Ricerche e spunti critici di Annamaria Agosti su biogas e biodigestore

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Ricerche e spunti critici di Annamaria Agosti su biogas e biodigestore
Intervento del 4 febbraio 2014
http://www.oggicronaca.it/tortona-preoccupazione-per-il-biodigestore-la-simulazione-delle-emissioni-fatta-agiugno-quando-in-citta-erano-tornati-i-miasmi/
Chi è legittimato a decidere il futuro dei cittadini tortonesi?
O meglio, dei cittadini tortonesi e del territorio limitrofo a Tortona, dal momento che le emissioni odorose del
biodigestore non saranno un fenomeno circoscritto unicamente alla città, ma interesseranno anche i Comuni
limitrofi?
Una azione compatta ed unitaria tra Amministratori pubblici in ambito intercomunale, oppure la Provincia, in
quanto organismo sovra territoriale, con una decisione d’imperio?
Parliamo forse di quella stessa Provincia che, citando il Sindaco di Tortona, “è mancata in regia” ai tempi del
dimensionamento scolastico 2012, ma è stata invece puntuale ed attiva nel proprio ruolo, dando il “via libera”
alla conversione della ex piattaforma fanghi in quell’impianto di trattamento rifiuti che la società Ladurner di
Bolzano vuole realizzare sulla strada provinciale per Castelnuovo Scrivia? Due anni fa, su un tema
importantissimo quale il dimensionamento scolastico, la Provincia non aveva messo d’accordo nessuno, ed
oggi, miracolosamente, su un tema sensibile come quello ambientale, mette d’accordo tutti?
Sarò un’idealista, ma ritengo che un fattore etico, imprescindibile, della politica è quello che le decisioni non
debbano essere calate dall’alto, ma vadano formulate in modo condiviso con i territori interessati, a maggior
ragione quando, come in queste occasioni, si tratta di scelte che prevedono la realizzazione di impianti come
i biodigestori, che, nonostante tutte le rassicurazioni possibili, implicano nel loro esercizio preventivabili
risvolti negativi sul territorio e sull’ambiente.
Proprio il fatto che questo genere di impianti non andrebbero costruiti a ridosso dei confini, poteva
rappresentare un fronte unitario per i Sindaci del territorio, dato che le conseguenze, in termini di emissioni,
non saranno solo di Tortona, ma andranno ad incidere anche sui comuni limitrofi. E spiego immediatamente
sulla base di quali riscontri vado a basare questa mia affermazione.
Un esempio altamente significativo, lo ricorderanno bene in molti, risale al giugno 2013, ed è documentato
nelle pagine del Suo giornale:
http://www.oggicronaca.it/2013/06/03/castelnuovo-scrivia-puzza-in-ogni-dove-dalle-13-in-poi-ma-avvisare-lapopolazione-tramite-internet-no/
Non si è mai capito cosa fosse successo, realmente, quella domenica di giugno. Solo ipotesi, illazioni.
Nessuna spiegazione ufficiale.
L’incertezza può solo alimentare, la giustificabile apprensione dei cittadini. E nel vaglio delle ipotesi, adesso
ci sono anche i test odorigeni di simulazione, condotti proprio a giugno 2013.
Lo si apprende dalla delibera di Giunta Provinciale n. 160, quella in cui si esprime il nulla osta alla
realizzazione del biodigestore, raggiungibile a questo link
http://www.provincia.alessandria.gov.it/scripts/downloadwebservices.php?metodo=GetFileDoc&idUID=2014
0130111237_GI_STAMPAWORD_666740&idPratica=181209&estensione=PDF
a pagina 5 della narrazione, riferisce che "le mappe di iso-concentrazione dei valori orari di picco di odore
appaiono di fatto invariate nell’ultima simulazione di giugno 2013 rispetto alla precedente di febbraio
2013"
Si tratterà solo di un caso, ma i test odorigeni sono stati effettuati proprio a giugno 2013, come risulta dalla
relazione di “Simulazione previsionale dell’esposizione olfattiva sul territorio”, parte integrante della
documentazione di autorizzazione, di cui riporto più sotto dei tratti salienti. Il 3 giugno 2013, l’aria a Tortona,
così come a Castelnuovo e Viguzzolo, era irrespirabile. Aleggiava un fetore insopportabile che molti
ricorderanno. Un fenomeno che è iniziato nel primo pomeriggio ed ha insistito fino a sera, nell’ambito di più
Comuni.
Possiamo solo ipotizzare una correlazione tra i test odorigeni condotti, e l’episodio di quella domenica..
Possiamo peraltro esaminare la relazione tecnica, di quella simulazione, ed interpretarne le modalità
operative.
Scopriamo così che TUTTI i Comuni limitrofi, Castelnuovo, Viguzzolo e Pontecurone, sono stati ESCLUSI,
dalla griglia dei recettori, e Tortona, solo PARZIALMENTE compresa, in tale lista.
Perché? Perché un “naso elettronico” deve “fiutare” solo una parte di Tortona, quando i miasmi REALI, si
percepivano più che bene, non solo nella parte nord della città, ma distintamente, sia a Castelnuovo che a
Viguzzolo?
La certezza, concreta, non quella ricostruita virtualmente attraverso dei test e delle simulazioni, si poteva
avere con un sopralluogo effettuato su di un impianto già operativo, con tecnologia e produttività simile. Ad
esempio quello di Albairate (MI), sempre a gestione Ladurner, che come dichiarato sul sito della società
altoatesina, è attivo su un ciclo di smaltimento pari a 29.500 ton/a, quindi perfettamente equiparabile al
progetto di Tortona.
Sarebbe stata una valutazione talmente semplice ed immediata, che quasi sorprende il fatto nessuno l’abbia
proposta, no?
Riguardo il biodigestore di Albairate, risultano peraltro consultabili sul web alcuni estratti di Consigli
Comunali della cittadina, dove si è – purtroppo - più volte discusso delle fastidiose esalazioni olfattive che
l’impianto continua spiacevolmente a produrre anche dopo l’adozione di varie soluzioni, cercate
dall’amministrazione in collaborazione con la ditta Ladurner, interventi che spaziano dal cambio del biofiltro
alla chiusura di un capannone. Tutte soluzioni, da quanto si apprende, il cui esito è stato vano. L’odore
insistente del biodigestore continua a vessare i cittadini di Albairate.
L’ultima speranza dei cittadini potrebbe essere quella di un ricorso al TAR, contro il via libera della
Conferenza dei Servizi. Ma chi lo potrebbe presentare? Esistono ancora ambientalisti veri e puri, non
politicizzati, in grado di presentare un ricorso nel pieno interesse dei cittadini tutti, andando “oltre” qualsiasi
forma di associazione politica?
Intervento del 9 febbraio 2014
https://www.oggicronaca.it/lettere-in-redazione-annamaria-agosti-mette-in-evidenza-altri-problemi-sulbiodigestore-per-tortona/
Oltre ai già discussi disagi riguardo un possibile impatto odoroso del biodigestore, vorrei partecipare i lettori
di alcune considerazioni aggiuntive, sviluppate su ulteriori punti “critici” che ho esaminato.
In questa lettera identifico tre elementi chiave: l’efficacia delle argomentazioni presentate dal Comune di
Tortona a suffragare il parere negativo all’insediamento, la possibile ricaduta in termini occupazionali sul
territorio, e gli sviluppi sulla viabilità, con il conseguente impatto in termini di particolato atmosferico, le
famigerate “polveri sottili” su cui, in passato, mi sono già soffermata.
Il vincolo urbanistico un clamoroso autogol?
Dicembre 2012: Prima conferenza dei Servizi, l’Amministrazione Comunale di Tortona solleva la questione
della non conformità dal punto di vista edilizio, in quanto il progetto d’impianto in esame prevede per il
gasometro ed il biodigestore uno sviluppo in altezza non compatibile, dal punto di vista urbanistico, con il
piano regolatore. Sono entrambi troppo alti, il progetto non rispetta il vincolo dei 10,5 metri previsti per la
zona agricola A2, dove è previsto l’insediamento sia del reattore di fermentazione che del gasometro, e non
è ammissibile concedere deroghe al PRG.
Se questo, nelle intenzioni del Sindaco, doveva essere un punto di forza, nella realtà dei fatti si è invece
trasformato in un insidioso cavallo di Troia. I solerti imprenditori altoatesini presentano, alla successiva
conferenza, una puntuale modifica al progetto. Per rientrare nei vincoli imposti dal Piano Regolatore e
mantenere la stessa produttività, abbassano l’altezza del biodigestore, interrandolo parzialmente per tre
metri sotto la superficie del terreno, ed anziché un unico reattore di fermentazione, ne vengono previsti due.
Il tutto, senza diminuire la capacità produttiva dell’impianto. Il gasometro invece è stato mantenuto unico, ne
è stata ridotta l’altezza allargandone la superficie di ingombro sul terreno e rispettandone la volumetria
inizialmente preventivata.
Il nuovo progetto è perfettamente allineato con le prescrizioni urbanistiche vigenti e viene approvato dalla
Conferenza dei Servizi, ma i potenziali punti di emissione odorosa, adesso, sono raddoppiati.
Risultato parziale: Ladurner vs. Comune di Tortona 1 – 0 (autogol dell’Urbanistica)
Posti di lavoro? Una pia illusione
Essere sotto di un gol a metà partita non significa, automaticamente, l’averla persa. Anzi, si guarda avanti
con rinnovati stimoli, per cogliere le migliori occasioni di recupero. Si valutano le opportunità a venire, e ci si
lascia alle spalle le occasioni sprecate.
Proviamo allora a vedere il bicchiere mezzo pieno: qualora l’impianto si dovesse fare, porterebbe alla
creazione di nuovi posti di lavoro sul territorio. Sembra l’unico aspetto positivo rimasto, per guardare con
maggior favore al progetto, perché la nostra zona ha una cocente, ed insaziabile, fame di lavoro.
Forse, questo aspetto potrebbe stemperare l’amarezza dell’Amministrazione Comunale, per non essere
stata sufficientemente ferma nel proposito di fermare il nuovo insediamento.
Nella presentazione iniziale dell’impianto, non veniva fatta menzione riguardo il numero di addetti. Alle
precise richieste pervenute da parte della ASL di Alessandria, Ladurner presenta ampia documentazione
integrativa, compreso il numero di risorse impiegate nell’impianto.
Il biodigestore, anzi, i due biodigestori, possono funzionare a pieno regime, smaltendo 35mila tonnellate
annue di rifiuti organici e 7mila tonnellate di frazione verde, più i fanghi, con un totale di soli 8 addetti: 1
capoturno, 1 addetto all’amministrazione, 2 addetti alla manutenzione, 3 palisti, 1 addetto generico.
Appare, ovviamente, risibile la ricaduta in termini occupazionali sul territorio, a fronte di uno smaltimento
annuo di rifiuti che è il doppio del biodigestore di Novi Ligure, e con il quale, sarà verosimilmente in
competizione, per “aggiudicarsi” i quantitativi di frazione organica previsti dal piano produttivo, nel
perseguimento degli obiettivi aziendali.
L’ultimo barlume di ottimismo si spegne, il sogni della “miniera d’oro” sono ridimensionati, scontrandosi
contro una realtà che si delinea ben diversa. Si erano forse fatti i conti senza l’oste; e l’oste in questo caso è
una tecnologia avanzata e specialistica, squisitamente altoatesina, orientata alla migliore ed ottimale
razionalizzazione delle dinamiche interne.
Risultato definitivo: Ladurner vs. Comune di Tortona 2 – 0
Strade e PM10, dalle “stalle” alle “stelle”?
La relazione 1.18 “Valutazione impatto ambientale – Integrazione dati di traffico”, prodotta dalla ditta
Ladurner in atti alla conferenza dei servizi, prevede che l’impianto, con una potenzialità di trattamento
35.000 t/a di Forsu - 7.000 t/a di verde vada a determinare un transito di 66 automezzi al giorno, 9 ogni ora,
di media. Sono 66 transiti di mezzi pesanti su strada, in più, al giorno, tra andata e ritorno.
Nel 2000, la piattaforma trattamento fanghi A.M.I.A.S. allora in esercizio, impegnava un transito di autocarri
pari a 30 passaggi al giorno, 4 ogni ora. Meno della metà, di quanto ci aspetta nei tempi a venire.
Tenuto conto sia della nuova tangenziale che del maggiore volume di traffico indotto dalla nuova
infrastruttura, lo studio presentato da Ladurner conclude che l’impatto sulla viabilità attuale può essere
considerato accettabile. Dalla simulazione, l’incremento percentuale risulta quantificabile in un aumento del
31,63 % in direzione Tortona, e del 28,26 % in direzione Castelnuovo Scrivia.
Se fosse legittimo, a questo punto, sommare le due percentuali, dobbiamo desumere che il transito di
veicoli in entrambi i sensi di marcia, andrebbe quindi ad aumentare del 60%?
Ed ancora, qualora - come tutti noi auspichiamo - non dovessero insorgere particolari problemi di
inquinamento acustico o olfattivo, possiamo verosimilmente ritenere che il passaggio dei camion andrebbe
a rendere critica la viabilità, ed influire negativamente sulla quantità di polveri sottili Pm10, (nelle quali
Tortona già detiene vergognosi livelli di eccellenza) come anche sulla tenuta dell’asfalto? Un rapido
sopralluogo alla Provinciale 95 non produce esiti confortanti, riguardo la situazione attuale del manto
stradale. C’è poco ottimismo da spendere, per il futuro.
È noto a tutti che la composizione del traffico incide sulle caratteristiche di capacità e di prestazione delle
infrastrutture stradali. Qualora il manto stradale si rivelasse inadatto a sostenere tale incremento del transito
di mezzi pesanti ad alimentare la centrale, essendo questa arteria qualificata come Strada Provinciale, gli
interventi manutentivi sarebbero a carico della Provincia. Verosimilmente sì.
Non ho peraltro trovato traccia, nella varia documentazione, di una, se pur timida e solo accennata, proposta
di concorso alle spese di manutenzione del tratto stradale, almeno dal rondò fino all’impianto.
Il danno, i disagi ed il rischio, a quanto pare, sembrano destinare a rimanere “in tasca” ai soliti, ai comuni
cittadini, vittime ancora una volta di scelte politiche discutibili ed azioni politiche carenti, se non addirittura
inesistenti.
Riguardo le polveri sottili, possiamo simulare una valutazione del potenziale aumento di Pm10 utilizzando
uno studio molto ben fatto, prodotto da Arpa Veneto, “Stima delle emissioni da traffico veicolare mediante
applicazione del modello matematico COPERT III”
http://www.arpa.veneto.it/arpav/chi-e-arpav/file-e-allegati/dap-treviso/aria/Castelfranco_COPERT_III.pdf
che per i veicoli commerciali pesanti, fornisce un potenziale fattore di inquinamento pari a 0,5 grammi di
Pm10 a Km percorso, come da tabella.
Per definizione, sono veicoli commerciali pesanti quelli destinati al trasporto di merci, aventi massa massima
superiore a 3,5 tonnellate. Tutti gli autocarri impiegati per il carico/scarico dal biodigestore rientrano in
questa fascia di tonnellaggio, come abbiamo rilevato esaminando il prospetto presentato da Ladurner.
Lo sviluppo dei conteggi è di una semplicità elementare: 66 passaggi al giorno, 0,5 grammi di inquinamento
prodotto da ogni camion, per ogni chilometro percorso.
Allo stesso modo, è semplice comprenderne l’impatto negativo sulla salute del territorio. Sulla NOSTRA,
salute. Chi la tutela? Chi ne è, il garante?
Forse, come ben accennava un lettore di cui ho letto la testimonianza pubblicata sul Suo giornale, si poteva
fare di più, e meglio.
Forse, si dovevano affrontare le Conferenze dei Servizi con dati concreti alla mano, con riscontri oggettivi,
non bastava dire “Non lo voglio perché potrebbe puzzare”.
Forse, questa vicenda ci insegna - a tutti - quanto siano fondamentali due fattori, per essere veramente
persone in grado di rappresentare e difendere il proprio territorio: l’umiltà di saper chiedere ed accettare
consigli, da parte della politica, e l’onestà intellettuale di poterli dare, senza alcun risvolto personale o
politico, da parte degli ambientalisti.
Intervento in data 25 febbraio 2014
http://www.oggicronaca.it/lettere-in-redazione-a-tortona-sorgera-un-biodigestore-ma-che-cose-vogliamocapire-se-e-pericoloso/
L’utilizzo del digestato proveniente da matrici organiche di ogni tipo, animali e vegetali, di FORSU e fanghi di
depurazione delle acque luride (come previsto nel biodigestore Ladurner di prossima realizzazione) pare,
secondo taluni studi, che possa esporre a gravi rischi di contaminazione biologica, i terreni agricoli utilizzati
per la produzione di alimenti, nonché la fauna selvatica e l'uomo.
La sicurezza che il trattamento di digestione anaerobica rappresenti una modalità assolutamente sicura, in
grado di abbattere le cariche dei principali agenti patogeni, pare non trovi riscontro nella letteratura
scientifica. Perlomeno, secondo il parere di Gianluigi Scolari, docente di microbiologia alimentare presso
l’Università cattolica del Sacro Cuore di Piacenza.
Un biodigestore spiegato in maniera semplice
Per capire il motivo di questo potenziale pericolo, innanzi tutto bisogna capire come funziona un
biodigestore.
I digestori sono degli impianti in cui s’immettono le biomasse (nel caso nostro caso, costituito dalla frazione
organica della raccolta differenziata, falciature di verde e fanghi di depurazione delle acque) affinché queste
sostanze vengano trasformate dall’intervento di specifici batteri che operano una degradazione organica. In
parole povere, il pattume ed i fanghi vengono messi a marcire in condizioni di temperatura e pressione
controllate. Durante la fermentazione, i batteri trasformano la massa rilasciando metano; questo gas viene
successivamente trasformato in energia elettrica tramite un motore (che produce anche calore). Quanto
rimane nel serbatoio al termine dei processi di “digestione” dei batteri si chiama “digestato”. Tale sostanza
viene ulteriormente riutilizzata come ammendante o concime nei campi.
In teoria il ciclo è perfetto e senza sprechi: si usano scarti per produrre energia che può servire all’azienda
stessa ed essere venduta se in eccedenza. E ciò che avanza si può ancora riutilizzare nell’ambiente.
Questo scenario sarebbe ottimo se l’impianto fosse piccolo, confinato all’interno del ciclo produttivo di una
azienda agricola, con il conferimento di biomasse e lo smaltimento dei residui effettuato a Km0; di fatto,
invece, visti gli allettanti prezzi che la vendita di energia riesce a spuntare sul mercato, è diventato molto
conveniente fare impianti grandi, che hanno come scopo principale trasformare questo ciclo, teoricamente
perfetto ed equilibrato, in una fonte di guadagno.
Più l’impianto è grande, più potenza può produrre (il che, equivale a maggiori guadagni); ma per produrre,
necessita di materia prima da fermentare nel reattore. I 24mila transiti di camion all’anno, di cui ho trattato
precedentemente, movimenteranno sia materiali in ingresso che, è logico pensare, anche in uscita. Le aree
agricole adiacenti non sarebbero in grado di accogliere tutto quel digestato. Possiamo, realisticamente,
ipotizzare che andrà destinato anche altrove? Caricare una massa ricca di germi (perché di questo si tratta!)
e trasportarla via camion chissà dove, è una procedura immune da rischi?
Da queste due considerazioni appena espresse, nascono i dubbi di natura microbiologica.
Lo scetticismo del microbiologo Scolari
Le perplessità inerenti al biogas non dovrebbero riguardare unicamente le potenziali emissioni odorigene;
più di un dubbio aleggia sulla sicurezza, dal punto di vista microbiologico, del trattamento di digestione
anaerobica.
Per il funzionamento dell’impianto, si impiegherebbero infatti scarti animali e vegetali di vario tipo e
provenienza; ed appare verosimile che FORSU e fanghi di depurazione, variamente mescolati,
rappresentino un mix potenzialmente molto pericoloso sotto l’aspetto microbiologico.
Gianluigi Scolari, docente di microbiologia degli alimenti all’Università Cattolica di Piacenza , in una lunga
intervista più volte ripresa dai comitati contrari al biogas (1), argomenta in maniera impeccabile sui rischi, la
cui portata non è preventivabile, dei residui della fermentazione, di quel “digestato” che, in prima istanza,
pareva la perfetta chiusura del cerchio per ottenere energia pulita.
«E’ logico ritenere – evidenzia il docente - che gli impianti per la produzione di biogas possano
rappresentare un potenziale pericolo per la presenza di microrganismi patogeni». Altro aspetto stigmatizzato
da Scolari è «la difficoltà a replicare in laboratorio il comportamento delle componenti batteriche presenti in
un digestore “reale”»: infatti, «occorrono sperimentazioni ampie e generalizzate in grado di contemplare le
molteplici situazioni reali in relazione alla variabilità del substrato di alimentazione del digestore»; soprattutto,
quando nel processori fermentazione finiscono anche substrati igienicamente problematici quali possono
essere, nel nostro caso, i fanghi di depurazione delle acque luride.
L’impossibilità di condurre studi pilota, per l’ampia variabilità del substrato (la composizione dei rifiuti, ed i
fanghi di depurazione) conferito dai camion che trasporteranno al biodigestore quella frazione FORSU o i
fanghi proveniente da “ovunque”, non consente peraltro di poter escludere possibili o probabili rischi
microbiologici nei digestati. Per lo stesso motivo, lo smaltimento effettuato in aree anche lontane potrebbe
generare notevoli criticità diffuse, nello sventurato caso emergessero problemi di carica batterica
potenzialmente pericolosa. Se lo smaltimento fosse circoscritto, anche gli eventuali interventi “riparatori”
sarebbero immediati. Mentre, tramite il trasporto incontrollato di spore prodotte in siti specifici, appare
potenzialmente possibile innescare un pericolo diffuso per la salute per l'uomo e gli animali. Con il digestato
(quello che appariva in prima istanza il miglior concime e ammendante) le spore tornano sul terreno. Sia che
vadano a contaminare foraggi raccolti e somministrati in mangiatoia o, direttamente, animali domestici e
selvatici al pascolo, le spore arrivano nell'intestino,dove possono germinare e possono produrre tossine. Se
gli scarti dei biodigestori cominciano a viaggiare per essere smaltiti, controllarli diventa molto difficile.
L’eventuale sanificazione dei liquami o fanghi o, comunque, dei sottoprodotti, pare non rappresenti un
rimedio sufficiente; sempre secondo Scolari «questa stabilizzazione riduce la carica degli enterobatteri ma,
secondo alcuni studi, faciliterebbe una re-contaminazione dei digestati da parte di Escherichia coli e
Salmonella, oltre che altre specie non meno patogene».
Va aggiunto che, in Danimarca, Svezia, Austria, Germania e Gran Bretagna esiste un rigido protocollo di
regole che impongono trattamenti di sanificazione, e che prevedono severi controlli microbiologici (mediante
l'utilizzo di bioindicatori) su quanto destinato ad essere utilizzato come concime. In Italia, tristemente, questo
non è sottoposto a pari normative di sicurezza.
Infine, c’è il problema dei Clostridi, che si configura come uno dei punti più critici, anche in relazione ai
depositi di digestato sui terreni coltivi. I Clostridi sono una grande famiglia di batteri anaerobi ubiquitari (sono
presenti normalmente anche nel nostro intestino e sono tra i principali attori della fase di idrolisi del biogas)
che comprende anche specie responsabili dell’alterazione dei formaggi, e specie che possono provocare
infezioni più o meno gravi, compresi botulismo e tetano.
Malattie di cui il solo nome evoca scenari decisamente poco rassicuranti.
I Clostridi, in condizioni ambientali particolari, formano spore resistenti al calore, alla radiazione ed a diversi
agenti chimici, per cui anche la pastorizzazione risulta inefficace. Secondo Scolari «sono pressoché
inesistenti sperimentazioni di valutazione del rischio che il terreno possa arricchirsi di spore di Clostridi delle
specie patogene, ma anche di quelle che degradano i prodotti alimentari e caseari in primis».
Per ora nessuno ha smentito queste tesi, poiché, come è difficile dimostrarle, è difficile smontarle, ma basti
dire che la Svezia, altro Paese all’avanguardia da anni, obbliga a pastorizzare i liquami in ingresso e i
concimi in uscita dalle aziende per evitare contaminazioni. Forse non è nemmeno un caso che la Regione
Emilia Romagna nelle sue linee guida abbia vietato gli impianti a biogas nei territori dove si produce il
Parmigiano Reggiano?
Pare poi che proprio dalla Germania, nazione leader in Europa per il biogas, affiorino ulteriori perplessità
riguardo il rischio sanitario dei residui di produzione, che secondo alcuni esperti non è legato solo ai clostridi
o ad altri batteri patogeni. Nel 2011 venne additato il biogas quale probabile causa dell'epidemia di
Escherichia coli E157:H7, la variante del ceppo che causò 50 vittime, il ricovero di 4.174 persone, 864 delle
quali colpite da insufficienza renale acuta, una patologia che spesso si può curare solo con la dialisi. Quella
epidemia guadagnò il secondo posto nella classifica delle intossicazioni alimentari europee, dopo la Mucca
pazza.
Dimostrabili o meno che siano, le ipotesi dei microbiologi prospettano notevoli pericoli, che interessano sia la
salute umana che gli animali, pericoli di cui si sarebbe dovuto tenere debito conto in fase di Conferenza dei
Servizi e di cui non ho visto traccia; nessuna domanda, nessuna perplessità espressa al riguardo. Come
possiamo sentirci tutelati, sotto il profilo sanitario, se non viene fatta chiarezza sulla qualità microbiologica
del materiale in entrata ed in uscita, dal biodigestore? Chi deve fare queste domande? Come possiamo
avere, delle risposte? E soprattutto, esistono, delle risposte?
Sono previste analisi merceologiche sui rifiuti in ingresso, indagini sulla stabilità biologica ed indagini sulle
emissioni, sia microbiologiche (bioaerosol) che odorigene (olfattometria)?
In che modo, il Comune controllerà la corretta gestione dell'impianto? Non vorrei, un giorno, scoprire che,
all’Amministrazione locale, poteri al riguardo non ne siano rimasti.
(1) http://www.e-cremonaweb.it/index2.php?option=com_content&do_pdf=1&id=3102
Il rischio microbiologico certificato da uno studio della Regione Piemonte
“Il digestato può rappresentare un potenziale veicolo di contaminazione microbiologica dei vegetali coltivati
quando utilizzato come fertilizzante/ammendate in agricoltura.”
Ad asserirlo non è un pazzo fanatico, pseudo ambientalista dell’ultima ora, contrario al biogas per principio,
bensì uno studio finanziato dalla Regione Piemonte, “Caratterizzazione agronomica ed igienico –sanitaria
del digerito derivante dalla co-digestione di reflui zootecnici, prodotti e sottoprodotti agricoli per la produzione
di biogas”, visualizzabile al link
http://www.regione.piemonte.it/cgibin/agri/agripqr/download.cgi?id_file=hvK5a7HPmHfnkF57av90ZvueSfGbE3h&dir=ricerche
Lo studio, iniziato nei primi mesi dell’anno 2008, è stato portato a termine nel 2010, ponendosi come
obiettivo la valutazione delle proprietà fertilizzanti del materiale derivante dalla digestione anaerobica, ed i
rischi igienico-sanitari di tipo chimico e microbiologico, dovuti alla presenza di patogeni.
L’attività è stata svolta su impianti che producono energia elettrica e termica attraverso la digestione
anaerobica dei reflui zootecnici in co-digestione con biomassa vegetale per la produzione di biogas.
Il ciclo, nelle realtà esaminate, vedeva l’impiego di matrici organiche che assicuravano una certa omogeneità
della composizione impiegata come massa nei digestori. Parametro fondamentale per stabilire degli esiti
attendibili.
E’ decisamente interessate valutare l’analisi dei parametri microbiologici. La relazione infatti riporta “In alcuni
casi i campioni di digerito superano il limite di riferimento (1000 UFC/g) per E. coli e per gli enterococchi
fecali.”
Ed ancora “ Se in futuro entreranno in vigore i parametri di riferimento previsti nei Regolamenti europei, sarà
difficile per la maggior parte degli impianti di digestione anaerobica che lavorano in mesofilia rientrare nei
limiti della normativa.”
La conclusione è questa: “Il digerito, quindi, può rappresentare un potenziale veicolo di contaminazione
microbiologica se impiegato in agricoltura.”
D’altra parte, però, è importante ricordare che i concimi organici di origine zootecnica (letame e liquame)
vengono da sempre impiegati in agricoltura utilizzando precauzioni di tipo generale, senza alcun limite di
riferimento per quanto riguarda la contaminazione microbiologica.
Questo è vero, come è vero che l’impiego è sempre stato circoscritto alla realtà della stessa azienda
agricola; i liquami potevano, sì, contenere una carica patogena, ma essa ritornava sui campi dell'azienda o
di aziende limitrofe (le botti non possono viaggiare a distanze superiori a pochi km, sia per ragioni
economiche che per prescrizioni normative). Qualsiasi eventuale epidemia sarebbe rimasta circoscritta.
Mentre i digestati, in virtù del ridotto contenuto di umidità, sono suscettibili di più agevole stoccaggio,
manipolazione e trasporto, e possono essere destinati ad aziende in un raggio molto più ampio di quello dei
reflui zootecnici tal quali.
Morale: aumentano le probabilità che in entrata ci siano substrati contaminati e, in uscita, quelle di
contaminare una grande varietà di terreni agricoli.
In Svezia, dove esiste un alto livello di sensibilità sulla biosicurezza nell'uso dei digestati, sono state dedicati
molti studi, tra cui quello di Leena Sahlström (2003) che concludeva il suo approfondimento sul tema della
sopravvivenza dei batteri patogeni alla digestione anaerobica sostenendo che: "È difficile stabilire i rischi per
la biosicurezza associati all'uso dei digestati come fertilizzanti, ma questo rischio non può essere trascurato".
Proprio nella regione scandinava in oggetto, è stata vietata la fertilizzazione dei pascoli con i digestati, anche
se sottoposti a pastorizzazione.
I rischi (seri) sono ancora da accertare, ma perché, allora, si adottano delle precauzioni?
Non ultimo, mi preme sottolineare, come già accennato nella precedente trattazione, che la composizione
del materiale conferito al biodigestore influisce fortemente sull’ambiente microbico che si instaura durante la
fermentazione: lo studio finanziato dalla Regione Piemonte è stato effettuato su composizioni in ingresso
abbastanza costanti; tale scenario è impensabile si possa riscontrare nel bio digestore di Tortona, che verrà
alimentato da fanghi industriali (notoriamente critici sotto il profilo sanitario) e dalla frazione umida della
raccolta differenziata, proveniente chissà da dove, e con chissà quali, potenziali, cariche batteriche.
Tutti questi elementi concorrono a delineare uno scenario altamente incerto, denso di criticità, non
preventivabile secondo i microbiologi, e , quel che più genera apprensione, non controllabile micro
biologicamente, per l’ancor vaga e poco definita normativa di riferimento nel nostro paese.
Nessuno dice queste cose? Io ho scelto di documentarmi e portarle alla luce del sole, per una presa di
coscienza dei concittadini e, soprattutto, dei politici, giusto perché non “cadano dalle nuvole” qualora (mi
auguro di no) dovessero, in futuro, insorgere dei seri problemi.
Intervento del 10 aprile 2014
http://www.oggicronaca.it/unazienda-agricola-tortonese-chiede-di-poter-spandere-rifiuti-sui-terreni/
Perché, in un ciclo teoricamente perfetto e sostenibile, il digestato proveniente dalla produzione del biogas di
una azienda agricola dovrebbe essere assimilato ad un rifiuto, anziché ad un prodotto?
Può apparire una domanda singolare, ma che sorge spontanea, esaminata la tipologia di richiesta comparsa
in Albo Pretorio del Comune di Tortona, da parte di una azienda agricola della zona, che domanda
l’autorizzazione a spandere il digestato prodotto dal proprio impianto nei territori di ben otto Comuni limitrofi,
ai sensi dell’articolo 208 D.Lgs. 152/2006.
Tale specifica normativa regola, appunto, l’autorizzazione ad effettuare lo spandimento del digestato a
beneficio dell’agricoltura, ma inquadrando il digestato nella tipologia dei rifiuti.
Secondo questa fattispecie di classificazione del digestato, l’articolazione di legge è, per una volta,
estremamente chiara: “se rifiuto entra, rifiuto esce”.
La normativa rifiuti è concepita infatti per far fronte alla gestione di materiali a volte molto problematici e
prevede cautele, analisi, controlli che, pur essendo perfettamente pertinenti nel caso di rifiuti ordinari, sono
particolarmente onerosi per un digestato originato da materiali di natura agricola che, per loro natura
intrinseca, si presume non debbano comportare particolari problemi per l’ambiente.
Fa decisamente specie questa scelta di orientamento, anche perché la gestione del digestato come rifiuto
potrebbe, nell’immaginario collettivo, associarsi ad una ricaduta poco positiva per l’ immagine di una azienda
agricola, che, di norma, non viene identificata come un soggetto smaltitore di rifiuti. Con eventuali problemi
che potrebbero, conseguentemente, insorgere nei rapporti con i vicini, nell’acquisizione di eventuali
asservimenti su terreni agricoli e nella gestione amministrativa degli adempimenti.
Perché, questa scelta?
La classificazione normativa del digestato è sempre stata molto controversa ed è stata solo in parte chiarita
con l’approvazione del D.Lgs. 4/2008, correttivo del D.Lgs. 152/2006. Con l’approvazione del quarto
correttivo (D.Lgs. 205/2010) il Legislatore ha, quindi, mirato ad identificare chiaramente la soluzione del
problema.
Come tutti i materiali, anche il digestato può acquisire, ai sensi della legislazione vigente, la seguente natura:
•
RIFIUTO (Art. 183)
•
RIFIUTO SOTTRATTO ALLA DISCIPLINA SUI RIFIUTI (Art. 185)
•
SOTTOPRODOTTO (Art. 184 bis)
•
PRODOTTO
La classificazione del digestato prodotto dal singolo impianto nella categoria “rifiuto” è imposta dalla
normativa laddove classifica il materiale come rifiuto non sulla base delle sue caratteristiche tecniche o
chimico-fisiche, ma sulla base dell’intenzione o dell’obbligo del detentore a disfarsi di tale materiale.
E torno a ripetermi. Perché, allora, questa scelta, di classificarlo come “rifiuto”?
Tenuto conto che la Giunta Regionale, nel febbraio 2009, aveva emanato norme specifiche, stabilendo che,
se la quota di liquami concorre almeno al 50% in peso della miscela in ingresso al digestore anaerobico vi
sono le condizioni per l’assimilabilità del digestato all’effluente zootecnico, ciò configurava una evidente
volontà della Regione Piemonte di contenere lo sviluppo di impianti di digestione anaerobica alimentati
esclusivamente con materiale vegetale o con altri prodotti, ed era volta ad incentivare, invece, la
componente di utilizzo circoscritta al reimpiego delle materie di scarto nelle aziende agricole, realizzando
una filiera di buona economia tramite il riuso, il riciclo ed il riutilizzo.
Gli impianti di biogas sono nati, infatti, come un’opportunità per incrementare il reddito delle imprese
agricole, nell’ambito della loro attività e con l’utilizzo dei propri sottoprodotti. E’ chiaro però che, quando gli
impianti di biogas sono alimentati in misura consistente con materie quali l’insilati o cereali, coltivati solo per
quello scopo, allora il rischio è di trovarsi di fronte a progetti speculativi e spesso anche a realtà che con
l’agricoltura c’entrano poco o nulla. Per queste ragioni, è fondamentale che gli impianti siano proporzionati
alle dimensioni delle aziende agricole ed il loro funzionamento vada a integrare la produzione agricola, non a
sostituirla.
La situazione dell’azienda agricola a Villaromagnano
Trattasi di un impianto biogas da 1MW, con due digestori primari, un digestore secondario ed un postfermentatore coperto, caricato a letame bovino, insilato di sorgo, semola e patate in quantità variabile, con
tempi di ritenzione di circa 60 giorni; l’impianto ha sempre funzionato ottimamente, producendo in media 991
kWh per un totale di 8.742 ore/anno.
Nell’agosto 2013 viene inserito, nel ciclo produttivo un pretrattamento elettromeccanico del substrato di
alimentazione (BioCrack); il primo mese di utilizzo segna un incremento del 18% produzione di gas ed una
diminuzione di materiale in ingresso di circa il 10%, trend confermato nei mesi successivi.
Secondo il titolare: “L'impianto funziona senza problemi e autonomamente. Il BioCrack aumenta la resa del
gas, funziona automaticamente e non richiede ulteriori interventi. Anzi, proprio i minor quantitativi di
materiale in ingresso hanno ridotto il nostro dispendio di energia e di costo della materia prima”
Sono affermazioni estrapolate da una fonte ufficiale. Lo dichiara infatti sul proprio sito il fornitore di
tecnologia per l’impianto biogas lì realizzato, citandolo tra proprie referenze.
Quindi, tutto va bene, funziona alla perfezione, è redditizio e la produzione di biogas è totalmente
sostenibile?
Basandosi sull’ultima affermazione dell’imprenditore, potrebbe nascere qualche ragionevole dubbio.
Nella valutazione dei costi di esercizio di un siffatto impianto, i liquami sono da considerarsi a costo nullo, e
si dovrebbe ricorrere in misura trascurabile all'acquisto di substrati fermentabili che, si presume, in linea
teorica, dovrebbero essere quasi totalmente autoprodotti, in quanto scarti di attività agricola.
Perché è così significativa una riduzione del 10% dei costi delle materie prime? Per quanto incidono, allora,
in totale, nella miscela di carico del biodigestore?
Al bioetanolo si disse “no”
Appare legittimo domandarsi se si tratta di scarti di prodotti agricoli da trasformazione, oppure di generi
sottratti alla catena alimentare. Non sono passati molti anni da quando venne fatto un pesante ostruzionismo
al bioetanolo di prima generazione della Mossi e Ghisolfi, perdendo trecento posti di lavoro su Tortona;
autorizzare, oggi, questo procedimento che non comporta alcuna ricaduta occupazionale sul territorio, ma
unicamente profitti al privato, potrebbe apparire perlomeno discutibile.
Come sia possibile produrre una energia cosiddetta pulita usando tonnellate di insilati, che per essere
prodotte hanno bisogno di quantità enormi di energia fossile ( trattori, concimi, irrigazione, stoccaggio)
rimane difficile, da comprendere. Preferiamo forse un'agricoltura completamente dedicata alla produzione di
energia? Lo scenario di colture a sorgo estese a perdita d’occhio, per poi utilizzarle nella produzione di
biogas? E’ evidente che qui si pone un problema del tipo di indirizzo che si vuole dare al nostro territorio, e
gli Enti Pubblici è proprio su questo che si devono misurare e devono essere giudicati dai cittadini. Che, in
questo particolare periodo dell’anno, non dimentichiamolo, sono anche elettori.
Il rischio di sversamenti nelle acque
Perchè domandare tutti quei permessi, per l’utilizzo dei terreni di ben otto Comuni limitrofi (Tortona,
Carbonara Scrivia, Cerreto Grue, Costa Vescovato, Paderna, Sarezzano, Spineto Scrivia e
Villaromagnano)?
Si può immaginare un'applicazione abnorme di digestato sui terreni, nel raggio di pochi km dall’impianto?
Quando poi il digestato venisse sparso in superficie, senza alcuna considerazione per le condizioni del
terreno, ma al solo scopo di smaltirlo il più possibile, allora appare evidente come si metterebbe a rischio
l’inquinamento dell'aria e delle acque di falda, in modo massivo. Così come appare evidente che le masse di
liquame, con la proliferazione delle centrali a biogas (non dimentichiamo il biodigestore da poco autorizzato
alla ex piattaforma fanghi) siano destinate ad aumentate enormemente. Se poi ci si mette di mezzo un
inverno piovoso come quello appena finito non sarebbe difficile immaginare con quale facilità potrebbe
configurarsi un’emergenza ambientale. Pare che, di questi pericoli, preferisca non parlarne nessuno.
I rischi microbiologici
Non ultimo, stiamo parlando di un digestato che verrebbe utilizzato come “ammendante”, ma di fatto, in base
alla norma citata nella convocazione della Conferenza dei Servizi, sarebbe autorizzato come “rifiuto”.
La differenza legislativa citata in premessa è sottile, ma importantissima, ed invito tutti i Comuni interessati
dal procedimento ad informarsi in maniera approfondita, ed intervenire alla Conferenza dei Servizi prevista
per il 7 maggio prossimo..
Del profilo microbiologico-sanitario, avevo già trattato in due mie lettere precedenti, riportando
dettagliatamente le numerose perplessità sollevate al riguardo dal Prof. Gianluigi Scolari, dell’Università del
Sacro Cuore di Piacenza.
Il microbiologo stigmatizza come "tra gli studi a sostegno del biogas vi è il modello svedese che, però,
introduce una preventiva pastorizzazione del materiale di ingresso a 70°C per 60 min (con quale costo
aggiuntivo?) per ottenere una più efficiente riduzione del carico di Clostridi nel digestato. Nei nostri impianti
viene effettuata questa pratica?".
La domanda di Scolari è puramente retorica, poiché in Italia, a differenza della Germania e dei paesi nordici
non è obbligatoria la pastorizzazione del materiale di carico del biodigestore.
Lo stato attuale degli studi di laboratorio non permette, ancora, di esprimersi per certo sulla pericolosità per
la salute, nello spandimento del digestato. In linea di principio, dovrebbe prevalere l’aspetto cautelativo. Ma
così non è.
Dei dati epidemiologici ci sono, però, in Germania. Lassù, i non pochi casi di botulismo e di tetano da
biomassa sono stati censiti dall’Università di Göttingen, così come sono stati elencati gli innumerevoli
incidenti che funestano la vita delle centrali a biogas. Noi, però, viviamo nella più rassicurante e
tranquillizzante ignoranza (nel senso di non-conoscenza): i media difficilmente ne parlano, e, quando
raramente lo fanno, quasi sempre prospettano una realtà alquanto edulcorata.
Si parla sempre del biogas come di un affare, senza soffermarsi in modo peculiare sugli eventuali rischi. Il
prof. Boehnel, dell’Università di Göttingen, in alcune diapositive presentate ad una recente conferenza,
mette in evidenza una coincidenza clamorosa, che qualche pensiero lo dovrebbe far sorgere: i mille casi di
botulismo registrati in Germania dove ci sono centrali a biogas.
Boehnel stima che questi casi siano molti di più: addirittura tremila.
[Fonte: http://www.ruralpini.it/file/Materiali%20didattici/Bohnel%20Biogas_Capalbio_IT_121017.pdf ]
Si è investito in biogas per ricavare energia, per abbattere i costi energetici elevati. Ma una riflessione è
d’obbligo. L’attività produttiva deve solo avere come scopo il profitto e nient’altro? Alla vista del denaro
bisogna restare del tutto accecati, anche quando si affrontano nuove frontiere come questa, dove le insidie
dei molteplici rischi per l’ambiente dovrebbero essere evidenti?
Eppure il passato continua, strenuamente, a tentare di ricordarci che, qualcosa, potrebbe insegnarcelo.
Annamaria Agosti
Intervento del 19 giugno 2014
http://www.oggicronaca.it/il-digestato-a-tortona-una-sentenza-del-tar-apre-forti-interrogativi/
Egregio Direttore,
per il 19 giugno è stata convocata la seconda Conferenza dei Servizi, relativa all’autorizzazione di
spandimento del digestato sui territori di ben 8 Comuni del Tortonese. Poiché si tratta di autorizzazione
unica ai sensi dell’art. 208 comma 6) D.Lgs. 152/2006 e s.m.i., ogni autorizzazione rilasciata all’ Azienda
agricola richiedente, da parte degli Enti e Servizi Provinciali interessati dovrà essere integrata nel
provvedimento autorizzativo ai sensi dell’Art. 208 D. Lgs. 152/2006 e s.m.i..
Avevo precedentemente invitato i Comuni interessati a riflettere sull’argomento, con la mia precedente
lettera in redazione che metteva in luce alcuni aspetti potenzialmente critici. Ora, una più approfondita analisi
della materia (anche sotto l’aspetto burocratico-amministrativo) mette in risalto una ulteriore, possibile,
obiezione.
Quel parametro chiave evidenziato in sentenza dal TAR
Gli impianti di potenza termica nominale complessiva inferiore o uguale a 3 MW alimentati a biogas di cui
all’Allegato X alla Parte Quinta del D.Lgs.152/06 e s.m.i., pur essendo “scarsamente rilevanti” in termini di
inquinamento atmosferico, in quanto rientranti nell’elenco degli impianti ed attività di cui all’articolo 272
comma 1 dello stesso decreto, sono comunque tenuti al rispetto di taluni valori.
Le emissioni provenienti dai motori a cogenerazione devono rispettare i seguenti limiti di emissione:
Polveri
Composti organici volatili (espressi come Carbonio Organico Totale)
Ossidi di azoto (espressi come NO2)
Ossidi di zolfo (espressi come SO2)
Monossido di carbonio
Composti inorganici del cloro (espressi come HCl)
10
150
450
350
500
10
3
mg/Nm
3
mg/Nm
3
mg/Nm
3
mg/Nm
3
mg/Nm
3
mg/Nm
Questo aspetto è stato, recentemente, oggetto di una pesante controversia venutasi a creare tra una società
agricola, titolare di Autorizzazione Integrata Ambientale rilasciata dalla Provincia di Novara e l’Ente stesso,
che attraverso una determina ha emesso diffida verso l’impresa (precedentemente autorizzata) dal
continuare ad esercire l'impianto, essendosi constatato lo sforamento del limite di emissione in atmosfera;
una accesa diatriba sfociata in un ricorso al TAR Piemonte.
Cosa può essere mai successo, di così grave? E’ presto detto: ultimata la realizzazione dell'impianto,
attivato il medesimo, effettuata una prima campagna di autocontrolli a cura dell’azienda agricola ed inviati i
relativi risultati ad ARPA, così come prescritto nell'AIA, la Provincia è pervenuta all’adozione del
provvedimento, a mezzo del quale ha diffidato la ricorrente dal continuare ad esercire l'impianto essendosi
constatato lo sforamento del limite di emissione in atmosfera riferito al carbonio organico totale
3
3
"COT", limite fissato in 150 mg/ Nm , ma nella specie accertato in 575,2 mg/ Nm : in motivazione, il
provvedimento richiama il parere del Ministero dell'ambiente e della tutela del mare e del territorio di cui alla
nota DVA 2012-0025033 del 10/10/2012, nel quale si legge che "Il riferimento al "COT (carbonio organico
totale)" senza altre specificazioni porta ad escludere che si possa intendere come "COT escluso metano".
Ad ulteriore conferma si osserva che i due metodi indicati nel Dlgs 152/2006 per il rilevamento delle
emissioni di Cot, ovvero Uni En 12619-2002 e Uni En 13526-2002, consentono di determinare il totale del
carbonio organico in forma gassosa mediante un rilevatore a ionizzazione di fiamma (FID)
indipendentemente dalla presenza o meno di metano". [Sentenza Tar Piemonte 9 ottobre 2013, n. 1046]
La sentenza pronunciata da parte del Tribunale Amministrativo evidenzia un aspetto estremamente delicato
della materia: la prima sezione del Tar del Piemonte, intervenendo in questo contenzioso tra Provincia di
Novara e la società biogassista, ha chiarito che il parametro di emissione massimo consentito di COT
3
(150 mg/ Nm ) deve intendersi comprensivo del metano in quanto esso è inequivocabilmente un
composto organico e determina emissioni inquinanti a causa del suo elevato contributo all'effetto
serra.
Difficilmente, tra le centrali in esercizio, ne esiste qualcuna capace di rispettare i limiti di emissioni di COT di
3
150 mg/ Nm se si include il metano.
Tutte le regioni (tramite le Arpa) hanno "interpretato" che i COT escludono il metano ma il TAR, con questa
sentenza, pare dargli torto, e tutte le centrali a biogas sarebbero, di conseguenza, fuori dai limiti di legge. La
sentenza ha chiarito in maniera inequivocabile che il parametro di emissione massimo consentito di COT
3
(150 mg/ Nm ) deve intendersi comprensivo del metano.
Essendo la pronuncia del TAR recente, appare destinata a rappresentare un indirizzo di giurisprudenza di
non poco peso per il futuro, ma anche per il presente. Dunque, sulla base di questa sentenza, tutte le
centrali già in esercizio diventerebbero fuori legge?
Ritengo che i valori di emissione COT delle centrali a biogas, anche di piccole dimensioni e già autorizzate
andrebbero valutati e riesaminati.
In questo caso specifico, erano stati presentati agli atti, in sede di Conferenza dei Servizi?
Nei siti tematici dedicati al biogas, l’argomento fa discutere. L’unico modo per rispettare tale limite pare sia
quello di montare nell’impianto un “post combustore rigenerativo”. Nient’altro che un ulteriore bruciatore di
metano, che presenta però due grandi inconvenienti: il primo, in termini di costi, pari a circa 150 mila euro; il
secondo, in termini di efficienza, poiché ridurrebbe la quantità di energia elettrica prodotta.
Ovviamente, in assenza di obiezioni sollevate dai Comuni che ospitano gli impianti, nessuno avrebbe
interesse a montarlo, poiché si spenderebbe di più, e si guadagnerebbe di meno.
Se però fosse esplicitamente richiesto per rientrare nei limiti previsti dalla norma lo si dovrebbe fare. E
questo è un settore delicato, nel quale entrano in gioco quegli equilibri, su piani spesso “mobili”, dove si
intersecano l’operato della classe politica e quella burocratica...
Annamaria Agosti
Intervento dell’ 11 luglio 2014
http://www.oggicronaca.it/biodigestore-a-tortona-una-sentenza-della-cassazione-potrebbe-rimettere-tutto-indiscussione/
Egregio Direttore,
la distribuzione delle deleghe operata dalla nuova Amministrazione Comunale di Tortona si potrebbe rivelare
particolarmente efficace nel dipanare alcuni dubbi riguardo al futuro biodigestore, per via di alcune
perplessità che interessano sia la materia dell’urbanistica che quella ambientale.
L’Assessore Davide Fara, infatti, se avrà la bontà di leggermi, potrebbe aiutare me (ed i lettori tutti) a chiarire
alcuni aspetti che mi appaiono particolarmente “ostici”, sulla materia urbanistica.
Il filo conduttore del discorso è, peraltro, legato all’ambiente, poiché si parla del biodigestore che sorgerà,
prossimamente, lungo la Strada Provinciale per Castelnuovo, alla ex piattaforma fanghi.
Tale area, nel territorio comunale di Tortona, dall’esame della documentazione presentata in Conferenza dei
Servizi, pare rientrare in “zona agricola A2”, ai sensi del vigente piano regolatore P.R.G.C..
Secondo le Norme di Attuazione del vigente Piano Regolatore Generale, si intendono per "zone agricole" le
“aree nelle quali è possibile praticare l'agricoltura, la silvicoltura e la zootecnica indipendentemente
dall'utilizzazione in atto e dalle dimensioni dei fondi.”.
Azzarderei che un biodigestore alimentato con la frazione umida proveniente dalla raccolta differenziata e
dai fanghi del depuratore non trovi collocazione in nessuna di queste casistiche.
Però, sempre scorrendo le Norme di Attuazione del PRGC, noto che “è ammessa la riutilizzazione di opere e
manufatti per attività extra agricole nei limiti stabiliti dalle vigenti normative nazionali e regionali e dalle
presenti norme.”
E’ pur vero che questi impianti di co-generazione (in pratica, produzione di energia elettrica) “possono
essere ubicati anche in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici” (art. 12, comma 7°, del decreto
legislativo n. 387/2003 e s.m.i.), tuttavia, secondo l’indirizzo giurisprudenziale, nelle zone agricole degli
strumenti urbanistici comunali, possono essere autorizzati soltanto interventi relativi ad attività agricole e/o
strettamente connesse.
Questo, perlomeno, è quanto stabilito da una sentenza di Cassazione (Cass. pen., sez. III, 9 marzo 2012, n.
9369): “Tutte le attività e gli interventi che si ritengono realizzabili in zona agricola restano comunque
funzionali ad un'attività tipicamente agricola o alle altre attività alla stessa intimamente connesse con
esclusione, quindi, di tutto ciò che é riferibile ad altre zone individuate in sede di pianificazione del territorio
comunale”.
Alla luce di questa pronuncia, pare che l’attività di produzione energetica di tipo industriale – come quella in
corso di realizzazione – slegata da attività agricole in esercizio nel sito, sia incompatibile con la destinazione
urbanistica attuale. Anche per la parte di impianto che andrebbe a ricadere nell’area dell’ex-depuratore,
poiché appare ragionevole il dubbio che l’impianto di un privato, che genera profitti dalla vendita di energia
elettrica a tale privato, possa essere (ancora) inquadrato nell’Art. 56 del PRGC “Servizi pubblici e privati ad
interesse pubblico”.
Pubblico, di chi? Del Comune di Tortona, come era riconducibile, in origine, l’esercizio della piattaforma
fanghi? Non mi pare che le due situazioni siano assimilabili.
Tornando alla pronuncia della Suprema Corte, sembrerebbe, pertanto, logica, la presenza di impianti simili
solo quando siano connessi ad aziende agricole presenti nell’area. Nel nostro caso, invece, la biomassa da
utilizzare nell’impianto potrebbe giungere anche da svariati chilometri di distanza, tanto da prevedere sulla
Provinciale il transito di 66 camion in più al giorno (sempre secondo il progetto presentato in Conferenza dei
Servizi)
La lista delle possibili precisazioni non si esaurisce certo qui. Forse la situazione sarebbe sanabile, con una
trasformazione dei terreni ubicati in zona agricola2, in zona industriale? Motivandone la necessità sulla mole
di interventi richiesti dalla Conferenza dei Servizi, con le varie recinzioni, sistemazione piazzali ed impianti
tecnologici, consentendo quindi la piena trasformazione dell'attuale sito produttivo?
In tutta sincerità, nella mia veste di semplice ambientalista, non lo so. Però sarebbe veramente interessante
l’opinione al riguardo dell’Assessore con delega all’Urbanistica ed all’Ambiente, Davide Fara, espressione di
quella Giunta Bardone che, in meno di un mese dal proprio insediamento, ha già dimostrato una notevole
sensibilità ai temi ambientali. Non ci eravamo più abituati….
Annamaria Agosti
Intervento del 23 luglio 2014
http://www.oggicronaca.it/ancora-miasmi-sulla-strada-per-carbonara-il-territorio-tortonese-manna-del-cieloper-qualcuno/
Nel pomeriggio di lunedì 21 luglio 2014, chi si fosse trovato a percorrere la ex strada statale 35 dei Giovi, nel
tratto limitrofo a Carbonara, zona Cascina Lucrezia, poteva percepire dei miasmi di livello eccezionalmente
molesto. L’intensità dell’odore, peraltro avvertibile anche in zona collinare, da Villaromagnano a Spineto
Scrivia, andava scemando verso le 19 di sera. L’origine, che ho ipotizzato riconducibile all’agronomia,
rimane peraltro da definirsi.
In questo frangente, la memoria olfattiva ha agganciato la memoria episodica, riportandomi alla mente che,
tutt’ora, rimane in sospeso ogni decisione della Conferenza dei Servizi per autorizzare (o meno) lo
spandimento del digestato proveniente da un impianto privato, del luogo, sui terreni agricoli di ben otto
Comuni del Tortonese; tra di essi, ben tre erano quelli interessati dai miasmi nel pomeriggio di lunedì.
L’episodio (che, naturalmente, solo per una pura coincidenza ha interessato proprio questi Comuni) può
essere, peraltro, visto come uno degli scenari possibili, nel prossimo futuro. E nemmeno troppo lontano.
Ho come l’impressione che il territorio Tortonese rappresenti una sorta di “Eldorado” per le società
biogassiste, al punto che vi sono addirittura aziende provenienti da fuori provincia che scelgono di insediare i
loro impianti qui da noi. Il motivo per cui la zona di Alessandria sia in controtendenza rispetto ad altre località
rimane un mistero, per ora.
Forse non tutti sanno che in Alto Adige, molti impianti a biogas si trovino addirittura in una situazione
economica deficitaria. E’ veramente sorprendente scoprire che, nell’efficientissimo Sud Tirolo, questo
settore, apparentemente sostenibile sul proprio ciclo perfetto, sta incontrando notevoli difficoltà; molti
impianti a biogas, gestiti da consorzi o cooperative di agricoltori, ritrovandosi un bilancio in deficit, hanno
domandato alla Provincia di Bolzano di identificare interventi a sostegno di questa nuova “economia” e
suggerire delle soluzioni. E la Giunta Provinciale, oltre a discutere il modo di sostenere queste infrastrutture,
nel maggio scorso ha provveduto a regolamentarne il futuro, attraverso l’emanazione di linee guida
maggiormente restrittive per le nuove autorizzazioni.
D’ora in avanti, in provincia di Bolzano, per ottenere il via libera alla costruzione di nuovi impianti a biogas
sarà necessario presentare anche uno studio relativo alla loro economicità e sostenibilità; sarà inoltre
valutato il grado di partecipazione all'iniziativa degli agricoltori del bacino di utenza interessato.
[Fonte: http://www.provincia.bz.it/news/it/news.asp?news_action=4&news_article_id=459309 ]
Un modello di efficienza, quello altoatesino, ancora una volta sorprendentemente all’avanguardia nella tutela
del proprio territorio, non è vero?
La domanda che rimane, peraltro, aperta, è invece un’altra.
Perché, restando sul tema di queste restrizioni, una società (ad esempio, altoatesina) dovrebbe invece
ottenere l’autorizzazione ad insediare un proprio impianto, alimentato con la frazione umida di rifiuti urbani
provenienti da ovunque, proprio qui da noi?
Annamaria Agosti