giornalista di strada al tramonto?

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IL BENE COMUNE
In una società sempre
più globalizzata a
livello mediatico
chiunque, tramite la
rete, può diventare
vettore di notizie,
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a discapito però
dell’autenticità
dell’informazione
Tempestività e passione soccombono sotto la tastiera di un PC
GIORNALISTA DI STRADA AL TRAMONTO?
di Vincenzo Morgante
l fenomeno si allarga sempre più.
La tendenza, la propensione di comuni cittadini di diventare essi
stessi “produttori” di informazione, protagonisti della comunicazione attraverso
i siti, i blog, la trasmissione di foto o video. Quanta e che concorrenza per noi
giornalisti!
Ma a mettere sotto pressione il nostro
lavoro e noi stessi come persone è la fatica di tanti utenti ad apprezzare l’offerta
della comunicazione. Si allarga la disaffezione verso l’informazione realizzata dai
giornali e dalla televisione, in quanto – si
sostiene – non racconta la realtà. Non
perché la tradisca, ma semplicemente per-
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ché tende a rappresentarne un’altra, a
creare un orizzonte virtuale accanto a
quello reale. La gente – forse – è stanca di
leggere, ascoltare o vedere le questioni di
attualità presentate nell’ottica dello scontro, delle polemiche, dell’allarme, che in
realtà – talvolta – esistono solo su quelle
pagine o in quei servizi radio-televisivi.
Non sono, forse, anche questi atteggiamenti a motivare il crescente distacco
della gente verso giornali e tg?
Anche il modo di lavorare è cambiato: pensiamo a quanto il giornalista sia
sempre meno “in strada” e a quanto invece sempre più rimanga in redazione
davanti al video del computer. Parecchi
problemi, tante trasformazioni. Ma c’è
un aspetto che rimane immutato: siamo
noi giornalisti, noi come persone che
svolgiamo questo mestiere.
Si, perché essere giornalista oggi è un
mestiere, un ministerium: un servizio alle persone, per informarle, per servire la
verità.
Dovremmo tentare di ricordarlo: quale aspirazione, quale sogno ci ha portato
ad iniziare un giorno questo mestiere?
Certo, la voglia di lavorare, di guadagnare qualcosa. Ma questo attraverso il mestiere di giornalista, ovvero per essere testimone della realtà e narrarla.
A quella passione bisogna ritornare!
Perché senza questa energia positiva il
rischio è di trascinarsi tra un tavolo e l’altro della redazione, senza dire nulla di
sé, del proprio essere. Infatti, il segreto del
giornalismo sta nel giusto protagonismo
delle persone e dei giornalisti: la qualità
“vera” della comunicazione dipende sempre dalle persone.
Per non essere travolti dalle nuove tecnologie, prima di ogni regola e di ogni codice deontologico è necessario coltivare
dentro di sé i valori che sono a fondamento della propria umanità e di quella
degli altri, mantenere vivo il desiderio di
crescere come persona.
Non alziamo bandiera bianca, non
rassegniamoci al pessimismo imperante
che porta molti ad affermare che “il vero
giornalismo è finito”.
Guardando i telegiornali e i giornali,
verifichiamo come in occasione dei grandi fatti di cronaca, oltre al racconto “ufficiale” proposto dal giornalista, spuntino
sempre almeno un video amatoriale, una
foto presa da un passante, la testimonianza di chi dice “io c’ero”. E, mentre il giornalismo “tradizionale” spesso dell’evento
presenta solo un racconto a posteriori, il
filmato o la foto amatoriali mostrano
l’evento nel suo stesso svolgersi.
È sempre più rara la figura dell’inviato, di chi giungeva sul luogo di un evento e raccontava il fatto secondo il suo
punto di vista e la sua interpretazione. In
occasione di un fatto importante capita
ormai di leggere e ascoltare – più o meno
– la stessa cronaca, la stessa interpretazione, la stessa versione… perché i media
hanno spesso hanno la stessa fonte!
Per questo sono molto ricercate in rete le testimonianze dirette della gente che
ha assistito a un determinato evento e lo
ha documentato. Se questo ruolo del testimone scompare dal giornalismo “istituito”, ecco che riappare grazie al contributo degli utenti “attivi”.
Ma abbiamo ancora bisogno del giornalista testimone. Non c’è virtualità che
tenga. È necessaria una pluralità di punti di vista e che i fatti non siano semplicemente mostrati, ma anche interpretati
e ordinati. Internet è piena di informazioni.
Ma chi interpreta il reale? Chi fornisce una spiegazione? Chi compone il quadro? Sempre più l’utente, ribadisco, vuole diventare protagonista del mondo della
comunicazione. Una nuova categoria di
giornalisti sta bussando alle porte?
Del giornalista abbiamo ancora bisogno: ma non sarà che – obtorto collo –
I GIORNALISTI INCONTRANO IL VESCOVO
o scorso 5 dicembre, in occasione del 65° anniversario della sezione
provinciale nissena della Stampa, il Vescovo Mons. Mario Russotto ha
incontrato i giornalisti e i pubblicisti nisseni riuniti presso il salone
del museo diocesano del Seminario.
Il Vescovo ha parlato del ruolo profetico del giornalista, sottolineando l’importanza della validità della comunicazione sana e genuina,
garantita dalla formazione autentica e
spirituale del giornalista.
La missione di quest’ultimo infatti,
è quella di servire e portare la verità alle persone, senza inganni o interpretazioni personali.
Solo così si può garantire un servizio genuino, capace di raggiungere e
formare tutti.
L’incontro ha avuto diversi interventi che si sono soffermati sul delicato ruolo della stampa in un momento socialmente, economicamente e quindi storicamente difficile come quello attuale.
Il Vescovo infine, ha annunciato ai giornalisti che nel prossimo mese di gennaio si svolgerà a Caltanissetta il Festiva Nazionale della Comunicazione.
L
N.1 - GENNAIO 2012
queste nuove modalità comunicative porteranno all’estinzione della figura classica
del giornalista? E un utente protagonista
attivo della comunicazione, rimane solo
semplice utente o diventa lui stesso autore della comunicazione e quindi un giornalista? A mio avviso non è più un semplice utente, ma non è ancora un
giornalista. Lo immagino come una sorta di “giornalista senza lasciapassare”. E
come tale esposto a rischio e fonte di possibile rischio per gli altri.
Noi giornalisti questo “lasciapassare”
l’abbiamo. La nostra professionalità è riconosciuta dalla formazione, dall’esperienza, dall’iscrizione un albo. Il “lasciapassare” di giornalista non può essere
attribuito di fatto a chi non ne ha i requisiti e non ha compiuto i doverosi percorsi formativi e professionali. Ma non è
neppure opportuno escludere dalla produzione e dalla condivisione dell’informazione chi questo “lasciapassare” non ce
l’ha.
Occorre trovare il modo per garantire l’utente, educarlo e formarlo affinché
riconosca l’informazione realizzata da un
professionista da quella realizzata dal singolo utente che non ha la responsabilità
del giornalista.
L’informazione realizzata dai professionisti conservi sempre uno stile proprio. Così, a lungo andare, la comunicazione realizzata in modo professionale e
responsabile contagerà anche il resto dell’informazione e costituirà un modello
riconoscibile e apprezzato da tutti.
Escludo che – in ambito comunicativo – la tecnologia prevarrà sull’uomo.
Certo rischia di limitarlo, di omologarlo,
di renderlo semplice ingranaggio del processo comunicativo anziché suo momento decisionale.
Ma ciò accadrà se noi consentiremo
che accada, se smetteremo di lasciarci affascinare dalla bellezza delle storie da raccontare. E il giornalismo continuerà ad
essere una bella avventura. Perché? Perché
serve ancora il mestiere del giornalista ai
tempi di internet!