Presentazione - AGESCI Forlì
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Presentazione - AGESCI Forlì
Presentazione Questo fascicolo non ha molte pretese: intende solo raccogliere il percorso compiuto da otto Co.Ca. della Zona di Forlì, che si sono coinvolte nella proposta di riflettere sull’affettività e sessualità, tra ottobre e dicembre 2004. L’idea è nata dal dialogo personale tra l’assistente di Zona e alcuni capi-reparto e capiclan, che segnalavano l’urgenza e la complessità dell’argomento, la difficoltà di affrontarlo con i ragazzi e giovani e il loro stesso imbarazzo di fronte alla visione della Chiesa in questo campo; l’idea è stata poi lanciata nell’incontro con i capi E/G in occasione dell’assemblea di Zona di primavera del 13 marzo a S. Martino in Strada; è stata presentata al Consiglio di Zona del 27 maggio a Rocca delle Caminate ed elaborata da parte della ‘Pattuglia sesso’ insieme alle Co.Ca. aderenti in settembre-ottobre. Lo scopo era duplice: offrire contenuti e strumenti su questo tema, da spendere con i ragazzi (specialmente EG e RS); e di dare ai capi l’opportunità di una formazione anche personale sull’argomento. I due aspetti – formazione come persone e come educatori – sono strettamente connessi, perché un capo educa con tutta la sua persona (convinzioni, atteggiamenti, comportamenti) e non solo con le parole e il metodo. In linea con il compito fondamentale della Zona, che non è tanto di ‘aggiungere’ iniziative alle molte già portate avanti dai gruppi, bensì di sussidiare e favorire le attività dei gruppi a tutti i livelli, la proposta è stata da subito pensata e proposta alla Co.Ca. parte del proprio itinerario di catechesi; le comunità aderenti cioè, nei tre mesi da ottobre a dicembre hanno scelto i tre incontri proposti dalla Zona come loro occasione di catechesi ordinaria. In questo modo non hanno dovuto aggiungere un momento ‘in più’, ma hanno integrato questa iniziativa nel loro percorso normale. Non è ovviamente possibile, in un fascicolo, dare un’idea compiuta della ricchezza emersa negli incontri; e tuttavia non ci è sembrato inutile registrare anche sulla carta qualche spunto, riflessione, provocazione. La bibliografia finale servirà, ai capi interessati, per approfondire alcuni singoli argomenti. Chi ha vissuto questa esperienza ritroverà molte delle idee e attività a cui ha partecipato; chi non l’ha vissuta potrà forse ugualmente trarre elementi utili per la sua formazione personale e il suo servizio educativo. Grazie a tutti. La ‘Pattuglia sesso’ Barbara Farolfi, Andrea Fabbri, Marina Padovani, Fabio Piovaccari, Marco Quattrini, d. Erio Castellucci Forlì, 1 marzo 2005 PRIMO INCONTRO: INTRODUZIONE AL TEMA Venerdì 29 ottobre 2004 ore 21-23 – Seminario di Forlì La serata si è svolta in due momenti: l’assemblea, nella quale l’assistente ha introdotto l’argomento, e la divisione in quattro Bi-Co.Ca. con il lancio di altrettanti temi sui quali ognuno dei quattro gruppi avrebbe organizzato il successivo incontro. Gli ultimi minuti, di nuovo assembleari, sono stati dedicati alla presentazione di materiali (specialmente libri), riportati nelle ultime pagine del presente fascicolo. Primo momento (ore 21-22) affettività e sessualità: provocazioni iniziali (traccia dell’intervento dell’assistente in assemblea) - L’affettività è un ‘campo minato’, eppure è così incisivo che da essa possono nascere i più grandi slanci d’amore e le più terribili vampate di odio (la guerra civile è la peggiore di tutte le guerre. Pur essendo così importante, l’affettività non sembra interessare molto le ‘agenzie educative’, forse per l’oggettiva difficoltà di educare questa dimensione. Mentre la scuola educa l’intelligenza (attraverso la crescita e la disciplina della conoscenza) e la famiglia, lo sport, ecc. educano la volontà (attraverso l’esercizio delle rinunce e dell’impegno), sembra che ciascuno debba autogestirsi l’affettività; in questo terzo campo ognuno deve essere autodidatta, educarsi come può; è raro che l’affettività venga educata in famiglia o nel gruppo/associazione, e comunque riguarda solo una piccola minoranza di ragazzi e giovani. - La sessualità, che può esprimere l’affettività ma non la esaurisce (la sfera affettiva riguarda molte altre relazioni: genitoriali, filiali, amicali...), è a sua volta una dimensione importante e complessa della persona. Se qualche decennio fa si poteva dire anche un “tabù”, oggi certamente non lo è più: se ne parla abbastanza di frequente: forse anche troppo e non sempre in modo appropriato. Se da una parte questo è un vantaggio, dall’altra non evita talvolta il rischio della banalizzazione. E’ proprio questo rischio che la Chiesa vuole evitare, proponendo una visione esigente della sessualità; così esigente che ad alcuni, anche tra i cristiani, appare irraggiungibile e fuori dalla realtà. La visione cattolica della sessualità, conosciuta per lo più attraverso titoli di giornale, sembra poi a qualcuno non sufficientemente fondata sulle Scritture, nelle quali non compaiono molti degli elementi che la Chiesa presenta come dottrina morale. - A livello puramente introduttivo (qualche approfondimento potrà essere proposto solo nei due successivi incontri) è opportuno offrire alcuni elementi della visione cristiana dell’affettività-sessualità: • Prima di tutto la sessualità per la Chiesa non va collocata nella categoria del “peccato” o del “tabù” ma in quella del dono: è dono da parte di Dio all’uomo e alla donna, dono reciproco tra loro due, dono aperto ad una nuova vita. Perché Dio ha pensato l’umanità non come un genere uniforme ma come due generi, maschile e femminile? Giovanni Paolo II ha dedicato molte catechesi alla teologia della sessualità e del maschile-femminile, mostrando che i due generi esprimono nello stesso tempo l’incompletezza di ciascun individuo (l’incompletezza fisica è segno di quella psicologica e spirituale) e la complementarità dei due sessi, che solo insieme formano “una carne sola”. Dio ci ha voluti distinti in maschio e femmina proprio per scrivere nella nostra carne la necessità di uscire da noi stessi e cercare l’altro, di non cadere nella tentazione dell’autonomia assoluta, di aprirci alla diversità complementare. • La Scrittura non contiene la soluzione pre-confezionata a tutti i problemi; in campo morale, poi, dalla Scrittura non deduciamo sistemi applicabili a tutte le situazioni. Però ricaviamo una antropologia (visione dell'uomo) coerente e completa, che si misura, nella storia, con i problemi e le concezioni che via via emergono; alcuni testi particolarmente importanti si trovano sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento. • Antico Testamento: a) Genesi 1-3: la natura, il corpo, la sessualità sono “cosa buona”, cioè doni di Dio. La sessualità è un aspetto dell'essere immagine di Dio (Gen 1,27) ed è mezzo di unità così profonda tra uomo e donna da farne “una carne sola” (Gen 2,24) e da renderli partecipi del ruolo creatore di Dio (Gen 1,28). b) Il Cantico dei Cantici: descrive il rapporto coniugale nella sua “bellezza”, come partecipazione di tutta la persona e non solo di alcuni organi del corpo. Inquadra l'atto sessuale nel piano di Dio. • Nuovo Testamento: a) il fatto stesso della "incarnazione" del Figlio di Dio esclude la negatività e include l'apprezzamento della corporeità. b) La rivelazione di Dio come Trinità di Persone nell'unica natura esplicita ciò che nell'Antico Testamento rimaneva implicito: la distinzione e attrazione sessuale degli esseri è a “immagine di Dio” perché Dio non è un Essere solitario ma una “comunità” di Persone che si relazionano a vicenda. c) Cristo presenta, infine, accanto alla riaffermazione della positività del matrimonio (citando Gen 1,27 e 2,24), la “novità” della verginità per il Regno (cf. Mt 19,1-12 e parall.). • La Tradizione cristiana lungo i secoli, con tutti gli errori dovuti al fatto che la Chiesa è composta da uomini, è rimasta fedele all'atteggiamento biblico: la Chiesa ha sempre reagito ad una duplice contraria riduzione del sesso, diffusa in diverse epoche della storia cristiana. a) Contro la demonizzazione del sesso e del corpo (idolatria dell'"anima": tentazione spiritualista), la tradizione cristiana afferma che la sessualità è dono di Dio. b) Contro la sacralizzazione del sesso e del corpo (idolatria del "corpo": tentazione materialista) la tradizione cristiana afferma che il sesso ha valore come espressione dell'intera persona. L'antropologia biblico-cristiana non è dualistica ma unitaria. La Chiesa antica e medievale ha combattutto più la demonizzazione che l'idolatria del corpo e del sesso: cf. le prese di posizione contro gli stoici (secc. I-II), gli gnostici (secc. II-III), i manichei (secc. III-IV) e i catari (secc. XI-XII). Oggi si trova a contrastare piuttosto l'idolatria del corpo e del sesso. L'errore di fondo nei due casi è lo stesso: una visione dell’uomo dualista, che separa anima/interiorità da corpo/sessualità. La Chiesa ribadisce che la sessualità è "dono" di Dio per un amore unitivo e procreativo e, in quanto tale, riguarda “tutto” l'uomo: anima e corpo. Secondo momento (ore 22-23) quattro tracce per la riflessione di Bi-Co.Ca. (questionario consegnato nei quattro gruppi) Ad ognuna delle quattro Bi-Co.Ca. vengono consegnate quattro domande (una di carattere generale, una di tipo pedagogico, una personale come cristiano e una come Capo), che sono possibili sviluppi del tema assegnato. Oltre ad una prima reazione, è richiesta qualche idea su come impostare il successivo incontro di Bi-Co.Ca. di novembre. Affettività e sessualità nell’età evolutiva (FO 6 e FO 13) a. La dimensione affettivo-sessuale è importante in questa età (0-18 anni) come (e più di) quella cognitiva e volitiva. Chi se ne assume il compito educativo? Che ruolo hanno la famiglia, la scuola, la Chiesa? b. L’integrazione tra affetti, intelligenza e volontà costituisce il principale criterio della maturità umana. Chi oggi, fra le diverse ‘agenzie educative’, favorisce e chi invece ostacola questa integrazione? c. Fede e sessualità si incrociano oppure sono due aspetti paralleli nella mia vita di cristiano? Corro il rischio di considerare la fede un ‘settore’ che non investe anche l’affettività? Corro il rischio di considerare l’affettività una ‘zona franca’ gelosamente autogestita? d. La metodologia dell’AGESCI, nelle diverse branche e nei vari momenti previsti (catechesi, preghiera, attività gioco, uscite, campi, vita di gruppo, progressione personale...), sia a livello di elaborazione teorica che di traduzione pratica, favorisce un adeguato dosaggio tra componente affettiva, razionale e volitiva? E’ mai emersa la problematica dell’educazione affettiva di ragazzi particolarmente ‘feriti’ (come portatori di handicap fisici e/o psichici)? Affettività e sessualità della coppia (FO 7 e Rocca S. Casciano) a. La visione cristiana dell’affettività/sessualità nella vita di coppia (innamoramento, fidanzamento, matrimonio, famiglia) pretende di essere conforme alla ‘legge naturale’ e quindi anche alla ragione umana. Riesce ad emergere questa base ‘laica’ o la si vede solo come una visione discendente dalla fede? b. La Chiesa ha una proposta esigente sull’affettività e la sessualità, che può apparire anche esagerata o lontana dalla realtà. Ma è conosciuta la sua dottrina in merito, o ci si muove sugli slogans e i titoli dei giornali? In che modo la Chiesa educa alla vita di coppia? ...o non educa? c. Come battezzato, avverto tensioni e contraddizioni tra la visione cristiana della vita di coppia e le mie idee? E tra questa visione e la mia pratica? d. In AGESCI (branche, Co.Ca., zona, regione) quali sono (se ci sono) le sedi e le occasioni in cui si affrontano i temi dell’affettività e sessualità della vita della coppia? Come Capo ne parlo ai ragazzi? Sono imbarazzato o sereno nel propormi ai ragazzi anche su questi aspetti? Il maschile e il femminile (FO 1 e FO 11) a. Sui due pilastri della Bibbia (cf. Gen 1-2) e della ragione umana, il cristianesimo costruisce una visione dell’uomo e della donna come persone complementari (fisicamente, psicologicamente e spiritualmente) e di uguale dignità. E’ una visione conosciuta? E’ attuale o datata? b. Il ‘maschile’ e il ‘femminile’ hanno vaste zone in comune e alcune in proprio; oggi si parla molto di ‘confusione/crisi dei ruoli’. C’è qualcuno oggi che educa specificamente al ‘maschile’ e al ‘femminile’? Che immagine di maschio e di femmina veicolano i massmedia?... e i nostri discorsi in branca o in Co.Ca.? c. Ho accettato la mia femminilità o maschilità? Quali ostacoli (eventualmente) incontro nell’essere uomo/donna in casa, al lavoro, a scuola, in parrocchia, in associazione, tra amici? d. Si affronta in AGESCI la problematica della relazione maschile-femminile? La coeducazione si dà per scontata o si tematizza? E’ sempre giusta o richiederebbe maggiore attenzione e qualche flessibilità? Come ci si rapporta alle persone di tendenza omosessuale in branca o in Co.Ca.? Il tabù della castità (FO 2 e FO 10) a. La parola ‘castità’ è un nuovo tabù, come una volta lo era la parola ‘sesso’: quando è pronunciata, provoca quasi solo smorfie e risatine di compassione, e per molti puzza di muffa. Si sa in giro che non è sinonimo di ‘astinenza’ (significato negativo) ma di ‘sessaulità come dono’ (significato positivo), vissuto nelle diverse modalità legate alla propria vocazione? b. E’ ancora possibile educare bambini, ragazzi e giovani alla castità o è una mission impossible? La Chiesa ha il linguaggio e gli strumenti per farlo? Le famiglie sono interessate a questo tipo di educazione affettiva o lo scambiano per ‘puritano’? c. Il mio approccio alla sessualità è ‘casto’, oppure morboso, istintivo, utilitaristico? Chi mi ha (eventualmente) educato alla castità? E oggi, come cristiano, ho gli strumenti per formarmi a vivere una sessualità come ‘dono’? d. Risuona mai la parola ‘castità’, con il suo contenuto positivo, nella vita delle branche (attività, catechesi, preghiera, testimonianza, gioco...) e negli incontri di Co.Ca.? Esistono in AGESCI gli strumenti per educare alla castità? Se esistono, sono utilizzati? Come ci comportiamo in quanto Capi di fronte alle situazioni problematiche di cui veniamo a conoscenza nei ragazzi (disagi o deviazioni affettive, masturbazione, dipendenza dalla pornografia, ecc.)? SECONDO INCONTRO: LAVORI DI BI-CO.CA. Ogni Bi-Co.Ca. ha scelto una serata diversa per approfondire il tema assegnato, con l’aiuto della traccia consegnata e discussa nella seconda parte dell’incontro precedente. Riportiamo le sintesi dei lavori. mercoledì 17 novembre 2004 ore 21 – Romiti Affettività e sessualità della coppia (FO 7 e Rocca S. Casciano) La Bi-Co.Ca. sceglie di avviare la riflessione con un lancio e un’attività: vengono consegnati a due gruppi degli spezzoni di articoli giornalistici (inventati) e alcuni articoli del Catechismo della Chiesa Cattolica, inscenando un ‘processo’ con accusa e difesa. Il verdetto rimane sospeso, e rimandato all’incontro finale di Rocca delle Caminate. Dal giornale " Il Foglio, " del 04/11/2004: “SI FA PRESTO A DIRE AMORE....” “MATRIMONIO NESSUNA LIBERTA' SOLO CATENE” La Chiesa dice che il fine del matrimonio è la procreazione, ma non si può ricondurre un legame d'amore fra due individui solo a questo: oggi nella nostra società esistono altre priorità. Con il tabù della contraccezione, la Chiesa chiede alle coppie di mettere al mondo 3, 4, 8 figli, ma non capisce che il rischio è di creare famiglie non capaci di mantenere la prole, il tenore di vita ,gli hobby “NIENTE SESSO: SIAMO FIDANZATI” La Chiesa dice che una coppia di fidanzati deve vivere la propria affettività come un dono e conservare la castità nell'attesa del matrimonio. Ma a cosa serve aspettare? E poi se non lo fanno a 20 anni, quando lo devono fare? “L'ADULTERIO NON E' AMORE” La Chiesa afferma che anche solo guardando una donna si è già commesso adulterio, come al solito la Chiesa non si adatta ai tempi... in fondo che male c’è a guardare una “Velina” o una bella “Letterina”? Dal Catechismo della Chiesa Cattolica: 1602 - La Sacra Scrittura si apre con la creazione dell'uomo e della donna ad immagine e somiglianza di Dio e si chiude con la visione delle "Nozze Dell'Agnello". Da un capo all'altro la Scrittura parla del Matrimonio, della sua origine e del suo fine, delle sue diverse realizzazioni lungo tutta la storia della salvezza, delle sue difficoltà derivate dal peccato e del suo rinnovamento "nel Signore", nella Nuova Alleanza di Cristo e della Chiesa. - Dio che ha creato l'uomo per amore, la ha anche chiamato all'amore, vocazione fondamentale e innata di ogni essere umano. Infatti l'uomo è creato ad immagine e somiglianza di Dio che è Amore avendolo Dio creato uomo e donna, il loro reciproco Amore diventa un'immagine dell'amore assoluto e indefettibile con cui Dio ama l'uomo. E' cosa buona, molto buona agli occhi del Creatore. E questo amore che Dio benedice è destinato ad essere fecondo e a realizzarsi nell'opera comune della custodia della creazione "Dio li benedisse e disse loro: Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela. - Che l'uomo e la donna siano creati l'uno per l'altro, lo afferma la Sacra Scrittura: "Non è bene che l'uomo sia solo ". La donna, "carne della sua carne", cioè suo "vis-à-vis", sua eguale, del tutto prossima a lui, gli è donata da Dio come un "aiuto", rappresentando così Dio da quale viene il nostro aiuto. "Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne". Ciò che significhi un'unità indefettibile dello loro due esistenze, il Signore stesso lo mostra ricordando quale sia stato, "all'origine", il disegno del Creatore: "Così che non sono più due, ma una carne sola". 2360 La sessualità è ordinata all'amore coniugale dell'uomo e della donna. Nel matrimonio l'intimità corporale degli sposi diventa un segno e un segno della comunione spirituale. Tra i battezzati i legami del matrimonio sono santificati dal sacramento. 2361 La sessualità mediante la quale l'uomo e la donna si donano l'uno all'altra con atti propri ed esclusivi degli sposi, non è affatto qualcosa di puramente biologico, ma riguarda l'intimo nucleo della persona umana come tale. Essa si realizza in modo veramente umano solo se è parte integrante dell'amore con cui l'uomo e la donna si impegnano totalmente l'uno verso l'altra fino alla morte. 2398 La fecondità è un bene, un dono, un fine de matrimonio. Donando la vita gli sposi partecipano alla paternità di Dio. Dibattito tra accusa e difesa Difesa del “Foglio” e accusa alla Chiesa. “Matrimonio: nessuna libertà, solo catene”. La Chiesa richiude il matrimonio nella procreazione: ma non si può ricondurre il legame d'amore tra due individui solo a questo; oggi nella nostra società esistono altre priorità. Con il tabù della contraccezione la Chiesa chiede alle coppie di mettere al mondo molti figli, ma non capisce che il rischio è di creare famiglie non capaci di mantenere la prole, il tenore di vita, gli hobbies. Per chiedo a voi se mai avete sentito parlare di paternità e maternità responsabile. “Niente sesso, siamo fidanzati”. La chiesa dice che una coppia di fidanzati deve vivere la propria affettività come un dono e conservare la castità nell'attesa del matrimonio. Ma cosa serve aspettare? Poi se non lo fanno a vent'anni quando lo devono fare? Anche qui mi sembra che tempi siano passati avanti rispetto alla Chiesa e ogni tanto ci se ne dimentica. “L'adulterio non è amore”. La chiesa afferma che anche solo guardando una donna si è già commesso adulterio; come al solito non si adatta ai tempi: in fondo che male c'è a guardare una velina una bella letterina? Adesso cominciamo ad andare sulle cose serie. Noi riteniamo che realtà tutta l'idea sull'attività/sessualità che porta avanti oggi la Chiesa di fatto non venga dalle Scritture, ma dalla gerarchia ecclesiale, dai vari Concili; nella Bibbia infatti si dice che Salomone aveva 700 mogli e 300 concubine, per dirne una; Sara stessa, moglie di Abramo, essendo sterile lo spinse ad andare con una schiava. Nel Nuovo Testamento si dice che i vescovi devono essere sposati una volta sola. Quindi non era una cosa così grave… invece poi in seguito e diventata una cosa grave. Difesa della Chiesa e accusa al “Foglio” Per smontare queste accuse, che dette così sembrano molto forti, l'unico punto di vista dal quale abbiamo deciso di partire è proprio l’ottica sbagliata che secondo noi la difesa ha utilizzato nell'analizzare le Scritture. In sostanza tutti i pezzi delle Scritture che voi avete estrapolato sono come pezzi di un puzzle che considerati in un contesto globale hanno significati ben diversi; mentre se considerati come singoli pezzi non hanno né capo né coda. Quindi è il punto di vista vostro che è viziato già dall'inizio; oltre tutto i Padri della Chiesa ricordiamoci che sono comunque uomini, quindi fallibili, però loro nel corso dei secoli hanno elaborato le Scritture ed hanno creato un Catechismo. Occorre quindi dare fiducia ai Padri della Chiesa, perché sono persone che con la loro esperienza, con la loro vita dedicata appunto a studiare le Sacre Scritture, hanno offerto un'interpretazione autentica. Venerdì 19 novembre 2004 ore 21 Il tabù della castità (FO 2 e FO 10) La Bi-Co.Ca. è iniziata con la riflessione di Barbara e Gilberto Brandinelli, giovane coppia del vicariato con cinque figli. E’ poi proseguita con lavori di gruppo, dei quali presentiamo una sintesi. Seguirà il riassunto finale, così come è stato proposto nella riunione assembleare di Rocca delle Caminate. Riflessione di Barbara e Gilberto Brandinelli Castità non significa rinuncia, ma dono. Essa consiste nel dare all'altro delle cose di se, come la forza, la pazienza e il dominio di sé stessi. La castità non riguarda solo la sfera sessuale, ma tutta la vita e coinvolge la persona a 360° : il modo di guardare le persone, di rapportarsi con esse, cosa si legge, come si passa il tempo libero, ecc...... La castità è rinunciare ad un piacere immediato per ottenere un piacere maggiore, il difficile è riuscire a vedere questo bene maggiore. Castità e dono totale di se all'altro, per cui implica fiducia nell'altro. Castità significa anche crescita: non la si raggiunge subito, ma si cresce gradualmente. Per questo è importante educare i ragazzi, fin da piccoli, a fare delle piccole rinunce, abituarli a non avere tutto subito. Un ragazzino viziato farà fatica a rinunciare al piacere immediato e a capire la castità. Una cosa ottenuta senza far fatica si apprezza di meno, per cui la castità aiuta a vivere meglio anche il piacere. La castità è un dono ed è dialogo, la castità va "riempita" non solo passando del tempo insieme, ma anche facendo delle cose insieme come ad esempio il servizio. La castità non è astinenza. Una persona può non essere casta anche se non ha rapporti sessuali, ad esempio se sfrutta l'affetto degli altri. Il "problema" della castità non si risolve col matrimonio: occorre mantenersi casti anche nei rapporti coniugali. Per avere un rapporto casto occorre comunicare sempre il proprio desiderio, anche se di fatto non si hanno rapporti. E più prezioso il desiderio che il rapporto sessuale perché è più facile rinunciare alla fisicità che al desiderio di essa. Vivere la castità oggi è più difficile, perché è ormai diventata un tabù e spiegarla a ragazzi è altrettanto difficile a causa della mentalità generale in cui siamo immersi. Ormai i ragazzi non si stupiscono più di nulla e non fanno più domande: molte cose, come ad esempio la nascita di un figlio da due persone che si sono appena conosciute, sono diventate la normalità. Molto spesso i ragazzi non hanno nessuno che gli faccia vedere che esiste qualcosa di diverso da quello con cui sono a contatto quotidianamente. Occorre far vedere ai ragazzi che ci può essere altro. Oggi il dialogo con i ragazzi è molto difficile, per cui il modo migliore per trasmettere loro il valore positivo della castità è dare il proprio esempio e la propria testimonianza: mostrare loro che si può essere felici con uno "stile di vita" casto. Educare alla castità è fondamentale perché, come dimostra il caso dei tossicodipendenti, il rischio è la perdita del controllo di sé stessi. I tossicodipendenti sono incapaci di rinunciare a qualsiasi piacere e questo li riporta a perdere il controllo di se. Se i ragazzi si abituano a rispondere a tutti gli stimoli del loro corpo, cominceranno a perdere controllo ed equilibrio. Sintesi dei lavori di gruppo GRUPPO A: LA CASTITÀ È DIVENTATA UN TABÙ La parola castità è un nuovo tabù, come una volta lo era la parola sesso: quando è pronunciata provoca quasi solo smorfie e risatine di compassione e per molti puzza di muffa. Si sa in giro che non è sinonimo di astinenza (significato negativo), ma di "sessualità come dono" (significato positivo), vissuto nelle diverse modalità legate alla propria vocazione? Il sesso è ancora un tabù: se ne parla molto, ma in modo superficiale, banale, distorto. Collegare la castità alla vita in generale e non solo AL sesso rende la cosa più accettabile E serena. La castità dà il giusto distacco dalle cose, che ci permette di valutarle e riconoscerne il valore e aiuta a fuggire dalla logica azione-reazione. La privazione va intesa come acquisizione ed arricchimento e non come perdita e mancanza. È privarsi di qualcosa per appropriarsi di qualcosa di più. Praticare la castità oggi è andare controcorrente, educare alla castità e ancora più controcorrente Il metodo scout aiuta, grazie all'interdipendenza tra pensiero e azione. Bisogna aiutare i ragazzi a pensare e a ragionare sulle cose con la propria testa. L'esperienza scout dell'essenzialità e del "far fatica" aiutano a proporre indirettamente la castità come stile di vita. Il metodo aiuta, ma spesso è proposto da persone fragili: i primi a dover crescere nella castità sono gli educatori, sia i genitori che i capi. Occorre considerare che tempi sono cambiati: un tempo ci si sposava a 18 anni, ora a 30 per cui la castità e più difficile. GRUPPO B: EDUCARE ALLA CASTITÀ E’ ancora possibile educare bambini, ragazzi e giovani alla castità ora o è una "mission impossible"? La Chiesa ha il linguaggio e gli strumenti per farlo? Le famiglie sono interessate a questo tipo di educazione affettiva o viene scambiata per "puritanesimo"? Educare la castità oggi non è impossibile, ma è molto difficile. Tuttavia se ne avverte fortemente l'esigenza. C'è bisogno di educare all'affettività in generale, non solo alla sessualità. Nell'essenzialità propria dello scoutismo c'è una "strada" verso la castità. Occorre vedere la castità come stile di vita, non solo come qualcosa di legato al sesso. I ragazzi devono imparare a darsi degli obiettivi, come avviene nello scoutismo attraverso la progressione personale. Occorre rende liberi i ragazzi, capaci di andare controcorrente e di dire dei no, in tutti i campi, non solo nella sessualità. Come educatori dobbiamo prima di tutto capire noi il valore della castità, inoltre dobbiamo suscitare nei ragazzi delle domande, dei dubbi e aiutarli a fare delle scelte. La castità è rinuncia al piacere immediato per un bene più grande e lo scoutismo dovrebbe insegnare a non scegliere sempre la via più comoda e facile. La Chiesa ha gli strumenti per educare alla castità, a partire dalle Sacre Scritture, ma non sempre ha il linguaggio giusto. Occorre dare un messaggio "controcorrente" ma con un linguaggio "corrente", altrimenti si corre il rischio che ragazzi non capiscano e che li si perda. Nei capi dobbiamo per primi conoscere la posizione della chiesa sul tema da castità, mentre spesso c'è ignoranza e superficialità in proposito. La famiglia ha un'importanza fondamentale nell'educazione alla castità e questo lo si nota dal fatto che in campagna, a Barisano ad esempio, l'ambiente è molto diverso da quello cittadino. C'è molta "delega" da parte dei genitori sul tema del sesso e della castità. Al di là delle parole è e resta fondamentale l'esempio dei genitori. Il bisogno di affetto degli adolescenti che non si sentono amati in famiglia li porta ad avere esperienze precoci. GRUPPO C: CASTITÀ COME DONO Il mio approccio alla sessualità è casto oppure morboso, istintivo, utilitaristico? Chi mi ha (eventualmente) educato alla castità? Oggi, come cristiano, ogni strumenti per formarmi a vivere una sessualità come "dono"? L'approccio alla sessualità è il più delle volte istintivo, il che non va d'accordo con la parola casto. L'educazione alla castità non viene in genere dalla famiglia, forse perché è troppo coinvolta e scarsamente credibile. L'educazione alla castità non basta fatto solo alla branca R/S, ma già in reparto perché è al giorno d'oggi i ragazzi fanno esperienze molto presto. È il caso di dare ai ragazzi una testimonianza del valore positivo della castità prima che abbiano i primi rapporti, in modo che possano scegliere consapevolmente. Gli strumenti più adatti per imparare la castità sono partecipare ad incontri sul tema, avere una guida spirituale di coppia e avere un buon dialogo con il partner. GRUPPO D: IL METODO SCOUT E LA CASTITA’ Risuona mai la parola "castità", con il suo contenuto positivo, nella vita delle branche (attività, catechesi, preghiera, testimonianza, gioco.....) e nell'incontro di Coca? Esistono in agesci gli strumenti per educare alla castità? Se esistono, sono utilizzati? Come ci comportiamo in quanto capi di fronte alle stazioni problematiche di cui veniamo conoscenza nei ragazzi (disagi o deviazioni effettive, masturbazione, dipendenza)? Donarsi in E/G è un tema possibile. Se quattordicenni e quindicenni provocano sul tema come fare? Parlare con i genitori? Esempi di noi capi: è importante la coerenza, i ragazzi fanno delle domande a cui dobbiamo dare risposte credibili. Il concetto che sta dietro la castità può essere utilizzato anche per un discorso di prepotenza oltre che per un significato di non voler soddisfare tutti i costi nell'immediato i desideri/piacere. Essere parte della Chiesa ci dovrebbe aiutare a portare questo messaggio. La progressione personale aiuta nel percorrere il il discorso "castità" declinato sulla sessualità; "castità" intesa come progettualità può essere abbinata al messaggio dell'impresa in branca E/G. In clan bisognerebbe mirare intenzionalmente al discorso castità/sessualità. In reparto di affettività se ne potrebbe parlare. La famiglia dovrebbe aiutare in questo percorso attraverso il dialogo. Di fronte a problematiche concrete manifestate da ragazzi è bene prendere tempo sull'immediato e rimandare ad un primo confronto e staff prima di formulare una risposta. Non è detto che il capo che "scopre" per primo la problematica di un ragazzo, sia poi la persona più indicata per affrontare il problema con quel ragazzo. Presentazione alle altre Co.Ca. Nonostante qualche, preoccupazioni già da parte delle due co.ca. e dato l'argomento che ci sembrava spinoso alla fine abbiamo lavorato, abbiamo lavorato bene mi sembra, abbiamo scelto una modalità molto semplice però efficace, vale a dire che ci siamo fatti raccontare qualche cosa di più da una coppia marito e moglie, Gilberto e Barbara, e poi dopo ci siamo divisi in quattro sottogruppi. Questi quattro sottogruppi hanno lavorato sulle domande provocatorie che ci ha fornito don Erio. Rielaborando un po' il tutto abbiamo buttato giù questi quattro spunti, queste quattro provocazioni. Quello che abbiamo cercato di analizzare che era un po' il senso, il significato che chiama la parola castità. Chi nella maggioranza delle interpretazioni associa castità ad astinenza cosa che non è vera, castità non è solo astinenza. Un primo passo è stato proprio quello di chiarire che castità non è astinenza ma qualcosa di più. Che cos'è la castità? Per cercare di sintetizzare questo concetto che non è banale, abbiamo utilizzato la frase “privarsi per riappropriarsi”, cioè saper rinunciare a qualche cosa di immediato per un bene che verrà più grande e verrà in un secondo momento. Quindi combattere contro la logica del “tutto e subito, voglio una cosa la consumo”, che mi fa diventare un consumatore, uno che spingendo il pulsante ottiene qualche cosa: non è questo il concetto che sta dietro la castità. È chiaro però che la castità al giorno d'oggi è un messaggio difficile da far passare; allora non si può andare a parlare di castità dando per scontato che tutti quanti la capiscono indipendentemente dal modo in cui è stata comunicata. Infatti dall'analisi che abbiamo fatto lo slogan che ne è emerso è: messaggio contro corrente che però va fatto passare con un linguaggio corrente, perché se noi facciamo passare la castità come una serie di divieti è chiaro che abbiamo già sbagliato, non essendo quello che noi dobbiamo riuscire a far capire. Dietro quelle cose, che sono delle rinunce, non c'è una serie di divieti fini a sé stessi, ma ci sono dei contenuti per arrivarci. Quindi non si può pensare solo di annunciare le cose da non fare. Poi entrando specifico del nostro metodo ci siamo interrogati se effettivamente la metodologia scout aiuta a far passare il messaggio della castità. Noi siamo arrivati ad una conclusione con una frase provocatoria cioè: il metodo è casto. Nel senso che tutto il metodo scout aiuta a far passare questo messaggio di non cercare subito di ottenere quello che si vuole. Di cercare di avere una progettualità, di cercare di fare un sacrificio adesso per avere qualcosa più grande dopo. Il nostro metodo ci aiuta veramente molto: l'importante è avere la consapevolezza di quello che stiamo facendo, dove vogliamo andare e la progettualità che c'è dietro le cose che facciamo applicando il metodo, che non vanno date per scontate. Domenica 21 novembre 2004 ore 21 – Coriano Il maschile e il femminile (FO 1 e FO 11) La Bi-Co.Ca. si è servita di un cartellone, nel quale erano stati disegnati due cuori: uno rappresentante l’uomo, l’altro la donna; i due cuori erano intersecati e ed avevano dunque una “zona” comune. Nella parte riservata all’uomo sono stati scritte, su suggerimento dei presenti, le caratteristiche proprie dell’uomo, e così nella parte riservata alla donna; nella zona comune sono state scritte le caratteristiche condivise, a parere dei presenti, da entrambi i sessi. Presentiamo la sintesi di questo lavoro. Ci siamo resi conto che ci sono grandi differenze di carattere tra gli uomini e le donne, però ci sono anche molti punti in comune. La conclusione alla quale siamo arrivati è che nell'uomo c'è molto della donna, caratterialmente parlando, anche per quanto riguarda il modo di esternare i sentimenti di confrontarsi con la realtà; e viceversa nella donna c'è molto dell'uomo. Però sicuramente ci sono dei tratti tipici dell'uno e dell'altro: per esempio abbiamo riscontrato che la donna è più sensibile, apprensiva, riesce più facilmente ad esprimere meglio i propri sentimenti, è più responsabile e più comunicativa. L'uomo invece è più pratico, più schietto, riesce a progettare meglio, però ha più difficoltà a mettersi in discussione. Punti in comune sono: responsabili, attenti all'altro, collaborano nella vita quotidiana e devono essere in quanto coppia uniti da dei valori, quindi avere una comunione di intenti. L'altro punto su cui ci siamo confrontati è il ruolo che i media hanno nella nostra vita quotidiana: che cosa la televisione e i giornali ci vogliono far credere e come ci vogliono mostrare la realtà che ci circonda. Dalla televisione emerge l'immagine di un uomo sempre più vicino alla donna anche nel modo di vestirsi e nel modo di curarsi. La famiglia, la scuola, la chiesa, ovvero le agenzie educative, sono sempre più delegittimate dai mezzi di comunicazione del loro ruolo. Il volontariato, ovvero il darsi gratuitamente agli altri, esiste sempre meno. L’apparenza è più importante della sostanza, la famiglia è in crisi e prendono sempre più piede le famiglie allargate e la televisione ce le fa vedere quasi fossero le normalità. Non esistono più punti di riferimento, come potevano essere appunto la famiglia, la Chiesa, la scuola. Poi ci siamo confrontati con i genitori su quello chi invece è il nostro ruolo di educatori scout ed abbiamo loro spiegato sostanzialmente l'importanza della coeducazione, di avere le due figure capo uomo e donna. Abbiamo sottolineato che comunque noi come capi educatori scout aiutiamo i genitori e non ci sostituiamo a loro nell'educazione dei figli e quindi è importante che vi sia comunicazione reciproca. Venerdì 26 novembre 2004 ore 21 – Regina Pacis Affettività e sessualità nell’età evolutiva (FO 6 e FO 13) La Bi-Co.Ca. si è divisa in gruppetti, ciascuno dei quali ha affrontato una delle domande proposte al primo incontro. Queste le sintesi dei lavori, riproposte poi in forma scherzosa (facendo il verso alla trasmissione “Loveline” di MTV) al’ultimo incontro assembleare a Rocca delle Caminate. 1. PREMESSA Bisogna dare attenzione alla dimensione affettivo-sessuale: sta alle fondamenta della persona ed una ferita dell’affettività spalanca abissi. Oggi si assiste ad una privatizzazione della dimensione affettivo-sessuale. I mass media, la scuola, l’ambiente sportivo in linea di massima ostacolano la maturazione dei ragazzi in questo campo, mentre chi potrebbe favorirla (famiglia, comunità ecclesiale, movimento scout) fa fatica ad affrontarla o comunque non parla di sessualità. Come capi dobbiamo conoscere la dottrina della Chiesa, cercare di parlare ai ragazzi, ma soprattutto essere persone concrete, testimoni. 2. PECCATO NON FARLO, MA FARLO E’ PECCATO… PARLIAMONE Fede e sessualità si incrociano, spesso però facciamo fatica a farle incontrare, per cui si fa forte la tentazione del tenerle parallele, staccate. Anche per noi capi è faticoso scavare dietro regole e precetti, conoscere la dottrina della Chiesa, provare a gestire l’incontro/scontro fede/sessualità. Eppure tocca a noi fare da mediatori tra la dottrina ed i ragazzi. Non abbiamo soluzioni generalizzabili, ma solo alcune parole d’ordine: tensione, ricerca, cautela nei giudizi. Il nostro cammino personale è forse lo strumento educativo più efficace 3. C’E’ UN GRAN SENTIMENTO SCOPRIAMOLO (in tenda) Nel processo di maturazione e di formazione di una propria identità l’adolescente ha bisogno di acquisire alcune caratteristiche che gli permettano di portare a compimento uno sviluppo affettivo , relazionale e sessuale socialmente adeguati. La domanda è: tali compiti di sviluppo vengono favoriti dalla metodologia scout? Se tali punti riguardano: □ la capacità di stabilire nuove relazioni più mature con i coetanei di entrambi i sessi □ Aiutare l’adolescente a divenire autonomo. □ Facilitare la consapevolezza della propria identità sessuale (i rapporti eterosessuali sono un passo necessario nella ricerca della propria identità). Allora si può dire che lo Scoutismo con il suo metodo aiuta nell’acquisizione di queste capacità. Assume per questo notevole importanza anche la P.P. utile a stabilire un rapporto di fiducia tra Capo e Ragazzo, dove l’adulto viene visto come persona di “riferimento”. 4. PROBLEMI Numerosi sono i problemi che emergono a livello pratico nel rapporto tra capi e ragazzi. Spesso ci sentiamo in difficoltà nel parlare con gli adolescenti di argomenti riguardanti la sessualità. Emerge inoltre come nei gruppi formativi a carattere religioso la sessualità sia ritenuta a torto un tabù. Questo perché non si facilità, non si permette la possibilità di confronto e di dialogo, l’argomento sesso rimane una questione che viene rimandata ad altri. Ciò risulta essere di contrasto con le richieste dei ragazzi che nella fase dell’adolescenza hanno bisogno di sapere, chiedono informazioni sia ai coetanei sia alle persone di riferimento extra familiari. Come affrontare la problematica dell’educazione affettiva di ragazzi particolarmente “feriti”? Anche in questo contesto emergono notevoli contrasti, capita cosi che in ragazzi con handicap psichici, non venga considerata la loro capacità e la loro richiesta di maturazione di identità sessuale. In questo errore di valutazione il Capo educatore deve essere consapevole che anche questi ragazzi necessitano di manifestare i cambiamenti fisici e pulsionali che avvengono in loro come negli altri ragazzi. Rimane inoltre da valutare come agire di fronte a manifestazioni di affettività distorta. Non è possibile in questo breve contesto giungere ad una conclusione , si concorda prima della chiusura del confronto di Bi-Co.Ca., che lo Scoutismo e il metodo aiutano i ragazzi nell’andare oltre ad una visione “oggetto” dell’altro, (come spesso capita nei luoghi extraformativi “bar, discoteche, strada” dove è facile appioppare facili pregiudizi agli altri), la vita di gruppo aiuta nel mettere in risalto le proprie caratteristiche e ad essere valutati per quello che effettivamente si è e si vale. Sabato 4 dicembre 2004 ore 21 – Rocca delle Caminate INCONTRO CONCLUSIVO Introduzione (d. Erio) Tenterò una presentazione il più possibile sintetica della visione cristiana dell'affettività e della sessualità. Probabilmente alcune affermazioni provocheranno delle reazioni (spero non troppo violente) e delle domande. Toccherò molti punti senza poterli approfondire; chi volesse continuare la riflessione, potrebbe consultare l'ultimo numero di “RS Servire” sull'affettività e i sentimenti: in particolare tre articoli, che ogni capo dovrebbe leggere perché, tra l'altro, cercano di integrare la metodologia scout (cf. allegati). Quattro parole per iniziare: sensazioni, emozioni, sentimenti, passioni Cosa si intende con affettività? E’ una realtà che sta a monte dell'affettività. Quattro parole definiscono il contenuto dell’affettività; parole che andrebbero usate bene e non confuse tra loro: sensazioni, emozioni, sentimenti e passioni. A volte le si mescola con troppa facilità: certo esiste una continuità tra queste quattro realtà... che però non si identificano. e. Le sensazioni riguardano il livello fisico, le reazioni immediate, e possono essere di due tipi: piacevoli o spiacevoli. Il caldo in questa stagione è una sensazione piacevole, il freddo è spiacevole. Ci possono essere sensazioni di dolce e di salato, amaro e dolce... sono le cose più immediate. Passano dunque attraverso i sensi. f. Le sensazioni poi si organizzano e coinvolgono anche un livello istintivo; allora si chiamano emozioni. Le emozioni cioè non riguardano solamente l'aspetto fisico immediato ma anche un aspetto istintivo più profondo. Ed anche queste sono di carattere positivo e negativo. Le emozioni di carattere positivo si chiamano attrazioni e quelle di carattere negativo si chiamano repulsioni. Per esempio, la paura, è un’emozione di repulsione; io cerco di respingere qualche cosa che magari non so neanche che cosa sia. Invece l'affetto per il gatto è una emozione di attrazione. g. Poi ci sono i sentimenti: qui entriamo in un campo ancora più organizzato, in una sorta di strutturazione delle emozioni. I sentimenti coinvolgono anche l'intelligenza, che fino alle emozioni non era coinvolta: posso ad esempio provare paura in modo del tutto irrazionale; se io da bimbo ho subito un trauma al buio probabilmente mi porterò dietro la paura del buio, senza che sia accompagnata da un ragionamento. Semplicemente quando spegnerò la luce mi sentirò smarrito. Invece i sentimenti coinvolgono anche l'intelligenza, e anche questi sono di due tipi: sentimenti positivi di coinvolgimento e negativi di allontanamento. L'innamoramento è un sentimento che coinvolge. L'innamoramento è un sentimento che comporta anche l'uso dell'intelligenza. Non è che uno si innamori perché è trascinato solamente dal suo istinto: sa anche a ragionare e argomentare, almeno in parte, ciò che prova dentro. L’innamoramento dunque non è pura emozione, ma sentimento. Cioè è una serie di emozioni organizzate e anche pensate. Uno sa chi è la persona di cui si innamora; normalmente, se non è virtuale sa com'è fatta, conosce più o meno i suoi pregi e i suoi difetti (anche se questi ultimi non li vede bene). h. L'ultimo livello affettivo è costituito dalle passioni. Le passioni comprendono tutto ciò che precede... più un progetto. Sono sentimenti organizzati in un progetto. Le passioni coinvolgono anche la volontà e sono anch’esse di due tipi: passioni costruttive e passioni distruttive. La più nota passione costruttiva è l'amore, la più nota passione distruttiva e l'odio. Questa è una scaletta possibile, ma ce ne sono tante: in “RS Servire” se ne trovano altre: vi si parla addirittura di undici tipi di emozioni... Lo schema da me proposto è quello che uso di solito, perché mi pare aiuti a capire come la nostra vita affettiva non sia un pentolone indistinto dove si muove di tutto. La nostra vita affettiva si struttura a diversi livelli di intensità. Da quello più immediato, che sono le sensazioni, passando attraverso le emozioni fino ai sentimenti che sono già abbastanza organizzati e le passioni per le quali uno addirittura dà o toglie la vita. Questa distinzione ci può aiutare quando abbiamo a che fare con i ragazzi e forse anche con i nostri problemi affettivi perché dentro di noi coabitano sensazioni, emozioni, sentimenti, passioni positive che negative; questo non ci deve far paura. E questo non ha ancora niente a che fare con il discorso del peccato o non peccato. Io userò questa sera pochissimo la categoria di “peccato”, perché che cos'è il peccato e cosa non è peccato lo si può stabilire a livello del tu per tu, al confessionale o in direzione spirituale, valutando insieme la consapevolezza e la volontà; non si può dire in astratto:”questo è peccato, questo non è peccato”. Si può dire in astratto: “questo ha più significato. Questo ha meno significato”. Ora, il fatto di provare delle sensazioni, delle emozioni, dei sentimenti e delle passioni, non ha ancora a che fare con il peccato; può certamente provocarne – se io uccido una persona, sicuramente almeno lei penserà: “ah, che peccato!” – ma siamo ad un livello precedente. Questo lo dico perché può capitare che uno scambi istinti, sensazioni, sentimenti ed emozioni che prova dentro di sé con un peccato: magari, ad esempio, una persona sposata che prova istintivamente un’attrazione verso qualcun altro, può pensare che questo sia già peccato... mentre il peccato interviene quando si consente volontariamente a questa relazione, la si coltiva, ecc. Una cosa insomma è se uno pensa: “guarda quella persona; però, eh?”, e tutto finisce lì. Una cosa è se le va incontro lì e le dice: “Scusa mi dai il tuo numero di cellulare? Non è che ci potremmo vedere?...”. Allora comincia ad organizzare un sentimento che diventa anche una passione e comincia a consentire, fino a creare una situazione dove intervengono decisamente volontà e consapevolezza e dalla quale è difficile tornare indietro. La distinzione proposta sopra è dunque di per sé a un livello premorale: un livello psicologico-affettivo. Tre parole per proseguire: corporeità, sessualità, genitalità Come esprimiamo invece gli affetti fuori di noi? Li esprimiamo a livello della corporeità, della sessualità e della genitalità. Sono tre parole che molti identificano, ma in realtà si tratta di livelli distinti che vanno verso un'intensità sempre maggiore. Il primo livello di espressione della mia affettività è il corpo. La corporeità è il luogo del mio relazionarmi agli altri ed esprimere il mio affetto positivo o negativo, esprimere le mie sensazioni, le mie emozioni, i miei sentimenti, le mie passioni. Nel corpo, il cristianesimo vede non un'appendice dell'anima, una specie di ‘aggiunta’ facoltativa, ma una espressione vera della persona. Nel corpo sono scritte delle esperienze e dei significati, dei quali parleremo. La corporeità, dunque, non è un peso. Noi a volte senza volerlo ricadiamo nella visione dualista di Platone, perché anche il cristianesimo in certi periodi ha respirato un po' questa aria: il corpo è la prigione dell'anima, il corpo e negativo, il corpo è male, mentre l'anima è bene. La visione cristiana autentica è invece che la persona è formata inscindibilmente da anima e corpo e che queste due dimensioni non si possono separare. Il corpo non è altro che il mio relazionarmi concreto, storico. In questo momento, io mi relazionano voi con il corpo: se io fossi un angioletto, non mi vedrebbe nessuno, non disturberei nessuno. Io invece uso la voce, uso dei gesti, uso gli occhi: tutto questo è espressione corporea. La corporeità è inscindibile dalla sessualità; e con sessualità non s'intende ancora l'uso della genitalità, ma s'intende il proprio porsi come maschio e femmina, con tutta la propria storia affettiva, emotiva, passionale. Questa è la sessualità. La sessualità è una realtà mentale prima che genitale. In questo senso si ripete giustamente che “il più importante organo sessuale è il cervello”: il che significa semplicemente che la sessualità precede la genitalità. Noi siamo sessuati ben prima di utilizzare i nostri organi genitali, ben prima che arrivino a maturazione. Tutti ci rapportiamo sessualmente all'altro, anch'io in questo momento. Io mi pongo come un uomo che ha fatto una certa scelta, che si porta dietro dei valori e anche delle ferite di carattere affettivo e mi pongo a voi in questo modo. Questo è un relazionarsi sessuale; chiaro che non si usa questo linguaggio. Noi normalmente utilizziamo il termine ‘sessualità’ solo nel senso di ‘genitalità’, ma la sessualità viene prima, è il semplice porsi in relazione come maschio e femmina. Da questo punto di vista non c'è una relazione vera che non sia sessuata: non sessuale ancora, ma sessuata. Il terzo livello è la genitalità, il livello più intenso della relazione corporea e sessuale. È uno dei livelli spesso coinvolto nella relazione di coppia, ma occorre l’attenzione a non esaurire lì tutto il rapporto. La relazione di coppia non può essere racchiusa solo nella sfera genitale. Però la relazione affettiva si può tradurre adeguatamente, a determinate condizioni, nella relazione genitale. La genitalità infatti rappresenta umanamente il completamento l'una nell'altro. Per il credente, inoltre, rappresenta un dono di Dio per completarsi a vicenda perché nessuno si ritenga autosufficiente. Due pilastri: ragione umana e Sacra Scrittura Ragione e Scrittura sono i due pilastri che da adesso in avanti faranno da punto di riferimento per la nostra argomentazione. Cosa dice la ragione umana sulla sessualità? Facciamo finta di eliminare dall'orizzonte del nostro ragionare la fede e guardiamo alla sessualità così come si esprime ‘naturalmente’: guardiamola soprattutto nella sua forma genitale, perché quella rappresenta l'apice dell'espressione affettivo-sessuale. Noi possiamo leggervi umanamente due significati fondamentali: quello di unire un uomo e una donna e quello di poter creare una nuova vita. Nella tradizione pre-cristiana, poi assunta dal cristianesimo, si chiamano fine unitivo e fine procreativo della sessualità. Questi due fini non li ha inventati la Chiesa; da quando esiste la sessualità genitale, essa comprende entrambi gli aspetti: unisce un uomo una donna, e può costituire l’origine di una nuova vita. La concezione ebraico-cristiana ha semplicemente preso questi due significati naturali e ha mostrato come siano compresi nella volontà di Dio. Nella Genesi ci sono due passaggi molto importanti che riguardano l'unione dell'uomo della donna. Uno è il famoso “siate fecondi e moltiplicatevi” (Gen 1,28: fine procreativo), l'altro afferma “l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne ” (Gen 2,24: fine unitivo). Questi sono due significati naturali: qui la Bibbia non inventa un nuovo significato della sessualità; legge l'uomo così come è fatto e dice che se Dio lo voluto così ci deve essere un senso. Il senso è, da una parte (Gen 1) di partecipare alla creazione di Dio – si chiama ‘procreazione’ perché è una specie di proseguimento dell’opera creatrice di Dio; dall'altra parte il senso è di unire un uomo e una donna e formare una sola carne, e questa è il fine unitivo. Nel Vangelo di Matteo, al cap. 19, Gesù riprende questi due significati della sessualità, ricordando proprio che nella Genesi si parla di una sola carne, e commentando che l’uomo non deve osare separare quello che Dio unisce. Questa è una frase di Gesù, non l’ha inventata la Chiesa. Allora Gesù cita semplicemente la Genesi, così come Paolo in 1 Cor 6,16 ed Ef 5,31. Il Nuovo Testamento conferma la visione della sessualità di coppia che aveva l’Antico, che a sua volta si fondava su elementi raggiungibili dalla ragione umana. La Chiesa, i cristiani, ad ogni epoca hanno a disposizione questi due pilastri: la ragione umana e la Scrittura. E devono farli interagire sempre tra loro. Non possono pensare di trovare nella Scrittura la frasetta che risolve tutti i problemi... La Scrittura è la colonna vertebrale, non è tutto il corpo. La Chiesa così, sostenendosi su quella spina dorsale, non può esimersi dal compito di ‘rimpolparla’ confrontandosi con i nuovi problemi che sorgono; per esempio: se uno volesse trovare cosa dice la scrittura della bomba atomica e, constatando che la Bibbia non ne parla, concludesse che non è contro la Scrittura lanciarla sulla testa della gente, sicuramente andrebbe fuori strada. Non tutti i problemi che vengono dopo sono previsti nella Scrittura; essa offre una visione dell'uomo e delle relazioni umane che poi la Chiesa, tutta insieme, lungo i secoli confronta con i problemi che via via si presentano. Ma chissà quanti problemi nasceranno ancora che non sono previsti direttamente nella Scrittura. E’ importante allora che la Chiesa continui nelle diverse epoche e di fronte alle differenti problematiche a far interagire la Scrittura con la ragione. E’ su questa base che la Chiesa chiede, come criterio generale di significato della sessualità umana nelle sue espressioni genitali, di mantenere unite il più possibile le due finalità, evitando di separarle deliberatamente: quella unitiva del mutuo reciproco fra l'uomo e la donna è presente sempre e deve essere presente sempre, nell'atto sessuale, per dargli significato; con quella procreativa; che è presente alcune volte nell'atto sessuale (è una dato che viene dalla ragione, precisamente dalla biologia). Il fine fondamentale allora è quello unitivo fra l'uomo e la donna – e questo prima che la Chiesa lo insinua la stessa natura umana – cioè non avrebbe senso un atto sessuale che non esprimesse amore; in generale oggi siamo ancora quasi tutti d’accordo, nella nostra società, sul fatto che l'atto sessuale compiuto per un motivo che non sia l'espressione dell'amore o almeno dell’affetto, non sia proprio “a posto”. Per esempio, non c'è contraddizione più grande alla sessualità della violenza sessuale; la violenza sessuale dice esattamente il contrario di quello che dovrebbe dire. Dovrebbe essere dono e completamento, mentre diventa avvilimento dell'altro. Diventa annientamento. Siamo ancora abbastanza d'accordo anche sul fatto che la prostituzione, sebbene non abbia stessa gravità dello stupro, non è certamente in linea con i significati autentici della sessualità, perché non esprime amore, essendo l’elemento di mediazione il denaro, quindi un commercio. Riassumerei così, con uno slogan, la visione cristiana della sessualità: ”Un atto sessuale è tanto più significativo quanto più esprime amore e tanto meno significativo quanto meno esprime amore”. Questo potrebbe essere il teorema della sessualità. Quale “amore” è adeguato all’espressione sessuale-genitale? Il significato unitivo Si tratta ora di intendersi su cosa significa “esprime amore” e di vedere che relazione c’è tra i due significati della sessualità. Perché da questo grande principio, nel cristianesimo, si diramano le valutazioni di tanti fenomeni. Cosa significa dunque “esprime amore”? Possiamo intendere l’espressione in senso soggettivo, applicata all'intenzione, ma anche in senso oggettivo, applicata al contenuto. cioè amore è qualche cosa che fa veramente crescere l'altro che rispetto il significato di una cosa. Penso che tutti capiamo molto bene il senso soggettivo, dato che nella nostra società la soggettività è stata sviluppata molto. Quello oggettivo forse lo intendiamo meno, perché nel clima del relativismo “mi piace – non mi piace”: l'oggettività è un po' scomparsa. In senso soggettivo cosa vuol dire “esprime amore”? Vuol dire che la sessualità non può esprimere sfruttamento dell'altro, come nella violenza sessuale o nella prostituzione, ma non basta nemmeno che esprima solo un affetto generico; cioè non basta il livello delle sensazioni, delle emozioni, dei sentimenti perché questo per il cristianesimo non è ancora tutto l’amore. Certo è già un livello di amore, ma non è tutto l’amore. Oggi noi confondiamo e identifichiamo ‘amore’ e ‘innamoramento’, ma si tratta di due realtà diverse. Propriamente parlando, l’innamoramento non sarebbe ancora l'amore perché l'amore è frutto di un cammino che passa anche attraverso il superamento della pura e semplice attrazione. L'innamoramento è attrazione, è il primo momento, è come il motorino di avviamento. Uno non si inserirebbe nell'avventura della coppia per motivi puramente razionali: “Ho trent'anni, non ho ancora nessuno, tutti gli altri hanno qualcuno… incominciamo a guardare l'elenco telefonico, a b c…Scusi, lei vorrebbe mica mettersi con me?”. Non si inizia un rapporto di coppia così, ci sono delle agenzie che lo fanno iniziare così ma non so come possa andare avanti. Si inizia con l'innamoramento, l’innamoramento però è solo il primo passo dell'amore. L’innamoramento deve maturare, deve anche subire dei contraccolpi, deve passare una crisi, deve riceve qualche aggiustatina. Gli psicologi parlano di ‘disincanto’. Disincanto vuol dire che quando uno è preso al 100% non è ancora amore, perché vede l'altro nella sua perfezione assoluta. Vede un ‘altro’ che non esiste, vede l’altro come vorrebbe che fosse. Vede alcune qualità dell'altro che lo abbagliano. Provate a dire ad una persona innamorata: “guarda che quello lì, di cui sei così cotto, ha questo, questo e questo difetto”: se è gentile non vi dà due sberle, ma pensa comunque: “lo so anch'io, ma sono così belli i suoi difetti!”. Uno all’inizio è pienamente coinvolto, poi però arrivano subito anche dei colpi sotto i quali l'attrazione si ridimensiona, si deve ridimensionare, perché io ho bisogno di aderire non ad alcune qualità dell'altro ma alla persona dell'altro; non all'altro ideale ma all'altro reale. Ha bisogno di smantellare il piedistallo. E di solito le prime delusioni vengono abbastanza velocemente se si cammina insieme. Lei che comincia dire: “ma guarda un po' mi ha imbrogliato era così carino all'inizio per conquistarmi adesso è diventato un brontolone.” Lui dice: “ma si lei era così bella adesso comincia ad assomigliare alla sua mamma”. Si inizia insomma a ridimensionare quest'attrazione. A quel punto può scattare l'amore, perché l'amore è un cammino, l'amore non è una cosa che arriva dal giorno alla notte. Si conquista a fatica. Un personaggio laicissimo come Leo Buscaglia scrive nei suoi libri – basta leggerne uno perché sono quasi tutti uguali – che sarebbe necessaria una cattedra di amore nelle università; lui ne ha fondata una, negli Stati Uniti, in cui insegna ad amare. Al di là di quello che scrive che comunque è molto carina l'intuizione: l'amore è una scuola, non è un pacco dono che uno riceve. L'amore, dunque, che cos'è in più rispetto a queste cose? L'amore è progetto. In RS Servire c'è un articolo che insiste molto su questa dimensione del progetto. L'amore non è un'emozione, un sentimento, una passione slegato da tutto, ma è un progetto di bene per l'altro. È questo progetto che nella concezione cristiana – e non solo cristiana – si corona con il matrimonio. A volte si dice che il matrimonio è la tomba dell'amore. Non un cristiano, ma un uomo, dovrebbe dire: sbagliato! Il matrimonio dovrebbe essere la culla dell'amore, perché è il momento nel quale il rapporto si sottrae ai contraccolpi del sentimento, agli alti e bassi dell’istinto; è il momento nel quale uno veramente fa un salto e dice: “io mi dono a te (o ti accolgo, come dice il nuovo rito), così come sei”. Cioè: faccio un salto di fiducia. Da oggi non mi limito ad accoglierti fin quando mi andrai bene – ci sposiamo tre anni poi vediamo – ma ti accolgo per sempre. Ora, questa idea di matrimonio come di un semplice ‘contratto’, magari a tempo, non può essere accettata perché il matrimonio è un dono senza condizioni. Nel momento in cui io mi sposassi e dicessi: “però mettiamo nel contratto che finché siamo innamorati andiamo avanti, che finché tu ti comporti così…, che finché io non mi comporto così…, che quando sparirà la passione allora dopo vedremo…” questo non sarebbe più matrimonio, ma una prova temporanea che però nell'idea cristiana (e credo anche semplicemente umana) non è la cornice giusta per esprimere l'amore. L'amore quando è davvero pieno non dice: “se, ma, fino a quando”, dice quella terribile cosa: “per sempre”. Questa è la natura del matrimonio. Al di là del matrimonio possiamo realizzare altre unioni, ma non chiamiamole matrimonio, perché il matrimonio nacque così proprio come l'espressione socialmente responsabile del dono di sganciare il proprio rapporto dagli alti e bassi del sentimento. E questo è un discorso laico, talmente laico, che quest'idea del matrimonio nacque fuori dal cristianesimo. Perché lo stato è sempre interessato alle unioni stabili. Lo Stato potrà riconoscere – e certamente lo farà in base alla maggioranza – anche altri tipi di unione che non siano “per sempre”. In questo dobbiamo essere molto realisti: non è detto che siano giuste per la Chiesa, ma lo Stato deve seguire la maggioranza dei cittadini. Però uno Stato ha interesse a stabilizzare il più possibile le unioni per i due motivi, che sono quelli per i quali il diritto romano stabilizzava l’unione uomo.-donna, cioè: il matrimonio e il patrimonio. Il matrimonio indicava il compito della madre, “matris munus”, ossia in quella cultura il compito di procreare ed educare i figli; il patrimonio, “patris munus”, indicava il compito del padre, ossia assicurare una trasmissione regolarizzata dei beni. E lo Stato è molto interessato a questi due aspetti perché i figli (l'educazione, la crescita dei ragazzi, dei giovani) e i beni (il possesso, la tassazione e la trasmissione) devono essere il più possibile gestiti stabilmente dallo Stato. Quando diciamo che la Chiesa non è d’accordo nel riconoscere gli stessi diritti alle coppie stabili e a quelle instabili, dimentichiamo che prima di tutto è lo Stato, se vuole sostenersi e crescere, a dover regolare in favore della stabilità tutto ciò che concerne l’unione tra l’uomo e la donna Il significato procreativo Verso la metà del XX secolo due medici – credo siano stati più maledetti della storia – chiamavano Ogino e Knaus hanno studiato a fondo il ciclo riproduttivo femminile, dimostrando che l’ovulo è fertile solo alcune decine di ore al mese. Più che un metodo di regolazione delle nascite, hanno messo a punto una serie di osservazioni che permettevano di sapere in maniera ancora molto generica quali potevano essere i tempi fertili e quali no. Molti hanno poi trasformato le loro osservazioni mediche in ‘metodo’, pensandolo magari infallibile, e così sono nati tanti “figli di Ogino-Knaus”. Nel mondo antico, e fino alle scoperte della medicina contemporanea, con l’aiuto delle tecniche endoscopiche, si aveva un’idea piuttosto vaga del meccanismo della riproduzione umana: alcuni pensavano che la fertilità dipendesse dalle fasi lunari, altri la attribuivano a influssi celesti o divini, ecc. Già gli antichi avevano capito che era fecondo più o meno un rapporto ogni dieci, ma non sapevano perché. In realtà il vero primo ‘metodo’ naturale in senso tecnico è stato il metodo di Billings, messo a punto da due coniugi australiani, che si studia in molte università, Il metodo Billings si può definire propriamente ‘tecnico’, perché si basa sull’interpretazione di quei segnali che manda il corpo della donna nelle diverse fasi dell’ovulazione (il muco cervicale). Da una trentina d’anni il metodo Billings è stato affiancato e integrato dal cosiddetto metodo ‘sintotermico’, che alle rilevazioni proprie del Billings ne aggiunge altre riguardanti le variazioni della temperatura corporea. Per imparare questi metodi, come per imparare a guidare l’auto, ci vogliono tre o cinque incontri di gruppo fatti con una biologia, con una dottoressa, e poi alcuni incontri personalizzati a scadenza periodica per un anno. Quindi l'autodidatta qui è perdente in partenza. I metodi naturali non sono solamente propagandati dalla Chiesa, ma sono oggi sostenuti da alcuni movimenti ecologisti, specialmente in Nord America, in quanto sono gli unici metodi di regolazione delle nascite a non avere alcun tipo di conseguenza. Diversamente da ciò che si pensa, i metodi naturali hanno un'efficacia relativa (cioè applicati in maniera corretta) molto alta, attorno al 97%; il profilattico, ad esempio, ha un’efficacia relativa di poco superiore, attorno al 98,5%; certo i metodi naturali sono più difficili da utilizzare – anzi, da ‘vivere’ –, e per questo l’efficacia assoluta (cioè registrata tra tutti coloro che dicono di utilizzare il metodo) è minore Al di là di questi aspetti più tecnici, è importante il significato che sta sotto. La Chiesa non dice, che il metodo sia il tutto, dice che ci deve essere un fine e poi ci deve essere un metodo. Come in ogni cosa, in ogni scelta che non facciamo c'è un fine e poi c'è un modo, un metodo, e non sempre le due cose sono omogenee. Per esempio se io voglio aiutare Fabio che è in bolletta, e ha perso tutti i soldi al gioco, allora io ho un fine buono, devo aiutare Fabio che altrimenti si toglie la vita; devo quindi recuperare il denaro, e questo è un fine buono. Ma non basta l’intenzione buona per dire che l’azione è buona: occorre anche vedere quale metodo si usa per raggiungere il fine buono: se io procuro i soldi a Fabio prendendoli dal mio stipendio, allora anche il mezzo è buono; ma se glieli procuro assaltando la Banca di Forlì, il mezzo è un pò... problematico. Occorre aver presente dunque che in ogni scelta sono sempre implicati un fine intenzionale e un mezzo pratico, e che la valutazione etica dipende dalla combinazione di entrambi gli elementi. Nel caso in questione, la Chiesa afferma che la realtà più importante è il fine e nel fine intenzionale deve esservi una maternità ed una paternità responsabile. Questo lo disse già Pio XII nel 1950 in un discorso alle ostetriche. Se il fine è sbagliato, non c’è metodo che tenga: nessun metodo corretto ‘santifica’ un fine sbagliato. Ma il metodo può essere più o meno adeguato al fine: se una coppia che ha una finalità fondamentale di accoglienza della vita e per certi periodi e per motivi particolari non può utilizzare i metodi naturali, non è che l'uso di contraccettivi in alcune circostanze distrugga il fine: vale il principio della proporzione, che deve essere applicato caso per caso.. Rimane il grande orientamento di fondo: i metodi naturali sono quelli maggiormente adeguati alla duplice si è finalità dell'atto sessuale, perché rispettano l'integra finalità procreativa ed unitiva quando sono presenti entrambe, e non esclude positivamente la prima. Questo è il motivo di fondo per cui la Chiesa tende a diffondere i metodi naturali, senza comunque assolutizzare i metodi in sé... se per ipotesi una coppia vivesse i metodi naturali in maniera egoistica, escludendo i figli quando invece vi sarebbero le condizioni per non escluderli, non sarebbero utilizzati ‘moralmente’. Va detto comunque che, rispetto ai contraccettivi, è molto più difficile utilizzare i metodi naturali con l’animo di una chiusura alla vita, perché richiedono applicazioni e motivazioni in mancanza delle quali risulta molto più logico utilizzare i contraccettivi. Il problema della comunicazione: contenuti controcorrente espressi con linguaggio corrente Per comunicare i contenuti riguardanti l’ambito della sessualità, la Chiesa è molto attrezzata nel linguaggio giuridico ed etico, ma non tanto in quello esistenziale, tipico della cultura odierna. .Dal lavoro del FO 2 e FO 10 è emersa un’indicazione molto interessante: si tratta di dire le cose controcorrente con un linguaggio corrente. Ecco: forse sappiamo dire le cose controcorrente ma non ancora con un linguaggio corrente. Se allora oggi mi presento in un gruppo di ragazzi e uso quel linguaggio giuridico che è proprio dei documenti che devono per forza essere precisi – cioè dico la sessualità ha un duplice fine quello unitivo, la mutua donazione tra l'uomo alla donna, e quello procreativo, l'apertura ad una nuova vita – e mi fermo qui, e mi limito poi a fare la lista delle pratiche permesse e di quelle vietate, uso un linguaggio inadeguato. Esiste un problema di linguaggio nella Chiesa; un problema più generale che non riguarda solo la sessualità. Pensiamo al linguaggio liturgico: se un prete, come ha detto più volte scherzando il card. Biffi, dicesse in una predica che lo Spirito Santo si è fatto carne nel seno di Giuseppe, nessuno probabilmente batterebbe ciglio: tanto le parole sono quelle, e l’ordine o il senso logico non è che tutti lo colgano. Non abbiamo un linguaggio adeguato, e non si sa neanche come fare, perché alcuni termini ormai sono così precisi che è difficile sostituirli, e per spiegarli occorre molto tempo. Sta di fatto che nel campo della sessualità la Chiesa utilizza un linguaggio molto preciso, formatosi nel corso dei secoli in ambito giuridico-morale, ma non riesce ancora in maniera convincente ad utilizzare il linguaggio esistenziale e quotidiano. C’è poi anche un altro problema: quando esce un documento della Chiesa su questi argomenti, la divulgazione giornalistica in genere si limita a ciò che è permesso/vietato, e non presenta quasi mai le motivazioni e i significati di fondo. Un esempio macroscopico: quando uscì l'enciclica "Veritatis splendor" nel 1993, alcuni commenti giornalistici erano completamente sfasati. Luca Goldoni su Sorrisi e Canzoni TV (che allora vendeva due milioni di copie) scrisse: “Anche l'ultimo e rilevante intervento dottrinario della massima autorità ecclesiastica verte per la quasi totalità sulla morale sessuale. Solo due pagine su un centinaio sono dedicate alla violenza, alla corruzione, all'intolleranza, al malgoverno, alla menzogna e a tutte quelle distorsioni dell'animo umano per cui la moderna civiltà sta andando a rotoli”. E conclude: “sono pieno di rispetto e scoramento” (n. 43/1993, p. 15). Incredibile: in realtà quel documento di Giovanni Paolo II contiene solo pochissimi passaggi che toccano la morale sessuale: in tutto una decina di righe al n. 47 e qualche sporadico riferimento nel contesto della trattazione sul rapporto corpo-anima (nn. 48-50). Le proporzioni sono esattamente da rovesciare rispetto a quelle indicate dal Goldoni: non più di due pagine, in totale, su corpo e sessualità sulle oltre cento pagine del documento. Dunque un giornalista e scrittore così autorevole commenta un’enciclica così impegnativa senza averla letta, anzi senza avere neppure scorso l’indice... Se questa è la situazione – e non mancherebbero molti altri esempi, forse meno clamorosi – significa che un po’ di responsabilità nella disinformazione su ciò che la Chiesa dice della sessualità sta anche dalla parte di chi dovrebbe informare la gente attraverso i mezzi di comunicazione. Se io fossi il direttore di un giornale e avessi un giornalista sportivo che mi scambia il corner con il calcio di rigore, che mi scambia l'arbitro con il venditore delle patatine, lo licenzierei subito; invece quando si parla della Chiesa tutti possono improvvisarsi esperti e scrivere quello che vogliono, non importa se vero e meno. Chi vuole informarsi davvero su ciò che la Chiesa pensa e dice è meglio che non si limiti ai titoli dei giornali o ai commenti delle penne più ricercate, ma vada alla fonte: o leggendo su “Avvenire” i testi, di solito pubblicati integralmente, o andando direttamente su Internet, nei siti www.vatican.va o www.chiesacattolica.it, che riportano i testi integrali, rispettivamente, della Chiesa universale e di quella italiana Qualche parola conclusiva ad uso-capi (da “Il Galletto”, luglio 2005) La sessualità nella visione cristiana Spesso la concezione cristiana della sessualità è incompresa o banalizzata dagli stessi credenti: o perché ne hanno un’informazione approssimativa (dedotta dai titoli dei giornali e dai luoghi comuni diffusi), o perché fanno fatica a viverla per loro stessi, o perché infine non è stata loro trasmessa nella sua positività. Sono tante le possibilità, per un cristiano, di risalire alle fonti e riscoprire il senso dei tanti “sì” che la Chiesa dice anche in questo campo, coperti spesso ed assorbiti dai “no”, che fanno più notizia. Dunque senza fermarci ai massimi sistemi ed affrontando direttamente il punto in discussione, cioè i cosiddetti “rapporti prematrimoniali” (per i “fondamenti” rimandiamo agli articoli di d. Danilo negli ultimi numeri del Galletto) ci limitiamo a ricordare che nella visione cristiana il legame stretto tra vita sessuale e matrimonio si fonda su tre pilastri fondamentali, tutti misconosciuti o addirittura ridicolizzati nella nostra cultura attuale: di qui la difficoltà a condividerli anche da parte dei cristiani. Il primo pilastro è il legame tra sessualità e amore. Molti ritengono il sesso una pura espressione dell’istinto (possiamo “fare sesso” quando ne abbiamo bisogno o voglia), un bisogno alla stregua del mangiare, bere e dormire. Chi la pensa così è evidente che trova assurdo ogni tentativo di vedere un “valore” nella sessualità e di individuarvi dei significati: assurdo come sarebbe appunto far ricadere sotto una valutazione etica i bisogni fisiologici. Altri, più raffinati, considerano il sesso solo espressione dell’affettività (possiamo avere dei rapporti quando ci vogliamo bene). Nemmeno questa seconda concezione è però completa, perché dimentica che l’amore non è solo sentimento e attrazione, ma anche donazione e responsabilità. Una terza concezione, nella quale la Chiesa si riconosce, è quella che vede nella sessualità una delle espressioni dell’amore, la più coinvolgente possibile e la più “totale” pensabile nella vita terrena. L’atto sessuale infatti, come dice la Bibbia, realizza “una carne sola”, dove la fusione corporea è segno di una più profonda fusione psicologica e spirituale. E qui sta il criterio fondamentale: non è automatico che l’atto sessuale esprima davvero soggettivamente ciò che significa oggettivamente: due persone potrebbero infatti viverlo (ad es., nella prostituzione, e in questo caso nessuno direbbe che significa “amore”, sebbene esternamente si svolga allo stesso modo). Il maggiore o minore significato di un rapporto sessuale dipende dal maggiore o minore grado di “amore” che contiene quell’atto. Ma l’amore, come già accennato, non è solo attrazione e sentimento: è dono totale (chi ama non dice: “per qualche giorno, qualche mese”; chi ama dice: “per sempre”). Per questo i cristiani vedono nel dono totale, reciproco ed effettivo della vita - dono che inizia con l’impegno matrimoniale -l’unica cornice adeguata perché l’espressione sessuale sia un linguaggio “vero”, dica davvero ciò che significa: coinvolgimento senza riserve. Il secondo pilastro è il legame tra sessualità e fecondità. Anche questo, come il precedente, è un significato non “inventato” o aggiunto dalla Chiesa, come un comando, ma è intrinseco all’atto stesso: la sessualità vissuta tra due persone, infatti, è feconda prima di tutto per il fatto che dà gioia all’altro e a se stessi, e poi per il fatto che da quel gesto può scaturire una nuova vita. Tra i criteri di maturità della persona adulta c’è la disponibilità a farsi carico delle eventuali conseguenze che possono derivare dalle proprie scelte e dai propri atti: questa disponibilità si chiama “responsabilità”. Bene: tra le implicazioni scritte oggettivamente nella relazione sessuale c’è la possibilità di una nuova vita. Proprio nel rispetto del significato integrale della sessualità la Chiesa ritiene che l’esclusione di questo significato attraverso la contraccezione non corrisponda alla pienezza del gesto (l’apertura della coppia alla vita deve restare come prospettiva di fondo, anche qualora quel singolo atto sessuale non fosse fecondo). Ma c’è di più: il fatto che sia un gesto dal quale può sgorgare la vita di un’altra persona rafforza la convinzione che il contesto proprio e adeguato nel quale viverlo sia quello in cui è possibile accogliere quest’altra persona. Se tutte le culture, dalle origini dell’umanità (e quindi non è un fenomeno solamente “cristiano”) hanno sentito il bisogno di offrire delle forme di “matrimonio” a due persone che intendono vivere insieme la sessualità, il motivo è proprio legato a questa intuizione: è opportuno offrire ad eventuali figli un luogo stabile di crescita. Anche per questo la sessualità non è un fatto puramente privato, come molti oggi ritengono, ma comporta una dimensione sociale e relazionale che supera le due persone direttamente coinvolte. Il terzo pilastro, valido questa volta per i credenti, è il legame tra sessualità e sacramento del matrimonio. Se i primi due punti possono essere guadagnati da una riflessione puramente razionale, poiché fanno riferimento ai significati oggettivi della sessualità così come essa si presenta a tutti, il terzo è specifico del cristiano. Sposarsi “nel Signore”, infatti, significa immettere il progetto di vita a due, compreso il dono sessuale, nella corrente dell’amore divino. Sposarsi in Chiesa è come riconoscere che è indispensabile il dono dell’amore di Dio perché l’amore umano possa realizzarsi pienamente: nella fedeltà, nel dono di sé, nell’attenzione all’altro. Certo è possibile (ci mancherebbe altro!) vivere l’amore anche fuori del matrimonio cristiano, così come il sacramento non garantisce la riuscita dell’amore; così come si può fare del bene anche al di fuori del battesimo o dell’eucaristia, ecc. I sacramenti sono però un aiuto molto forte, e sono soprattutto il riconoscimento che la forza per amare non viene dall’interno di noi stessi, ma dall’alto. Chi prende parte ai sacramenti celebra un dono, si mette a mani aperte davanti a Dio confessando che ha bisogno del suo aiuto. Potrebbe forse farcela anche con le sue forze, ma preferisce usufruire della grazia, che cercherà poi di mettere a frutto. Prima e fuori del matrimonio cristiano, dunque, la sessualità non viene assunta nell’orbita della grazia sacramentale. Con il matrimonio, invece, si forma davvero “una carne sola” anche nel Signore, e la relazione sessuale può diventare veicolo dello stesso amore divino. Per questi motivi (ciascuno dei quali andrebbe approfondito ben al di là di questi appunti) la collocazione della sessualità nel matrimonio non appare affatto “debole”, ma ben fondata, sia nella riflessione razionale sul significato del dono sessuale, sia nella dottrina rivelata sul matrimonio. Le convinzioni e i comportamenti del capo di fronte alla visione cristiana della sessualità Nessun Capo, anzi, nessun cristiano e prima ancora nessun essere umano che sia affettivamente sano è un pezzo di ghiaccio, e può dire di non fare alcuna fatica nel campo della sessualità. Se uno dicesse seriamente una cosa del genere, ci sarebbe effettivamente da verificare la sua maturità affettiva. Tutti quindi sentono le tensioni affettive, le pulsioni, i desideri fisici e psichici. Chi più e chi meno, poi, è ferito proprio negli affetti. Gli psicologi da tempo mettono in evidenza quanto l’esperienza affettiva, dai primi giorni di vita (o addirittura dalla vita intrauterina) influisca sulla maturità dei sentimenti e delle passioni di una persona. Quindi, sia per motivi fisiologici (siamo fatti anche di sentimenti, istinti, passioni e desideri), sia per motivi patologici (possiamo avere subìto delle esperienze affettive non gratificanti o negative, che ci hanno segnato), è per noi faticoso vivere pienamente la sessualità come dono d’amore. Questo non significa che non dobbiamo provarci, anzi. E’ così per tutte le dimensioni della nostra personalità: pensiamo alla fatica che facciamo nel diventare uomini e donne che coltivano la pace, in una società che a tutti i livelli propone la competizione e l’abbassamento dell’altro come unico metodo per riuscire nella vita; o alle rinunce che compiamo per costruirci delle competenze, nei campi del lavoro, del servizio, dello studio quando magari desidereremmo invece spassarcela... E’ così anche per le esigenze evangeliche: chiunque intende seriamente vivere da discepolo di Gesù si scontra con la propria fatica a perdonare “settanta volte sette” (e anche meno), a pregare “senza stancarsi”, a “ prendere ogni giorno il giogo” dell’impegno, ad impegnarsi per la giustizia verso i più deboli e così via. Di questa fatica fa parte anche la fedeltà ad una vita affettiva e sessuale il più corrispondente possibile al significato che ha la sessualità, di essere dono d’amore. Un Capo potrebbe assumere tre atteggiamenti davanti alla visione cristiana della sessualità. Il primo è quello di essere teoricamente d’accordo e di non fare praticamente alcuna fatica a seguire questa concezione. Per i motivi detti sopra, un tale Capo certamente non esiste. Restano altre due possibilità, più realistiche. Può esservi il Capo che è teoricamente d’accordo e praticamente fa fatica, e il Capo che è teoricamente e praticamente in contrasto. Il Capo che è d’accordo con la visione cristiana, pur nella difficoltà di esservi fedele nei comportamenti, dovrebbe costituire la situazione normale. Egli sa che deve tendere verso il pieno significato della sessualità, facendosi aiutare dalla graziadella parola e dei sacramenti; sa anche come le cadute siano possibili, ma debbano essere appunto considerate “cadute”, occasioni per chiedere una mano al Signore e alla Chiesa e ripartire nel cammino. Il Capo che invece non è d’accordo neppure teoricamente sarebbe meglio che non svolgesse questo servizio in Agesci. Se infatti ha riserve di fondo verso la dottrina morale cristiana, è tenuto prima di tutto ad approfondirla come si fa in ogni questione importante (e non a fermarsi ai luoghi comuni o agli “io penso”). Fatto questo, e posto che rimanga delle sue idee, non si capisce con quale motivazione continui a “vivere” il servizio in un’associazione che chiede ai suoi educatori l’appartenenza e la testimonianza nella comunità cattolica. Sarebbe come se una guardia ecologica fosse in disaccordo con il Protocollo di Kyoto e, anzi, si adoperasse attivamente ad inquinare l’aria... non sarebbe meglio anche per lei che cambiasse tipo di volontariato? Che cosa può trasmettere ad altri chi opera in nome di una “associazione” con la quale è in disaccordo sostanziale teorico e pratico? Siamo così al terzo punto. La responsabilità del capo di fronte ai ragazzi Nel caso dell’Agesci, il Capo assume precise responsabilità di fronte ai ragazzi ai quali si dedica. Non è quindi più come privato cittadino che si pone di fronte a loro, ma come “educatore” a nome di un’associazione che ha fatto proprio la scelta cattolica. Già il fatto di educare dei ragazzi e giovani comporta, di suo, una responsabilità particolare: sappiamo bene - e diciamo spesso - che non è tanto questione di parole, quanto di esempio. In effetti i ragazzi percepiscono bene se le parole che diciamo sono “vere” oppure se le pronunciamo perché dobbiamo farlo; e colgono le nostre incoerenze come un messaggio che destruttura in un attimo quanto abbiamo magari faticosamente cercato di costruire in tanto tempo. Se non siamo convinti della fede e dei valori ai quali come Capi abbiamo aderito, entrando in Co.Ca. e assumendo l’impegno educativo, è impossibile che li facciamo trasparire... fossimo pure oratori brillanti e leader trascinanti. Questo non significa che dobbiamo apparire “perfetti” ai ragazzi, nascondendo le nostre fatiche e debolezze. E’ un atto educativo trasmettere ai ragazzi la tensione, il senso del cammino verso una mèta difficile ma bella; ed è insieme educativo comunicare anche la nostra fatica nel percorso, far capire che non siamo su un piedistallo ma camminiamo con loro. E’ poi un atto di sincerità ammettere le nostre fatiche, anche nel campo affettivo e sessuale, con tutta la discrezione e sensibilità del caso. I ragazzi però non hanno “diritto” di conoscere per filo e per segno le nostre fatiche come se fossimo in una sorta di Grande Fratello permanente, perché è probabile che non siano in grado di capire bene la dinamica dell’impegno nonostante le cadute, e ne deducano sbrigativamente - come da modelli loro propinati continuamente dai media - che è impossibile impegnarsi a vivere bene la sessualità, e che in fondo “se anche il Capo fa fatica”, non vale la pena neanche tendervi. la gestione delle situazioni “difficili” in co.Ca. Quando accade che qualche Capo venga a trovarsi in situazione “difficile” (cioè in una posizione di non coerenza con quanto qui sopra esposto, nel caso della morale sessuale; ma anche nella medesima posizione di incoerenza in altri campi della vita come quello della legalità o quello di posizioni pedagogiche inaccettabili o quello della …preghiera) è diritto/ dovere della Co.Ca. chiamare il capo a un confronto e a scelte diverse. A volte questo è letto come una intrusione nella vita privata del capo. Non lo è. E’, invece, espressione della responsabilità “in solido” dell’educazione dei ragazzi. In AGESCI ogni capo è responsabile di ogni ragazzo del suo gruppo e non; anzi di ogni ragazzo del mondo: “Mi sta a cuore che ogni ragazzo riceva la proposta e la testimonianza migliore possibile da ciascuno di noi capi.” Essere accoglienti nei confronti del Capo che erra non può e non deve significare essere d’accordo con l’errore. Amare il Capo che erra non può e non deve significare amare l’errore. Anzi una Co.Ca. che ama il capo che erra, deve richiamarlo ad essere migliore, a superare il suo errore; ad informarsi, a riflettere, a confrontarsi con persone autorevoli per cogliere il perché la sua “incoerenza” fa problema verso i ragazzi, quali sono i valori in gioco, per chiedersi perché gli altri capi non condividono quella scelta, quella posizione, per farsi interrogare dalle preoccupazioni che essi hanno, per non presumere di essere senz’altro dalla parte del giusto, proprio perché i tuoi fratelli capi ti chiedono di metterti in discussione. In questo un ruolo importante l’hanno - in modo congiunto - sia il/la capogruppo che l’assistente: quello di gestire tali situazioni in modo da evitare da una parte il clima di giudizio e condanna e dall’altra il clima di relativismo e qualunquismo.