sacro manto in onore a san giuseppe

Transcript

sacro manto in onore a san giuseppe
Nicola Cavedini
LUCIFERO
OVVERO
LA CADUTA
Tragedia in cinque atti
Poesiaclassica Edizioni
Al gloriosissimo Patriarca San Giuseppe
Terror daemonum
Avvertenza al lettore
La drammatica vicenda di Lucifero che, invaghitosi di se stesso, precipita dallo
splendore e dal gaudio del Paradiso nelle dolenti tenebre dell’Inferno rappresenta un
soggetto di estrema attualità.
Una società, infatti, come quella contemporanea, dove il senso del limite e del
peccato è sistematicamente violato e trascurato in onore di convinzioni ed ideologie
marcate da un evidente anti-cristianesimo, appare a chi scrive calzare perfettamente
con la parabola auto-distruttiva dell’angelo decaduto.
Dato questo assunto, l’autore, per segnare in modo inequivocabile la sua posizione
di netta avversione nei confronti della cultura rivoluzionaria odierna sorta dai falsi
principi illuministi, ha voluto impiegare gli strumenti formali della nostra tradizione
classica.
Di qui il riferimento alla tragedia classica, suddivisa in cinque atti, composta in
versi endecasillabi sciolti. Di qui l’evidente richiamo alla lingua sacra della nostra
poesia, così come si è venuta arricchendo nel corso di secoli gloriosi.
Si tratta - si licet parva componere magnis - di una vera e propria restaurazione
dell’ordine antico.
Verona, 11 novembre 2014
N.C.
PERSONAGGI DELLA TRAGEDIA
LUCIFERO, Serafino
MICHELE, Serafino
GABRIELE, Arcangelo, messaggero di Dio
RAFFAELE, Cherubino
ARIELE, Cherubino
ADAMO, primo uomo
EVA, prima donna
La scena si finge in Cielo e sulla terra all’inizio dei tempi.
Metro: endecasillabi sciolti.
ATTO I
Gabriele, messaggero e nunzio della SS. Trinità, comunica a Lucifero, primo Serafino
della corte celeste e al suo fido compagno ed amico, Michele, la volontà
dell’Altissimo: un giorno la Seconda Persona, il Figlio Eterno, la Sapienza Infinita,
verrà ad unirsi ed assumere l’umana natura. A tale straordinario annuncio, diversa è
la reazione dei due più sublimi angeli del Paradiso: Michele, infatti, accetta
ossequiente, mentre Lucifero, stimando che tal onore fosse riservato a sé, roso
dall’invidia, decide di rovesciare il trono celeste, ordendo una rivolta. Raffaele e
Ariele, due cherubini, commentano la nuova dell’Incarnazione; si domandano che
cosa ne pensi Lucifero, che è il loro comandante supremo. S’è sparsa infatti la voce,
che il grande e potente Serafino sia in disaccordo con Dio, e voglia indurlo a cambiar
decisione. Raffaele è sdegnato e affranto a tal voce, mentre Ariele attende di sapere da
Lucifero in persona la conferma o meno della sua veridicità. Il Serafino, pur con
ambigue parole, conferma ai due, che intende convincere Iddio a mutar partito,
camuffando il sacrilegio con ragioni apparenti. Raffaele intravede nel tentativo
l’inizio di un duro conflitto tra le essenze angeliche, mentre l’Altissimo ancora non
interviene. Ariele, invece, si lascia ammaliare da Lucifero, ed assieme se ne vanno a
rafforzare la loro fazione. Raffaele avvisa Michele dell’accaduto, senza che
quest’ultimo gli dia molto credito, affezionato com’è a Lucifero, suo più caro e
fraterno amico. Dibattuto tra l’amicizia per Lucifero e le dure parole di Raffaele,
attende l’occasione per appurare la verità.
Scena Prima
Lucifero, Michele.
LUCIFERO
Amabile Michel, guerriero spirto,
il sommo Iddio sul soglio arcano siede
ab aeterno glorioso. Ogn’intelletto
creato a simil concetto si confonde.
5
Chi investigar potria l’oceàn di Sua
Sapienza? Chi è colui che l’ardua via
sapria tentar ch’all’esimio mistero
di Trinità Santissima ne mena.
D’invisibil mondo l’amante Autore
10
crëommi sì d’intelligenza chiaro
e capace, ch’i consorti sovrasto
tutti, né v’è alcun che di me del pari
tanto s’indii. Laude infinita sia
a Te, de’ secoli Mente sovrana.
MICHELE
15
Dal nulla Iddio ne trasse senza merto.
Adorni di santo splendor, scudieri
serviamLo eletti, spirital possente
schiera d’innumeri soldati invitti.
In noi traluce quel perfetto stampo,
20
ora più or meno in equa proporzione.
LUCIFERO
L’ingegni nostri ne’ celesti spazi
spiegansi, svelando in noi la possanza
del gran Nume. Riverbera lo spirto
nostro, qual lucido polito specchio,
25
l’eterna luce abbacinante. Ed io,
per sua mercede, posto al più alto grado,
son primier fra numero sconfinato,
alla fonte dell’Essere contiguo.
MICHELE
I Cieli narran del Signor la gloria.
30
Figliuoli d’infinita Sua Bontade,
fratelli amiam di gloria luminosi,
d’imperituro vinclo l’un all’altro
distretti in Lui. E tu, Lucifero amato,
Serafino principal della Corte
35
superna, del Valor supremo primo
figlio, diletto a’ frati, e più a Colui
che ti forgiò beato, nell’alta tua
ammiranda perfetta condizione,
l’ombra scorgiam di Chi te pensò bello.
LUCIFERO
40
Ha sovran Ingegno informato i Cieli
d’ordini esatti. Ragion si compiace
di tal gerarchica misura, e gioia
prende, ove ad ognun infallibil mano
loco assegnò e grado più conveniente.
45
Trino Principato tre gerarchie
produsse distinte in triplice coro
mirabilmente, cui in diversa guisa
dal primo Principio prendon la luce
ch’eternamente brilla. Serafini
50
al sommo prossimi stanno al Creatore,
d’incendio d’ardente carità riarsi.
Segue de’ Cherubin scienza profonda
di poi, che da diva sapienza sugge
sua perfezion. De’ Cieli sono i Troni
55
sostegno saldo. Perfetto Dominio
quindi nelle Dominazion riposa.
A forti Virtudi dié l’Iddio forte
inconcusso valor. Voi, Potestate,
a’ sudditi i sommi comandamenti
60
mostrate. Scolte di poi sono e primi
duci i Principati nel rett’oprare,
cui aita de’ l’Arcangeli la schiera.
Estremi di sì nobil scala infine
i santi ambasciator poi ecco, che nunzi
65
sono a basse creature: Angeli dico.
MICHELE
Chi ruinar potrebbe l’opra d’un Dio?
Qual falso sconoscente, sleal rubello
ragion trovar di lagnanza in stellante
incanto d’armonia? A noi Egli in custodia
70
il diede, e si vegli sicuri in arme.
Scena Seconda
Lucifero, Michele, Gabriele.
GABRIELE
Novella fuor d’ordinario’l pio e sommo
possente Rege, vuol ch’a voi pe’ primi,
supremi condottieri de’ celesti
eserciti, nota si renda. Udite,
75
amate, dìasi ossequïente ascolto
all’eterna e saggia voce, che parla
parole d’adamantin smalto ardenti.
A benedir, Signore, il santo Nome
Tuo apri le labbia mie; mi monda il core
80
da vane perverse cogitazioni;
la mente illustra, e infïamma l’affetto,
sì che attento, devoto e degnamente
per officio cotanto aggia valore.
LUCIFERO
Gabriel, quel ch’or l’intelligenza tua,
85
del Nume saggio legato, ne scopre,
sempre è ben detto, e a pien riflette caldo
foco che brucia senza consunzione.
Primier sarò ad adempir tai sacrate
leggi e prescritti. Pel primo l’ultore
90
telo drizzarò ver’ l’empi rubelli.
Taccia silente l’universo integro,
e, prostrato al divin trono, adori e coli.
MICHELE
D’obbedir impazienti, t’ascoltiamo,
fratel. Il sommo Velle senz’indugio
95
scoprine.
GABRIELE
Quel Dio, che ne fè già tanto
belli, che spazi domina infiniti
con picciol cenno, l’Uno e Trino Sire
de l’universo, gran consiglio tenne.
I Tre Augusti, Padre, Figliuolo e Santo
100
Spirto, elesser irrevocabilmente,
e santa voglia sigillar di mutua
infinita caritade in rovente
foco. E voi a’ diletti fratei soggetti
con fede sponete quel ch’or predìco.
LUCIFERO
105
Solenne cert’è’l momento. Dì! Parla,
Angelic’amico. Già’l cor s’allegra,
e di tal gaudio già preliba’l melle.
O sapienza, che tutto reggi e squadri,
o Potenza, che dolcemente inviti,
110
amor fervente, che benigno sparti
tesori, ricchezze e dovizie immense
a’ figli tuoi diletti in sommo grado.
MICHELE
Inviolabilmente sérbinsi i detti
d’alto messaggio, fin de l’alma al prezzo.
GABRIELE
115
Han decretato, stabilito e fisso.
Fia un giorno, e la trina Divinitate,
che sì eminente sovra noi s’innalza,
ad unir verrà pur sua sempiterna
sostanza e gloria a creatura, di Sua
120
Mente figlia. O incomprensibil arcano!
onde il cor vacilla e trema, e prostato
di tema e vinto, restïo ne sforza
con grami detti e scarsi espor concetto
senza metro, che mente niuna cape!
LUCIFERO
125
Benigno Sovran, Principe santissimo!
Angelico ingegno qui cede a l’alta
possa. Pieghisi la ragion tremante,
pur di gaudio sazia, gioconda e molle.
Michiel, non intendi’l gradito nunzio?
130
Di tal perfezïon quasi divina
ne ricolmò l’Artefice sublime,
ch’al certo un de’ nostri sarà l’eletto.
MICHELE
Pensier incommensurabil dispiega,
fulgido ingegno, ch’al cor con dolcezza
135
omai discende.
GABRIELE
Alto misterio in vero
d’un Dio degno, non d’intelletto creato,
per quanto in Lui s’interni. Il Figlio eterno,
la Saggezza, del Padre amante specchio,
all’uman genere unirà sé stesso
140
un dì fatal.
MICHELE
Uomo e Dio in pari tempo!
Augusto enigma, ‘ve risplende ancora
in quel che fralezza assembra, invitta
potenza.
LUCIFERO
Divo e Uom. Buio e luce chiara,
spirto etereo immortal a caduca carne
145
catenato e stretto in estrano amplesso!
Ah! Portento e miracolo inaudito!
GABRIELE
Ben parlate, Prìncipi de’ siderei
chiostri. Dio fia perfetto e perfett’uomo
ad un tempo, e l’indissolubil plesso
150
starassi eterno ne’ tempi de’ tempi
perennemente fissi. Colui Madre
santissima avrà, invïolata e pura;
e de l’incorrotte nostre milizie
la corona daràlle di Reïna
155
e Signora, alta cotanto e possente
che quasi Iddio medesmo a Lei s’inchini.
Il Genitor suo mortal poi, immortale
possederà prestanza e forza, e tutti
li tremeran dinanzi i celestiali
160
claustri e del Paradiso le colonne.
MICHELE
Dinne ancora, Gabriel, se t’è concesso,
chè troppo trabocca il contento e’l gaudio!
LUCIFERO
Sì! Parato omai son … ad ogni caso!
GABRIELE
A che, spirti maggiori, poi’l tripudio
165
vostro sia perfetto e pieno, sappiate
che prodigio tal a’ futur’evi e anni
fia serbato. Pria trarrà Dio dal buio
cao con pietosa e generosa mano
l’uom, nostro minor fratello, mortale
170
nel corpo suo carnal, se morte forse
altro non gli sia che dolce trapasso
a verace perenne vita, senza
doglia, strazio e angoscioso pianto. Spirto
tuttavia fia divin nell’alma a noi
175
simìle e senza tempo. Di lui cura
daranne e de’ pronipoti’l paterno
provvidente Signor, ch’have decreto
l’uman germe con l’angeliche squadre
fruir debba d’esta luce in allegrezza
180
sempiterna. Colma d’etadi e tempi
la misura, addiverrà’l pio e sacrato
Cesareo Duce dell’impero Suo
a l’arduo conquisto. Certami e guerre,
sanguigne pugne patirà mai vinto.
185
Opime spoglie e alti trionfi, le genti
li fian tutte, ch’avanti l’aureo eterno
scanno adoranti inclineranno’l ciglio.
Giorni sì gloriosi qual ridir potrìa
con creata favella? A voi pe’ primieri,
190
eccelsi servi del sublime soglio,
tanto annunzia la diva Trinitade.
E voi ratto pubblicatelo agli altri
immortali, e di fede poi chieggete
sacrato giuramento e voto.
MICHELE
Nati
ad obbedir, ad adempir siam presti.
195
Formidabil cose e pur soavi l’alma
soggiogan di gaudio, tema e spavento,
sì che sgomenta e lieta alla medesma
ora, allegrasi e trema. Ah! Gran Fattore
e Padrone, venero l’alta e adoro
200
voglia suprema. Rinfranca lo spirto!
Possa aggiungi a santa possa, ch’indegno
non sia a tante grazie e tali!
GABRIELE
Sancìto
il caso, decreto, statuito, umìli
chiniam la mente allo splendor del vero,
205
che degnasi svelar l’ottimo Iddio
a’ servi sui. Benedetta la santa
individua Trinità sia. Ogni gloria
al Padre, al Figliuol, e allo Spirto Santo
da Lor procedente. E glorificato
210
sia pur il Dio-Uom venturo. (parte)
Scena Terza
Michele, Lucifero.
MICHELE
Silente
stai, dolce amico, a così eccelsi casi?
L’alma anco tu a’ tai cari accenti e voci
com’ mersa in dolce pelago non senti?
Ah! Qual benevolente compiacenza!
215
Vie più foco di caritade m’arde
nel petto, che fin all’estremo abbrucia.
LUCIFERO
É stupor, che’l cor e la mente ingombra.
È fiamma che tutto n’avvampa e n’arde.
MICHELE
Stupendo davvero. Qual grazia fue,
220
di misericordia colma, contezza
darne di sì segreto evento. Quale
pegno non è cotesto, Serafino
possente, d’amistade alma e divina
del Dominator dell’orbe stellato,
225
ver’ sue grame, basse creature indegne.
LUCIFERO
Stupor avvince il mondo, e l’alma mia.
Qual arguzia d’un Dio! Ch’estrana guisa
d’onnipossente forza! Chi saprìa
simìl ludica amena lepidezza
230
scogitar, se non senno senza fondo!
MICHELE
Di brama e desianza struggesi il core,
e anela con ardor di viva fiamma
la salutar venuta dell’empireo
Pantocratore.
LUCIFERO
Meco un po’ ragiona …
235
La stupita mente avvezziamo insieme
a portentoso accidente. Che fare
e oprar debbiamo, Michel, in tal’ora?
MICHELE
I fratei ancora salutar novella
attendon. Trasvoliam ad illustrarli,
240
sì ch’essi ne godan tosto, e letizia
n’abbiano.
LUCIFERO
Sì. Va’. Mi precedi, amico
caro. Seguiròtti ancor io tra poco.
MICHELE
S’alzi la prece mia, o Dio, qual incenso
al Tuo cospetto. Mi suggella l’alma,
245
e porta di custodia e scolta ponle,
che’l cor in voci non declini e labi
di malizia a scusar atri peccati.
Addio, fulgido principe, modello
de’ Serafini e duca. Salve. Sempre
250
ne’ secoli l’Altissimo t’assista. (parte)
Scena Quarta
Lucifero solo.
LUCIFERO
Non girtene, fratel! Un poco attendi!
Ah! Lassato son derelitto e solo
co’ miei pensier non miei. Michele, riedi!
Vo’ dir. Più non m’ode. Lunge’l diletto
255
amico è ormai. Vadasi pur. Turbato
cor t’acqueta e posa. Te stesso vinci,
260
265
270
275
280
285
290
295
300
deh! pugna e combatti! Dio è Dio. Niun puote
ripugnar suoi sacri norme e decreti.
Ma d’intelletto son anch’io fornito,
e chiaro e fiammante. Üopo non aggio
d’alcun. Lucifero, a te stesso basti.
Quale mai spirto v’è nel firmamento
ch’a par star possa di me? Alto Signore,
scaccia dall’alma sbigottita e smorta
sì mortal guerra! Repente dammi aita,
ch’io caggio di doglia in orrendo abisso!
Ecco! Corri mente pe’ spazi immani!
Ti fingi gran cose e scorgi! S’innalza
e gaude di pensier di preminenza,
d’invitta gloria, onore e trionfi alteri!
Chi soqquadro mai pria intese cotanto,
e impensato travolgimento d’ordine
armonico e perfetto? Quanto’l Regno
mostravasi a regola d’arte instrutto
dianzi sentenza sì poco assennata.
Puro spirito a spirito imperava
obbedito. Lume altro lume addusse
con ingegno. Qual poi imprevidente
cangiamento! Se desiava Sua Gloria
donar a natura creata, anteporre
devea il Nume quel che più di Suo lume
prende e Gl’è simìle, non un esser vile
e meschino, un poco d’inutil limo,
d’anima immortal sorretto a gran pena,
sanza merto avvinto all’onnipotente
Divinità purissima. Ch’è mai
ciò? Burla di Re capriccioso? Pompa
disutil di vana possanza, cui
nulla sen giova, anzi del cosmo a danno
universal. Fango e spirto, brun’ombra
e raggiante sol or avvinti assieme
per sempre. Pur ne l’angelich’essenze,
il vedo, ormai, anzi in me sol, che’l maggiore
di tutti son e’l capitan, par quasi
la deïdade rimasa, ricovro
degno di Lei ricercando. Or ch’acquista
il Figlio, quando che sia, mortal pondo
e greve, anco al Padre Eterno e allo Spirto
in qualche guisa l’onta si trabocca,
e tutti Li contamina e perturba.
305
310
315
E dinanzi a così mostruoso intreccio
riverente chinar il ciglio mio?
Sì ignobil mistura soffrir imbelle
e lassar degg’io ch’opra tanto bella
alla malora vada e tutta crolli?
Basta! No! No! No! Servir non vogl’io!
Libertà pregiata, dammi salvezza,
e i sudditi compagni con parole
piegar ardite e franche. Alle querele
nostre forse in alto il fallir commesso
s’apprenderà. Legar arditamente
saprò al mio divisamento possente
fazion, turba fedel a’ cenni miei,
che, chi sa, stringer ancor porìa’l Veglio
eterno a più accorto senno ... lo scettro
a rinunziare, lassando padrone
Lucifero così de’ Cieli immensi.
Scena Quinta
Raffaele, Ariele.
ARIELE
Che disse il valente condottier nostro
Lucifero? Qual è l’avviso suo
320
alla notizia? Brama’l cor mio e d’altri
molti riceverne sagge parole.
RAFFAELE
Ch’altro potrìa dirne, ch’altro pensarne,
buon Ariele, se non: spirti celesti
date retta al santo nuto ossequienti.
ARIELE
325
L’alto duca di detti, voci, o accenti
schietti non ne fe’ tuttavia presente.
Pur m’aggrada accôr suo proponimento.
RAFFAELE
Uopo non è. Pronto docil ossequio
sol si ricerca infra gli eterni Cori.
330
A tal creònne la superna Maestade.
ARIELE
Vero parli. Sibben, fratel, nol nego,
di Lucifero carissimo i sensi
i’ volentier udrei a tanta novella.
RAFFAELE
335
340
Apponi allor, amico, del precetto
la bontade? Come esser puote? A noi
già il superno prepose Imperadore
lo splendente Serafin, che sì spesso
invochi. Alto onor è il nostro per duca
aver lui. E tuttavia, Arïele, anch’Egli,
pur d’eccellente grado. Al fine nostro
frate si rimane, anco lui intelletto
causato, ancor lui del deiforme Sire
vassal, famulo, figlio, e servo umìle.
ARIELE
Intesi, o parmi, ch’ei vorrìa modesto,
e dimesso erger scongiuro appo’l Nume,
sì che l’ardua delibera si cassi,
o parte cangiata o disdetta vegna.
RAFFAELE
Riverenza nega al regal comando?
Schiva piegar al sacro editto l’alma?
ARIELE
350
S’irresoluto il rende, ei vi ravvisa
pecca forse ch’al guardo nostro meno
eccellente, si cela.
RAFFAELE
Che vaneggi,
fratel? Non lice, per quant’eminenti,
le divine sindacar prescrizioni.
355
La disciplina, che n’informa, vieta
e interdice revocar anco solo
in dubbio quel che da l’etra discende.
ARIELE
Negar non so le sagge tue parole.
Ma, cred’io, che, se rimostranza fece,
360
o vuol alzar Lucifero all’eccelsa
reggia, u’ Bontate alberga senza fine,
male alcun non deriveranne. Forse
non ne mostrò l’Eterno a sufficienza
di ch’affetto bruci ver’ noi l’amante
365
cuore? Stimar puossi che tal Signore
qual mansueto L’invochi umil, discacci?
Potente Raffaele, i sospetti tuoi
ombre pàïonmi e vanescenti larve.
RAFFAELE
Quel che nel sommo Empireo si decreta,
370
scevrar e inquisir non lice. Nocenti
345
cose partorirà tant’ardimento.
Scena Sesta
Ariele, Raffaele, Lucifero.
ARIELE
Ecco al fin che qui s’appressa il lucente
nostro generale. Sì sospettosi
allarmi, amico, qual frigida nebbia
375
svaniran del vero a’ cocenti rai.
LUCIFERO
Carissimi fratelli e subalterni,
Ariele valente, e tu, bellicoso
Raffaele, novità grande intendeste.
ARIELE
Bel Serafin, nostro eroe, danne lume,
380
ch’in tal arduo frangente ne sia scorta.
RAFFAELE
Sì! Della Sacra Triade il più diletto,
l’alma turbata e trista n’assecura.
Strane cose e dolorose ascoltammo
in vero, Condottier, sul conto tuo.
LUCIFERO
385
Cose tristi, amici, mostrâr i tempi.
Già, di conserto con altri gloriosi
arditi de’ sublimi Cori al Sommo
volger ossequiosa desìo e modesta
prece, a distorlo, o differir almeno,
390
da partito forse troppo … arrischiato.
RAFFAELE
Ahimè! Duce mio e signor, quai parole!
qual conferma dolente, ch’io temea.
Ferma il pensier audace! Ben misura
pria di valicar micidial passaggio.
LUCIFERO
395
Stuolo immenso, il ridìco, Raffäele,
è meco. Sospetto non v’é di nulla.
La ragion nostra alla Ragion superna
s’appella. Quest’è quanto. A buon fedele
suddito forse richiamar si vieta
400
il Sovran, s’intimazion importuna
promulga? Non lice forse doglianze
405
proprie e altrui depor devoti del Trono
sempiterno a’ piè? Esseri d’intelletto
siam fulgenti, non ripugnanti schiavi,
d’abietta servitù stretti a tiranno
crudel. Liberi di librar ne’campi
della luce col pensiero, del vero
ne’ meandri elegger, ov’occorra, il meglio
e rigettar il men perfetto e buono.
ARIELE
410
Non so comprender a sì chiare voci,
Raffaele, la reticenza tua. Nulla
di mal fassi. Rivoluzion, de’ regni
mortifera ruina, qui non s’ordisce,
o trama. Tutto compiesi alla luce,
415
pacificamente.
RAFFAELE
Fratelli cari,
Amici, parmi perigliosa via.
Tremo al pensar le conseguenze gravi.
Prime sue fatture sperimentammo
già del sempiterno Sire bontade
420
generosa. Duro giudizio alberga
inflessibil ancor sull’alto seggio.
D’ogni discernimento si possede
lassù, d’ogni atto, infallibil criterio.
Scruta l’intimo nostro; l’intenzione
425
scorge, ov’ella tenda, s’effetto sia
di vincolo di carità perfetto,
ch’a Lui ne stringa e leghi, o d’altro ignoto
affetto, che qual angue venenosa
punga mortifera, e atro tosco inietti
430
in alma fella e al Signor ribellante:
fatal amor proprio, esizial superbia.
LUCIFERO
Ponderato pur hai, prode guerriero,
almen un poco, sul divin precetto?
Stimato non hai, pria accusar altrui
435
di negra fraude e fellonia, se forse
non siavi cagion ch’a novo n’opponga
consiglio? Udisti: un dì, quando che sia,
a creatura il capo chinerai. Tale
ei però non è sol, bensì Deitade,
440
parte Dio e Uomo in parte. Io discerno quasi
quieta disvoler e pia concordia, quale
or non molto aggradì’l medesmo Sire.
Spirto intellettual imperi sovrano
pur sovra spirti, e a lor in bella scala
445
sian sommesse di Lui l’altre creature,
che men da Quel traggon vita e sostanza.
Chi sotto star devria, non sol n’agguaglia,
ma sovrasta e s’insedia sul supremo
trono ...
RAFFAELE
Ei n’è Signor. Al suddito solo
450
l’eseguir piace, e in quel poi si contenta.
ARIELE
Suvvia, amico mio, infra est’azzurre spere
pretesa altra non s’avanza ch’all’alto
Cielo prostrar li nostri bassi avvisi.
Mal fors’è questo?
RAFFAELE
Dell’altrui giudizi,
455
Ariele, uopo mai non have Trïade
Beata e santa.
LUCIFERO
(Ad Ariele)
(Bada. Ei non è de’ nostri.
Ch’al fato suo s’abbandoni. Non altri
ch’ottuso è rude soldato). Fratello,
nell’opinion süa ciascun dimori,
460
e l’amicizia danno non patisca
per questo. In pace andiamo. (Intanto noi
l’arduo ingegno volgiam a nove mosse).
(Lucifero e Ariele escono).
Scena Settima
Raffaele solo.
RAFFAELE
Estrano sentimento angustia tetro
il cor profondo. Ferrigni, di morte
465
sogni e vision di livido litigio
stringon la mente, sì impure parole
in pensando. Nemici son oramai
quei che m’eran carissimi fratei.
A Te, innocente Iddio, per cangiamento
470
siffatto colpa appongo? No, no, certo!
475
D’essi, d’essi solo è il misfatto, figlio
d’orgoglio mendace. Che chiede l’ora?
Molti, vanta’l rubello, tratt’ha seco.
Menzogna è codesta, onde chi gl’è avverso
intimorir. E tu, Gabriel, messaggero
dell’Altissimo, e tu, invitto Michele,
ove sete? Diasi l’allerta. L’arme
s’apprestin per fatal guerra celeste.
Scena Ottava
Raffaele, Michele.
MICHELE
Armigero Cherubino, animoso
480
Raffael, che fai triste quivi in disparte,
allor che l’Empireo col Rege Suo
s’allegra? Ché meco non t’allieti
e gioisci al divin consiglio a noi
dal benigno Monarca disvelato?
RAFFAELE
485
Dico, piuttosto, gran Principe, all’arme!
Or lucente lama vendicatrice
s’impugni, nobile alato guerriero,
e meco in lizza scendi aspra e mortale,
ch’incombe.
MICHELE
Accenti di guerra in sì lieta
490
ora? Troppo caro mi sei, valente
spirto, per creder che prenderti gioco
di me tu voglia. Scorgo pur sul viso
tuo vestigi di gravissima cura.
D’impensata e a noi sconosciuta guerra
495
che voglion dir le dure voci? Inquieto
che ti rende, ch’io prudente conosco
e qual roccia saldo?
RAFFAELE
Tremende cose
udii, che mai avessi inteso, di lite,
il ripeto, di pugna sanguinosa
500
orride annunziatrici.
MICHELE
Or che la beata
Terna di Sua possa diènne contezza
maggior, d’ineffabil misericordia
vie più certa pruova? Osi di discordia
ragionar e d’acre dissidio?
RAFFAELE
Prence,
505
scorrendo i Ciel superni, suon udisti
altro che d’ilare gaio contento
all’annunzio fatal, o di doglianza
fors’anco romor, e voci a pena intese
di ricusa et empio diniego?
MICHELE
Dove
510
volai, tosto che ne disse Gabriele
il gran fatto, con chiunque ragionai,
eccelso gaudio sincero in risposta
n’ebbi, o in qualcheduno silenzio … forse.
RAFFAELE
Star silenti a tal suprema nüova?
MICHELE
515
Lo zelo applaudo, amico, bensì parmi
soverchio. Il mal additi e segni u’ starsi
non puote. Avvien talor che per felice
annunzio stupor grande fuor mostrarsi
non sappia, tant’ingombra’l cor allegro.
RAFFAELE
520
Over cela intimo dissenso forse
e scontento, che subito non vuolsi
appalesare.
MICHELE
Malamente credi!
Chi ha forza in questo Ciel di Dio, cotanto
a Lui propinquo, ch’arde del lume
525
Suo chiarissimo, del Nume benigno
il supremo Velle biasmar, l’aëre
limpido e sereno turbar con negri
nembi d’adultera perfidia, a Quello
che ne fé, che vita ne diede, cui
530
debbiam tutto, cui sol servir possiamo?
RAFFAELE
Eterno spirto, sì nobili accenti,
che da coscienza pura, qual sorgente
cristallina, sgorgan immacolati,
animo dan ne l’alta impresa, ed ogni
535
tema scacciano a me pria sconosciuta.
MICHELE
In angelico cor qual mai sgomento
s’annida?
RAFFAELE
D’eterno Amor ardua grazia,
Michel, grave favor s’è libertade.
MICHELE
Liberi Iddio ne volse e fé all’eterno
540
Vero d’aderir con merto, e la mente
riposar in Quello.
RAFFAELE
Di ricusarlo
sciolti ancora. Del cor serrar l’entrata
all’Altissimo, con empio dispregio,
vantando: Servir non m’aggrada e giova!
MICHELE
545
Or basta, Raffaele! Dimmi’l successo!
RAFFAELE
Lucifero arringando con suadenti
accenti va i celesti a rinnegare
l’imposto editto. Me medesmo’l sentii
dolersi con callida arte sottile.
550
Blasfema vorria contrappor ripulsa
di leale sudditanza contra’l sommo
Monarca.
MICHELE
Il rifulgente Serafino,
primogenito nostro, condottiero
magnanimo de l’immortal milizia,
555
ove specchiasi maggior l’eternale
face di Dio, carissimo fratello
e amato più che noi stessi! No! l’alma
tua incorrotta se non sapessi, il telo,
Raffaele, già sfolgorato avrìa
560
a riparar calunnia tanto bassa.
Tu malamente intendesti, o contagio
d’invidia omai t’ammorba e infetta’l core.
RAFFAELE
Non così! D’or in or fassi’l disegno
aperto. Seguaci vuol ei raccôrre
565
quanti più riesce, e pel suo esempio audace
e di numerosa turba, l’Eterno
Padre astringer l’ordin sacro e supremo
a cangiar. Sì disse – ‘l giuro – con voci
570
575
580
585
non equivoche. Trarre disïava
ancor me al partito suo. Pur comprendo.
Del parlar mio in dubbio ondeggi. Non calmi.
Giova saver ch’ancor se’ quel che pria,
del Padre fido servitor. Al tristo
scelo non t’addusse insana vertìgo
di licenza – ‘l vedo. Nell’alma ancora
timor t’alberga retto e reverenza
del santo Rege. Pur, fratel, ti dico,
e replìco: pararsi occorre a fiera
contesa. Or gir debbo. Spedito scorre
e rapido’l corso a fatal ruina.
Non copre mio ragionar niun abbaglio.
All’arme adunerò gente e a battaglia,
ch’al fianco tuo saran ne l’ardua mischia,
ch’aspra e orrida – tem’io –preme e n’incalza.
A Dio. De’ puri Cieli Te conservi
il Creatore. (parte)
Scena Nona
Michele solo.
MICHELE
590
595
600
605
Acuto duol pria mai esperto
ange e fiede l’alma. Ameno, festévole
e caro pur esser devria tal giorno
al divin appello. Tue irte parole
son, Raffaele, madri d’acerbo affanno.
Di lotta crudel amaro se’ profeta,
e’l cor geme profondamente in guerra.
Ch’altr’è altalenar perplesso e dubbio
d’ostili pensier, qual senza nocchiere
in alto mar scosso navil da’ venti,
se non lite tr’opposte avverse schiere,
che di par dritto e con egual certame
cozzano audaci e fere; e di battaglia
il campo, ov’aspramente si tenzona,
è il turbato animo inquieto. Nel nome
reca Lucifero dell’onnisciente
Autor traccia immortal, che sì l’estolse
in alto, fra innumeri fratei primo.
Più d’altri ei la divina fonte accosta,
e da quella linfe traendo di scienza
610
615
620
625
630
635
640
645
perfetta e pietade a noi men pregiati
generoso invia e largo mediatore.
Che dell’astral reggia il beneficato
maggior, volto in ingrato sia, nol posso
creder. E fin quando certa non abbia
prova di ciò, non crederò. Fratello
amato, l’esimia virtute sprona
a santa emulazion, e ai rai del giorno
sempiterno il viso tuo arso risplende.
Pur di Raffaele so il saldo core
e la lingua diritta, che sincera
parla. Accorto e tardo a’ discorsi sempre
ei fu, impassibil quasi nel sembiante
militar. Or invece qual si mostra
afflitto e sconsolato. Egl’è modesto
per contro, d’inferior Coro, e dal Nume
sapiente non ebb’in dote sottile
e pronta mente. Dell’arme gl’abbella
il ferreo e stridulo romor, e lo scudo,
l’asta, la fiammante spada, l’usbergo
sfolgorar loricato del Ciel sotto
l’auguste volte. Se l’alma di santo
zelo ricevè infiammata dal Trino
Signor, d’intelletto certo non stassi
al par di noi supremi Serafini,
e’l diletto Lucifero l’eccelso
è di tutti. Allor … svelato l’arcano
forse … Sì! Equivoci accenti e detti
all’un parvero ambigui, quei che l’altro,
di scienza maggio, formulando andava
con onesto senso. L’uno di rivolta
intese empio grido, di riverenti
l’altro riflessi mansüeta imago.
Sovente accade che parlar profondo,
se cada talor in orecchio poco
sagace, sibben leale, intendimenti
produca obliqui, e il retto sentimento
di chi favella, torto vien a lidi
non pensati. Così fallace errore
e verità si mischian nella mente
confusa dell’uditor imperito.
Di nissun allor è’l fallo. Se forse
l’uno fu sottil in eccesso, l’altro
di mente grossa fue, e debile assai.
650
655
Giusto però s’è che del caro amico
intenda ancor prudentemente i detti,
onde al tutto dissipar d’incertezza
i nugoli, che rendon l’alma fosca.
Accuse, biasmi sentii e aspre querele:
or la parola alla difesa passi.
ATTO II
Lucifero e Michele s’incontrano. Lucifero è persuaso che se il potente Serafino e
amico fraterno aderisse al suo partito, la rivolta avrebbe facile successo, ma incontra
subito la resistenza di Michele, che cerca stornarlo invano con buone parole dal suo
empio proposito. Michele comprende, suo malgrado, mentre giunge Ariele, a riferire
del buon andamento dei preparativi, che non resta altro che disporsi alla guerra.
Lucifero, pur provando amarezza per la perdita del caro amico, ha ormai tratto il
dado e si getta nella folle impresa. Ariele e Raffaele, militando in campi opposti,
altercano violentemente e iniziano il combattimento.
Scena Prima
Lucifero solo.
LUCIFERO
Scorrendo allegro vo l’eteree rote
del Ciel. Ovunque i’ mova l’ale, ovunque
i fratei ascoltano’l mio dir intenti,
e meco innumeri convengon poscia,
660
meco di fede stringon sacro patto
d’obbediente sommissione. Copioso
ed ampio d’ora in or fassi il mio stuolo.
Niun v’è, o quasi, se non con sbigottito
e pavido silenzio, che contenda
665
a’ prudenti detti miei. Michel resta.
S’io pur quello ammanso e piego, minore
poco di me, certissim’è il trïonfo,
mio l’imperio eternale.
Scena Seconda
Lucifero, Michele.
MICHELE
A tempo giungi,
dolce fratel, Lucifero fedele.
LUCIFERO
670
Nel cor provai vaghezza di vederti,
e teco un poco ragionar, amico,
e qui volai precipitosamente.
MICHELE
Abbisogna il cor mio di tuo consiglio
e chiaro avviso, per cosa spiacente
675
occorsa. Il giorno, che fausto nasceva,
di nembi procellosi or par turbato.
Voci colsi importune e dissonanti
al momento.
LUCIFERO
Dimmi su, apertamente.
(Parmi ch’al partito mio sia approdato).
680
Ombre offuscano di scontento forse
il tuo ciel, mio caro?
MICHELE
Ottimo favelli,
sapiente intelletto. Spiacquero intese
parole. Vergogna però e imbarazzo
avverto a riferire.
LUCIFERO
Gran Michele,
685
sempre regnò tra noi tenace e calda
amistade, dal Nume benedetta.
Tu mio egual se’.
MICHELE
Amabile caro spirto,
i detti gentili infondon coraggio
all’indecisa mente, e dan certezza
690
già soli di virtù inconcussa e salda.
Parlerò, adunque … Alcun folle s’arrischia
– involgo’l nome di clemente velo –
che con strani accenti andresti adunando
i delusi al decreto dell’Eterno,
695
perché d’esso tu pur insofferente.
Già ampie falangi son da te levate,
e dell’Onnipotente vuo’ condurti
al cospetto, onde piegar temerario
sentenza fissa nel divin Concilio.
700
Cose insoffribili son, sòllo, amico.
Si scusi almen in chi ne fu latore
buona fede, dritto cor, e intelletto,
poco ad acuti raziocinii avvezzo,
di cui tu’l dardeggiavi.
LUCIFERO
Cara prova
e preziosa dài ancora d’inesausta
carità, o glorïoso. Il ver favelli.
Chi t’aggravò di sì penoso dubbio,
finge, e malamente l’intelligenza
bassa ne riporta il giudizio mio.
MICHELE
710
Stérnel, tu, allor, e di tua bocca. Tetra
caligine al calor di tue parole
vanirà così.
LUCIFERO
Men giva ragionando,
in ver, Michele, un poco meco stesso,
poi che’l gran caso ne disse Gabriello.
715
(Con costui avveduti assai, finché puossi,
esser bisogna). Rivolgeva fisso
un pensier, sòrtomi subitamente
impreveduto, ché’l credei del Nume
indizio certo. La molestia sua,
720
ancorché più fiate da la commossa
mente’l cacciassi, me ne diè bastante
al fin contezza. Stimava - come dire in quel fatto ammirabile e solenne,
ch’un’ombra scorger forse vi potea,
725
un poco d’imprudenza, l’occhio sperto.
E quindi … il parer tuo bramo al riguardo.
MICHELE
Oimé! Lucifero! Imprudenza, dici!
Cessa tal pensier, e non oltra vada.
Temp’è cotesto di misericordia.
730
D’Iddio non si provòchi la giustizia,
che nell’ira sua l’inimico annienta,
e de’ peccator tronca l’empia testa.
Meco a palazzo, appo l’eterno soglio,
n’andrai, a prostrar bassi sensi
735
d’obbedienza e divozion, di tal guisa
ch’in te mirin le spirital sostanze
di fe’ gloriosa il tutor primiero.
LUCIFERO
Laudo’l proposto, ch’è giusto e pio.
Infinita legion ben acconsente
740
a’ cenni mïei. Quanto facil fummi,
Michiel, piegar e sedur la voglia loro
a l’invenzion di cor tanto vivace.
705
Niun invenni, se non tu, che le voci
mie azzardi rintuzzar. Gl’immensi Cieli
745
silenti e quieti udìan l’alte ragioni,
ch’ovunque fean quai tuoni gran rimbombo.
MICHELE
Non prudente l’onnisciente Sapere?
D’incauto accusi’l Senno illimitato?
Qual mai scelleranza in te s’alligna?
750
Perdoni Iddio che certo piena scienza
non hai di che farnetichi e vaneggi.
Sovra mortal abisso d’infiniti
guai t’adduci, e tieni davver e stimi
che’l Tre possente Sire a lungo soffra
755
e consenta insolente indisciplina?
Qual leggera mente e vana! Tua insigne
sapienza quindi scende. I pregi nostri
grat’è favor d’inesauribil vena.
Laccio, ch’avvinse l’alma tua e deluse,
760
da buona parte non uscìo. L’ardita
ragione, di che t’ammanti, t’appresta
terribil, se non cangi …
LUCIFERO
Scevro non sei
e sciolto? Innocente dote non fue
di Colui che fènne? Altro libertade
765
non par ch’elegger quel che l’alma aggrada
com’ ottimo e perfetto. Quel discerno,
e più ligio ch’altrui mi son al Dio,
che comanda e regge.
MICHELE
Nulla ritratti,
niente recedi. Alfin lento comprendo.
770
E altrui gravava di malsana invidia,
calunnia e stolto senno. Sciocco i’ fui
a tardi penetrar folle traguardo.
LUCIFERO
Offrir liberamente e spor intendo
i consigli miei all’augusto trono,
775
e di molt’altri cittadin de’ Cieli.
Alto officio di servitor devoto
saggi prestar avvisi, allor che’l Padrone
incerto par e malsicuro, pe’ trarLo
da ruinosa strada et oprar men bello.
MICHELE
D’arbitrio ne fornì e provvide al bene
Scienza infinita, che giammai non falle.
Mal ti conduci in sconsiderato volo.
Arresta, finch’è’l tempo. Di saviezza
colorar azzardi insana e empia audacia.
LUCIFERO
785
(È perduto. Amaro è’l lasciarti, amico,
or fatto irriducibile rivale.
Complici spiacenti, doglia e strazio,
fan del cor atroce scempio. Ma sia
che può. Impervia ambizion, se’ tu la sola
790
compagna. Fingasi almeno, per trarre
di lungo la cosa). Infin vôte idee
queste son di menti vane. Non manchi
forse di ragion anco tu, Michele.
780
Scena Terza
Michele, Lucifero, Ariele.
ARIELE
(Mio signor, rege e padrone, preclare
795
nuove havvi per te).
LUCIFERO
(ad Ariele) (Parla accorto, Ariel mio.
Costui ci tradisce. Con esso amicizia
si menta per un poco, ma i profondi
giudizi nostri pur dissimuliamo).
MICHELE
(Gradita non è la stanza mia. Gabba
800
il Serafin. Fosco fatto s’è’l lume,
che sì bello da mani onnipotenti
uscìo. Più nol conosco. Urge ch’adopri
prestamente anch’io. Or a me baldi amici
s’han da raccôr. Battaglia acre s’annunzia
805
di morte. O antica amicizia, ch’eterna
stimai durar, se’ morta.) Addio, Lucifero.
in campi serviam contrari. (parte)
Scena Quarta
Lucifero, Ariele.
LUCIFERO
810
Di colui
il pensier traspare, che sì turbato
diserta la scena. Anco lui raunar agogna,
come femmo, quante puote milizie.
Profittar devesi del silenzioso
Nume, ché confusi e senz’ardimento
son i rivali. Le file serriamo,
amico, e tutti ci gettiam in pulcra
impresa, ch’io spero, daranne un regno.
815
ARIELE
Altro che’l tonante segno non s’attende,
mio general. All’ordin tuo son preste
immense e ben disciplinate schiere.
Esercito invincibil sta in sull’armi
820
agguerrito e risoluto l’assalto
tentar con sì nobil duce all’estreme
erte de’ cieli altissimi. Lo spirto
tien saldo, né in alcun di titubanza
i tristi segni, o la tema distinsi,
825
quasi’l successo pur già conseguito
ne fosse. Qual ormai ardirìa contrasto
farne, Lucifero?
LUCIFERO
Prode amico, orgoglio
che millanta, lascisi da banda. Quando
assiso mi fia làssuso, sul soglio
830
augusto, allor vantarne d’eterna
potrem trionfal vittoria. Qual ruina
si percota quindi, e’l fatal schianto,
di macigno in guisa, cada e spezzi ogni
difesa che s’opponga, pria che’l Nume
835
silente si riscota. Vanne! Ciance
non più! Assaliam da prodi.
ARIELE
Addio, sull’alto
seggio, gran Lucifero, a rivederci. (parte)
Scena Quinta
Lucifero solo.
LUCIFERO
Fatica ebbe principio mai più fausto?
L’inimico sta di temenza in preda
840
e pavido sconcerto. Tace il Sene
dal soglio che vacilla, e forse scorge
già perduto. O ambizione, come in alto
sollevi. E libertà, fedele amica
tu e compagna d’ogni intrapresa audace,
845
fida strada da progredir ne mostri
e gli adatti mezzi n’accenni. Infine
tutto pensai. Ogni via l’esperta mente
ha già precorso ardita. Fallir quindi
non lece. Che se il Dio s’alzasse poscia
850
nella possanza Sua, e abortir vedessi
l’azzardo, misericordia mai sempre
invocar saprei. Quello, in tanta Sua
bontà, venia non nega e pace a gramo
ch’a Lui s’accosti. Quasi così meglio
855
ordir nuova pruova potrassi un giorno...
Ma via di smacco indegni pensier vili.
Spirto, qual sarai nel trionfo assapora.
Libra per tutto. Dove scorri, immenso
fia tuo impero. Assiso colassù’l mondo
860
reggerai qual dal Sommo per te ordito,
che già sen pensava a te in Sua vegliarda
Mente donarlo un giorno, se quel frale
non insorgea e stolto concetto all’uomo
miserabile di cederlo. Ah! L’alma
865
all’empio coto si contorce e strazia!
No! No! Nol servirò! Nol servirò! (parte)
Scena Sesta
Ariele, Raffaele.
ARIELE
870
Ripon l’arme, amico, e’l fier cipiglio.
Cedi la superflua lancia. Disgombra
il cor da bellicosi vôti sensi
d’inutil guerra. Mira l’universo
integro a Lucifer soggetto e prono.
Mira l’immortal sue falangi preste,
salde e ben istrutte a mortal giornata.
RAFFAELE
Oltracotanza omai l’alma t’accieca.
875
Il cor, a negre tenébre di prave
passion in preda, via più non discerne
e scorge il retto e’l buono. Che bestemmi?
ARIELE
S’intese forse colassù contrarie
voci di dissenso a’ nostri chiari
880
intenti? Non vedi che’l fiacco Nume
tacito e immoto langue. Le migliaia
sotto i vessilli del magno Lucìfero
ricetto cercan e salute.
RAFFAELE
Che monta,
o val, tal numerosa turba contra
885
l’invitto Signor onnipotente delle
celesti squadre. S’è nosco’l Divino
Condottier, chi mai contradir ne puote?
Ariel, pon mente, in te ritorna, pria
ch’aspro giudizio infranga senza
890
rimedio e squarci empia e dura cervìce.
A salùbre pentimento anco aperta …
ARIELE
Pentir devrìa? Clemenza cercar e pace?
Chinar basso e vile appo imbelle trono,
e Sovran tacente? A che alcun contrasto,
895
se non se Ei n’approva, o teme, fors’anco?
RAFFAELE
Di superbia l’amaro tosco a l’ùltima
perdizion t’adduce. Denigri e spregi
alta Giustizia, che produsse pulcro
e leggiadro’l mondo, ch’istrusse’l globo
900
in assetto e forma sanza merto nostro.
ARIELE
Stucchevol sermone all’orecchio infesto!
Taci, e rènditi, se non ch’a’ nocenti
dardi dia di piglio, e’l petto insolente
laceri e trapassi, infilzi e spacchi!
RAFFAELE
905
Ah! Scellerato spirito maligno!
Tropp’usai teco delusa dolcezza,
910
ARIELE
allor che sol devea segnar col dardo
l’alma tua atroce, sanguinaria e negra!
Ricevi’l colpo, e peri! Maladetto
cane!
Sia. Fai schermo e guardia, se’l puoi. (escono combattendo)
ATTO III
Gabriele riferisce con giubilo ed esultanza l’esito della guerra celeste, descrivendo le
fasi salienti della cruenta battaglia. Pur essendo i fedeli di Dio in numero inferiore,
guidati da Michele e Raffaele, sono riusciti alla fine a prevalere sugli avversari, e a
catturare Lucifero. Ora s’attende il giudizio dell’Altissimo sulla condotta del superbo
ribelle e dei suoi seguaci. Michele e Raffaele esultanti attendono la sentenza e la
decisione finale. Che ne sarà dello sconfitto? Prevarrà la misericordia o la giustizia
dell’Onnipotente? Gabriele lo conduce in scena avvinto in catene. Spiega che il
tremendo fatto d’arme è la conclusione della prova a cui la SS. Trinità ha voluto
sottoporre le sue creature per provarne la carità e la dedizione. Ora il cimento è
concluso, positivamente per gli uni, sfavorevolmente per Lucifero e i suoi, che
vanamente implora perdono, ricordando le proprie antiche benemerenze. Gli uni –
continua Gabriele - saranno confermati in grazia e più non potranno peccare, i
malvagi spiriti, invece, subiranno una pena eterna e senza fine, in un luogo
appositamente creato dalla giustizia di Dio, l’Inferno, ove arde un fuoco oscuro e
perenne. Ecco il regno che s’è guadagnato il ribelle con la sua arrogante superbia.
Gabriele inoltre assicura Michele che, in ricompensa della fedeltà all’Altissimo, a
prezzo della sua affezione per Lucifero, lo sostituirà come Primo Principe e duce
supremo dell’esercito angelico, mentre al coraggioso Raffaele è dato mandato di
proteggere il genere umano dagli assalti demoniaci fino all’arrivo del Divin
Salvatore. Lucifero e i suoi sono cacciati dal paradiso, e le porte eterne si serrano
così per sempre alle loro spalle.
Scena Prima
Gabriele solo.
GABRIELE
Inno s’elevi a la Trinità beata,
risuoni’l Ciel de’ nostr’alti peana!
Santo Ti laudiamo, ineffabil Dio,
Te confessiam terribile Signore.
915
Ogni Ciel, Virtuti, l’Angeli tutti,
Domìni t’adorin e Potestate,
almo Fattor. De Cherubini’l fido
coro immortal, l’invitta schiera ardente
de’ Serafin con incessabil grido
920
acclama: Santo, Santo, Santo, Dio
Signor Sabaòt. I cieli e’l terrestre
925
930
935
940
945
950
955
960
965
globo colmi son de la gloria tua
magnifica. Giubilate, esultate
all’Adiutor nostro. Timpano e cetra
tollete, gioioso intuoni salterio.
Buccini vittrice tuba nell’insigne
solenne giorno di triunfal vittoria!
Araldo di Dio lieto porto annunzio.
Campal giornata mai più s’ebbe tristo
principio? De’ buon la pusilla greggia
all’ime era discesa ultime valli
del Ciel, lassa e sconfortata in pria
della pugna mortal. I ribellanti,
copiosi, e di superbia gonfi, in alti
fur presti e vantaggiosi lochi,
ché l’eccelse rote avean occupate.
Lucifero suo’ sgherri inanimava
d’empi e fallaci detti, ma melati
all’orecchio e dolci. Dignità e scettri
promettea, e gloria, e alti gradi. Pingea
leggier l’incombente zuffa. Senza fine
tra’ nostri dicea le defezioni, vecchio,
fiacco l’Eterno Sire, esausto e stanco.
Odi di forsennate furie’l roco
strido, ch’i celesti silenzi turba
e corrompe, e d’urla selvagge e fere
l’aer fa rintronar e l’eteree plaghe.
Altrove era impenetrabil quïete.
Del sublim soglio’l tacer misterioso
ardir vie più infondea ne’ cor maligni.
Magno arcan in tal silenzio e pace, ove
Tua saggezza ancor risplende e brilla.
Di già fra tanto l’opposte inimiche
falangi al cozzo celeri sen vanno.
Aspro è’l romor de’ bellici strumenti.
Corruscan l’arme crude. N’è la volta
stellata da’ fulgor accesa e punta.
Alto Lucifer s’erge in vasta mole.
Saldo di gran membra pe’ l’occhi avventa
orride scintille. Annerito e fosco
vibra mortiferi baglior l’arnese.
Di raccapriccio s’aggriccia l’alma luce
e fugge d’impure vampe’l sozzo raggio.
La proterva testa crolla un irsuto
cimier, che sferza l’aere e lo flagella.
970
975
980
985
990
995
1000
1005
Dardo imman protende la destra mano
con punta aguzza di nocente acciaro.
Brocchier d’opaca selce a la sinistra
tutto’l ricuopre. Qual terror non spande!
Ma ecco addursi qual rapid’uragano
Michel il forte, asperso la lorica
di luce fulgidissima, ch’abbaglia.
Brando serra di foco’l braccio invitto.
Alcuni avea seco scarsi compagni.
L’angelica comparsa ed improvvisa
rompe un poco e sosta l’avverso moto
de l’armate. Trista e ingannevol pace
esala e greve piove sui soldati,
presti a morte dispensar altrui. Grida
“Chi v’è qual Dio!” allor il prode celeste
spirto con potente fiato. A tai santi
detti rimbombar l’eterni chïostri
suso e giù ne’ bassi lochi, a oriente,
e del Ciel in ver’ l’occaso. Assai a quelle
rincuoransi parole i radi forti
de’ l’Onnipotente guerrieri. Il segno
di battaglia odi replicar sovente
con triplicata forza, sì ch’aggiunge
fin la superna corte, e ne scuote
le mete e le colonne, grata all’orecchio
fedel. Novo rintrona indi all’incontro
romor stridente, che dall’oste avversa
si spande qual furente tuono d’atra
aquilonar tempesta apportatore:
Non servirem! Non serviremo! E ancora
osan arroganti accenti le piagge
sturbar superne. Indi più nulla, e scontro
di Titani principia immantinente.
Raffael il possente con la sinistra
sua dritto volò contra l’adverso fronte,
che d’Ariel seguìa l’insegne. Qui ferve
e monta furibonda e bruta mischia.
Di numer son maggior i ribellanti:
pur in forse riman l’alea dell’armi.
Fiondasi Michel allotta a punire,
a ferir i luciferin ribaldi.
Qual urto tremendo e duro! Scuotònsi
dell’orbe celestial le fondamenta.
A precipite crollan fra un momento,
1010
1015
1020
1025
1030
1035
1040
1045
1050
e di ruïna ricoprian l’insana
pugna, che ribolle di sotto e ferve,
se man divina non sostiene e folce.
Discordi armonie, striduli concenti
Ciel Empireo assordan, e Cristallino.
De’ noderosi teli, di saette un nembo
funesto, d’aste e rapide quadrella,
ch’usberghi strazian di diamante, e l’alme
fregian felle, imperversa per l’etra
senza tempo. Van le schegge a volo,
che fan per tutto di procella un turbo.
Di duol, d’iracondia accenti, di santa
rivalsa, ch’impetran mercé, pietade
ricusan, ch’atra morte menan seco,
rabide pungon il mal uso orecchio.
Quei che pria dolci fratei stimavi,
alunni tutti del comun Parente,
quei che già stringeva amoros’abbraccio,
e quieti assieme contemplar vedevi
de l’eterna sostanza l’almo specchio,
or fatti nimici, aspramente, senza
tregua e venia dansi colpi e fendenti.
Santa vendetta alfin decreta Iddio.
Miran i mali di sgomento in preda,
sparuti noia dar e briga a coorti
d’ingente esercito quant’astri ha’l cielo.
Valor s’incrina, che tanto par saldo,
a poco a poco. Molti già fra tanto
rendonsi a nostrani. Disdegnan l’arme,
clemenza gridan piangolosi e smunti.
Invan Lucifer s’argomenta e prova
con appelli e proclami rinfrancarli.
Svanito s’è di seducenti labbia
brev’incanto e fatal facondia. Nulla
giovan voci sagaci contra’l ferro,
che celate straccia e squarcia pavesi.
Librasi con inesorabil lama
Michel sur le masnade in rotta. Senza
requie abbatte cui cessar scerne lento
da la pugna, e tardo depon la spada.
Al sinistro corno l’armati poi
di Raffael strazio fan di cui s’oppone.
Resa piatiscon a discrezion, di lungo
le spoglie gittando, che pria con stolta
1055
1060
1065
1070
1075
baldanza guernir spirito fellone.
Cedesi. Il ciel a manca si serena.
D’attorno sol al sovvertitor primo
ferve la lizza ancora. I men spauriti
e più ribellanti raunato ha seco
l’empio malnato. Stringonsi a la negra
insegna. Perfido furor guerreggia
oltra e di già tenta la prova estrema.
Michel quindi librar l’asta immortale,
benedetta, che le schiere travolve,
scorgi, e dritto nel segno tocca’l tronfio.
Ruina quello intronato. Giù veloce
precipita con strepito e fracasso,
e sovr’esso d’un tonfo crollan l’arme,
ch’avea brandite con sì ria stoltezza.
Al veder vinto e inerme’l capitano,
s’umilian i vassalli suoi di schïanto.
Venia con tardi pianti si mendìca
dall’offeso Nume irato, ma indarno.
Amaro quindi ebbe successo guerra
sanguigna, che’l Ciel turbò e sconvolse.
Colui che sol di sé vago, sedusse
altrui su impervie e scoscese strade
di scelleranza, tutto dissipò
in brev’ora, e inquieto e pauroso attende
senz’appello imparzial giusta sentenza. (parte)
Scena Seconda
Raffaele, Michele.
RAFFAELE
1080
Al Signor de l’eserciti la laude,
che vincitor colui rende mai sempre,
ch’a Lui ricorre, ed umilmente invoca.
MICHELE
Tripudi del Ciel la leal famiglia!
Divi trionfino i misteri! Vittoria
1085
canti d’un tal Rege celeste tromba.
RAFFAELE
S’allietin le sublimi chiare spere,
de lo splendor splendenti del Sire
perenne di gloria, e credan ormai
che l’orbe sicuro per tutto e scevro
1090
di negra caligine stassi orrenda.
Non a noi, Signor, sol al Nome Tuo
sia gloria senza fine.
MICHELE
Il far silente,
or lo vedi, generoso Raffaele,
che Dio tenne in sì grand’affare, savia
1095
prova ancor fue di Sua Provvedenza
altissima. Sì Maestade divina
saggiar volse la fede nostra, il patto
di gratitudine ch’a Lui n’avvinse
quando ne fece l’individua Terna.
1100
Grata pugnò milizia, che prevalse
nel Signor nostro Dio l’empio rubello.
Gustammo ben tra le brandite lame
la possanza di Lui invitta.
RAFFAELE
De’ vinti
avversari che faràssi, o Michele?
1105
Che comanda il Padrone Onnipotente,
l’Altissimo Duce? Vuol che s’annienti
di lor ogni memoria, che s’annulli,
e traccia non resti alcuna a’ futuri
tempi? O che vivan per esempio eterno
1110
d’implacabil giustizia? Dì! Opreremo
esatti ognor al Suo comandamento.
Gabriel, tu che da presso sempre stai
al Senno divino, da te s’attende,
cesareo nunzio, istruzion novelle.
1115
Seco giunge in catene – qual repulsa!
stolto prigione ancora.
Scena Terza
Raffaele, Michele, Gabriele, Lucifero.
MICHELE
A tal sembiante
oscuro e tristo, mai più di pietà
degno, altro il cor ch’ira e dispetto
sdegnato bolle e furibondo avvampa.
RAFFAELE
1120
L’ale cangiansi in squallido apparato.
Bruttansi i vanni in turpi stecchi stigi
e d’irco irsuto sbava orrendo ceffo.
Qual aurea corona ti cinge l’empia
testa, dimmi, sconsiderato spirto?
1125
Qual scettro guadagnò, qual regno mai
tant’insensato strupo e insan’insulto?
D’immortali ferree catene vai carco
eternamente, eternamente escluso
dal divin raggio. Gaudio perpetuo
1130
s’è per te in bïeco furor converso.
LUCIFERO
Pietà, mercè, pentito invoco. Al soglio
estremo del sommo Giudice acclamo.
Clemenza non si disdegni a cui almeno
parte fu servo fedel, e all’iniqua
1135
mente s’indulga. Fratel vostro sono,
pur s’infame e fello ministro fui
d’eccelso Sire. Per me s’interceda,
per me s’impetri pace e perdono!
Ahi! Ahi! D’un’ora, d’un lampo, di breve
1140
momento sciocco fallo, non obblii
servizio antico, amor verace un tempo.
MICHELE
Vanamente favelli. D’amicizia
scors’è già’l tempo, e d’imbelle concordia.
RAFFAELE
Taciti stiam tutti invece. Gabriele
1145
udiamo.
GABRIELE
Con savissimo giudizio
l’alta Mente, che governa il mondo,
al dì prestabilito ne condusse,
questa fatal giornata. Dagli abissi
del nulla Misericordia ne trasse
1150
alla luce eternal. Giustizia volse
poi sperimentar il cor nostro, l’imo
volere, s’in lui ossequio avea ricetto
e riconoscenza, o altro indegno affetto.
Con gran pompa così e universal nuova
1155
l’amabil legge da me fu a voi tutti,
stirpe del Ciel, narrata. Ognun udilla
da un capo all’altro tosto de l’eterea
patria. Occhio onniveggente e santo
i moti spiava, i sensi, i pensïeri,
1160
ove piegasser, de l’angeliche alme,
se a obbedienza intégra, ch’umil conosce
e’l divin mandato accoglie con ferma
fede, o a sciocca di sé presunzïone,
che da letal superbia, di peccato
1165
noverca, procede. Di libertate
ecco’l dono, ma con inegual effetto:
ad alcuni eterno gaudio produce,
strazianti non sanabili martìri
sempiterni in altrui. Liberi oprammo
1170
sciolto voler, o abusando, or pel bene,
or in prava parte. Ciascun riscrisse
di sé così’l destino. Non s’incolpi
il Fattor nostro allotta. Sol sovra noi
ricada’l delitto, giudici fatti
1175
di noi medesmi. Chi’l mal scelse, male
aggia in sorte. Al ben qual s’affisse, eterno
contento volse felice. Librando
il Rimunerator, con lance esatte,
che non erra, i pregi d’ognun e i torti,
1180
altrui darà pari al suo merto. Quale
compenso non t’acquisti, buon Michele,
e teco quei spirti tutti ch’in campo
valenti ti fur compagni!
MICHELE
Celeste
pietade, in rischioso estremo cimento
1185
ne custodì e protesse.
GABRIELE
Pregio al vostro
ardir certezza impensata.
MICHELE
Servire
eternamente, mai sempre la sacra
Trïade adorar, del suo fulgor sempre
bearsi e gaudio trarne.
GABRIELE
Ne satis, Prence,
1190
ma starsi sicuro e certo, ch’alcuno
ormai, dopo la pruova, né voi stessi,
se possibil fusse, più sottrarravvi
a Sua Bontade.
MICHELE
Ahi! Arcano e oscur’enigma
n’accenni, che, non compreso, supremo
n’apporta contento.
GABRIELE
Liberi foste.
1195
Alma serafica, dopoi’l cimento,
fia fissa in quel ch’elesse. Eterno Sole,
a te, Michiel, che d’Iddio le parti
avesti in grado, de’ divi rai parco
non fia. Quest’è il fregio sublime, il premio
1200
estremo. Grazia s’eterna in perenne
gloria adamantina, cui non v’è fine.
MICHELE
Nulla v’è più ch’aver clemente Sire
per mercede.
GABRIELE
Pur, ancor non s’appaga
l’Altissimo dispensator. Perdette
1205
Lucifero tra le celesti schiere
l’esimio grado, cui Dio destinato
l’avea. Or a te quel loco si concede.
Tu gran Principe, solenne’l proclamo,
ora sei della spirital milizia.
1210
Sua Cesarea Augusta Altezza t’investe
del rango nell’eccelsa corte il primo.
MICHELE
I detti mancan, Trinità pietosa,
per render degne grazie d’un indegno.
GABRIELE
Del mondo’l Sire ne l’interno petto
1215
sol mira, e in te vivissima fontana
vi scorge d’umiltade. E tu, Raffaele,
condegno onor grato accogli e felice.
RAFFAELE
Son preste l’arme mai sempre a la difesa
del regal soglio.
GABRIELE
A guardia e custode
1220
quindi Iddio te consegna e vuole de l’umana
prole. Tu la proteggi, e la salva d’avverse
turbe, fin allor che’l Salvator beato
non giunga a compir la grand’opra Sua.
LUCIFERO
Or comprendo, misero, e me n’avveggo
1225
indarno: mal’oprai, Gabriel, fratei,
amici. Non possibil pur m’assembra
che’l Signor che produssemi sì vago,
terso speglio di Suo infinito lume,
me in eterno degradi e disconosca.
GABRIELE
1230
A Sovranità infinita fu ingiuria
massima, e la pena pur senza fine
sarà. Senza cessa ti strazierai
con l’empia compagnia de’ tuoi sicari.
Verminoso rimorso d’aver tutto
1235
sciupato per un vano folle vanto
l’alma roderà sozza in sempiterno.
A quel Dio-Uomo, che tanto aborri, devi
pur mal tuo grado sottostar. Cangiata
non è altro ch’in peggio per te la Mente
1240
diva.
LUCIFERO
Annichilar almen conceda’l Nume
quel che più mai non fia come dinnanzi.
GABRIELE
Te’l disdice. Intelletto, eterno spirto
e voler è teco, i quai Iddio non spoglia.
Volgonsi già in pessime e turpi guise
1245
illustri pregi.
LUCIFERO
D’odio e livor si pasce
il tristo cor ver Colui che perfetto
m’amò, cangiò dipoi, disvolle e perse,
qual gradì in prima.
MICHELE
Tuo fu’l fallir. Cieco
furor t’annebbia’l retto senso. Pravo
1250
pur salutar esempio alla creatura,
che non brami quel che desiar non lice
contra’l Cielo, ed entro fissati lidi
dall’eccelsa Ragion si tenga umìle.
GABRIELE
Ristar al reprobo e alla sua masnada
1255
ne l’alti chiari Cieli è ormai interdetto.
Dal santo cospetto cacciato sia.
LUCIFERO
Tollerar l’alma malvagia quest’aere
non sa. Soffrir non puote viste vostre
e Chi v’inspira. M’è d’uopo fuggire.
GABRIELE
1260
Oscuro regno d’orride tenébre,
ove foco eternal ange e martira,
e senza requie castiga, l’invitto
Monarca in eterno a te e a’ tuoi destina.
Là di ritrarti immantinente impera,
1265
ove regnar potrai, gramo compenso.
Quivi nel celeste reame per sempre
l’adito t’interdice. A te, Michele,
il dever si commette insulti estrani
di tai reietti spiriti maligni
1270
d’impedir.
MICHELE
Con diligenza in sull’arme
veglierassi.
LUCIFERO
Così pur non fui in tutto
vacuo profeta. Un regno, ma di duolo
aspro crudel s’acquistò l’ambizione
superba. Avrò in eterno maldisposti
1275
sudditi e basso trono e grave scettro
e d’inestinguibil odio corona
e tenebroso core, di malvagie
opre e pensier orditor indefesso.
Assera mesto del primo mio giorno
1280
il dì fatale in procelloso vespro,
cui seguon sempiterni orror notturni,
di stelle ciechi e luna e d’almo sole,
colmi d’amara doglia e van rimpianto.
Funereo e scarso pregio, d’infinito
1285
cordoglio e lagrime sol degno. Tutto
è perso, prescritt’è tornar addietro.
Libertà, libertà! Come tuo nome
indarno suona, or che’l Bene ho perduto.
MICHELE
Caccia fuor, Raffael, la sciaurata turba
1290
ne’ bui meandri dell’Erebo dolente,
là’v’è strazio, lutto e stridor di denti.
Ferminsi di diaspro quindi l’antiche
soglie. L’eterne porte d’or del luogo
santo s’abbian salde sbarre e catene
1295
1300
1305
di diamante, ch’esti tristi figuri
più mai non tentin accostar da presso.
Del Paradiso i sacri atrii sciolti
fian e dischiusi di tai serrami,
allor che’l divo Nostro Rege l’alme
redente e salve adduca nel gran giorno,
qual de’ Suoi travagli preziose spoglie.
Al stellante trono, quindi, a l’aurato
soglio si vada tutti a prostrar sensi
umìli e scarsi di grato e sommesso
zelo al tre volte Santo alto Signore.
ATTO IV
Siamo ora sulla terra. Michele avverte Lucifero che Dio gli permette di tentare
l’Uomo da poco creato e posto nell’Eden. Michele quindi ricorda ad Adamo e alla
moglie Eva i benefici di Dio, ammonendoli che solo un precetto viene loro imposto,
quello di non mangiare dell’albero della scienza del bene e del male. Se ne gusteranno
il frutto, la pena sarà la morte. Lucifero inizia quindi a circuire l’uomo. Sa di non
riuscire a convincerlo a infrangere il divieto, ma si accontenta di distrarlo dalla
preghiera, approvando la sua idea di circondare l’albero fatale con un recinto.
Giunge Eva in cerca di Adamo: lo aspettava per la preghiera vespertina, ma il marito
non si è fatto vedere. Il demonio instilla nella donna risentimento verso Adamo,
dicendo che l’uomo l’ha lasciata sola per andare in cerca di legna, ma non sa per
qual uso. Poi finge di non sapere del divieto. La donna glielo espone, ma il demonio la
contraddice: non ne ha mai saputo nulla, anzi è un inganno di Dio. L’Eterno sa che se
Adamo ne mangiasse diverrebbe come Lui. La donna è spinta al peccato. Ne prende e
ne mangia e se ne va in cerca del marito per convincerlo a fare altrettanto. Adamo è
stordito dal comportamento della moglie, e di fronte ai lamenti e alle lagrime di lei,
pur riluttante, ne prende anch’egli un boccone. Sentono allora di esser nudi e cercano
di coprirsi e nascondersi nel folto della selva.
Scena Prima
Sulla terra.
Lucifero, Michele.
LUCIFERO
A che m’assilli, sgherro del tiranno?
A che m’astringi a questa bieca luce,
l’orrida bandita quiete del buio
infernal? Qual novo spediente mai,
1310
Trini despoti, v’ingegnate? Alla cella
mia lassatemi. A bastanza punito
non fui? Qual crudeltate è mai codesta?
MICHELE
Mai non deporrai, spirto perverso,
l’infinto ingegno. Calcitri pur sempre
1315
a’ superni cenni. Bada che il telo
mio non t’avventi. Ben ben l’assaggiasti.
Ancor n’hai segnata l’alma rubella
e cruda. Quanto t’abbia allor giovato
esta protervia, il sai.
LUCIFERO
Dimmi succinto.
1320
M’abbarbaglia di sì insensata pompa
l’aspro lume, e m’ingolfa il cor lo schifo.
Pianeti erranti, stelle, luna, sole,
acqua, foco, aere e la melmosa terra:
qual gran macchina! Qual sublime parto
1325
d’immaterial Sovrano addurre al mondo
corporea massa caduca per vile
soggetto.
MICHELE
Ancor t’aggrada la bestemmia,
sozzo fellon, d’ogni menzogna esperto.
Pena nova t’ammanna’l Giusto Rege,
1330
cui contrasti indarno. Eppur il superno
soglio t’ingiunge singolar precetto.
LUCIFERO
Annuso nova fraude, ma sottrarmi
non poria. T’odo adunque. Espon il caso.
Di Lucifer adunque pur v’è duopo.
MICHELE
1335
Ecco il gran comando. Quando parratti
momento acconcio, con l’inganni assagli
l’uom novello.
LUCIFERO
Ruinar poss’io l’eletto?
Il prescelto? Il felice cui me Iddio
pospose?
MICHELE
Dissi. Falli a senno tuo.
1340
T’avviso pur che quando, malo spirto,
vincitor di lui ti fessi, ancor ruina
ten fia dolorosa e greve. Contezza
t’abbi che li troni e i gradi appresso
dissipati da voi l’eterno soglio,
1345
una volta detrusi nell’abisso,
d’Adam fian e de’ figli sui per dote.
LUCIFERO
Famelico e smanioso’l cor si strugge
di tal birbante a gratuir il crollo.
Vedrassi, quando’l colpo a segno aggiunga,
s’in alto più d’assecondar si stimi
il tristo, e servar antica fede
e impromessa.
MICHELE
Fedel l’eterno Sire
ne’ secoli de’ secoli pur stassi.
Or vanne in disparte un poco, e ascolta.
(Lucifero si nasconde)
1350
Scena Seconda
Michele, Adamo ed Eva.
ADAMO
1355
Vien, dolce moglie, San Michele vedi,
di Dio milite alato, già n’attende.
Salve, il Padre sempre t’onori e regga,
nunzio celeste.
EVA
Spirito cortese,
il Ciel siati benigno sempre.
MICHELE
Fido
1360
Adam, salute, e a te, donna di colpe
intatta. All’appello ratti giungete.
In ver cose di non parvo momento
avvisar vi debbo.
ADAMO
Il Padre comune
al certo ricolmarne ancor disia
1365
di Sue grazie immortali. Ogni giudizio
di Lui n’è dolce pruova di Sua Mente
gelosa. Dinne, orsù, splendente spirto.
MICHELE
Ne trasse Ei dal nulla abissal, là v’era
freddo silenzio e buia quiete. Dienne
1370
ogni bene, vita perenne, eterna
grazia. Il mondo material, l’animali
di terra, l’erbal famiglia, le schiere
notanti del mar concesseti in dote.
Una compagna a te simìl infine,
1375
conforme al grado tuo, al fianco pose.
Or sicuri e contenti dimorate
bëati in codesto verzier sublime.
Qui aer tepido e leve sempiterno
spira a carezzar piagge, campi e colli.
1380
Qui d’acque cristalline e chiare sgorga
purissima fonte qual dolce poto.
Quivi d’ogni arbore gentil si spicca
sapido e nutriente’l frutto. Nel cuore
di Paradiso della vita ammicca
1385
la miracolosa pianta, che morte
fatal debella e vince. Ti rese
il superno Rege donno del tutto
e signore. Ei t’investe di sì vasto
e dovizioso regno. Lo governa,
1390
con sapienza reggilo e temperanza,
e godine tu e la posteritate
tua con successo propizio.
ADAMO
Ricolmo
il petto di grato e riconoscente
affetto, tutt’arde. Ricambiar tali
1395
benefici poss’io?
EVA
Il generoso
Nume ancor io ringraziar m’aggrada.
In eccesso munifico ver’ noi
Si mostra.
MICHELE
Con studio serbate e cura
amorosa sì bel giardino.
ADAMO
Lieve
1400
n’è il precetto.
MICHELE
Con sagacia sia colto,
sì che renda d’ogni frutto abbondante
incetta.
EVA
Soave piacer par codesto.
MICHELE
Attenti udite l’estreme parole
mie. Del legno che del ben e del male
1405
s’appella, nulla mai mangiate, nulla,
conciossiaché altrimenti ne morrete.
In qualunque dì (che non voglia Iddio)
di tal frutto vi sazierete, morte
fia il guiderdon che’l Ciel v’intìma.
ADAMO
Saggio
1410
è l’appello tuo, Michel. Leggier parmi
di tal divieto l’utile rispetto.
EVA
Trino Signor così n’impera. Dolce
è tal precetto e nel mio cor ben fisso.
MICHELE
Avvisati ne siete. Consapevoli
1415
di tant’ammonimento e savia norma,
ben pensate e meglio oprate. La notte
breve scorre e presto il mattin sorgiunge.
ADAMO
Alma gentil, ad orar ben n’inviti.
EVA
Caro sposo, n’andiam. Le preci nostre
1420
grate all’alta corte Michel n’adduca.
MICHELE
Plorate in tentazion per non cadere.
ADAMO
Salve. Ancor tu per noi intercedi.
EVA
Addio.
Custodisci, buon frate, l’alme nostre.
(Adamo ed Eva escono)
Scena Terza
Michele solo.
MICHELE
Di casta voglia son i duo conquisi.
1425
Principio santo s’ha perseveranza
per compagna fida ad ottimo fine
ne mena sempre. Paventane un poco
il cor, ch’intravede di quel malvagio
li raggiri intricati e l’omicida
1430
intento, fecondo di gran menzogne.
(esce)
Scena Quarta
Lucifero solo.
LUCIFERO
Sante voglie … buon principio: ah! prolissa
litania. Ancor ti mostri ingiusto, Nume
avverso e scaltro! A me t’attraversasti
con durissimo inciampo, per mera
1435
unir natura dia col limo immondo.
A pro’ di lor Ti basta l’astenersi
(davver complicata impresa!) d’un frutto,
per mertar eterni seggi e corone
sempiterne e del regno senza fine
1440
aver parte sicura e scevra di mali.
A che sì disdicevol preferenza?
Monta e s’estolle furibonda rabbia.
Ogni mezzo, in opera, ogni artifizio,
porrò a capitombolar il diletto
1445
suo. Nel loto l’invilupperà mia
saggia frode. Inventa, alacre intelletto,
escogita, rimugina, scervella.
Arduo passaggio! Chi tanto mai vano
sarìa ruinar per un picciol pomo
1450
sì vasto e gentil impero, ch’ad altro,
ben maggior di pregio, dirittamente
il mena senza travaglio, o fatica?
Tanto sciocco sei, uomo? All’eccesso amato
inutilmente? Bada, or la vedremo.
Scena Quinta
Lucifero, Adamo.
ADAMO
1455
Qual sei? Pria non ti scorsi mai in codesto
mio bell’orto? Di lungo resta! Quello
periglioso è loco assai.
LUCIFERO
Sollo, amico.
A questo fin qui m’appellò Michele.
A guardia stommi d’arbor sì prezioso.
Non udisti forse il divin diniego?
A niun si concede manducar d’este
1460
bucce.
ADAMO
Spirto tu se’, o bruto? Non bene
il scerno. Pur detti favelli accorti.
Edotto ne son di castigo e pena.
Morte! Ahi, formidabil e duro verbo,
che minaccia’l Ciel al fallir dell’uomo.
LUCIFERO
1465
Che t’aggiri adunque in recesso tale.
Bastante son io a lunge stornar mani
impronte e stolte.
ADAMO
Non quivi m’addusse
diporto ozioso, di pregiato tempo
rio sperditor. Mezzo e modo involgea
1470
la mente, onde assicurar questa parte
sì incarca d’atri perigli. Un concetto
non preveduto poi qual fior spuntommi:
scorza fatal circuir d’alto palizzo.
LUCIFERO
D’innumeri legni e stecchi e virgulti
1475
t’è forza allor giovarte.
ADAMO
Sì ben. Dubbio
m’affligge peranco l’alma: s’io debba
in guisa stenderlo d’inteste croci,
onde impenetrabil si stia mai sempre,
o vero li pali ficcar diritti,
1480
l’un all’altro congiunti e stretti. D’accesso
angusto poscia munirollo, ed io
solo d’andito tal terrò le chiavi.
Neppur la moglie ne saprà l’arcano.
LUCIFERO
Se di ria presunzion non merti taccia
1485
l’ardir mio, e tu d’imprudente, ascoltando
avviso d’estrano ignoto, buona cosa
parmi lo steccato struir con dritte
antenne e stanghe. Il modo in croce stimo
arduo d’assai, e di troppo lungo tempo
1490
bisognevol. Saggissimo consiglio
poi celar alla donna tua’l disegno.
ADAMO
Di ragion non manchi, amico. Sorgiunto
ma ecco è del vespro l’ora. Della prece
serotina batte l’alma stagione.
1495
Ti lascio, e recoti le grazie delli
sapienti e acconci ammonimenti.
LUCIFERO
Adamo,
antico detto mai non apprendesti?
ADAMO
Di che parli?
LUCIFERO
Qual ben principia a mezzo
sta dell’opra sua. Ben congetturasti
1500
sostanzial idea per serbarti fido
al gran imperio. Or t’è uopo in sull’istante
proceder al fatto. In cerca convienti
gir di fermi pali, d’antenne e rami.
ADAMO
L’orazion di posporre mi persuadi?
LUCIFERO
1505
Che fia? Che ti par prevalente impegno?
Da pianta tal non pende forse tutta
felicità tua e de’ posteri e nepoti?
Poscia che’l travaglio fornito sia,
con la donna prega e riprega Iddio.
ADAMO
1510
Al ver t’apponi. Brilla ancor lo cielo.
Luce riman, pria che cosparga notte
suo bruno ammanto a covrir l’antica
madre. Le grazie ancora, spirto o bruto
qual tu ti sii. Vo’ gir. Iddio ti salvi.
(esce)
Scena Sesta
Lucifero solo.
LUCIFERO
1515
Comodo e leggier non fia gabbar esto
usurpator del soglio mio. D’un punto
godomi vantaggio, e di gran pondo.
1520
Dal pregar il distolsi: passo primo
letal ver’ mortifera ruina. Quello
salvasi, che prega; chi orar non vole,
dannasi al certo. Donna, ove sei tu?
Vien! Che al crogiul saggerò dell’arguzia
mia la magna tua virtù!
Scena Settima
Lucifero, Eva.
EVA
Dove stai,
Adamo? Chi mi t’asconde? Alla prece
1525
t’attesi indarno? Adam vien fora? Sola
restai.
LUCIFERO
Madama, se dell’uom ti lagni
e piangi, lui il vidi poc’anzi.
EVA
Serpe
parlante, davver vedustù l’Adamo
mio? Qualche infortunio il colse?
LUCIFERO
No, certo,
1530
donna. Spira e parla e ottimamente
pensa. Il vidi, replico, or non molto.
EVA
Che fa? A che non va dalla moglie sua?
LUCIFERO
Gran incombenze, dissemi, grand’opre.
EVA
Nulla mi disse. Contezza ho di nulla.
LUCIFERO
1535
D’abeti, frassini e pini gran copia
raccoglie. Dell’orto nella sinistra
landa sen gisse in traccia di materia
molta.
EVA
Strana foggia e condotta astrusa!
A qual uso ricerca mai tai stecchi?
LUCIFERO
1540
Saggio par il disegno, a quel che disse.
Abbelir intende la magion vostra
di siffatti arredi.
EVA
Per bagatelle
celeste orazion intermette, quando
sì acerbo divieto Michel divulga.
LUCIFERO
1545
Bella Madonna, qual dissenso accenni?
Dimmel tosto, ch’i’ non trabocchi in qualche
odïoso fallo?
EVA
L’angel ne mise
in su l’avviso, che mai di quel legno
le succose spoglie s’han da gustare,
1550
oppur calamità verrànne, e morte.
LUCIFERO
Certa sei di tal diniego? Fidata
di tal estrana legge sei? L’Adamo
tuo, che pur qui d’appresso vidi, niente
m’ammonì.
EVA
L’udii la terribil voce.
1555
Qualunque il pomo assaporar ardisse
dell’arbor che’l mal dal ben discerne,
atra morte avrà in sorte. Anzi anco’l tocco
fia periglioso all’incauto, e mortale.
LUCIFERO
Ch’un picciol frutto tanto duol comporti,
1560
parmi misterio oscuro. No! L’Iddio,
ch’io ben conosco, modo tal non have
in grado. Di morte voi non perite.
Il Ciel v’inganna. Sanno colà suso
ch’allor che ne cogliete, l’occhi vostri
1565
fian dischiusi, ed eguali a Dio sarete,
l’uomo e la donna sua, così del male
e del ben esperti e noti. La buccia
rimira e sguarda: vaga non è forse,
lucente e bella? Ah! qual profumo esala
1570
dolce e soave al gusto, sicché n’invoglia
forte al morso. Afferra, prendine tosto,
assaggia. Il bene sol deriveranne.
Gusta su!
EVA
Buon angue, di te m’affido.
Prudente m’assembri e savio. Il manduco.
Ecco, ah! zuccheroso e dolce al palato.
Godimento mai pria esperto!
LUCIFERO
Al marito
indi non negar tal delizia. Colui
ancor merta un boccon di sì gradita
innocente leccornìa. Che ti dissi?
1580
Nulla t’accade di spiacente. Morte
cotal della medesma vita è meglio.
EVA
Adamo? Ove ten stai? Mio sposo, dono
incommensurabil t’apporto, e caro.
(esce)
1575
Scena Ottava
Lucifero solo.
LUCIFERO
Mio sovrano ingegno, mente geniale!
Sedotta seduttrice ora farassi
del drudo suo. Ciò che fòrami stato
non possibil, lieve diventa. Sua
femminil petulanza torcerà
1590
al mal fare sì avventurato sposo.
Ne trarrai ancor, inaccessibil Nume,
di tai sciaurati li sublimi effetti?
Me concederai ancor qual vasto regno
questa corporea mole. Sovrano
1595
di duo soggetti infidi e della prole
maculata m’arrogo e a morte additta.
Ah! fosse codesto almen d’aspra pena
l’inutil consolamento.
(esce)
Scena Nona
Adamo, Eva.
ADAMO
1600
Mia donna,
qual danno! Ferreo era il precetto. Nulla
gustar possiam d’arbore della scienza.
Ah! che di tradigione non s’avveri
sì nera’l funesto premio.
EVA
Assaggiai,
ed ancor son viva. Nulla m’accade.
Tal editto non comprendemmo forse
1605
a pieno. Anzi, il Nume privarne intende
di beneficio maggior.
ADAMO
Vaneggi, donna!
EVA
Carne i’ son della carne tua. Diletta
del viro mio più non son? Ahi! Amor breve!
Perché sì aspri e duri biasmi? Marito,
1610
deserta vorrai e sola ch’io rimanga
in solinga contrada? Ove ricovro?
Affetto più non t’allice alla donna
tua, suora e compagna?
ADAMO
Mia sposa sei.
EVA
Non rammenti del Ciel la legge. Stretta
1615
sia la donna al sposo suo con vinciglio
indissolubile.
ADAMO
Gran duol m’opprime
alle lagrime e alle querele tue.
Cara, Eva, mi sei qual prima. T’acqueta.
EVA
Ancor tu prendi allor del frutto. Mangia.
ADAMO
A formidabil passo mi scoscendi.
1620
Erompe il cor dal petto. Ma ne colgo
anch’io. Mangio. Assaporo. Eguale sonti
nel pervertimento. Del pudor fiede
l’affilata lama. Covrir n’è forza
denudate parti.
EVA
Il fico n’appronta
1625
di sue late spoglie. A velar son atte
le membra già innocenti e immacolate.
ADAMO
Laggiù, in quell’oscura selva, laddove
il sol di rado aggiunge co’ suoi rai,
celiamci all’occhio divin onniveggente.
ATTO QUINTO
Raffaele riconduce sulla scena i protagonisti del tradimento, Adamo, Eva e Lucifero.
Michele chiede ad Adamo perché, a differenza di prima, si è nascosto nella foresta.
Adamo si sentiva nudo e ne provava angoscia. Questa è la prova, replica l’Arcangelo
del suo peccato, che lo ha privato della grazia. Fu la donna, si protesta Adamo, che
Dio gli diede per compagna, a spingerlo all’infrazione della legge divina. Eva,
interpellata a sua volta, scarica la colpa sul serpente-demonio. Michele costata che
nelle loro parole non v’è traccia alcuna di pentimento e che quindi la condanna è
inevitabile. Inizia quindi col pronunciare la sentenza di condanna contro il Demonio,
che viene confermato nel suo stato di disgrazia e inimicizia verso Dio e l’uomo. La sua
vittoria sarà inutile, perché Dio – nonostante l’infedeltà dei progenitori – rimarrà
fedele alle Sue promesse. Quindi viene confermato al Demonio che Dio si unirà
all’uomo nell’Incarnazione. La donna così in pena della sua caduta, essendo stata
sedotta da Lucifero, sarà punita col dolore del parto e con la sottomissione al marito.
L’uomo, che ha preferito l’amore compiacente verso la donna, all’amor di Dio, sarà
espulso dall’Eden e dovrà per il futuro guadagnarsi da vivere con sudore e fatica,
perché la natura, da amica e sottomessa che gli era, ora gli si ribellerà contro. Così,
mentre Lucifero è confinato nell’Inferno, i due primi uomini sono cacciati fuori dal
Paradiso terrestre. Davanti all’entrata veglia armato Raffaele con la sua spada
splendente.
Scena Prima
Michele solo.
MICHELE
1630
A premer ritorno maligna scena.
Santo rigor m’impone il giusto Cielo
d’emendar tre malfattori. La lingua
è muta sì diro delitto innanzi.
Già col ferro immortal trafitti e spenti
1635
nella polvere langueriano essangui,
se l’eterna fedel Triade commesso
non m’avesse arcano officio, pietoso
ad un tempo e aspro di giustizia salda.
Sonsi stoltamente ascosi, ma v’è
1640
chi costà fuor trarralli.
Scena Seconda
Michele, Raffaele, Adamo, Eva e Lucifero.
RAFFAELE
Diva voce
udiste: pur acquattati ne state
infra la verzura folta. N’uscite
alla brillante luce del meriggio.
MICHELE
Dove t’aggiri, Adamo? Perché tardi.
RAFFELE
1645
Qual fera in buia lustra s’appiattava
con la femmina sua nel mezzo della
selva.
MICHELE
L’attoscata bestia ancor, l’angue
mortifero e fello, ben m’hai condotto,
prode Raffäel.
LUCIFERO
Sperimentai tanta
1650
gradita riconoscenza.
ADAMO
Il terrore
di mia nuditate l’alma sgomenta,
onde m’occultai e ascosi.
LUCIFERO
Nudo et orbo
di grazia rimani, e di vita e d’ogni
dovizia d’esto giardin. Tutto hai perso
1655
scioccamente, per un morso di mela.
RAFFAELE
A suo tempo vedrem tue gran conquiste,
scellerato. Or taci, che de’ ventosi
vanti non lieve ti fia il compenso.
MICHELE
Se l’esser nudo t’amareggia, Adamo,
1660
indizio rio ne dice che del legno
interdetto manducato n’hai, rotta
la fe’, le terga volte al tuo Signore
e Padre e sublime benefattore.
ADAMO
Quella femmina fue, ch’Iddio mi diede
1665
per socia e compagna. Ella porsemi’l pomo
con querimonie e strida, e ne mangiai.
MICHELE
Tua indi non è la colpa, s’innocente
ti vanti. E tu donna, perché l’hai fatto?
A che ti spingesti mai al crudo passo?
1670
Palese non t’era il sovran editto?
Pel reo evidente la pena non t’era?
EVA
L’angue col mêle m’ingannò e sedusse
de’ sui accorti accenti. Avvinta restai
di sue menzogne al dolce. Di giù caddi
1675
per lui.
RAFFAELE
Donna, non stimasti ch’editto
sì tenue obbedïenza t’insinuava,
che di tutte l’altre virtudi è madre
e custode? Vantaggio qual creatura
hai sol nel star sommessa. Gran dannaggio
1680
bensì sprezzar del Sommo Sire il Velle
amabile e sopran. Sacrificare
un sol gusto e soltanto un vitto, quando
innumeri dinanzi et abbondanti
t’avevi, parvo davver t’era mandato
1685
e d’assai a mentovar leggiero e presto.
Brama avida di soprastar ancora
non oppugnava bona volontate.
In tant’ingiusta guisa disciplina
rotta fue diva, quanto più capace
1690
n’era l’osservanza. Ahi, misera femmina!
l’interdetto frutto, pulcro e succoso
t’allettava, ma ben più t’aggradì
quella parola: Qual Dio voi sarete!
Te medesma, donna, amasti, in quel pomo,
1695
e n’apprenderai la virtude acerba.
Se il bene pria conoscevi, sapere
il mal ecco ora convienti e sua pena.
MICHELE
Certa la colpa e il fallo manifesto,
ma ancor tergiversate in vani appigli.
1700
Inchiesta di perdon non odo o sento.
Di riparazion tace vostra lingua,
sol di superbia motti proferendo.
Gran mastro fuvvi quell’orgoglioso empio.
Inevitabil la sanzion sovrasta.
LUCIFERO
1705
Se fioco era’l comandamento, un soffio
sufficit in soggiogar diva coppia
regal di Paradiso, del Grand’Uomo
progenitrice santa.
MICHELE
Maledetto
d’eterna esecrazion sarai, colubro,
1710
in fra l’animali tutti e le fiere
della terra per quel ch’hai qui insozzato.
Sovra’l petto rio rependo andrai. Terra
fia per l’eterni giorni la vivanda
tua. Ten glori di tanta gran prodezza?
1715
Bramato di porre hai il superbo capo
sovra le stelle, or tua superbia è oppressa
fin’all’inferi, e sminuita, e spenta.
Disiò l’invido cor dell’uom la morte.
Emulo’l rendesti nella rivolta
1720
e socio nella dannazion divenne.
Già eletto e lusinghier, splendente spirto,
sì nobil et intelletto sì distinto,
or tu se’ corruzion e impura tabe.
Immondo fia’l titol tuo proprio.
1730
Altro che di sporcizia e vil lordura
involvi la perversa mente in cerca
d’adepti stolti, che nel paltan lercio
di tuoi dettami, di putrido fango
ingozzin l’empio gorgozzule.
LUCIFERO
Il fiero
1735
Autocrate così mi ricompensa?
S’impingua il regno mio di spoglie tali.
Pur la guerra ch’eternamente accendo
di contro il Ciel e li stellanti chiostri,
seguiterò ancora – fato infelice –
1740
conscio di sua inutilitate appieno.
MICHELE
Morte eterna è la vita tua, Demonio,
duolo e pena il retaggio e il regno. Vinto
in sempiterno, trema: nemicizia
tra te porrò e la donna e sua semenza.
1745
L’altero capo calpesterratti Ella.
Or che ti lodi e godi nello spirto
omicida e truce, or che vittorioso
esulti, t’annunzio ecco gran disfatta.
Eva novella, nuovo Adam predico.
1750
Insidiale le calcagna pur, attenta
l’alma e la virtude diva, chè gaggi
acconci ten verranno all’odio tuo.
LUCIFERO
Vaticinio oscuro parte comprendo.
MICHELE
E più l’apprenderai al tempo devuto.
1755
Or, Raffäel invitto, via bandisci
Satàn. Nelle buie grotte ruïni
del doloroso regno. Vanne retro.
RAFFAELE
Infame intelletto, t’interna e cedi
del Tartaro nelle spelonche sozze.
LUCIFERO
1760
Raffael, fu già tempo che per detti
tali…
RAFFAELE
Ecco mia fulgente lama. Indosso
la saggerai, se non dilegui ratto.
Colaggiù striscia, vipera maligna.
(Lucifero esce)
Scena Terza
Michele, Raffaele, Adamo, Eva.
ADAMO
A tal mostro agghiaccio, e s’impigra’l sangue.
EVA
1765
Empie luci mie, che’l mal preferiste
al ben, che sì brillante ardea. Perverso
gusto che sapienza dia anteponesti
di falso piacer al sapor fugace.
Mano incauta che stolta t’apprendesti
1770
tua ruinosa morte.
MICHELE
1775
Donna, a te dico,
ascolta. In pena di sì sconoscente
delitto, l’affanni tuoi e le dolenti
gravidanze ti moltiplica Iddio,
d’un modo che sporrai con doglia i nati
al mondo, e sotto gemerai l’impero
del viro tuo: egli saràtti signore.
EVA
Già provo ai concetti duri, dolenti
le membra e caduche e frali, di morte
alla nocente potestate additte.
MICHELE
1780
O uom, che primogenito tu fosti
dal Ciel beneficato, odi tua parte
e retaggio di sì inaudito caso.
Alle voci suadenti della moglie
desti bado, del legno ch’Io interdissi
1785
colto hai il pomo vietato. Maledetta
ti fia ed esecrata la gleba nell’opra
tua. Per tutti i dì pasciti di tua
vita con magna pena e gran fatica.
Spine e triboli e stenti e patimenti
1790
doneratti’l terrestre limo. Sudando
il pane procurerai, fin a tanto
ch’in terra cangi, donde fosti tratto,
ché sei tu polvere, e polve ritorni.
ADAMO
Moglie, che mai s’elesse? Compiacente
1795
stoltezza, odioso amor, fatal riguardo,
che tutto n’ha orbato. Iddio, Padre, dove
t’ascondi?
EVA
Sì, Padre, Padre, miserere.
Pietà, deh!, n’abbi di noi, ignudi corpi
e grevi.
ADAMO
Gelido serpe per l’ossa
1800
il rigor già. Ontoso pallor ne tinge.
RAFFAELE
Tocco di pietate l’eterno Duce
per ruinosa caduta vostra, d’esti
velli impon che vi copriate dinanzi
al prescritto bando.
MICHELE
Adamo, qual Triade
onnipotente ormai t’estolli, il danno
e il ben sperimentando. Ch’empia
mano non s’attenti mai, e’l legno colga
di vita, sicché ten sazi e prosperi
tu in eterno, e viva. Fier Raffaele ,
1810
i proditor espelli dal giardino
di delizie e diletto e beata pace.
RAFFAELE
Fuor, infingardi. Mio guizzante acciaio
s’affila in guarda sempre mai attenta.
Via, via, maledetta coppia!
EVA
Fatale
1815
morso, che’l ben ne furi! Ahi, pianto, ahi, duolo!
ADAMO
Cuor maligno, che perfido pascesti
amor di te medesmo, gusta or il frutto … (sono cacciati)
MICHELE
Cessin favelle! Scoscenda la scena.
1819
L’andito chius’è per sempre, e l’intrata.
1805
FINE DELLA TRAGEDIA
GLOSSARIO
abbarbagliare: balenare, sfolgorare.
abbellare: gradire, piacere.
accenti: parole, detti.
accidente: caso, evento, imprevisto.
accôr, accôrre: accogliere.
adamantino: di diamante.
addietro: indietro.
addurre: condurre, produrre.
addursi: arrivare, giungere.
adito: entrata.
adiutore: soccorritore.
adivenzioni: invenzioni.
adverso: avverso.
aere, aer: aria.
aggia: abbia, verbo avere.
aggradire: gradire.
aggricciarsi: ritrarsi, rabbrividire.
aita: aiuto.
alea: rischio, azzardo, incertezza.
allicere: allettare, attrarre.
allignare: attecchire.
allotta: allora.
alma: anima.
alunno: che è stato allevato.
amistade: amicizia.
ammansare: addomesticare, far mansueto.
amplesso: abbraccio, unione.
angere: angosciare, addolorare.
angue: serpente.
annichilare: annientare, ridurre al nulla.
appalesare: palesare, mostrare.
appo: presso.
apporre: cogliere nel segno, indovinare, contrastare, opporsi.
aquilonare: settentrionale, del nord, di tramontana.
arbore: albero.
ardirìa: ardirebbe, verb. ardire.
arnese: armatura.
assembrare: sembrare.
asserare: farsi sera, annottare.
astrale: celeste.
astringere: costringere.
atro: nero, oscuro, funesto, anche in senso figurato.
attoscata: avvelenata.
aurato: dorato, d’oro.
avventurato: fortunato.
biasmare: biasimare.
biasmo: biasimo.
brando: spada.
brocchiere: scudo.
buccinare: suonar di tromba.
caggere, caggio: cadere, cado.
cagione: causa, motivo.
calere: importare.
caligine: nebbia che oscura l’aria.
callido: astuto.
cangiamento: cambiamento.
cangiare, cangiato: cambiare, cambiato.
cao: caos.
capere: comprendere.
carco: carico.
cassare: abrogare, cancellare.
celata: elmo.
certame: battaglia, scontro.
cervice: testa.
cessa: fine, cessazione.
chieggon, chieggono: chiedono, verbo chiedere.
chiostri: luoghi.
claustro: porta.
cogitazioni: pensieri.
colassù: lassù.
colere: adorare, venerare.
colubro: serpente.
com’: come.
commettere: affidare.
concento: armonia, musica.
conciossiacosaché: poiché.
conquiso: conquistato, compreso.
conquisto: conquista.
contento: contentezza.
contra: contro.
copioso: numeroso.
corno: ala dell’esercito.
coro: schiera angelica.
cospetto: vista, sguardo, presenza.
coto: pensiero.
Cristallino: Primo Mobile, nella concezione tolemaica.
crudo: crudele.
cui: che.
dardo: lancia.
debile: debole.
decreto: decretato.
deggio: devo, verbo dovere.
deiforme: divino.
deitade: divinità.
deludere: ingannare.
derelitto: abbandonato.
desianza: desiderio.
desio: desiderio.
detruso: gettato, precipitato.
devere: dovere.
devria: dovrebbe, verb. dovere.
di lungo: in lungo.
dianzi: prima.
diaspro: pietra dura.
diniego: rifiuto.
dinnanzi: prima, un tempo.
diro: atroce, pessimo.
disdetto: revocato.
distretto: stretto, legato, avvinto.
disutile, disutil: inutile, vano.
disvolere: sconfessare.
divisamento: progetto, pensiero.
divo: divino.
doglia: dolore.
donno: signore, padrone.
dopoi: dopo.
dovizia: ricchezza.
drizzare: lanciare, scagliare.
dubbiare: dubitare.
dubbio: dubbioso.
duca: comandante.
duolo: dolore.
Empireo: Cielo dei Cieli, Paradiso.
enimma: enigma, arcano.
Erebo: inferno.
erta: cima.
esiziale: rovinoso.
estollere: innalzare, elevare.
estrano, estrana: strano, singolare.
eternale: eterno.
etra: lett. etere, cielo.
evo: epoca.
fallire, fallir: sbagliare, sostantivato: fallo, errore, sbaglio.
famulo: servo.
favellare: parlare.
fe’: fede.
fello: malvagio.
fellone: furfante, malvagio, infingardo.
fellonia: infingardaggine, cialtroneria.
fermare: in astratto stabilire, decidere; in concreto anche chiudere, serrare.
fero: feroce.
fervere: agitare.
fia: sarà, verbo essere.
fiedere: ferire.
fingere: immaginare.
folcere: sostenere, reggere.
fralezza: fragilità, debolezza.
frate: fratello.
fraude: frode.
fregio: pregio.
fue: fu, verbo essere.
furare: rubare, sottrarre.
gabbare: ingannare.
gaggio: premio, ricompensa.
gaudere: gioire.
gaudio: gioia.
germe: stirpe, prole.
giovare: gradire, piacere.
gire, gir: andare.
gleba: terra.
gorgozzule: gola, gargarozzo.
gratuire: favorire.
greve: grave, pesante.
guernire: rivestire, armare.
guiderdone: ricompensa.
guisa: modo, maniera.
have: ha, verbo avere.
immantinente: immediatamente.
imo, ima: basso, bassa.
imperito: inesperto.
impronto: inopportuno.
inconcusso: solido, resistente.
indarno: invano.
indiarsi: sublimarsi in Dio.
infesto: ostile, nemico.
informare: formare.
infortunio: disgrazia.
infra: fra.
instrutto: ordinato.
insulto: affronto, assalto.
integro: intero.
intuonare: intonare, suonare.
inusitato: insolito.
irco: caprone.
labbia: labbra.
labere: scivolare, cadere.
lance: bilancia.
larva: ombra, fantasia.
lato: ampio, largo.
latore: apportatore, nunzio.
laude: lode.
lece, lice: è lecito.
legato: ambasciatore.
leggero: facile.
lepidezza: facezia.
librare: spaziare, volare.
ligio: obbediente , fedele.
limo: terra, fango.
linfe: forze, grazie.
loco, lochi: luogo, luoghi.
loricato: dotato di lorica, corazza.
loto: fango.
lustra: tana, covo.
maggio: maggiore.
magno: grande.
manca: sinistra.
mandato: ordine, comando.
manducare: mangiare.
masnada: gruppo, schiera, accolta di persone.
meco: con me.
medesmo: medesimo.
melle: miele, dolcezza.
mentovare: ricordare.
mera: pura, semplice, non commista.
mercé, mercede: pietà, misericordia.
merso, mersa: immerso, immersa.
merto: merito.
messaggio: messaggero, ambasciatore.
meta: colonna a forma conica.
millantare: vantarsi.
mostro: portento, prodigio.
navile: nave.
Ne satis: lat., non abbastanza.
nembi: nuvole.
nemicizia: inimicizia.
nocente: nocivo, mortale.
nosco: con noi.
noverca: matrigna.
nugoli: nuvole.
nunzio: annuncio.
nuto: cenno, ordine.
oltra: oltre.
onta: vergogna, disonore.
ontoso: vergognoso.
opimo: grasso, quindi ricco.
opra: opera, azione.
oprare: operare, fare, agire.
orbe: universo.
orbo: privo.
oste: esercito.
palizzo: recinto, palizzata.
pantocratore: signore dell’universo.
parato: pronto.
parente: padre, genitore.
partito: decisione.
parvo: piccolo.
pavese: scudo.
peana: inno di vittoria.
pelago: mare.
peri, perire: muori, morire.
piangoloso: piagnucoloso.
piatire: lamentarsi con tono lamentoso, litigare.
piglio, dar di piglio, presa, prendere.
pingere: dipingere, rappresentare.
plesso: intreccio, unione.
polito: terso, trasparente.
polve: polvere.
pompa: sfarzo, fasto.
pondo: peso.
poria, potria: potrebbe, verbo potere.
possa: potenza.
possanza: potenza, forza.
poto: bevanda.
pravo: malvagio.
prece: preghiera, orazione.
precipite: precipizio.
preclaro: eccellente.
prelibare: gustare, assaporare.
prence: principe.
presente: dono.
presto: pronto.
primier, primiero: primo.
procelloso: burrascoso, tempestoso.
propinquo: vicino.
provvedenza: provvidenza.
pruova: prova, cimento.
pugna: combattimento, battaglia.
pulcro: bello.
puote: può, verbo potere.
pusilla: piccola.
querele: lagnanze, lamentele.
querimonie: lamenti.
rabido: rabbioso, furioso.
raccôrre: raccogliere.
ragionare: parlare.
ratto: veloce, subito.
raunare: radunare.
rege: re, sovrano.
reina: regina.
repente: subito, immeditamente.
repere: strisciare.
repulsa: ripulsa.
requie: sosta.
ribellante: ribelle.
ricovro: ricovero, ricetto, rifugio.
ricusa: rifiuto.
rio: malvagio, reo.
ristare: stare, rimanere.
rota: orbita del cielo.
rubello, rubelle: ribelle.
ruina: rovina, danno.
ruinar, ruinare: rovinare, distruggere.
sabaot: ebraico, degli eserciti celesti.
sacrato: sacro.
salterio: strumento musicale simile all’arpa.
scanno: seggio, sedile, trono.
scelleranza: scelleratezza.
scelo: delitto.
scernere: vedere.
scevrare: indagare, investigare, giudicare.
scevro: privo, esente.
sciolto: libero.
sciaurato: sciagurata, disgraziata.
scogitare: escogitare, inventare.
scolta: guardia, sentinella.
sconoscente: ingrato, irriconoscente.
scoscendere: far precipitare, colare a picco.
seco: con sé.
seguìa: seguiva, verb. seguire.
sene: vecchio.
senso: pensiero, convinzione.
sermone: discorso
seròtino: serale, della sera.
serpere: serpeggiare, insinuarsi.
sibbene: sebbene.
sidereo: dei cieli, celeste.
silente: silenzioso.
sire: signore, sovrano.
soglio: trono.
sorgiungere: sopravvenire.
sostanza: essenza.
spartire: distribuire, elargire.
spediente: espediente, accorgimento.
speglio: specchio.
spera: orbita.
sperto: esperto.
spiritale, spirital: spirituale, celeste.
spoglia, spoglie: preda, bottino.
sporre: esporre, riferire.
stassi: si sta, verb. stare.
stellante: stellato.
sternere: dichiarare.
stigio: dello Stige, fiume infernale.
strida: grida.
struire: costruire, erigere.
strupo: stupro, violenza bestiale.
sturbare: disturbare,
suggere: lett. succhiare, abbeverarsi.
sui: suoi.
suora: sorella.
superno: lett. che sta sopra, celeste.
sur: sopra.
suso: su, sopra, in alto.
tabe: marciume.
tardo: lento.
teco: con te.
telo: asta, lancia.
tema: timore.
temenza: paura, timore.
tenzonare: contrastare.
terga: spalle.
tollere: prendere.
tosco: tossico, veleno.
tosto: in poco tempo, subito.
traboccare: cadere, precipitare, trasmettere, passare.
tradigione: tradimento.
tralucere: trasparire.
trasvolare: volare.
travaglio: fatica, opera faticosa.
travolvere: superare, sgominare, travolgere.
Triade: Trinità.
triunfale: trionfale.
tuba: tromba.
tutore: difensore.
u’: dove, lat. ubi.
ultore: vendicatore.
uopo: bisogno.
usbergo: corazza.
uscìo: uscì, verb. uscire.
uso: abituato.
vaghezza: desiderio.
vago: grazioso, leggiadro.
vanire: svanire.
vanni: ali.
veglio: vecchio.
velle: volere, volontà, decisione.
vello: vestito, lana.
ver’: verso, contro.
vertigo: vertigine.
verziere: orto, giardino.
vespro: tramonto.
via più: vieppiù, ancor più.
vinciglio: legame, vincolo.
vinclo: vincolo, legame.
Nicola Cavedini è nato a Verona nel 1962, è laureato in Lettere e cura il sito internet
www.poesiaclassica.it, dove ha pubblicato oltre a Lucifero, anche altre due tragedie:
Pasque Veronesi e Carlo Imperatore.
Questa edizione è fuori commercio