Ancora Insieme - Edizioni Helicon

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Ancora Insieme - Edizioni Helicon
Vittorio Casali
ANCORA INSIEME
Prefazione di
Neuro Bonifazi
Edizioni Helicon
A mamma e papà
per averci insegnato
ad amare e rispettare
il nostro prossimo.
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ragazza molto carina, sorridente, affabile e, soprattutto, – racconta l’autore – con meno esigenze rispetto alla precedente
mia fidanzata. Che piacere uscire con lei e starle accanto!”.
Da questo semplice spunto parte tutta una specie di trattato
sull’amore, di cui si trattano tutte le possibilità, tutte le qualità, positive e negative, l’amore che dà la felicità o l’infelicità,
e quant’altro, perché quello che interessa l’autore è sostenere una sua tesi, ossia l’idea che l’amore non deve e non può
essere “saltuario, incostante, richiesto e cercato solo quando
l’altro lo desidera. L’amore c’è o non c’é. Non si può provare
questo sentimento in modo incoerente”!.
Da questa decisa affermazione, che non ammette altre
possibilità all’amore, se non quella di concludersi nel matrimonio, derivano pagine e pagine sulle varie forme e aspetti dell’amore, con citazioni addirittura da Dante, ma sempre
dentro l’ambito teorico generale del libro e della sua particolare visione della vita, e soprattutto al di dentro di una unica
tonalità espressiva, strutturata e alimentata continuamente
da una concezione ottimistica, e sostenuta da una scrittura di
facili definizioni narrative e descrittive.
Su questa base fondatamente affettuosa di piacevoli vicende, e nella direzione di un generale benessere, si conclude il
lungo itinerario di felicità di questo gruppo di amici, di cui l’autore sa raccontarci, con la bravura di un sofisticato scrittore,
e senza annoiarci, la vicende esistenziali e professionali come
avvenimenti straordinariamente belli e degni di essere ricordati e imitati. Eventi non finti, da lui esposti accuratamente e
in bella forma in un “romanzo”, che termina nel segno di un
mondo futuro ideale e forse utopistico o solo di fantasia: un
mondo che – secondo la sua prospettiva – “dovrebbe essere come una grande famiglia unita, dove regnano l’amore, la
comprensione, l’amicizia, e dove tutti si interessano ed hanno
a cuore la felicità, la vita e il futuro degli altri”!
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ANCORA INSIEME
Jean e Susan tornano dal viaggio di nozze
Anche se il tempo passa velocemente senza fermarsi e
gran parte delle cose cambiano, questo non vale per i
sentimenti di affetto e di amicizia nei quali alcune persone credono fermamente e conservano per tutta la vita.
Così il sentimento di amicizia che si era instaurato fra noi
giovani studenti continuava ad essere vivo e sebbene
non fosse facile incontrarsi frequentemente, come negli
anni della nostra spensierata gioventù, non potevamo e
non volevamo dimenticare i giorni felici trascorsi insieme,
giorni che sembrava non dovessero mai finire.
Non potevano il tempo, la lontananza, il lavoro cancellare
anni colmi di gioia, di solidarietà, di fiduciosa speranza.
Non dovevano diventare cari ricordi che pian piano avrebbero perso colore.
Bastava una buona e valida occasione per farci ritrovare
insieme, occasione che anche questa volta non tardò ad
arrivare.
Jean e Susan, infatti, appena tornati dal viaggio di nozze
ci invitarono una sera a casa loro per trascorrere alcune
ore in compagnia.
Che bello! Potevamo rivederci ed abbracciarci.
Dopo una serie di telefonate, pieni di felicità, li abbiamo
raggiunti nel loro magnifico attico ai Parioli.
Felicità, quale grande valore e importanza le attribuiamo
e quanto ci prodighiamo per cercarla e raggiungerla ogni
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giorno!
A volte, la felicità è un dono inatteso, imprevisto che ci
viene dato dagli altri, da persone verso le quali nutriamo
una vera amicizia, un buon rapporto di parentela, altre
volte, invece, da momenti che ci fanno rivivere luoghi,
profumi, scenari d’altri tempi a noi particolarmente cari.
Quale emozione vedere i due sposi nella loro casa!
Susan e Jean adesso costituivano una nuova famiglia piena d’amore e di stima reciproca.
Forse gli esempi negativi, i matrimoni non riusciti dei loro
genitori, li avevano spinti ancor più ad amarsi, a costruire
un legame stabile e duraturo nel tempo fondato sulla responsabilità, sulla serietà e sull’amore.
Non volevano sperimentare e vivere quella brutta esperienza della separazione coniugale delle loro famiglie.
Ogni volta che Susan e Jean venivano nelle nostre case a
studiare rimanevano meravigliati per l’atmosfera di unione e di affetto che si respirava.
Sebbene i genitori di Jean si fossero rappacificati in occasione del matrimonio del figlio, questo non era avvenuto
per quelli di Susan.
Questi giovani, soprattutto Jean, avevano trascorso una
gioventù difficile, inquieta non per problemi economici
bensì familiari.
Al tempo del liceo l’assenza del padre, Henry, aveva provocato in Jean uno scarso interesse per lo studio e per
tutto ciò che lo circondava.
Susan e sua madre Mary, da parte loro, in modo affabile e
persuasivo erano riuscite a farlo reagire, a fargli apprezzare e credere in quello che la vita offre di bello.
L’aver conosciuto poi un gruppo di studenti italiani, con i
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quali entrambi avevano avuto la fortuna di stringere una
sincera amicizia e di trovare l’affetto e la comprensione di
cui avevano particolarmente bisogno, aveva indotto sia
Jean che Susan a riconsiderare i loro pensieri e a vedere il
futuro con occhi più sereni, pieni di fiducia e di speranza.
Il contesto familiare, il tipo di educazione ricevuta, le
amicizie, i ricordi di quando eravamo bambini influiscono
moltissimo a forgiare il carattere e lo sviluppo mentale di
ciascun individuo.
Essi costituiscono tanti piccoli mattoni che , sovrapponendosi l’uno sull’altro, formeranno il nostro io, i nostri
tratti morali e comportamentali, quello che un giorno diventeremo.
La coerenza tra i continui insegnamenti dei genitori ed il
comportamento onesto del loro agire genera, la maggior
parte delle volte, ottimi risultati.
Nella loro casa ad aspettarci c’erano la madre di Jean, Catherine, e quella di Susan, Mary.
Quando la porta si è aperta abbiamo avvertito un’immensa contentezza.
“Ben tornati a Roma. Come è andato il viaggio?”, esclamammo insieme.
Non era presente tutto il gruppo di amici ma, in molti, non
avevamo voluto rinunciare a quel tanto atteso ritorno.
Gli occhi degli sposi erano luminosi, pieni di amore.
“È un piacere rivedervi. Ci siete mancati!”, dissero commossi.
“Il piacere è il nostro”, rispondemmo noi.
Ci stringevamo e guardavamo con vero affetto come buoni amici.
La nostra amicizia non si era affievolita dopo il matrimo17
nio, al contrario, stava diventando ogni giorno più forte e
più consolidata.
Le loro madri, ugualmente, provarono una grande gioia
nel vederci ancora insieme come avveniva ormai da molti
anni, dal tempo degli studi liceali.
Il ritrovarci ogni volta costituiva per ognuno un momento
di felicità.
Quando si ha un lungo rapporto di amicizia, conoscendosi bene, non occorre dissertare su temi, argomenti più
o meno interessanti ed impegnativi, non c’è bisogno di
una buona presentazione per farsi apprezzare, bastano
una stretta di mano ed uno sguardo amico per capire che
quello è il luogo dove volevi trovarti.
Ci sentivamo fortunati per aver creato, nel tempo, un
gruppo di veri amici.
Il più delle volte questo non avviene.
Quale profondo rammarico si prova quando alcuni ”cosiddetti” amici con il loro comportamento, il modo di agire
sbagliato tradiscono l’amicizia.
Tuttavia, se questo capita, non bisogna perdere la fiducia,
ma continuare a credere in essa.
In vero, il comportamento deludente , superficiale di una
persona amica infligge una ferita così profonda che raramente trova una ragione e una spiegazione che possa
riscattarla.
Noi credevamo fermamente nell’amicizia, forse perché
giovani o forse perché avevamo sia una certa empatia, lo
stesso modo di pensare, che una profonda stima e rispetto gli uni verso gli altri.
La nostra era un’amicizia sincera e disinteressata.
Il piacere di incontrarsi, di aiutarsi reciprocamente, di
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scambiare pensieri, sentimenti, emozioni ci rendeva più
forti e più coraggiosi di fronte alle difficoltà della vita.
Rivedere Susan e Jean, nella loro bella casa raggianti per
aver realizzato un matrimonio felice dopo anni alquanto
tristi, rappresentava per noi una immensurabile soddisfazione che ci riempiva di contentezza.
Il desiderio di essere d’aiuto agli altri, a volte, sembra
inesauribile poiché ogni volta che si compie una buona
azione si avverte un piacere così forte che induce a farne
un’altra e poi un’altra ancora.
Questo sostegno fatto con la mente, e soprattutto con il
cuore, riesce a sovrastare ogni fatica fisica, ogni ostacolo
apparentemente insuperabile.
Non si può restare indifferenti di fronte alle necessità, alle
richieste di chi ha bisogno di aiuto.
E quale soddisfazione proviamo quando raggiungiamo lo
scopo prefissato, quando ci accorgiamo che il nostro interessamento non è stato vano, ma utile come era avvenuto con Jean e Susan.
Nella vita, certamente, non mancano situazioni e momenti difficili che dobbiamo superare con determinazione e dignità.
Non dobbiamo lasciare che il tempo scorra con indifferenza, senza aver tentato di fare tutto ciò che è possibile,
senza saper apprezzare ed assaporare le infinite gioie e le
buone occasioni che essa ogni giorno ci dona.
L’origine del senso morale, oltre che dalla famiglia, dalla scuola e dagli insegnamenti religiosi, è pur sempre un
atto individuale, una scelta personale.
L’amicizia, come l’amore, costituiscono una fonte, una miniera inesauribile da cui attingere.
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Noi ci reputavamo privilegiati perché avevamo imparato
ad apprezzarli, considerarli e a donarli.
Jean e Susan, dopo averci fatto accomodare nel salotto, ci
offrirono una coppa di champagne con appetitose tartine
preparate dalle loro madri.
Dopo aver alzati i bicchieri in alto insieme abbiamo brindato al loro ritorno.
“Ancora tanta felicità a Susan e Jean”, augurammo loro
ad alta voce.
Al momento del brindisi suonò il campanello della porta.
Erano lo zio William, fratello di Mary, e sua moglie Ingrid
che venivano a festeggiarli.
Tutti e due furono lieti di rivederci e, dopo aver abbracciato gli sposi con grande affetto, si avvicinarono a noi per
salutarci.
“Che piacere incontrarvi in questa casa!”, dissero contenti.
William ed Ingrid formavano una giovane e simpatica
coppia che avevamo conosciuto nella stupenda e panoramica casa che possedevano a Positano.
Ricordammo con piacere le tranquille ore trascorse a parlare e ad ammirare la suggestiva veduta dalla loro variopinta, ariosa e fresca terrazza affacciata sul mare e l’ottima ospitalità ricevuta.
Sia William che Ingrid lavoravano come giornalisti all’Ansa dove lei, di origine svedese, aveva conosciuto il futuro
marito.
Si volevano bene, amavano lo sport ed erano pieni di vitalità.
Avevano tre allegri e simpatici bambini cresciuti nella più
grande semplicità.
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Li avevamo veduti giocare felici e spensierati a Positano il
giorno che restammo a pranzo su quella incantevole terrazza.
In verità, non avremmo voluto fermarci a pranzo per non
disturbare ma, al pensiero che Ingrid ed William si sarebbero dispiaciuti e dopo le continue sollecitazioni di Susan
a restare, accettammo il loro invito.
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Viaggio in Oriente
Susan e Jean, trascorsa una mezz’ora dal nostro arrivo,
ci invitarono a vedere alcune diapositive del loro lungo
viaggio in Oriente. “Vedrete quanto sono interessanti!”,
dissero pieni di entusiasmo e felici di illustrarcele.
Le prime immagini proiettate sono state quelle stupende
di Hong Kong, l’importante isola ceduta dalla Cina alla corona inglese come Colonia nel 1842; a questa si aggiunsero nel 1898, ugualmente in affitto per 99 anni, la penisola
di Kowloon, le isole vicine e i Nuovi Territori.
Lo scorrere lento delle diapositive mostrava la bellezza di
quella magnifica ed animata baia, una delle più spettacolari del mondo, dove si muoveva un gran numero di giunche e di imbarcazioni commerciali.
Alcune grosse giunche particolarmente decorate e piene
di colori e di luci, ad Aberdeen, avevano la funzione di
tipici ristoranti galleggianti sul mare.
La baia, ampia e pittoresca, si affaccia sul Mare Cinese
Meridionale.
A Victoria, la capitale, si vedevano favolosi alberghi, eleganti grattacieli e fornitissimi negozi che esponevano
merci di ottimo gusto con tante, tante insegne luminose.
Una veduta notturna dall’alto della collina di Hong Kong,
il “Victoria Peak”, regalava un suggestivo e affascinante
panorama dell’intera baia che appariva punteggiata di infinite, scintillanti luci.
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Un’altra inaspettata scoperta è stata la visione dell’ ”Ocean Park”, il più divertente e grande parco acquatico in
Asia, immerso in un rigoglioso giardino dove era situato
un caratteristico terminal del cable car.
Dopo Hong Kong è stata la volta delle immagini dell’isola – Stato di Singapore, situata all’estremità meridionale
della penisola malese.
L’isola, ceduta dal sultano dello Johore nel 1819 a sir
Stamford Raffles per la Compagnia inglese delle Indie
Orientali, diventata porto franco si è affermata negli anni
come un indipendente e ricco Stato.
Ricchezza proveniente dall’intenso commercio e dall’incessante movimento di scambi dovuto alla sua posizione
strategica su cui convergono tutte le rotte navali, sia quelle provenienti da Oriente che quelle da Occidente.
Anche le diapositive di questa isola, con gli avveniristici
grattacieli situati a poca distanza dalle inconfondibili, antiche costruzioni locali a forma di pagoda, avevano suscitato in noi grande curiosità.
Susan e Jean avevano scelto di visitare l’Oriente per il loro
viaggio di nozze perché lui, da ragazzino, aveva vissuto per
circa due anni a Bangkok, in Thailandia, città nella quale al
padre era stato affidato un alto incarico diplomatico.
Con questo viaggio voleva rivedere determinati luoghi
dell’infanzia che gli erano rimasti particolarmente impressi nella mente come l’ambasciata francese, alcuni famosi templi, le tipiche vie gremite di gente e i curatissimi
giardini della città dove giocava.
Il viaggio a Bangkok lo faceva tornare indietro nel tempo
quando i suoi genitori non si erano ancora separati e la
vita scorreva felicemente.
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A Susan, come architetto, invece, interessava ammirare
da vicino le interessanti, moderne costruzioni, che stavano purtroppo cambiando il volto della città di Singapore,
concentrate prevalentemente su spaziose e affollatissime
arterie viarie come Orchard road.
Jean, fra le altre cose, era interessato ai nuovi e sofisticati prodotti tecnologici facilmente reperibili in quel luogo
come pure ad Hong Kong.
Il contrasto fra le artistiche e antiche case della Chinatown, che si affacciavano a filo d’acqua sul Singapore river, e le maestose, svettanti costruzioni avevano anch’esse colpito la nostra attenzione.
“Non sono straordinarie queste immagini?”, esclamò
Jean. “Vedrete quanto sono meravigliose anche le altre”,
disse mentre pieno di fervore continuava a mostrarcele.
Un’altra indimenticabile immagine è stata quella del famoso e mitico “Raffles Hotel”.
Questo esotico Hotel, con la parte più antica costruita
in stile coloniale, prende il nome dal suo fondatore sir
Stamford Raffles e può vantare una lunga ed interessante
storia piena di aneddoti.
Numerosi ospiti illustri hanno soggiornato in questo fiabesco Hotel, circondato da una vegetazione esuberante
con caratteristiche palme a ventaglio, come Robert Kennedy, Elisabeth Taylor, Ava Gardner, Somerset Maugham,
Rudyard Kipling l’autore, fra l’altro, di “Kim” e “Il libro della giungla”.
Ed ecco, subito dopo, altre visioni piene di fascino questa volta di Bangkok, “la città degli angeli”, capitale della
Thailandia dal 1768 costruita sulle rive del grande fiume
Menam.
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Tra le tante rappresentazioni ci aveva particolarmente
stupito l’incantevole “Città Reale” che, delimitata da una
cerchia di mura con inconsuete e fantastiche costruzioni
situate nel suo interno in stile autenticamente siamese,
sembrava uscita da un libro di fiabe.
Templi dorati, imponenti e colorate statue giganti, bellissimi giardini, importanti ministeri, musei, il Palazzo Reale
e la Cappella Reale con il tempio del Budda di smeraldo,
davano al luogo un aspetto fiabesco, unico, quasi irreale.
Al di fuori delle mura camminavano, gli uni accanto agli
altri, numerosi bonzi, monaci buddisti, che si distinguevano fra gli altri per le loro vesti arancioni e la testa completamente rasata.
Un tempio di grande suggestione è stato quello di Vat
Arun o tempio dell’Aurora, come pure la grande pagoda
di Nakorn Pathom.
I caratteristici e numerosi canali, lungo i quali sorgevano tantissime abitazioni costruite su palafitte e dove si
svolgeva un intenso e variopinto mercato fluviale galleggiante pervaso da un aromatico profumo di spezie, non ci
avevano lasciati indifferenti.
“Complimenti! Sono piene di fascino e molto interessanti”, esclamammo insieme.
Oltre la “Città Reale” e i numerosi templi a Jean, prima di
lasciare Bangkok, interessava rivedere l’ambasciata francese.
Pieni di curiosità, Jean e Susan decisero di recarsi in quel
posto.
Una volta raggiunto, dopo essersi presentati ad un addetto all’ingresso, chiesero a quel dipendente se la signorina
Colette Renart lavorasse ancora lì.
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“Vi riferite alla signora Colette Renart, la segretaria
dell’ambasciatore?”, disse un po’ perplesso.
“Si lei”, rispose contento Jean, pensando che nel frattempo si fosse giustamente sposata.
E aggiunse: “Possiamo salutarla?”. “Certamente”, replicò
l’addetto.
Fatta una telefonata alla segretaria per avvisarla della visita, Jean e Susan entrarono all’interno dell’ambasciata
dove lei stava ad aspettarli.
Questa bella donna, ormai cinquantenne, era stata la segretaria di Henry, il padre di Jean, per due anni.
Appena la vide Jean non trovò grandi difficoltà a riconoscerla sebbene fossero passati più di vent’anni.
Non era affatto ingrassata e i lineamenti del viso non erano significativamente mutati.
“Buongiorno Colette. Sono Jean il figlio dell’ambasciatore
Henry Perrault. Si ricorda di me?”, chiese incuriosito.
“Tu sei, lei è il piccolo Jean?”, esclamò sorpresa la segretaria non sapendo se dargli del tu per affetto o del lei perché ormai grande.
“Si sono io”, affermò Jean.
“È un immenso piacere rivederla; da un ragazzino è diventato un distinto uomo; ma i suoi occhi buoni ed intelligenti
di allora non sono affatto cambiati”, continuò meravigliata.
“Come stanno i suoi genitori e chi è questa bella ragazza?”, domandò a Jean.
“I miei genitori stanno bene e lei è mia moglie”, rispose
lui.
Colette rimase per un attimo stupita e non preparata a
quella visita inattesa.
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L’aver riveduto Jean dopo tanti anni grande e sposato l’aveva visibilmente commossa.
“Mi avete fatto un magnifico regalo a venire a trovarmi”,
riprese a dire.
“Jean vuoi, mi scusi, vuole rivedere alcune stanze dell’ambasciata dove da piccolo correva e giuocava?”, gli chiese
con affetto.
“Volentieri, se continua però a darmi del tu come faceva
ai vecchi tempi”, rispose lui.
Visitate quelle stanze piene di felici ricordi, dopo aver
abbracciato Colette ed averla ringraziata per l’ospitalità
ricevuta, uscirono dall’ambasciata mentre la segretaria li
salutava dicendo: “Tanti cari saluti a suo padre e a sua
madre. Tornate presto a trovarmi!”.
Jean non aveva sbagliato a superare la soglia di quell’ambasciata dopo tanti anni.
Aveva riveduto alcuni ambienti dove era vissuto felice accanto ai suoi genitori ed aveva avuto la piacevole sorpresa di incontrare quell’affettuosa segretaria che si ricordava ancora bene di lui.
Una gradita sorpresa, invece per me, è stata quella di
vedere fra le molteplici diapositive l’immagine della Madonna del Perpetuo Soccorso.
Questa stessa effige è situata in una edicola sacra di fronte a casa mia in via Merulana e al centro dell’altare principale della chiesa di Sant’Alfonso de’ Liguori, anch’essa
distante solo pochi metri dalla nostra abitazione.
Sull’altare maggiore di questa chiesa si può ammirare
l’antica ed originale icona della Madonna, che risale probabilmente al XIV secolo, portata da un mercante dall’isola di Creta.
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Se in Thailandia si professa la religione buddista è presente, sebbene poco diffusa, anche quella cattolica introdotta dal 1500 dagli europei attraverso la predicazione dei
gesuiti.
Mentre stavano facendo una visita ad una chiesa cattolica Susan e Jean avevano riconosciuto l’immagine della
Madonna del Perpetuo Soccorso che avevano veduto più
volte venendo a trovarci e, alquanto meravigliati, avevano deciso di fotografarla per poi mostrarcela.
Nel vederla ho provato un profondo senso di gratitudine
nei loro confronti considerando che mentre la scattavano
stavano di certo pensando alla casa di un loro amico di
Roma.
“Non era anche questo un segno di vera amicizia?”, pensai pieno di riconoscenza.
Jean era emozionato nel mostrarci le diapositive di Bangkok perché il suo pensiero tornava a quel breve, ma felice periodo vissuto in quella splendida città.
Altre meravigliose diapositive erano state effettuate
sull’isola di Phuket dove si erano fermati alcuni giorni per
riposarsi.
Cottage e bungalow immersi nel verde di una fitta vegetazione tropicale che arrivava a lambire una lunga striscia
di sabbia bianca della spiaggia color borotalco, un mare
di un azzurro intenso solcato da vele colorate, concludevano le straordinarie immagini del loro viaggio in Oriente.
Trascorsa circa un’ora da quelle proiezioni gli sposi hanno
voluto donarci un pensiero che avevano acquistato durante il viaggio.
“Questo è un piccolo regalo per voi”, dissero con un bel
sorriso.
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L’atmosfera di amicizia e di serenità che si respirava era la
stessa di sempre, nulla era cambiato.
A salutare i novelli sposi c’erano Paolo, il compagno di
banco del liceo di Jean che si era laureato in giurisprudenza con la fidanzata Daniela, io, che mi ero iscritto a
radiologia in compagnia di una nuova ragazza Anna Maria, Anna e Fabrizio che avevano scelto di fare ostetricia e
ginecologia e Massimo che era venuto da solo.
Massimo continuava ad essere follemente innamorato di
Aurora e non si interessava ad altre ragazze. Povero Massimo!
Noi ci sforzavamo di fargli capire che l’amore non può
esistere da una parte soltanto perché questo sentimento
deve essere condiviso e reciproco.
Aurora non provava un’attrazione particolare per Massimo; le piaceva uscire di tanto in tanto con lui per andare
ad una festa, a vedere un film o ad una mostra di quadri.
Laureatasi anche lei in medicina aveva scelto di specializzarsi in dermatologia.
Quell’amore burrascoso, non corrisposto, aveva reso
Massimo sempre più solitario e introverso tanto che solo
rare volte veniva con noi.
Aveva continuato a studiare per conto proprio e si era
laureato con un ottimo voto, sebbene la specializzazione
in medicina interna da lui scelta proseguisse molto, ma
molto lentamente.
Aurora, al contrario, usciva con diversi amici e non pensava più di tanto a Massimo.
A lei piaceva essere corteggiata, adulata e dopo qualche
mese di uscite con il nuovo amico di turno credeva che
fosse giunto il momento di cambiarlo.
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Quanti cambiamenti!
Massimo raccontò a Giovanni, un nostro bravo e studioso
collega, che a volte, di sera, si recava sotto l’abitazione di
Aurora per vedere con chi usciva.
Dentro la macchina, senza farsi scorgere, cercava di capire dal suo comportamento se fosse felice con quel ragazzo o se magari si sentisse stanca di quel tipo di vita e di
quelle stupide ed inutili infatuazioni amorose.
Dagli sguardi e dai suoi sorrisi smaglianti sembrava, tuttavia, che non le dispiacesse affatto uscire tutte le sere.
E a Massimo, demoralizzato e con gli occhi lucidi, non restava che tornare casa.
Grazie a Dio queste continue uscite per Fabrizio erano
terminate.
Da quando si era fidanzato con Anna non si interessava
più alle ragazze che gli giravano intorno.
Fabrizio, di bell’aspetto, con un importante patrimonio finanziario e sfreccianti macchine sportive certamente non
passava inosservato.
La sua bella e bionda Anna, con quei stupendi occhi azzurri pieni di amore per lui, era riuscita a “domarlo”.
Se ormai il suo cuore batteva soltanto per Anna, la passione per le macchine da corsa invece continuava.
Neppure il buon Giovanni era voluto mancare a quell’appuntamento a casa di Jean e Susan.
Giovanni, metodico e disciplinato, era stato il primo del
gruppo a laurearsi e frequentava con interesse e profitto
il corso di oculistica.
Anche questa volta avevamo trascorso una bella serata
in buona compagnia sebbene, con il tempo che passava,
lo studio ed il lavoro stessero diventando ogni giorno più
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impegnativi e le loro ore libere fossero sempre minori.
Credo che tutti noi ci siamo intesi immensamente felici
quando abbiamo incontrato nella loro casa quella coppia
di cari amici della nostra gioventù, amici che con volontà
e risolutezza stavano trovando un meritato spazio sia nella buona società che nel lavoro.
“Ancora tanti, tanti auguri ai novelli sposi e grazie per il
pensiero”, dicemmo loro mentre andavamo via.
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Le nostre famiglie – Gli amici –
Susan, laureatasi in architettura, dopo aver fatto pratica
presso lo studio di un famoso architetto, aveva deciso di
aprirne uno proprio al piano terra del palazzo dove abitava.
Si era liberato da poco un piccolo, ma soleggiato appartamento e Susan pensò bene di non lasciarselo sfuggire.
Capiva che ogni cosa sarebbe stata più facile da gestire
con uno studio così vicino.
Jean, conseguita la laurea in scienze politiche e superati
alcuni esami a Parigi per accedere alla carriera diplomatica, doveva continuare a Roma altri studi prima di ricevere
un incarico governativo.
Le loro madri avevano fatto un encomiabile lavoro; da
sole, senza mariti, erano riuscite a mandare avanti la famiglia senza incontrare difficoltà economiche.
La boutique di Catherine, nei pressi di piazza di Spagna,
continuava ad andare bene.
Con raffinato gusto e tanta tenacia era riuscita a crearsi
una scelta clientela e quindi disponeva di una certa quantità di denaro che permetteva a lei e a Jean di condurre
un buon tenore di vita, anche perché la casa ai Parioli era
di loro proprietà.
Dopo il matrimonio di Susan e Jean suo marito, Henry,
aveva pensato di ritornare a Parigi per circa due anni a sistemare e a concludere il suo lavoro con il Ministero degli
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Esteri francese e poi di trasferirsi definitivamente a Roma.
Aveva deciso di tornare insieme a Catherine e di vivere in
quella casa con Susan e Jean.
Il padre di Jean, sebbene fosse avanti negli anni, portava
benissimo l’età.
Nella sua lunga carriera diplomatica era stato ambasciatore in diversi Paesi del mondo riportando ogni volta lusinghieri successi al rientro in Francia.
Forse i lunghi viaggi ed il continuo lavoro avevano distolto
Henry dai compiti familiari.
Certamente la lontananza del padre non aveva influito
positivamente sull’adolescenza di Jean.
Catherine, riconciliatasi con Henry, andava a trovare suo
marito a Parigi almeno una volta al mese.
Mary, invece, continuava serenamente a lavorare alla
FAO.
Per lei non c’era possibilità di riconciliarsi con il marito
poiché questi si era formato una nuova famiglia.
Lui, uomo d’affari, aveva conosciuto una bella ragazza irlandese dalla quale aveva avuto due figli.
Mary, donna colta e decisa, lasciata Londra si era trasferita a Roma dove, trovato un buon impiego, si era messa
a lavorare con impegno per aiutare la sua amata Susan
senza pensare ad altro.
Suo fratello William non aveva mai smesso di interessarsi
di lei e le era stato vicino per ogni eventuale bisogno.
Nelle nostre famiglie, grazie a Dio, non c’erano stati casi
di separazione.
I nostri genitori, Milena ed Augusto, con l’aiuto del Signore, avevano cercato di lavorare con serietà tante ore al
giorno e con determinazione si erano adoperati a supe34
rare gli inevitabili ostacoli che nella vita, di tanto in tanto,
si incontrano.
Noi otto figli cercavamo di svolgere nel migliore dei modi
il nostro dovere sia per non dispiacerli che per ringraziarli
dell’impegnativo lavoro svolto per noi.
Mamma e papà ci avevano insegnato a vivere una vita
serena, semplice, senza chiedere più del necessario, di
quello che reputavano giusto, escludendo il superfluo, ciò
che ritenevano futile.
Ci avevano insegnato, prima di tutto, il rispetto e la considerazione per gli altri, insieme all’onestà, l’umanità e la
giustizia.
Per questo non avevamo trovato difficoltà a donare il nostro affetto e a mostrare comprensione sia con Jean che
con Susan.
Questi due giovani non avevano sperimentato la ricchezza e la forza che il legame con la propria famiglia può donare ai suoi componenti.
Loro non avevano avuto la fortuna di vivere in una famiglia nella quale esisteva piena armonia di sentimenti, di
interessi, dove il piacere di aiutare chi ne avesse avuto
bisogno era avvertito come una necessità a cui sembrava
disonesto ed impensabile sottrarsi.
Il bene degli altri, in verità, coincide con il nostro bene e
questo, quantunque giovani, lo avevamo già sperimentato.
I nostri genitori ci avevano educati a non essere persone
materialiste, a desiderare soltanto i beni ed i piaceri materiali, ma a superare il nostro egoismo e ad aver timor di
Dio.
Infatti, non si può vivere al mondo senza Dio perché ogni
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cosa non avrebbe più valore, più significato e si sgretolerebbe insieme alla società.
Lo stesso Kant affermava che senza un riferimento alla
trascendenza le leggi non hanno forza di obbligatorietà.
L’amore verso Dio, la famiglia, gli amici, la propria ragazza
costituiscono i sentimenti più importanti che una persona
possa nutrire.
Susan e Jean frequentando le nostre case avevano imparato e sperimentato con esempi concreti la fortuna di nascere in una famiglia unita.
Grande è il valore della famiglia.
La società, sosteneva il sociologo francese Le Play, è un
insieme di famiglie. Un mosaico di solidarietà collettiva
che riluce o si oscura secondo la stabilità o l’instabilità di
ciascun nucleo.
Purtroppo anche in altre famiglie di nostri amici non si
viveva una vita familiare felice, come accadeva in quella
di Aurora.
I suoi genitori vivevano una vita alquanto libera da legami
familiari.
Sia il padre, noto professore universitario di storia dell’arte, sia la madre, che viaggiava continuamente per il mondo, ignoravano di avere due figli, Aurora e Tommaso.
Questi genitori vivevano sotto lo stesso tetto come due
persone estranee e ciascuno conduceva la propria vita
senza avvertire nessun senso di responsabilità verso i figli.
“Quale colpa potevano avere questi giovani? Quale amore, quali sentimenti e quali carezze avranno mai ricevuto
da piccoli?”, ci chiedevamo.
Il padre e la madre li avevano messi al mondo senza troppo seguirli.
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Li avevano fatti crescere e studiare senza donargli le cose
più importanti, come l’affetto, l’amore e la sicurezza astenendosi dal fare i genitori.
Questi giovani dovevano organizzarsi la vita senza un
minimo aiuto, un riferimento, un opportuno conforto in
caso di necessità.
A questi genitori non interessava se i figli avessero preso
buoni voti o meno all’università o chi frequentassero; nè
pensavano quali interessi o pensieri avessero.
La loro vita non andava oltre i propri egoistici interessi, i
propri piaceri materiali.
Come poteva Aurora nutrire un sentimento forte e stabile
per Massimo se a lei non era stato mai donato un momento d’amore?
Come poteva credere nell’amore di quel ragazzo se nella sua famiglia non esisteva il sentimento di affetto e di
amore per gli altri?
Certamente Massimo non poteva ritenersi fortunato di
aver incontrato una ragazza che non conosceva questi
sentimenti o, quanto meno, che aveva paura di provarli.
Forse Aurora, in cuor suo, aveva timore di un amore impegnativo e duraturo perché non voleva provare ulteriori
delusioni affettive.
Suo fratello Tommaso, da parte sua, cercava con le proprie forze di trovare uno spazio nella società, proponendosi però con un fare spavaldo, irriverente e senza troppo
rispetto per il prossimo.
Lui, come suo padre e sua madre, pensava a se stesso e
cercava di vivere lontano da legami affettivi.
Non esisteva un vero dialogo, un buon rapporto neppure
tra fratelli.
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Tommaso si era laureato in economia e commercio e lavorava insieme ad altri colleghi in un ufficio.
Raramente usciva con noi e le poche volte che lo aveva
fatto, con il suo atteggiamento strafottente, non aveva suscitato alcuna simpatia.
Una macchina di grande cilindrata con la quale disputare
spericolate gare di corsa automobilistiche, una sigaretta
sempre accesa, il gioco delle carte, vestiti di alta sartoria,
costituivano i suoi soli pensieri.
Noi cercavamo di mostrarci gentili e comprensivi con lui,
ma ogni tentativo risultava del tutto vano.
Che tipo di vita avevano scelto di vivere in quella famiglia? Se quella si poteva definire famiglia!
Come potevano vivere insieme senza affetto, senza avere
un interesse comune?
“Poveri Aurora e Tommaso! Perché non avevano avuto la
fortuna di nascere in una normale famiglia, anche meno
benestante, ma con veri genitori?”, ci interrogavamo dispiaciuti.
Nelle nostre famiglie ci interessavamo l’uno dell’altro anche con troppa apprensione.
Partecipavamo ad ogni cosa, ad ogni avvenimento che
avveniva con la massima attenzione cercando di dare un
aiuto sia morale che fisico quando e se fosse stato necessario.
Non era questo un obbligo ma una ineluttabile necessità
innata, un impulso al quale era difficile sfuggire.
Jean e Susan, al contrario, non avevano avuto paura di
sperimentare l’amore e una volta trovato lo avevano fatto proprio, preso come un magnifico regalo da custodire
gelosamente.
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Il rispetto, l’affetto, l’amore sono indispensabili come il
pane e l’acqua per ciascuno di noi.
Non è umanamente possibile vivere senza questi sentimenti sia per chi non li conosce, sia per chi non li vuole
riconoscere, sperimentare.
Diceva papa Giovanni Paolo II: “L’uomo non può vivere
senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene
rivelato l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio,
se non vi partecipa vivamente”.
Affetto ed amore che non debbono essere relegati soltanto tra i membri di una stessa famiglia, ma dispensati al di
fuori di questa per il bene comune.
Così facendo ciascuno recherà vantaggio sia a se stesso,
per aver migliorato il proprio stato morale ed intellettivo,
che agli altri, sperando che una volta conosciuti li diffondano e li facciano germogliare e crescere sempre più.
Aurora, come il fratello, non voleva conoscere il vero
amore; a lei bastava uscire ora con uno ora con un altro
ragazzo senza provare sentimenti, soltanto per avere una
compagnia, per non sentirsi sola.
Fabrizio, invece, sebbene inizialmente fosse sembrato un
giovane frivolo e superficiale dedito ai piaceri, alle belle
macchine sportive, ai continui cambiamenti di stupende
ragazze, aveva imparato a credere nell’amore di Anna, a
crescere intellettualmente e a dare il giusto valore alle
persone e alle cose.
Quantunque provenisse da una famiglia agiata Fabrizio
aveva imparato, a sue spese, che nella vita solo chi si impegna con tutte le forze, con volontà e con il cuore può
raggiungere l’obiettivo prefissato.
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Niente viene dato o regalato per caso; ogni cosa ottenuta
è una conquista personale più o meno facile.
Studiando con noi il suo profitto era notevolmente migliorato.
Quale era il motivo se non quello di fare bella figura agli
esami con la sua amata Anna?
La serenità e la dolcezza di Anna risultavano contagiose.
Tutte le volte che eri accanto a lei ogni cosa diventava
più facile, anche quella più difficile; quei lunghi pomeriggi
trascorsi a studiare insieme sembravano meno pesanti e
quasi piacevoli.
Tra un intervallo e l’altro, mangiando un panino, parlavamo dei più svariati argomenti, delle nostre belle famiglie,
degli amici, di noi che dovevamo continuamente sostenere un nuovo ed impegnativo esame.
Non ci interessava. Eravamo insieme e quegli interminabili e complessi studi non ci spaventavano.
Studiando in buona compagnia tutto procedeva senza
difficoltà.
Anna apparteneva ad una distinta e signorile famiglia di
avvocati di Treviso.
Quando i genitori si trasferirono a Roma, nel rione Prati,
Anna aveva da poco terminato le medie.
Aveva altre due sorelle e due fratelli più grandi di lei.
I suoi stupendi occhi azzurri li aveva ereditati dalla madre
che, all’opposto di lei, aveva un carattere forte ed autoritario.
Anna non aveva voluto seguire la professione dei genitori
perché già da piccola si sentiva portata per la medicina.
Quando frequentavamo i primi anni d’università, lei era
senza dubbio una delle colleghe più simpatiche ed ele40
ganti del nostro gruppo.
“Come fai ad essere così elegante anche di prima mattina
come se dovessi andare ad un importante ricevimento?”,
le chiedevamo meravigliati.
Tutti l’ammiravamo per il modo affabile di dialogare e per
la sua bellezza.
Soltanto al terzo anno di medicina Fabrizio riuscì a conquistare il suo cuore e a condurre una vita meno sregolata diventando, nel tempo, più sobrio e più giudizioso.
Da grande rubacuori non vedeva ormai che la sua adorata
Anna.
Il loro era un rapporto bellissimo da prendere come
esempio.
Non c’è stata una sola volta che li avessimo sentiti pronunciare una parola poco affettuosa o poco gentile.
Tra loro si era stabilito grande rispetto, stima e, soprattutto, un intenso amore.
Noi li guardavamo pieni di ammirazione.
Tutte le volte che andavamo a studiare a casa di Anna venivamo accolti con simpatia dai suoi familiari, come pure
accadeva a casa di Jean.
“Se Fabrizio non avesse conosciuto Anna, ma una ragazza
frivola, povera di sentimenti, quale tipo di vita avrebbe
condotto?”, pensavamo perplessi.
Di certo non avrebbe studiato con metodo e superato
brillantemente gli esami, come pure non avrebbe smesso
di correre appresso alle gonne di altre ragazze.
Suo padre, professore universitario di ostetricia e ginecologia, e sua madre, intenta ai continui ricevimenti mondani, non sarebbero riusciti a far cambiare il modo di vivere
e di pensare del figlio.
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Fabrizio ed Anna erano felici del loro amore e della buona e sincera amicizia che si era venuta a stabilire con il
nostro gruppo di amici che diventava di giorno in giorno
sempre più grande ed affiatato.
Ambedue, come noi, erano persone sulle quali, se necessario, potevamo contare.
Il sentimento di amore e di amicizia
Chi prova il sentimento di amore e di amicizia riuscirà ad
avvertirlo per tutta la vita anche se si è lontani.
È questo un sentimento che non si impone, ma che nasce
spontaneamente.
Non va mai tradito, ma coltivato e tenuto nella massima
considerazione; sentimento che ci fa crescere, diventare
più maturi, meno egoisti e più disponibili verso le necessità altrui.
Lo stare con la persona amata, come pure con i veri amici,
aiuta a smussare gli spigoli del nostro carattere, del modo
di pensare; aiuta a vedere e a comprendere le cose con
altri occhi.
Anche se l’amore e l’amicizia talvolta deludono, non di
meno regalano momenti intensi e indelebili di grande felicità e di arricchimento.
Il desiderio di costruire buone relazioni con gli altri, assumersi responsabilità ed impegnarsi seriamente e stabilmente nel tempo ci rende automaticamente liberi.
Se già durante il liceo, pieni di ideali e di speranze, avvertivamo il desiderio e il piacere di aiutare il nostro prossimo, per quanto potevamo, terminata l’università questo
desiderio era diventato ancora più solido e più profondo.
Ci accorgevamo che ad ogni buona azione fatta, quasi
sempre, ricevevamo un sincero ringraziamento, una forte stretta di mano accompagnata da uno sguardo di viva
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riconoscenza.
Avendo scelto di fare medicina l’impegno di aiutare i
malati che avremmo incontrato quotidianamente nella
professione si sarebbe concretizzato in tante e continue
occasioni.
Essere un ottimo medico, ben preparato, senza però doti
di umanità e amore per il prossimo, non è sufficiente per
ottenere i risultati che si possono raggiungere con entrambi le condizioni.
Un vero medico deve essere una persona che sa valutare con attenzione, oltre le condizioni fisiche del paziente,
anche il suo disagio, la sua condizione psicologica, quella
di trovarsi in una inattesa situazione da lui non voluta.
Un medico senza una profonda etica non sarà mai un
buon medico.
A proposito di medicina, Aurora aveva deciso di proseguire la specializzazione a Milano e di frequentare il reparto
di dermatologia in un ospedale di quella città.
Aveva pensato che così facendo si sarebbe allontanata
dai genitori e avrebbe dimenticato gli amici e i colleghi
di Roma, soprattutto, le insistenti e pressanti avances di
Massimo.
E così Aurora, trascorso un certo tempo dal suo fermo
proposito, si trasferì, come stabilito, nel capoluogo lombardo.
A Milano aveva alcuni lontani parenti con i quali, tuttavia,
non desiderava instaurare alcun rapporto.
Passati alcuni mesi in quella città venimmo a sapere da
Tommaso, suo fratello, che Aurora usciva con un distinto
industriale, molto più grande di lei e sposato, che si era talmente innamorato da fargli decidere di lasciare la moglie.
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Certamente quella non fu una gradita notizia per noi!
Invero, speravamo che una volta giunta a Milano Aurora
avesse incontrato un valido e risoluto collega del nord che
fosse riuscito dove altri non avevano avuto fortuna.
Non andò affatto così.
Le uscite con l’industriale, il cui nome era Edoardo, diventavano ogni giorno più frequenti.
Questo signore, pian piano, la presentò ai suoi amici durante alcuni ricevimenti della Milano bene.
Per un periodo quella relazione sembrò proseguire senza
incontrare ostacoli.
Aurora, in poco tempo, aveva conosciuto numerose persone che l’ammiravano sia per la sua bellezza che per il
carattere intrepido e deciso.
La mattina si recava prima all’università e poi in ospedale;
il pomeriggio, invece, andava a passeggiare e a comprare
nelle eleganti vie del centro mentre la sera quasi sempre
a teatro, ad un concerto, oppure ad un ricevimento.
Edoardo, ogni giorno che passava, si mostrava più innamorato e non vedeva il momento di incontrarla per starle
accanto.
Quando sua moglie venne a conoscenza di questa infatuazione per Aurora rimase sbalordita perché questo fatto non era mai avvenuto in tanti anni di matrimonio.
“Che cosa fare?”, si sarà chiesta! “Affrontare la situazione
o far finta di non sapere?”.
Intanto Aurora aveva conosciuto un giovane e ricco avvocato amico di Edoardo che riuscì in poco tempo a risolvere questo dilemma.
Inizialmente, infatti, sbocciò tra loro una semplice simpatia che però, in breve, si trasformò in amore per cui Edo45
ardo era libero di tornare tranquillamente dalla moglie.
Da quando si era trasferita a Milano Aurora non aveva
contattato nessuno del nostro gruppo, neppure con una
telefonata.
A Tommaso, invece, adesso che Aurora era lontana, piaceva uscire con noi forse perché si sentiva completamente solo.
Una sera ci confidò che, considerata l’indifferenza dei genitori e la superficialità delle persone con le quali abitualmente usciva, con grande probabilità anche lui si sarebbe
trasferito a Milano.
“Quanti disagi e quanta sofferenza doveva avvertire quel
poveretto di Tommaso?”, pensavamo con rammarico.
Se non ci sentivamo con Aurora lo facevamo con gli altri
amici.
Jean aveva cominciato a frequentare il Ministero degli
Esteri mentre lo studio di architettura di Susan e dei suoi
colleghi stava acquistando, di giorno in giorno, più notorietà.
I loro progetti piacevano moltissimo e quindi il lavoro non
mancava.
Dal pantografo di Susan uscivano disegni talmente belli e
funzionali che le richieste dei clienti diventavano sempre
più numerose.
Fortunatamente lo studio di Susan, come ho detto, si trovava nello stesso stabile dove abitava e quindi ogni cosa
da svolgere risultava più facile.
Sua suocera Catherine, in quei giorni che era andata a
Parigi a trovare suo marito, aveva cercato di organizzare, d’accordo con lui e con tutta calma, l’affitto della bella
casa parigina a persone affidabili di loro conoscenza.
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Entrambi avevano pensato di non venderla, perché colma
di ricordi, ma di affittarla.
Soltanto alcuni antichi mobili e quadri, ai quali erano particolarmente affezionati, sarebbero stati traslocati nella
casa di Roma.
Ormai non mancavano moltissimi mesi perché il padre di
Jean si trasferisse definitivamente in Italia.
Jean non vedeva l’ora di abitare e vivere nuovamente anche con suo padre.
Dopo la riconciliazione dei suoi genitori l’affabilità e la
cordialità di Henry avevano fatto riaccendere in Jean il
desiderio di avere accanto a sé un padre, desiderio che
per molti anni era stato volutamente ignorato, nascosto.
Susan, da parte sua, era felicissima dell’arrivo di Henry.
Giovanni, il futuro oculista, studiava con serietà e lavorava diverse ore in ospedale per fare pratica.
Il primario del reparto, accortosi delle sue capacità, lo voleva frequentemente con lui in camera operatoria.
Con fare meticoloso e preciso era riuscito a conquistare la
stima di numerosi pazienti.
Il suo carattere determinato e il suo comportamento leale
lo avevano fatto diventare prima un buon medico ed ora
stava per diventarlo come oculista.
Giovanni continuava ad essere diligente e responsabile
proseguendo con lo stesso metodo di studio usato negli
anni di laurea.
Anna e Fabrizio, per il momento, studiavano e frequentavano il reparto di ostetricia e ginecologia nell’ospedale
dove lavorava in qualità di primario il padre di Fabrizio.
Ambedue non avevano dovuto aspettare troppo tempo
per entrare in quel reparto ma, subito dopo essersi iscritti
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alla specializzazione, avevano trovato facilmente un posto dove lavorare con passione.
Pensavano, giustamente, che solo dopo giorni e giorni di
corsia si sarebbero sentiti sicuri del loro operato e quindi, una volta specializzati, avrebbero potuto scegliere di
esercitare la professione anche al di fuori dell’ospedale.
In vero, una seria preparazione professionale non può realizzarsi in fretta.
Per ogni lavoro ben fatto occorrono tempo e metodo.
Soltanto allora si potrà operare con maggior competenza,
abilità, sicurezza e senza paura di sbagliare.
Anche a me, specializzando in radiologia, non restava altra opportunità che frequentare un buon reparto ospedaliero per acquisire una valida esperienza diretta e mettere
in pratica le tante nozioni apprese dai libri.
La conoscenza teorica è importante, ma la pratica è fondamentale.
“Dopo anni di studio avremmo potuto renderci utili e disponibili verso i ricoverati che ogni giorno ci saremmo trovati davanti”, questo era il nostro fermo pensiero.
La soddisfazione, il piacere di aiutare un malato, di riuscire prima a fare una buona diagnosi seguita da un’adeguata terapia, ci donava una contentezza, una gioia così
immensa che nessun bene materiale sembrava potesse
superarla.
Scienza e coscienza un binomio inscindibile senza il quale
nulla risulta ben fatto.
Oltre allo studio e al lavoro come tutti i giovani cercavamo, appena possibile, di divertirci, di uscire insieme, di
andare ad una divertente festa in casa di amici, ormai,
raramente al mitico “Piper”.
Anche una breve e semplice gita al mare o in montagna,
prevalentemente al Terminillo a sciare, per praticare un
po’ di sport all’aria aperta, per ossigenarci e per sentirci liberi dagli impegni odierni, ogni volta ci entusiasmava
moltissimo.
E anche se la gita durava un solo giorno cercavamo in
quelle ore di fare il maggior numero di piste possibile.
Che meraviglia sciare in piena tranquillità ammirando
quel suggestivo paesaggio imbiancato, quasi irreale che
appariva ai nostri occhi non troppo lontano da Roma!
Una accesa partita di calcio, una buona pizza, un cinema
costituivano le altre pause e gli svaghi che ci permettevamo negli anni di specializzazione per poi riprendere, subito dopo, i nostri compiti con più forza e vitalità.
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