FONDAZIONE PRADA OSSERVATORIO: GIVE ME YESTERDAY
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FONDAZIONE PRADA OSSERVATORIO: GIVE ME YESTERDAY
FONDAZIONE PRADA OSSERVATORIO: GIVE ME YESTERDAY Fondazione Prada apre Osservatorio, un nuovo spazio espositivo dedicato alla fotografia e ai linguaggi visivi, in Galleria Vittorio Emanuele II a Milano dal 21 dicembre 2016. Osservatorio è un luogo di esplorazione e indagine delle tendenze e delle espressioni della fotografia contemporanea, della costante evoluzione del medium e delle sue connessioni con altre discipline e realtà creative. In un momento storico in cui la fotografia è parte integrante del globale flusso di comunicazione digitale, Fondazione Prada, attraverso le attività di Osservatorio, si interroga su quali siano le implicazioni culturali e sociali della produzione fotografica attuale e della sua ricezione. Si estende così il repertorio di modalità e strumenti con i quali la Fondazione interpreta e si relaziona con il presente. Ospitato al quinto e sesto piano di uno degli edifici centrali, Osservatorio si trova al di sopra dell’ottagono, al livello della cupola in vetro e ferro che copre la Galleria realizzata da Giuseppe Mengoni tra il 1865 e il 1867. Gli ambienti, ricostruiti nel secondo dopoguerra a seguito dei bombardamenti che hanno colpito il centro di Milano nel 1943, sono stati sottoposti a un restauro che ha reso disponibile una superficie espositiva di 800 m2 sviluppata su due livelli. La programmazione di Osservatorio si apre con la mostra “Give Me Yesterday”, a cura di Francesco Zanot, che si svolge dal 21 dicembre 2016 al 12 marzo 2017. In un percorso che comprende più di 50 lavori di 14 autori italiani e internazionali (Melanie Bonajo, Kenta Cobayashi, Tomé Duarte, Irene Fenara, Lebohang Kganye, Vendula Knopová, Leigh Ledare, Wen Ling, Ryan McGinley, Izumi Miyazaki, Joanna Piotrowska, Greg Reynolds, Antonio Rovaldi, Maurice van Es), il progetto esplora l’uso della fotografia come diario personale in un arco di tempo che va dall’inizio degli anni Duemila a oggi. In un contesto caratterizzato dalla presenza pervasiva di dispositivi fotografici e da una circolazione ininterrotta di immagini prodotte e condivise grazie alle piattaforme digitali, una generazione di giovani artisti ha trasformato il diario fotografico in uno strumento di messa in scena della propria quotidianità e dei rituali della vita intima e personale. Consapevoli delle ricerche di autori come Nan Goldin e Larry Clark negli Stati Uniti o Richard Billingham e Wolfgang Tillmans in Europa, i fotografi presentati in “Give Me Yesterday” sostituiscono l'immediatezza e la spontaneità dello stile documentario con un controllo estremo dello sguardo di chi osserva ed è osservato. Creano così un nuovo diario nel quale si confonde la fotografia istantanea con quella allestita, si imita la catalogazione ripetitiva del web e si usa la componente performativa delle immagini per affermare un'identità individuale o collettiva. La produzione di Ryan McGinley (Stati Uniti, 1977) avvia nei primi anni Duemila questo passaggio da un approccio alla fotografia immediato a uno più studiato che annulla la credibilità del diario spontaneo e naturale. Dopo aver ritratto i propri amici in situazioni private e scabrose all’interno delle loro case o nei club di New York, nelle serie successive McGinley mette a punto delle calcolate rappresentazioni che celebrano la nudità dei loro corpi immersi nella bellezza della natura. Nasce così un nuovo tipo di racconto che può assumere caratteristiche grottesche. È il caso di Melanie Bonajo (Olanda, 1978), intenta a fotografarsi ogni volta che piange creando un paradossale inventario di selfie, di Tomé Duarte (Portogallo, 1979), i cui autoritratti sono realizzati mentre indossa i vestiti della propria ex compagna nel tentativo di riconnettersi con lei e con la propria identità e di Izumi Miyazaki (Giappone 1994) che si autorappresenta in situazioni ironiche e surreali. La protagonista delle fotografie di Leigh Ledare (Stati Uniti, 1976) è invece la madre, colta in situazioni intime o in ritratti posati che esprimono la complessità delle relazioni familiari, acquisendo contemporaneamente un valore artistico e terapeutico. Anche i lavori di Lebohang Kganye (Sudafrica, 1990) si basano sulla figura materna, ma in una chiave completamente diversa. L’artista inserisce digitalmente la propria immagine all’interno di vecchie istantanee della madre scomparsa, evidenziando l’importanza della fotografia come archivio. Maurice van Es (Olanda, 1984), invece, fotografa oggetti e vestiti riordinati dalla madre nella propria casa, facendone delle eleganti sculture involontarie. Kenta Cobayashi (Giappone, 1992) esplora le numerose possibilità di trasformazione dell’immagine digitale, sottoponendola a un processo di manipolazione che ne afferma la fragililtà e l'instabilità. Vendula Knopová (Repubblica Ceca, 1987) riflette sulla permeabilità tra sfera pubblica e privata sfruttando un immaginario codificato come quello dell'album di famiglia. Attraverso la creazione di uno tra i primi blog fotografici cinesi, Wen Ling (Cina, 1976) documenta quotidianamente le relazioni, i luoghi e le abitudini di una ristretta comunità di amici e familiari. Joanna Piotrowska (Polonia, 1985) applica la filosofia dello psicologo tedesco Bert Hellinger per indagare il tema dei traumi familiari in una serie di ritratti collettivi attentamente calibrati, mentre Irene Fenara (Italia, 1990), in un esercizio ugualmente basato su fondamenti scientifici, indica nelle sue fotografie la distanza misurata in centimetri tra l’obiettivo e il soggetto fotografato, creando un parallello tra prossimità fisica e vicinanza emotiva. Greg Reynolds (Stati Uniti, 1958) presenta a più di trent’anni di distanza le fotografie realizzate durante i campi estivi promossi da un’organizzazione cristiana evangelica, abbandonata nel 1983 dopo essersi dichiarato omosessuale. Solo oggi l’autore realizza che quella documentazione fotografica gli permetteva di esprimere una verità impossibile da rivelare pubblicamente. Tra il 2011 e il 2015 Antonio Rovaldi (Italia, 1975) ha scattato decine di immagini di orizzonti che accostate tra loro esprimono una personale visione di paesaggio e tracciano i confini di un ideale viaggio in Italia. Contatti stampa T +39 02 56 66 26 34 [email protected] fondazioneprada.org GIVE ME YESTERDAY Francesco Zanot, curatore della mostra Il diario fotografico nasce nel momento in cui la fotografia esce dagli studi dei professionisti ed entra nelle abitazioni. È la fine dell’Ottocento: si inaugura allora l’inestinguibile rapporto tra questo linguaggio espressivo e la quotidianità. Il principale contenitore deputato a raccoglierne i risultati è l’album di famiglia. A parte alcune celebri eccezioni, tra cui spicca il nome di Jacques Henri Lartigue (nato nel XIX secolo ma esposto per la prima volta in una grande personale al MoMA nel 1963), questo soggetto irrompe prepotentemente tra i fotografi di ricerca a cominciare dagli anni Sessanta, quando tutto ciò che è ordinario, banale, popolare, massificato, viene finalmente sdoganato nel mondo dell’arte e della cultura. Tra i capisaldi di questa tendenza, declinata in modi e tempi diversi, ci sono Larry Clark e Nan Goldin negli Stati Uniti, Wolfgang Tillmans e Richard Billingham in Europa. A unirli non c’è solo una incondizionata schiettezza dello sguardo, ma anche l’orizzontalità del rapporto con i propri referenti: fotografi e soggetti, in pratica, stanno sullo stesso piano. Appartengono allo stesso universo. Il loro lavoro si svolge all’interno di un gruppo di pari. Sulla scorta di queste esperienze già storicizzate, dagli anni Duemila una nuova generazione di fotografi, impegnati a investigare il proprio universo privato, è cresciuta parallelamente alla proliferazione di piattaforme digitali basate essenzialmente sulla condivisione di immagini. La maggiore consapevolezza riguardo l’onnipresenza della macchina fotografica nella vita di tutti i giorni porta alla diffusione di un atteggiamento di costante tensione recitativa e performativa. Nelle loro mani il diario fotografico non è più pura registrazione dei fatti nel rispetto delle regole dello stile documentario, ma frutto di una continua messa in scena, più o meno complessa e articolata, che mira a ricostruire in maniera selettiva alcuni aspetti del quotidiano. L’immediatezza del gesto fotografico viene inclusa entro una progettualità sempre più stringente. Aumenta il controllo: del fotografo, che stabilisce un processo a tavolino; del soggetto, che conosce le regole del gioco. L’introspezione si mescola con l’etnografia, la ricerca sociale, il teatro. Tutto ciò non si traduce in un generale raffreddamento dei toni, ma conduce all’accostamento di livelli di lettura e approfondimento tenuti precedentemente separati. All’immersione nell’intimità dell’autore si affianca uno studio: di individui, gruppi, relazioni interpersonali e dello stesso linguaggio fotografico utilizzato per rappresentare tutto questo. Le immagini del “nuovo diario” costituiscono così una combinazione del tutto inedita tra fotografia istantanea e allestita: in alcuni casi esibiscono una composta bellezza che non appartiene alla tradizione dello snapshot, altre volte sono riunite in progetti organizzati secondo schemi modulari e ripetitivi tipici della rete, presentandosi sotto forma di inventari che riprendono e attualizzano la tradizione della fotografia tipologica. Si tratta di una modalità completamente originale di raccontarsi: il diario spontaneo e naturale, paradossalmente, non è più credibile. La verosimiglianza, oggi, dipende dall’adozione di codici condivisi e diffusi collettivamente, che i fotografi dell’ultima generazione assimilano e rielaborano per offrire uno spaccato delle proprie vite. GIVE ME YESTERDAY Presentazione della mostra La mostra raccoglie i lavori di 14 autori, ognuno dei quali costituisce un campione di una specifica modalità di utilizzo della fotografia come diario personale dai primi anni Duemila fino a oggi. Articolata sui due livelli dell’Osservatorio, l’esposizione si apre con alcuni progetti che pongono le fondamenta del “nuovo diario fotografico”, realizzati nella prima parte del periodo considerato: le immagini di Ryan McGinley combinano naturalezza e messa in scena, originando una tipologia inedita di documentario personale; Leigh Ledare mescola in modo simile i codici dello snapshot e del ritratto posato in una serie interamente dedicata alla madre; Wen Ling avvia nel 2001 il primo photoblog cinese, sfruttando l’enorme potenziale della rete per trasformare in tempo reale gesti minimi e banali in eventi di pubblico dominio. Sullo stesso piano, i lavori di Maurice van Es e Vendula Knopová, più recenti, discendono da un precedente noto, il ready-made. In entrambi i casi è la madre dell’artista a fornire il materiale di partenza del progetto: pile ordinate di oggetti domestici nel caso di van Es, un hard-disk riempito di immagini di famiglia per Knopová. La seconda sezione della mostra, allestita al piano superiore, presenta lavori in cui l’aspetto progettuale è ancora più evidente, affermandosi come una delle caratteristiche chiave di questo indirizzo di ricerca, che sovraimpone alla spontaneità della cronaca di ogni giorno una ponderata griglia strutturale e concettuale. A questa evidenza si affiancano l’applicazione di un metodo modulare, ripetitivo e in parte scientifico (Irene Fenara, Joanna Piotrowska, Antonio Rovaldi), il ricorso all’archivio come innesco di un processo di rilettura e attualizzazione (Lebohang Kganye, Greg Reynolds), la combinazione tra realtà e manipolazione digitale (Kenta Cobayashi), fino alla vasta proliferazione dell’autoritratto, element fondante dell’immaginario dei social network, cui viene dedicata un’intera parete (Melanie Bonajo, Tomé Duarte, Izumi Miyazaki). Mescolate e alternate tra loro senza un preciso andamento cronologico, le fotografie dei diversi autori in mostra sono esposte su un unico lato dello spazio espositivo, dando luogo sui due livelli dell’Osservatorio a una sorta di grande e ininterrotto murale che, nel costituire una pagina aperta per lo studio dello statuto e della ricerca fotografica nel nuovo millennio, fornisce una multiforme narrazione della quotidianità a ogni latitudine. Melanie Bonajo Per realizzare Thank You for Hurting Me I Really Needed It, Melanie Bonajo (Heerlen, Olanda, 1978) si è fotografata ogni volta che ha pianto tra il 2001 e il 2011. A un gesto istintivo e incontrollato ha quindi contrapposto una rigorosa disciplina. Il risultato sono oltre 60 immagini che mettono in collisione la tradizione della fotografia tipologica (Blossfeldt, Sander, Richter…) con la pratica del selfie, dando vita a un catalogo di autentici anti-selfie. Kenta Cobayashi Le opere di Kenta Cobayashi (Kanagawa, Giappone, 1992), frutto di evidenti manipolazioni di immagini della sua quotidianità, sono una riflessione sulla fragilità e l’instabilità di ogni fotografia nell’era del digitale, quando ripresa e postproduzione costituiscono due fasi dello stesso processo. Nessuna fotografia è più definitiva: ciò che vediamo è soltanto una delle innumerevoli varianti possibili. Tomé Duarte Camera Woman è un progetto sviluppato in meno di 24 ore da Tomé Duarte (Porto, Portogallo, 1979) che, in una giornata di fine estate del 2015, ha realizzato una serie di autoritratti vestito con gli abiti che la ex compagna aveva appena lasciato a casa sua. A metà tra performance e tranche de vie, il suo lavoro consiste innanzitutto in un travolgente gesto liberatorio. Irene Fenara Ho preso le distanze è una serie di Polaroid che ritrae familiari, amici e conoscenti di Irene Fenara (Bologna, Italia, 1990), ciascuno messo in posa a una distanza corrispondente al proprio rapporto con l’artista. La fotografia si trasforma così in strumento di misurazione dei legami interpersonali, in cui lo spazio fisico riflette quello emotivo, offrendo una sintesi del complesso universo relazionale dell’autrice. Lebohang Kganye La serie Her-story nasce dalla necessità di Lebohang Kganye (Johannesburg, Sudafrica, 1990) di riconnettersi con le proprie radici. L’artista preleva dagli album di famiglia alcune fotografie della madre appena scomparsa e, inserendo digitalmente il proprio ritratto al loro interno, si mette al suo fianco, a volte negli stessi abiti trovati negli armadi di casa e compiendo gli stessi gesti. Da traccia del passato, la fotografia si trasforma in spazio di condivisione sempre aperto e abitabile. Vendula Knopová I materiali di Tutorial provengono da un’unica fonte: l’hard-disk della madre di Vendula Knopová (Usti nad Orlici, Repubblica Ceca, 1987). L’artista seleziona una serie di fotografie al suo interno per farne il materiale di partenza di una nuova narrazione familiare, intervenendo direttamente sulle immagini originali per dare vita a un universo tanto reale quanto assurdo e stravagante. Leigh Ledare Tina, la madre di Leigh Ledare (Seattle, USA, 1976), è protagonista della serie Pretend You’re Actually Alive, realizzata tra il 2000 e il 2008. Qui il fotografo alterna fotografie posate a situazioni intime e private, fino ad alcune scene di sesso di Tina con compagni e sconosciuti. Trasgredendo i tabù della struttura familiare, il fotografo giunge così a un ritratto ricco e sfaccettato della donna, evidenziandone desideri, virtù, anomalie e fragilità. Wen Ling Nel 2001 Wen Ling (Pechino, Cina, 1976) inaugura il primo blog fotografico cinese, Ziboy.com, attivo fino al 2008. Al suo interno registra in brevi sequenze di immagini tutto ciò che osserva nella sua quotidianità, dagli amici alla famiglia, dalle strade di Pechino ai concerti rock. Come in una sorta di soap opera riveduta e corretta, la vita di una piccola comunità viene messa così a disposizione di un pubblico sempre più allargato e diffuso. Ryan McGinley Dopo aver fotografato la quotidianità del proprio gruppo di amici per le strade, nei club e nelle case di New York, seguendoli fin dentro i bagni e sotto le coperte, nel 2004 Ryan McGinley (Ramsey, New Jersey, USA, 1977) organizza alcune sessioni di ripresa con gli stessi soggetti in situazioni parzialmente controllate. È un cambiamento radicale e inedito: il diario si mescola con la messinscena. La prima serie di immagini che realizza in questo modo è ambientata nella natura, da cui deriva un senso di libertà, pace e abbandono. Izumi Miyazaki Izumi Miyazaki (Tokyo, Giappone, 1994) inizia a pubblicare i suoi autoritratti sulla piattaforma di blogging Tumblr nel 2012, conquistando rapidamente l’interesse del pubblico, prima giapponese, poi internazionale. Le sue fotografie sono il risultato di interventi digitali che inseriscono la sua figura, a volte scomposta e moltiplicata, in un universo surreale, insieme onirico e sintetico, ironico e perturbante. Durante il periodo di apertura della mostra, il blog di Miyazaki si aggiornerà con alcune nuove immagini realizzate appositamente, modificandosi e crescendo progressivamente nel corso del tempo. Joanna Piotrowska Frowst è un progetto sulle tensioni che stanno alla base delle relazioni familiari. Per realizzarlo Joanna Piotrowska (Varsavia, Polonia, 1985) ha chiesto ai soggetti di compiere davanti alla macchina fotografica alcuni gesti tipici della loro intimità integrandoli con una serie di movimenti tratti dalla terapia dello psicologo tedesco Bert Hellinger, finalizzati a rivelare e trattare i traumi sommersi. Ne scaturiscono immagini dalla forte valenza scultorea che uniscono un distacco rigoroso all’inquietudine delle pulsioni umane. Greg Reynolds Jesus Days è una raccolta di immagini riprese da Greg Reynolds (Lexington, Kentucky, USA, 1958) tra il 1978 e il 1983 mentre lavorava come giovane pastore presso un’organizzazione cristiana evangelica, abbandonata dopo essersi dichiarato omosessuale, per trasferirsi a New York e studiare cinema. Le fotografie, che gli avevano consentito di esprimere ciò che non era riuscito a esternare diversamente, sono state riscoperte recentemente dallo stesso autore che, trattandole come materiale d’archivio, le ha restaurate, selezionate e pubblicate nel suo primo libro nel 2014. Antonio Rovaldi Orizzonte in Italia è il frutto di due viaggi in bicicletta compiuti da Antonio Rovaldi (Parma, Italia, 1975): il primo, durato due mesi nell’estate 2011, intorno al perimetro della penisola italiana; il secondo, di due settimane nel 2014, lungo la costa della Sardegna. In queste occasioni Rovaldi ha realizzato decine di immagini dell’orizzonte che, accostate tra loro, formano una linea quasi ininterrotta tra mare e cielo, che racchiude un’intera nazione e la propria epica avventura. Maurice van Es To Me You Are a Work of Art è una serie di cinque fotografie che Maurice van Es (Rijnsburg, Olanda, 1984) ha realizzato nella propria abitazione a oggetti e abiti riordinati dalla madre. Con questo semplice gesto carico di calore ed empatia, installazioni effimere e involontarie si trasformano in calibrate sculture che, come gli utensili di Walker Evans e le archeologie industriali di Bernd e Hilla Becher, rimandano alle trame dell’arte contemporanea. GIVE ME YESTERDAY Lista delle opere in mostra Quinto Piano Ryan McGinley Tim Falling, 2003 stampa cromogenica 101,5 x 76 cm Courtesy Team Gallery, New York [37] Tree #3, 2003 stampa cromogenica 183 x 122 cm Courtesy Team Gallery, New York [38] Dakota (Hair), 2004 stampa cromogenica 76 x 101,5 cm Courtesy Team Gallery, New York [39] Jake (Floor), 2004 stampa cromogenica 76 x 101,5 cm Courtesy Team Gallery, New [40] Mom with Hand on Bed, 2006 stampa cromogenica 85 x 67 cm Collezione privata, Milano [32] Tina and me on bed, 2006 stampa cromogenica 37 x 55 cm Guido Costa Projects [33] Fur is Faboulus, 2008 stampa ai sali d’argento 23 x 33 cm Courtesy l’artista, Office Baroque, Bruxelles e Jaques Verhaegen [34] Wen Ling Ziboy.com, 2001–08 stampa a getto d’inchiostro dimensioni variabili Courtesy l’artista [35] Leigh Ledare Glossy, 2002 stampa alla gelatina d’argento 56,6 x 44,6 x 4,4 cm (con cornice) Courtesy l’artista e Office Baroque, Bruxelles [29] Mom with Mask, 2002 Stampa cromogenica 60 x 90 cm Guido Costa Projects [30] Mom As Baby Jane, 2004 stampa cromogenica 164 x 127 cm Guido Costa Projects [31] Maurice van Es To Me You Are a Work of Art, 2011 stampa Ultrachrome su carta Matte 46,5 x 61,5 cm © Maurice van Es [49] To Me You Are a Work of Art, 2011 stampa Ultrachrome su carta Matte 46,5 x 61,5 cm © Maurice van Es [50] To Me You Are a Work of Art, 2011 stampa Ultrachrome su carta Matte 46,5 x 61,5 cm © Maurice van Es [51] Camera Woman, 2015 stampa Xerox 92 x 130 cm Courtesy l’artista [11] To Me You Are a Work of Art, 2011 stampa Ultrachrome su carta Matte 46,5 x 61,5 cm © Maurice van Es [52] Camera Woman, 2015 stampa Xerox 92 x 130 cm Courtesy l’artista [12] To Me You Are a Work of Art, 2011 stampa Ultrachrome su carta Matte 46,5 x 61,5 cm © Maurice van Es [53] Camera Woman, 2015 stampa Xerox 92 x 130 cm Courtesy l’artista [13] Vendula Knopová Tutorial, 2015 video 4’ 51’’ © Vendulá Knopova [28] Camera Woman, 2015 stampa Xerox 92 x 130 cm Courtesy l’artista [14] Camera Woman, 2015 stampa Xerox 92 x 130 cm Courtesy l’artista [15] Sesto piano Irene Fenara Ho preso le distanze, 2013 Polaroid (33 fotografie) 11 x 9 cm (ciascuno) Courtesy l’artista [17] Tomé Duarte Camera Woman, 2015 stampa Risograph 30 x 40 cm (cornice) Courtesy l’artista [9] Camera Woman, 2015 stampa Xerox 92 x 130 cm Courtesy l’artista [10] Camera Woman, 2015 stampa Xerox 92 x 130 cm Courtesy l’artista [16] Izumi Miyazaki izumimiyazaki.tumblr.com, 2016 blog Courtesy l’artista [41] Melanie Bonajo Thank You for Hurting Me I Really Needed It, 2008–16 wallpaper dimensioni variabili Courtesy l’artista e Akinci Gallery, Amsterdam [1] Lebohang Kganye Her-story: Ka mose wa malomo kwana 44 I, 2013 stampa a getto d’inchiosto su carta in fibra di cotone 21 x 15 cm © Lebohang Kganye, Courtesy Afronova Gallery [18] Her-story: Ke bala buka ke apere naeterese II, 2013 Stampa a getto d’inchiosto su carta in fibra di cotone 21 x 15 cm © Lebohang Kganye, Courtesy Afronova Gallery [19] Her-story: Kwana Germiston bosiu I, 2013 stampa a getto d’inchiosto su carta in fibra di cotone 21 x 15 cm © Lebohang Kganye, Courtesy Afronova Gallery [20] Her-story: Re tantshetsa phaposing ya sekolo II, 2013 stampa a getto d’inchiosto su carta in fibra di cotone 21 x 15 cm © Lebohang Kganye, Courtesy Afronova Gallery [21] Her-story: Moketeng wa letsatsi la tswalo la ho qala wa moradi waka II, 2013 stampa a getto d’inchiosto su carta in fibra di cotone 21 x 15 cm © Lebohang Kganye, Courtesy Afronova Gallery [24] Her-story: Moketeng wa letsatsi la tswalo la motswalle II, 2013 stampa a getto d’inchiosto su carta in fibra di cotone 21 x 15 cm © Lebohang Kganye, Courtesy Afronova Gallery [25] Her-story: Re shapa setepe sa lenyalo II, 2013 stampa a getto d’inchiosto su carta in fibra di cotone 21 x 15 cm © Lebohang Kganye, Courtesy Afronova Gallery [26] Her-story: Setupung sa kwana hae II, 2013 stampa a getto d’inchiosto su carta in fibra di cotone 21 x 15 cm © Lebohang Kganye, Courtesy Afronova Gallery [27] Ryan McGinley Her-story: Ke bapala seyalemoya bosiu ka naeterese I, 2013 stampa a getto d’inchiosto su carta in fibra di cotone 21 x 15 cm © Lebohang Kganye, Courtesy Afronova Gallery [22] Gloria, 2003 stampa cromogenica 76 x 101,5 cm Courtesy Team Gallery, New York [36] Her-story: Ke dutse pela dipalesa II, 2013 stampa a getto d’inchiosto su carta in fibra di cotone 21 x 15 cm © Lebohang Kganye, Courtesy Afronova Gallery [23] XVI Frowst, 2013–14 stampa alla gelatina d’argento 30 x 25 cm Courtesy l’artista [42] Joanna Piotrowska XVII Frowst, 2013–14 stampa alla gelatina d’argento 30 x 25 cm Courtesy l’artista [43] Captures, 2016 stampa a getto d’inchiostro 270 x 95 cm Courtesy of G/P Gallery, Tokyo [5] XXI Frowst, 2013–14 stampa alla gelatina d’argento 80 x 100 cm Courtesy l’artista [44] Kunugi, #smudge, 2016 stampa a getto d’inchiostro 75 x 50 cm Courtesy of G/P Gallery, Tokyo [6] XXV Frowst, 2013 – 14 stampa alla gelatina d’argento 80 x 100 cm Courtesy l’artista [45] Orange Blind, #smudge, 2016 stampa a getto d’inchiostro 75 x 50 cm Courtesy of G/P Gallery, Tokyo [7] XXXIII Frowst, 2013 – 14 stampa alla gelatina d’argento 100 x 80 cm Courtesy l’artista [46] Smoking (KENT), #smudge, 2016 stampa a getto d’inchiostro 75 x 50 cm Courtesy of G/P Gallery, Tokyo [8] Greg Reynolds Antonio Rovaldi Jesus Days, 1978–1983, 2016 successione di slide con suono © Greg Reynolds / Kentucky / New York / Berlin [47] Orizzonte in Italia (dalla serie), 2011-2015 92 stampe a getto d’inchiostro 44 x 31 cm (cornice) © Antonio Rovaldi; The Goma/Madrid; Galleria Michela Rizzo [48] Kenta Cobayashi Sleeping, #smudge #spray, 2015 stampa a getto d’inchiostro 75 x 50 cm Courtesy G/P Gallery, Tokyo [2] Captures, 2016 stampa a getto d’inchiostro 270 x 95 cm Courtesy G/P Gallery, Tokyo [3] Captures, 2016 stampa a getto d’inchiostro 270 x 95 cm Courtesy of G/P Gallery, Tokyo [4] Fondazione Prada Osservatorio (Galleria Vittorio Emanuele II, Milano) GIORNI E ORARI DI APERTURA Da lunedì a venerdì, dalle 14 alle 20 Sabato e domenica, dalle 10 alle 20 La biglietteria rimane aperta fino a un’ora prima della chiusura BIGLIETTI Intero 10 euro Ridotto 8 euro (studenti fino ai 26 anni, possessori tessere FAI, accompagnatori visitatori diversamente abili, gruppi dalle 15-25 persone) Gratuito (visitatori sotto i 18 e sopra i 65 anni, visitatori diversamente abili, giornalisti accreditati o in possesso di tessera stampa in corso di validità) L’acquisto del biglietto alla Fondazione Prada Osservatorio consente l’ingresso gratuito presso Fondazione Prada (Largo Isarco 2) entro 7 giorni dalla sua emissione. L’ingresso omaggio può essere ritirato presentando il biglietto presso la biglietteria di Fondazione Prada. COME ARRIVARE Metropolitana M1 fermata Duomo M3 fermata Duomo Mezzi di superficie Tram linea 2, 3, 12, 14, 16, 24, 27 - fermata Duomo Tram linea 15 e 23 - fermata Piazza Fontana Bus linea 54 - fermata Piazza Diaz Collegamento per Fondazione Prada (Largo Isarco 2): Metropolitana M3: fermata Duomo ® fermata Lodi T.I.B.B. Tram 24: fermata Duomo ® fermata via Ripamonti/via Lorenzini BIKEMI Stazioni 1 Duomo, 64 Diaz, 83 Rastrelli Larga, 102 Arcivescovado SERVIZIO VISITATORI +39 02 56 66 26 12 (attivo tutti i giorni, 10-18) - [email protected]