Presentazione - AGESCI Forlì

Transcript

Presentazione - AGESCI Forlì
Presentazione
Questo fascicolo non ha molte pretese: intende solo raccogliere il percorso compiuto da
otto Co.Ca. della Zona di Forlì, che si sono coinvolte nella proposta di riflettere
sull’affettività e sessualità, tra ottobre e dicembre 2004.
L’idea è nata dal dialogo personale tra l’assistente di Zona e alcuni capi-reparto e capiclan, che segnalavano l’urgenza e la complessità dell’argomento, la difficoltà di affrontarlo
con i ragazzi e giovani e il loro stesso imbarazzo di fronte alla visione della Chiesa in questo
campo; l’idea è stata poi lanciata nell’incontro con i capi E/G in occasione dell’assemblea di
Zona di primavera del 13 marzo a S. Martino in Strada; è stata presentata al Consiglio di
Zona del 27 maggio a Rocca delle Caminate ed elaborata da parte della ‘Pattuglia sesso’
insieme alle Co.Ca. aderenti in settembre-ottobre.
Lo scopo era duplice: offrire contenuti e strumenti su questo tema, da spendere con i
ragazzi (specialmente EG e RS); e di dare ai capi l’opportunità di una formazione anche
personale sull’argomento. I due aspetti – formazione come persone e come educatori – sono
strettamente connessi, perché un capo educa con tutta la sua persona (convinzioni,
atteggiamenti, comportamenti) e non solo con le parole e il metodo.
In linea con il compito fondamentale della Zona, che non è tanto di ‘aggiungere’ iniziative
alle molte già portate avanti dai gruppi, bensì di sussidiare e favorire le attività dei gruppi a
tutti i livelli, la proposta è stata da subito pensata e proposta alla Co.Ca. parte del proprio
itinerario di catechesi; le comunità aderenti cioè, nei tre mesi da ottobre a dicembre hanno
scelto i tre incontri proposti dalla Zona come loro occasione di catechesi ordinaria. In questo
modo non hanno dovuto aggiungere un momento ‘in più’, ma hanno integrato questa
iniziativa nel loro percorso normale.
Non è ovviamente possibile, in un fascicolo, dare un’idea compiuta della ricchezza emersa
negli incontri; e tuttavia non ci è sembrato inutile registrare anche sulla carta qualche spunto,
riflessione, provocazione. La bibliografia finale servirà, ai capi interessati, per approfondire
alcuni singoli argomenti. Chi ha vissuto questa esperienza ritroverà molte delle idee e attività
a cui ha partecipato; chi non l’ha vissuta potrà forse ugualmente trarre elementi utili per la
sua formazione personale e il suo servizio educativo.
Grazie a tutti.
La ‘Pattuglia sesso’
Barbara Farolfi, Andrea Fabbri, Marina Padovani,
Fabio Piovaccari, Marco Quattrini, d. Erio Castellucci
Forlì, 1 marzo 2005
PRIMO INCONTRO: INTRODUZIONE AL TEMA
Venerdì 29 ottobre 2004 ore 21-23 – Seminario di Forlì
La serata si è svolta in due momenti: l’assemblea, nella quale l’assistente ha introdotto
l’argomento, e la divisione in quattro Bi-Co.Ca. con il lancio di altrettanti temi sui quali
ognuno dei quattro gruppi avrebbe organizzato il successivo incontro. Gli ultimi minuti, di
nuovo assembleari, sono stati dedicati alla presentazione di materiali (specialmente libri),
riportati nelle ultime pagine del presente fascicolo.
Primo momento (ore 21-22)
affettività e sessualità: provocazioni iniziali
(traccia dell’intervento dell’assistente in assemblea)
- L’affettività è un ‘campo minato’, eppure è così incisivo che da essa possono nascere i
più grandi slanci d’amore e le più terribili vampate di odio (la guerra civile è la peggiore di
tutte le guerre. Pur essendo così importante, l’affettività non sembra interessare molto le
‘agenzie educative’, forse per l’oggettiva difficoltà di educare questa dimensione. Mentre la
scuola educa l’intelligenza (attraverso la crescita e la disciplina della conoscenza) e la
famiglia, lo sport, ecc. educano la volontà (attraverso l’esercizio delle rinunce e
dell’impegno), sembra che ciascuno debba autogestirsi l’affettività; in questo terzo campo
ognuno deve essere autodidatta, educarsi come può; è raro che l’affettività venga educata in
famiglia o nel gruppo/associazione, e comunque riguarda solo una piccola minoranza di
ragazzi e giovani.
- La sessualità, che può esprimere l’affettività ma non la esaurisce (la sfera affettiva
riguarda molte altre relazioni: genitoriali, filiali, amicali...), è a sua volta una dimensione
importante e complessa della persona. Se qualche decennio fa si poteva dire anche un “tabù”,
oggi certamente non lo è più: se ne parla abbastanza di frequente: forse anche troppo e non
sempre in modo appropriato. Se da una parte questo è un vantaggio, dall’altra non evita
talvolta il rischio della banalizzazione. E’ proprio questo rischio che la Chiesa vuole evitare,
proponendo una visione esigente della sessualità; così esigente che ad alcuni, anche tra i
cristiani, appare irraggiungibile e fuori dalla realtà. La visione cattolica della sessualità,
conosciuta per lo più attraverso titoli di giornale, sembra poi a qualcuno non sufficientemente
fondata sulle Scritture, nelle quali non compaiono molti degli elementi che la Chiesa presenta
come dottrina morale.
- A livello puramente introduttivo (qualche approfondimento potrà essere proposto solo
nei due successivi incontri) è opportuno offrire alcuni elementi della visione cristiana
dell’affettività-sessualità:
• Prima di tutto la sessualità per la Chiesa non va collocata nella categoria del “peccato”
o del “tabù” ma in quella del dono: è dono da parte di Dio all’uomo e alla donna, dono
reciproco tra loro due, dono aperto ad una nuova vita. Perché Dio ha pensato l’umanità non
come un genere uniforme ma come due generi, maschile e femminile? Giovanni Paolo II ha
dedicato molte catechesi alla teologia della sessualità e del maschile-femminile, mostrando
che i due generi esprimono nello stesso tempo l’incompletezza di ciascun individuo
(l’incompletezza fisica è segno di quella psicologica e spirituale) e la complementarità dei
due sessi, che solo insieme formano “una carne sola”. Dio ci ha voluti distinti in maschio e
femmina proprio per scrivere nella nostra carne la necessità di uscire da noi stessi e cercare
l’altro, di non cadere nella tentazione dell’autonomia assoluta, di aprirci alla diversità
complementare.
• La Scrittura non contiene la soluzione pre-confezionata a tutti i problemi; in campo
morale, poi, dalla Scrittura non deduciamo sistemi applicabili a tutte le situazioni. Però
ricaviamo una antropologia (visione dell'uomo) coerente e completa, che si misura, nella
storia, con i problemi e le concezioni che via via emergono; alcuni testi particolarmente
importanti si trovano sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento.
• Antico Testamento: a) Genesi 1-3: la natura, il corpo, la sessualità sono “cosa buona”,
cioè doni di Dio. La sessualità è un aspetto dell'essere immagine di Dio (Gen 1,27) ed è
mezzo di unità così profonda tra uomo e donna da farne “una carne sola” (Gen 2,24) e da
renderli partecipi del ruolo creatore di Dio (Gen 1,28). b) Il Cantico dei Cantici: descrive il
rapporto coniugale nella sua “bellezza”, come partecipazione di tutta la persona e non solo di
alcuni organi del corpo. Inquadra l'atto sessuale nel piano di Dio.
• Nuovo Testamento: a) il fatto stesso della "incarnazione" del Figlio di Dio esclude la
negatività e include l'apprezzamento della corporeità. b) La rivelazione di Dio come Trinità di
Persone nell'unica natura esplicita ciò che nell'Antico Testamento rimaneva implicito: la
distinzione e attrazione sessuale degli esseri è a “immagine di Dio” perché Dio non è un
Essere solitario ma una “comunità” di Persone che si relazionano a vicenda. c) Cristo
presenta, infine, accanto alla riaffermazione della positività del matrimonio (citando Gen 1,27
e 2,24), la “novità” della verginità per il Regno (cf. Mt 19,1-12 e parall.).
• La Tradizione cristiana lungo i secoli, con tutti gli errori dovuti al fatto che la Chiesa è
composta da uomini, è rimasta fedele all'atteggiamento biblico: la Chiesa ha sempre reagito
ad una duplice contraria riduzione del sesso, diffusa in diverse epoche della storia cristiana. a)
Contro la demonizzazione del sesso e del corpo (idolatria dell'"anima": tentazione
spiritualista), la tradizione cristiana afferma che la sessualità è dono di Dio. b) Contro la
sacralizzazione del sesso e del corpo (idolatria del "corpo": tentazione materialista) la
tradizione cristiana afferma che il sesso ha valore come espressione dell'intera persona.
L'antropologia biblico-cristiana non è dualistica ma unitaria. La Chiesa antica e medievale ha
combattutto più la demonizzazione che l'idolatria del corpo e del sesso: cf. le prese di
posizione contro gli stoici (secc. I-II), gli gnostici (secc. II-III), i manichei (secc. III-IV) e i
catari (secc. XI-XII). Oggi si trova a contrastare piuttosto l'idolatria del corpo e del sesso.
L'errore di fondo nei due casi è lo stesso: una visione dell’uomo dualista, che separa
anima/interiorità da corpo/sessualità. La Chiesa ribadisce che la sessualità è "dono" di Dio
per un amore unitivo e procreativo e, in quanto tale, riguarda “tutto” l'uomo: anima e corpo.
Secondo momento (ore 22-23)
quattro tracce per la riflessione di Bi-Co.Ca.
(questionario consegnato nei quattro gruppi)
Ad ognuna delle quattro Bi-Co.Ca. vengono consegnate quattro domande (una di
carattere generale, una di tipo pedagogico, una personale come cristiano e una come Capo),
che sono possibili sviluppi del tema assegnato. Oltre ad una prima reazione, è richiesta
qualche idea su come impostare il successivo incontro di Bi-Co.Ca. di novembre.
Affettività e sessualità nell’età evolutiva (FO 6 e FO 13)
a. La dimensione affettivo-sessuale è importante in questa età (0-18 anni) come (e più di)
quella cognitiva e volitiva. Chi se ne assume il compito educativo? Che ruolo hanno la
famiglia, la scuola, la Chiesa?
b. L’integrazione tra affetti, intelligenza e volontà costituisce il principale criterio della
maturità umana. Chi oggi, fra le diverse ‘agenzie educative’, favorisce e chi invece ostacola
questa integrazione?
c. Fede e sessualità si incrociano oppure sono due aspetti paralleli nella mia vita di
cristiano? Corro il rischio di considerare la fede un ‘settore’ che non investe anche
l’affettività? Corro il rischio di considerare l’affettività una ‘zona franca’ gelosamente
autogestita?
d. La metodologia dell’AGESCI, nelle diverse branche e nei vari momenti previsti
(catechesi, preghiera, attività gioco, uscite, campi, vita di gruppo, progressione personale...),
sia a livello di elaborazione teorica che di traduzione pratica, favorisce un adeguato dosaggio
tra componente affettiva, razionale e volitiva? E’ mai emersa la problematica dell’educazione
affettiva di ragazzi particolarmente ‘feriti’ (come portatori di handicap fisici e/o psichici)?
Affettività e sessualità della coppia (FO 7 e Rocca S. Casciano)
a. La visione cristiana dell’affettività/sessualità nella vita di coppia (innamoramento,
fidanzamento, matrimonio, famiglia) pretende di essere conforme alla ‘legge naturale’ e
quindi anche alla ragione umana. Riesce ad emergere questa base ‘laica’ o la si vede solo
come una visione discendente dalla fede?
b. La Chiesa ha una proposta esigente sull’affettività e la sessualità, che può apparire
anche esagerata o lontana dalla realtà. Ma è conosciuta la sua dottrina in merito, o ci si
muove sugli slogans e i titoli dei giornali? In che modo la Chiesa educa alla vita di coppia?
...o non educa?
c. Come battezzato, avverto tensioni e contraddizioni tra la visione cristiana della vita di
coppia e le mie idee? E tra questa visione e la mia pratica?
d. In AGESCI (branche, Co.Ca., zona, regione) quali sono (se ci sono) le sedi e le
occasioni in cui si affrontano i temi dell’affettività e sessualità della vita della coppia? Come
Capo ne parlo ai ragazzi? Sono imbarazzato o sereno nel propormi ai ragazzi anche su questi
aspetti?
Il maschile e il femminile (FO 1 e FO 11)
a. Sui due pilastri della Bibbia (cf. Gen 1-2) e della ragione umana, il cristianesimo
costruisce una visione dell’uomo e della donna come persone complementari (fisicamente,
psicologicamente e spiritualmente) e di uguale dignità. E’ una visione conosciuta? E’ attuale
o datata?
b. Il ‘maschile’ e il ‘femminile’ hanno vaste zone in comune e alcune in proprio; oggi si
parla molto di ‘confusione/crisi dei ruoli’. C’è qualcuno oggi che educa specificamente al
‘maschile’ e al ‘femminile’? Che immagine di maschio e di femmina veicolano i massmedia?... e i nostri discorsi in branca o in Co.Ca.?
c. Ho accettato la mia femminilità o maschilità? Quali ostacoli (eventualmente) incontro
nell’essere uomo/donna in casa, al lavoro, a scuola, in parrocchia, in associazione, tra amici?
d. Si affronta in AGESCI la problematica della relazione maschile-femminile? La
coeducazione si dà per scontata o si tematizza? E’ sempre giusta o richiederebbe maggiore
attenzione e qualche flessibilità? Come ci si rapporta alle persone di tendenza omosessuale in
branca o in Co.Ca.?
Il tabù della castità (FO 2 e FO 10)
a. La parola ‘castità’ è un nuovo tabù, come una volta lo era la parola ‘sesso’: quando è
pronunciata, provoca quasi solo smorfie e risatine di compassione, e per molti puzza di
muffa. Si sa in giro che non è sinonimo di ‘astinenza’ (significato negativo) ma di ‘sessaulità
come dono’ (significato positivo), vissuto nelle diverse modalità legate alla propria
vocazione?
b. E’ ancora possibile educare bambini, ragazzi e giovani alla castità o è una mission
impossible? La Chiesa ha il linguaggio e gli strumenti per farlo? Le famiglie sono interessate
a questo tipo di educazione affettiva o lo scambiano per ‘puritano’?
c. Il mio approccio alla sessualità è ‘casto’, oppure morboso, istintivo, utilitaristico? Chi
mi ha (eventualmente) educato alla castità? E oggi, come cristiano, ho gli strumenti per
formarmi a vivere una sessualità come ‘dono’?
d. Risuona mai la parola ‘castità’, con il suo contenuto positivo, nella vita delle branche
(attività, catechesi, preghiera, testimonianza, gioco...) e negli incontri di Co.Ca.? Esistono in
AGESCI gli strumenti per educare alla castità? Se esistono, sono utilizzati? Come ci
comportiamo in quanto Capi di fronte alle situazioni problematiche di cui veniamo a
conoscenza nei ragazzi (disagi o deviazioni affettive, masturbazione, dipendenza dalla
pornografia, ecc.)?
SECONDO INCONTRO: LAVORI DI BI-CO.CA.
Ogni Bi-Co.Ca. ha scelto una serata diversa per approfondire il tema assegnato, con
l’aiuto della traccia consegnata e discussa nella seconda parte dell’incontro precedente.
Riportiamo le sintesi dei lavori.
mercoledì 17 novembre 2004 ore 21 – Romiti
Affettività e sessualità della coppia (FO 7 e Rocca S. Casciano)
La Bi-Co.Ca. sceglie di avviare la riflessione con un lancio e un’attività: vengono
consegnati a due gruppi degli spezzoni di articoli giornalistici (inventati) e alcuni articoli del
Catechismo della Chiesa Cattolica, inscenando un ‘processo’ con accusa e difesa. Il verdetto
rimane sospeso, e rimandato all’incontro finale di Rocca delle Caminate.
Dal giornale " Il Foglio, " del 04/11/2004:
“SI FA PRESTO A DIRE AMORE....”
“MATRIMONIO NESSUNA LIBERTA' SOLO CATENE”
La Chiesa dice che il fine del matrimonio è la procreazione, ma non si può ricondurre un
legame d'amore fra due individui solo a questo: oggi nella nostra società esistono altre
priorità.
Con il tabù della contraccezione, la Chiesa chiede alle coppie di mettere al mondo 3, 4,
8 figli, ma non capisce che il rischio è di creare famiglie non capaci di mantenere la prole, il
tenore di vita ,gli hobby
“NIENTE SESSO: SIAMO FIDANZATI”
La Chiesa dice che una coppia di fidanzati deve vivere la propria affettività come un
dono e conservare la castità nell'attesa del matrimonio. Ma a cosa serve aspettare? E poi se
non lo fanno a 20 anni, quando lo devono fare?
“L'ADULTERIO NON E' AMORE”
La Chiesa afferma che anche solo guardando una donna si è già commesso adulterio,
come al solito la Chiesa non si adatta ai tempi... in fondo che male c’è a guardare una
“Velina” o una bella “Letterina”?
Dal Catechismo della Chiesa Cattolica:
1602 - La Sacra Scrittura si apre con la creazione dell'uomo e della donna ad immagine e
somiglianza di Dio e si chiude con la visione delle "Nozze Dell'Agnello". Da un capo all'altro la
Scrittura parla del Matrimonio, della sua origine e del suo fine, delle sue diverse realizzazioni
lungo tutta la storia della salvezza, delle sue difficoltà derivate dal peccato e del suo rinnovamento
"nel Signore", nella Nuova Alleanza di Cristo e della Chiesa.
- Dio che ha creato l'uomo per amore, la ha anche chiamato all'amore, vocazione fondamentale
e innata di ogni essere umano. Infatti l'uomo è creato ad immagine e somiglianza di Dio che è
Amore avendolo Dio creato uomo e donna, il loro reciproco Amore diventa un'immagine
dell'amore assoluto e indefettibile con cui Dio ama l'uomo. E' cosa buona, molto buona agli
occhi del Creatore. E questo amore che Dio benedice è destinato ad essere fecondo e a realizzarsi
nell'opera comune della custodia della creazione "Dio li benedisse e disse loro: Siate fecondi e
moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela.
- Che l'uomo e la donna siano creati l'uno per l'altro, lo afferma la Sacra Scrittura: "Non è bene
che l'uomo sia solo ". La donna, "carne della sua carne", cioè suo "vis-à-vis", sua eguale, del
tutto prossima a lui, gli è donata da Dio come un "aiuto", rappresentando così Dio da quale viene il
nostro aiuto. "Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due
saranno una sola carne". Ciò che significhi un'unità indefettibile dello loro due esistenze, il Signore
stesso lo mostra ricordando quale sia stato, "all'origine", il disegno del Creatore: "Così che non
sono più due, ma una carne sola".
2360 La sessualità è ordinata all'amore coniugale dell'uomo e della donna.
Nel matrimonio l'intimità corporale degli sposi diventa un segno e un segno
della comunione spirituale. Tra i battezzati i legami del matrimonio sono
santificati dal sacramento.
2361 La sessualità mediante la quale l'uomo e la donna si donano l'uno
all'altra con atti propri ed esclusivi degli sposi, non è affatto qualcosa di
puramente biologico, ma riguarda l'intimo nucleo della persona umana come tale. Essa si
realizza in modo veramente umano solo se è parte integrante dell'amore con cui l'uomo e la donna si
impegnano totalmente l'uno verso l'altra fino alla morte.
2398 La fecondità è un bene, un dono, un fine de matrimonio. Donando la vita gli sposi
partecipano alla paternità di Dio.
Dibattito tra accusa e difesa
Difesa del “Foglio” e accusa alla Chiesa.
“Matrimonio: nessuna libertà, solo catene”. La Chiesa richiude il matrimonio nella
procreazione: ma non si può ricondurre il legame d'amore tra due individui solo a questo;
oggi nella nostra società esistono altre priorità. Con il tabù della contraccezione la Chiesa
chiede alle coppie di mettere al mondo molti figli, ma non capisce che il rischio è di creare
famiglie non capaci di mantenere la prole, il tenore di vita, gli hobbies. Per chiedo a voi se
mai avete sentito parlare di paternità e maternità responsabile.
“Niente sesso, siamo fidanzati”. La chiesa dice che una coppia di fidanzati deve vivere la
propria affettività come un dono e conservare la castità nell'attesa del matrimonio. Ma cosa
serve aspettare? Poi se non lo fanno a vent'anni quando lo devono fare? Anche qui mi sembra
che tempi siano passati avanti rispetto alla Chiesa e ogni tanto ci se ne dimentica.
“L'adulterio non è amore”. La chiesa afferma che anche solo guardando una donna si è già
commesso adulterio; come al solito non si adatta ai tempi: in fondo che male c'è a guardare
una velina una bella letterina?
Adesso cominciamo ad andare sulle cose serie. Noi riteniamo che realtà tutta l'idea
sull'attività/sessualità che porta avanti oggi la Chiesa di fatto non venga dalle Scritture, ma
dalla gerarchia ecclesiale, dai vari Concili; nella Bibbia infatti si dice che Salomone aveva
700 mogli e 300 concubine, per dirne una; Sara stessa, moglie di Abramo, essendo sterile lo
spinse ad andare con una schiava. Nel Nuovo Testamento si dice che i vescovi devono essere
sposati una volta sola. Quindi non era una cosa così grave… invece poi in seguito e diventata
una cosa grave.
Difesa della Chiesa e accusa al “Foglio”
Per smontare queste accuse, che dette così sembrano molto forti, l'unico punto di vista dal
quale abbiamo deciso di partire è proprio l’ottica sbagliata che secondo noi la difesa ha
utilizzato nell'analizzare le Scritture. In sostanza tutti i pezzi delle Scritture che voi avete
estrapolato sono come pezzi di un puzzle che considerati in un contesto globale hanno
significati ben diversi; mentre se considerati come singoli pezzi non hanno né capo né coda.
Quindi è il punto di vista vostro che è viziato già dall'inizio; oltre tutto i Padri della Chiesa
ricordiamoci che sono comunque uomini, quindi fallibili, però loro nel corso dei secoli hanno
elaborato le Scritture ed hanno creato un Catechismo. Occorre quindi dare fiducia ai Padri
della Chiesa, perché sono persone che con la loro esperienza, con la loro vita dedicata
appunto a studiare le Sacre Scritture, hanno offerto un'interpretazione autentica.
Venerdì 19 novembre 2004 ore 21
Il tabù della castità (FO 2 e FO 10)
La Bi-Co.Ca. è iniziata con la riflessione di Barbara e Gilberto Brandinelli, giovane
coppia del vicariato con cinque figli. E’ poi proseguita con lavori di gruppo, dei quali
presentiamo una sintesi. Seguirà il riassunto finale, così come è stato proposto nella riunione
assembleare di Rocca delle Caminate.
Riflessione di Barbara e Gilberto Brandinelli
Castità non significa rinuncia, ma dono. Essa consiste nel dare all'altro delle cose di se,
come la forza, la pazienza e il dominio di sé stessi.
La castità non riguarda solo la sfera sessuale, ma tutta la vita e coinvolge la persona a 360°
: il modo di guardare le persone, di rapportarsi con esse, cosa si legge, come si passa il tempo
libero, ecc......
La castità è rinunciare ad un piacere immediato per ottenere un piacere maggiore, il
difficile è riuscire a vedere questo bene maggiore. Castità e dono totale di se all'altro, per cui
implica fiducia nell'altro.
Castità significa anche crescita: non la si raggiunge subito, ma si cresce gradualmente. Per
questo è importante educare i ragazzi, fin da piccoli, a fare delle piccole rinunce, abituarli a
non avere tutto subito. Un ragazzino viziato farà fatica a rinunciare al piacere immediato e a
capire la castità. Una cosa ottenuta senza far fatica si apprezza di meno, per cui la castità
aiuta a vivere meglio anche il piacere. La castità è un dono ed è dialogo, la castità va
"riempita" non solo passando del tempo insieme, ma anche facendo delle cose insieme come
ad esempio il servizio. La castità non è astinenza. Una persona può non essere casta anche se
non ha rapporti sessuali, ad esempio se sfrutta l'affetto degli altri. Il "problema" della castità
non si risolve col matrimonio: occorre mantenersi casti anche nei rapporti coniugali. Per
avere un rapporto casto occorre comunicare sempre il proprio desiderio, anche se di fatto non
si hanno rapporti. E più prezioso il desiderio che il rapporto sessuale perché è più facile
rinunciare alla fisicità che al desiderio di essa.
Vivere la castità oggi è più difficile, perché è ormai diventata un tabù e spiegarla a ragazzi
è altrettanto difficile a causa della mentalità generale in cui siamo immersi.
Ormai i ragazzi non si stupiscono più di nulla e non fanno più domande: molte cose, come
ad esempio la nascita di un figlio da due persone che si sono appena conosciute, sono
diventate la normalità. Molto spesso i ragazzi non hanno nessuno che gli faccia vedere che
esiste qualcosa di diverso da quello con cui sono a contatto quotidianamente. Occorre far
vedere ai ragazzi che ci può essere altro. Oggi il dialogo con i ragazzi è molto difficile, per
cui il modo migliore per trasmettere loro il valore positivo della castità è dare il proprio
esempio e la propria testimonianza: mostrare loro che si può essere felici con uno "stile di
vita" casto. Educare alla castità è fondamentale perché, come dimostra il caso dei
tossicodipendenti, il rischio è la perdita del controllo di sé stessi. I tossicodipendenti sono
incapaci di rinunciare a qualsiasi piacere e questo li riporta a perdere il controllo di se. Se i
ragazzi si abituano a rispondere a tutti gli stimoli del loro corpo, cominceranno a perdere
controllo ed equilibrio.
Sintesi dei lavori di gruppo
GRUPPO A: LA CASTITÀ È DIVENTATA UN TABÙ
La parola castità è un nuovo tabù, come una volta lo era la parola sesso: quando è
pronunciata provoca quasi solo smorfie e risatine di compassione e per molti puzza di muffa.
Si sa in giro che non è sinonimo di astinenza (significato negativo), ma di "sessualità come
dono" (significato positivo), vissuto nelle diverse modalità legate alla propria vocazione?
Il sesso è ancora un tabù: se ne parla molto, ma in modo superficiale, banale, distorto.
Collegare la castità alla vita in generale e non solo AL sesso rende la cosa più accettabile E
serena. La castità dà il giusto distacco dalle cose, che ci permette di valutarle e riconoscerne il
valore e aiuta a fuggire dalla logica azione-reazione. La privazione va intesa come
acquisizione ed arricchimento e non come perdita e mancanza. È privarsi di qualcosa per
appropriarsi di qualcosa di più. Praticare la castità oggi è andare controcorrente, educare alla
castità e ancora più controcorrente
Il metodo scout aiuta, grazie all'interdipendenza tra pensiero e azione. Bisogna aiutare i
ragazzi a pensare e a ragionare sulle cose con la propria testa. L'esperienza scout
dell'essenzialità e del "far fatica" aiutano a proporre indirettamente la castità come stile di
vita. Il metodo aiuta, ma spesso è proposto da persone fragili: i primi a dover crescere nella
castità sono gli educatori, sia i genitori che i capi. Occorre considerare che tempi sono
cambiati: un tempo ci si sposava a 18 anni, ora a 30 per cui la castità e più difficile.
GRUPPO B: EDUCARE ALLA CASTITÀ
E’ ancora possibile educare bambini, ragazzi e giovani alla castità ora o è una "mission
impossible"? La Chiesa ha il linguaggio e gli strumenti per farlo? Le famiglie sono
interessate a questo tipo di educazione affettiva o viene scambiata per "puritanesimo"?
Educare la castità oggi non è impossibile, ma è molto difficile. Tuttavia se ne avverte
fortemente l'esigenza. C'è bisogno di educare all'affettività in generale, non solo alla
sessualità. Nell'essenzialità propria dello scoutismo c'è una "strada" verso la castità. Occorre
vedere la castità come stile di vita, non solo come qualcosa di legato al sesso. I ragazzi
devono imparare a darsi degli obiettivi, come avviene nello scoutismo attraverso la
progressione personale. Occorre rende liberi i ragazzi, capaci di andare controcorrente e di
dire dei no, in tutti i campi, non solo nella sessualità. Come educatori dobbiamo prima di
tutto capire noi il valore della castità, inoltre dobbiamo suscitare nei ragazzi delle domande,
dei dubbi e aiutarli a fare delle scelte. La castità è rinuncia al piacere immediato per un bene
più grande e lo scoutismo dovrebbe insegnare a non scegliere sempre la via più comoda e
facile.
La Chiesa ha gli strumenti per educare alla castità, a partire dalle Sacre Scritture, ma non
sempre ha il linguaggio giusto. Occorre dare un messaggio "controcorrente" ma con un
linguaggio "corrente", altrimenti si corre il rischio che ragazzi non capiscano e che li si perda.
Nei capi dobbiamo per primi conoscere la posizione della chiesa sul tema da castità, mentre
spesso c'è ignoranza e superficialità in proposito.
La famiglia ha un'importanza fondamentale nell'educazione alla castità e questo lo si nota
dal fatto che in campagna, a Barisano ad esempio, l'ambiente è molto diverso da quello
cittadino. C'è molta "delega" da parte dei genitori sul tema del sesso e della castità. Al di là
delle parole è e resta fondamentale l'esempio dei genitori. Il bisogno di affetto degli
adolescenti che non si sentono amati in famiglia li porta ad avere esperienze precoci.
GRUPPO C: CASTITÀ COME DONO
Il mio approccio alla sessualità è casto oppure morboso, istintivo, utilitaristico? Chi mi ha
(eventualmente) educato alla castità? Oggi, come cristiano, ogni strumenti per formarmi a
vivere una sessualità come "dono"?
L'approccio alla sessualità è il più delle volte istintivo, il che non va d'accordo con la
parola casto. L'educazione alla castità non viene in genere dalla famiglia, forse perché è
troppo coinvolta e scarsamente credibile. L'educazione alla castità non basta fatto solo alla
branca R/S, ma già in reparto perché è al giorno d'oggi i ragazzi fanno esperienze molto
presto. È il caso di dare ai ragazzi una testimonianza del valore positivo della castità prima
che abbiano i primi rapporti, in modo che possano scegliere consapevolmente. Gli strumenti
più adatti per imparare la castità sono partecipare ad incontri sul tema, avere una guida
spirituale di coppia e avere un buon dialogo con il partner.
GRUPPO D: IL METODO SCOUT E LA CASTITA’
Risuona mai la parola "castità", con il suo contenuto positivo, nella vita delle branche
(attività, catechesi, preghiera, testimonianza, gioco.....) e nell'incontro di Coca? Esistono in
agesci gli strumenti per educare alla castità? Se esistono, sono utilizzati? Come ci
comportiamo in quanto capi di fronte alle stazioni problematiche di cui veniamo conoscenza
nei ragazzi (disagi o deviazioni effettive, masturbazione, dipendenza)?
Donarsi in E/G è un tema possibile.
Se quattordicenni e quindicenni provocano sul tema come fare? Parlare con i genitori?
Esempi di noi capi: è importante la coerenza, i ragazzi fanno delle domande a cui
dobbiamo dare risposte credibili.
Il concetto che sta dietro la castità può essere utilizzato anche per un discorso di
prepotenza oltre che per un significato di non voler soddisfare tutti i costi nell'immediato i
desideri/piacere.
Essere parte della Chiesa ci dovrebbe aiutare a portare questo messaggio.
La progressione personale aiuta nel percorrere il il discorso "castità" declinato sulla
sessualità; "castità" intesa come progettualità può essere abbinata al messaggio dell'impresa
in branca E/G.
In clan bisognerebbe mirare intenzionalmente al discorso castità/sessualità.
In reparto di affettività se ne potrebbe parlare.
La famiglia dovrebbe aiutare in questo percorso attraverso il dialogo.
Di fronte a problematiche concrete manifestate da ragazzi è bene prendere tempo
sull'immediato e rimandare ad un primo confronto e staff prima di formulare una risposta.
Non è detto che il capo che "scopre" per primo la problematica di un ragazzo, sia poi la
persona più indicata per affrontare il problema con quel ragazzo.
Presentazione alle altre Co.Ca.
Nonostante qualche, preoccupazioni già da parte delle due co.ca. e dato l'argomento che
ci sembrava spinoso alla fine abbiamo lavorato, abbiamo lavorato bene mi sembra, abbiamo
scelto una modalità molto semplice però efficace, vale a dire che ci siamo fatti raccontare
qualche cosa di più da una coppia marito e moglie, Gilberto e Barbara, e poi dopo ci siamo
divisi in quattro sottogruppi. Questi quattro sottogruppi hanno lavorato sulle domande
provocatorie che ci ha fornito don Erio. Rielaborando un po' il tutto abbiamo buttato giù
questi quattro spunti, queste quattro provocazioni.
Quello che abbiamo cercato di analizzare che era un po' il senso, il significato che chiama
la parola castità. Chi nella maggioranza delle interpretazioni associa castità ad astinenza cosa
che non è vera, castità non è solo astinenza.
Un primo passo è stato proprio quello di chiarire che castità non è astinenza ma qualcosa
di più. Che cos'è la castità? Per cercare di sintetizzare questo concetto che non è banale,
abbiamo utilizzato la frase “privarsi per riappropriarsi”, cioè saper rinunciare a qualche cosa
di immediato per un bene che verrà più grande e verrà in un secondo momento. Quindi
combattere contro la logica del “tutto e subito, voglio una cosa la consumo”, che mi fa
diventare un consumatore, uno che spingendo il pulsante ottiene qualche cosa: non è questo il
concetto che sta dietro la castità.
È chiaro però che la castità al giorno d'oggi è un messaggio difficile da far passare; allora
non si può andare a parlare di castità dando per scontato che tutti quanti la capiscono
indipendentemente dal modo in cui è stata comunicata. Infatti dall'analisi che abbiamo fatto
lo slogan che ne è emerso è: messaggio contro corrente che però va fatto passare con un
linguaggio corrente, perché se noi facciamo passare la castità come una serie di divieti è
chiaro che abbiamo già sbagliato, non essendo quello che noi dobbiamo riuscire a far capire.
Dietro quelle cose, che sono delle rinunce, non c'è una serie di divieti fini a sé stessi, ma ci
sono dei contenuti per arrivarci. Quindi non si può pensare solo di annunciare le cose da non
fare.
Poi entrando specifico del nostro metodo ci siamo interrogati se effettivamente la
metodologia scout aiuta a far passare il messaggio della castità. Noi siamo arrivati ad una
conclusione con una frase provocatoria cioè: il metodo è casto. Nel senso che tutto il metodo
scout aiuta a far passare questo messaggio di non cercare subito di ottenere quello che si
vuole. Di cercare di avere una progettualità, di cercare di fare un sacrificio adesso per avere
qualcosa più grande dopo. Il nostro metodo ci aiuta veramente molto: l'importante è avere la
consapevolezza di quello che stiamo facendo, dove vogliamo andare e la progettualità che c'è
dietro le cose che facciamo applicando il metodo, che non vanno date per scontate.
Domenica 21 novembre 2004 ore 21 – Coriano
Il maschile e il femminile (FO 1 e FO 11)
La Bi-Co.Ca. si è servita di un cartellone, nel quale erano stati disegnati due cuori: uno
rappresentante l’uomo, l’altro la donna; i due cuori erano intersecati e ed avevano dunque
una “zona” comune. Nella parte riservata all’uomo sono stati scritte, su suggerimento dei
presenti, le caratteristiche proprie dell’uomo, e così nella parte riservata alla donna; nella
zona comune sono state scritte le caratteristiche condivise, a parere dei presenti, da entrambi
i sessi. Presentiamo la sintesi di questo lavoro.
Ci siamo resi conto che ci sono grandi differenze di carattere tra gli uomini e le donne,
però ci sono anche molti punti in comune. La conclusione alla quale siamo arrivati è che
nell'uomo c'è molto della donna, caratterialmente parlando, anche per quanto riguarda il
modo di esternare i sentimenti di confrontarsi con la realtà; e viceversa nella donna c'è molto
dell'uomo. Però sicuramente ci sono dei tratti tipici dell'uno e dell'altro: per esempio abbiamo
riscontrato che la donna è più sensibile, apprensiva, riesce più facilmente ad esprimere
meglio i propri sentimenti, è più responsabile e più comunicativa. L'uomo invece è più
pratico, più schietto, riesce a progettare meglio, però ha più difficoltà a mettersi in
discussione. Punti in comune sono: responsabili, attenti all'altro, collaborano nella vita
quotidiana e devono essere in quanto coppia uniti da dei valori, quindi avere una comunione
di intenti.
L'altro punto su cui ci siamo confrontati è il ruolo che i media hanno nella nostra vita
quotidiana: che cosa la televisione e i giornali ci vogliono far credere e come ci vogliono
mostrare la realtà che ci circonda. Dalla televisione emerge l'immagine di un uomo sempre
più vicino alla donna anche nel modo di vestirsi e nel modo di curarsi. La famiglia, la scuola,
la chiesa, ovvero le agenzie educative, sono sempre più delegittimate dai mezzi di
comunicazione del loro ruolo. Il volontariato, ovvero il darsi gratuitamente agli altri, esiste
sempre meno. L’apparenza è più importante della sostanza, la famiglia è in crisi e prendono
sempre più piede le famiglie allargate e la televisione ce le fa vedere quasi fossero le
normalità. Non esistono più punti di riferimento, come potevano essere appunto la famiglia,
la Chiesa, la scuola.
Poi ci siamo confrontati con i genitori su quello chi invece è il nostro ruolo di educatori
scout ed abbiamo loro spiegato sostanzialmente l'importanza della coeducazione, di avere le
due figure capo uomo e donna. Abbiamo sottolineato che comunque noi come capi educatori
scout aiutiamo i genitori e non ci sostituiamo a loro nell'educazione dei figli e quindi è
importante che vi sia comunicazione reciproca.
Venerdì 26 novembre 2004 ore 21 – Regina Pacis
Affettività e sessualità nell’età evolutiva (FO 6 e FO 13)
La Bi-Co.Ca. si è divisa in gruppetti, ciascuno dei quali ha affrontato una delle domande
proposte al primo incontro. Queste le sintesi dei lavori, riproposte poi in forma scherzosa
(facendo il verso alla trasmissione “Loveline” di MTV) al’ultimo incontro assembleare a
Rocca delle Caminate.
1. PREMESSA
Bisogna dare attenzione alla dimensione affettivo-sessuale: sta alle fondamenta della
persona ed una ferita dell’affettività spalanca abissi. Oggi si assiste ad una privatizzazione
della dimensione affettivo-sessuale.
I mass media, la scuola, l’ambiente sportivo in linea di massima ostacolano la maturazione
dei ragazzi in questo campo, mentre chi potrebbe favorirla (famiglia, comunità ecclesiale,
movimento scout) fa fatica ad affrontarla o comunque non parla di sessualità. Come capi
dobbiamo conoscere la dottrina della Chiesa, cercare di parlare ai ragazzi, ma soprattutto
essere persone concrete, testimoni.
2. PECCATO NON FARLO, MA FARLO E’ PECCATO… PARLIAMONE
Fede e sessualità si incrociano, spesso però facciamo fatica a farle incontrare, per cui si fa
forte la tentazione del tenerle parallele, staccate. Anche per noi capi è faticoso scavare dietro
regole e precetti, conoscere la dottrina della Chiesa, provare a gestire l’incontro/scontro
fede/sessualità. Eppure tocca a noi fare da mediatori tra la dottrina ed i ragazzi. Non abbiamo
soluzioni generalizzabili, ma solo alcune parole d’ordine: tensione, ricerca, cautela nei
giudizi. Il nostro cammino personale è forse lo strumento educativo più efficace
3. C’E’ UN GRAN SENTIMENTO SCOPRIAMOLO (in tenda)
Nel processo di maturazione e di formazione di una propria identità l’adolescente ha
bisogno di acquisire alcune caratteristiche che gli permettano di portare a compimento uno
sviluppo affettivo , relazionale e sessuale socialmente adeguati.
La domanda è: tali compiti di sviluppo vengono favoriti dalla metodologia scout?
Se tali punti riguardano:
□ la capacità di stabilire nuove relazioni più mature con i coetanei di entrambi i sessi
□ Aiutare l’adolescente a divenire autonomo.
□ Facilitare la consapevolezza della propria identità sessuale (i rapporti eterosessuali
sono un passo necessario nella ricerca della propria identità).
Allora si può dire che lo Scoutismo con il suo metodo aiuta nell’acquisizione di queste
capacità.
Assume per questo notevole importanza anche la P.P. utile a stabilire un rapporto di
fiducia tra Capo e Ragazzo, dove l’adulto viene visto come persona di “riferimento”.
4. PROBLEMI
Numerosi sono i problemi che emergono a livello pratico nel rapporto tra capi e ragazzi.
Spesso ci sentiamo in difficoltà nel parlare con gli adolescenti di argomenti riguardanti la
sessualità.
Emerge inoltre come nei gruppi formativi a carattere religioso la sessualità sia ritenuta a
torto un tabù. Questo perché non si facilità, non si permette la possibilità di confronto e di
dialogo, l’argomento sesso rimane una questione che viene rimandata ad altri.
Ciò risulta essere di contrasto con le richieste dei ragazzi che nella fase dell’adolescenza
hanno bisogno di sapere, chiedono informazioni sia ai coetanei sia alle persone di riferimento
extra familiari.
Come affrontare la problematica dell’educazione affettiva di ragazzi particolarmente
“feriti”? Anche in questo contesto emergono notevoli contrasti, capita cosi che in ragazzi con
handicap psichici, non venga considerata la loro capacità e la loro richiesta di maturazione di
identità sessuale. In questo errore di valutazione il Capo educatore deve essere consapevole
che anche questi ragazzi necessitano di manifestare i cambiamenti fisici e pulsionali che
avvengono in loro come negli altri ragazzi. Rimane inoltre da valutare come agire di fronte a
manifestazioni di affettività distorta.
Non è possibile in questo breve contesto giungere ad una conclusione , si concorda prima
della chiusura del confronto di Bi-Co.Ca., che lo Scoutismo e il metodo aiutano i ragazzi
nell’andare oltre ad una visione “oggetto” dell’altro, (come spesso capita nei luoghi
extraformativi “bar, discoteche, strada” dove è facile appioppare facili pregiudizi agli altri),
la vita di gruppo aiuta nel mettere in risalto le proprie caratteristiche e ad essere valutati per
quello che effettivamente si è e si vale.
Sabato 4 dicembre 2004 ore 21 – Rocca delle Caminate
INCONTRO CONCLUSIVO
Introduzione (d. Erio)
Tenterò una presentazione il più possibile sintetica della visione cristiana dell'affettività e
della sessualità. Probabilmente alcune affermazioni provocheranno delle reazioni (spero non
troppo violente) e delle domande. Toccherò molti punti senza poterli approfondire; chi
volesse continuare la riflessione, potrebbe consultare l'ultimo numero di “RS Servire”
sull'affettività e i sentimenti: in particolare tre articoli, che ogni capo dovrebbe leggere
perché, tra l'altro, cercano di integrare la metodologia scout (cf. allegati).
Quattro parole per iniziare: sensazioni, emozioni, sentimenti, passioni
Cosa si intende con affettività? E’ una realtà che sta a monte dell'affettività. Quattro parole
definiscono il contenuto dell’affettività; parole che andrebbero usate bene e non confuse tra
loro: sensazioni, emozioni, sentimenti e passioni. A volte le si mescola con troppa facilità:
certo esiste una continuità tra queste quattro realtà... che però non si identificano.
e. Le sensazioni riguardano il livello fisico, le reazioni immediate, e possono essere di
due tipi: piacevoli o spiacevoli. Il caldo in questa stagione è una sensazione piacevole, il
freddo è spiacevole. Ci possono essere sensazioni di dolce e di salato, amaro e dolce... sono le
cose più immediate. Passano dunque attraverso i sensi.
f. Le sensazioni poi si organizzano e coinvolgono anche un livello istintivo; allora si
chiamano emozioni. Le emozioni cioè non riguardano solamente l'aspetto fisico immediato
ma anche un aspetto istintivo più profondo. Ed anche queste sono di carattere positivo e
negativo. Le emozioni di carattere positivo si chiamano attrazioni e quelle di carattere
negativo si chiamano repulsioni. Per esempio, la paura, è un’emozione di repulsione; io cerco
di respingere qualche cosa che magari non so neanche che cosa sia. Invece l'affetto per il
gatto è una emozione di attrazione.
g. Poi ci sono i sentimenti: qui entriamo in un campo ancora più organizzato, in una sorta
di strutturazione delle emozioni. I sentimenti coinvolgono anche l'intelligenza, che fino alle
emozioni non era coinvolta: posso ad esempio provare paura in modo del tutto irrazionale; se
io da bimbo ho subito un trauma al buio probabilmente mi porterò dietro la paura del buio,
senza che sia accompagnata da un ragionamento. Semplicemente quando spegnerò la luce mi
sentirò smarrito. Invece i sentimenti coinvolgono anche l'intelligenza, e anche questi sono di
due tipi: sentimenti positivi di coinvolgimento e negativi di allontanamento.
L'innamoramento è un sentimento che coinvolge. L'innamoramento è un sentimento che
comporta anche l'uso dell'intelligenza. Non è che uno si innamori perché è trascinato
solamente dal suo istinto: sa anche a ragionare e argomentare, almeno in parte, ciò che prova
dentro. L’innamoramento dunque non è pura emozione, ma sentimento. Cioè è una serie di
emozioni organizzate e anche pensate. Uno sa chi è la persona di cui si innamora;
normalmente, se non è virtuale sa com'è fatta, conosce più o meno i suoi pregi e i suoi difetti
(anche se questi ultimi non li vede bene).
h. L'ultimo livello affettivo è costituito dalle passioni. Le passioni comprendono tutto ciò
che precede... più un progetto. Sono sentimenti organizzati in un progetto. Le passioni
coinvolgono anche la volontà e sono anch’esse di due tipi: passioni costruttive e passioni
distruttive. La più nota passione costruttiva è l'amore, la più nota passione distruttiva e l'odio.
Questa è una scaletta possibile, ma ce ne sono tante: in “RS Servire” se ne trovano altre: vi
si parla addirittura di undici tipi di emozioni... Lo schema da me proposto è quello che uso di
solito, perché mi pare aiuti a capire come la nostra vita affettiva non sia un pentolone
indistinto dove si muove di tutto. La nostra vita affettiva si struttura a diversi livelli di
intensità. Da quello più immediato, che sono le sensazioni, passando attraverso le emozioni
fino ai sentimenti che sono già abbastanza organizzati e le passioni per le quali uno
addirittura dà o toglie la vita.
Questa distinzione ci può aiutare quando abbiamo a che fare con i ragazzi e forse anche
con i nostri problemi affettivi perché dentro di noi coabitano sensazioni, emozioni,
sentimenti, passioni positive che negative; questo non ci deve far paura. E questo non ha
ancora niente a che fare con il discorso del peccato o non peccato. Io userò questa sera
pochissimo la categoria di “peccato”, perché che cos'è il peccato e cosa non è peccato lo si
può stabilire a livello del tu per tu, al confessionale o in direzione spirituale, valutando
insieme la consapevolezza e la volontà; non si può dire in astratto:”questo è peccato, questo
non è peccato”. Si può dire in astratto: “questo ha più significato. Questo ha meno
significato”. Ora, il fatto di provare delle sensazioni, delle emozioni, dei sentimenti e delle
passioni, non ha ancora a che fare con il peccato; può certamente provocarne – se io uccido
una persona, sicuramente almeno lei penserà: “ah, che peccato!” – ma siamo ad un livello
precedente. Questo lo dico perché può capitare che uno scambi istinti, sensazioni, sentimenti
ed emozioni che prova dentro di sé con un peccato: magari, ad esempio, una persona sposata
che prova istintivamente un’attrazione verso qualcun altro, può pensare che questo sia già
peccato... mentre il peccato interviene quando si consente volontariamente a questa relazione,
la si coltiva, ecc. Una cosa insomma è se uno pensa: “guarda quella persona; però, eh?”, e
tutto finisce lì. Una cosa è se le va incontro lì e le dice: “Scusa mi dai il tuo numero di
cellulare? Non è che ci potremmo vedere?...”. Allora comincia ad organizzare un sentimento
che diventa anche una passione e comincia a consentire, fino a creare una situazione dove
intervengono decisamente volontà e consapevolezza e dalla quale è difficile tornare indietro.
La distinzione proposta sopra è dunque di per sé a un livello premorale: un livello
psicologico-affettivo.
Tre parole per proseguire: corporeità, sessualità, genitalità
Come esprimiamo invece gli affetti fuori di noi? Li esprimiamo a livello della corporeità,
della sessualità e della genitalità. Sono tre parole che molti identificano, ma in realtà si tratta
di livelli distinti che vanno verso un'intensità sempre maggiore.
Il primo livello di espressione della mia affettività è il corpo. La corporeità è il luogo del
mio relazionarmi agli altri ed esprimere il mio affetto positivo o negativo, esprimere le mie
sensazioni, le mie emozioni, i miei sentimenti, le mie passioni. Nel corpo, il cristianesimo
vede non un'appendice dell'anima, una specie di ‘aggiunta’ facoltativa, ma una espressione
vera della persona. Nel corpo sono scritte delle esperienze e dei significati, dei quali
parleremo. La corporeità, dunque, non è un peso. Noi a volte senza volerlo ricadiamo nella
visione dualista di Platone, perché anche il cristianesimo in certi periodi ha respirato un po'
questa aria: il corpo è la prigione dell'anima, il corpo e negativo, il corpo è male, mentre
l'anima è bene. La visione cristiana autentica è invece che la persona è formata
inscindibilmente da anima e corpo e che queste due dimensioni non si possono separare. Il
corpo non è altro che il mio relazionarmi concreto, storico. In questo momento, io mi
relazionano voi con il corpo: se io fossi un angioletto, non mi vedrebbe nessuno, non
disturberei nessuno. Io invece uso la voce, uso dei gesti, uso gli occhi: tutto questo è
espressione corporea.
La corporeità è inscindibile dalla sessualità; e con sessualità non s'intende ancora l'uso
della genitalità, ma s'intende il proprio porsi come maschio e femmina, con tutta la propria
storia affettiva, emotiva, passionale. Questa è la sessualità. La sessualità è una realtà mentale
prima che genitale. In questo senso si ripete giustamente che “il più importante organo
sessuale è il cervello”: il che significa semplicemente che la sessualità precede la genitalità.
Noi siamo sessuati ben prima di utilizzare i nostri organi genitali, ben prima che arrivino a
maturazione. Tutti ci rapportiamo sessualmente all'altro, anch'io in questo momento. Io mi
pongo come un uomo che ha fatto una certa scelta, che si porta dietro dei valori e anche delle
ferite di carattere affettivo e mi pongo a voi in questo modo. Questo è un relazionarsi
sessuale; chiaro che non si usa questo linguaggio. Noi normalmente utilizziamo il termine
‘sessualità’ solo nel senso di ‘genitalità’, ma la sessualità viene prima, è il semplice porsi in
relazione come maschio e femmina. Da questo punto di vista non c'è una relazione vera che
non sia sessuata: non sessuale ancora, ma sessuata.
Il terzo livello è la genitalità, il livello più intenso della relazione corporea e sessuale. È
uno dei livelli spesso coinvolto nella relazione di coppia, ma occorre l’attenzione a non
esaurire lì tutto il rapporto. La relazione di coppia non può essere racchiusa solo nella sfera
genitale. Però la relazione affettiva si può tradurre adeguatamente, a determinate condizioni,
nella relazione genitale. La genitalità infatti rappresenta umanamente il completamento l'una
nell'altro. Per il credente, inoltre, rappresenta un dono di Dio per completarsi a vicenda
perché nessuno si ritenga autosufficiente.
Due pilastri: ragione umana e Sacra Scrittura
Ragione e Scrittura sono i due pilastri che da adesso in avanti faranno da punto di
riferimento per la nostra argomentazione.
Cosa dice la ragione umana sulla sessualità? Facciamo finta di eliminare dall'orizzonte del
nostro ragionare la fede e guardiamo alla sessualità così come si esprime ‘naturalmente’:
guardiamola soprattutto nella sua forma genitale, perché quella rappresenta l'apice
dell'espressione affettivo-sessuale. Noi possiamo leggervi umanamente due significati
fondamentali: quello di unire un uomo e una donna e quello di poter creare una nuova vita.
Nella tradizione pre-cristiana, poi assunta dal cristianesimo, si chiamano fine unitivo e fine
procreativo della sessualità. Questi due fini non li ha inventati la Chiesa; da quando esiste la
sessualità genitale, essa comprende entrambi gli aspetti: unisce un uomo una donna, e può
costituire l’origine di una nuova vita.
La concezione ebraico-cristiana ha semplicemente preso questi due significati naturali e ha
mostrato come siano compresi nella volontà di Dio. Nella Genesi ci sono due passaggi molto
importanti che riguardano l'unione dell'uomo della donna. Uno è il famoso “siate fecondi e
moltiplicatevi” (Gen 1,28: fine procreativo), l'altro afferma “l’uomo abbandonerà suo padre e
sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne ” (Gen 2,24: fine unitivo).
Questi sono due significati naturali: qui la Bibbia non inventa un nuovo significato della
sessualità; legge l'uomo così come è fatto e dice che se Dio lo voluto così ci deve essere un
senso. Il senso è, da una parte (Gen 1) di partecipare alla creazione di Dio – si chiama
‘procreazione’ perché è una specie di proseguimento dell’opera creatrice di Dio; dall'altra
parte il senso è di unire un uomo e una donna e formare una sola carne, e questa è il fine
unitivo.
Nel Vangelo di Matteo, al cap. 19, Gesù riprende questi due significati della sessualità,
ricordando proprio che nella Genesi si parla di una sola carne, e commentando che l’uomo
non deve osare separare quello che Dio unisce. Questa è una frase di Gesù, non l’ha inventata
la Chiesa.
Allora Gesù cita semplicemente la Genesi, così come Paolo in 1 Cor 6,16 ed Ef 5,31. Il
Nuovo Testamento conferma la visione della sessualità di coppia che aveva l’Antico, che a
sua volta si fondava su elementi raggiungibili dalla ragione umana.
La Chiesa, i cristiani, ad ogni epoca hanno a disposizione questi due pilastri: la ragione
umana e la Scrittura. E devono farli interagire sempre tra loro. Non possono pensare di
trovare nella Scrittura la frasetta che risolve tutti i problemi... La Scrittura è la colonna
vertebrale, non è tutto il corpo. La Chiesa così, sostenendosi su quella spina dorsale, non può
esimersi dal compito di ‘rimpolparla’ confrontandosi con i nuovi problemi che sorgono; per
esempio: se uno volesse trovare cosa dice la scrittura della bomba atomica e, constatando che
la Bibbia non ne parla, concludesse che non è contro la Scrittura lanciarla sulla testa della
gente, sicuramente andrebbe fuori strada. Non tutti i problemi che vengono dopo sono
previsti nella Scrittura; essa offre una visione dell'uomo e delle relazioni umane che poi la
Chiesa, tutta insieme, lungo i secoli confronta con i problemi che via via si presentano. Ma
chissà quanti problemi nasceranno ancora che non sono previsti direttamente nella Scrittura.
E’ importante allora che la Chiesa continui nelle diverse epoche e di fronte alle differenti
problematiche a far interagire la Scrittura con la ragione.
E’ su questa base che la Chiesa chiede, come criterio generale di significato della
sessualità umana nelle sue espressioni genitali, di mantenere unite il più possibile le due
finalità, evitando di separarle deliberatamente: quella unitiva del mutuo reciproco fra l'uomo
e la donna è presente sempre e deve essere presente sempre, nell'atto sessuale, per dargli
significato; con quella procreativa; che è presente alcune volte nell'atto sessuale (è una dato
che viene dalla ragione, precisamente dalla biologia). Il fine fondamentale allora è quello
unitivo fra l'uomo e la donna – e questo prima che la Chiesa lo insinua la stessa natura umana
– cioè non avrebbe senso un atto sessuale che non esprimesse amore; in generale oggi siamo
ancora quasi tutti d’accordo, nella nostra società, sul fatto che l'atto sessuale compiuto per un
motivo che non sia l'espressione dell'amore o almeno dell’affetto, non sia proprio “a posto”.
Per esempio, non c'è contraddizione più grande alla sessualità della violenza sessuale; la
violenza sessuale dice esattamente il contrario di quello che dovrebbe dire. Dovrebbe essere
dono e completamento, mentre diventa avvilimento dell'altro. Diventa annientamento. Siamo
ancora abbastanza d'accordo anche sul fatto che la prostituzione, sebbene non abbia stessa
gravità dello stupro, non è certamente in linea con i significati autentici della sessualità,
perché non esprime amore, essendo l’elemento di mediazione il denaro, quindi un
commercio.
Riassumerei così, con uno slogan, la visione cristiana della sessualità: ”Un atto sessuale è
tanto più significativo quanto più esprime amore e tanto meno significativo quanto meno
esprime amore”. Questo potrebbe essere il teorema della sessualità.
Quale “amore” è adeguato all’espressione sessuale-genitale? Il significato unitivo
Si tratta ora di intendersi su cosa significa “esprime amore” e di vedere che relazione c’è
tra i due significati della sessualità. Perché da questo grande principio, nel cristianesimo, si
diramano le valutazioni di tanti fenomeni. Cosa significa dunque “esprime amore”?
Possiamo intendere l’espressione in senso soggettivo, applicata all'intenzione, ma anche in
senso oggettivo, applicata al contenuto. cioè amore è qualche cosa che fa veramente crescere
l'altro che rispetto il significato di una cosa. Penso che tutti capiamo molto bene il senso
soggettivo, dato che nella nostra società la soggettività è stata sviluppata molto. Quello
oggettivo forse lo intendiamo meno, perché nel clima del relativismo “mi piace – non mi
piace”: l'oggettività è un po' scomparsa.
In senso soggettivo cosa vuol dire “esprime amore”? Vuol dire che la sessualità non può
esprimere sfruttamento dell'altro, come nella violenza sessuale o nella prostituzione, ma non
basta nemmeno che esprima solo un affetto generico; cioè non basta il livello delle
sensazioni, delle emozioni, dei sentimenti perché questo per il cristianesimo non è ancora
tutto l’amore. Certo è già un livello di amore, ma non è tutto l’amore. Oggi noi confondiamo
e identifichiamo ‘amore’ e ‘innamoramento’, ma si tratta di due realtà diverse. Propriamente
parlando, l’innamoramento non sarebbe ancora l'amore perché l'amore è frutto di un cammino
che passa anche attraverso il superamento della pura e semplice attrazione. L'innamoramento
è attrazione, è il primo momento, è come il motorino di avviamento. Uno non si inserirebbe
nell'avventura della coppia per motivi puramente razionali: “Ho trent'anni, non ho ancora
nessuno, tutti gli altri hanno qualcuno… incominciamo a guardare l'elenco telefonico, a b
c…Scusi, lei vorrebbe mica mettersi con me?”. Non si inizia un rapporto di coppia così, ci
sono delle agenzie che lo fanno iniziare così ma non so come possa andare avanti. Si inizia
con l'innamoramento, l’innamoramento però è solo il primo passo dell'amore.
L’innamoramento deve maturare, deve anche subire dei contraccolpi, deve passare una
crisi, deve riceve qualche aggiustatina. Gli psicologi parlano di ‘disincanto’. Disincanto vuol
dire che quando uno è preso al 100% non è ancora amore, perché vede l'altro nella sua
perfezione assoluta. Vede un ‘altro’ che non esiste, vede l’altro come vorrebbe che fosse.
Vede alcune qualità dell'altro che lo abbagliano. Provate a dire ad una persona innamorata:
“guarda che quello lì, di cui sei così cotto, ha questo, questo e questo difetto”: se è gentile
non vi dà due sberle, ma pensa comunque: “lo so anch'io, ma sono così belli i suoi difetti!”.
Uno all’inizio è pienamente coinvolto, poi però arrivano subito anche dei colpi sotto i quali
l'attrazione si ridimensiona, si deve ridimensionare, perché io ho bisogno di aderire non ad
alcune qualità dell'altro ma alla persona dell'altro; non all'altro ideale ma all'altro reale. Ha
bisogno di smantellare il piedistallo.
E di solito le prime delusioni vengono abbastanza velocemente se si cammina insieme. Lei
che comincia dire: “ma guarda un po' mi ha imbrogliato era così carino all'inizio per
conquistarmi adesso è diventato un brontolone.” Lui dice: “ma si lei era così bella adesso
comincia ad assomigliare alla sua mamma”. Si inizia insomma a ridimensionare
quest'attrazione. A quel punto può scattare l'amore, perché l'amore è un cammino, l'amore
non è una cosa che arriva dal giorno alla notte. Si conquista a fatica.
Un personaggio laicissimo come Leo Buscaglia scrive nei suoi libri – basta leggerne uno
perché sono quasi tutti uguali – che sarebbe necessaria una cattedra di amore nelle università;
lui ne ha fondata una, negli Stati Uniti, in cui insegna ad amare. Al di là di quello che scrive
che comunque è molto carina l'intuizione: l'amore è una scuola, non è un pacco dono che uno
riceve.
L'amore, dunque, che cos'è in più rispetto a queste cose? L'amore è progetto. In RS Servire
c'è un articolo che insiste molto su questa dimensione del progetto. L'amore non è
un'emozione, un sentimento, una passione slegato da tutto, ma è un progetto di bene per
l'altro. È questo progetto che nella concezione cristiana – e non solo cristiana – si corona con
il matrimonio. A volte si dice che il matrimonio è la tomba dell'amore. Non un cristiano, ma
un uomo, dovrebbe dire: sbagliato! Il matrimonio dovrebbe essere la culla dell'amore, perché
è il momento nel quale il rapporto si sottrae ai contraccolpi del sentimento, agli alti e bassi
dell’istinto; è il momento nel quale uno veramente fa un salto e dice: “io mi dono a te (o ti
accolgo, come dice il nuovo rito), così come sei”. Cioè: faccio un salto di fiducia. Da oggi
non mi limito ad accoglierti fin quando mi andrai bene – ci sposiamo tre anni poi vediamo –
ma ti accolgo per sempre. Ora, questa idea di matrimonio come di un semplice ‘contratto’,
magari a tempo, non può essere accettata perché il matrimonio è un dono senza condizioni.
Nel momento in cui io mi sposassi e dicessi: “però mettiamo nel contratto che finché siamo
innamorati andiamo avanti, che finché tu ti comporti così…, che finché io non mi comporto
così…, che quando sparirà la passione allora dopo vedremo…” questo non sarebbe più
matrimonio, ma una prova temporanea che però nell'idea cristiana (e credo anche
semplicemente umana) non è la cornice giusta per esprimere l'amore. L'amore quando è
davvero pieno non dice: “se, ma, fino a quando”, dice quella terribile cosa: “per sempre”.
Questa è la natura del matrimonio.
Al di là del matrimonio possiamo realizzare altre unioni, ma non chiamiamole matrimonio,
perché il matrimonio nacque così proprio come l'espressione socialmente responsabile del
dono di sganciare il proprio rapporto dagli alti e bassi del sentimento. E questo è un discorso
laico, talmente laico, che quest'idea del matrimonio nacque fuori dal cristianesimo. Perché lo
stato è sempre interessato alle unioni stabili. Lo Stato potrà riconoscere – e certamente lo farà
in base alla maggioranza – anche altri tipi di unione che non siano “per sempre”. In questo
dobbiamo essere molto realisti: non è detto che siano giuste per la Chiesa, ma lo Stato deve
seguire la maggioranza dei cittadini. Però uno Stato ha interesse a stabilizzare il più possibile
le unioni per i due motivi, che sono quelli per i quali il diritto romano stabilizzava l’unione
uomo.-donna, cioè: il matrimonio e il patrimonio.
Il matrimonio indicava il compito della madre, “matris munus”, ossia in quella cultura il
compito di procreare ed educare i figli; il patrimonio, “patris munus”, indicava il compito del
padre, ossia assicurare una trasmissione regolarizzata dei beni. E lo Stato è molto interessato
a questi due aspetti perché i figli (l'educazione, la crescita dei ragazzi, dei giovani) e i beni (il
possesso, la tassazione e la trasmissione) devono essere il più possibile gestiti stabilmente
dallo Stato. Quando diciamo che la Chiesa non è d’accordo nel riconoscere gli stessi diritti
alle coppie stabili e a quelle instabili, dimentichiamo che prima di tutto è lo Stato, se vuole
sostenersi e crescere, a dover regolare in favore della stabilità tutto ciò che concerne l’unione
tra l’uomo e la donna
Il significato procreativo
Verso la metà del XX secolo due medici – credo siano stati più maledetti della storia –
chiamavano Ogino e Knaus hanno studiato a fondo il ciclo riproduttivo femminile,
dimostrando che l’ovulo è fertile solo alcune decine di ore al mese. Più che un metodo di
regolazione delle nascite, hanno messo a punto una serie di osservazioni che permettevano di
sapere in maniera ancora molto generica quali potevano essere i tempi fertili e quali no. Molti
hanno poi trasformato le loro osservazioni mediche in ‘metodo’, pensandolo magari
infallibile, e così sono nati tanti “figli di Ogino-Knaus”.
Nel mondo antico, e fino alle scoperte della medicina contemporanea, con l’aiuto delle
tecniche endoscopiche, si aveva un’idea piuttosto vaga del meccanismo della riproduzione
umana: alcuni pensavano che la fertilità dipendesse dalle fasi lunari, altri la attribuivano a
influssi celesti o divini, ecc. Già gli antichi avevano capito che era fecondo più o meno un
rapporto ogni dieci, ma non sapevano perché.
In realtà il vero primo ‘metodo’ naturale in senso tecnico è stato il metodo di Billings,
messo a punto da due coniugi australiani, che si studia in molte università, Il metodo Billings
si può definire propriamente ‘tecnico’, perché si basa sull’interpretazione di quei segnali che
manda il corpo della donna nelle diverse fasi dell’ovulazione (il muco cervicale). Da una
trentina d’anni il metodo Billings è stato affiancato e integrato dal cosiddetto metodo
‘sintotermico’, che alle rilevazioni proprie del Billings ne aggiunge altre riguardanti le
variazioni della temperatura corporea. Per imparare questi metodi, come per imparare a
guidare l’auto, ci vogliono tre o cinque incontri di gruppo fatti con una biologia, con una
dottoressa, e poi alcuni incontri personalizzati a scadenza periodica per un anno. Quindi
l'autodidatta qui è perdente in partenza.
I metodi naturali non sono solamente propagandati dalla Chiesa, ma sono oggi sostenuti da
alcuni movimenti ecologisti, specialmente in Nord America, in quanto sono gli unici metodi
di regolazione delle nascite a non avere alcun tipo di conseguenza.
Diversamente da ciò che si pensa, i metodi naturali hanno un'efficacia relativa (cioè
applicati in maniera corretta) molto alta, attorno al 97%; il profilattico, ad esempio, ha
un’efficacia relativa di poco superiore, attorno al 98,5%; certo i metodi naturali sono più
difficili da utilizzare – anzi, da ‘vivere’ –, e per questo l’efficacia assoluta (cioè registrata tra
tutti coloro che dicono di utilizzare il metodo) è minore
Al di là di questi aspetti più tecnici, è importante il significato che sta sotto. La Chiesa non
dice, che il metodo sia il tutto, dice che ci deve essere un fine e poi ci deve essere un metodo.
Come in ogni cosa, in ogni scelta che non facciamo c'è un fine e poi c'è un modo, un
metodo, e non sempre le due cose sono omogenee. Per esempio se io voglio aiutare Fabio che
è in bolletta, e ha perso tutti i soldi al gioco, allora io ho un fine buono, devo aiutare Fabio
che altrimenti si toglie la vita; devo quindi recuperare il denaro, e questo è un fine buono. Ma
non basta l’intenzione buona per dire che l’azione è buona: occorre anche vedere quale
metodo si usa per raggiungere il fine buono: se io procuro i soldi a Fabio prendendoli dal mio
stipendio, allora anche il mezzo è buono; ma se glieli procuro assaltando la Banca di Forlì, il
mezzo è un pò... problematico. Occorre aver presente dunque che in ogni scelta sono sempre
implicati un fine intenzionale e un mezzo pratico, e che la valutazione etica dipende dalla
combinazione di entrambi gli elementi.
Nel caso in questione, la Chiesa afferma che la realtà più importante è il fine e nel fine
intenzionale deve esservi una maternità ed una paternità responsabile. Questo lo disse già Pio
XII nel 1950 in un discorso alle ostetriche. Se il fine è sbagliato, non c’è metodo che tenga:
nessun metodo corretto ‘santifica’ un fine sbagliato. Ma il metodo può essere più o meno
adeguato al fine: se una coppia che ha una finalità fondamentale di accoglienza della vita e
per certi periodi e per motivi particolari non può utilizzare i metodi naturali, non è che l'uso di
contraccettivi in alcune circostanze distrugga il fine: vale il principio della proporzione, che
deve essere applicato caso per caso..
Rimane il grande orientamento di fondo: i metodi naturali sono quelli maggiormente
adeguati alla duplice si è finalità dell'atto sessuale, perché rispettano l'integra finalità
procreativa ed unitiva quando sono presenti entrambe, e non esclude positivamente la prima.
Questo è il motivo di fondo per cui la Chiesa tende a diffondere i metodi naturali, senza
comunque assolutizzare i metodi in sé... se per ipotesi una coppia vivesse i metodi naturali in
maniera egoistica, escludendo i figli quando invece vi sarebbero le condizioni per non
escluderli, non sarebbero utilizzati ‘moralmente’. Va detto comunque che, rispetto ai
contraccettivi, è molto più difficile utilizzare i metodi naturali con l’animo di una chiusura
alla vita, perché richiedono applicazioni e motivazioni in mancanza delle quali risulta molto
più logico utilizzare i contraccettivi.
Il problema della comunicazione: contenuti controcorrente espressi con linguaggio
corrente
Per comunicare i contenuti riguardanti l’ambito della sessualità, la Chiesa è molto
attrezzata nel linguaggio giuridico ed etico, ma non tanto in quello esistenziale, tipico della
cultura odierna. .Dal lavoro del FO 2 e FO 10 è emersa un’indicazione molto interessante: si
tratta di dire le cose controcorrente con un linguaggio corrente. Ecco: forse sappiamo dire le
cose controcorrente ma non ancora con un linguaggio corrente.
Se allora oggi mi presento in un gruppo di ragazzi e uso quel linguaggio giuridico che è
proprio dei documenti che devono per forza essere precisi – cioè dico la sessualità ha un
duplice fine quello unitivo, la mutua donazione tra l'uomo alla donna, e quello procreativo,
l'apertura ad una nuova vita – e mi fermo qui, e mi limito poi a fare la lista delle pratiche
permesse e di quelle vietate, uso un linguaggio inadeguato.
Esiste un problema di linguaggio nella Chiesa; un problema più generale che non riguarda
solo la sessualità. Pensiamo al linguaggio liturgico: se un prete, come ha detto più volte
scherzando il card. Biffi, dicesse in una predica che lo Spirito Santo si è fatto carne nel seno
di Giuseppe, nessuno probabilmente batterebbe ciglio: tanto le parole sono quelle, e l’ordine
o il senso logico non è che tutti lo colgano.
Non abbiamo un linguaggio adeguato, e non si sa neanche come fare, perché alcuni termini
ormai sono così precisi che è difficile sostituirli, e per spiegarli occorre molto tempo. Sta di
fatto che nel campo della sessualità la Chiesa utilizza un linguaggio molto preciso, formatosi
nel corso dei secoli in ambito giuridico-morale, ma non riesce ancora in maniera convincente
ad utilizzare il linguaggio esistenziale e quotidiano.
C’è poi anche un altro problema: quando esce un documento della Chiesa su questi
argomenti, la divulgazione giornalistica in genere si limita a ciò che è permesso/vietato, e non
presenta quasi mai le motivazioni e i significati di fondo. Un esempio macroscopico: quando
uscì l'enciclica "Veritatis splendor" nel 1993, alcuni commenti giornalistici erano
completamente sfasati. Luca Goldoni su Sorrisi e Canzoni TV (che allora vendeva due
milioni di copie) scrisse: “Anche l'ultimo e rilevante intervento dottrinario della massima
autorità ecclesiastica verte per la quasi totalità sulla morale sessuale. Solo due pagine su un
centinaio sono dedicate alla violenza, alla corruzione, all'intolleranza, al malgoverno, alla
menzogna e a tutte quelle distorsioni dell'animo umano per cui la moderna civiltà sta andando
a rotoli”. E conclude: “sono pieno di rispetto e scoramento” (n. 43/1993, p. 15). Incredibile:
in realtà quel documento di Giovanni Paolo II contiene solo pochissimi passaggi che toccano
la morale sessuale: in tutto una decina di righe al n. 47 e qualche sporadico riferimento nel
contesto della trattazione sul rapporto corpo-anima (nn. 48-50). Le proporzioni sono
esattamente da rovesciare rispetto a quelle indicate dal Goldoni: non più di due pagine, in
totale, su corpo e sessualità sulle oltre cento pagine del documento. Dunque un giornalista e
scrittore così autorevole commenta un’enciclica così impegnativa senza averla letta, anzi
senza avere neppure scorso l’indice... Se questa è la situazione – e non mancherebbero molti
altri esempi, forse meno clamorosi – significa che un po’ di responsabilità nella
disinformazione su ciò che la Chiesa dice della sessualità sta anche dalla parte di chi
dovrebbe informare la gente attraverso i mezzi di comunicazione. Se io fossi il direttore di un
giornale e avessi un giornalista sportivo che mi scambia il corner con il calcio di rigore, che
mi scambia l'arbitro con il venditore delle patatine, lo licenzierei subito; invece quando si
parla della Chiesa tutti possono improvvisarsi esperti e scrivere quello che vogliono, non
importa se vero e meno.
Chi vuole informarsi davvero su ciò che la Chiesa pensa e dice è meglio che non si limiti
ai titoli dei giornali o ai commenti delle penne più ricercate, ma vada alla fonte: o leggendo
su “Avvenire” i testi, di solito pubblicati integralmente, o andando direttamente su Internet,
nei siti www.vatican.va o www.chiesacattolica.it, che riportano i testi integrali,
rispettivamente, della Chiesa universale e di quella italiana
Qualche parola conclusiva ad uso-capi (da “Il Galletto”,
luglio 2005)
La sessualità nella visione cristiana
Spesso la concezione cristiana della sessualità è incompresa o banalizzata dagli stessi
credenti: o perché ne hanno un’informazione approssimativa (dedotta dai titoli dei giornali e
dai luoghi comuni diffusi), o perché fanno fatica a viverla per loro stessi, o perché infine non
è stata loro trasmessa nella sua positività. Sono tante le possibilità, per un cristiano, di risalire
alle fonti e riscoprire il senso dei tanti “sì” che la Chiesa dice anche in questo campo, coperti
spesso ed assorbiti dai “no”, che fanno più notizia.
Dunque senza fermarci ai massimi sistemi ed affrontando direttamente il punto in
discussione, cioè i cosiddetti “rapporti prematrimoniali” (per i “fondamenti” rimandiamo agli
articoli di d. Danilo negli ultimi numeri del Galletto) ci limitiamo a ricordare che nella
visione cristiana il legame stretto tra vita sessuale e matrimonio si fonda su tre pilastri
fondamentali, tutti misconosciuti o addirittura ridicolizzati nella nostra cultura attuale: di qui
la difficoltà a condividerli anche da parte dei cristiani.
Il primo pilastro è il legame tra sessualità e amore. Molti ritengono il sesso una pura
espressione dell’istinto (possiamo “fare sesso” quando ne abbiamo bisogno o voglia), un
bisogno alla stregua del mangiare, bere e dormire. Chi la pensa così è evidente che trova
assurdo ogni tentativo di vedere un “valore” nella sessualità e di individuarvi dei significati:
assurdo come sarebbe appunto far ricadere sotto una valutazione etica i bisogni fisiologici.
Altri, più raffinati, considerano il sesso solo espressione dell’affettività (possiamo avere dei
rapporti quando ci vogliamo bene). Nemmeno questa seconda concezione è però completa,
perché dimentica che l’amore non è solo sentimento e attrazione, ma anche donazione e
responsabilità. Una terza concezione, nella quale la Chiesa si riconosce, è quella che vede
nella sessualità una delle espressioni dell’amore, la più coinvolgente possibile e la più
“totale” pensabile nella vita terrena. L’atto sessuale infatti, come dice la Bibbia, realizza
“una carne sola”, dove la fusione corporea è segno di una più profonda fusione psicologica e
spirituale. E qui sta il criterio fondamentale: non è automatico che l’atto sessuale esprima
davvero soggettivamente ciò che significa oggettivamente: due persone potrebbero infatti
viverlo (ad es., nella prostituzione, e in questo caso nessuno direbbe che significa “amore”,
sebbene esternamente si svolga allo stesso modo). Il maggiore o minore significato di un
rapporto sessuale dipende dal maggiore o minore grado di “amore” che contiene
quell’atto. Ma l’amore, come già accennato, non è solo attrazione e sentimento: è dono
totale (chi ama non dice: “per qualche giorno, qualche mese”; chi ama dice: “per sempre”).
Per questo i cristiani vedono nel dono totale, reciproco ed effettivo della vita - dono che
inizia con l’impegno matrimoniale -l’unica cornice adeguata perché l’espressione sessuale
sia un linguaggio “vero”, dica davvero ciò che significa: coinvolgimento senza riserve.
Il secondo pilastro è il legame tra sessualità e fecondità. Anche questo, come il
precedente, è un significato non “inventato” o aggiunto dalla Chiesa, come un comando, ma è
intrinseco all’atto stesso: la sessualità vissuta tra due persone, infatti, è feconda prima di tutto
per il fatto che dà gioia all’altro e a se stessi, e poi per il fatto che da quel gesto può scaturire
una nuova vita. Tra i criteri di maturità della persona adulta c’è la disponibilità a farsi
carico delle eventuali conseguenze che possono derivare dalle proprie scelte e dai propri
atti: questa disponibilità si chiama “responsabilità”. Bene: tra le implicazioni scritte
oggettivamente nella relazione sessuale c’è la possibilità di una nuova vita. Proprio nel
rispetto del significato integrale della sessualità la Chiesa ritiene che l’esclusione di questo
significato attraverso la contraccezione non corrisponda alla pienezza del gesto (l’apertura
della coppia alla vita deve restare come prospettiva di fondo, anche qualora quel singolo atto
sessuale non fosse fecondo). Ma c’è di più: il fatto che sia un gesto dal quale può sgorgare la
vita di un’altra persona rafforza la convinzione che il contesto proprio e adeguato nel quale
viverlo sia quello in cui è possibile accogliere quest’altra persona. Se tutte le culture, dalle
origini dell’umanità (e quindi non è un fenomeno solamente “cristiano”) hanno sentito il
bisogno di offrire delle forme di “matrimonio” a due persone che intendono vivere insieme la
sessualità, il motivo è proprio legato a questa intuizione: è opportuno offrire ad eventuali figli
un luogo stabile di crescita. Anche per questo la sessualità non è un fatto puramente privato,
come molti oggi ritengono, ma comporta una dimensione sociale e relazionale che supera le
due persone direttamente coinvolte.
Il terzo pilastro, valido questa volta per i credenti, è il legame tra sessualità e
sacramento del matrimonio. Se i primi due punti possono essere guadagnati da una
riflessione puramente razionale, poiché fanno riferimento ai significati oggettivi della
sessualità così come essa si presenta a tutti, il terzo è specifico del cristiano. Sposarsi “nel
Signore”, infatti, significa immettere il progetto di vita a due, compreso il dono sessuale,
nella corrente dell’amore divino. Sposarsi in Chiesa è come riconoscere che è indispensabile
il dono dell’amore di Dio perché l’amore umano possa realizzarsi pienamente: nella fedeltà,
nel dono di sé, nell’attenzione all’altro. Certo è possibile (ci mancherebbe altro!) vivere
l’amore anche fuori del matrimonio cristiano, così come il sacramento non garantisce la
riuscita dell’amore; così come si può fare del bene anche al di fuori del battesimo o
dell’eucaristia, ecc. I sacramenti sono però un aiuto molto forte, e sono soprattutto il
riconoscimento che la forza per amare non viene dall’interno di noi stessi, ma dall’alto. Chi
prende parte ai sacramenti celebra un dono, si mette a mani aperte davanti a Dio confessando
che ha bisogno del suo aiuto. Potrebbe forse farcela anche con le sue forze, ma preferisce
usufruire della grazia, che cercherà poi di mettere a frutto. Prima e fuori del matrimonio
cristiano, dunque, la sessualità non viene assunta nell’orbita della grazia sacramentale. Con il
matrimonio, invece, si forma davvero “una carne sola” anche nel Signore, e la relazione
sessuale può diventare veicolo dello stesso amore divino.
Per questi motivi (ciascuno dei quali andrebbe approfondito ben al di là di questi appunti)
la collocazione della sessualità nel matrimonio non appare affatto “debole”, ma ben fondata,
sia nella riflessione razionale sul significato del dono sessuale, sia nella dottrina rivelata sul
matrimonio.
Le convinzioni e i comportamenti del capo di fronte alla visione
cristiana della sessualità
Nessun Capo, anzi, nessun cristiano e prima ancora nessun essere umano che sia
affettivamente sano è un pezzo di ghiaccio, e può dire di non fare alcuna fatica nel campo
della sessualità. Se uno dicesse seriamente una cosa del genere, ci sarebbe effettivamente da
verificare la sua maturità affettiva.
Tutti quindi sentono le tensioni affettive, le pulsioni, i desideri fisici e psichici. Chi più e
chi meno, poi, è ferito proprio negli affetti. Gli psicologi da tempo mettono in evidenza
quanto l’esperienza affettiva, dai primi giorni di vita (o addirittura dalla vita intrauterina)
influisca sulla maturità dei sentimenti e delle passioni di una persona. Quindi, sia per motivi
fisiologici (siamo fatti anche di sentimenti, istinti, passioni e desideri), sia per motivi
patologici (possiamo avere subìto delle esperienze affettive non gratificanti o negative, che ci
hanno segnato), è per noi faticoso vivere pienamente la sessualità come dono d’amore.
Questo non significa che non dobbiamo provarci, anzi. E’ così per tutte le dimensioni
della nostra personalità: pensiamo alla fatica che facciamo nel diventare uomini e donne che
coltivano la pace, in una società che a tutti i livelli propone la competizione e
l’abbassamento dell’altro come unico metodo per riuscire nella vita; o alle rinunce che
compiamo per costruirci delle competenze, nei campi del lavoro, del servizio, dello studio
quando magari desidereremmo invece spassarcela... E’ così anche per le esigenze
evangeliche: chiunque intende seriamente vivere da discepolo di Gesù si scontra con la
propria fatica a perdonare “settanta volte sette” (e anche meno), a pregare “senza stancarsi”,
a “ prendere ogni giorno il giogo” dell’impegno, ad impegnarsi per la giustizia verso i più
deboli e così via. Di questa fatica fa parte anche la fedeltà ad una vita affettiva e sessuale il
più corrispondente possibile al significato che ha la sessualità, di essere dono d’amore.
Un Capo potrebbe assumere tre atteggiamenti davanti alla visione cristiana della sessualità.
Il primo è quello di essere teoricamente d’accordo e di non fare praticamente alcuna fatica
a seguire questa concezione. Per i motivi detti sopra, un tale Capo certamente non esiste.
Restano altre due possibilità, più realistiche.
Può esservi il Capo che è teoricamente d’accordo e praticamente fa fatica, e il Capo che è
teoricamente e praticamente in contrasto.
Il Capo che è d’accordo con la visione cristiana, pur nella difficoltà di esservi fedele nei
comportamenti, dovrebbe costituire la situazione normale. Egli sa che deve tendere verso il
pieno significato della sessualità, facendosi aiutare dalla graziadella parola e dei sacramenti;
sa anche come le cadute siano possibili, ma debbano essere appunto considerate “cadute”,
occasioni per chiedere una mano al Signore e alla Chiesa e ripartire nel cammino.
Il Capo che invece non è d’accordo neppure teoricamente sarebbe meglio che non
svolgesse questo servizio in Agesci. Se infatti ha riserve di fondo verso la dottrina morale
cristiana, è tenuto prima di tutto ad approfondirla come si fa in ogni questione importante (e
non a fermarsi ai luoghi comuni o agli “io penso”). Fatto questo, e posto che rimanga delle
sue idee, non si capisce con quale motivazione continui a “vivere” il servizio in
un’associazione che chiede ai suoi educatori l’appartenenza e la testimonianza nella
comunità cattolica.
Sarebbe come se una guardia ecologica fosse in disaccordo con il Protocollo di Kyoto e,
anzi, si adoperasse attivamente ad inquinare l’aria... non sarebbe meglio anche per lei che
cambiasse tipo di volontariato? Che cosa può trasmettere ad altri chi opera in nome di una
“associazione” con la quale è in disaccordo sostanziale teorico e pratico? Siamo così al terzo
punto.
La responsabilità del capo di fronte ai ragazzi
Nel caso dell’Agesci, il Capo assume precise responsabilità di fronte ai ragazzi ai quali
si dedica. Non è quindi più come privato cittadino che si pone di fronte a loro, ma come
“educatore” a nome di un’associazione che ha fatto proprio la scelta cattolica.
Già il fatto di educare dei ragazzi e giovani comporta, di suo, una responsabilità
particolare: sappiamo bene - e diciamo spesso - che non è tanto questione di parole, quanto di
esempio. In effetti i ragazzi percepiscono bene se le parole che diciamo sono “vere” oppure
se le pronunciamo perché dobbiamo farlo; e colgono le nostre incoerenze come un messaggio
che destruttura in un attimo quanto abbiamo magari faticosamente cercato di costruire in
tanto tempo. Se non siamo convinti della fede e dei valori ai quali come Capi abbiamo
aderito, entrando in Co.Ca. e assumendo l’impegno educativo, è impossibile che li facciamo
trasparire... fossimo pure oratori brillanti e leader trascinanti.
Questo non significa che dobbiamo apparire “perfetti” ai ragazzi, nascondendo le nostre
fatiche e debolezze. E’ un atto educativo trasmettere ai ragazzi la tensione, il senso del
cammino verso una mèta difficile ma bella; ed è insieme educativo comunicare anche la
nostra fatica nel percorso, far capire che non siamo su un piedistallo ma camminiamo con
loro. E’ poi un atto di sincerità ammettere le nostre fatiche, anche nel campo affettivo e
sessuale, con tutta la discrezione e sensibilità del caso. I ragazzi però non hanno “diritto”
di conoscere per filo e per segno le nostre fatiche come se fossimo in una sorta di Grande
Fratello permanente, perché è probabile che non siano in grado di capire bene la dinamica
dell’impegno nonostante le cadute, e ne deducano sbrigativamente - come da modelli loro
propinati continuamente dai media - che è impossibile impegnarsi a vivere bene la sessualità,
e che in fondo “se anche il Capo fa fatica”, non vale la pena neanche tendervi.
la gestione delle situazioni “difficili” in co.Ca.
Quando accade che qualche Capo venga a trovarsi in situazione “difficile” (cioè in una
posizione di non coerenza con quanto qui sopra esposto, nel caso della morale sessuale; ma
anche nella medesima posizione di incoerenza in altri campi della vita come quello della
legalità o quello di posizioni pedagogiche inaccettabili o quello della …preghiera) è diritto/
dovere della Co.Ca. chiamare il capo a un confronto e a scelte diverse. A volte questo è letto
come una intrusione nella vita privata del capo. Non lo è. E’, invece, espressione della
responsabilità “in solido” dell’educazione dei ragazzi.
In AGESCI ogni capo è responsabile di ogni ragazzo del suo gruppo e non; anzi di ogni
ragazzo del mondo: “Mi sta a cuore che ogni ragazzo riceva la proposta e la testimonianza
migliore possibile da ciascuno di noi capi.”
Essere accoglienti nei confronti del Capo che erra non può e non deve significare essere
d’accordo con l’errore. Amare il Capo che erra non può e non deve significare amare l’errore.
Anzi una Co.Ca. che ama il capo che erra, deve richiamarlo ad essere migliore, a superare il
suo errore; ad informarsi, a riflettere, a confrontarsi con persone autorevoli per cogliere il
perché la sua “incoerenza” fa problema verso i ragazzi, quali sono i valori in gioco, per
chiedersi perché gli altri capi non condividono quella scelta, quella posizione, per farsi
interrogare dalle preoccupazioni che essi hanno, per non presumere di essere senz’altro dalla
parte del giusto, proprio perché i tuoi fratelli capi ti chiedono di metterti in discussione. In
questo un ruolo importante l’hanno - in modo congiunto - sia il/la capogruppo che
l’assistente: quello di gestire tali situazioni in modo da evitare da una parte il clima di
giudizio e condanna e dall’altra il clima di relativismo e qualunquismo.