indice generale - Università degli Studi di Trento

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INDICE GENERALE
Capitolo 1 – Introduzione al titanio ed alle sue leghe
Cos’è il titanio?…………………………………………………………………… pag. 1
Generalità sulle leghe di titanio……………………………………………...…… pag. 3
Perché il titanio e le sue leghe in ortodonzia?………………………………….… pag. 6
A proposito della corrosione del titanio…………………………………………... pag. 9
Capitolo 2 – Fili ortodontici
Valutazione della frizione tra brackets ceramici e filo ortodontico………………. pag.12
L’impiego delle leghe al titanio in ortodonzia……………………………………. pag.16
Capitolo 3 – Impianti in titanio
Generalità…………………………………………………………………………. pag.18
Titanio sabbiato……………………………………………………………...…… pag.18
Titanio plasma spray……………………………………………………………… pag.20
L’interfaccia titanio-osso…………………………………………………………. pag.20
Concetti generali sull’idrossiapatite……………………………………………… pag.21
Rivestimenti biocompatibili di idrossiapatite su titanio………………………….. pag.23
Il rivestimento in idrossiapatite……………………………………………...…… pag.23
L’interfaccia osso-idrossiapatite……………………………………………….…. pag.24
Impianti a vite in titanio trattato…………………………………………….……. pag.25
Impianti a vite autofilettante in titanio liscio…………………………………….. pag.26
Impianti rivestiti in TPS………………………………………………………….. pag.26
Impianti rivestiti in Hydroxylapatite………………………………...…………… pag.28
La testa degli impianti……………………………………………………………. pag.28
Capitolo4 – Altre applicazioni
Protesi avvitata……………………………………………………………….…… pag.30
Protesi fissa cementata……………………………………………………….…… pag.32
Overdenture………………………………………………………………………. pag.33
Scheletrati………………………………………………………………………… pag.33
Soluzioni su impianti……………………………………………………….…….. pag.34
Strumenti ortodontici e chirurgici in titanio e nitruro di titanio…………….……. pag.34
Capitolo 5 – Adesione tra Ti-ceramica………………………………………………… pag.36
Capitolo 6 – Lavorazione del Ti
Fusione………………………………………………….…………………………pag.46
La saldatura………………………………………………………………………. pag.48
Elettroerosione………………………………………………………………….… pag.54
Ringraziamenti…………………………………………………………..……………… pag.55
Bibliografia………………………………………………………………………………. pag.56
Capitolo 1
INTRODUZIONE AL TITANIO ED ALLE SUE LEGHE.
Cos’è il titanio?
Il Titanio, situato nel IV gruppo della tavola periodica degli elementi con il numero atomico 22, è
un metallo leggero (peso atomico 47,9) e amagnetico. É il nono elemento più diffuso allo stato
naturale (dopo ossigeno, silicio, alluminio, ferro, magnesio, calcio, sodio, potassio) all'interno della
crosta terrestre: ne costituisce infatti lo 0,6% ed è pure il quarto metallo strutturale più abbondante
dopo l’alluminio, il ferro ed il magnesio (la sua concentrazione è circa 1/20 di quella dell’alluminio
e 1/10 di quella del ferro). Il titanio, in condizioni standard, è un metallo duro di color argento con
una bassa densità.
Poiché il raggio ionico del titanio è simile a quello della maggior parte dei comuni elementi (Al3+,
Fe3+, Mg2+), gran parte dei minerali, ciottoli e suolo contengono piccole quantità di titanio, benché
i veri minerali di titanio, contenenti più dell'1 % di titanio, si trovano solo in poche località.
Principalmente il titanio si trova in pietre ignee, dove esso forma il componente acido di magmi
basici e il componente basico di magmi acidi .
Nel primo caso sono presenti titanati, i più importanti dei quali sono l’ilmenite (FeTi03) e perovskite
(CaTi03). Nel secondo caso sono formati da ossidi di titanio. Esistono anche forme intermedie come
dei silicati, nei quali il titanio è presente soprattutto come un elemento basico ( zirconi minerali e
aluminosilicati), ma anche in sostituzione del silicio.
I minerali di titanio più importanti sono anatase (TiO 2); ilmenite (FeTiO3), che contiene più del 53%
di TiO2, perovskite (CaTiO3), rutilo (TiO2) e sphene [CaTi(SiO 4)O]. Di questi, solo ilmenite,
leucoxene e rutilo sono di importanza economica, dovuta alla facilità con la quale possono essere
processati.
Il minerale maggiormente utile per l'estrazione di titanio e composti di titanio è il rutilo (TiO 2).
Sebbene esso sia più raro dell'ilmenite, il suo contenuto di TiO 2 è più alto. Il rutilo contiene 90-97%
di TiO2, assieme ad impurità al 10 % di silicio, ossidi di ferro, vanadio, niobio e tantalio, e tracce di
composti di stagno, cromo e molibdeno.
Il principale giacimento di rutilo si trova a Kragero nel sud est della Norvegia (albite con il 25 % di
rutilo) e in Virginia (U.S.A.). Comunque i più importanti sono i giacimenti secondari, cioè in
Brasile, Camerun, e Arkansas e le spiagge di sabbia, delle quali le più importanti sono quelle sulla
costa est dell' Australia, in Florida e in Sud Africa.
Il titanio si trova in molte stelle; è meno abbondante nelle meteoriti che nella crosta terrestre ed è
spesso associato con silicati.
A temperatura ambiente il titanio presenta una struttura esagonale compatta (hcp) denominata fase
α: questa struttura si mantiene stabile fino a 882 °C, al di sopra della quale la struttura del titanio
subisce una modificazione allotropica presentando un sistema cubico a corpo-centrato (bcc)
conosciuto come fase â, che rimane stabile fino al punto di fusione, a 1668±50 °C.
Figura 1.1 : cella elementare del titanio fase α hcp (a destra) e fase β bcc(a sinistra).
Il titanio puro contiene ancora tracce di altri elementi; ciò è dovuto alla forte affinità del metallo con
i gas atmosferici. Sopra la temperatura ambiente la sua resistenza decresce del 50% a 200°C, mentre
lo sforzo a frattura rimane pressoché invariato.
L’aumento della grandezza dei grani diminuisce la resistenza a trazione e il limite di snervamento,
ma aumenta l'elongazione e la contrazione d'area a frattura.
L’aumento del contenuto di ossigeno, azoto e idrogeno aumenta la resistenza e diminuisce la
durezza; mentre l’ossigeno è l’unico elemento che viene aggiunto deliberatamente per dare
resistenza maggiore, gli altri elementi insieme con ferro e carbonio sono introdotti durante la
produzione come impurità.
Poiché il titanio cosiddetto "commercialmente puro" contiene comunque delle impurità, è stata
creata dall’ASTM (American Society for Testing and Materials) una classificazione in 4 gruppi
detti rispettivamente grado 1, grado 2, grado 3 e grado 4. Per ciascuno di tali gruppi è stato definito
il contenuto massimo di azoto, carbonio, idrogeno, ossigeno e ferro nonché i valori minimi di
alcune caratteristiche meccaniche.
Tabella 1.1 : classificazione ASTM del Ti commercialmente puro (Reed-Hill).
Grado 1: titanio commercialmente puro con basso contenuto di ossigeno. Questa qualità ha basso
carico di rottura ed alta duttilità, viene utilizzato per il profondo stampaggio ed è adatto alla
deformazione a freddo.
Grado 2: titanio commercialmente puro con un più alto contenuto di ossigeno ed una maggior
resistenza rispetto al grado 1. E' il titanio commercialmente puro più largamente usato e offre il
miglior compromesso di resistenza, saldabilità e formabilità.
Grado 3: titanio commercialmente puro con contenuto di ossigeno ancora maggiore del grado 1 e 2
(maggior resistenza e minor duttilità); inoltre è ben saldabile. Viene utilizzato per la costruzione di
recipienti in pressione.
Grado 4: titanio commercialmente puro con le caratteristiche di resistenza più elevate. Viene
utilizzato per organi di trasmissione e nell'industria aeronautica
Densità a 25°C
4,5 g/cm3 (alta purezza)
4,51 g/cm3 (purezza commerciale)
coefficiente di espansione lineare a 25 °
8,5×10-6 K-1
calore latente di fusione
20,9 kJmol-1
conduttività termica a 20-25°C
0,221Wcm-1K-1 (alta purezza)
0,226-0,201Wcm-1K-1(purezza com)
modulo di elasticità a 25°C
100-110 GPa
modulo di rigidezza a 25°C
411,8-431,5 GPa
Bulk modulus a 25°C
122,6 GPa
resistività elettrica a 25°C
a 600°C
42 Ωµcm
140-150 Ωµcm
suscettibilità magnetica di α -Ti a 25°C
3,2×10-6cm3/g
Tabella 1.2 : schema riassuntivo delle proprietà generali del titanio.
Generalità sulle leghe di titanio
Lo scopo principale dell'aggiunta di elementi in lega al titanio è di migliorare le sue proprietà
meccaniche.
Tabella 1.3 : proprietà meccaniche e composizione delle principali leghe di titanio (Reed-Hill).
La temperatura di trasformazione del titanio dalla fase á a quella â può essere elevata o abbassata
con l'aggiunta di elementi che possono stabilizzare la fase á o quella â. Ossigeno, azoto e carbonio,
come interstiziali, e alluminio,come sostituzionale, stabilizzano la fase á.
Gli elementi che stabilizzano la fase â includono idrogeno, come interstiziale, vanadio, molibdeno,
ferro, cromo, rame, palladio e silicio, mentre zirconio e stagno sono altamente solubili in entrambe
le fasi.
Le leghe sono classificate come leghe á , (á+â) e â-titanio a seconda della fase presente a
temperatura ambiente.
Poiché la struttura cubica del titanio â contiene più piani di scorrimento della forma esagonale á, il
titanio â è più facilmente deformabile.
Le leghe nelle regioni â e (á + â) sono perciò formate a caldo. Le leghe â e alcune leghe (á + â)
contengono, in aggiunta a molibdeno o vanadio, additivi per i quali la fase â nel range di
temperatura tra 550°C e un massimo di 860°C subisce decomposizione eutettoidica in fase á e un
composto intermetallico. Questo processo è usualmente associato ad un infragilimento che riduce la
stabilità termica e deve quindi essere evitato durante la produzione e la lavorazione.
Per sistemi che presentano decomposizione eutettoidica della fase â, il processo procede più
lentamente a più bassa temperatura.
L'indurimento delle leghe di titanio può essere ottenuto in vari modi: un composto intermetallico
può essere precipitato dalla fase á per tempra e ricottura (Ti-Cu leghe).
In leghe con elementi â-stabilizzanti, la fase ß metastabile può essere formata in aggiunta alla fase
á per solubilizzazione, tempra e ageing.
Nell’ageing la lega è trasformata, attraverso una fase intermedia ù, in fase á e in fase â stabilizzata
per arricchimento di elementi in lega. Entrambi questi processi sono utilizzati nell'industria per
migliorare le proprietà meccaniche delle leghe di titanio.
Le leghe á, che hanno un range di resistenza di 830-1030 MPa, sono utilizzate come leghe per
forgiatura e anche nella produzione di fogli metallici per le loro buone proprietà di saldatura. La
Ti5Al2.5Sn ha una buona resistenza alla trazione alle alte temperature. Le vicine leghe á fanno
parte del gruppo delle leghe di titanio per alte temperature, utilizzate nei motori di aerei.
Le leghe (á+â) includono la più comune lega di titanio Ti6Al4V. La sua resistenza di 900 MPa
nello stato ricotto può essere accresciuta di ca. 200 MPa per indurimento.
Figura 1.2 : illustrazione schematica della formazione della classica struttura nella lega Ti6Al4V
mediante lento raffreddamento da una temperatura superiore a beta transus. La microstruttura finale
è determinata da piatti di fase alfa separati tra loro da fase beta (Reed-Hill).
Resistenze superiori ai 1000 MPa possono essere conseguite attraverso un buon indurimento con le
leghe Ti6Al6V2Sn e Ti4Al4Mo2Sn.
Leghe â con resistenza di 1000-1200 MPa nello stato ricotto includono Ti15V3Cr3Sn3Al,
Ti3Al8V6Cr4Zr4Mo e Ti15Mo3Nb3AlSi. e proprietà delle leghe Ti6Al6V2Sn e Ti4Al4Mo2Sn
dovute all'indurimento sono superiori a quelle delle usuali leghe commerciali di titanio.
La resistenza a fatica delle leghe di titanio dipende dalla sezione dei semilavorati e dalla loro
struttura. Nello stato non intagliato, questa è del 30-50 % della resistenza a trazione e nello stato
intagliato del 30%.
La resistenza a frattura del metallo con una struttura tipo quella della Ti6Al4V arriva a valori più
alti di quella di un metallo con una struttura poligonale.
Il rate di diminuzione della resistenza a trazione alle alte temperature delle leghe, con l'aumento
della temperatura sopra ai 250°C, è più basso di quella del titanio commercialmente puro, e la
resistenza al creep è più alta.
Il limite di snervamento è maggiore del 90 %. Poiché l'allungamento senza necking è piccolo, questi
materiali sono usualmente formati a caldo. Solubilizzazione e stabilizzazione danno proprietà
migliorate, come accresciuta stabilità termica e migliorate proprietà a creep.
Nelle leghe commerciali di titanio á e(á+â), la densità a 25°C è nel range di 4.37-4.56 g/cm3. Nelle
leghe â di titanio, sono raggiunti valori di 4.94 g/cm3.
I moduli di elasticità e la rigidità aumentano con l'accrescimento del contenuto di elementi
interstiziali e alluminio e con temperatura di annealing; con l’addizione di additivi â stabilizzanti
decrescono rispetto al titanio puro, poiché aumenta l'indurimento; sia nel titanio puro che nelle
leghe di titanio commerciali decrescono con l'aumento della temperatura.
A 25°C le leghe di titanio usualmente hanno resistività elettrica di ca. 150 x 10-6 Ùcm. Il
coefficiente lineare di espansione a 25°C per le leghe á-e(á+â) di titanio è di ca. 9.5 x 10 -6 K-1. Il
calore specifico è simile a quello del titanio ed è piuttosto alto per le leghe (á+â) di titanio. La
conducibilità termica è solo la metà di quella del titanio.
L'addizione di metalli nobili e di altri metalli come molibdeno, zirconio, afnio, nichel, tantalio o
niobio migliorano le proprietà anticorrosive del titanio, mentre l'aggiunta di ferro, cromo e
alluminio, ossigeno a livelli piuttosto alti , azoto, e idrogeno, riducono la resistenza alla corrosione.
Il comportamento alla corrosione delle leghe di titanio commerciali è molto simile a quello del
metallo commercialmente puro. Leghe di titanio contenenti lo 0.15 % di Pd o 2% di Ni o il 15-30%
di Mo non hanno rilevanza industriale, nonostante la loro superiore resistenza alla corrosione in
condizioni riducenti.
Con l'aumento del contenuto dell'alluminio, le suscettibilità delle leghe del titanio alla stress
corrosion cracking a temperature maggiori ai 200°C aumenta.
Sono conosciuti tre composti intermetallici titanio-alluminio: Ti3Al, TiAl e TiAl3. In particolare, le
fasi á2-Ti3Al(esagonale) e ã-TiAl (tetragonale) esibiscono bassa densità e buona resistenza alle alte
temperature e sono scelte perciò per lo sviluppo di materiali da costruzione.
I principali scopi sono accrescere la duttilità a temperatura ambiente di queste fasi fragili e
migliorare la resistenza alla corrosione nel range di temperatura di 500-900°C.
Le leghe utilizzate in ortodonzia sono leghe (á+â) e â di titanio. Vengono utilizzate tali leghe in
quanto risentono delle proprietà di biocompatibilità del titanio (loro principale costituente), inoltre
hanno ottime proprietà meccaniche quale buona elasticità abbinata a ottima resistenza a fatica.
Schematicamente possiamo riassumere i trattamenti termici per ottenere tali leghe nello schema
seguente:
Figura 1.3 : trattamenti termici per la produzione tipica di un á+â titanio. (A) diagramma di fase
parziale – (B) trattamento di solubilizzazione – (C) conseguente invecchiamento, (Reed-Hill).
Perché il titanio e le sue leghe in ortodonzia?
•
BIOCOMPATIBILITA' :
La biocompatibilità del Titanio e' data dal fatto che questo metallo e' biochimicamente inerte
grazie alla sua capacità di passivazione, che lo rende non tossico.
Le leghe dentali che attualmente vengono usate in odontoiatria possono originare casi di allergie
, determinate dai vari processi chimici e termici che si creano nel cavo orale. L'introduzione del
Titanio nelle ricostruzioni di protesi e il suo successo, soprattutto negli impianti, viene dall'alto
grado di biocompatibilita' di questo elemento.
•
RESISTENZA ALLA CORROSIONE :
Il Titanio presenta una resistenza alla corrosione molto alta data dalla sua capacita' di ricoprirsi
spontaneamente di uno strato di biossido di titanio ogni volta che subisce un danneggiamento
meccanico, se nell'ambiente e' presente ossigeno.
La capacita' di ossidazione di questo elemento, crea una passivazione superficiale, che ne
determina una notevole resistenza alla corrosione fondamentale per la sua biocompatibilita'.
•
RADIOTRASPARENZA :
Una protesi in Titanio può essere radiografata avendo così la sicurezza di un manufatto integro e
compatto a fusione avvenuta.
•
ASSENZA DI SAPORE :
Un aspetto non da sottovalutare nell'uso del Titanio in odontoiatria e' l'assoluta neutralita'
gustativa. Questo e' dovuto alla facilita' con cui lo strato d'ossido passivamente inibisce i
processi d'erosione elettrogalvanica e la conseguente asportazione di particelle più esposte di
metallo che poi, fatte circolare in bocca, possono essere percepite dalle papille gustative sotto
forma d'aroma metallico.
•
CONDUCIBILITA' TERMICA :
Il Titanio ha una conducibilità termica 14 volte inferiore a quella dell'oro; per questo non si
creano irritazioni termiche della polpa che invece si possono manifestare con le leghe ad alto
contenuto aureo.
•
LEGGEREZZA :
Il Titanio ha un bassissimo peso specifico, circa 4 volte inferiore a quello dell'oro, per questo la
sensazione che riscontra il paziente portatore di protesi e' di estrema leggerezza.
•
VERSATILITA':
Le caratteristiche chimico-fisiche del Titanio ci permettono di fabbricare con un unico metallo
allo stato puro protesi odontoiatriche. Trova la sua massima espressione in protesi combinata e
sovrastrutture su impianti garantendo la massima precisione nelle chiusure realizzate in Titanio
anche su monconi naturali.
•
LA FUSIONE :
La fusione e' il passaggio che ha creato più problemi durante la lavorazione del Titanio a causa
della tendenza che questo metallo ha nel reagire con i componenti dell'atmosfera e con la
maggior parte degli elementi alla temperatura di fusione che possono alterare le molecole del
titanio fino ad ottenere non piu' un elemento puro, ma una non precisata lega dalle
caratteristiche sconosciute alterando tutte le sue caratteristiche chimico-fisiche.
Le caratteristiche di fusione e solidificazione del Titanio sono particolari e richiedono protocolli
operativi di laboratorio totalmente diversi da quelli comunemente usati per altri materiali.
Quindi, a causa delle proprietà intrinseche del Titanio, che lo rendono un metallo difficile da
fondere e da colare ,non si possono usare le apparecchiature da fusione tradizionali con crogioli
di ceramica e materiali refrattari tradizionali ma sono necessari degli equipaggiamenti e dei
materiali sviluppati a questo scopo .
•
RIVESTIMENTO ESTETICO :
Il rivestimento estetico della struttura in Titanio può essere fatto in composito o in porcellana.
I compositi di nuova generazione sono senza ombra di dubbio una innovazione nella
ricostruzione odontoiatrica, sia per quanto riguarda l'estetica che per la funzionalità.
L'applicazione in odontotecnica di questi materiali e' molteplice : ponti, corone, provvisori
terapeutici, intarsi, faccette, california-bridge, paradontologia e implantologia.
Come nel Titanio , leggerezza e biocompatibilita' conferiscono al dispositivo medico su misura
la garanzia di un ottimo risultato per il paziente.
La porcellana utilizzata sul Titanio e' classificata come idro-ceramica le cui caratteristiche si
possono riassumere nel basso punto di fusione e nel basso coefficiente di espansione termica
questo consente attraverso un bonder adeguato e passaggi lavorativi adatti, una eccellente
adesione ti-ceramica ed una perfetta riproduzione della morfologia e colorazione del dente
naturale.
•
SALDATURA:
L'unico sistema migliore per saldare il Titanio e' il laser. L'apparecchio funziona ad impulsi di
pochi millisecondi e con protezione di gas argon che fonde in modo puntiforme la struttura. Con
questa apparecchiatura si possono ottenere unioni omogenee, stabili, prive di tensioni e di
ossidazioni ed e' possibile unire due pezzi con l'apporto di un unico metallo mantenendo
inalterate le caratteristiche chimico-fisiche iniziali dello stesso.
Il calore sviluppato dal raggio laser e' limitato alla zona fusa, questo consente di effettuare
saldature e non brasature anche in presenza di materiali estetici, quali ceramica, resina,
compositi, ecc.
Con il laser oltre al Titanio possiamo saldare tutti i tipi di metalli con o senza apporto dello
stesso metallo del manufatto.
•
PRECISIONE:
L'eliminazione totale dell'alpha-case attraverso tecnologia e rivestimenti particolarmente
innovativi ,assieme ad una contrazione minima in fase di raffreddamento del metallo fuso e la
mancanza di tensione nel procedimento di fusione e imperniatura, permette di avere una protesi
estremamente precisa nelle chiusure marginali e nei controfresaggi ma sopratutto stabile nelle
riabilitazioni particolarmente estese.
Confronto con altre soluzioni strutturali:
Tabella 1.4 : principali caratteristiche a confronto tra i vari metalli dentari.
Come emerge dalla tabella sopra riportata il titanio non teme confronti per quanto riguarda la
resistenza, la durezza, il peso specifica e la conducibilità termica.
A proposito della corrosione del titanio
Le considerazioni che andremo a fare sono tratte da “Corrosione elettrochimica di metalli e leghe
dentali in saliva artificiale” – ing. P.Battaini – RIS.
Sono state condotte delle misure elettrochimiche per la caratterizzazione a corrosione di alcune
leghe per uso odontoiatrico in saliva artificiale Ringer (soluzione di NaCl, NaHCO3, CaCl2 e altro).
Tabella 1.5 : composizione chimica delle leghe analizzate.
Le curve potenziodinamiche forniscono la corrente critica di passivazione (Icrit) che descrive la
capacità a passivarsi della lega o del metallo.
I risultati ottenuti per il titanio sono i seguenti:
1. l’abilità di passivazione del titanio è simile a quella della lega C e superiore a quella della lega
D;
2. Ti, lega H e Pd presentano un Ecorr (tensione di corrosione dopo polarizzazione catodica) ancora
in crescita dopo 36 ore dalla polarizzazione catodica;
3. Ti, lega H e amalgama compiono buona parte del processo di ripassivazione entro 30 minuti
(bassa nobiltà);
4. Resistenza di polarizzazione R p fino a 500 Kohm;
5. Bassa corrente di corrosione galvanica in coppia con l’amalgama;
Grafico 1.1 : curva potenziodinamica che mostra un ampio intervallo di bassa densità di corrente
tra il potenziale di corrosione e di rottura relativamente al Ti. Comportamento questo di materiali a
ottima resistenza alla corrosione.
Grafico 1.2 : andamento dei potenziali di circuito aperto (Ecorr) dopo riduzione catodica. Le leghe
ad alto titolo di Pd e il Pd hanno le cinetiche di ripassivazione più lente.
Grafico 1.3 : dettaglio del Grafico 1.2 che mostra il confronto tra le cinetiche di
ripassivazione di Ti, Au, amalgama , lega H e lega E.
Grafico 1.4 : correlazione tra le correnti di corrosione galvanica e il valore assoluto delle differenze
tra i potenziali di circuito aperto delle coppie con amalgama dentale.
Conclusioni:
il titanio ha una buona resistenza a corrosione, migliore delle leghe ad alto titolo di palladio. Gli
unici accoppiamenti tollerati con l’amalgama sono con la lega Co-Cr e con il Ti caratterizzati da
correnti inferiori a 40 nA/cm 2.
Capitolo 2
FILI ORTODONTICI.
Valutazione della frizione tra brackets ceramici e filo ortodontico
In ortodonzia è necessario conoscere la forza d’attrito tra brackets e filo ortodontico in modo da
poter applicare al dente una forza opportuna ed ottenere così un’ottima risposta biologica ed un
adeguato movimento del dente. L’attrito valutato in brackets ceramici verrà poi confrontato con
quello dei brackets in acciaio inox (SS).
I materiali testati sono:
•
•
Fili ortodontici: acciaio inox (SS), lega Co-Cr, beta-titanio (TMA), lega Ni-Ti (Nitinol) di varie
sezioni (sez. circolare 0.016”,0.018”, sez. rettangolare 0.016”x0.016”, 0.016”x0.022”,
0.017”x0.017”, 0.017”x0.025”, 0.018”x0.025”, 0.019”x0.025”);
Brackets ceramici monocristallini con vari canali per il filo (slot): 0.018” e 0.022”;
L’equipaggiamento utilizzato per questo esperimento è mostrato sotto:
Figura 2.1 : testing machine, A-visione d’insieme, B-particolare.
La macchina, attraverso la cella di compressione, misura la forza d’attrito tra i due materiali mentre
la macchina, mediante una traversa fa scorrere (5.1 mm/min) tra loro racket e filo (accoppiato al
racket nello slot).
Sono stati testati 40 provini di filo ortodontico per tipo di metallo in racket con 0.018” di solt, 70
provini di filo ortodontico per tipo di metallo in racket con 0.022” di solt.
In brackets di 0.018” di slot, il TMA e il Nitinol hanno prodotto una forza d’attrito molto alta
rispetto a SS e Co-Cr.
In brackets di 0.022” di slot, SS e Co-Cr hanno prodotto una forza d’attrito molto minore rispetto a
beta-Ti e Nitinol.
I risultati statistici sono comunque ben illustrati nelle tabelle successive.
Grafico 2.1 : media della forza d’attrito prodotta tra differenti fili ortodontici e brakets con slot di 0.018”.
Grafico 2.2 : media della forza d’attrito prodotta tra differenti fili ortodontici e brakets con slot di 0.022”.
L’effetto della sezione del filo sulla forza d’attrito si può ricavare dai grafici precedenti. Per
brackets con slot da 0.018” un incremento della sezione del filo ortodontico porta, in tendenza, ad
un aumento della forza d’attrito.
Per i beta-Ti (TMA) abbiamo un valore simile di forza d’attrito col bracket per sezioni di 0.016”,
0.017”x0.017” e 0.016”x0.022”, presenta invece un significativo incremento della frizione la
sezione 0.017”x0.025”.
Con brackets con slot di 0.022” i fili delle 4 leghe presentano un incremento della forza d’attrito con
l’aumento della sezione. E’ da notare, per quanto riguarda il TMA, che i fili ortodontici 0.016” e
0.018” e 0.017”x0.017” producono la stessa frizione, significativamente minore di quella associata
al 0.016”x0.022”.
Per mostrare l’effetto del materiale costituente il racket sulla forza d’attrito mostriamo la seguente
tabella.
Tabella 2.1 : forza d’attrito tra le 4 leghe e brackets di ceramica e SS con slot di 0.018”.
Si può notare come, per ogni tipo di filo in TMA disponibile, la forza d’attrito bracket ceramico-filo
TMA sia di gran lunga superiore a quella bracket SS-filo TMA.
Un confronto tra la forza d’attrito prodotta dai fili delle 4 leghe con brackets ceramici e in SS ci
suggerisce che, per la maggior parte dei fili, l’attrito col bracket ceramico produce una forza
significativamente maggiore a quella prodotta col bracket in SS; ciò si attribuisce alle diverse
caratteristiche del materiale costituente i brackets.
Come si può notare alle foto SEM (riportate di seguito) la superficie dello slot del bracket ceramico
presenta numerose e piccole indentazioni, mentre quella dello slot del bracket in SS appare
relativamente liscia.
La differenza di frizione esplicata da questi due materiali si attribuisce quindi principalmente alle
condizioni superficiali del bracket.
Clinicamente, l’uso dell’accoppiamento filo in TMA e bracket ceramico sta prendendo sempre più
piede perché consente di applicare al dente una forza di trazione maggiore a quella ottenibile con la
soluzione bracket in SS e filo in SS (utilizzata nei casi dove la forza di trazione non deve superare
determinati valori).
Figura 2.2 : foto al SEM di (A) bracket in acciaio inox SS , (B) bracket in ceramica , (C) superficie slot
del bracket in SS , (D) superficie slot del bracket ceramico.
Conclusioni:
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La forza d’attrito nei brackets ceramici aumenta con le dimensioni della sezione del filo
ortodontico ed inoltre SS < Co-Cr < Nitinol < TMA ;
La forza d’attrito è significativamente più elevata in bracket ceramici rispetto a bracket in
acciaio inox (SS) per tutte le combinazioni di leghe e slot utilizzati ;
Fili di sezione rettangolare producono frizioni maggiori rispetto a quelli di sezione circolare.
L’impiego delle leghe al titanio in ortodonzia
Le leghe utilizzate per la fabbricazione degli apparecchi ortodontici sono state,nel corso degli anni,
relativamente poche. Ad esclusione dell'oro che è stato utilizzato per un breve periodo, la principale
lega costituente i fili ortodontici è stata l'acciaio inossidabile austenitico.
Esso ha mantenuto la sua diffusione in quanto è caratterizzato da stabilità, rigidità, resilienza
modellabilità. nonché da un costo contenuto. Un'altra lega abbastanza diffusa è quella al cromocobalto-nickel (Eigiloy); più recentemente e stata introdotta una lega al nickel-titanio (Nitinol) che
presenta un'eccellente memoria elastica ed una bassa rigidità ;la sua scarsa modellabilità ne limita le
applicazioni in casi in cui non sono necessarie numerose anse e pieghe nel filo. Sebbene le proprietà
richieste ad un filo ortodontico siano diverse, generalmente sono tre le caratteristiche che esso deve
possedere:
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grande memoria elastica:deve essere cioè possibile effettuare una notevole attivazione senza che
il filo subisca deformazioni permanenti. Ciò evita al clinico l'inserimento di anse complesse con
conseguente minor fastidio per il paziente ;
rigidità minore rispetto all’acciaio: in tal modo è possibile utilizzare fili di sezione maggiore con
il vantaggio di riempire lo slot e quindi di ottenere un buon controllo dei movimenti di terzo
ordine, entro il range dello sviluppo di forze biologiche;
buona modellabilità tale che il filo possa assumere facilmente configurazioni complicate senza
fratturarsi;
Queste caratteristiche sono tutte presenti nel bera-titanio, il quale consente anche ai effettuare delle
giunzioni di componenti ausiliari mediante puntatura senza incorrere in riduzioni della resilienza.
I1 beta-titanio è la lega più nuova introdotta nella professione ortodontica. I1 titanio è stato
utilizzato come metallo strutturale sin dal 1952 e da allora ne è stato più volte proposto l'uso in
ortodonzia. La scarsità dei risultati ottenuti da una tale applicazione può essere spiegata con le
inadeguate caratteristiche di ritorno elastico delle leghe al titanio allora disponibili. Per poter
competere con l'acciaio inossidabile una lega deve possederne almeno le stesse caratteristiche di
modellabilità e di ritorno elastico che dipende dal rapporto tra rigidità e modulo di elasticità (YS/E).
Questo rapporto nel caso dell'acciaio inossidabile è di 1,1x10-2 .
L'iniziale impiego industriale del titanio prevedeva l'uso dei metallo ad un grado di purezza del
99,2. A temperature inferiori a 1625° F questo metallo presenta una struttura a cristallo esagonale; a
temperatura ambiente il rapporto YS/E è di 0,35 x 10-2 .Ciò implica che un apparecchio costruito
con titanio puro potrebbe subire soltanto un terzo della deflessione elastica di un apparecchio simile
in acciaio inossidabile.
La seconda fase nella storia del titanio consiste nello sviluppo di leghe a base di titanio
caratterizzate però ancora dalla stessa struttura a cristallo esagonale, per cui si ottenevano risultati
soltanto di poco migliori.
Nel 1960 si rese disponibile una forma completamente nuova di lega al titanio caratterizzata da una
struttura cubica detta “fase beta". Con l'aggiunta di altri elementi quali ad esempio il molibdeno una
lega base di titanio può mantenere la sua struttura beta anche se raffreddata a temperatura ambiente;
queste leghe prendono il nome di titanio beta stabilizzato.
Goldberg e Burstone hanno dimostrato che con un'accurata lavorazione di un 11% di molibdeno, un
6% di zirconio, un 4% di stagno è possibile sviluppare un filo ortodontico con un rapporto YS/E di
1.8 x 10-2 cioè con caratteristiche superiori a quelle dell'acciaio inossidabile. I risultati dei tests
comparativi con l'acciaio inossidabile eseguiti con l'ausilio del tester Tinius Olsen sono riportati nel
grafico sottostante.
I1 modulo di elasticità del beta titanio è circa due volte rispetto al Nitinol e meno della metà rispetto
all'acciaio inossidabile .
Grafico 2.3 : risultati dei test comparativi di rigidità tra l’acciaio inox e tre leghe a base di titanio.
La sua rigidità lo rende ideale nei casi in cui si richiedono forze minori dell'acciaio, ma in cui un
modulo di elasticità più basso risulterebbe inadeguato per sviluppare le forze dell'intensità
desiderata. È stato detto che la modellabilità del beta titanio è simile a quella dell'acciaio
inossidabile; comunque tale lega non può essere piegata eccessivamente per cui è richiesta una
notevole accuratezza nella scelta delle pinze e delle procedure di modellazione.
I1 filo al beta titanio può subire delle giunzioni mediante puntura ed ha una buona resistenza alla
corrosione.
Riassumendo, il filo al beta titanio possiede un eccellente equilibrio un alto ritorno elastico, una
buona modellabilità ed una bassa rigidità, caratteristiche che lo rendono particolarmente indicato in
un notevole numero di situazioni cliniche.
Elevati valori di ritorno elastico consentono incrementi di attivazioni, il che è sempre desiderabile,
senza che altre proprietà quali la modellabilità vengano sacrificate eccessivamente.
Le nuove leghe al titanio (Beta III, Ti6Al4V, ecc.) consentono in virtù delle loro particolari
caratteristiche meccaniche la costruzione di apparecchi in grado di sviluppare forze biologiche non
lesive. Esse inoltre consentono la progettazione di sistemi di forze semplici e privi di effetti
collaterali a tutto vantaggio dell’efficienza dell’apparecchio e del comfort del paziente.
Capitolo 3
IMPIANTI IN TITANIO.
Generalità
Il titanio è il biomateriale più ampiamente usato nella chirurgia implantare. Si trova in natura come
elemento puro e presenta un basso peso specifico che favorisce il suo impiego nell'implantologia.
In natura è presente sotto forma di minerali di titanio, e può essere utilizzato sia puro che come
lega: fra le leghe di più largo impiego per la costruzione di impianti, la più utilizzata contiene il 6%
di Al ed il 4% di vanadio (Ti6Al4V). L'Al viene aggiunto al Ti per migliorare la durezza e ridurre il
peso specifico, ma risulta migliorato anche il modulo E. Quindi la lega Ti6A14V presenta una
elasticità maggiore permettendo una più equa distribuzione del carico nelle zone interfaciali ossoimpianto, poiché il modulo E dell'osso e del materiale implantare sono simili. L'aggiunta al titanio
dell'Al e del Va riduce del 50% circa la conducibilità termica e ne aumenta la resistenza all'usura da
fatica di circa la meta. Sono importanti per il successo dell'impianto le proprietà di superficie del
materiale utilizzato. Durante le procedure di lavorazione meccanica il metallo è esposto
all’atmosfera e ad altre sostanze come lubrificanti e liquidi refrigeranti. Il contatto con l’aria porterà
ad una rapida formazione di uno strato di ossido di Ti di circa 10 Å in meno di un millesimo di
secondo. Nel giro di un minuto lo spessore di questo aumenterà fino a circa 50-100 Å. Altra tappa
importante nella preparazione degli impianti è rappresentata dalla sterilizzazione agli ultrasuoni ed
in autoclave. Questa procedura contribuisce ad aumentare lo spessore dell’ossido. Gli ossidi
reperibili sulla superficie del Ti sono: il TiO, TiO2, TiO3, e tracce di ossido di Al e V.I1 TiO 2 è il
più stabile ed è quindi il più frequente sulla superficie del Ti e delle sue leghe. Tale ossido carica
negativamente l'impianto aumentandone l'affinità per le differenti biomolecole. Durante le varie fasi
d’inserimento dell'impianto, l'ossido può essere danneggiato, ma si riforma istantaneamente. I1 vero
protagonista dell’osteointegrazione è l'ossido di Ti in quanto è in grado di passivare i suddetti
materiali prevenendone la corrosione a causa della elevata stabilità chimica. L'ossido è dotato di
un'altra caratteristica importante: previene la diffusione di ioni metallici all'interno dei tessuti,
conferendo al titanio un alto grado di biocompatibilità. Nonostante la ridotta diffusione di ioni di Ti
all’interno dei tessuti è possibile riscontrare, talvolta, particelle di Ti.La superficie del titanio può
essere preparata con differenti tecniche allo scopo di ottenere un grado di rugosità superficiale
ottimale. Fra le diverse metodiche vanno elencate la sabbiatura ed il plasma spray di titanio.La
preparazione di rugosità superficiali ha lo scopo di ottenere una migliore resistenza alla torsione e
trazione dell’interfaccia osso-impianto che sarebbe assicurata dalla microritenzione. Studi istologici
hanno dimostrato la crescita di osso mineralizzato all'interno delle irregolarità superficiali del
titanio aumentando, in tal modo il legame che si viene a stabilire tra il tessuto osseo ed i
biomateriali.
Titanio sabbiato
Il grado di resistenza alle forze di taglio con impianti osteointegrati in titanio dipende dalla reazione
biologica che si ha all'interfaccia. Gli impianti a vite hanno, in linea teorica, una resistenza alla
trazione e compressione maggiore di un impianto cilindrico a superficie liscia (Figura 3.1). La
sabbiatura della superficie del titanio migliora le caratteristiche biomeccaniche dell'impianto
(Figura 6.2).
È tuttavia necessario che la preparazione di superficie non alteri le caratteristiche di
biocompatibilità (Bowers e coll., 1992; Cook e coll., 1992; Gotfredsen e coll., 1992). Anche la
stabilità primaria risulta migliorata in impianti a superficie sabbiata, fatto, questo, che contribuisce
ad accelerare la velocità di contatto con l'osso. L'aumento di resistenza alle forze interfaciali sembra
essere legato all'aumento della superficie disponibile per il contatto osseo, che è funzione del grado
di rugosità superficiale. Un secondo fattore cruciale nel rapporto tra impianti con superfici rugose e
tessuti biologici sembra essere legato al particolare trofismo che certe cellule, quali macrofagi,
cellule epiteliali ed osteoblasti mostrano nei confronti di certe superfici rugose, fenomeno che può
essere definito rugofilia (Brunette, 1988; Smith, 1991). Alcuni studi in vitro hanno dimostrato che
cellule osteoblastiche aderiscono a superfici sabbiate con granuli di circa 100 C1 e non su superfici
di titanio liscio. Sembra, infatti, che i processi osteogenetici abbiano un inizio più precoce su
superfici rugose rispetto al titanio liscio.
Figura 3.1 : la superficie di impianti in titanio liscio presenta le righe di tornitura del metallo che
conferiscono un certo grado di rugosità. Si possono notare strutture biologiche e cellule adese alla
superficie.
Figura 3.2 : immagine al microscopio elettronico a scansione di un impianto in titanio sabbiato.
I materiali con i quali si realizza la sabbiatura sono il biossido di alluminio o il biossido di titanio in
quanto la permanenza di sia pur minime impurità sulla superficie del titanio potrebbe alterare in
senso negativo la risposta biologica al titanio. È tuttavia possibile che la contaminazione residua
alla sabbiatura conferisca al titanio microparti di elementi in grado di influenzare positivamente
l'osteointegrazione agendo come catalizzatori di particolari reazioni biologiche favorevoli.
Titanio plasma-spray
Una delle tecnologie attualmente piu utilizzate allo scopo di aumentare la rugosità superficiale degli
impianti endossei orali consiste nel rivestimento di cilindri di titanio liscio o filettato con polveri di
titanio (Figura 3.3). Tale processo si attua mediante un bruciatore al plasma ad arco voltaico che è
in grado di elevare la temperatura di un gas nobile o di N2/H2 nel quale vengono spruzzate polveri
di idruro di titanio con granulometria di 50-100 µm che, grazie alla fusione del loro strato più
superficiale, aderiscono al corpo del cilindro sul quale vengono deposte. I1 plasma si produce tra un
anodo di rame ed un catodo di tungsteno raffreddati. Si ottengono, in questo modo, rivestimenti
porosi di spessori di circa 50 µm con un aumento della superficie totale disponibile per il legame
fino a circa dieci volte. Numerosi studi hanno dimostrato che la preparazione con plasma spray di
titanio, non solo permette di aumentare la superficie disponibile per l’adesione ossea, ma induce
l'aumento della quota di superficie implantare che entra in contatto con il tessuto mineralizzato, in
comparazione con impianti in titanio liscio. In termini clinici tali fenomeni si riflettono in un più
forte ancoraggio osseo dell’impianto. Studi ultrastrutturali hanno dimostrato che una superficie di
titanio plasma spray può entrare in diretto contatto con il tessuto mineralizzato.
Figura 3.3 : immagine al SEM di un impianto con rivestimento in plasma spray.
L’interfaccia titanio-osso
Gli studi microscopici ed ultrastrutturali della inferfacie osso-titanio sono discordanti (Donath e
Breuner, 1982; Linder, 1983; Thomsen ed Ericson, 1985; Weinlaender, 1991; Weinlaender e coll.,
1992; Stenik e coll., 1992; Linkow e coll., 1992). Alcuni autori hanno dimostrato la presenza di uno
strato amorfo parzialmente calcificato con spessore variabile tra i 10 ed i 500 nm. Fasci ordinati di
collagene sono stati osservati vicino alla superficie dell'impianto, ma negli ultimi 100-500 nm era
possibile vedere solamente fasci disposti in maniera non organizzata; nei 20-40 nm piu vicini
all'impianto non erano visibili fibre collagene e la struttura consisteva di materiale amorfo
calcificato (Sennerby e coll., 1991; Sennerby, 1991). In altri studi è stato possibile mettere in
evidenza la presenza di materiale mineralizzato direttamente a contatto con il titanio senza spazi
intermedi (Listgarten e coll., 1992).
Studi istologici eseguiti su impianti espiantati dall'uomo (Trisi e coll., 1993), dopo un periodo
variabile di carico funzionale, e su impianti inseriti nell'animale da esperimento (coniglio, maiale)
hanno evidenziato che:
1) nella maggior parte degli impianti esaminati l’osso contraeva uno stretto rapporto con la
superficie implantare ;
2) la struttura dell'osso intorno agli impianti era, nella maggior parte dei casi, di tipo lamellare ;
3) a maggior ingrandimento, in alcune zone, era presente uno spazio otticamente vuoto, dello
spessore variabile da 1 a 5 µm, mentre in altre porzioni dell'impianto il tessuto mineralizzato
terminava direttamente sulla superficie del metallo ;
4) molti osteociti erano presenti nell'osso periimplantare, ed in alcuni casi si trovavano interposti
tra l'osso mineralizzato e la superficie del metallo;
5) spesso i canalicoli osteocitari si dirigevano verso la interfaccia titanio-osso.
In microscopia ottica tradizionale gli impianti osteointegrati mostrano un rapporto diretto tra osso e
biomateriale (Quaranta e coll., 1992). Tale osservazione è, però, relativa alle tecniche di
preparazione dei campioni istologici. La preparazione di sezioni non decalcificate ottenute per usura
fornisce sezioni piuttosto spesse in cui risulta difficile osservare i reali rapporti interfacciali , si
procede quindi per microscopia TEM. L'interfaccia titanio-osso sarebbe costituita, quindi, da zone
con diversa morfologia: in alcune aree il tessuto mineralizzato sarebbe a diretto e stretto contatto
con il titanio, mentre in altre zone un sottile strato di materiale con le caratteristiche cromofile della
matrice osteoide sarebbe interposto tra le due strutture.
In conclusione l'interfaccia titanio-osso rappresenta probabilmente una struttura biologicamente
attiva anche molti anni dopo l'inserzione dell'impianto.
I1 legame che i materiali «bioattivi», quali i biovetri, le vetroceramiche e le ceramiche di fosfato di
calcio, stabiliscono con il tessuto osseo è stato definito «biointegrazione». A differenza, infatti,
dell'osteointegrazione, i materiali bioattivi si connettono con il tessuto osseo non solo spazialmente,
ma anche strutturalmente (Krauser, 1989; De Lange e coll., 1990; Van Blitterswijk e coll., 1990;
Lynch e coll.., 1991; Ravaglioli e coll., 1992).
Essi, cioè, stabiliscono un legame chimico con il tessuto osseo che è in grado di resistere alle forze
di trazione tangenti la superficie di legame; talora la resistenza di legame può essere superiore alla
resistenza della struttura ossea stessa e si possono osservare fratture, durante la trazione, che
interessano la compagine ossea, mentre l'interfacie rimane intatta (Figura 6.4). Inoltre i materiali
bioattivi sono in grado di raggiungere un iniziale legame osseo in tempi relativamente più brevi
rispetto al titanio. Le ceramiche di fosfato di calcio sono i materiali bioattivi che hanno incontrato il
maggior favore da parte dei ricercatori e dei clinici ed in particolare un'apatite, l'idrossiapatite (HA),
è stata ampiamente studiata ed utilizzata nella pratica clinica da circa un decennio come
rivestimento di impianti il cui core è costituito da titanio biomedico.
La ragione iniziale per l'uso delle ceramiche in implantologia era legata alla relativa inerzia delle
ceramiche in relazione al titanio. Le ceramiche infatti, essendo molecole totalmente ossidate, sono
chimicamente più stabili dei metalli che ossidano solamente in superficie. Biologicamente tale
proprietà conferisce alle ceramiche una maggiore inerzia chimica, cioè una minore probabilità di
indurre reazioni infiammatorie (Frame e coll., 1989).
Concetti generali sull'idrossiapatite (HA)
La componente inorganica di tutti i tessuti mineralizzati dell'organismo umano è costituita in grande
prevalenza da sali di fosfato di calcio.
Sono presenti in quantità minore anche altri materiali inorganici come carbonati di calcio e solfati.
In particolare I'idrossiapatite rappresenta rispettivamente il 60-70% ed il 90% del peso dell’osso e
dello smalto (Jarcho, 19X6; Donath e coll., 1987).
Figura 3.4 : impianti in Ti rivestiti in idrossiapatite presentano un legame molto aderente con il
tessuto osseo. Nella figura si nota il frammento di osso (B) rimasto adeso all’idrossiapatite (HA) in
un impianto (zona scura in alto)
rimosso da un paziente.
Nella idrossiapatite il rapporto tra Ca/P è di 1,67. Le ceramiche di fosfato di calcio vengono
prodotte industrialmente usando polveri chimiche di base sciolte in una soluzione acquosa.
Successivamente l'impasto ottenuto viene compattato ad alta pressione e poi sintetizzato ad una
temperatura variabile da 1000 a 1300 gradi centigradi. La sinterizzazione consiste in un processo di
riscaldamento della polvere con solidificazione della polvere stessa senza però che questa raggiunga
la sua temperatura di fusione. L' HA è disponibile in una forma densa ed una porosa; in
quest’ultima i pori hanno un diametro variabile da 100 a 300 micron e comunicano tra loro.
Le ceramiche sono materiali resistenti alla compressione, ma, come pure lo smalto dentale, sono
fragili per cui il loro impiego è limitato di notevole entità. Tra le due forme di ceramiche, porosa e
densa, quelle porose sono molto più fragili di quelle dense. L'idrossiapatite è disponibile in
commercio sotto diverse forme: polvere granulare, e blocchetti preformati che possono assumere
qualsiasi forma desiderata.
In forma granulare l'HA viene attualmente utilizzata nella pratica clinica odontoiatrica per la
ricostruzione di difetti ossei parodontali, il riempimento di difetti ossei dopo cistectomia, dopo
apicectomia, dopo la perdita di impianti dentali, e per l'aumento dello spessore di creste alveolari
atrofiche (Kent, 1986; Carranza e coll.,1987; Donath e coll., 1987; Minegishi e coll., 1988; Minabe
e coll.,1988; Shetty ed Han, 1991;Beck-Coon e coll., 1991).
L'HA sotto forma di blocchetti sagomati viene utilizzata, invece, soprattutto in chirurgia
maxillofacciale (difetti ossei da traumi, osteotomie riduttive e di stabilizzazione, ricostruzione del
massiccio facciale, sostituzioni di porzioni ossee orbitali e mascellari).
Anche i blocchetti, come la polvere granulare, possono inoltre essere utilizzati in chirurgia
preprotesica per aumentare lo spessore della cresta alveolare.
Studi recenti hanno dimostrato che I'idrossiapatite (HA) si lega chimicamente all'osso e non induce
fenomeni di tossicità o flogistici locali o sistemici (Kent, 1986; Jarcho, 1986; Orly e coll., 1989;
Ohgushi e coll., 1990; Weinlaender, 1991).
Alcune ricerche (Hoogendoorn e coll., 1984; Verburg e coll..1988; Klein e coll., 1989)
dimostrerebbero che 1'HA, a differenza del TCP, non andrebbe incontro a riassorbimento. Altri
autori avrebbero invece riscontrato un riassorbimento dell'HA (Ducheyne e Van Raemdonck, 1986;
Carranza e coll., 1987; Kwong e coll.,1989; Gregoire e coll., 1990; Piattelli e coll., 1993).
Secondo Donath (1990) non esistono ceramiche di fosfato di calcio non riassorbibili, in quanto ciò
che varia da una forma all'altra è esclusivamente la velocità di riassorbimento. I1 riassorbimento
potrebbe essere legato ad una dissoluzione determinata da fluidi biologici oppure ad una azione
legata ad una attività cellulare (Blijdorn e coll., 1988; Orly e coll., 2989; Bauer, 1990; Muller-Mai e
coll., 1990).
Rivestimenti biocompatibili di idrossiapatite su titanio (studi in atto)
I rivestimenti in idrossiapatite [Ca10(PO4)6(OH)2] sono largamente impiegati in medicina per protesi
ortopediche e dentali (viti al titanio per impianti) per favorire la completa integrazione del metallo
con i tessuti ossei umani. Tuttavia l'applicazione di questi rivestimenti biocompatibili richiede un
ulteriore miglioramento delle loro proprietà chimiche, biologiche e meccaniche, anche attraverso lo
sviluppo di nuove tecnologie di preparazione.
Nel presente studio è riportato un confronto tra i risultati sperimentali della caratterizzazione
chimico-fisica di rivestimenti di idrossiapatite (HA) depositati mediante metodologie diverse (dipcoating, plasma-spray, ecc).
Gli strati di HA sono stati fatti crescere su un substrato di Ti commerciale e, al fine di migliorare
l'adesione dell' HA, il substrato è stato preventivamente ricoperto con TiO 2 (in fase di rutilo) o
calcio titanato (CaTiO3) usando la tecnica sol-gel. Inoltre i rivestimenti ottenuti con il metodo dipcoating sono stati attentamente studiati.
La composizione chimica superficiale e la morfologia dei rivestimenti (TiO2, CaTiO3 e HA) sono
state studiate mediante spettroscopia a raggi X (XPS), microscopia Auger a scansione (SAM) e
microscopia elettronica secondaria (SEM). I profili di profondità XPS sono stati ottenuti mediante
"sputtering" con ioni Ar+. L'operazione di peak-fitting dell'XPS è stata condotta allo scopo di
identificare le differenti specie chimiche dei componenti principali e dei contaminanti. I dati relativi
all'analisi quantitativa XPS e le immagini (SAM e SEM) delle superfici hanno mostrato la qualità
superiore (purezza, omogeneità, etc) dei rivestimenti di HA ottenuti per dip-coating rispetto a quelli
industriali da noi analizzati.
La valutazione della biocompatibilità in vitro e le ulteriori analisi superficiali dei
rivestimenti sono in atto.
Il rivestimento in idrossiapatite
Le ceramiche, in generale, non hanno sufficiente resistenza agli urti da poter essere utilizzate come
singoli costituenti di impianti dentali. Allo scopo di migliorare le scarse proprietà meccaniche delle
ceramiche, mantenendone le ottime caratteristiche biologiche, si è pensato di utilizzare il titanio od
una delle sue leghe come corpo di impianti la cui superficie fosse rivestita con l'idrossiapatite. La
tecnica di rivestimento maggiormente utilizzata è il plasma spray, in modo simile a quanto avviene
per il rivestimento al plasma di titanio. Numerose, tuttavia, sono le variabili che determinano la
riuscita finale del rivestimento, quali la provenienza ed il tipo di HA utilizzata per il processo di
plasma-spray, il tipo di substrato sul quale questa viene depositata, la temperatura ed il grado
d'automatizzazione del processo, il tipo di ambiente in cui si attua il processo. Durante tale
processo, l'aumento della temperatura provoca la fusione dello strato esterno delle particelle di HA
che durante il raffreddamento possono subire un cambiamento di fase con formazione di TCP e di
fosfati di Ca amorfi. Tale fenomeno riduce la cristallinità dell'HA, fatto questo che sembra
determinare il grado di riassorbibilità del rivestimento. Si ritiene che un maggior grado di
cristallinità determini una minore solubilità. Le idrossiapatiti in commercio presentano un grado di
cristallinità variabile compreso tra il 5% ed il 60-70%. Uno dei vantaggi biologici nell'utilizzo di
impianti rivestiti in HA, rispetto ad impianti in titanio, risiede nella maggior rapidità con cui i primi
raggiungono uno stretto legame con il tessuto osseo.
I test di trazione, infatti, dimostrano dei valori molto superiori per l’HA, rispetto al titanio. Problemi
legati all'uso di questo tipo di impianti sono il legame tra HA e titanio, ed il destino nel tempo del
rivestimento (Van Steenberghe, 1991).
L'interfaccia osso-idrossiapatite
In microscopia ottica, l'osso mineralizzato sembra strettamente aderente alla superficie della HA
(Piattelli e Trisi, 1993, Piattelli e coll., 1993) . La colorazione con il Von Kossa mostra la presenza
di zone di differente morfologia .In alcune regioni dell’interfaccia l'osso mineralizzato si localizza
direttamente sull'HA, mentre in altre aree tra l'osso mineralizzato e l'HA si viene a disporre un
materiale basofilo, non mineralizzato.
Questa sostanza, cromaticamente simile al materiale che riveste le lacune osteocitarie, appare di
spessore maggiore nei casi in cui si ha una attiva formazione di osso sulla HA (Piattelli e Trisi,
1993).
Con il microscopio confocale a scansione laser in fluorescenza (Pawley, 1989; Bertero e coll., 1990;
Boyde e coll., 1990)è possibile evidenziare la presenza di una sottile linea fluorescente in molte
zone dell'interfaccia, corrispondente alla struttura basofila osservata in microscopia ottica (Piattelli
e Trisi, 1993, 1994). In trasmissione è, invece, possibile osservare uno strato di materiale di colore
scuro, simile alle linee cementanti («reversal lines») che si osservano nel tessuto osseo (Van
Blitterswik e coll., 1985). Questa struttura potrebbe essere stata prodotta dalla deposizione di
materiale organico sulle superfici dell'osso e dell'HA.
Nello spessore dei coatings di HA è possibile osservare materiale basofilo non mineralizzato con un
aspetto granulare o lamellare; l'aspetto istologico e le proprietà istochimiche di questo materiale
sono molto simili alla matrice osteoide ed alla lamina limitans degli osteociti (De Lange e Donath,
1989; Donath, 19C)O; Piattelli e Trisi, 1993,1994).
Come per l'interfaccia titanio-osso, anche nella HA è possibile osservare quindi differenti aspetti
microscopici che potrebbero essere spiegati con l'esistenza di un interscambio metabolico dinamico
a livello delle strutture dell'interfaccia (Sautier e coll.l 1C)91; Okumura e coll., 1991; De Bruijn e
coll., 1992).
Lo studio ultrastrutturale dell’interfacie osso-HA presenta problemi tecnici di preparazione molto
simili a quelli che si presentano nello studio del titanio. Infatti la preparazione di sezioni fini di 500
angstrom, tali da poter essere studiate al TEM, richiede la rimozione del titanio e la decalcificazione
dell'HA. Gli studi, tuttavia effettuati, sebbene non esenti da dubbi, hanno dimostrato la presenza di
una lamina limitans simile a quella osservabile nel titanio dello spessore di 20-100 Al riscontrabile
anche nella lacuna osteocitaria. Osso mineralizzato si osserverebbe ad una distanza di circa 200
angstrom, mentre una struttura ossea ordinata a circa 500 angstrom dalla superficie dell'HA (Tracy
e Doremus, 1984; Van Blitterswijk e coll., 1985; Van Blitterswijk e coll.. 1990 ; De Lange e coll.,
1990). Studi effettuati su colture di osteoblasti in ,vitro hanno dimostrato, contrariamente, che uno
strato di cristalli di HA naturale si deposita direttamente sulla superficie dell'HA naturale, senza
interposizione di alcuna matrice amorfa.
Impianti a vite in titanio trattato
Figure 3.5 e 3.6 : fotografia SEM di un particolare e visione globale
dell’impianto in Ti trattato (Lifecore®).
Tali impianti offrono un significativo aumento dell’area di superficie rispetto agli impianti in Ti
liscio, aumentando la ritenzione meccanica e il contatto osso-impianto.
Il procedimento utilizzato RBM (resorbable blast media) crea sull’impianto una superficie ruvida
priva di elementi inquinanti. Tale procedimento si avvale di una sabbiatura a mezzo di
idrossilapatite riassorbibile. L’enorme vantaggio di tale tecnica è quello di utilizzare un materiale
completamente biocompatibile.
Le caratteristiche ibride dell’impianto uniscono i vantaggi di una superficie ruvida per una migliore
osseointegrazione rispetto impianti con superficie liscia per un miglior mantenimento dei tessuti
molli. Solitamente tali impianti sono realizzati in titanio commercialmente puro di grado 3.
Figura 3.7 : impianto Frialoc® sabbiato e mordenzato per applicazioni con carico immediato.
Impianti a vite autofilettante in titanio liscio
Figure 3.8 e 3.9 : particolare SEM e fotografia di impianto a vite autofilettante in Ti liscio
(Lifecore®).
Questa tipologia di impianti non presenta rivestimenti superficiali; necessita dunque una maggiore
attenzione per quanto riguarda la osseointegrazione del metallo. Per favorire ciò la superficie della
vite viene sterilizzata, prima del packaging, con raggi gamma.
Il titanio utilizzato per questa struttura è sempre del tipo commercialmente puro di grado 3.
Figura 3.10 : set di impianti a vite in Ti liscio Isomed®, realizzati in Ti di grado 3.
Impianti rivestiti in TPS
I rivestimenti in TPS (Titanio Plasma Spray) sono impiegati con successo da molti anni, sia negli
impianti ortopedici che in quelli dentali. Il rivestimento in plasma spray di titanio puro aumenta
notevolmente l’area di superficie dell’impianto, e la ritenzione meccanica nell’osso al momento
dell’inserimento.
Figure 3.11 e 3.12 : particolare SEM della superficie TPS e fotografia di impianto
cilindrico rivestito in TPS (Lifecore®).
Come si riscontra nell’immagine al SEM, le numerose asperità sulla superficie TPS consentono
un’integrazione “tridimensionale” e quindi una solida interconnessione.
Per il rivestimento in TPS si utilizza un processo avanzato in plasma spray sotto vuoto (VPS), in
grado di produrre un rivestimento metallurgicamente saldato al substrato dell’impianto. Tale
rivestimento presenta inoltre eccezionali proprietà di resistenza alla trazione, al taglio e a fatica.
Il corpo dell’impianto è solitamente realizzato in lega di titanio Ti6Al4V.
Figura 3.13 : impianto a vite rivestito in TPS (Tri-Surface®); si notano le tre zone : in testa Ti
lucidato per favorire le parti molli, il collarino sabbiato e il corpo ricoperto in TiO 2 (TPS).
Figura 3.14 : impianto a vite ricoperto di TiO2 con TPS (Ti-Unite®).
Figura 3. 15 : impianti monobasici a vite autofilettante con rivestimento in TPS (Lifecore®).
Impianti rivestiti in Hydroxylapatite (HA)
Figura 3.16 : particolare SEM della superficie ricoperta di HA.
Fino da 1989 si sono commercializzati impianti rivestiti in idrosilapatite di elevata qualità. Questo
rivestimento clinicamente testato è perfettamente in regola con le normative riguardanti lo standard
di purezza FDA e ASTM.
Anche nel caso di impianti rivestiti di HA il corpo centrale è costituito di lega Ti6Al4V per i motivi
visti prima.
Esistono principalmente due tipologie di impianto rivestito: quello cilindrico e quello a vite. Nel
secondo caso abbiamo una maggiore superficie di contatto con l’osso ed una buona ritenzione
meccanica.
Figure 3.17 e 3.18 : impianto cilindrico (a sinistra) ed a vite (a destra) rivestiti di HA (Lifecore®).
La testa degli impianti
Un tempo si utilizzavano impianti con testa avente un foro esagonale ed inseribili attraverso chiavi
ortodontiche (vedi capitolo 4), ultimamente gli impianti sono realizzati con teste esagonali
applicabili nell’osso attraverso apposito cicchetto.
Figura 3.19 : impianti con testa ad esagono esterno (Lifecore®).
Figura 3.20 : particolare SEM di impianto con testa cilindrica esagonale interna (Dentsply®).
Gli strumenti ortodontici per mettere in opera gli impianti (chiavi, cicchetti, maschiatori, alesatori,
punte da trapano ,ecc.) sono realizzati quasi in toto o in acciaio inox o in nitruro di titanio e titanio
(a causa della simile, ma maggiore resistenza meccanica rispetto agli impianti).
Capitolo 4
ALTRE APPLICAZIONI.
Vedremo ora, nelle altre applicazioni ortodontiche, i componenti realizzati in Ti o sue leghe e ne
analizzeremo,in modo conciso, la loro funzione.
Protesi avvitata
La protesi avvitata è composta da impianto, pilastro, cilindro e vite di tenuta e permette di
realizzare:
•
•
Dente singolo e ponte;
Protesi mobile con ritenzione a barra;
Figura 4.1 : diagramma di assemblaggio per protesi avvitata (Lifecore®).
Vediamo i componenti realizzati in Ti:
Figura 4.2 : pilastro conica (Lifecore®) - realizzato in acciaio inox,
ma ultimamente viene montato in titanio di grado 3.
Figura 4.3 : pilastro standard (Lifecore®) – per overdenture “Toronto Bridge” o altro.
Figura 4.4 : pilastri per protesi fissa avvitata (Lifecore®).
Figura 4.5 : vite di tenuta in titanio per pilastro conico (Lifecore®).
Figura 4.6 : cilindro provvisorio per pilastro standard in Ti (Lifecore®) – ha superficie ruvida per poter essere
inglobato nella resina della protesi.
Figura 4.7 : vite di tenuta in titanio (Lifecore®) per pilastri tipo UCLA.
Figura 4.8 : cilindro provvisorio UCLA (Lifecore®).
Protesi fissa cementata
La protesi fissa cementata è composta da impianto, pilastro e vite di fissaggio e permette di
realizzare:
•
•
Protesi cementate come nelle tradizionali tecniche di protesi fissa;
Dente singolo o ponti a più elementi;
Figura 4.9 : diagramma di assemblaggio per protesi fissa cementata (Lifecore®).
Vediamo i componenti realizzati in Ti:
La vite di fissaggio può essere realizzata in oro o titanio; si preferisce, visto il minor prezzo del Ti
rispetto all’oro, optare per soluzioni in titanio.
Figura 4.10 : pilastro dritto (a sinistra) e angolato (a destra) in Ti grado 3 per protesi fissa cementata (Lifecore®).
Overdenture
L’overdenture è composta da impianto, pilastro e femmina ritentiva e permette di realizzare protesi
totalmente mobili.
Figura 4.11 : diagramma di assemblaggio di overdenture (Lifecore®).
Vediamo i componenti realizzati in Ti:
Figura 4.12 : pilastro O-ring per overdenture (Lifecore®).
Scheletrati
Gli scheletrati sono delle soluzioni che permettono di montare i denti su un subborto resinoso nel
quale è stato inglobato un arco di titanio puro , oro o lega Cr-Co che andrà ancorato in maniera
mobile (clips o ganci) o fissa alla bocca.
Tale arco di titanio è impropriamente detto scheletrato (anche se la parola si riferisce in realtà a tutta
la soluzione ortodontia).
Lo scheletrato in titanio è realizzato attraverso fusione e colata in forni fusori tipo TITEC F205M e,
se possibile, vengono realizzati con assenza di saldature.
Figure 4.12 e 4.13 : visione frontale e laterale di scheletrato montato in titanio.
L’utilizzo di un unico metallo (quale il titanio) permette di eliminare il rischio di una corrosione di
contatto galvanica nel cavo orale, solitamente data dalla presenza di diverse leghe.
Soluzioni su impianti
Per realizzare una struttura mobile, bloccata su impianti si ricorre ad una barra primaria lamellare
fresata in titanio solidale alla mandibola e ad una barra secondaria incapsulata nella resina
dell’arco dentario mobile.
Figure 4.14 e 4.15 : barra lamellare primaria su impianti (a sinistra) e montaggio con barra secondaria (a destra).
Queste due strutture (superiori ed inferiori) sono realizzate completamente in titanio puro (grado 3)
ed oltre ai vantaggi di igiene-fonesi ed estetica sarà possibile non alterare nel tempo i parametri
biologici.
Strumenti ortodontici e chirurgi in titanio e nitruro di titanio
Prevalentemente gli strumenti in titanio servono per trattare e montare impianti dentali. Faremo qui
di seguito una carrellata da strumenti con la relativa descrizione.
Figure 4.15 e 4.16 : chiavi in titanio (lega beta III) per impianti a testa esagonale interna di diverso diametro.
Figura 4.17 : chiave in titanio (lega beta III) per osteotomo e maschiatore.
Figura 4.18 : chiave in titanio (lega beta III) per viti di guarigione.
Figura 4.19 : chiave al titanio (lega beta III) a leva angolata per impianti.
Figura 4.20 : chiave in titanio (lega beta III) a leva angolata per osteotomo.
Figura 4.21 : chiave in titanio (lega beta III) per moncone conico.
Figura 4.22 : punte da trapano ortodontico in nitruro di titanio per impianti cilindrici (Dentsply®).
Capitolo 5
ADESIONE TRA TITANIO E CERAMICA.
Le leghe in titanio e le ceramiche utilizzate per applicazioni ortodontiche, devono presentare
caratteristiche chimico-fisiche indispensabili per poter raggiungere soddisfacenti valori delle forze
di legame.
Tra le caratteristiche più importanti bisogna prestare particolare attenzione all’intervallo di fusione e
al coefficiente di dilatazione termica dei due materiali .
La caratteristica più importante riguarda l’intervallo i fusione dei due componenti. Il titanio reagisce
con l’ambiente quando le temperature sono maggiori di 800°C, infatti il Ti a 889°C cambia il suo
stato cristallino da esagonale compatto hcp (fase alfa), nella fase cubica a corpo centrato bcc (fase
beta), con seguenti variazioni volumetriche che influenzerebbero l’interfaccia titanio-porcellana
durante la sinterizzazione.
La maggior parte delle ceramiche convenzionali viene cotta a temperature comprese tra 9001100°C, quindi non possono essere utilizzate col titanio. Per ovviare a questi gravi inconvenienti si
adottano dei particolari tipi di ceramiche, appositamente elaborate per l’unione col Ti (come le
ceramiche vetrose idrotermiche).
Esse hanno particolarità di avere una struttura costituitala una fase complementare vetrosa, senza la
presenza di fasi cristalline.
Grazie alla loro natura esse presentano temperature di transizione vetrosa di 450°C e temperature di
cottura di 600-1000°C, notevolmente più basse rispetto alle ceramiche tradizionali come ad esempio
quelle feldspatiche.
Un’altra caratteristica fondamentale del titanio e delle ceramiche per CERMET (per manufatti
metallo-ceramici), a cui bisogna prestare particolare attenzione, è il coefficiente di dilatazione
termica (c.d.t.) di ciascuno. E’ necessario infatti che quello del titanio sia leggermente superiore a
quello delle masse ceramiche.
In questo modo, durante i raffreddamenti successivi alle fasi di sinterizzazione degli strati ceramici,
questi vengono compressi dalla lega che si contrae maggiormente. Lo stato di compressione della
ceramica è fondamentale poiché essa, come tutte le sostanze vetrose resiste bene agli sforzi di
compressione, ma è estremamente instabile e si frattura se sottoposta a sforzi di trazione.
Il coefficiente di dilatazione termica del titanio è 8.4x10-6 °C-1, e quello delle sue leghe si discosta
di poco (per la Ti6Al4V vale 8.5x10-6 °C-1). Il c.d.t. della porcellana dipende principalmente dal suo
contenuto di ossidi alcalini come quelli di potassio e di sodio.
In ogni modo è stato dimostrato che il c.d.t. cambia se si procede da 1 o 5 cotture successive, infatti
il suo incremento viene attribuito alla formazione di cristalli di leucite, da cui è ipotizzato che la
diminuzione delle forze di legame è in parte causata dalla continua ossidazione del titanio durante le
cotture. Quindi le ripetute cotture della porcellana teoricamente inducono a una disuguaglianza
della compatibilità termica nelle combinazioni metallo-ceramica e una conseguente diminuzione
delle forze di legame.
Ad ogni modo un coefficiente di espansione termica della porcellana leggermente più basso rispetto
a quello del titanio, è considerato benefico per il legame dei due, è stato stabilito che la differenza
accettabile tra i coefficienti di espansione termica c.d.t. dei due materiali deve essere 0.5x10-6 °C-1.
I possibili abbinamenti tra i coefficienti di dilatazione termica di titanio e ceramica, possono essere
riassunti in tre casi illustrati in Tabella 5.1 : nel caso A, i c.d.t. di Ti e ceramica sono uguali. Il caso
B si verifica quando il c.d.t. della ceramica è maggiore dei quello della lega. Dopo il trattamento di
sinterizzazione della ceramica questa si contrae maggiormente, al raffreddamento caso B a destra).
Se lo strato metallico è di spessore consistente, la ceramica viene trattenuta da questo e si frattura
con crepe perpendicolari alla superficie metallica, poiché è sollecitata a trazione (caso B a sinistra).
Nel caso C il c.d.t. della ceramica è inferiore a quello del Ti; è in tale situazione che ci si trova sotto
sollecitazione di compressione e, se è leggermente superiore a quello medio delle masse ceramiche
subisce un rafforzamento senza frantumarsi.
Se la differenza dei coefficienti è eccessiva, la ceramica può fratturarsi per eccesso di compressione
(caso C a sinistra), con distacco di scaglie parallele alla matrice metallica. Sempre in questo caso, se
il substrato metallico non ha spessore consistente, la ceramica non si frattura ma il sistema si
deforma (caso C a destra).
Tabella 5.1 : vari casi di accoppiamento Ti-ceramica in base ai c.d.t.
Analizzando a questo punto in modo più approfondito il legame che si instaura tra titanio-ceramica,
esso si considera formato da due componenti principali:
• il legame meccanico;
• il legame chimico;
Per quanto riguarda il legame meccanico, in genere, prima dell'applicazione della ceramica, la
superficie metallica viene sottoposta ad una sabbiatura con polvere di allumina. Tale operazione
elimina le sostanze contaminanti e produce una superficie molto irregolare dal punto di vista
microscopico, con conseguente aumento della superficie totale disponibile per l'unione con la
ceramica. Quando la ceramica viene cotta sulla superficie del titanio, essa si comporta come un
liquido viscoso che bagna tale superficie e penetra nelle piccole irregolarità presenti in essa.
Con il successivo raffreddamento ed irrigidimento della ceramica si crea quindi un'interazione
meccanica tra i due materiali, con la formazione di un legame meccanico tra di essi.
Nella maggioranza dei casi si ritiene che il principale meccanismo di unione tra titanio e ceramica
sia di natura chimica. Infatti, il titanio, ossidandosi sulla superficie in modo spontaneo, forma una
pellicola di ossidi. Dalla letteratura si evince che, tramite tale pellicola, si potrebbe instaurare un
legame chimico tra i due materiali. E' opportuno osservare che la natura del legame chimico che si
instaura tra il titanio e la ceramica e' ancora oggetto di studio.
Si ritiene, comunque, che gli ossidi superficiali si dissolvano nella ceramica e che quest'ultima entri
in contatto atomico con la superficie del titanio. Durante la cottura della ceramica, inoltre lungo
l'interfaccia si verifica una diffusione di componenti della ceramica nello strato superficiale del
titanio e viceversa. Tale diffusione riguarda comunque uno spessore di soli pochi micrometri.
Tutto ciò comporterebbe la formazione di legami chimici primari tra i due materiali, grazie alla
formazione di ponti di ossigeno tra gli atomi dei metalli ossidabili del titanio e della ceramica.
Inoltre contribuirebbero all' unione tra i due materiali anche legami chimici secondari. Si ricorda, in
ogni caso, che per la formazione di una soddisfacente aderenza tra i due materiali e' necessario che
la superficie del titanio sia esente il più possibile da residue di sostanze contaminanti e che durante
la cottura la fase vetrosa della ceramica la bagni intimamente e penetri in tutte le sue irregolarità.
Se ciò non si verifica in materia soddisfacente, lungo l'interfaccia tra la ceramica e il titanio possono
formarsi numerose porosità che riducono l'adesione tra i due materiali. Si ricorda, in particolare, che
i residui di sostanze organiche presenti sulle superfici del titanio, possono generare la formazione d
prodotti gassosi durante la cottura della ceramica, con la conseguente formazione di numerose
piccole porosità tra i due materiali; questo può favorire la formazione di incrinature che collegano le
porosità suddette e che si estendono nella ceramica.
Per questi motivi e' opportuno preparare con la massima cura le superfici destinate a ricevere la
ceramica, impiegando i metodi e gli strumenti più idonei. Il legame chimico tra titanio e ceramica
concorre con quello di compressione della ceramica, causato dalle leggere differenze dei
coefficienti di dilatazione lineare, e quello meccanico dovuto alla lavorazione ruvida della
superficie del titanio, a rendere stabile l'intero sistema metallo-ceramica.
Dalle osservazioni precedenti risulta evidente che, dopo un'accurata scelta e preparazione dei
materiali per caratterizzare il legame titanio-ceramica, bisogna investigare all'interfaccia tra i due.
Di seguito si illustreranno i risultati recentemente ottenuti dall’equipe di ricerca del prof.
B.Brevaglieri (“La Sapienza” di Roma) raggruppando gli obbiettivi nei seguenti punti:
1. Descrivere la morfologia e le microstrutture interfacciali dopo l'applicazione della porcellana su
provini in titanio, che hanno subito diversi tipi di trattamenti superficiali.
2. Analizzare la composizione lungo l'interfaccia metallo-ceramica tramite analisi degli spettri
radiografici a dispersione di energia.
3. Valutazione dell'aderenza secondo il metodo proposto dalla prova di aderenza dettato dalla
norma ISO 9693.
Per la realizzazione della fase sperimentale, e' stato scelto del titanio commercialmente puro di
grado 2. La procedura di fusione del titanio puro e' stata eseguita con una fonditrice ad arco voltaico
sotto protezione di gas argon del tipo Orotig 201 F; prima di passare alla fusione vera e propria e'
stato realizzato un cilindro con rivestimento a legante ceramico per evitare l'eccessiva formazione di
alpha-case (pelle da fusione). Le temperature raggiunte dal forno sono state rispettivamente di:
•
•
T° del forno di preriscaldamento: da 0°C a 870°C con velocità di salita di 5°C/min;
T° finale di fusione: 450°C;
La fusione e' stata realizzata sotto un'atmosfera controllata di gas argon. A fusione terminata il
cilindro e' stato raffreddato velocemente, quindi e' stato effettuato un peanning del manufatto con
palline di plastica/vetro per togliere eventuali rivestimenti. In questo modo sono stati realizzati nove
provini uguali di dimensioni 54x13x1,5 mm.
I provini sono stati denominati in maniera diversa, poiché hanno subito procedure diverse per
quanto riguarda la preparazione superficiale:
•
•
•
Provini tipo A: il primo gruppo di provini, denominati A1, A2, A3 non hanno subito alcun
trattamento superficiale. Come si e' appena visto, essi provengono da fusione e poiché il
titanio ad elevata temperatura aumenta la sua reattività con l'ossigeno e il rivestimento, e'
ricoperto dal noto alpha-case. Si e' voluto quindi mantenere per questi primi tre provini,
l'alpha case originario da fusione.
Provini tipo B: i provini B1, B2, B3, hanno subito un'asportazione dell'alpha-case mediante
un trattamento superficiale con frese al nitruro di zirconio e preparazione della superficie
con sabbiatura di biossido di alluminio a 250 micron.
Provini tipo C: i provini C1, C2, C3, provenienti anch'essi da fusione sono stati inizialmente
trattati con frese al nitruro di zirconio, quindi sabbiati con biossido di alluminio a 250
micron e subito sottoposti ad una ossidazione sotto vuoto da 500°C a 800°C.
Su tutti i 9 provini e' stato poi applicato il rivestimento ceramico. Su i provini A e B e' applicato un
rivestimento di ceramica di Tipo 1, mentre sui provini di tipo C e' stata applicata ceramica di Tipo 2
la cui composizione e' illustrata nella Tabella 5.2.
ceramica Tipo 1
SiO2
Al2O3
K2O
Na2O
BaO
CaO
TiO2
ZrO2
SnO2
Altri
53.1%
14.9%
8%
6%
5.8%
ceramica Tipo 2
49.4%
3.2%
14.2%
3.3%
6%
9.2%
Ceramica utilizzata
per provini A-B
20.2%
4%
Ceramica utilizzata
per provini C
Tabella 5.2 : composizione delle ceramiche utilizzate.
Dopo la cottura degli strati di ceramica, tutti i provini sono stati sezionati con una sega diamantata
raffreddata ad acqua, asportando una parte del provino lunga 4 mm (ossia di dimensioni 54x13x1,5
mm). Tali sezioni dei provini sono state quindi inglobate in resina autopolimerizzante per l'analisi al
microscopio elettronico. Dopo la completa polimerizzazione della resina, gli assemblati sono stati
poi puliti agli ultrasuoni per 10 minuti e quindi lucidati mediante carte abrasive al SiC 240, 320,
400, 600. La pulitura finale dei campioni e' stata effettuata su piatti rotanti con pasta pulente di
ossido di alluminio da 1 micron e da 0,3 micron. I campioni sezionati sono stati quindi rivestiti con
un sottilissimo strato di carbonio a conduzione elettrica per l'esame SEM.
I provini ridotti a dimensioni pari a 50x13x1,5 mm dall'asportazione dei provini destinati all'analisi
al SEM, sono stati sottoposti alla prova di adesione. Per lo sviluppo della prova di adesione si e'
fatto riferimento alla norma UNI-EN-ISO 9693, tale normativa specifica i requisiti e i metodi di
prova per i prodotti metallo-ceramica utilizzati nelle restaurazioni dentali.
Dopo aver applicato la ceramica sui provini, questi sono stati piegati a 90 gradi, appoggiandoli con
la loro parte centrale su un cilindro di 10 mm di diametro, in modo che la ceramica si trovi sul lato
opposto rispetto a quello che entra in contatto con il cilindro, la ceramica, cioè si trova sul lato
sottoposto a trazione.
Le piastrine sono state quindi raddrizzate e, dopo aver allontanato le parti in ceramica staccatesi ma
ancora aderenti, si è passati al SEM per analizzare le aree dalle quali la ceramica si è staccata
valutando la percentuale di superficie sulla quale la ceramica è trattenuta in superficie.
Provini del tipo A : in Figura 5.1 e' rappresentata un'immagine monocromatica ingrandita (x200) al
SEM dell'interfaccia titanio-ceramica, prima della prova di adesione. La parte scura a sinistra
rappresenta la ceramica Tipo 1, la parte chiara a destra la matrice di titanio. In Figura 5.2 è mostrata
una micrografia della superficie della matrice di titanio dopo la prova di adesione. Risultano
evidenti le cricche trasversali derivanti dalla piegatura; le aree di colore scuro rappresentano la
ceramica trattenuta sulla superficie del titanio (area chiara).
Figure 5.1 e 5.2 : Interfaccia Ti-ceramica prima della prova di adesione (a sinistra) e dopo la prova (destra).
Figura 5.3 : analisi chimica della superficie Ti-ceramica per provini di tipo A.
Provini del tipo B : in Figura 5.4 è illustrata la micrografia della superficie di titanio del provino B,
dopo la piegatura. Risultati evidenti le cricche trasversali derivanti dalla piegatura stessa. L'area
chiara rappresenta la matrice di titanio, vi sono rare tracce di ceramica (isole scure). Si è avuta
anche in questo caso, una completa eliminazione della ceramica dal titanio per cui la superficie si
presenta piana e priva di irregolarità.
In Figura 5.6 è rappresentato lo spettro di emissione degli elementi contenuti sulla superficie del
titanio, dopo la prova di aderenza. E' presente solo il picco del titanio, silicio e alluminio in quantità
modeste, non vi e' alcuna traccia di ossigeno.
Figure 5.4 e 5.5 : micrografia della superficie del Ti dopo la prova (sinistra) e superficie della
ceramica corrispondente (destra).
In Figura 5.5 è illustrata una micrografia della superficie di ceramica distaccatasi dalla matrice di
titanio dopo la piegatura. Anche qui la ceramica si è delaminata, portando con sé lo strato di titanio
superficiale (aree più chiare).
Figura 5.6 : analisi chimica superficiale del Ti – provini B.
In Figura 5.7 e' rappresentato lo spettro di emissione degli elementi contenuti sulla superficie della
ceramica. oltre al silicio, si nota una grande quantità di titanio, di ossigeno e anche di elementi quale
l'alluminio, il potassio e il calcio.
Figura 5.7 : analisi chimica della superficie della ceramica delaminata - provini tipo B.
Provini del tipo C: in Figura 5.8 è illustrata una micrografia della sezione perpendicolare del
provino tipo C. Si nota all'interfaccia con il titanio, uno strato sottile e continuo di colore più chiaro,
dello spessore di 6-7 micron circa, che si adatta alla superficie del titanio ricalcandone le
irregolarità. Nella Figura 5.9 è rappresentata la matrice del titanio dopo la prova di adesione. In
questo caso sulla superficie di titanio è stata trattenuta una grande quantità di ceramica, che occupa
circa il 60% della superficie coinvolta nella piegatura.
Figure 5.8 e 5.9 : interfaccia Ti-ceramica (sinistra) e superficie del Ti dopo delaminazione
della ceramica (destra) – provini tipo C.
La Tabella 5.3 riassume le varie tipologie di frattura verificatesi per ogni gruppo di provini, lo stato
superficiale della matrice di titanio e soprattutto la percentuale di ceramica trattenuta in superficie,
che e' indicativa del legame instauratosi all'interfaccia. Inoltre illustra la composizione della
ceramica rimasta, dopo la prova di adesione, sull'interfaccia del titanio e illustrata la composizione
dell'interfaccia della ceramica staccatasi dal provino.
Tabella 5.3 : schema riassuntivo.
Si e' visto in questo studio che, con le procedure di fusione attualmente praticate, si forma sulla
superficie del titanio, una scoria superficiale di ossido di titanio di spessore variabile.
Al di sotto della scoria di ossido, inoltre, esiste una regione in cui e' presente ossigeno in soluzione
solida, Ti(0), immediatamente sopra lo strato superficiale del titanio puro.
Dopo l'applicazione della ceramica, risulta evidente che qualsiasi tipo di ossido, sia quello formato
dalla grande stabilità termodinamica del titanio (provini tipo A), sia quello proveniente solo dalla
soluzione solida nel caso in cui la scoria di ossido sia stata asportata (provini tipo B), sia quello in
cui si forma un ossido sottile (provini tipo C), reagisce con la ceramica diffondendosi nella stessa
durante il trattamento termico di cottura.
In questi casi, dopo la prova di aderenza, il distacco tra i due materiali è avvenuto principalmente
all'interfaccia titanio/ossido di titanio, generando una frattura di tipo adesivo, che ha comportato
fenomeni di delaminazione per i provini del tipo B.
Il distacco dei provini di tipo A è stato causato da una frattura di tipo misto, ma ha dato comunque
un legame insoddisfacente.
Per ottenere un legame tra i due materiali e' necessario che reazioni leganti avvengano all'interfaccia
titanio/ceramica. La stabilità termodinamica dell'ossido di titanio è maggiore di quella dei vari
ossidi di cui la ceramica è costituita; è quindi importante anche analizzare la stabilità degli ossidi
che costituiscono la ceramica per favorire lo scambio chimico tra ceramica e ossido di titanio.
Un trattamento di sabbiatura seguito da un'ossidazione sottovuoto, così come effettuato nella nostra
metodologia (provini tipo C), fa sì che il titanio, a cottura completata, formi il suo strato di ossido
interagendo con gli ossidi della ceramica stessa contenenti Sn formando quindi una reazione legante
all'interfaccia. L'aderenza in questo caso è maggiore del 50%, come richiesto dalle normative;
particolarmente importante è che la ceramica descritta nella Tabella 5.3 e usata per il provino C ha
un alto contenuto di Sn che avendo una minore affinità per l'ossigeno del titanio favorisce la
reazione all'interfaccia.
La stessa aderenza non si ha con il provino di tipo B in quanto, non eseguendo una preossidazione e
non essendo la ceramica composta da ossidi termodinamicamente poco stabili, non è favorita la
reazione all'interfaccia.
Conclusione: il legame titanio/porcellana dipende dal tipo di reazioni che si svolgono all'interfaccia.
La formazione di un film d'ossido, di tipo termodinamico sulla superficie del titanio, porta, dopo la
prova di adesione, un'elevata delaminazione della porcellana.
Solo la formazione di una sottile pellicola di ossidi sulla superficie del titanio abbinata ad una
composizione della ceramica con ossidi poco stabili porta ad una unione chimica tra titanio e
ceramica con forte aderenza 60% come illustrato in Tabella 5.3.
E' da considerare inoltre che gli ossidi superficiali si dissolvono nella ceramica e viceversa in
contatto con la superficie del titanio.
Capitolo 6
LAVORAZIONI ORTODONTICHE DEL TITANIO.
Fusione
Dal 1990 esistono in commercio macchine per la fusione del titanio senza che la sua struttura
cristallina possa essere alterata. Ciò nonostante i rivestimenti idonei a ricevere una fusione così pura
senza alterarla entrano in scena due anni più tardi circa.
Figura 6.1 : apparato per la fusione del titanio Orotig 200F.
Da questo momento non è difficile notare che il titanio trova un sempre più ampio uso nelle protesi
odontoiatriche.
Questo è dovuto soprattutto alle sue caratteristiche vantaggiose per le ricostruzioni odontoiatriche
quali: la biocompatibilità, la resistenza alla corrosione, la bassa conduttività termica e il basso peso
specifico del materiale. Specialmente nel campo dell'implantologia il titanio trova un uso sempre
più frequente per le strutture su impianti.
Dall'evoluzione del precedente modello a doppia camera (vedi Figura 6.1) dove la fusione e colata
avvenivano in camere separate, è nata l'ultima innovazione nella fusione e colata del Titanio. Il
sistema monocamera (brevetto Orotig) permette di ottimizzare le caratteristiche della pressofusione
nella colata del titanio.Questa nuova configurazione monocamera, permette di fondere il Titanio,
sul crogiolo di rame, vicinissimo al cono di alimentazione del cilindro di colata così da avere un
tempo di trasferimento più breve del Titanio fuso dal crogiolo al modellato, mantenendone la massa
più calda e compatta e con tempi di riempimento del modellato molto più rapidi. Queste
caratteristiche portano ad una riproduzione estremamente fedele dei margini delle modellazioni e
l'utilizzo di tecniche più semplici da parte dell'operatore.
La stessa configurazione monocamera permette di fondere il Cromo-Cobalto con la sola
sostituzione del crogiolo.
Vantaggi principali:
•
•
•
•
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•
•
•
Il titanio fuso è vicinissimo al cono di alimentazione del cilindro di colata ;
Il trasferimento del titanio fuso dal crogiolo al cilindro di colata, risulta molto breve e la massa
di titanio rimane molto compatta ;
Il titanio perde meno calore e viene quindi iniettato nel cilindro ad una temperatura più elevata ;
Doppia valvola di sovra-pressione per una iniettata del titanio pressoché istantanea ;
Riproduzione estremamente fedele dei margini delle modellazioni ;
Semplicità nelle operazioni di caricamento e posizionamento del cilindro di colata nella
fonditrice ;
Doppio controllo del vuoto tramite dispositivo analogico, per basso livello di vuoto, e sonda
Pirani per verifica dell'alto vuoto ;
Sistema di fusione completamente automatico ;
Tecnica di laboratorio semplificata;
Figura 6.2 : principio di funzionamento della Titec F205M.
Figura 6.3 : fonditrice per titanio e cromo-cobalto Titec F205M.
Altri sistemi di fusione:
Figura 6.4 : sistema Ti-CAST utilizzato prevalentemente per la produzione di protesi.
La saldatura
La saldatura laser rappresenta oggi la soluzione più veritiera e futurista nell' assolvimento delle
metodiche e delle normative che riguardano l'unione e l'assemblaggio di componenti protesiche
dentali. Saldare con il laser diventa così non solo un sistema avanzato, ma si trasforma in una
filosofia di lavoro che mira alla totale biocompatibilità, tanto quanto alla ergonomizzazione
dell'operatività e della gestione dell'impresa. La migliore integrazione nel laboratorio è
rappresentata soprattutto dalla facilità d'installazione e di utilizzo. Tutto ciò nel totale rispetto
dell'operatore, dei materiali, dell'ambiente e della professionalità.
L'impiego della tecnologia LASER in odontoiatria, pur essendo di recente introduzione, sta
portando ad ottimi risultati. L'applicazione del LASER, alla moderna odontotecnica, è una scelta d'
avanguardia sia sotto il punto di vista tecnico che sotto il profilo dell'immagine commerciale.
La tecnologia LASER consente infatti di produrre manufatti prostesici aventi composizione
omogenea, evitando problemi causati dalla presenza di metalli a diverso potenziale elettrico nello
stesso manufatto.
La nuova saldatrice LASER TITEC 2000 nasce dalla grande esperienza TITEC by OROTIG® nel
campo della saldatura laser con cristallo Nd:YAG, le dimensioni contenute e la struttura ridotta (75
kg) le consentono di adattarsi ad ogni ambiente di lavoro favorendo la posizione ottimale per
qualsiasi operatore.
Può memorizzare 9 programmi di lavoro per le 9 forme d'onda impostate, di 5 di queste sono
impostabili dall'utente tramite un PC ed un apposito software.
L'impostazione dei parametri di saldatura può essere effettuata tramite tastiera esterna o mediante
Joystick interno alla camera di saldatura.
La saldatrice è dotata di stereo-microsopio di alta qualità ottica a zoom fisso. Il campo di saldatura
godo di ampia protezione tramite un ugello snodabile che eroga gas inerte. Un sistema integrato
provvede all' estrazione dei fumi.
A tutela della sicurezza dell' operatore, la saldatrice LASER TITEC 2000 è costruita nel rispetto
della normativa Europea riguardante le apparecchiature LASER ed è provvista di marcatura CE.
Figura 6.5 : saldatrice universale al laser Titec 2000.
La saldatrice LASER TITEC 2000, oltre a permettere la saldatura di piccolissimi particolari,
permette di modulare l' erogazione di potenza (PULSE SHAPING) tramite programmi impostati
che regolano le diverse intensità di energia LASER utilizzabili a seconda dei tipi di lega da saldare.
Il generatore Chopper PWM, controllato da microprocessore, permette di modulare l'impulso di
energia LASER.
È possibile infatti selezionare ben 9 forme d'onda di erogazione di energia LASER, così da
ottimizzare i procedimenti di saldatura a seconda delle caratteristiche metallurgiche delle parti da
unire:
•
Normal position
Figura 6.6 : grafico Energia vs Durata dell’impulso.
È la normale tipologia di erogazione costante di energia LASER. Il grafico mostra un esempio di
impulso della durata 7mS per un picco di energia impostato (E-set).È indicato per intervenire su
metalli puri come il Titanio.
•
Pulse position
Figura 6.7 : grafico Energia vs Durata dell’impulso.
L' erogazione di energia avviene con una pulsazione LASER creata da cicli uguali di energia e di
pausa.
Nel grafico tali cicli durano di esempio abbiamo imposta un energia (E-set) e 3mS di tempo.
Questo programma è utile ad aumentare la profondità di fusione dello spot di saldatura.
•
Position Slope +
Figura 6.8 : grafico Energia vs Durata dell’impulso.
È un programma che prevede una rampa di salita dell' erogazione di energia. Come si vede dal
grafico, durante il primo periodo (1ms) l' energia erogata è pari al 25% della potenza impostata (Eset); durante il secondo periodo sale al 50% di E-set; e solamente durante i rimanenti 3ms l' energia
erogata è pari ad E-set. Questa impostazione è indicata per leghe preziose a media/alta caratura e
per materiali riflettenti.
•
Position Slope –
Figura 6.9 : grafico Energia vs Durata dell’impulso.
Contrariamente al precedente, questo programma prevede una rampa di discesa dell' energia
erogata. Con questa impostazione si ha un decremento graduale dell' energia LASER alla fine dell'
impulso. Le proporzioni sono le stesse con le quali nella posizione Slope + l' energia viene
incrementata.
L' utilizzo di questo programma è indicato per cromo cobalto, leghe palladiate, palladio argento e
tutti quei materiali suscettibili di cricche causate da surriscaldamento delle parti.
•
Position Bridge
Figura 6.10 : grafico Energia vs Durata dell’impulso.
Questa impostazione è la combinazione dei due programmi di erogazione di energia LASER
precedenti Slope + e Slope -. E’ indicato per leghe dentali ibride.
Con la saldatrice LASER TITEC 2000 è possibile definire 4 forme di pulsazione personalizzate
tramite un PC ed un software apposito.
Caratteristiche generali:
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Dimensioni ridotte della struttura per l'utilizzo su tavolo di lavoro standard. (A richiesta è
disponibile il supporto dedicato a completamento della postazione di lavoro) ;
Protezione del campo di saldatura mediante ugello snodabile di erogazione gas inerte;
Illuminazione della camera di saldatura ottimizzata tramite lampada dicroica a riscaldamento
ridotto;
Sistema integrato di estrazioni dei fumi;
Sistema di raffreddamento a circuito chiuso integrato. (A richiesta circuito ausiliario per cicli di
lavoro gravosi);
Posizione di lavoro ergonomica e facilmente adatta a qualsiasi esigenza;
Impostazione dei parametri di saldatura con tastiera esterna oppure attraverso Joystick posto all'
interno della camera di saldatura;
Caratteristiche funzionali:
•
•
Erogazione di energia LASER controllata elettronicamente tramite microprocessore;
Cinque programmi fissi di erogazione dell' energia LASER (PULSE SHAPING) più 4
impostabili dall' utente tramite kit aggiuntivo;
Caratteristiche di sicurezza:
•
•
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Camera di saldatura di dimensioni ottimali, con finestra di ispezione schermata e con passaggi
per le mani ampi, confortevoli e sicuri;
Otturatore ausiliario di protezione durante le fasi di manuntenzione della camera di saldatura;
Sistema per l'estrazione dei fumi dalla camera di saldatura;
•
•
•
Installazione dell' apparecchiatura facile ed immediata;
Omologazione di sicurezza Classe 1;
Conformità a tutti gli standard vigenti in materia di compatibilità elettromagnetica, bassa
tensione e sicurezza delle apparecchiature;
Tabella 6.1 : dati tecnici relativi alla saldatrice laser Titec 2000.
Altri sistemi di saldatura:
Figura 6.11 : saldatrice autogena riducente al plasma – gas Argon + Argon/Idrogeno.
Figura 6.12 : saldatrice autogena ad arco voltaico riducente – gas Argon.
Elettroerosione
Il fresaggio dell’apparecchio in titanio prodotto ha la funzione di eliminare le eventuali forze
(quelle verticali verso il basso, le trasversali e le orizzontali ) che nascono nel caso eventuale
esistessero delle imprecisioni di montaggio o di sagomatura dell’eventuale protesi o scheletrato.
Il frenaggio si esegue principalmente per elettroerosione del metallo.
L'elettroerosione è in uso da quasi 50 anni nell'industria degli utensili e degli stampi. L'idea
dell'elettroerosione venne, da parte dell'uomo, dall'osservazione del fulmine: una forma naturale di
elettroerosione. Alla fine del 1700 Sir Joseph Priestij studiò il fenomeno della scarica elettrica e il
suo effetto erosivo sui conduttori metallici.
Poco dopo la II Guerra Mondiale, i fratelli russi Lazarenko annunciarono la loro prima macchina ad
erosione elettronica. I progressi tecnologici che si sono avuti tra gli anni 1950 e gli anni 1970 hanno
fatto sì che l'elettroerosione divenisse un'importante processo di fabbricazione per l'industria.
Particolarmente importante è stata l'invenzione del transistor, perché i comandi a stato solido hanno
aumentato la velocità e l'affidabilità dell'apparecchiatura.
L'applicazione della tecnologia dei computer durante gli anni '70, ha fornito maggiore accuratezza
al processo ed ha reso possibile lo sviluppo di macchine per elettroerosione più sofisticate.
L'elettroerosione può essere definita un processo di rimozione del metallo che, attraverso un
elettrodo di polo opposto, attiva delle scintille attraverso un campo magnetico. Tutta questa
lavorazione è eseguita in mezzo liquido fluido in condizioni accuratamente controllate: il mezzo
fluido, solitamente un olio fluido, viene chiamato olio dielettrico.
Esso funge da isolante, conduttore e refrigerante e sciacqua via le particelle di metallo asportate
dalle scintille.
Figura 6.13 : apparecchiatura per condurre l’elettroerosione.
RINGRAZIAMENTI
Si ringrazia il prof. Stefano Gialanella per la disponibilità ed il materiale fornito.
In particolare si ringrazia la Dott. Laura Nicolini (studio dentistico) per l’interesse mostrato a
riguardo, per la documentazione ed i cataloghi forniti e per l’impianto al titanio messo a
disposizione per approfondite ispezioni.
Impianto cilindrico ricoperto in HA della CALCITEX® da 10 mm messo gentilmente a
disposizione dallo studio dentistico della Dott. Laura Nicolini – nelle immagini si vede il packaging
dell’impianto , il supporto per l’inserimento nell’osso e l’impianto da solo.
Nicolini Dr. Laura
Medico chirurgo odontoiatra
Studio Dentistico
Via Lungo Leno Sinistro n°24 Rovereto
Tel. 0464 437017
[email protected]
BIBLIOGRAFIA GENERALE.
Testi consultati:
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Company , 3rd Edition ,1994.
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Articoli consultati.
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Odontotecnica Aurelia , 2000.
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“Implantologia orale” , anno 4 , n° 1 , 2001 , UTET;
“Soluzioni proteiche LIFECORE” , Lifecore Biomedical;
“LIFECORE dental implant restorative product” , catalogo prodotti Lifecore bio.;
“Single stage implant system” , Lifecore biomedical;
“Precision External Hex implant systems” , catalogo chirurgico, Lifecore bio.;
“Corrosione elettrochimica di metalli e leghe dentali in saliva artificiale” – ing. Paolo Battaini,
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Siti internet:
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www.tisystem.com/web_it
www.libra-ortho.it
www.laprotesi.it