Funzioni, limiti e metodi del teorizzare filosofico

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Funzioni, limiti e metodi del teorizzare filosofico
Funzioni, limiti e metodi del teorizzare filosofico
Quello scritto di Bologna non è tra quelli che io ami di più, in fondo intimamente l’ho rifiutato,
ma l’ho rifiutato già quando lo avevo scritto da poco; perché quello scritto è uno scritto acerbo,
sia per la personalità di chi lo scriveva e sia per il suo modo di configurarsi. In fondo era un
periodo…. quello fu un convegno di cosiddetti giovani filosofi a Bologna uno dei convegni
appunto della Società Filosofica Italiana, è uno scritto in cui io tendevo a prendere posizione
contro, come lei ha visto bene, quella che era la curvatura alla moda della filosofia di quegli
anni, vale a dire, stimolati dalla opposizione alle varie impostazioni metafisiche dietro cui c’era
sul piano politico lo schieramento cattolico, quindi ci fu quel periodo in cui anche i maggiori
filosofi del tempo, indulgevano a questa curvatura pratica del filosofare, tanto che ci fu qualcuno
come Dal Prà e qualche altro che coniarono un termine che doveva appunto designare il loro
modo di pensare ed il termine era “trascendentalismo della prassi”. Dove appunto si cercava di
salvare l’esigenza di chi è professore di filosofia, di elaborare un discorso teorico, con
l’esigenza di chi volendo a tutti i costi rifiutare ogni metafisicità del discorso filosofico, doveva
porre al centro della propria attenzione l’agire, il fare, la prassi, il trascendentalismo della prassi.
Lo stesso Abbagnano in quel periodo aveva abbandonato la posizione esistenzialistica ed era
passato prima ad una forma di neoilluminismo poi ad un vero e proprio discorso sui metodi e
sulle metodologie. Quindi l’atmosfera filosofica era per così dire un’atmosfera divisa in due poli,
un polo che potremmo dire di impostazione più o meno confessatamente religioso, che si
manifestava poi in termini di ripresa della metafisica classica o comunque del discorso
metafisico ed era politicamente una posizione di centro-destra, dall’altro lato c’era viceversa
tutto il gruppo dei filosofi più innovatori, più giovani, più sensibili alla cultura che circolava in
Europa, in America e che era una cultura fondamentalmente empiristica, metodologistica,
praticistica e costoro quindi tentavano di elaborare delle teoriche filosofiche che fossero
essenzialmente teoriche della pratica. Questo lato era il lato più fortemente laico ed orientato a
sinistra o a centro-sinistra per adoperare categorie recenti. Ecco, allora la mia esigenza, in
qualche modo anche la mia rabbia, era quella di polemizzare contro questi estremismi
praticistici senza per questo collocarmi dalla parte dei teoreticismi metafisici. Tra i praticisti
abbiamo dai pensatori più strettamente legati al pensiero scientifico come Geymonat a
pensatori viceversa che provenivano da esperienze esistenzialistiche come Abbagnano a
pensatori che provenivano da esperienze tardo idealistiche come Dal Prà, avevamo pensatori
che legavano la propria esigenza della pratica alle metodologie scientifiche ma c’erano anche
altri che legavano le proprie esigenze della pratica al marxismo, vedi Galvano della Volpe, tanto
per fare un nome. Quindi noi abbiamo una situazione molto variegata ma nel suo variegato
essere polarizzata appunto verso questi due punti. Adesso per spiegare come nasceva lo
scrittarello a cui lei alludeva prima: era l’esigenza in vero un pò frettolosamente elaborata di…
ecco quello scritto non mi piace, però condivido ancora la sua ispirazione, che era appunto
quella di rivendicare una funzione della teoresi filosofica che non perché fosse teoresi dovesse
arrendersi alla metafisica, non perché fosse teoresi dovesse apparire cieca e sorda ai processi
del pensiero operativo. Questo è il nocciolo ispiratore di quello scritto.
(conversazione del 25/4/2001)
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