Espresso - Sonzogno

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Espresso - Sonzogno
Culture Riabilitazioni
la guerra fu Elena, per noi fu una
lombata di manzo», e giù a raccontare una memorabile rissa a tavola tra
vegetariani e onnivori e tra pescetariani e vegani stretti, «il più violento scontro ideologico a cui fno a quel momento mi fosse capitato di assistere. Alla
fne la bufera si è placata, ma solo per
scatenarsi di nuovo poco dopo a proposito delle sigarette».
A proposito invece dello stigma carnivoro, Laferrière aggiunge: «Quando
baci una modella hai sempre paura che
ti divori la lingua. Perché non sai mai a
che grado di privazione sia arrivata né
soprattutto quali informazioni quel
pezzo di carne (ossia la tua lingua) trasmetterà al cervello di una donna che,
da quando era adolescente, non ha mai
mangiato a sazietà». Di questi tempi,
tuttavia, nemmeno all’adolescente si
concede più il piacere di sfondarsi di
junk food; lo ricorda tristemente Riccardo Ventrella nella sua “Fenomenologia della merendina” (Clichy).
Dalla Girella ai Bubble Gum, dal Ciocorì alle Cipster, dal Calippo al Mars,
dai Chupa Chups alle Rotelle di liquirizia: ormai le sublimi schifezze si trovano solo come antiche chincaglierie o
Diceva Serge
Gainsbourg:
«Se si vive
più a lungo
è perché
alcol e fumo
conservano
meglio
la carne»
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5 marzo 2017 L’Espresso
reperti archeologici sulle pagine di un
libro. «Le merendine sono assurte a
categoria della memoria emotiva degli
italiani... In parte, questo capitale si è
perduto» e riemerge solo «come fatto
memoriale, sensoriale»: oggigiorno il
cibo, specie quello spazzatura, si mangia spesso e volentieri soltanto con gli
occhi, magari attraverso una foto su
Instagram o un’inquadratura in un cooking show televisivo.
Insieme con le merendine, inoltre, è
tramontata anche la nobiltà poetica di
certi biscotti e brioscine, ad esempio i
«Bucaneve crepuscolari» o i «Buondì,
un modello inarrivabile di perfezione,
per purezza di linee quasi un prodotto
della mente del Bauhaus». Eppure, rammenta Ventrella, «merenda discende
direttamente dal latino mereo, del quale è gerundivo neutro plurale: merenda
son “cose da meritarsi”, e quale cosa è
più meritata di un pasto fuori dagli
orari del pasto, soprattutto in ere nelle
quali mangiare era tutt’altro che scontato?». Ecco appunto: ere fa, ere quasi
mitologiche, quando furoreggiavano
baccanali, saturnali e carnevali.
Ostinata, renitente icona dei bagordi
contemporanei, Gérard Depardieu è
stato spesso preso in giro per i suoi stravizi (Charlie Hebdo lo ha immortalato in
copertina, mentre cade ubriaco dallo
scooter), benché lui continui a professarsi “Innocente”, come il titolo del suo recente mémoire (Clichy). Lui - dice - non
è antisalutista, ha solo un «lato hooligan» molto sviluppato, che lo porta agli
«eccessi, anche nella fede, nell’amore»,
che lo porta a «strappare la vita». C’è
sicuramente qualcosa di vitale, ingenuo
e persino salutare nell’approccio dell’artista al mondo, un mondo che non riconosce più, «dove tutto deve essere pulito,
in questa cosiddetta pulizia nella quale
stiamo tutti crepando». Ben vengano
allora «il vino, i flm, la cucina, alla fne
tutto torna alla voglia di conoscere, di
dare e di condividere... È l’appetito di
vivere, è l’incontro». Poi con innocente
candore conclude: «Certo che mi capita
di sbronzarmi, poi passa, come la vita,
come gli stati d’animo... Essere dipendenti solo dall’alcol è di una tristezza
totale! C’è la droga, c’è il sesso, c’è il salame all’aglio, c’è lo stinco di maiale e c’è
Sant’Agostino!».
n
Fine
dieta
mai
di Angiola Codacci-Pisanelli
E
RA NELL’ARIA. Non si può
dire che la rivolta contro il
salutismo arrivi a sorpresa.
Alzi la mano chi non ha mai
sbuffato contro gli eccessi
della guerra a fumo, alcol e a tutti i vizi
uniti in un celebre aforisma: «Le cose
belle della vita o sono illegali, o sono
immorali, o fanno ingrassare».
Iniziamo dalla fne: dalle cose che
fanno ingrassare. Dolci e fritti, grassi
e insaccati: tutti piaceri vietati, fno
a qualche anno fa, a chi era a dieta.
Ma non a tutti gli altri, e non per sempre.
Bei tempi, quelli della “dieta bikini”,
della settimanella in bianco per
“rimettersi in forma”. Del “regime
a lieto fne”: un giorno il “peso forma”
sarebbe diventato realtà e le costrizioni
alimentari sarebbero fnite. E allora
addio Punti e Weight Watchers, metodo
Scarsdale e Atkins. E bentornati - anche
se con giudizio - maritozzi e supplì,
sacher torte e fchi secchi mandorlati.
È vero, la dieta non funzionava mai,
e appena fnita portava a recuperare
il peso perduto con gli interessi: lo
ammette già da qualche anno Marc
Mességué, guru del benessere
trapiantato in Umbria da un paesino
vicino a Lourdes. Però almeno l’illusione
c’era. E non era nemmeno tanto tempo
fa: la dieta Dukan, bestseller mondiale
lanciato dall’omonimo nutrizionista
francese nel non lontano 2010,
prometteva di insegnare come «perdere
in modo effcace e permanente il peso
in eccesso». Oggi la musica è
completamente cambiata. L’editoria
dietetica vive un boom del quale l’intera
industria della carta stampata le è
giustamente grata, ma il messaggio è
deprimente: la sentenza è “fne dieta mai”.
Unica consolazione per i cicciottelli:
la condanna riguarda tutti, non si salvano
più nemmeno i “normopeso”.
Tutta colpa della salute. L’obesità porta
con sé una pletora di disturbi e malattie: e
questo è sacrosanto. Ma è proprio qui che
si appoggia il primo puntello dell’ergastolo
dietetico. Perché se un tempo si fniva a
dieta per sconfggere o almeno per tenere
a bada disturbi di vario tipo, ora la dieta è
diventata preventiva. Se mangi come dico
io dimagrirai, dicevano i dietologi di ieri. Se
mangi come dice lo Ieo non ti ammalerai,
dicono quelli di oggi. Vedi “La dieta Smart
Food” (Rizzoli), manuale bestseller scritto
da Eliana Liotta insieme a un medico
e alla nutrizionista dell’Istituto europeo di
oncologia, Pier Giuseppe Pelicci e Lucilla
Titta. Il segreto del metodo, rilanciato da
Vera Paggi in “Smart Food = Smart Life”
(Skira), è imparare a conoscere i trenta
“super cibi” che si comportano come
farmaci, capaci di proteggere l’organismo
da varie patologie, a partire dal cancro:
aglio e radicchio, ciliegie e legumi, ma
anche il cioccolato (poco, però, e solo
fondente). Sembra facile, gli risponde
da Seattle Jo Robinson, attivista
dell’agricoltura bio e autrice di “Un piacere
selvaggio” (Einaudi/Stile Libero): selezioni,
modifche genetiche e interferenze varie
dell’industria agricola fanno sì che esistano
pomodori trenta volte meno ricchi di altri
di licopene, prezioso anticancerogeno. E
infatti far la spesa con giudizio, mangiare
poco, contare le calorie non basta: come
spiega “Eating planet”, manuale su “Cibo
e sostenibilità” curato dal Barilla Center for
Food and Nutrition (Edizioni Ambiente), chi
mangia male non ha sulla coscienza solo il
proprio peso e la propria salute, ma anche
“l’impronta inquinante” e il benessere
dell’intero pianeta Terra. Tra i collaboratori
del volume c’è anche Jamie Oliver,
il superchef inglese che non a caso ha
chiamato “Superfood” (Tea) il ricettario
della sua conversione salutista.
Il primo comandamento del gastronomo
ecologista ormai lo conosciamo tutti:
come ha spiegato Jeremy Rifkin nei suoi
saggi (“Ecocidio. Ascesa e caduta della
cultura della carne”, Mondadori) e sulle
pagine di questo giornale, «il bestiame
genera il 18 per cento dei gas serra» e
«oltre un terzo delle terre coltivabili
è sfruttato oggi per produrre cereali
per gli animali anziché per gli uomini».
La soluzione? Diventare vegetariani.
O meglio ancora vegani. La scelta di vita
che elimina per sempre non solo carne
e pesce ma anche tutto ciò che implica
sfruttamento degli animali (candele di
cera d’api, scarpe di pelle, creme per il
viso all’ostrica...) annovera sempre più vip
in cerca di proseliti. Ultimo in ordine di
tempo è Red Canzian, bassista dei Pooh,
che ha scritto con la fglia Chiara il
ricettario “Sano vegano italiano” (Rizzoli).
Peccato che malgrado gli sforzi del regista
Fausto Brizzi per sdrammatizzare la sua
vita matrimoniale (“Ho sposato una
vegana. Una storia vera, purtroppo”,
Einaudi/Stile Libero) e per quanto
Andy Luotto si ingegni di convincerci che
“Anche i vegani fanno la scarpetta”
(“Ricette e consigli per una cucina vegana
sana e golosa” scritti con Federico
Quaranta, edizioni RaiEri), l’immagine del
vegano e quella del penitente continuano
a essere unite nell’immaginario comune.
Del resto, come spiega argutamente
Marino Niola in “Homo dieteticus”
(il Mulino), non è solo una coincidenza
se «il verbo dietarsi ha una eloquente
assonanza con vietarsi».
Il “viaggio nelle tribù alimentari” di Niola
andrebbe davvero fatto leggere a scuola,
e non solo nelle classi femminili. Si
capirebbe forse che la strada giusta per il
rapporto con il cibo non passa dalla cucina
ma segue tutt’altri percorsi. Lo racconta in
“Ho mangiato abbastanza. Come perdere
60 chili con la meditazione (e altri segreti)”
(Sonzogno) Giorgio Serafni Prosperi,
scrittore, regista e “mindfulness counselor”
che dopo aver lottato per quarant’anni col
cibo arrivando a pesare 140 chili ha capito
che il segreto non era seguire questa o
quella dieta ma «cambiare il punto di vista
su di sé e sul mondo».
Qui però si tocca la nuova frontiera della
dietologia: che in cambio dell’obbedienza
promette la felicità. Seguendo le ricette
“hygge” degli omonimi manuali danesi
(ne sono usciti due: uno da Mondadori,
uno da Newton Compton), ingozzandosi
di frutta e verdura come raccomanda
l’Università di Otago (Nuova Zelanda),
facendosi modellare il cibo sul proprio Dna
dalla startup americana “A Lifestyle
Coach,” oppure ordinando cibo sano dalla
nostrana Diet-to-go, specializzata in piatti
mediterraneo-ipocalorici, vegetariani,
vegani e gluten-free. Che incubo: saremo
condannati non solo a essere per sempre
n
in forma, ma anche alla felicità.
Chi mangia male non ha
sulla coscienza solo il
proprio peso e la propria
salute ma il benessere
dell’intero pianeta Terra
L’Espresso 5 marzo 2017
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