FONDAZIONE PRADA OSSERVATORIO: GIVE ME YESTERDAY

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FONDAZIONE PRADA OSSERVATORIO: GIVE ME YESTERDAY
FONDAZIONE PRADA OSSERVATORIO: GIVE ME YESTERDAY
Fondazione Prada apre Osservatorio, un nuovo spazio espositivo dedicato alla fotografia e
ai linguaggi visivi, in Galleria Vittorio Emanuele II a Milano dal 21 dicembre 2016.
Osservatorio è un luogo di esplorazione e indagine delle tendenze e delle espressioni della
fotografia contemporanea, della costante evoluzione del medium e delle sue connessioni
con altre discipline e realtà creative. In un momento storico in cui la fotografia è parte
integrante del globale flusso di comunicazione digitale, Fondazione Prada, attraverso le
attività di Osservatorio, si interroga su quali siano le implicazioni culturali e sociali della
produzione fotografica attuale e della sua ricezione. Si estende così il repertorio di modalità
e strumenti con i quali la Fondazione interpreta e si relaziona con il presente.
Ospitato al quinto e sesto piano di uno degli edifici centrali, Osservatorio si trova al di sopra
dell’ottagono, al livello della cupola in vetro e ferro che copre la Galleria realizzata da
Giuseppe Mengoni tra il 1865 e il 1867. Gli ambienti, ricostruiti nel secondo dopoguerra a
seguito dei bombardamenti che hanno colpito il centro di Milano nel 1943, sono stati
sottoposti a un restauro che ha reso disponibile una superficie espositiva di 800 m2
sviluppata su due livelli.
La programmazione di Osservatorio si apre con la mostra “Give Me Yesterday”, a cura di
Francesco Zanot, che si svolge dal 21 dicembre 2016 al 12 marzo 2017. In un percorso che
comprende più di 50 lavori di 14 autori italiani e internazionali (Melanie Bonajo, Kenta
Cobayashi, Tomé Duarte, Irene Fenara, Lebohang Kganye, Vendula Knopová, Leigh Ledare,
Wen Ling, Ryan McGinley, Izumi Miyazaki, Joanna Piotrowska, Greg Reynolds, Antonio
Rovaldi, Maurice van Es), il progetto esplora l’uso della fotografia come diario personale in
un arco di tempo che va dall’inizio degli anni Duemila a oggi.
In un contesto caratterizzato dalla presenza pervasiva di dispositivi fotografici e da una
circolazione ininterrotta di immagini prodotte e condivise grazie alle piattaforme digitali, una
generazione di giovani artisti ha trasformato il diario fotografico in uno strumento di messa in
scena della propria quotidianità e dei rituali della vita intima e personale. Consapevoli delle
ricerche di autori come Nan Goldin e Larry Clark negli Stati Uniti o Richard Billingham e
Wolfgang Tillmans in Europa, i fotografi presentati in “Give Me Yesterday” sostituiscono
l'immediatezza e la spontaneità dello stile documentario con un controllo estremo dello
sguardo di chi osserva ed è osservato. Creano così un nuovo diario nel quale si confonde la
fotografia istantanea con quella allestita, si imita la catalogazione ripetitiva del web e si usa
la componente performativa delle immagini per affermare un'identità individuale o collettiva.
La produzione di Ryan McGinley (Stati Uniti, 1977) avvia nei primi anni Duemila questo
passaggio da un approccio alla fotografia immediato a uno più studiato che annulla la
credibilità del diario spontaneo e naturale. Dopo aver ritratto i propri amici in situazioni
private e scabrose all’interno delle loro case o nei club di New York, nelle serie successive
McGinley mette a punto delle calcolate rappresentazioni che celebrano la nudità dei loro
corpi immersi nella bellezza della natura. Nasce così un nuovo tipo di racconto che può
assumere caratteristiche grottesche. È il caso di Melanie Bonajo (Olanda, 1978), intenta a
fotografarsi ogni volta che piange creando un paradossale inventario di selfie, di Tomé
Duarte (Portogallo, 1979), i cui autoritratti sono realizzati mentre indossa i vestiti della propria
ex compagna nel tentativo di riconnettersi con lei e con la propria identità e di Izumi Miyazaki
(Giappone 1994) che si autorappresenta in situazioni ironiche e surreali. La protagonista
delle fotografie di Leigh Ledare (Stati Uniti, 1976) è invece la madre, colta in situazioni intime
o in ritratti posati che esprimono la complessità delle relazioni familiari, acquisendo
contemporaneamente un valore artistico e terapeutico. Anche i lavori di Lebohang Kganye
(Sudafrica, 1990) si basano sulla figura materna, ma in una chiave completamente diversa.
L’artista inserisce digitalmente la propria immagine all’interno di vecchie istantanee della
madre scomparsa, evidenziando l’importanza della fotografia come archivio. Maurice van Es
(Olanda, 1984), invece, fotografa oggetti e vestiti riordinati dalla madre nella propria casa,
facendone delle eleganti sculture involontarie. Kenta Cobayashi (Giappone, 1992) esplora le
numerose possibilità di trasformazione dell’immagine digitale, sottoponendola a un processo
di manipolazione che ne afferma la fragililtà e l'instabilità. Vendula Knopová (Repubblica
Ceca, 1987) riflette sulla permeabilità tra sfera pubblica e privata sfruttando un immaginario
codificato come quello dell'album di famiglia. Attraverso la creazione di uno tra i primi blog
fotografici cinesi, Wen Ling (Cina, 1976) documenta quotidianamente le relazioni, i luoghi e
le abitudini di una ristretta comunità di amici e familiari. Joanna Piotrowska (Polonia, 1985)
applica la filosofia dello psicologo tedesco Bert Hellinger per indagare il tema dei traumi
familiari in una serie di ritratti collettivi attentamente calibrati, mentre Irene Fenara (Italia,
1990), in un esercizio ugualmente basato su fondamenti scientifici, indica nelle sue fotografie
la distanza misurata in centimetri tra l’obiettivo e il soggetto fotografato, creando un
parallello tra prossimità fisica e vicinanza emotiva. Greg Reynolds (Stati Uniti, 1958) presenta
a più di trent’anni di distanza le fotografie realizzate durante i campi estivi promossi da
un’organizzazione cristiana evangelica, abbandonata nel 1983 dopo essersi dichiarato
omosessuale. Solo oggi l’autore realizza che quella documentazione fotografica gli
permetteva di esprimere una verità impossibile da rivelare pubblicamente. Tra il 2011 e il
2015 Antonio Rovaldi (Italia, 1975) ha scattato decine di immagini di orizzonti che accostate
tra loro esprimono una personale visione di paesaggio e tracciano i confini di un ideale
viaggio in Italia.
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GIVE ME YESTERDAY
Francesco Zanot, curatore della mostra
Il diario fotografico nasce nel momento in cui la fotografia esce dagli studi dei professionisti
ed entra nelle abitazioni. È la fine dell’Ottocento: si inaugura allora l’inestinguibile rapporto
tra questo linguaggio espressivo e la quotidianità. Il principale contenitore deputato a
raccoglierne i risultati è l’album di famiglia. A parte alcune celebri eccezioni, tra cui spicca il
nome di Jacques Henri Lartigue (nato nel XIX secolo ma esposto per la prima volta in una
grande personale al MoMA nel 1963), questo soggetto irrompe prepotentemente tra i
fotografi di ricerca a cominciare dagli anni Sessanta, quando tutto ciò che è ordinario,
banale, popolare, massificato, viene finalmente sdoganato nel mondo dell’arte e della
cultura. Tra i capisaldi di questa tendenza, declinata in modi e tempi diversi, ci sono Larry
Clark e Nan Goldin negli Stati Uniti, Wolfgang Tillmans e Richard Billingham in Europa. A
unirli non c’è solo una incondizionata schiettezza dello sguardo, ma anche l’orizzontalità del
rapporto con i propri referenti: fotografi e soggetti, in pratica, stanno sullo stesso piano.
Appartengono allo stesso universo. Il loro lavoro si svolge all’interno di un gruppo di pari.
Sulla scorta di queste esperienze già storicizzate, dagli anni Duemila una nuova generazione
di fotografi, impegnati a investigare il proprio universo privato, è cresciuta parallelamente alla
proliferazione di piattaforme digitali basate essenzialmente sulla condivisione di immagini. La
maggiore consapevolezza riguardo l’onnipresenza della macchina fotografica nella vita di
tutti i giorni porta alla diffusione di un atteggiamento di costante tensione recitativa e
performativa. Nelle loro mani il diario fotografico non è più pura registrazione dei fatti nel
rispetto delle regole dello stile documentario, ma frutto di una continua messa in scena, più o
meno complessa e articolata, che mira a ricostruire in maniera selettiva alcuni aspetti del
quotidiano. L’immediatezza del gesto fotografico viene inclusa entro una progettualità
sempre più stringente. Aumenta il controllo: del fotografo, che stabilisce un processo a
tavolino; del soggetto, che conosce le regole del gioco. L’introspezione si mescola con
l’etnografia, la ricerca sociale, il teatro. Tutto ciò non si traduce in un generale
raffreddamento dei toni, ma conduce all’accostamento di livelli di lettura e approfondimento
tenuti precedentemente separati. All’immersione nell’intimità dell’autore si affianca uno
studio: di individui, gruppi, relazioni interpersonali e dello stesso linguaggio fotografico
utilizzato per rappresentare tutto questo.
Le immagini del “nuovo diario” costituiscono così una combinazione del tutto inedita tra
fotografia istantanea e allestita: in alcuni casi esibiscono una composta bellezza che non
appartiene alla tradizione dello snapshot, altre volte sono riunite in progetti organizzati
secondo schemi modulari e ripetitivi tipici della rete, presentandosi sotto forma di inventari
che riprendono e attualizzano la tradizione della fotografia tipologica.
Si tratta di una modalità completamente originale di raccontarsi: il diario spontaneo e
naturale, paradossalmente, non è più credibile. La verosimiglianza, oggi, dipende
dall’adozione di codici condivisi e diffusi collettivamente, che i fotografi dell’ultima
generazione assimilano e rielaborano per offrire uno spaccato delle proprie vite.
GIVE ME YESTERDAY
Presentazione della mostra
La mostra raccoglie i lavori di 14 autori, ognuno dei quali costituisce un campione di una
specifica modalità di utilizzo della fotografia come diario personale dai primi anni Duemila
fino a oggi.
Articolata sui due livelli dell’Osservatorio, l’esposizione si apre con alcuni progetti che
pongono le fondamenta del “nuovo diario fotografico”, realizzati nella prima parte del
periodo considerato: le immagini di Ryan McGinley combinano naturalezza e messa in scena,
originando una tipologia inedita di documentario personale; Leigh Ledare mescola in modo
simile i codici dello snapshot e del ritratto posato in una serie interamente dedicata alla
madre; Wen Ling avvia nel 2001 il primo photoblog cinese, sfruttando l’enorme potenziale
della rete per trasformare in tempo reale gesti minimi e banali in eventi di pubblico dominio.
Sullo stesso piano, i lavori di Maurice van Es e Vendula Knopová, più recenti, discendono da
un precedente noto, il ready-made. In entrambi i casi è la madre dell’artista a fornire il
materiale di partenza del progetto: pile ordinate di oggetti domestici nel caso di van Es, un
hard-disk riempito di immagini di famiglia per Knopová.
La seconda sezione della mostra, allestita al piano superiore, presenta lavori in cui l’aspetto
progettuale è ancora più evidente, affermandosi come una delle caratteristiche chiave di
questo indirizzo di ricerca, che sovraimpone alla spontaneità della cronaca di ogni giorno
una ponderata griglia strutturale e concettuale. A questa evidenza si affiancano
l’applicazione di un metodo modulare, ripetitivo e in parte scientifico (Irene Fenara, Joanna
Piotrowska, Antonio Rovaldi), il ricorso all’archivio come innesco di un processo di rilettura e
attualizzazione (Lebohang Kganye, Greg Reynolds), la combinazione tra realtà e
manipolazione digitale (Kenta Cobayashi), fino alla vasta proliferazione dell’autoritratto,
element fondante dell’immaginario dei social network, cui viene dedicata un’intera parete
(Melanie Bonajo, Tomé Duarte, Izumi Miyazaki).
Mescolate e alternate tra loro senza un preciso andamento cronologico, le fotografie dei
diversi autori in mostra sono esposte su un unico lato dello spazio espositivo, dando luogo
sui due livelli dell’Osservatorio a una sorta di grande e ininterrotto murale che, nel costituire
una pagina aperta per lo studio dello statuto e della ricerca fotografica nel nuovo millennio,
fornisce una multiforme narrazione della quotidianità a ogni latitudine.
Melanie Bonajo
Per realizzare Thank You for Hurting Me I Really Needed It, Melanie Bonajo (Heerlen, Olanda,
1978) si è fotografata ogni volta che ha pianto tra il 2001 e il 2011. A un gesto istintivo e
incontrollato ha quindi contrapposto una rigorosa disciplina. Il risultato sono oltre 60
immagini che mettono in collisione la tradizione della fotografia tipologica (Blossfeldt,
Sander, Richter…) con la pratica del selfie, dando vita a un catalogo di autentici anti-selfie.
Kenta Cobayashi
Le opere di Kenta Cobayashi (Kanagawa, Giappone, 1992), frutto di evidenti manipolazioni
di immagini della sua quotidianità, sono una riflessione sulla fragilità e l’instabilità di ogni
fotografia nell’era del digitale, quando ripresa e postproduzione costituiscono due fasi dello
stesso processo. Nessuna fotografia è più definitiva: ciò che vediamo è soltanto una delle
innumerevoli varianti possibili.
Tomé Duarte
Camera Woman è un progetto sviluppato in meno di 24 ore da Tomé Duarte (Porto,
Portogallo, 1979) che, in una giornata di fine estate del 2015, ha realizzato una serie di
autoritratti vestito con gli abiti che la ex compagna aveva appena lasciato a casa sua. A
metà tra performance e tranche de vie, il suo lavoro consiste innanzitutto in un travolgente
gesto liberatorio.
Irene Fenara
Ho preso le distanze è una serie di Polaroid che ritrae familiari, amici e conoscenti di Irene
Fenara (Bologna, Italia, 1990), ciascuno messo in posa a una distanza corrispondente al
proprio rapporto con l’artista. La fotografia si trasforma così in strumento di misurazione dei
legami interpersonali, in cui lo spazio fisico riflette quello emotivo, offrendo una sintesi del
complesso universo relazionale dell’autrice.
Lebohang Kganye
La serie Her-story nasce dalla necessità di Lebohang Kganye (Johannesburg, Sudafrica,
1990) di riconnettersi con le proprie radici. L’artista preleva dagli album di famiglia alcune
fotografie della madre appena scomparsa e, inserendo digitalmente il proprio ritratto al loro
interno, si mette al suo fianco, a volte negli stessi abiti trovati negli armadi di casa e
compiendo gli stessi gesti. Da traccia del passato, la fotografia si trasforma in spazio di
condivisione sempre aperto e abitabile.
Vendula Knopová
I materiali di Tutorial provengono da un’unica fonte: l’hard-disk della madre di Vendula
Knopová (Usti nad Orlici, Repubblica Ceca, 1987). L’artista seleziona una serie di fotografie
al suo interno per farne il materiale di partenza di una nuova narrazione familiare,
intervenendo direttamente sulle immagini originali per dare vita a un universo tanto reale
quanto assurdo e stravagante.
Leigh Ledare
Tina, la madre di Leigh Ledare (Seattle, USA, 1976), è protagonista della serie Pretend You’re
Actually Alive, realizzata tra il 2000 e il 2008. Qui il fotografo alterna fotografie posate a
situazioni intime e private, fino ad alcune scene di sesso di Tina con compagni e sconosciuti.
Trasgredendo i tabù della struttura familiare, il fotografo giunge così a un ritratto ricco e
sfaccettato della donna, evidenziandone desideri, virtù, anomalie e fragilità.
Wen Ling
Nel 2001 Wen Ling (Pechino, Cina, 1976) inaugura il primo blog fotografico cinese,
Ziboy.com, attivo fino al 2008. Al suo interno registra in brevi sequenze di immagini tutto ciò
che osserva nella sua quotidianità, dagli amici alla famiglia, dalle strade di Pechino ai
concerti rock. Come in una sorta di soap opera riveduta e corretta, la vita di una piccola
comunità viene messa così a disposizione di un pubblico sempre più allargato e diffuso.
Ryan McGinley
Dopo aver fotografato la quotidianità del proprio gruppo di amici per le strade, nei club e
nelle case di New York, seguendoli fin dentro i bagni e sotto le coperte, nel 2004 Ryan
McGinley (Ramsey, New Jersey, USA, 1977) organizza alcune sessioni di ripresa con gli
stessi soggetti in situazioni parzialmente controllate. È un cambiamento radicale e inedito: il
diario si mescola con la messinscena. La prima serie di immagini che realizza in questo modo
è ambientata nella natura, da cui deriva un senso di libertà, pace e abbandono.
Izumi Miyazaki
Izumi Miyazaki (Tokyo, Giappone, 1994) inizia a pubblicare i suoi autoritratti sulla piattaforma
di blogging Tumblr nel 2012, conquistando rapidamente l’interesse del pubblico, prima
giapponese, poi internazionale. Le sue fotografie sono il risultato di interventi digitali che
inseriscono la sua figura, a volte scomposta e moltiplicata, in un universo surreale, insieme
onirico e sintetico, ironico e perturbante. Durante il periodo di apertura della mostra, il blog
di Miyazaki si aggiornerà con alcune nuove immagini realizzate appositamente,
modificandosi e crescendo progressivamente nel corso del tempo.
Joanna Piotrowska
Frowst è un progetto sulle tensioni che stanno alla base delle relazioni familiari. Per
realizzarlo Joanna Piotrowska (Varsavia, Polonia, 1985) ha chiesto ai soggetti di compiere
davanti alla macchina fotografica alcuni gesti tipici della loro intimità integrandoli con una
serie di movimenti tratti dalla terapia dello psicologo tedesco Bert Hellinger, finalizzati a
rivelare e trattare i traumi sommersi. Ne scaturiscono immagini dalla forte valenza scultorea
che uniscono un distacco rigoroso all’inquietudine delle pulsioni umane.
Greg Reynolds
Jesus Days è una raccolta di immagini riprese da Greg Reynolds (Lexington, Kentucky, USA,
1958) tra il 1978 e il 1983 mentre lavorava come giovane pastore presso un’organizzazione
cristiana evangelica, abbandonata dopo essersi dichiarato omosessuale, per trasferirsi a
New York e studiare cinema. Le fotografie, che gli avevano consentito di esprimere ciò che
non era riuscito a esternare diversamente, sono state riscoperte recentemente dallo stesso
autore che, trattandole come materiale d’archivio, le ha restaurate, selezionate e pubblicate
nel suo primo libro nel 2014.
Antonio Rovaldi
Orizzonte in Italia è il frutto di due viaggi in bicicletta compiuti da Antonio Rovaldi (Parma,
Italia, 1975): il primo, durato due mesi nell’estate 2011, intorno al perimetro della penisola
italiana; il secondo, di due settimane nel 2014, lungo la costa della Sardegna. In queste
occasioni Rovaldi ha realizzato decine di immagini dell’orizzonte che, accostate tra loro,
formano una linea quasi ininterrotta tra mare e cielo, che racchiude un’intera nazione e la
propria epica avventura.
Maurice van Es
To Me You Are a Work of Art è una serie di cinque fotografie che Maurice van Es (Rijnsburg,
Olanda, 1984) ha realizzato nella propria abitazione a oggetti e abiti riordinati dalla madre.
Con questo semplice gesto carico di calore ed empatia, installazioni effimere e involontarie
si trasformano in calibrate sculture che, come gli utensili di Walker Evans e le archeologie
industriali di Bernd e Hilla Becher, rimandano alle trame dell’arte contemporanea.
GIVE ME YESTERDAY
Lista delle opere in mostra
Quinto Piano
Ryan McGinley
Tim Falling, 2003
stampa cromogenica
101,5 x 76 cm
Courtesy Team Gallery, New York
[37]
Tree #3, 2003
stampa cromogenica
183 x 122 cm
Courtesy Team Gallery, New York
[38]
Dakota (Hair), 2004
stampa cromogenica
76 x 101,5 cm
Courtesy Team Gallery, New York
[39]
Jake (Floor), 2004
stampa cromogenica
76 x 101,5 cm
Courtesy Team Gallery, New
[40]
Mom with Hand on Bed, 2006
stampa cromogenica
85 x 67 cm
Collezione privata, Milano
[32]
Tina and me on bed, 2006
stampa cromogenica
37 x 55 cm
Guido Costa Projects
[33]
Fur is Faboulus, 2008
stampa ai sali d’argento
23 x 33 cm
Courtesy l’artista, Office Baroque, Bruxelles e
Jaques Verhaegen
[34]
Wen Ling
Ziboy.com, 2001–08
stampa a getto d’inchiostro
dimensioni variabili Courtesy l’artista
[35]
Leigh Ledare
Glossy, 2002
stampa alla gelatina d’argento
56,6 x 44,6 x 4,4 cm (con cornice)
Courtesy l’artista e Office Baroque, Bruxelles
[29]
Mom with Mask, 2002
Stampa cromogenica
60 x 90 cm
Guido Costa Projects
[30]
Mom As Baby Jane, 2004
stampa cromogenica
164 x 127 cm
Guido Costa Projects
[31]
Maurice van Es
To Me You Are a Work of Art, 2011
stampa Ultrachrome su carta Matte
46,5 x 61,5 cm
© Maurice van Es
[49]
To Me You Are a Work of Art, 2011
stampa Ultrachrome su carta Matte
46,5 x 61,5 cm
© Maurice van Es
[50]
To Me You Are a Work of Art, 2011
stampa Ultrachrome su carta Matte
46,5 x 61,5 cm
© Maurice van Es
[51]
Camera Woman, 2015
stampa Xerox
92 x 130 cm
Courtesy l’artista
[11]
To Me You Are a Work of Art, 2011
stampa Ultrachrome su carta Matte
46,5 x 61,5 cm
© Maurice van Es
[52]
Camera Woman, 2015
stampa Xerox
92 x 130 cm
Courtesy l’artista
[12]
To Me You Are a Work of Art, 2011
stampa Ultrachrome su carta Matte
46,5 x 61,5 cm
© Maurice van Es
[53]
Camera Woman, 2015
stampa Xerox
92 x 130 cm
Courtesy l’artista
[13]
Vendula Knopová
Tutorial, 2015
video
4’ 51’’
© Vendulá Knopova
[28]
Camera Woman, 2015
stampa Xerox
92 x 130 cm
Courtesy l’artista
[14]
Camera Woman, 2015
stampa Xerox
92 x 130 cm
Courtesy l’artista
[15]
Sesto piano
Irene Fenara
Ho preso le distanze, 2013
Polaroid (33 fotografie)
11 x 9 cm (ciascuno)
Courtesy l’artista
[17]
Tomé Duarte
Camera Woman, 2015
stampa Risograph
30 x 40 cm (cornice)
Courtesy l’artista
[9]
Camera Woman, 2015
stampa Xerox
92 x 130 cm
Courtesy l’artista
[10]
Camera Woman, 2015
stampa Xerox
92 x 130 cm
Courtesy l’artista
[16]
Izumi Miyazaki
izumimiyazaki.tumblr.com, 2016
blog
Courtesy l’artista
[41]
Melanie Bonajo
Thank You for Hurting Me I Really Needed It,
2008–16
wallpaper
dimensioni variabili
Courtesy l’artista e Akinci Gallery, Amsterdam
[1]
Lebohang Kganye
Her-story: Ka mose wa malomo kwana 44 I,
2013
stampa a getto d’inchiosto su carta in fibra di
cotone
21 x 15 cm
© Lebohang Kganye, Courtesy Afronova
Gallery
[18]
Her-story: Ke bala buka ke apere naeterese II,
2013
Stampa a getto d’inchiosto su carta in fibra di
cotone
21 x 15 cm
© Lebohang Kganye, Courtesy Afronova
Gallery
[19]
Her-story: Kwana Germiston bosiu I, 2013
stampa a getto d’inchiosto su carta in fibra di
cotone
21 x 15 cm
© Lebohang Kganye, Courtesy Afronova
Gallery
[20]
Her-story: Re tantshetsa phaposing ya sekolo
II, 2013
stampa a getto d’inchiosto su carta in fibra di
cotone
21 x 15 cm
© Lebohang Kganye, Courtesy Afronova
Gallery
[21]
Her-story: Moketeng wa letsatsi la tswalo la ho
qala wa moradi waka II, 2013
stampa a getto d’inchiosto su carta in fibra di
cotone
21 x 15 cm
© Lebohang Kganye, Courtesy Afronova
Gallery
[24]
Her-story: Moketeng wa letsatsi la tswalo la
motswalle II, 2013
stampa a getto d’inchiosto su carta in fibra di
cotone
21 x 15 cm
© Lebohang Kganye, Courtesy Afronova
Gallery
[25]
Her-story: Re shapa setepe sa lenyalo II, 2013
stampa a getto d’inchiosto su carta in fibra di
cotone
21 x 15 cm
© Lebohang Kganye, Courtesy Afronova
Gallery
[26]
Her-story: Setupung sa kwana hae II, 2013
stampa a getto d’inchiosto su carta in fibra di
cotone
21 x 15 cm
© Lebohang Kganye, Courtesy Afronova
Gallery
[27]
Ryan McGinley
Her-story: Ke bapala seyalemoya bosiu ka
naeterese I, 2013
stampa a getto d’inchiosto su carta in fibra di
cotone
21 x 15 cm
© Lebohang Kganye, Courtesy Afronova
Gallery
[22]
Gloria, 2003
stampa cromogenica
76 x 101,5 cm
Courtesy Team Gallery, New York
[36]
Her-story: Ke dutse pela dipalesa II, 2013
stampa a getto d’inchiosto su carta in fibra di
cotone
21 x 15 cm
© Lebohang Kganye, Courtesy Afronova
Gallery
[23]
XVI Frowst, 2013–14
stampa alla gelatina d’argento
30 x 25 cm
Courtesy l’artista
[42]
Joanna Piotrowska
XVII Frowst, 2013–14
stampa alla gelatina d’argento
30 x 25 cm
Courtesy l’artista
[43]
Captures, 2016
stampa a getto d’inchiostro
270 x 95 cm
Courtesy of G/P Gallery, Tokyo
[5]
XXI Frowst, 2013–14
stampa alla gelatina d’argento
80 x 100 cm
Courtesy l’artista
[44]
Kunugi, #smudge, 2016
stampa a getto d’inchiostro
75 x 50 cm
Courtesy of G/P Gallery, Tokyo
[6]
XXV Frowst, 2013 – 14
stampa alla gelatina d’argento
80 x 100 cm
Courtesy l’artista
[45]
Orange Blind, #smudge, 2016
stampa a getto d’inchiostro
75 x 50 cm
Courtesy of G/P Gallery, Tokyo
[7]
XXXIII Frowst, 2013 – 14
stampa alla gelatina d’argento
100 x 80 cm
Courtesy l’artista
[46]
Smoking (KENT), #smudge, 2016
stampa a getto d’inchiostro
75 x 50 cm
Courtesy of G/P Gallery, Tokyo
[8]
Greg Reynolds
Antonio Rovaldi
Jesus Days, 1978–1983, 2016
successione di slide con suono
© Greg Reynolds / Kentucky / New York / Berlin
[47]
Orizzonte in Italia (dalla serie), 2011-2015
92 stampe a getto d’inchiostro
44 x 31 cm (cornice)
© Antonio Rovaldi; The Goma/Madrid; Galleria
Michela Rizzo
[48]
Kenta Cobayashi
Sleeping, #smudge #spray, 2015
stampa a getto d’inchiostro
75 x 50 cm
Courtesy G/P Gallery, Tokyo
[2]
Captures, 2016
stampa a getto d’inchiostro
270 x 95 cm
Courtesy G/P Gallery, Tokyo
[3]
Captures, 2016
stampa a getto d’inchiostro
270 x 95 cm
Courtesy of G/P Gallery, Tokyo
[4]
Fondazione Prada Osservatorio (Galleria Vittorio Emanuele II, Milano)
GIORNI E ORARI DI APERTURA
Da lunedì a venerdì, dalle 14 alle 20
Sabato e domenica, dalle 10 alle 20
La biglietteria rimane aperta fino a un’ora prima della chiusura
BIGLIETTI
Intero 10 euro
Ridotto 8 euro (studenti fino ai 26 anni, possessori tessere FAI, accompagnatori visitatori diversamente
abili, gruppi dalle 15-25 persone)
Gratuito (visitatori sotto i 18 e sopra i 65 anni, visitatori diversamente abili, giornalisti accreditati o in
possesso di tessera stampa in corso di validità)
L’acquisto del biglietto alla Fondazione Prada Osservatorio consente l’ingresso gratuito presso
Fondazione Prada (Largo Isarco 2) entro 7 giorni dalla sua emissione. L’ingresso omaggio può essere
ritirato presentando il biglietto presso la biglietteria di Fondazione Prada.
COME ARRIVARE
Metropolitana
M1 fermata Duomo
M3 fermata Duomo
Mezzi di superficie
Tram linea 2, 3, 12, 14, 16, 24, 27 - fermata Duomo
Tram linea 15 e 23 - fermata Piazza Fontana
Bus linea 54 - fermata Piazza Diaz
Collegamento per Fondazione Prada (Largo Isarco 2):
Metropolitana M3: fermata Duomo ® fermata Lodi T.I.B.B.
Tram 24: fermata Duomo ® fermata via Ripamonti/via Lorenzini
BIKEMI
Stazioni 1 Duomo, 64 Diaz, 83 Rastrelli Larga, 102 Arcivescovado
SERVIZIO VISITATORI
+39 02 56 66 26 12 (attivo tutti i giorni, 10-18) - [email protected]