indice generale - Università degli Studi di Trento
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INDICE GENERALE Capitolo 1 – Introduzione al titanio ed alle sue leghe Cos’è il titanio?…………………………………………………………………… pag. 1 Generalità sulle leghe di titanio……………………………………………...…… pag. 3 Perché il titanio e le sue leghe in ortodonzia?………………………………….… pag. 6 A proposito della corrosione del titanio…………………………………………... pag. 9 Capitolo 2 – Fili ortodontici Valutazione della frizione tra brackets ceramici e filo ortodontico………………. pag.12 L’impiego delle leghe al titanio in ortodonzia……………………………………. pag.16 Capitolo 3 – Impianti in titanio Generalità…………………………………………………………………………. pag.18 Titanio sabbiato……………………………………………………………...…… pag.18 Titanio plasma spray……………………………………………………………… pag.20 L’interfaccia titanio-osso…………………………………………………………. pag.20 Concetti generali sull’idrossiapatite……………………………………………… pag.21 Rivestimenti biocompatibili di idrossiapatite su titanio………………………….. pag.23 Il rivestimento in idrossiapatite……………………………………………...…… pag.23 L’interfaccia osso-idrossiapatite……………………………………………….…. pag.24 Impianti a vite in titanio trattato…………………………………………….……. pag.25 Impianti a vite autofilettante in titanio liscio…………………………………….. pag.26 Impianti rivestiti in TPS………………………………………………………….. pag.26 Impianti rivestiti in Hydroxylapatite………………………………...…………… pag.28 La testa degli impianti……………………………………………………………. pag.28 Capitolo4 – Altre applicazioni Protesi avvitata……………………………………………………………….…… pag.30 Protesi fissa cementata……………………………………………………….…… pag.32 Overdenture………………………………………………………………………. pag.33 Scheletrati………………………………………………………………………… pag.33 Soluzioni su impianti……………………………………………………….…….. pag.34 Strumenti ortodontici e chirurgici in titanio e nitruro di titanio…………….……. pag.34 Capitolo 5 – Adesione tra Ti-ceramica………………………………………………… pag.36 Capitolo 6 – Lavorazione del Ti Fusione………………………………………………….…………………………pag.46 La saldatura………………………………………………………………………. pag.48 Elettroerosione………………………………………………………………….… pag.54 Ringraziamenti…………………………………………………………..……………… pag.55 Bibliografia………………………………………………………………………………. pag.56 Capitolo 1 INTRODUZIONE AL TITANIO ED ALLE SUE LEGHE. Cos’è il titanio? Il Titanio, situato nel IV gruppo della tavola periodica degli elementi con il numero atomico 22, è un metallo leggero (peso atomico 47,9) e amagnetico. É il nono elemento più diffuso allo stato naturale (dopo ossigeno, silicio, alluminio, ferro, magnesio, calcio, sodio, potassio) all'interno della crosta terrestre: ne costituisce infatti lo 0,6% ed è pure il quarto metallo strutturale più abbondante dopo l’alluminio, il ferro ed il magnesio (la sua concentrazione è circa 1/20 di quella dell’alluminio e 1/10 di quella del ferro). Il titanio, in condizioni standard, è un metallo duro di color argento con una bassa densità. Poiché il raggio ionico del titanio è simile a quello della maggior parte dei comuni elementi (Al3+, Fe3+, Mg2+), gran parte dei minerali, ciottoli e suolo contengono piccole quantità di titanio, benché i veri minerali di titanio, contenenti più dell'1 % di titanio, si trovano solo in poche località. Principalmente il titanio si trova in pietre ignee, dove esso forma il componente acido di magmi basici e il componente basico di magmi acidi . Nel primo caso sono presenti titanati, i più importanti dei quali sono l’ilmenite (FeTi03) e perovskite (CaTi03). Nel secondo caso sono formati da ossidi di titanio. Esistono anche forme intermedie come dei silicati, nei quali il titanio è presente soprattutto come un elemento basico ( zirconi minerali e aluminosilicati), ma anche in sostituzione del silicio. I minerali di titanio più importanti sono anatase (TiO 2); ilmenite (FeTiO3), che contiene più del 53% di TiO2, perovskite (CaTiO3), rutilo (TiO2) e sphene [CaTi(SiO 4)O]. Di questi, solo ilmenite, leucoxene e rutilo sono di importanza economica, dovuta alla facilità con la quale possono essere processati. Il minerale maggiormente utile per l'estrazione di titanio e composti di titanio è il rutilo (TiO 2). Sebbene esso sia più raro dell'ilmenite, il suo contenuto di TiO 2 è più alto. Il rutilo contiene 90-97% di TiO2, assieme ad impurità al 10 % di silicio, ossidi di ferro, vanadio, niobio e tantalio, e tracce di composti di stagno, cromo e molibdeno. Il principale giacimento di rutilo si trova a Kragero nel sud est della Norvegia (albite con il 25 % di rutilo) e in Virginia (U.S.A.). Comunque i più importanti sono i giacimenti secondari, cioè in Brasile, Camerun, e Arkansas e le spiagge di sabbia, delle quali le più importanti sono quelle sulla costa est dell' Australia, in Florida e in Sud Africa. Il titanio si trova in molte stelle; è meno abbondante nelle meteoriti che nella crosta terrestre ed è spesso associato con silicati. A temperatura ambiente il titanio presenta una struttura esagonale compatta (hcp) denominata fase α: questa struttura si mantiene stabile fino a 882 °C, al di sopra della quale la struttura del titanio subisce una modificazione allotropica presentando un sistema cubico a corpo-centrato (bcc) conosciuto come fase â, che rimane stabile fino al punto di fusione, a 1668±50 °C. Figura 1.1 : cella elementare del titanio fase α hcp (a destra) e fase β bcc(a sinistra). Il titanio puro contiene ancora tracce di altri elementi; ciò è dovuto alla forte affinità del metallo con i gas atmosferici. Sopra la temperatura ambiente la sua resistenza decresce del 50% a 200°C, mentre lo sforzo a frattura rimane pressoché invariato. L’aumento della grandezza dei grani diminuisce la resistenza a trazione e il limite di snervamento, ma aumenta l'elongazione e la contrazione d'area a frattura. L’aumento del contenuto di ossigeno, azoto e idrogeno aumenta la resistenza e diminuisce la durezza; mentre l’ossigeno è l’unico elemento che viene aggiunto deliberatamente per dare resistenza maggiore, gli altri elementi insieme con ferro e carbonio sono introdotti durante la produzione come impurità. Poiché il titanio cosiddetto "commercialmente puro" contiene comunque delle impurità, è stata creata dall’ASTM (American Society for Testing and Materials) una classificazione in 4 gruppi detti rispettivamente grado 1, grado 2, grado 3 e grado 4. Per ciascuno di tali gruppi è stato definito il contenuto massimo di azoto, carbonio, idrogeno, ossigeno e ferro nonché i valori minimi di alcune caratteristiche meccaniche. Tabella 1.1 : classificazione ASTM del Ti commercialmente puro (Reed-Hill). Grado 1: titanio commercialmente puro con basso contenuto di ossigeno. Questa qualità ha basso carico di rottura ed alta duttilità, viene utilizzato per il profondo stampaggio ed è adatto alla deformazione a freddo. Grado 2: titanio commercialmente puro con un più alto contenuto di ossigeno ed una maggior resistenza rispetto al grado 1. E' il titanio commercialmente puro più largamente usato e offre il miglior compromesso di resistenza, saldabilità e formabilità. Grado 3: titanio commercialmente puro con contenuto di ossigeno ancora maggiore del grado 1 e 2 (maggior resistenza e minor duttilità); inoltre è ben saldabile. Viene utilizzato per la costruzione di recipienti in pressione. Grado 4: titanio commercialmente puro con le caratteristiche di resistenza più elevate. Viene utilizzato per organi di trasmissione e nell'industria aeronautica Densità a 25°C 4,5 g/cm3 (alta purezza) 4,51 g/cm3 (purezza commerciale) coefficiente di espansione lineare a 25 ° 8,5×10-6 K-1 calore latente di fusione 20,9 kJmol-1 conduttività termica a 20-25°C 0,221Wcm-1K-1 (alta purezza) 0,226-0,201Wcm-1K-1(purezza com) modulo di elasticità a 25°C 100-110 GPa modulo di rigidezza a 25°C 411,8-431,5 GPa Bulk modulus a 25°C 122,6 GPa resistività elettrica a 25°C a 600°C 42 Ωµcm 140-150 Ωµcm suscettibilità magnetica di α -Ti a 25°C 3,2×10-6cm3/g Tabella 1.2 : schema riassuntivo delle proprietà generali del titanio. Generalità sulle leghe di titanio Lo scopo principale dell'aggiunta di elementi in lega al titanio è di migliorare le sue proprietà meccaniche. Tabella 1.3 : proprietà meccaniche e composizione delle principali leghe di titanio (Reed-Hill). La temperatura di trasformazione del titanio dalla fase á a quella â può essere elevata o abbassata con l'aggiunta di elementi che possono stabilizzare la fase á o quella â. Ossigeno, azoto e carbonio, come interstiziali, e alluminio,come sostituzionale, stabilizzano la fase á. Gli elementi che stabilizzano la fase â includono idrogeno, come interstiziale, vanadio, molibdeno, ferro, cromo, rame, palladio e silicio, mentre zirconio e stagno sono altamente solubili in entrambe le fasi. Le leghe sono classificate come leghe á , (á+â) e â-titanio a seconda della fase presente a temperatura ambiente. Poiché la struttura cubica del titanio â contiene più piani di scorrimento della forma esagonale á, il titanio â è più facilmente deformabile. Le leghe nelle regioni â e (á + â) sono perciò formate a caldo. Le leghe â e alcune leghe (á + â) contengono, in aggiunta a molibdeno o vanadio, additivi per i quali la fase â nel range di temperatura tra 550°C e un massimo di 860°C subisce decomposizione eutettoidica in fase á e un composto intermetallico. Questo processo è usualmente associato ad un infragilimento che riduce la stabilità termica e deve quindi essere evitato durante la produzione e la lavorazione. Per sistemi che presentano decomposizione eutettoidica della fase â, il processo procede più lentamente a più bassa temperatura. L'indurimento delle leghe di titanio può essere ottenuto in vari modi: un composto intermetallico può essere precipitato dalla fase á per tempra e ricottura (Ti-Cu leghe). In leghe con elementi â-stabilizzanti, la fase ß metastabile può essere formata in aggiunta alla fase á per solubilizzazione, tempra e ageing. Nell’ageing la lega è trasformata, attraverso una fase intermedia ù, in fase á e in fase â stabilizzata per arricchimento di elementi in lega. Entrambi questi processi sono utilizzati nell'industria per migliorare le proprietà meccaniche delle leghe di titanio. Le leghe á, che hanno un range di resistenza di 830-1030 MPa, sono utilizzate come leghe per forgiatura e anche nella produzione di fogli metallici per le loro buone proprietà di saldatura. La Ti5Al2.5Sn ha una buona resistenza alla trazione alle alte temperature. Le vicine leghe á fanno parte del gruppo delle leghe di titanio per alte temperature, utilizzate nei motori di aerei. Le leghe (á+â) includono la più comune lega di titanio Ti6Al4V. La sua resistenza di 900 MPa nello stato ricotto può essere accresciuta di ca. 200 MPa per indurimento. Figura 1.2 : illustrazione schematica della formazione della classica struttura nella lega Ti6Al4V mediante lento raffreddamento da una temperatura superiore a beta transus. La microstruttura finale è determinata da piatti di fase alfa separati tra loro da fase beta (Reed-Hill). Resistenze superiori ai 1000 MPa possono essere conseguite attraverso un buon indurimento con le leghe Ti6Al6V2Sn e Ti4Al4Mo2Sn. Leghe â con resistenza di 1000-1200 MPa nello stato ricotto includono Ti15V3Cr3Sn3Al, Ti3Al8V6Cr4Zr4Mo e Ti15Mo3Nb3AlSi. e proprietà delle leghe Ti6Al6V2Sn e Ti4Al4Mo2Sn dovute all'indurimento sono superiori a quelle delle usuali leghe commerciali di titanio. La resistenza a fatica delle leghe di titanio dipende dalla sezione dei semilavorati e dalla loro struttura. Nello stato non intagliato, questa è del 30-50 % della resistenza a trazione e nello stato intagliato del 30%. La resistenza a frattura del metallo con una struttura tipo quella della Ti6Al4V arriva a valori più alti di quella di un metallo con una struttura poligonale. Il rate di diminuzione della resistenza a trazione alle alte temperature delle leghe, con l'aumento della temperatura sopra ai 250°C, è più basso di quella del titanio commercialmente puro, e la resistenza al creep è più alta. Il limite di snervamento è maggiore del 90 %. Poiché l'allungamento senza necking è piccolo, questi materiali sono usualmente formati a caldo. Solubilizzazione e stabilizzazione danno proprietà migliorate, come accresciuta stabilità termica e migliorate proprietà a creep. Nelle leghe commerciali di titanio á e(á+â), la densità a 25°C è nel range di 4.37-4.56 g/cm3. Nelle leghe â di titanio, sono raggiunti valori di 4.94 g/cm3. I moduli di elasticità e la rigidità aumentano con l'accrescimento del contenuto di elementi interstiziali e alluminio e con temperatura di annealing; con l’addizione di additivi â stabilizzanti decrescono rispetto al titanio puro, poiché aumenta l'indurimento; sia nel titanio puro che nelle leghe di titanio commerciali decrescono con l'aumento della temperatura. A 25°C le leghe di titanio usualmente hanno resistività elettrica di ca. 150 x 10-6 Ùcm. Il coefficiente lineare di espansione a 25°C per le leghe á-e(á+â) di titanio è di ca. 9.5 x 10 -6 K-1. Il calore specifico è simile a quello del titanio ed è piuttosto alto per le leghe (á+â) di titanio. La conducibilità termica è solo la metà di quella del titanio. L'addizione di metalli nobili e di altri metalli come molibdeno, zirconio, afnio, nichel, tantalio o niobio migliorano le proprietà anticorrosive del titanio, mentre l'aggiunta di ferro, cromo e alluminio, ossigeno a livelli piuttosto alti , azoto, e idrogeno, riducono la resistenza alla corrosione. Il comportamento alla corrosione delle leghe di titanio commerciali è molto simile a quello del metallo commercialmente puro. Leghe di titanio contenenti lo 0.15 % di Pd o 2% di Ni o il 15-30% di Mo non hanno rilevanza industriale, nonostante la loro superiore resistenza alla corrosione in condizioni riducenti. Con l'aumento del contenuto dell'alluminio, le suscettibilità delle leghe del titanio alla stress corrosion cracking a temperature maggiori ai 200°C aumenta. Sono conosciuti tre composti intermetallici titanio-alluminio: Ti3Al, TiAl e TiAl3. In particolare, le fasi á2-Ti3Al(esagonale) e ã-TiAl (tetragonale) esibiscono bassa densità e buona resistenza alle alte temperature e sono scelte perciò per lo sviluppo di materiali da costruzione. I principali scopi sono accrescere la duttilità a temperatura ambiente di queste fasi fragili e migliorare la resistenza alla corrosione nel range di temperatura di 500-900°C. Le leghe utilizzate in ortodonzia sono leghe (á+â) e â di titanio. Vengono utilizzate tali leghe in quanto risentono delle proprietà di biocompatibilità del titanio (loro principale costituente), inoltre hanno ottime proprietà meccaniche quale buona elasticità abbinata a ottima resistenza a fatica. Schematicamente possiamo riassumere i trattamenti termici per ottenere tali leghe nello schema seguente: Figura 1.3 : trattamenti termici per la produzione tipica di un á+â titanio. (A) diagramma di fase parziale – (B) trattamento di solubilizzazione – (C) conseguente invecchiamento, (Reed-Hill). Perché il titanio e le sue leghe in ortodonzia? • BIOCOMPATIBILITA' : La biocompatibilità del Titanio e' data dal fatto che questo metallo e' biochimicamente inerte grazie alla sua capacità di passivazione, che lo rende non tossico. Le leghe dentali che attualmente vengono usate in odontoiatria possono originare casi di allergie , determinate dai vari processi chimici e termici che si creano nel cavo orale. L'introduzione del Titanio nelle ricostruzioni di protesi e il suo successo, soprattutto negli impianti, viene dall'alto grado di biocompatibilita' di questo elemento. • RESISTENZA ALLA CORROSIONE : Il Titanio presenta una resistenza alla corrosione molto alta data dalla sua capacita' di ricoprirsi spontaneamente di uno strato di biossido di titanio ogni volta che subisce un danneggiamento meccanico, se nell'ambiente e' presente ossigeno. La capacita' di ossidazione di questo elemento, crea una passivazione superficiale, che ne determina una notevole resistenza alla corrosione fondamentale per la sua biocompatibilita'. • RADIOTRASPARENZA : Una protesi in Titanio può essere radiografata avendo così la sicurezza di un manufatto integro e compatto a fusione avvenuta. • ASSENZA DI SAPORE : Un aspetto non da sottovalutare nell'uso del Titanio in odontoiatria e' l'assoluta neutralita' gustativa. Questo e' dovuto alla facilita' con cui lo strato d'ossido passivamente inibisce i processi d'erosione elettrogalvanica e la conseguente asportazione di particelle più esposte di metallo che poi, fatte circolare in bocca, possono essere percepite dalle papille gustative sotto forma d'aroma metallico. • CONDUCIBILITA' TERMICA : Il Titanio ha una conducibilità termica 14 volte inferiore a quella dell'oro; per questo non si creano irritazioni termiche della polpa che invece si possono manifestare con le leghe ad alto contenuto aureo. • LEGGEREZZA : Il Titanio ha un bassissimo peso specifico, circa 4 volte inferiore a quello dell'oro, per questo la sensazione che riscontra il paziente portatore di protesi e' di estrema leggerezza. • VERSATILITA': Le caratteristiche chimico-fisiche del Titanio ci permettono di fabbricare con un unico metallo allo stato puro protesi odontoiatriche. Trova la sua massima espressione in protesi combinata e sovrastrutture su impianti garantendo la massima precisione nelle chiusure realizzate in Titanio anche su monconi naturali. • LA FUSIONE : La fusione e' il passaggio che ha creato più problemi durante la lavorazione del Titanio a causa della tendenza che questo metallo ha nel reagire con i componenti dell'atmosfera e con la maggior parte degli elementi alla temperatura di fusione che possono alterare le molecole del titanio fino ad ottenere non piu' un elemento puro, ma una non precisata lega dalle caratteristiche sconosciute alterando tutte le sue caratteristiche chimico-fisiche. Le caratteristiche di fusione e solidificazione del Titanio sono particolari e richiedono protocolli operativi di laboratorio totalmente diversi da quelli comunemente usati per altri materiali. Quindi, a causa delle proprietà intrinseche del Titanio, che lo rendono un metallo difficile da fondere e da colare ,non si possono usare le apparecchiature da fusione tradizionali con crogioli di ceramica e materiali refrattari tradizionali ma sono necessari degli equipaggiamenti e dei materiali sviluppati a questo scopo . • RIVESTIMENTO ESTETICO : Il rivestimento estetico della struttura in Titanio può essere fatto in composito o in porcellana. I compositi di nuova generazione sono senza ombra di dubbio una innovazione nella ricostruzione odontoiatrica, sia per quanto riguarda l'estetica che per la funzionalità. L'applicazione in odontotecnica di questi materiali e' molteplice : ponti, corone, provvisori terapeutici, intarsi, faccette, california-bridge, paradontologia e implantologia. Come nel Titanio , leggerezza e biocompatibilita' conferiscono al dispositivo medico su misura la garanzia di un ottimo risultato per il paziente. La porcellana utilizzata sul Titanio e' classificata come idro-ceramica le cui caratteristiche si possono riassumere nel basso punto di fusione e nel basso coefficiente di espansione termica questo consente attraverso un bonder adeguato e passaggi lavorativi adatti, una eccellente adesione ti-ceramica ed una perfetta riproduzione della morfologia e colorazione del dente naturale. • SALDATURA: L'unico sistema migliore per saldare il Titanio e' il laser. L'apparecchio funziona ad impulsi di pochi millisecondi e con protezione di gas argon che fonde in modo puntiforme la struttura. Con questa apparecchiatura si possono ottenere unioni omogenee, stabili, prive di tensioni e di ossidazioni ed e' possibile unire due pezzi con l'apporto di un unico metallo mantenendo inalterate le caratteristiche chimico-fisiche iniziali dello stesso. Il calore sviluppato dal raggio laser e' limitato alla zona fusa, questo consente di effettuare saldature e non brasature anche in presenza di materiali estetici, quali ceramica, resina, compositi, ecc. Con il laser oltre al Titanio possiamo saldare tutti i tipi di metalli con o senza apporto dello stesso metallo del manufatto. • PRECISIONE: L'eliminazione totale dell'alpha-case attraverso tecnologia e rivestimenti particolarmente innovativi ,assieme ad una contrazione minima in fase di raffreddamento del metallo fuso e la mancanza di tensione nel procedimento di fusione e imperniatura, permette di avere una protesi estremamente precisa nelle chiusure marginali e nei controfresaggi ma sopratutto stabile nelle riabilitazioni particolarmente estese. Confronto con altre soluzioni strutturali: Tabella 1.4 : principali caratteristiche a confronto tra i vari metalli dentari. Come emerge dalla tabella sopra riportata il titanio non teme confronti per quanto riguarda la resistenza, la durezza, il peso specifica e la conducibilità termica. A proposito della corrosione del titanio Le considerazioni che andremo a fare sono tratte da “Corrosione elettrochimica di metalli e leghe dentali in saliva artificiale” – ing. P.Battaini – RIS. Sono state condotte delle misure elettrochimiche per la caratterizzazione a corrosione di alcune leghe per uso odontoiatrico in saliva artificiale Ringer (soluzione di NaCl, NaHCO3, CaCl2 e altro). Tabella 1.5 : composizione chimica delle leghe analizzate. Le curve potenziodinamiche forniscono la corrente critica di passivazione (Icrit) che descrive la capacità a passivarsi della lega o del metallo. I risultati ottenuti per il titanio sono i seguenti: 1. l’abilità di passivazione del titanio è simile a quella della lega C e superiore a quella della lega D; 2. Ti, lega H e Pd presentano un Ecorr (tensione di corrosione dopo polarizzazione catodica) ancora in crescita dopo 36 ore dalla polarizzazione catodica; 3. Ti, lega H e amalgama compiono buona parte del processo di ripassivazione entro 30 minuti (bassa nobiltà); 4. Resistenza di polarizzazione R p fino a 500 Kohm; 5. Bassa corrente di corrosione galvanica in coppia con l’amalgama; Grafico 1.1 : curva potenziodinamica che mostra un ampio intervallo di bassa densità di corrente tra il potenziale di corrosione e di rottura relativamente al Ti. Comportamento questo di materiali a ottima resistenza alla corrosione. Grafico 1.2 : andamento dei potenziali di circuito aperto (Ecorr) dopo riduzione catodica. Le leghe ad alto titolo di Pd e il Pd hanno le cinetiche di ripassivazione più lente. Grafico 1.3 : dettaglio del Grafico 1.2 che mostra il confronto tra le cinetiche di ripassivazione di Ti, Au, amalgama , lega H e lega E. Grafico 1.4 : correlazione tra le correnti di corrosione galvanica e il valore assoluto delle differenze tra i potenziali di circuito aperto delle coppie con amalgama dentale. Conclusioni: il titanio ha una buona resistenza a corrosione, migliore delle leghe ad alto titolo di palladio. Gli unici accoppiamenti tollerati con l’amalgama sono con la lega Co-Cr e con il Ti caratterizzati da correnti inferiori a 40 nA/cm 2. Capitolo 2 FILI ORTODONTICI. Valutazione della frizione tra brackets ceramici e filo ortodontico In ortodonzia è necessario conoscere la forza d’attrito tra brackets e filo ortodontico in modo da poter applicare al dente una forza opportuna ed ottenere così un’ottima risposta biologica ed un adeguato movimento del dente. L’attrito valutato in brackets ceramici verrà poi confrontato con quello dei brackets in acciaio inox (SS). I materiali testati sono: • • Fili ortodontici: acciaio inox (SS), lega Co-Cr, beta-titanio (TMA), lega Ni-Ti (Nitinol) di varie sezioni (sez. circolare 0.016”,0.018”, sez. rettangolare 0.016”x0.016”, 0.016”x0.022”, 0.017”x0.017”, 0.017”x0.025”, 0.018”x0.025”, 0.019”x0.025”); Brackets ceramici monocristallini con vari canali per il filo (slot): 0.018” e 0.022”; L’equipaggiamento utilizzato per questo esperimento è mostrato sotto: Figura 2.1 : testing machine, A-visione d’insieme, B-particolare. La macchina, attraverso la cella di compressione, misura la forza d’attrito tra i due materiali mentre la macchina, mediante una traversa fa scorrere (5.1 mm/min) tra loro racket e filo (accoppiato al racket nello slot). Sono stati testati 40 provini di filo ortodontico per tipo di metallo in racket con 0.018” di solt, 70 provini di filo ortodontico per tipo di metallo in racket con 0.022” di solt. In brackets di 0.018” di slot, il TMA e il Nitinol hanno prodotto una forza d’attrito molto alta rispetto a SS e Co-Cr. In brackets di 0.022” di slot, SS e Co-Cr hanno prodotto una forza d’attrito molto minore rispetto a beta-Ti e Nitinol. I risultati statistici sono comunque ben illustrati nelle tabelle successive. Grafico 2.1 : media della forza d’attrito prodotta tra differenti fili ortodontici e brakets con slot di 0.018”. Grafico 2.2 : media della forza d’attrito prodotta tra differenti fili ortodontici e brakets con slot di 0.022”. L’effetto della sezione del filo sulla forza d’attrito si può ricavare dai grafici precedenti. Per brackets con slot da 0.018” un incremento della sezione del filo ortodontico porta, in tendenza, ad un aumento della forza d’attrito. Per i beta-Ti (TMA) abbiamo un valore simile di forza d’attrito col bracket per sezioni di 0.016”, 0.017”x0.017” e 0.016”x0.022”, presenta invece un significativo incremento della frizione la sezione 0.017”x0.025”. Con brackets con slot di 0.022” i fili delle 4 leghe presentano un incremento della forza d’attrito con l’aumento della sezione. E’ da notare, per quanto riguarda il TMA, che i fili ortodontici 0.016” e 0.018” e 0.017”x0.017” producono la stessa frizione, significativamente minore di quella associata al 0.016”x0.022”. Per mostrare l’effetto del materiale costituente il racket sulla forza d’attrito mostriamo la seguente tabella. Tabella 2.1 : forza d’attrito tra le 4 leghe e brackets di ceramica e SS con slot di 0.018”. Si può notare come, per ogni tipo di filo in TMA disponibile, la forza d’attrito bracket ceramico-filo TMA sia di gran lunga superiore a quella bracket SS-filo TMA. Un confronto tra la forza d’attrito prodotta dai fili delle 4 leghe con brackets ceramici e in SS ci suggerisce che, per la maggior parte dei fili, l’attrito col bracket ceramico produce una forza significativamente maggiore a quella prodotta col bracket in SS; ciò si attribuisce alle diverse caratteristiche del materiale costituente i brackets. Come si può notare alle foto SEM (riportate di seguito) la superficie dello slot del bracket ceramico presenta numerose e piccole indentazioni, mentre quella dello slot del bracket in SS appare relativamente liscia. La differenza di frizione esplicata da questi due materiali si attribuisce quindi principalmente alle condizioni superficiali del bracket. Clinicamente, l’uso dell’accoppiamento filo in TMA e bracket ceramico sta prendendo sempre più piede perché consente di applicare al dente una forza di trazione maggiore a quella ottenibile con la soluzione bracket in SS e filo in SS (utilizzata nei casi dove la forza di trazione non deve superare determinati valori). Figura 2.2 : foto al SEM di (A) bracket in acciaio inox SS , (B) bracket in ceramica , (C) superficie slot del bracket in SS , (D) superficie slot del bracket ceramico. Conclusioni: • • • La forza d’attrito nei brackets ceramici aumenta con le dimensioni della sezione del filo ortodontico ed inoltre SS < Co-Cr < Nitinol < TMA ; La forza d’attrito è significativamente più elevata in bracket ceramici rispetto a bracket in acciaio inox (SS) per tutte le combinazioni di leghe e slot utilizzati ; Fili di sezione rettangolare producono frizioni maggiori rispetto a quelli di sezione circolare. L’impiego delle leghe al titanio in ortodonzia Le leghe utilizzate per la fabbricazione degli apparecchi ortodontici sono state,nel corso degli anni, relativamente poche. Ad esclusione dell'oro che è stato utilizzato per un breve periodo, la principale lega costituente i fili ortodontici è stata l'acciaio inossidabile austenitico. Esso ha mantenuto la sua diffusione in quanto è caratterizzato da stabilità, rigidità, resilienza modellabilità. nonché da un costo contenuto. Un'altra lega abbastanza diffusa è quella al cromocobalto-nickel (Eigiloy); più recentemente e stata introdotta una lega al nickel-titanio (Nitinol) che presenta un'eccellente memoria elastica ed una bassa rigidità ;la sua scarsa modellabilità ne limita le applicazioni in casi in cui non sono necessarie numerose anse e pieghe nel filo. Sebbene le proprietà richieste ad un filo ortodontico siano diverse, generalmente sono tre le caratteristiche che esso deve possedere: • • • grande memoria elastica:deve essere cioè possibile effettuare una notevole attivazione senza che il filo subisca deformazioni permanenti. Ciò evita al clinico l'inserimento di anse complesse con conseguente minor fastidio per il paziente ; rigidità minore rispetto all’acciaio: in tal modo è possibile utilizzare fili di sezione maggiore con il vantaggio di riempire lo slot e quindi di ottenere un buon controllo dei movimenti di terzo ordine, entro il range dello sviluppo di forze biologiche; buona modellabilità tale che il filo possa assumere facilmente configurazioni complicate senza fratturarsi; Queste caratteristiche sono tutte presenti nel bera-titanio, il quale consente anche ai effettuare delle giunzioni di componenti ausiliari mediante puntatura senza incorrere in riduzioni della resilienza. I1 beta-titanio è la lega più nuova introdotta nella professione ortodontica. I1 titanio è stato utilizzato come metallo strutturale sin dal 1952 e da allora ne è stato più volte proposto l'uso in ortodonzia. La scarsità dei risultati ottenuti da una tale applicazione può essere spiegata con le inadeguate caratteristiche di ritorno elastico delle leghe al titanio allora disponibili. Per poter competere con l'acciaio inossidabile una lega deve possederne almeno le stesse caratteristiche di modellabilità e di ritorno elastico che dipende dal rapporto tra rigidità e modulo di elasticità (YS/E). Questo rapporto nel caso dell'acciaio inossidabile è di 1,1x10-2 . L'iniziale impiego industriale del titanio prevedeva l'uso dei metallo ad un grado di purezza del 99,2. A temperature inferiori a 1625° F questo metallo presenta una struttura a cristallo esagonale; a temperatura ambiente il rapporto YS/E è di 0,35 x 10-2 .Ciò implica che un apparecchio costruito con titanio puro potrebbe subire soltanto un terzo della deflessione elastica di un apparecchio simile in acciaio inossidabile. La seconda fase nella storia del titanio consiste nello sviluppo di leghe a base di titanio caratterizzate però ancora dalla stessa struttura a cristallo esagonale, per cui si ottenevano risultati soltanto di poco migliori. Nel 1960 si rese disponibile una forma completamente nuova di lega al titanio caratterizzata da una struttura cubica detta “fase beta". Con l'aggiunta di altri elementi quali ad esempio il molibdeno una lega base di titanio può mantenere la sua struttura beta anche se raffreddata a temperatura ambiente; queste leghe prendono il nome di titanio beta stabilizzato. Goldberg e Burstone hanno dimostrato che con un'accurata lavorazione di un 11% di molibdeno, un 6% di zirconio, un 4% di stagno è possibile sviluppare un filo ortodontico con un rapporto YS/E di 1.8 x 10-2 cioè con caratteristiche superiori a quelle dell'acciaio inossidabile. I risultati dei tests comparativi con l'acciaio inossidabile eseguiti con l'ausilio del tester Tinius Olsen sono riportati nel grafico sottostante. I1 modulo di elasticità del beta titanio è circa due volte rispetto al Nitinol e meno della metà rispetto all'acciaio inossidabile . Grafico 2.3 : risultati dei test comparativi di rigidità tra l’acciaio inox e tre leghe a base di titanio. La sua rigidità lo rende ideale nei casi in cui si richiedono forze minori dell'acciaio, ma in cui un modulo di elasticità più basso risulterebbe inadeguato per sviluppare le forze dell'intensità desiderata. È stato detto che la modellabilità del beta titanio è simile a quella dell'acciaio inossidabile; comunque tale lega non può essere piegata eccessivamente per cui è richiesta una notevole accuratezza nella scelta delle pinze e delle procedure di modellazione. I1 filo al beta titanio può subire delle giunzioni mediante puntura ed ha una buona resistenza alla corrosione. Riassumendo, il filo al beta titanio possiede un eccellente equilibrio un alto ritorno elastico, una buona modellabilità ed una bassa rigidità, caratteristiche che lo rendono particolarmente indicato in un notevole numero di situazioni cliniche. Elevati valori di ritorno elastico consentono incrementi di attivazioni, il che è sempre desiderabile, senza che altre proprietà quali la modellabilità vengano sacrificate eccessivamente. Le nuove leghe al titanio (Beta III, Ti6Al4V, ecc.) consentono in virtù delle loro particolari caratteristiche meccaniche la costruzione di apparecchi in grado di sviluppare forze biologiche non lesive. Esse inoltre consentono la progettazione di sistemi di forze semplici e privi di effetti collaterali a tutto vantaggio dell’efficienza dell’apparecchio e del comfort del paziente. Capitolo 3 IMPIANTI IN TITANIO. Generalità Il titanio è il biomateriale più ampiamente usato nella chirurgia implantare. Si trova in natura come elemento puro e presenta un basso peso specifico che favorisce il suo impiego nell'implantologia. In natura è presente sotto forma di minerali di titanio, e può essere utilizzato sia puro che come lega: fra le leghe di più largo impiego per la costruzione di impianti, la più utilizzata contiene il 6% di Al ed il 4% di vanadio (Ti6Al4V). L'Al viene aggiunto al Ti per migliorare la durezza e ridurre il peso specifico, ma risulta migliorato anche il modulo E. Quindi la lega Ti6A14V presenta una elasticità maggiore permettendo una più equa distribuzione del carico nelle zone interfaciali ossoimpianto, poiché il modulo E dell'osso e del materiale implantare sono simili. L'aggiunta al titanio dell'Al e del Va riduce del 50% circa la conducibilità termica e ne aumenta la resistenza all'usura da fatica di circa la meta. Sono importanti per il successo dell'impianto le proprietà di superficie del materiale utilizzato. Durante le procedure di lavorazione meccanica il metallo è esposto all’atmosfera e ad altre sostanze come lubrificanti e liquidi refrigeranti. Il contatto con l’aria porterà ad una rapida formazione di uno strato di ossido di Ti di circa 10 Å in meno di un millesimo di secondo. Nel giro di un minuto lo spessore di questo aumenterà fino a circa 50-100 Å. Altra tappa importante nella preparazione degli impianti è rappresentata dalla sterilizzazione agli ultrasuoni ed in autoclave. Questa procedura contribuisce ad aumentare lo spessore dell’ossido. Gli ossidi reperibili sulla superficie del Ti sono: il TiO, TiO2, TiO3, e tracce di ossido di Al e V.I1 TiO 2 è il più stabile ed è quindi il più frequente sulla superficie del Ti e delle sue leghe. Tale ossido carica negativamente l'impianto aumentandone l'affinità per le differenti biomolecole. Durante le varie fasi d’inserimento dell'impianto, l'ossido può essere danneggiato, ma si riforma istantaneamente. I1 vero protagonista dell’osteointegrazione è l'ossido di Ti in quanto è in grado di passivare i suddetti materiali prevenendone la corrosione a causa della elevata stabilità chimica. L'ossido è dotato di un'altra caratteristica importante: previene la diffusione di ioni metallici all'interno dei tessuti, conferendo al titanio un alto grado di biocompatibilità. Nonostante la ridotta diffusione di ioni di Ti all’interno dei tessuti è possibile riscontrare, talvolta, particelle di Ti.La superficie del titanio può essere preparata con differenti tecniche allo scopo di ottenere un grado di rugosità superficiale ottimale. Fra le diverse metodiche vanno elencate la sabbiatura ed il plasma spray di titanio.La preparazione di rugosità superficiali ha lo scopo di ottenere una migliore resistenza alla torsione e trazione dell’interfaccia osso-impianto che sarebbe assicurata dalla microritenzione. Studi istologici hanno dimostrato la crescita di osso mineralizzato all'interno delle irregolarità superficiali del titanio aumentando, in tal modo il legame che si viene a stabilire tra il tessuto osseo ed i biomateriali. Titanio sabbiato Il grado di resistenza alle forze di taglio con impianti osteointegrati in titanio dipende dalla reazione biologica che si ha all'interfaccia. Gli impianti a vite hanno, in linea teorica, una resistenza alla trazione e compressione maggiore di un impianto cilindrico a superficie liscia (Figura 3.1). La sabbiatura della superficie del titanio migliora le caratteristiche biomeccaniche dell'impianto (Figura 6.2). È tuttavia necessario che la preparazione di superficie non alteri le caratteristiche di biocompatibilità (Bowers e coll., 1992; Cook e coll., 1992; Gotfredsen e coll., 1992). Anche la stabilità primaria risulta migliorata in impianti a superficie sabbiata, fatto, questo, che contribuisce ad accelerare la velocità di contatto con l'osso. L'aumento di resistenza alle forze interfaciali sembra essere legato all'aumento della superficie disponibile per il contatto osseo, che è funzione del grado di rugosità superficiale. Un secondo fattore cruciale nel rapporto tra impianti con superfici rugose e tessuti biologici sembra essere legato al particolare trofismo che certe cellule, quali macrofagi, cellule epiteliali ed osteoblasti mostrano nei confronti di certe superfici rugose, fenomeno che può essere definito rugofilia (Brunette, 1988; Smith, 1991). Alcuni studi in vitro hanno dimostrato che cellule osteoblastiche aderiscono a superfici sabbiate con granuli di circa 100 C1 e non su superfici di titanio liscio. Sembra, infatti, che i processi osteogenetici abbiano un inizio più precoce su superfici rugose rispetto al titanio liscio. Figura 3.1 : la superficie di impianti in titanio liscio presenta le righe di tornitura del metallo che conferiscono un certo grado di rugosità. Si possono notare strutture biologiche e cellule adese alla superficie. Figura 3.2 : immagine al microscopio elettronico a scansione di un impianto in titanio sabbiato. I materiali con i quali si realizza la sabbiatura sono il biossido di alluminio o il biossido di titanio in quanto la permanenza di sia pur minime impurità sulla superficie del titanio potrebbe alterare in senso negativo la risposta biologica al titanio. È tuttavia possibile che la contaminazione residua alla sabbiatura conferisca al titanio microparti di elementi in grado di influenzare positivamente l'osteointegrazione agendo come catalizzatori di particolari reazioni biologiche favorevoli. Titanio plasma-spray Una delle tecnologie attualmente piu utilizzate allo scopo di aumentare la rugosità superficiale degli impianti endossei orali consiste nel rivestimento di cilindri di titanio liscio o filettato con polveri di titanio (Figura 3.3). Tale processo si attua mediante un bruciatore al plasma ad arco voltaico che è in grado di elevare la temperatura di un gas nobile o di N2/H2 nel quale vengono spruzzate polveri di idruro di titanio con granulometria di 50-100 µm che, grazie alla fusione del loro strato più superficiale, aderiscono al corpo del cilindro sul quale vengono deposte. I1 plasma si produce tra un anodo di rame ed un catodo di tungsteno raffreddati. Si ottengono, in questo modo, rivestimenti porosi di spessori di circa 50 µm con un aumento della superficie totale disponibile per il legame fino a circa dieci volte. Numerosi studi hanno dimostrato che la preparazione con plasma spray di titanio, non solo permette di aumentare la superficie disponibile per l’adesione ossea, ma induce l'aumento della quota di superficie implantare che entra in contatto con il tessuto mineralizzato, in comparazione con impianti in titanio liscio. In termini clinici tali fenomeni si riflettono in un più forte ancoraggio osseo dell’impianto. Studi ultrastrutturali hanno dimostrato che una superficie di titanio plasma spray può entrare in diretto contatto con il tessuto mineralizzato. Figura 3.3 : immagine al SEM di un impianto con rivestimento in plasma spray. L’interfaccia titanio-osso Gli studi microscopici ed ultrastrutturali della inferfacie osso-titanio sono discordanti (Donath e Breuner, 1982; Linder, 1983; Thomsen ed Ericson, 1985; Weinlaender, 1991; Weinlaender e coll., 1992; Stenik e coll., 1992; Linkow e coll., 1992). Alcuni autori hanno dimostrato la presenza di uno strato amorfo parzialmente calcificato con spessore variabile tra i 10 ed i 500 nm. Fasci ordinati di collagene sono stati osservati vicino alla superficie dell'impianto, ma negli ultimi 100-500 nm era possibile vedere solamente fasci disposti in maniera non organizzata; nei 20-40 nm piu vicini all'impianto non erano visibili fibre collagene e la struttura consisteva di materiale amorfo calcificato (Sennerby e coll., 1991; Sennerby, 1991). In altri studi è stato possibile mettere in evidenza la presenza di materiale mineralizzato direttamente a contatto con il titanio senza spazi intermedi (Listgarten e coll., 1992). Studi istologici eseguiti su impianti espiantati dall'uomo (Trisi e coll., 1993), dopo un periodo variabile di carico funzionale, e su impianti inseriti nell'animale da esperimento (coniglio, maiale) hanno evidenziato che: 1) nella maggior parte degli impianti esaminati l’osso contraeva uno stretto rapporto con la superficie implantare ; 2) la struttura dell'osso intorno agli impianti era, nella maggior parte dei casi, di tipo lamellare ; 3) a maggior ingrandimento, in alcune zone, era presente uno spazio otticamente vuoto, dello spessore variabile da 1 a 5 µm, mentre in altre porzioni dell'impianto il tessuto mineralizzato terminava direttamente sulla superficie del metallo ; 4) molti osteociti erano presenti nell'osso periimplantare, ed in alcuni casi si trovavano interposti tra l'osso mineralizzato e la superficie del metallo; 5) spesso i canalicoli osteocitari si dirigevano verso la interfaccia titanio-osso. In microscopia ottica tradizionale gli impianti osteointegrati mostrano un rapporto diretto tra osso e biomateriale (Quaranta e coll., 1992). Tale osservazione è, però, relativa alle tecniche di preparazione dei campioni istologici. La preparazione di sezioni non decalcificate ottenute per usura fornisce sezioni piuttosto spesse in cui risulta difficile osservare i reali rapporti interfacciali , si procede quindi per microscopia TEM. L'interfaccia titanio-osso sarebbe costituita, quindi, da zone con diversa morfologia: in alcune aree il tessuto mineralizzato sarebbe a diretto e stretto contatto con il titanio, mentre in altre zone un sottile strato di materiale con le caratteristiche cromofile della matrice osteoide sarebbe interposto tra le due strutture. In conclusione l'interfaccia titanio-osso rappresenta probabilmente una struttura biologicamente attiva anche molti anni dopo l'inserzione dell'impianto. I1 legame che i materiali «bioattivi», quali i biovetri, le vetroceramiche e le ceramiche di fosfato di calcio, stabiliscono con il tessuto osseo è stato definito «biointegrazione». A differenza, infatti, dell'osteointegrazione, i materiali bioattivi si connettono con il tessuto osseo non solo spazialmente, ma anche strutturalmente (Krauser, 1989; De Lange e coll., 1990; Van Blitterswijk e coll., 1990; Lynch e coll.., 1991; Ravaglioli e coll., 1992). Essi, cioè, stabiliscono un legame chimico con il tessuto osseo che è in grado di resistere alle forze di trazione tangenti la superficie di legame; talora la resistenza di legame può essere superiore alla resistenza della struttura ossea stessa e si possono osservare fratture, durante la trazione, che interessano la compagine ossea, mentre l'interfacie rimane intatta (Figura 6.4). Inoltre i materiali bioattivi sono in grado di raggiungere un iniziale legame osseo in tempi relativamente più brevi rispetto al titanio. Le ceramiche di fosfato di calcio sono i materiali bioattivi che hanno incontrato il maggior favore da parte dei ricercatori e dei clinici ed in particolare un'apatite, l'idrossiapatite (HA), è stata ampiamente studiata ed utilizzata nella pratica clinica da circa un decennio come rivestimento di impianti il cui core è costituito da titanio biomedico. La ragione iniziale per l'uso delle ceramiche in implantologia era legata alla relativa inerzia delle ceramiche in relazione al titanio. Le ceramiche infatti, essendo molecole totalmente ossidate, sono chimicamente più stabili dei metalli che ossidano solamente in superficie. Biologicamente tale proprietà conferisce alle ceramiche una maggiore inerzia chimica, cioè una minore probabilità di indurre reazioni infiammatorie (Frame e coll., 1989). Concetti generali sull'idrossiapatite (HA) La componente inorganica di tutti i tessuti mineralizzati dell'organismo umano è costituita in grande prevalenza da sali di fosfato di calcio. Sono presenti in quantità minore anche altri materiali inorganici come carbonati di calcio e solfati. In particolare I'idrossiapatite rappresenta rispettivamente il 60-70% ed il 90% del peso dell’osso e dello smalto (Jarcho, 19X6; Donath e coll., 1987). Figura 3.4 : impianti in Ti rivestiti in idrossiapatite presentano un legame molto aderente con il tessuto osseo. Nella figura si nota il frammento di osso (B) rimasto adeso all’idrossiapatite (HA) in un impianto (zona scura in alto) rimosso da un paziente. Nella idrossiapatite il rapporto tra Ca/P è di 1,67. Le ceramiche di fosfato di calcio vengono prodotte industrialmente usando polveri chimiche di base sciolte in una soluzione acquosa. Successivamente l'impasto ottenuto viene compattato ad alta pressione e poi sintetizzato ad una temperatura variabile da 1000 a 1300 gradi centigradi. La sinterizzazione consiste in un processo di riscaldamento della polvere con solidificazione della polvere stessa senza però che questa raggiunga la sua temperatura di fusione. L' HA è disponibile in una forma densa ed una porosa; in quest’ultima i pori hanno un diametro variabile da 100 a 300 micron e comunicano tra loro. Le ceramiche sono materiali resistenti alla compressione, ma, come pure lo smalto dentale, sono fragili per cui il loro impiego è limitato di notevole entità. Tra le due forme di ceramiche, porosa e densa, quelle porose sono molto più fragili di quelle dense. L'idrossiapatite è disponibile in commercio sotto diverse forme: polvere granulare, e blocchetti preformati che possono assumere qualsiasi forma desiderata. In forma granulare l'HA viene attualmente utilizzata nella pratica clinica odontoiatrica per la ricostruzione di difetti ossei parodontali, il riempimento di difetti ossei dopo cistectomia, dopo apicectomia, dopo la perdita di impianti dentali, e per l'aumento dello spessore di creste alveolari atrofiche (Kent, 1986; Carranza e coll.,1987; Donath e coll., 1987; Minegishi e coll., 1988; Minabe e coll.,1988; Shetty ed Han, 1991;Beck-Coon e coll., 1991). L'HA sotto forma di blocchetti sagomati viene utilizzata, invece, soprattutto in chirurgia maxillofacciale (difetti ossei da traumi, osteotomie riduttive e di stabilizzazione, ricostruzione del massiccio facciale, sostituzioni di porzioni ossee orbitali e mascellari). Anche i blocchetti, come la polvere granulare, possono inoltre essere utilizzati in chirurgia preprotesica per aumentare lo spessore della cresta alveolare. Studi recenti hanno dimostrato che I'idrossiapatite (HA) si lega chimicamente all'osso e non induce fenomeni di tossicità o flogistici locali o sistemici (Kent, 1986; Jarcho, 1986; Orly e coll., 1989; Ohgushi e coll., 1990; Weinlaender, 1991). Alcune ricerche (Hoogendoorn e coll., 1984; Verburg e coll..1988; Klein e coll., 1989) dimostrerebbero che 1'HA, a differenza del TCP, non andrebbe incontro a riassorbimento. Altri autori avrebbero invece riscontrato un riassorbimento dell'HA (Ducheyne e Van Raemdonck, 1986; Carranza e coll., 1987; Kwong e coll.,1989; Gregoire e coll., 1990; Piattelli e coll., 1993). Secondo Donath (1990) non esistono ceramiche di fosfato di calcio non riassorbibili, in quanto ciò che varia da una forma all'altra è esclusivamente la velocità di riassorbimento. I1 riassorbimento potrebbe essere legato ad una dissoluzione determinata da fluidi biologici oppure ad una azione legata ad una attività cellulare (Blijdorn e coll., 1988; Orly e coll., 2989; Bauer, 1990; Muller-Mai e coll., 1990). Rivestimenti biocompatibili di idrossiapatite su titanio (studi in atto) I rivestimenti in idrossiapatite [Ca10(PO4)6(OH)2] sono largamente impiegati in medicina per protesi ortopediche e dentali (viti al titanio per impianti) per favorire la completa integrazione del metallo con i tessuti ossei umani. Tuttavia l'applicazione di questi rivestimenti biocompatibili richiede un ulteriore miglioramento delle loro proprietà chimiche, biologiche e meccaniche, anche attraverso lo sviluppo di nuove tecnologie di preparazione. Nel presente studio è riportato un confronto tra i risultati sperimentali della caratterizzazione chimico-fisica di rivestimenti di idrossiapatite (HA) depositati mediante metodologie diverse (dipcoating, plasma-spray, ecc). Gli strati di HA sono stati fatti crescere su un substrato di Ti commerciale e, al fine di migliorare l'adesione dell' HA, il substrato è stato preventivamente ricoperto con TiO 2 (in fase di rutilo) o calcio titanato (CaTiO3) usando la tecnica sol-gel. Inoltre i rivestimenti ottenuti con il metodo dipcoating sono stati attentamente studiati. La composizione chimica superficiale e la morfologia dei rivestimenti (TiO2, CaTiO3 e HA) sono state studiate mediante spettroscopia a raggi X (XPS), microscopia Auger a scansione (SAM) e microscopia elettronica secondaria (SEM). I profili di profondità XPS sono stati ottenuti mediante "sputtering" con ioni Ar+. L'operazione di peak-fitting dell'XPS è stata condotta allo scopo di identificare le differenti specie chimiche dei componenti principali e dei contaminanti. I dati relativi all'analisi quantitativa XPS e le immagini (SAM e SEM) delle superfici hanno mostrato la qualità superiore (purezza, omogeneità, etc) dei rivestimenti di HA ottenuti per dip-coating rispetto a quelli industriali da noi analizzati. La valutazione della biocompatibilità in vitro e le ulteriori analisi superficiali dei rivestimenti sono in atto. Il rivestimento in idrossiapatite Le ceramiche, in generale, non hanno sufficiente resistenza agli urti da poter essere utilizzate come singoli costituenti di impianti dentali. Allo scopo di migliorare le scarse proprietà meccaniche delle ceramiche, mantenendone le ottime caratteristiche biologiche, si è pensato di utilizzare il titanio od una delle sue leghe come corpo di impianti la cui superficie fosse rivestita con l'idrossiapatite. La tecnica di rivestimento maggiormente utilizzata è il plasma spray, in modo simile a quanto avviene per il rivestimento al plasma di titanio. Numerose, tuttavia, sono le variabili che determinano la riuscita finale del rivestimento, quali la provenienza ed il tipo di HA utilizzata per il processo di plasma-spray, il tipo di substrato sul quale questa viene depositata, la temperatura ed il grado d'automatizzazione del processo, il tipo di ambiente in cui si attua il processo. Durante tale processo, l'aumento della temperatura provoca la fusione dello strato esterno delle particelle di HA che durante il raffreddamento possono subire un cambiamento di fase con formazione di TCP e di fosfati di Ca amorfi. Tale fenomeno riduce la cristallinità dell'HA, fatto questo che sembra determinare il grado di riassorbibilità del rivestimento. Si ritiene che un maggior grado di cristallinità determini una minore solubilità. Le idrossiapatiti in commercio presentano un grado di cristallinità variabile compreso tra il 5% ed il 60-70%. Uno dei vantaggi biologici nell'utilizzo di impianti rivestiti in HA, rispetto ad impianti in titanio, risiede nella maggior rapidità con cui i primi raggiungono uno stretto legame con il tessuto osseo. I test di trazione, infatti, dimostrano dei valori molto superiori per l’HA, rispetto al titanio. Problemi legati all'uso di questo tipo di impianti sono il legame tra HA e titanio, ed il destino nel tempo del rivestimento (Van Steenberghe, 1991). L'interfaccia osso-idrossiapatite In microscopia ottica, l'osso mineralizzato sembra strettamente aderente alla superficie della HA (Piattelli e Trisi, 1993, Piattelli e coll., 1993) . La colorazione con il Von Kossa mostra la presenza di zone di differente morfologia .In alcune regioni dell’interfaccia l'osso mineralizzato si localizza direttamente sull'HA, mentre in altre aree tra l'osso mineralizzato e l'HA si viene a disporre un materiale basofilo, non mineralizzato. Questa sostanza, cromaticamente simile al materiale che riveste le lacune osteocitarie, appare di spessore maggiore nei casi in cui si ha una attiva formazione di osso sulla HA (Piattelli e Trisi, 1993). Con il microscopio confocale a scansione laser in fluorescenza (Pawley, 1989; Bertero e coll., 1990; Boyde e coll., 1990)è possibile evidenziare la presenza di una sottile linea fluorescente in molte zone dell'interfaccia, corrispondente alla struttura basofila osservata in microscopia ottica (Piattelli e Trisi, 1993, 1994). In trasmissione è, invece, possibile osservare uno strato di materiale di colore scuro, simile alle linee cementanti («reversal lines») che si osservano nel tessuto osseo (Van Blitterswik e coll., 1985). Questa struttura potrebbe essere stata prodotta dalla deposizione di materiale organico sulle superfici dell'osso e dell'HA. Nello spessore dei coatings di HA è possibile osservare materiale basofilo non mineralizzato con un aspetto granulare o lamellare; l'aspetto istologico e le proprietà istochimiche di questo materiale sono molto simili alla matrice osteoide ed alla lamina limitans degli osteociti (De Lange e Donath, 1989; Donath, 19C)O; Piattelli e Trisi, 1993,1994). Come per l'interfaccia titanio-osso, anche nella HA è possibile osservare quindi differenti aspetti microscopici che potrebbero essere spiegati con l'esistenza di un interscambio metabolico dinamico a livello delle strutture dell'interfaccia (Sautier e coll.l 1C)91; Okumura e coll., 1991; De Bruijn e coll., 1992). Lo studio ultrastrutturale dell’interfacie osso-HA presenta problemi tecnici di preparazione molto simili a quelli che si presentano nello studio del titanio. Infatti la preparazione di sezioni fini di 500 angstrom, tali da poter essere studiate al TEM, richiede la rimozione del titanio e la decalcificazione dell'HA. Gli studi, tuttavia effettuati, sebbene non esenti da dubbi, hanno dimostrato la presenza di una lamina limitans simile a quella osservabile nel titanio dello spessore di 20-100 Al riscontrabile anche nella lacuna osteocitaria. Osso mineralizzato si osserverebbe ad una distanza di circa 200 angstrom, mentre una struttura ossea ordinata a circa 500 angstrom dalla superficie dell'HA (Tracy e Doremus, 1984; Van Blitterswijk e coll., 1985; Van Blitterswijk e coll.. 1990 ; De Lange e coll., 1990). Studi effettuati su colture di osteoblasti in ,vitro hanno dimostrato, contrariamente, che uno strato di cristalli di HA naturale si deposita direttamente sulla superficie dell'HA naturale, senza interposizione di alcuna matrice amorfa. Impianti a vite in titanio trattato Figure 3.5 e 3.6 : fotografia SEM di un particolare e visione globale dell’impianto in Ti trattato (Lifecore®). Tali impianti offrono un significativo aumento dell’area di superficie rispetto agli impianti in Ti liscio, aumentando la ritenzione meccanica e il contatto osso-impianto. Il procedimento utilizzato RBM (resorbable blast media) crea sull’impianto una superficie ruvida priva di elementi inquinanti. Tale procedimento si avvale di una sabbiatura a mezzo di idrossilapatite riassorbibile. L’enorme vantaggio di tale tecnica è quello di utilizzare un materiale completamente biocompatibile. Le caratteristiche ibride dell’impianto uniscono i vantaggi di una superficie ruvida per una migliore osseointegrazione rispetto impianti con superficie liscia per un miglior mantenimento dei tessuti molli. Solitamente tali impianti sono realizzati in titanio commercialmente puro di grado 3. Figura 3.7 : impianto Frialoc® sabbiato e mordenzato per applicazioni con carico immediato. Impianti a vite autofilettante in titanio liscio Figure 3.8 e 3.9 : particolare SEM e fotografia di impianto a vite autofilettante in Ti liscio (Lifecore®). Questa tipologia di impianti non presenta rivestimenti superficiali; necessita dunque una maggiore attenzione per quanto riguarda la osseointegrazione del metallo. Per favorire ciò la superficie della vite viene sterilizzata, prima del packaging, con raggi gamma. Il titanio utilizzato per questa struttura è sempre del tipo commercialmente puro di grado 3. Figura 3.10 : set di impianti a vite in Ti liscio Isomed®, realizzati in Ti di grado 3. Impianti rivestiti in TPS I rivestimenti in TPS (Titanio Plasma Spray) sono impiegati con successo da molti anni, sia negli impianti ortopedici che in quelli dentali. Il rivestimento in plasma spray di titanio puro aumenta notevolmente l’area di superficie dell’impianto, e la ritenzione meccanica nell’osso al momento dell’inserimento. Figure 3.11 e 3.12 : particolare SEM della superficie TPS e fotografia di impianto cilindrico rivestito in TPS (Lifecore®). Come si riscontra nell’immagine al SEM, le numerose asperità sulla superficie TPS consentono un’integrazione “tridimensionale” e quindi una solida interconnessione. Per il rivestimento in TPS si utilizza un processo avanzato in plasma spray sotto vuoto (VPS), in grado di produrre un rivestimento metallurgicamente saldato al substrato dell’impianto. Tale rivestimento presenta inoltre eccezionali proprietà di resistenza alla trazione, al taglio e a fatica. Il corpo dell’impianto è solitamente realizzato in lega di titanio Ti6Al4V. Figura 3.13 : impianto a vite rivestito in TPS (Tri-Surface®); si notano le tre zone : in testa Ti lucidato per favorire le parti molli, il collarino sabbiato e il corpo ricoperto in TiO 2 (TPS). Figura 3.14 : impianto a vite ricoperto di TiO2 con TPS (Ti-Unite®). Figura 3. 15 : impianti monobasici a vite autofilettante con rivestimento in TPS (Lifecore®). Impianti rivestiti in Hydroxylapatite (HA) Figura 3.16 : particolare SEM della superficie ricoperta di HA. Fino da 1989 si sono commercializzati impianti rivestiti in idrosilapatite di elevata qualità. Questo rivestimento clinicamente testato è perfettamente in regola con le normative riguardanti lo standard di purezza FDA e ASTM. Anche nel caso di impianti rivestiti di HA il corpo centrale è costituito di lega Ti6Al4V per i motivi visti prima. Esistono principalmente due tipologie di impianto rivestito: quello cilindrico e quello a vite. Nel secondo caso abbiamo una maggiore superficie di contatto con l’osso ed una buona ritenzione meccanica. Figure 3.17 e 3.18 : impianto cilindrico (a sinistra) ed a vite (a destra) rivestiti di HA (Lifecore®). La testa degli impianti Un tempo si utilizzavano impianti con testa avente un foro esagonale ed inseribili attraverso chiavi ortodontiche (vedi capitolo 4), ultimamente gli impianti sono realizzati con teste esagonali applicabili nell’osso attraverso apposito cicchetto. Figura 3.19 : impianti con testa ad esagono esterno (Lifecore®). Figura 3.20 : particolare SEM di impianto con testa cilindrica esagonale interna (Dentsply®). Gli strumenti ortodontici per mettere in opera gli impianti (chiavi, cicchetti, maschiatori, alesatori, punte da trapano ,ecc.) sono realizzati quasi in toto o in acciaio inox o in nitruro di titanio e titanio (a causa della simile, ma maggiore resistenza meccanica rispetto agli impianti). Capitolo 4 ALTRE APPLICAZIONI. Vedremo ora, nelle altre applicazioni ortodontiche, i componenti realizzati in Ti o sue leghe e ne analizzeremo,in modo conciso, la loro funzione. Protesi avvitata La protesi avvitata è composta da impianto, pilastro, cilindro e vite di tenuta e permette di realizzare: • • Dente singolo e ponte; Protesi mobile con ritenzione a barra; Figura 4.1 : diagramma di assemblaggio per protesi avvitata (Lifecore®). Vediamo i componenti realizzati in Ti: Figura 4.2 : pilastro conica (Lifecore®) - realizzato in acciaio inox, ma ultimamente viene montato in titanio di grado 3. Figura 4.3 : pilastro standard (Lifecore®) – per overdenture “Toronto Bridge” o altro. Figura 4.4 : pilastri per protesi fissa avvitata (Lifecore®). Figura 4.5 : vite di tenuta in titanio per pilastro conico (Lifecore®). Figura 4.6 : cilindro provvisorio per pilastro standard in Ti (Lifecore®) – ha superficie ruvida per poter essere inglobato nella resina della protesi. Figura 4.7 : vite di tenuta in titanio (Lifecore®) per pilastri tipo UCLA. Figura 4.8 : cilindro provvisorio UCLA (Lifecore®). Protesi fissa cementata La protesi fissa cementata è composta da impianto, pilastro e vite di fissaggio e permette di realizzare: • • Protesi cementate come nelle tradizionali tecniche di protesi fissa; Dente singolo o ponti a più elementi; Figura 4.9 : diagramma di assemblaggio per protesi fissa cementata (Lifecore®). Vediamo i componenti realizzati in Ti: La vite di fissaggio può essere realizzata in oro o titanio; si preferisce, visto il minor prezzo del Ti rispetto all’oro, optare per soluzioni in titanio. Figura 4.10 : pilastro dritto (a sinistra) e angolato (a destra) in Ti grado 3 per protesi fissa cementata (Lifecore®). Overdenture L’overdenture è composta da impianto, pilastro e femmina ritentiva e permette di realizzare protesi totalmente mobili. Figura 4.11 : diagramma di assemblaggio di overdenture (Lifecore®). Vediamo i componenti realizzati in Ti: Figura 4.12 : pilastro O-ring per overdenture (Lifecore®). Scheletrati Gli scheletrati sono delle soluzioni che permettono di montare i denti su un subborto resinoso nel quale è stato inglobato un arco di titanio puro , oro o lega Cr-Co che andrà ancorato in maniera mobile (clips o ganci) o fissa alla bocca. Tale arco di titanio è impropriamente detto scheletrato (anche se la parola si riferisce in realtà a tutta la soluzione ortodontia). Lo scheletrato in titanio è realizzato attraverso fusione e colata in forni fusori tipo TITEC F205M e, se possibile, vengono realizzati con assenza di saldature. Figure 4.12 e 4.13 : visione frontale e laterale di scheletrato montato in titanio. L’utilizzo di un unico metallo (quale il titanio) permette di eliminare il rischio di una corrosione di contatto galvanica nel cavo orale, solitamente data dalla presenza di diverse leghe. Soluzioni su impianti Per realizzare una struttura mobile, bloccata su impianti si ricorre ad una barra primaria lamellare fresata in titanio solidale alla mandibola e ad una barra secondaria incapsulata nella resina dell’arco dentario mobile. Figure 4.14 e 4.15 : barra lamellare primaria su impianti (a sinistra) e montaggio con barra secondaria (a destra). Queste due strutture (superiori ed inferiori) sono realizzate completamente in titanio puro (grado 3) ed oltre ai vantaggi di igiene-fonesi ed estetica sarà possibile non alterare nel tempo i parametri biologici. Strumenti ortodontici e chirurgi in titanio e nitruro di titanio Prevalentemente gli strumenti in titanio servono per trattare e montare impianti dentali. Faremo qui di seguito una carrellata da strumenti con la relativa descrizione. Figure 4.15 e 4.16 : chiavi in titanio (lega beta III) per impianti a testa esagonale interna di diverso diametro. Figura 4.17 : chiave in titanio (lega beta III) per osteotomo e maschiatore. Figura 4.18 : chiave in titanio (lega beta III) per viti di guarigione. Figura 4.19 : chiave al titanio (lega beta III) a leva angolata per impianti. Figura 4.20 : chiave in titanio (lega beta III) a leva angolata per osteotomo. Figura 4.21 : chiave in titanio (lega beta III) per moncone conico. Figura 4.22 : punte da trapano ortodontico in nitruro di titanio per impianti cilindrici (Dentsply®). Capitolo 5 ADESIONE TRA TITANIO E CERAMICA. Le leghe in titanio e le ceramiche utilizzate per applicazioni ortodontiche, devono presentare caratteristiche chimico-fisiche indispensabili per poter raggiungere soddisfacenti valori delle forze di legame. Tra le caratteristiche più importanti bisogna prestare particolare attenzione all’intervallo di fusione e al coefficiente di dilatazione termica dei due materiali . La caratteristica più importante riguarda l’intervallo i fusione dei due componenti. Il titanio reagisce con l’ambiente quando le temperature sono maggiori di 800°C, infatti il Ti a 889°C cambia il suo stato cristallino da esagonale compatto hcp (fase alfa), nella fase cubica a corpo centrato bcc (fase beta), con seguenti variazioni volumetriche che influenzerebbero l’interfaccia titanio-porcellana durante la sinterizzazione. La maggior parte delle ceramiche convenzionali viene cotta a temperature comprese tra 9001100°C, quindi non possono essere utilizzate col titanio. Per ovviare a questi gravi inconvenienti si adottano dei particolari tipi di ceramiche, appositamente elaborate per l’unione col Ti (come le ceramiche vetrose idrotermiche). Esse hanno particolarità di avere una struttura costituitala una fase complementare vetrosa, senza la presenza di fasi cristalline. Grazie alla loro natura esse presentano temperature di transizione vetrosa di 450°C e temperature di cottura di 600-1000°C, notevolmente più basse rispetto alle ceramiche tradizionali come ad esempio quelle feldspatiche. Un’altra caratteristica fondamentale del titanio e delle ceramiche per CERMET (per manufatti metallo-ceramici), a cui bisogna prestare particolare attenzione, è il coefficiente di dilatazione termica (c.d.t.) di ciascuno. E’ necessario infatti che quello del titanio sia leggermente superiore a quello delle masse ceramiche. In questo modo, durante i raffreddamenti successivi alle fasi di sinterizzazione degli strati ceramici, questi vengono compressi dalla lega che si contrae maggiormente. Lo stato di compressione della ceramica è fondamentale poiché essa, come tutte le sostanze vetrose resiste bene agli sforzi di compressione, ma è estremamente instabile e si frattura se sottoposta a sforzi di trazione. Il coefficiente di dilatazione termica del titanio è 8.4x10-6 °C-1, e quello delle sue leghe si discosta di poco (per la Ti6Al4V vale 8.5x10-6 °C-1). Il c.d.t. della porcellana dipende principalmente dal suo contenuto di ossidi alcalini come quelli di potassio e di sodio. In ogni modo è stato dimostrato che il c.d.t. cambia se si procede da 1 o 5 cotture successive, infatti il suo incremento viene attribuito alla formazione di cristalli di leucite, da cui è ipotizzato che la diminuzione delle forze di legame è in parte causata dalla continua ossidazione del titanio durante le cotture. Quindi le ripetute cotture della porcellana teoricamente inducono a una disuguaglianza della compatibilità termica nelle combinazioni metallo-ceramica e una conseguente diminuzione delle forze di legame. Ad ogni modo un coefficiente di espansione termica della porcellana leggermente più basso rispetto a quello del titanio, è considerato benefico per il legame dei due, è stato stabilito che la differenza accettabile tra i coefficienti di espansione termica c.d.t. dei due materiali deve essere 0.5x10-6 °C-1. I possibili abbinamenti tra i coefficienti di dilatazione termica di titanio e ceramica, possono essere riassunti in tre casi illustrati in Tabella 5.1 : nel caso A, i c.d.t. di Ti e ceramica sono uguali. Il caso B si verifica quando il c.d.t. della ceramica è maggiore dei quello della lega. Dopo il trattamento di sinterizzazione della ceramica questa si contrae maggiormente, al raffreddamento caso B a destra). Se lo strato metallico è di spessore consistente, la ceramica viene trattenuta da questo e si frattura con crepe perpendicolari alla superficie metallica, poiché è sollecitata a trazione (caso B a sinistra). Nel caso C il c.d.t. della ceramica è inferiore a quello del Ti; è in tale situazione che ci si trova sotto sollecitazione di compressione e, se è leggermente superiore a quello medio delle masse ceramiche subisce un rafforzamento senza frantumarsi. Se la differenza dei coefficienti è eccessiva, la ceramica può fratturarsi per eccesso di compressione (caso C a sinistra), con distacco di scaglie parallele alla matrice metallica. Sempre in questo caso, se il substrato metallico non ha spessore consistente, la ceramica non si frattura ma il sistema si deforma (caso C a destra). Tabella 5.1 : vari casi di accoppiamento Ti-ceramica in base ai c.d.t. Analizzando a questo punto in modo più approfondito il legame che si instaura tra titanio-ceramica, esso si considera formato da due componenti principali: • il legame meccanico; • il legame chimico; Per quanto riguarda il legame meccanico, in genere, prima dell'applicazione della ceramica, la superficie metallica viene sottoposta ad una sabbiatura con polvere di allumina. Tale operazione elimina le sostanze contaminanti e produce una superficie molto irregolare dal punto di vista microscopico, con conseguente aumento della superficie totale disponibile per l'unione con la ceramica. Quando la ceramica viene cotta sulla superficie del titanio, essa si comporta come un liquido viscoso che bagna tale superficie e penetra nelle piccole irregolarità presenti in essa. Con il successivo raffreddamento ed irrigidimento della ceramica si crea quindi un'interazione meccanica tra i due materiali, con la formazione di un legame meccanico tra di essi. Nella maggioranza dei casi si ritiene che il principale meccanismo di unione tra titanio e ceramica sia di natura chimica. Infatti, il titanio, ossidandosi sulla superficie in modo spontaneo, forma una pellicola di ossidi. Dalla letteratura si evince che, tramite tale pellicola, si potrebbe instaurare un legame chimico tra i due materiali. E' opportuno osservare che la natura del legame chimico che si instaura tra il titanio e la ceramica e' ancora oggetto di studio. Si ritiene, comunque, che gli ossidi superficiali si dissolvano nella ceramica e che quest'ultima entri in contatto atomico con la superficie del titanio. Durante la cottura della ceramica, inoltre lungo l'interfaccia si verifica una diffusione di componenti della ceramica nello strato superficiale del titanio e viceversa. Tale diffusione riguarda comunque uno spessore di soli pochi micrometri. Tutto ciò comporterebbe la formazione di legami chimici primari tra i due materiali, grazie alla formazione di ponti di ossigeno tra gli atomi dei metalli ossidabili del titanio e della ceramica. Inoltre contribuirebbero all' unione tra i due materiali anche legami chimici secondari. Si ricorda, in ogni caso, che per la formazione di una soddisfacente aderenza tra i due materiali e' necessario che la superficie del titanio sia esente il più possibile da residue di sostanze contaminanti e che durante la cottura la fase vetrosa della ceramica la bagni intimamente e penetri in tutte le sue irregolarità. Se ciò non si verifica in materia soddisfacente, lungo l'interfaccia tra la ceramica e il titanio possono formarsi numerose porosità che riducono l'adesione tra i due materiali. Si ricorda, in particolare, che i residui di sostanze organiche presenti sulle superfici del titanio, possono generare la formazione d prodotti gassosi durante la cottura della ceramica, con la conseguente formazione di numerose piccole porosità tra i due materiali; questo può favorire la formazione di incrinature che collegano le porosità suddette e che si estendono nella ceramica. Per questi motivi e' opportuno preparare con la massima cura le superfici destinate a ricevere la ceramica, impiegando i metodi e gli strumenti più idonei. Il legame chimico tra titanio e ceramica concorre con quello di compressione della ceramica, causato dalle leggere differenze dei coefficienti di dilatazione lineare, e quello meccanico dovuto alla lavorazione ruvida della superficie del titanio, a rendere stabile l'intero sistema metallo-ceramica. Dalle osservazioni precedenti risulta evidente che, dopo un'accurata scelta e preparazione dei materiali per caratterizzare il legame titanio-ceramica, bisogna investigare all'interfaccia tra i due. Di seguito si illustreranno i risultati recentemente ottenuti dall’equipe di ricerca del prof. B.Brevaglieri (“La Sapienza” di Roma) raggruppando gli obbiettivi nei seguenti punti: 1. Descrivere la morfologia e le microstrutture interfacciali dopo l'applicazione della porcellana su provini in titanio, che hanno subito diversi tipi di trattamenti superficiali. 2. Analizzare la composizione lungo l'interfaccia metallo-ceramica tramite analisi degli spettri radiografici a dispersione di energia. 3. Valutazione dell'aderenza secondo il metodo proposto dalla prova di aderenza dettato dalla norma ISO 9693. Per la realizzazione della fase sperimentale, e' stato scelto del titanio commercialmente puro di grado 2. La procedura di fusione del titanio puro e' stata eseguita con una fonditrice ad arco voltaico sotto protezione di gas argon del tipo Orotig 201 F; prima di passare alla fusione vera e propria e' stato realizzato un cilindro con rivestimento a legante ceramico per evitare l'eccessiva formazione di alpha-case (pelle da fusione). Le temperature raggiunte dal forno sono state rispettivamente di: • • T° del forno di preriscaldamento: da 0°C a 870°C con velocità di salita di 5°C/min; T° finale di fusione: 450°C; La fusione e' stata realizzata sotto un'atmosfera controllata di gas argon. A fusione terminata il cilindro e' stato raffreddato velocemente, quindi e' stato effettuato un peanning del manufatto con palline di plastica/vetro per togliere eventuali rivestimenti. In questo modo sono stati realizzati nove provini uguali di dimensioni 54x13x1,5 mm. I provini sono stati denominati in maniera diversa, poiché hanno subito procedure diverse per quanto riguarda la preparazione superficiale: • • • Provini tipo A: il primo gruppo di provini, denominati A1, A2, A3 non hanno subito alcun trattamento superficiale. Come si e' appena visto, essi provengono da fusione e poiché il titanio ad elevata temperatura aumenta la sua reattività con l'ossigeno e il rivestimento, e' ricoperto dal noto alpha-case. Si e' voluto quindi mantenere per questi primi tre provini, l'alpha case originario da fusione. Provini tipo B: i provini B1, B2, B3, hanno subito un'asportazione dell'alpha-case mediante un trattamento superficiale con frese al nitruro di zirconio e preparazione della superficie con sabbiatura di biossido di alluminio a 250 micron. Provini tipo C: i provini C1, C2, C3, provenienti anch'essi da fusione sono stati inizialmente trattati con frese al nitruro di zirconio, quindi sabbiati con biossido di alluminio a 250 micron e subito sottoposti ad una ossidazione sotto vuoto da 500°C a 800°C. Su tutti i 9 provini e' stato poi applicato il rivestimento ceramico. Su i provini A e B e' applicato un rivestimento di ceramica di Tipo 1, mentre sui provini di tipo C e' stata applicata ceramica di Tipo 2 la cui composizione e' illustrata nella Tabella 5.2. ceramica Tipo 1 SiO2 Al2O3 K2O Na2O BaO CaO TiO2 ZrO2 SnO2 Altri 53.1% 14.9% 8% 6% 5.8% ceramica Tipo 2 49.4% 3.2% 14.2% 3.3% 6% 9.2% Ceramica utilizzata per provini A-B 20.2% 4% Ceramica utilizzata per provini C Tabella 5.2 : composizione delle ceramiche utilizzate. Dopo la cottura degli strati di ceramica, tutti i provini sono stati sezionati con una sega diamantata raffreddata ad acqua, asportando una parte del provino lunga 4 mm (ossia di dimensioni 54x13x1,5 mm). Tali sezioni dei provini sono state quindi inglobate in resina autopolimerizzante per l'analisi al microscopio elettronico. Dopo la completa polimerizzazione della resina, gli assemblati sono stati poi puliti agli ultrasuoni per 10 minuti e quindi lucidati mediante carte abrasive al SiC 240, 320, 400, 600. La pulitura finale dei campioni e' stata effettuata su piatti rotanti con pasta pulente di ossido di alluminio da 1 micron e da 0,3 micron. I campioni sezionati sono stati quindi rivestiti con un sottilissimo strato di carbonio a conduzione elettrica per l'esame SEM. I provini ridotti a dimensioni pari a 50x13x1,5 mm dall'asportazione dei provini destinati all'analisi al SEM, sono stati sottoposti alla prova di adesione. Per lo sviluppo della prova di adesione si e' fatto riferimento alla norma UNI-EN-ISO 9693, tale normativa specifica i requisiti e i metodi di prova per i prodotti metallo-ceramica utilizzati nelle restaurazioni dentali. Dopo aver applicato la ceramica sui provini, questi sono stati piegati a 90 gradi, appoggiandoli con la loro parte centrale su un cilindro di 10 mm di diametro, in modo che la ceramica si trovi sul lato opposto rispetto a quello che entra in contatto con il cilindro, la ceramica, cioè si trova sul lato sottoposto a trazione. Le piastrine sono state quindi raddrizzate e, dopo aver allontanato le parti in ceramica staccatesi ma ancora aderenti, si è passati al SEM per analizzare le aree dalle quali la ceramica si è staccata valutando la percentuale di superficie sulla quale la ceramica è trattenuta in superficie. Provini del tipo A : in Figura 5.1 e' rappresentata un'immagine monocromatica ingrandita (x200) al SEM dell'interfaccia titanio-ceramica, prima della prova di adesione. La parte scura a sinistra rappresenta la ceramica Tipo 1, la parte chiara a destra la matrice di titanio. In Figura 5.2 è mostrata una micrografia della superficie della matrice di titanio dopo la prova di adesione. Risultano evidenti le cricche trasversali derivanti dalla piegatura; le aree di colore scuro rappresentano la ceramica trattenuta sulla superficie del titanio (area chiara). Figure 5.1 e 5.2 : Interfaccia Ti-ceramica prima della prova di adesione (a sinistra) e dopo la prova (destra). Figura 5.3 : analisi chimica della superficie Ti-ceramica per provini di tipo A. Provini del tipo B : in Figura 5.4 è illustrata la micrografia della superficie di titanio del provino B, dopo la piegatura. Risultati evidenti le cricche trasversali derivanti dalla piegatura stessa. L'area chiara rappresenta la matrice di titanio, vi sono rare tracce di ceramica (isole scure). Si è avuta anche in questo caso, una completa eliminazione della ceramica dal titanio per cui la superficie si presenta piana e priva di irregolarità. In Figura 5.6 è rappresentato lo spettro di emissione degli elementi contenuti sulla superficie del titanio, dopo la prova di aderenza. E' presente solo il picco del titanio, silicio e alluminio in quantità modeste, non vi e' alcuna traccia di ossigeno. Figure 5.4 e 5.5 : micrografia della superficie del Ti dopo la prova (sinistra) e superficie della ceramica corrispondente (destra). In Figura 5.5 è illustrata una micrografia della superficie di ceramica distaccatasi dalla matrice di titanio dopo la piegatura. Anche qui la ceramica si è delaminata, portando con sé lo strato di titanio superficiale (aree più chiare). Figura 5.6 : analisi chimica superficiale del Ti – provini B. In Figura 5.7 e' rappresentato lo spettro di emissione degli elementi contenuti sulla superficie della ceramica. oltre al silicio, si nota una grande quantità di titanio, di ossigeno e anche di elementi quale l'alluminio, il potassio e il calcio. Figura 5.7 : analisi chimica della superficie della ceramica delaminata - provini tipo B. Provini del tipo C: in Figura 5.8 è illustrata una micrografia della sezione perpendicolare del provino tipo C. Si nota all'interfaccia con il titanio, uno strato sottile e continuo di colore più chiaro, dello spessore di 6-7 micron circa, che si adatta alla superficie del titanio ricalcandone le irregolarità. Nella Figura 5.9 è rappresentata la matrice del titanio dopo la prova di adesione. In questo caso sulla superficie di titanio è stata trattenuta una grande quantità di ceramica, che occupa circa il 60% della superficie coinvolta nella piegatura. Figure 5.8 e 5.9 : interfaccia Ti-ceramica (sinistra) e superficie del Ti dopo delaminazione della ceramica (destra) – provini tipo C. La Tabella 5.3 riassume le varie tipologie di frattura verificatesi per ogni gruppo di provini, lo stato superficiale della matrice di titanio e soprattutto la percentuale di ceramica trattenuta in superficie, che e' indicativa del legame instauratosi all'interfaccia. Inoltre illustra la composizione della ceramica rimasta, dopo la prova di adesione, sull'interfaccia del titanio e illustrata la composizione dell'interfaccia della ceramica staccatasi dal provino. Tabella 5.3 : schema riassuntivo. Si e' visto in questo studio che, con le procedure di fusione attualmente praticate, si forma sulla superficie del titanio, una scoria superficiale di ossido di titanio di spessore variabile. Al di sotto della scoria di ossido, inoltre, esiste una regione in cui e' presente ossigeno in soluzione solida, Ti(0), immediatamente sopra lo strato superficiale del titanio puro. Dopo l'applicazione della ceramica, risulta evidente che qualsiasi tipo di ossido, sia quello formato dalla grande stabilità termodinamica del titanio (provini tipo A), sia quello proveniente solo dalla soluzione solida nel caso in cui la scoria di ossido sia stata asportata (provini tipo B), sia quello in cui si forma un ossido sottile (provini tipo C), reagisce con la ceramica diffondendosi nella stessa durante il trattamento termico di cottura. In questi casi, dopo la prova di aderenza, il distacco tra i due materiali è avvenuto principalmente all'interfaccia titanio/ossido di titanio, generando una frattura di tipo adesivo, che ha comportato fenomeni di delaminazione per i provini del tipo B. Il distacco dei provini di tipo A è stato causato da una frattura di tipo misto, ma ha dato comunque un legame insoddisfacente. Per ottenere un legame tra i due materiali e' necessario che reazioni leganti avvengano all'interfaccia titanio/ceramica. La stabilità termodinamica dell'ossido di titanio è maggiore di quella dei vari ossidi di cui la ceramica è costituita; è quindi importante anche analizzare la stabilità degli ossidi che costituiscono la ceramica per favorire lo scambio chimico tra ceramica e ossido di titanio. Un trattamento di sabbiatura seguito da un'ossidazione sottovuoto, così come effettuato nella nostra metodologia (provini tipo C), fa sì che il titanio, a cottura completata, formi il suo strato di ossido interagendo con gli ossidi della ceramica stessa contenenti Sn formando quindi una reazione legante all'interfaccia. L'aderenza in questo caso è maggiore del 50%, come richiesto dalle normative; particolarmente importante è che la ceramica descritta nella Tabella 5.3 e usata per il provino C ha un alto contenuto di Sn che avendo una minore affinità per l'ossigeno del titanio favorisce la reazione all'interfaccia. La stessa aderenza non si ha con il provino di tipo B in quanto, non eseguendo una preossidazione e non essendo la ceramica composta da ossidi termodinamicamente poco stabili, non è favorita la reazione all'interfaccia. Conclusione: il legame titanio/porcellana dipende dal tipo di reazioni che si svolgono all'interfaccia. La formazione di un film d'ossido, di tipo termodinamico sulla superficie del titanio, porta, dopo la prova di adesione, un'elevata delaminazione della porcellana. Solo la formazione di una sottile pellicola di ossidi sulla superficie del titanio abbinata ad una composizione della ceramica con ossidi poco stabili porta ad una unione chimica tra titanio e ceramica con forte aderenza 60% come illustrato in Tabella 5.3. E' da considerare inoltre che gli ossidi superficiali si dissolvono nella ceramica e viceversa in contatto con la superficie del titanio. Capitolo 6 LAVORAZIONI ORTODONTICHE DEL TITANIO. Fusione Dal 1990 esistono in commercio macchine per la fusione del titanio senza che la sua struttura cristallina possa essere alterata. Ciò nonostante i rivestimenti idonei a ricevere una fusione così pura senza alterarla entrano in scena due anni più tardi circa. Figura 6.1 : apparato per la fusione del titanio Orotig 200F. Da questo momento non è difficile notare che il titanio trova un sempre più ampio uso nelle protesi odontoiatriche. Questo è dovuto soprattutto alle sue caratteristiche vantaggiose per le ricostruzioni odontoiatriche quali: la biocompatibilità, la resistenza alla corrosione, la bassa conduttività termica e il basso peso specifico del materiale. Specialmente nel campo dell'implantologia il titanio trova un uso sempre più frequente per le strutture su impianti. Dall'evoluzione del precedente modello a doppia camera (vedi Figura 6.1) dove la fusione e colata avvenivano in camere separate, è nata l'ultima innovazione nella fusione e colata del Titanio. Il sistema monocamera (brevetto Orotig) permette di ottimizzare le caratteristiche della pressofusione nella colata del titanio.Questa nuova configurazione monocamera, permette di fondere il Titanio, sul crogiolo di rame, vicinissimo al cono di alimentazione del cilindro di colata così da avere un tempo di trasferimento più breve del Titanio fuso dal crogiolo al modellato, mantenendone la massa più calda e compatta e con tempi di riempimento del modellato molto più rapidi. Queste caratteristiche portano ad una riproduzione estremamente fedele dei margini delle modellazioni e l'utilizzo di tecniche più semplici da parte dell'operatore. La stessa configurazione monocamera permette di fondere il Cromo-Cobalto con la sola sostituzione del crogiolo. Vantaggi principali: • • • • • • • • • Il titanio fuso è vicinissimo al cono di alimentazione del cilindro di colata ; Il trasferimento del titanio fuso dal crogiolo al cilindro di colata, risulta molto breve e la massa di titanio rimane molto compatta ; Il titanio perde meno calore e viene quindi iniettato nel cilindro ad una temperatura più elevata ; Doppia valvola di sovra-pressione per una iniettata del titanio pressoché istantanea ; Riproduzione estremamente fedele dei margini delle modellazioni ; Semplicità nelle operazioni di caricamento e posizionamento del cilindro di colata nella fonditrice ; Doppio controllo del vuoto tramite dispositivo analogico, per basso livello di vuoto, e sonda Pirani per verifica dell'alto vuoto ; Sistema di fusione completamente automatico ; Tecnica di laboratorio semplificata; Figura 6.2 : principio di funzionamento della Titec F205M. Figura 6.3 : fonditrice per titanio e cromo-cobalto Titec F205M. Altri sistemi di fusione: Figura 6.4 : sistema Ti-CAST utilizzato prevalentemente per la produzione di protesi. La saldatura La saldatura laser rappresenta oggi la soluzione più veritiera e futurista nell' assolvimento delle metodiche e delle normative che riguardano l'unione e l'assemblaggio di componenti protesiche dentali. Saldare con il laser diventa così non solo un sistema avanzato, ma si trasforma in una filosofia di lavoro che mira alla totale biocompatibilità, tanto quanto alla ergonomizzazione dell'operatività e della gestione dell'impresa. La migliore integrazione nel laboratorio è rappresentata soprattutto dalla facilità d'installazione e di utilizzo. Tutto ciò nel totale rispetto dell'operatore, dei materiali, dell'ambiente e della professionalità. L'impiego della tecnologia LASER in odontoiatria, pur essendo di recente introduzione, sta portando ad ottimi risultati. L'applicazione del LASER, alla moderna odontotecnica, è una scelta d' avanguardia sia sotto il punto di vista tecnico che sotto il profilo dell'immagine commerciale. La tecnologia LASER consente infatti di produrre manufatti prostesici aventi composizione omogenea, evitando problemi causati dalla presenza di metalli a diverso potenziale elettrico nello stesso manufatto. La nuova saldatrice LASER TITEC 2000 nasce dalla grande esperienza TITEC by OROTIG® nel campo della saldatura laser con cristallo Nd:YAG, le dimensioni contenute e la struttura ridotta (75 kg) le consentono di adattarsi ad ogni ambiente di lavoro favorendo la posizione ottimale per qualsiasi operatore. Può memorizzare 9 programmi di lavoro per le 9 forme d'onda impostate, di 5 di queste sono impostabili dall'utente tramite un PC ed un apposito software. L'impostazione dei parametri di saldatura può essere effettuata tramite tastiera esterna o mediante Joystick interno alla camera di saldatura. La saldatrice è dotata di stereo-microsopio di alta qualità ottica a zoom fisso. Il campo di saldatura godo di ampia protezione tramite un ugello snodabile che eroga gas inerte. Un sistema integrato provvede all' estrazione dei fumi. A tutela della sicurezza dell' operatore, la saldatrice LASER TITEC 2000 è costruita nel rispetto della normativa Europea riguardante le apparecchiature LASER ed è provvista di marcatura CE. Figura 6.5 : saldatrice universale al laser Titec 2000. La saldatrice LASER TITEC 2000, oltre a permettere la saldatura di piccolissimi particolari, permette di modulare l' erogazione di potenza (PULSE SHAPING) tramite programmi impostati che regolano le diverse intensità di energia LASER utilizzabili a seconda dei tipi di lega da saldare. Il generatore Chopper PWM, controllato da microprocessore, permette di modulare l'impulso di energia LASER. È possibile infatti selezionare ben 9 forme d'onda di erogazione di energia LASER, così da ottimizzare i procedimenti di saldatura a seconda delle caratteristiche metallurgiche delle parti da unire: • Normal position Figura 6.6 : grafico Energia vs Durata dell’impulso. È la normale tipologia di erogazione costante di energia LASER. Il grafico mostra un esempio di impulso della durata 7mS per un picco di energia impostato (E-set).È indicato per intervenire su metalli puri come il Titanio. • Pulse position Figura 6.7 : grafico Energia vs Durata dell’impulso. L' erogazione di energia avviene con una pulsazione LASER creata da cicli uguali di energia e di pausa. Nel grafico tali cicli durano di esempio abbiamo imposta un energia (E-set) e 3mS di tempo. Questo programma è utile ad aumentare la profondità di fusione dello spot di saldatura. • Position Slope + Figura 6.8 : grafico Energia vs Durata dell’impulso. È un programma che prevede una rampa di salita dell' erogazione di energia. Come si vede dal grafico, durante il primo periodo (1ms) l' energia erogata è pari al 25% della potenza impostata (Eset); durante il secondo periodo sale al 50% di E-set; e solamente durante i rimanenti 3ms l' energia erogata è pari ad E-set. Questa impostazione è indicata per leghe preziose a media/alta caratura e per materiali riflettenti. • Position Slope – Figura 6.9 : grafico Energia vs Durata dell’impulso. Contrariamente al precedente, questo programma prevede una rampa di discesa dell' energia erogata. Con questa impostazione si ha un decremento graduale dell' energia LASER alla fine dell' impulso. Le proporzioni sono le stesse con le quali nella posizione Slope + l' energia viene incrementata. L' utilizzo di questo programma è indicato per cromo cobalto, leghe palladiate, palladio argento e tutti quei materiali suscettibili di cricche causate da surriscaldamento delle parti. • Position Bridge Figura 6.10 : grafico Energia vs Durata dell’impulso. Questa impostazione è la combinazione dei due programmi di erogazione di energia LASER precedenti Slope + e Slope -. E’ indicato per leghe dentali ibride. Con la saldatrice LASER TITEC 2000 è possibile definire 4 forme di pulsazione personalizzate tramite un PC ed un software apposito. Caratteristiche generali: • • • • • • • Dimensioni ridotte della struttura per l'utilizzo su tavolo di lavoro standard. (A richiesta è disponibile il supporto dedicato a completamento della postazione di lavoro) ; Protezione del campo di saldatura mediante ugello snodabile di erogazione gas inerte; Illuminazione della camera di saldatura ottimizzata tramite lampada dicroica a riscaldamento ridotto; Sistema integrato di estrazioni dei fumi; Sistema di raffreddamento a circuito chiuso integrato. (A richiesta circuito ausiliario per cicli di lavoro gravosi); Posizione di lavoro ergonomica e facilmente adatta a qualsiasi esigenza; Impostazione dei parametri di saldatura con tastiera esterna oppure attraverso Joystick posto all' interno della camera di saldatura; Caratteristiche funzionali: • • Erogazione di energia LASER controllata elettronicamente tramite microprocessore; Cinque programmi fissi di erogazione dell' energia LASER (PULSE SHAPING) più 4 impostabili dall' utente tramite kit aggiuntivo; Caratteristiche di sicurezza: • • • Camera di saldatura di dimensioni ottimali, con finestra di ispezione schermata e con passaggi per le mani ampi, confortevoli e sicuri; Otturatore ausiliario di protezione durante le fasi di manuntenzione della camera di saldatura; Sistema per l'estrazione dei fumi dalla camera di saldatura; • • • Installazione dell' apparecchiatura facile ed immediata; Omologazione di sicurezza Classe 1; Conformità a tutti gli standard vigenti in materia di compatibilità elettromagnetica, bassa tensione e sicurezza delle apparecchiature; Tabella 6.1 : dati tecnici relativi alla saldatrice laser Titec 2000. Altri sistemi di saldatura: Figura 6.11 : saldatrice autogena riducente al plasma – gas Argon + Argon/Idrogeno. Figura 6.12 : saldatrice autogena ad arco voltaico riducente – gas Argon. Elettroerosione Il fresaggio dell’apparecchio in titanio prodotto ha la funzione di eliminare le eventuali forze (quelle verticali verso il basso, le trasversali e le orizzontali ) che nascono nel caso eventuale esistessero delle imprecisioni di montaggio o di sagomatura dell’eventuale protesi o scheletrato. Il frenaggio si esegue principalmente per elettroerosione del metallo. L'elettroerosione è in uso da quasi 50 anni nell'industria degli utensili e degli stampi. L'idea dell'elettroerosione venne, da parte dell'uomo, dall'osservazione del fulmine: una forma naturale di elettroerosione. Alla fine del 1700 Sir Joseph Priestij studiò il fenomeno della scarica elettrica e il suo effetto erosivo sui conduttori metallici. Poco dopo la II Guerra Mondiale, i fratelli russi Lazarenko annunciarono la loro prima macchina ad erosione elettronica. I progressi tecnologici che si sono avuti tra gli anni 1950 e gli anni 1970 hanno fatto sì che l'elettroerosione divenisse un'importante processo di fabbricazione per l'industria. Particolarmente importante è stata l'invenzione del transistor, perché i comandi a stato solido hanno aumentato la velocità e l'affidabilità dell'apparecchiatura. L'applicazione della tecnologia dei computer durante gli anni '70, ha fornito maggiore accuratezza al processo ed ha reso possibile lo sviluppo di macchine per elettroerosione più sofisticate. L'elettroerosione può essere definita un processo di rimozione del metallo che, attraverso un elettrodo di polo opposto, attiva delle scintille attraverso un campo magnetico. Tutta questa lavorazione è eseguita in mezzo liquido fluido in condizioni accuratamente controllate: il mezzo fluido, solitamente un olio fluido, viene chiamato olio dielettrico. Esso funge da isolante, conduttore e refrigerante e sciacqua via le particelle di metallo asportate dalle scintille. Figura 6.13 : apparecchiatura per condurre l’elettroerosione. RINGRAZIAMENTI Si ringrazia il prof. Stefano Gialanella per la disponibilità ed il materiale fornito. In particolare si ringrazia la Dott. Laura Nicolini (studio dentistico) per l’interesse mostrato a riguardo, per la documentazione ed i cataloghi forniti e per l’impianto al titanio messo a disposizione per approfondite ispezioni. Impianto cilindrico ricoperto in HA della CALCITEX® da 10 mm messo gentilmente a disposizione dallo studio dentistico della Dott. Laura Nicolini – nelle immagini si vede il packaging dell’impianto , il supporto per l’inserimento nell’osso e l’impianto da solo. Nicolini Dr. Laura Medico chirurgo odontoiatra Studio Dentistico Via Lungo Leno Sinistro n°24 Rovereto Tel. 0464 437017 [email protected] BIBLIOGRAFIA GENERALE. Testi consultati: • • Robert Reed Hill – Reza Abbaschian , “Physical Metallurgy Principles” , PWS Publishing Company , 3rd Edition ,1994. M.Quaranta – L.Malchiodi , “Implantologia orale” , ed. Martina BO, 1995. Articoli consultati. • • • • • • • • • • • • • • • • B. Brevaglieri – A. De Biase – R. Fusco , “Verifica dell’adesione titanio-ceramica” , Odontotecnica Aurelia , 2000. G. Currò - F.P. De Luca , “L’impiego delle leghe al titanio in ortodonzia” , Mondo Ortodontico , 1/89. Charles J. Burstone – A. Jon Goldberg , “Beta titanium: A new orthodontic alloy”, American Journal of Orthodontics , vol. 77 n° 2 , febbraio 1980. R. Buzzanca , “ Considerazioni merceologiche sui fili ortodontici” , Stomat. Medit. , anno V n°3 , 1985. Padmaraj V. Angolkar et al. , “Evaluation of friction between ceramic brackets and orthodontic wires of four alloys”, American Journal of Orthodontics and Dentofac. Orthop. , december 1990. R.P.Kursy – A.R. Greenberg , “Comparison of the elastic properties of Ni-Ti and beta titanium arch wires” , American Journal of Orthodontics , sept. 1982. Paul J. Bania , “Beta Titanium Alloys and Their Role in the Titanium Industry” , JOM , july 1994. R.W.Schutz , “Enviromental Behavior of Beta Titanium Alloys“ , JOM , july 1994. S.Kaciulis et al. , “Analisi superficiale di rivestimenti biocompatibili di idrossiapatite su titanio “ , Dipartimento di chimica, Università di Parma. “Il dentista moderno” , anno XIX , n°2 , febbraio 2001, UTET; “Implantologia orale” , anno 4 , n° 1 , 2001 , UTET; “Soluzioni proteiche LIFECORE” , Lifecore Biomedical; “LIFECORE dental implant restorative product” , catalogo prodotti Lifecore bio.; “Single stage implant system” , Lifecore biomedical; “Precision External Hex implant systems” , catalogo chirurgico, Lifecore bio.; “Corrosione elettrochimica di metalli e leghe dentali in saliva artificiale” – ing. Paolo Battaini, RIS. Siti internet: • • • • • • • • www.aurodental.it www.odontotecnicaaurelia.it www.orotig.atfreeweb.com http://web.genie.it/utenti/f/firenn http://influent.ewave.co.il/Content/languages/sleep_italian.asp www.tisystem.com/web_it www.libra-ortho.it www.laprotesi.it