenimento dell’equilibrio del sistema pensionistico e garantire l’accesso al regime pensionistico a taluni
soggetti in condizioni peculiari, sugli importi dei trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di
previdenza obbligatoria, gli enti stessi operino a loro favore una trattenuta, ovviamente solo oltre certi
ammontari e con aliquote progressive per scaglioni. Pertanto, a differenza delle precedenti misure censurate
dalla Consulta che prevedevano, per ragioni di stabilizzazione finanziaria, la destinazione al bilancio dello Stato
degli importi non erogati, la nuova disciplina disponeva che le somme derivanti dalle trattenute restavano
acquisite alla gestione previdenziale che eroga il trattamento per finalità specificamente pensionistiche.
Al riguardo avevamo osservato che “in verità non si può affermare con certezza che tale formulazione consenta
di relegare il nuovo contributo all’ambito delle prestazioni patrimoniali imposte senza rinvenirvi una funzione
fiscale”. Ed infatti, assumendo come valido il cd. criterio oggettivo di identificazione della spesa pubblica,
diretta al soddisfacimento di interessi generali della collettività a prescindere dalla natura del soggetto che
acquisisce l’entrata, e ribadendo la natura tributaria degli strumenti attuativi dell’art.38 cost. in quanto diretti
all’attuazione di quei doveri di solidarietà che non possono prescindere dall’art.53 cost., si torna pressoché al
punto di partenza dal quale si era mossa la Corte costituzionale in occasione della sentenza di accoglimento
n.116 del 2013.
Tuttavia avevamo concluso che <il legislatore confida in una diversa giurisprudenza della Consulta che,
pronunciandosi su misure analoghe, ha affermato che esse sfuggissero alla censura d’irragionevolezza in
quanto, non potendo essere configurate come contributi previdenziali in senso tecnico, vanno inquadrate nel
2 genus delle prestazioni patrimoniali imposte per legge, di cui all’art.23 cost., costituendo una prestazione avente
la finalità di contribuire agli oneri finanziari del regime previdenziale dei lavoratori, “con la conseguenza che
l’art.53 cost. deve ritenersi inconferente, siccome riguardante la materia dell’imposizione tributaria in senso
stretto” (C. cost. n.22/2003 e n.167/2007)>. Al di là della questione di fondo circa la definizione di contributo
previdenziale e, correlativamente, la sua ascrivibilità al novero dei tributi, ciò che lascia perplessi della
menzionata giurisprudenza è la perentoria affermazione per cui la norma denunciata “sfugge alla censura di
irragionevolezza avanzata nel presupposto che si tratti di un contributo di natura tributaria, laddove la
contestata scelta discrezionale del legislatore è stata operata in attuazione dei principi solidaristici dell’art.2
cost. attraverso l’imposizione di un’ulteriore prestazione patrimoniale gravante solo su alcuni trattamenti
obbligatori che superino un certo ammontare stabilito dalla legge al fine di concorrere al finanziamento dello
stesso sistema previdenziale” (C. cost. n.22/2003). Tale posizione non convince: ritenere sufficiente che la
decurtazione patrimoniale sia disposta per legge e sia in attuazione del principio di solidarietà, significherebbe
ammettere un ambito delle prestazioni patrimoniali imposte sottratto al vaglio della ragionevolezza, lasciando
all’arbitrio della fonte autoritativa il raggiungimento dello scopo, essenzialmente in funzione dell’efficacia dei
mezzi prescelti.
In effetti dall’esame della motivazione della sentenza n.173 del 2016 emerge in primo luogo l’infondatezza della
questione sollevata con riferimento all’art.136 cost., dell’elusione del giudicato costituzionale per sostanziale
identità della fattispecie normativa prevista dal comma 486 citato rispetto al predetto art.18 dichiarato
appunto illegittimo dalla sent. n.116 del 2013. Afferma infatti la Consulta che il contributo di solidarietà in
questione non colpisce le pensione erogate negli anni 2011-2012 oggetto della precedente pronuncia, ma
“sulla base di differenti presupposti e finalità” pensioni di elevato importo nel successivo periodo a partire dal
2014.
In secondo luogo la Corte ha escluso che il prelievo attuato mediante il contributo di solidarietà rivesta natura
d’imposta non essendo acquisito allo Stato, né essendo destinato alla fiscalità generale ed essendo, invece,
prelevato in via diretta dall’Inps e dagli altri enti previdenziali coinvolti, i quali – anziché versarlo all’Erario in
qualità di sostituti di imposta – lo trattengono all’interno delle proprie gestioni, con specifiche finalità
solidaristiche endo-previdenziali, anche in relazione a scopi predeterminati (come nel caso dei cd. esodati). La
negazione della natura di tributo è nella giurisprudenza della Corte – come già sopra accennato – funzionale ad
affermare l’inconferenza dell’art.53 cost. (anche per ciò che attiene all’uso ragionevole dei poteri discrezionali
del legislatore riguardo alla coerenza interna della struttura del tributo con il suo presupposto e, dunque, in
sostanza, al tema della uguaglianza di capacità contributiva) e ricondurre unicamente al vaglio di ragionevolezza
ed efficienza in relazione allo scopo solidaristico la valutazione di legittimità della prestazione patrimoniale
imposta. In questo senso nella stessa motivazione viene richiamato l’antecedente storico più prossimo al
contributo di solidarietà in questione (art.37 della legge n.488/1999) su cui si è consolidata la giurisprudenza
sopra menzionata (per l’appunto richiamata in sentenza).
La legittimità del contributo di solidarietà, dunque, - a detta della Corte - deve essere vagliata unicamente alla
luce dei canoni di ragionevolezza, affidamento e tutela previdenziale (artt.3 e 38 cost.) secondo il cd. scrutinio
stretto di costituzionalità che “impone un grado di ragionevolezza complessiva ben più elevato di quello che, di
norma, è affidato alla mancanza di arbitrarietà”. A ben vedere tale argomento vale a concentrare, come
accennato, la verifica della ragionevolezza sul grado di efficacia della misura prescelta rispetto allo scopo della
solidarietà previdenziale.
Ed infatti, anche nella sentenza n.173 la Consulta afferma che per superare un tale scrutinio stretto di
costituzionalità il contributo deve operare all’interno del complessivo sistema della previdenza; essere imposto
3 dalla crisi contingente e grave del predetto sistema; incidere sulle pensioni più elevate in rapporto alle pensioni
minime; presentarsi come prelievo sostenibile; rispettare il principio di proporzionalità; essere comunque
utilizzato come misura una tantum, nel senso che “non può essere ripetitivo e tradursi in un meccanismo di
alimentazione del sistema previdenziale”.
All’esito di tale verifica la Corte costituzionale conclude che nel caso di specie, sia pur al limite, tali condizioni
appaiono rispettate e dunque dichiara infondate tutte le residue questioni formulate.
Dalle brevi considerazioni che precedono sembra allora del tutto scontato concludere nihil sub sole novum: la
Corte costituzionale, forte della sua consolidata giurisprudenza, insiste sulla negazione della natura di tributo a
certe forme di contribuzione riferibili a livelli intermedi dell’organizzazione della Comunità statuale, facendo da
ciò discendere un mero vaglio di ragionevolezza del meccanismo di solidarietà rispetto allo scopo; il legislatore
dal canto suo – anche memore delle avverse sorti di un diverso procedere – fa tesoro di questa interpretazione
e opera conseguentemente le proprie scelte.
In questo panorama di sostanziale immobilità, solo negli auspici della dottrina viene riproposto il tema
dell’effettiva natura tributaria di forme di contribuzione previdenziale ancorché relegate ad un circuito sub
statale soprattutto qualora, come nel caso di specie, l’ambito soggettivo coinvolto appare decisamente ampio e
pressoché totalitario e l’ambito oggettivo è strutturato in modo tale da concorrere al bilancio aggregato dello
Stato. Del resto, proprio nella pressante consapevolezza della crisi economica, appare sempre più attuale la
necessità di un nuovo patto di solidarietà con le generazioni future, come misura strutturale (non invece
contingente e straordinaria pena la sua illegittimità), che renda sistematiche, anche in relazione al sistema
tributario, forme di contribuzione comunque funzionali all’interesse generale.