Lineamenti di linguistica del testo. Testo e testi
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Lineamenti di linguistica del testo. Testo e testi
Modulo 3 Lineamenti di linguistica del testo Testo e testi di Cristina Lavinio Università di Cagliari 1 Indice: 3.0 Guida al modulo 3.0.1 Obiettivi 3.0.2 Struttura tematica 3.0.3 Modalità di fruizione on line 3.1 Testo e contesto 3.1.1 Oltre la frase: la nascita della linguistica del testo. 3.1.2 Il testo come unità di comunicazione 3.1.3 Il testo e il contesto: coerenza pragmatica e situazionalità 3.1.3.1 Classi di situazioni e contesto culturale 3.1.4 Spie linguistiche del contesto. La deissi 3.2 Come è fatto un testo 3.2.1. La coerenza logico-semantica e i fili del testo 3.2.1.1 La coesione e i coesivi 3.2.1.2 I connettivi 3.2.1.3 La progressione tematica 3.2.2 Altri principi costitutivi della testualità 3.2.2.1 Intenzionalità 3.2.2.2 Accettabilità 3.2.2.3 Informatività 3.2.2.4 Intertestualità 3.3 Tipologie testuali 3.3.1 La varietà dei testi 3.3.2 Le tipologie 3.3.3 Tipologia fondata sull’istanza enunciativa 3.3.4 Tipologia fondata sui vincoli per il destinatario 3.3.5 Tipologia fondata sugli scopi di lettura o di scrittura 3.3.6 Tipologia fondata sul mezzo o canale 3.3.6.1 Testi orali vs. testi scritti 3.3.7 Tipologia fondata sulla funzione comunicativa 3.3.8 Tipologia funzionale-cognitiva 3.4 I tipi testuali distinti su basi funzionali-cognitive 3.4.1 Tipi testuali e generi 3.4.2 Gli schemi testuali tra ricezione e produzione 3.4.3 Testi e generi narrativi 3.4.4 Testi descrittivi 3.4.5 Testi e generi argomentativi 3.4.6 Testi espositivi 3.4.7 Testi regolativi 3.4.8 Testi scenici 3.5 La comprensione dei testi 2 3.5.1 La memoria 3.5.2 Due processi complementari: top-down e bottom-up 3.5.3 Schemi cognitivi e inferenze 3.5.3.1 Le inferenze 3.5.3.2 Gli schemi cognitivi 3.5.3.2.1 Tipi di schemi 3.5.4 La leggibilità e comprensibilità dei testi 3.5.4.1 La leggibilità 3.5.4.2 La comprensibilità 3.5.4.2.1 Altri criteri di valutazione della comprensibilità 3.5.5 Lo scriver chiaro 3.6 Avvertenze e suggerimenti didattici 3.6.1 I testi ‘bucati’ 3.6.2 Dal parlato allo scritto 3.6.3 Alla scoperta degli schemi testuali 3.6.3.1 Un esempio di lavoro sui testi espositivi 3.6.4 Attività sui testi descrittivi Nota bibliografica Riferimenti bibliografici 3 3.0 GUIDA AL MODULO 3.0.1 Obiettivi Questo modulo, destinato in particolare agli insegnanti di italiano, presenta alcune delle conoscenze di base sulla testualità. Si tratta di un modulo prevalentemente teorico, teso a fornire maggiori consapevolezze sia sugli aspetti costitutivi della testualità, sia sui criteri che ci permettono di orientarci di fronte alla grande varietà dei testi. Solo possedendo tali consapevolezze, un insegnante può guidare e controllare meglio i processi di comprensione e di produzione testuale dei suoi allievi, favorendo lo sviluppo delle loro abilità linguistiche sia ricettive che produttive. Tra gli obiettivi di questo modulo, l’intento di far nascere in chi lo usa l’insoddisfazione per la sua eccessiva sinteticità o schematicità, stimolando così il necessario passaggio a una riflessione più ampia e sistematica. I contenuti di questo modulo possono essere approfonditi ricorrendo il più possibile alla bibliografia indicata nella nota bibliografica. 4 3.0.2 Struttura tematica A monte dei temi trattati in questo modulo sta la convinzione che nella scuola e nella didattica linguistica dovrebbero esserci due centralità: quella degli alunni e quella del testo. Centralità degli alunni significa partire dai loro bisogni linguistici e comunicativi per costruire su tali bisogni una didattica attenta alla gradualità, entro percorsi tesi a conseguire gli obiettivi via via programmati. Centralità del testo significa che l’insegnamento (e soprattutto quello linguistico) deve essere fondato sui testi, deve fornire strumenti per capirli e produrli sempre meglio, sviluppando la competenza comunicativa (capacità di usare una lingua in modo adeguato alle diverse situazioni) assieme alla competenza linguistica (capacità di capire/costruire frasi rispettando le regole grammaticali). La competenza testuale, le cui componenti vengono qui presentate, è parte integrante della competenza comunicativa, ma non può prescindere neanche dalla competenza linguistica. Questo modulo si articola in sei parti: - Testo e contesto mostra come, a fondare la testualità, sia soprattutto il rapporto che un testo instaura con il contesto comunicativo e culturale in cui viene prodotto. Molte tracce linguistiche del contesto sono reperibili entro i testi; - Come è fatto un testo illustra i fenomeni interni al testo e il tradursi della sua coerenza logicosemantica in una coesione tra gli elementi linguistici che lo costituiscono. Segue una rapida rassegna di altri caratteri considerati in genere come costitutivi della testualità, anche se, a ben vedere, quello veramente irrinunciabile è la coerenza pragmatica ; - Tipologie testuali parte dalla constatazione della varietà che, al di là dei caratteri comuni, caratterizza i testi e presenta alcune delle più importanti tipologie testuali, costruite a partire da criteri di volta in volta differenti; - I tipi testuali distinti su basi funzionali-cognitive si concentra sulla tipologia che distingue i testi in descrittivi, narrativi, argomentativi, espositivi, regolativi e scenici, distinguendo tra tipi testuali e generi e presentando gli schemi testuali che sovrintendono all’organizzazione di ognuno dei vari tipi testuali; - La comprensione dei testi illustra il realizzarsi della comprensione nell’interazione tra quanto è già depositato nella memoria e gli input provenienti dall’esterno, dai testi che si leggono o si ascoltano. La leggibilità e la comprensibilità dei testi vengono presi in considerazione come problemi cruciali e centrali, verso i quali occorre diventare quanto mai sensibili; - Avvertenze e suggerimenti didattici presenta alcuni esempi di attività che possono essere utili per sviluppare la competenza testuale degli allievi, cioè per migliorarne la capacità di capire, manipolare e produrre testi. 5 3.0.3 Modalità di fruizione on line Si consiglia una prima lettura di questo modulo seguendo l’ordine progressivo delle varie parti. Solo successivamente l’attenzione potrà spostarsi, secondo una logica di navigazione ipertestuale, a inseguire fili e temi particolari che si senta il bisogno di approfondire e arricchire, utilizzando i rimandi evidenziati e integrando i contenuti con la lettura di qualcuno dei testi consigliati nella nota bibliografica o indicati nella bibliografia finale. I rimandi interni e i link con altri moduli che presentino temi affini o contigui potrebbero essere più numerosi di quelli qui indicati. Starà ai fruitori del modulo reperirli in modo problematico ed eventualmente proporli a loro volta. 6 3.1 TESTO E CONTESTO 3.1.1 Oltre la frase La frase è stata a lungo, in linguistica, l’unità d’analisi massima, cioè l’unità più ampia presa in considerazione nel descrivere l’organizzazione della lingua e la strutturazione delle sue forme. Ma, negli anni ’60, si è incominciato a capire che alcuni fatti linguistici non possono essere spiegati restando entro i confini della frase. Piuttosto, trovano la spiegazione del loro funzionamento entro un contesto verbale più ampio, detto più semplicemente cotesto (in opposizione implicita rispetto a contesto, o situazione extraverbale in cui un enunciato viene prodotto). [Si veda il modulo 0]. Tra i fatti linguistici di natura eminentemente transfrastica si possono citare, in particolare: a) le forme pronominali, che spesso costringono, per essere capite e per recuperare la forma piena di cui esse sono sostituenti, ad andare oltre la frase, in ciò che la circonda: in frasi precedenti o successive, insomma. Prendiamo per esempio, una frase come la seguente (in realtà sarebbe opportuno parlare, per questo come per gli esempi seguenti, di enunciato): Accadde che un anno gliene fece solo tre corbe e mezzo (è una citazione dalla fiaba di I. Calvino, La bambina venduta con le pere, in Fiabe italiane, Torino, Einaudi, 1956, p. 48). Non sappiamo, restando dentro questa frase, a chi e a che cosa si riferisca gliene. Solo leggendo la frase precedente: “Una volta un uomo aveva un pero, che gli faceva quattro corbe di pere all’anno”, diventa chiaro che, in gliene, gli si riferisce al proprietario del pero e ne si riferisce alle pere; b) le forme ellittiche del soggetto. Sappiamo che l’italiano è una lingua detta pro-drop, in cui il soggetto può non essere espresso. Dunque, è possibile dire: Arriva domani ma, per capire di chi si parla (a meno che non sia chiaro dal contesto extralinguistico: in quel caso l’ellissi è deittica), occorre andare oltre questa espressione, per cercare il riferimento esplicito in frasi precedenti (o successive) del medesimo testo. Es.: Ho telefonato a Carlo. Arriva domani oppure Arriva domani. Carlo me lo ho annunciato per fax. c) gli articoli: la scelta, in particolare, di un articolo determinativo o indeterminativo è guidata per lo più da ragioni che sono da ricercare oltre la frase. Per esempio, solo dopo aver detto C’era una volta un Re, si può continuare a parlare di questo Re usando l’articolo determinativo (il re ecc.) o anche, come si è appena fatto, riferendoglisi con un dimostrativo (questo). In altre parole, se il nome preceduto dall’articolo designa un oggetto di discorso nuovo, di cui non si è ancora parlato, l’articolo è indeterminativo, se invece si tratta di qualcosa di già dato, di cui si è già parlato, l’articolo diventa determinativo; d) i tempi dei verbi, nel loro variare in successione e, insieme, nel loro richiamarsi a vicenda (cfr. Weinrich 1978); e) le citazioni del discorso: i discorsi diretto, indiretto e indiretto libero sono governati da regole testuali nell’uso dei tempi verbali che li caratterizzano, nell’uso delle forme personali, nei riferimenti a un contesto che deve essere dichiarato/rappresentato nel cotesto ecc.; 7 f) avverbi, congiunzioni ed espressioni che fungono da connettivi, cioè da strumenti di collegamento tra una frase e l’altra. Ciò è evidente con frasi che iniziano con infatti, perciò ecc.: non è possibile, tra l’altro, che una frase come Infatti ho freddo compaia da sola o in prima posizione, in apertura di una serie di enunciati: deve essere preceduta da qualcosa del tipo: La temperatura deve essersi abbassata o Sono vestito troppo leggero, che insomma giustifichino la presenza del successivo infatti. 8 3.1.2 Il testo come unità di comunicazione Si è capito presto che la linguistica transfrastica, diventando una linguistica del testo, non era ancora sufficiente, dato che molte forme linguistiche trovano la propria spiegazione, piuttosto che nel solo cotesto, nel rapporto tra il testo e il contesto in cui viene prodotto, cioè nella situazione extralinguistica particolare cui, dal testo stesso, ci si può riferire. Inoltre le forme linguistiche presenti nel testo sono correlate agli scopi per i quali il testo viene prodotto, alle intenzioni dei parlanti, agli argomenti trattati ecc. Rispetto a tali dimensioni eminentemente pragmatiche è possibile giudicare, tra l’altro il grado di adeguatezza o meno dei testi rispetto al contesto, con tutte le scelte linguistiche e stilistiche regolate dal contesto stesso (si tratta dunque, per esempio, di scelte lessicali e di lingua, più o meno ‘comune’ o specialistica, di scelte di registro, dal più informale al più formale ecc.). Il testo è stato dunque ben presto definito come una unità di comunicazione. Ma la risposta fa scaturire anche una catena di domande: - - cosa è una unità di comunicazione? E’ sempre possibile stabilirne nettamente i confini, cioè decidere quando inizia e quando finisce un testo? Certo, nella comunicazione scritta, i singoli testi sono ben individuati/individuabili, si sa dove iniziano e dove finiscono, ma nel parlato? nella comunicazione orale, e in particolare nella conversazione, dove c’è un continuo succedersi di turni di parola di parlanti diversi, si può considerare testo il singolo contributo di ciascuno alla conversazione? O non è piuttosto questa stessa, nel suo insieme, un testo? e quanto è lungo questo testo? Come decidere quando la conversazione ha inizio e quando finisce? Quando una conversazione è interrotta da una pausa di una certa lunghezza? Ma di quale lunghezza? E se poi i medesimi parlanti, dopo la pausa, riprendono a parlare dei medesimi argomenti, dando continuità tematica a un discorso comune già avviato? Oppure, se i parlanti si spostano, uscendo di casa, per esempio, e continuando per strada la medesima conversazione? E cosa succede, se i due parlanti, magari perché vivono nella stessa casa, parlano in continuazione tra di loro, magari con pause più o meno lunghe, dopo le quali continuano a parlare dei medesimi temi? C’è infatti chi ha proposto di individuare l’unitarietà tematica come criterio sulla cui base individuare un testo: una unitarietà evidenziabile in un titolo che ne isoli il tema principale. I testi scritti hanno in genere un titolo, i testi orali, comprese le conversazioni, sono titolabili. Hanno titolo, però, nel parlato, solo certi testi monologici ‘annunciati’ (una conferenza, una relazione). Questi problemi, di difficile soluzione, spingono insomma a considerare che la definizione del testo come unità di comunicazione è più che altro una definizione intuitiva, mentre i confini di ciò che è considerabile come ‘unità’ sono, nel parlato, piuttosto fluidi e dipendono dai criteri (che possono essere differenti) usati nell’analisi. 9 3.1.3 Il testo e il contesto: coerenza pragmatica e situazionalità Il testo definito come unità di comunicazione è il prodotto di un’azione comunicativa entro un contesto dal quale non è possibile prescindere e che è il primo elemento fondante dell’esistenza stessa della testualità. La relazione tra il testo è il contesto è una relazione di coerenza pragmatica. La coerenza pragmatica è spesso, specialmente per testi molto brevi, fatti di un solo enunciato, anche solo nominale, l’unico requisito irrinunciabile della testualità. Il grido Aiuto! emesso in una situazione di pericolo è già un testo, come lo sono annunci (es.: Oggi frittura; Attenti al cane ecc.) ecc.: testi dalla fortissima situazionalità, coerenti al massimo rispetto a un contesto da cui non si può prescindere perché abbiano senso, benché privi di un minimo sviluppo logicosemantico interno, fatti come sono di enunciati, spesso nominali, in cui sono presenti, semmai, elementi deittici (come oggi del primo esempio). Il contesto influisce o può influire in modo determinante, oltre che sul tessuto linguistico del testo, su quanto il testo lascia o può lasciare nell’implicito, recuperabile solo dal contesto stesso e dalle conoscenze condivise dai parlanti. La situazionalità è molto più marcata, in genere, nei testi orali che non nei testi scritti. Ciò è dovuto al fatto ovvio che il parlato si sviluppa in un contesto che, nella comunicazione faccia a faccia, vede la compresenza degli interlocutori. Il contesto situazionale, con le coordinate spaziali e temporali che lo caratterizzano (il qui e l’ora in cui il testo viene prodotto), è alla immediata portata percettiva di emittente e destinatario e non c’è bisogno di dichiararlo/descriverlo. Nella comunicazione orale a distanza (per esempio al telefono) non è più condiviso il contesto spaziale, ma permane la condivisione di quello temporale: il presente usato dai parlanti è condiviso, riferibile al momento in cui la comunicazione avviene (ha anch’esso un valore deittico), la situazione spaziale in cui ciascun interlocutore si trova può invece essere passibile di descrizione. Ma è questo già un caso particolare di comunicazione orale. Come esempio di testi provvisti di marcata situazionalità (o coerenza pragmatica), oltre agli esempi già fatti (aiuto! ecc.), si può citare una sequenza di enunciati come “Bisturi! Forbici! Lacci emostatici!”: costituiscono un testo che evoca immediatamente una situazione da sala operatoria. Oppure, si può fare il seguente esempio (tratto con adattamenti da Levinson 1985): dati due parlanti, A e B, si può produrre questa sequenza: A: Suonano B: Sono in bagno Sono (o può venire in mente che siano) due parlanti che condividono il medesimo spazio abitativo e, allo squillare del campanello, A dice Suonano non perché pensi che B non abbia sentito, ma per invitarlo implicitamente (con un atto linguistico indiretto) ad andare ad aprire; mentre B, con la sua risposta, esclude altrettanto indirettamente di poterlo fare, invitando di rimbalzo A a compiere l’azione di aprire la porta. Insomma, nei testi di massima (e quasi esclusiva) situazionalità il contesto, di cui i parlanti stessi fanno parte, può far sì che, più che il significato generale e letterale delle parole dette, conti quello ricavabile dalla situazione in cui vengono dette (è un significato o, ancora meglio, un senso legato al contesto e alle intenzioni dei parlanti, che non cambierebbe se A dicesse per esempio: Non senti? E B rispondesse: Non posso). 10 3.1.3.1 Classi di situazioni e contesto culturale A farci considerare come esempi di testi quelli fatti (e potrebbero esserne prodotti molti altri similari), interviene la nostra conoscenza del mondo (o enciclopedia), che fa sì che, come utenti di una lingua, possiamo ricostruire o immaginare sempre, a partire da una sequenza di parole, le situazioni o i contesti in cui plausibilmente possono essere proferite e rispetto ai quali, ricevendone senso, esse possono risultare dei testi perfettamente coerenti. I contesti in cui possiamo produrre un numero illimitato di testi (o messaggi), al di là del loro essere sempre peculiari e differenti, sono raggruppabili in classi di contesti socialmente e culturalmente organizzati, cioè in domini (o classi di situazioni) che rendono altamente prevedibili, nei loro caratteri generali, i tipi di comunicazione (e dunque anche di testi) che vi si possono produrre. Come esempi di domini si possono citare la scuola, la chiesa, l’ambito di lavoro (professionale o meno qualificato), il quartiere, la famiglia: i domini “mostrano un marcato parallelismo con le situazioni sociali fondamentali” (Fishman 1975, p. 108). Ma l’alta prevedibilità dei tipi di comunicazione (e delle scelte di lingua) che vi si operano può essere contraddetta dalle relazioni di ruolo che sussistono tra i parlanti e dalla loro interpretazione soggettiva di tali relazioni. Le relazioni di ruolo (sociale) possono essere simmetriche (es.: tra amici e coetanei, tra colleghi ecc.) o asimmetriche (es.: tra insegnante e alunno, tra medico e paziente, tra capufficio e impiegato ecc.) e anch’esse determinano scelte linguistiche altamente prevedibili. Spia di relazioni di ruolo simmetriche sono in genere, in italiano, il tu o il lei reciproco e, più in generale, tutti gli allocutivi, cioè i modi per rivolgersi al destinatario, ricorrendo a titoli (dott. sig.), titolo e cognome (sig. Rossi), nomi propri (Filippo), nomignoli (Pippo), ecc. La coerenza pragmatica dei testi ha a che fare anche con aspetti sociolinguisticamente variati (domini e relazioni di ruolo). Ciò fa sì che certi generi testuali siano più prevedibili di altri in determinati contesti e non siano invece appropriati in altri contesti (es.: un’omelia in chiesa e non certo in casa o tra amici, un dibattito in un’aula universitaria e non in chiesa, un comizio in piazza e non in ospedale ecc.). Più in generale, la coerenza pragmatica può dilatarsi a includere l’ineliminabile e intrinseco rapporto tra i testi e il contesto culturale, storicamente e geograficamente determinato, in cui i testi vengono prodotti. In genere, vivendo entro una determinata cultura, dalle coordinate spaziotemporali ovvie (es.: l’Italia di oggi), si bada poco alla rilevanza di tale contesto. Ma ci si accorge della rilevanza del contesto culturale (senza tenerne conto, si rischia di non capire), non appena si abbia a che fare con testi del passato (prodotti nel medesimo spazio geografico, ma secoli fa) o con testi, pur contemporanei, ma prodotti entro contesti culturali molto distanti da quello della cultura occidentale in cui viviamo. 11 3.1.4 Spie linguistiche del contesto. La deissi. La deissi è il procedimento mediante il quale ci si riferisce, entro un testo, a elementi del contesto situazionale senza nominarli esplicitamente. I deittici sono le forme linguistiche che veicolano tale rinvio al contesto al cui interno il testo viene prodotto. Può essere deittico l’uso delle forme personali, specie di prima e di seconda persona, l’uso di avverbi di luogo e di tempo (qui, là, oggi, domani, ieri ecc.), dei dimostrativi, dei tempi verbali, riferiti a un presente, passato o futuro rispetto al momento in cui il testo viene prodotto ecc. Possono rientrare dunque nella classe dei deittici forme appartenenti a varie parti del discorso (aggettivi, verbi, avverbi, pronomi). Per esempio, consideriamo due persone che si conoscono e si incontrano per strada, nei pressi di un locale cinematografico. Si scambiano una serie di battute come: - Ciao! Come stai? Coma mai da queste parti? Sto andando al cinema. Ci vieni? - No, oggi non ho tempo. Ma vedrò questo film domani. Analizzando questo breve testo, possiamo dire che sono deittici: - la seconda persona di stai, vieni e la prima di sto riferite rispettivamente a un tu e a un io la cui identità non è dichiarata nel testo (non ce n’è bisogno, dato che i due si conoscono); nella seconda battuta la prima persona di ho e vedrò, riferiti a chi parla ora (che coincide con chi era designato come un tu nella battuta precedente); - i tempi verbali: il presente (che si riferisce al momento in cui i due interlocutori parlano) e il futuro (che è tale rispetto al presente della situazione comunicativa); - gli avverbi temporali oggi e domani (riferibili alla data precisa del giorno in cui avviene questo scambio di battute e che però, come sempre quando si parla, non ha bisogno di essere specificata); - i dimostrativi che accompagnano due parole generiche, non meglio specificate (queste parti, questo film) perché alla portata della percezione immediata e/o delle conoscenze condivise dei due interlocutori. Si tratta di una deissi particolarmente frequente nei testi parlati (per loro natura più strettamente legati al contesto condiviso), ed è una deissi esoforica (“che porta fuori dal testo”, legandolo strettamente al contesto). La deissi esoforica può essere distinta rispetto alla deissi endoforica, che non manca e che si realizza quando ci si riferisce, nel testo, a elementi del contesto creato dal testo e nel testo. Per esempio, è endoforico il riferimento al testo stesso (o a elementi del cotesto) quando diciamo “in questo capitolo, come detto sopra”. Tale deissi endoforica può finire per confondersi (anche se è opportuno tenerla distinta) con le riprese coreferenziali realizzate mediante anafore, catafore, incapsulatori ecc.: mezzi coesivi fondati su relazioni endoforiche, cioè interne al testo e che non hanno bisogno, per essere colte e capite, di ancoraggi con il contesto esterno. 12 3.2 COME E’ FATTO UN TESTO 3.2.1 La coerenza logico-semantica e i fili del testo In alcuni degli esempi fatti a proposito della deissi c’è già una certa coerenza interna, di natura logico-semantica, anche se istituita su basi fortemente pragmatiche, che interviene a collegare i pochi enunciati in successione. In genere i testi sono comunque molto più estesi di quelli di poche battute sopra esemplificati, e la loro coerenza logica, che ne sorregge i contenuti, si traduce linguisticamente in coesione, cioè in legami grammaticali e semantici tra le parole e gli enunciati. Si tratta di accordi grammaticali, di riprese sinonimiche o pronominali dei medesimi oggetti di discorso, di parentele di significato, ora più ora meno esteso, tra le parole usate, spesso appartenenti a una medesima famiglia o campo semantico ecc. Sono i fili linguistici del testo, per riprendere la metafora insita nella stessa parola testo (etimologicamente “tessuto”), che in un testo si rincorrono e intrecciano legando anche formalmente quanto vi si dice. Inoltre, le varie parti di un testo sono collegate mediante connettivi, in modo da evidenziare il contributo informativo (maggiore o minore, più o meno importante) di enunciati, parti di enunciato o blocchi di enunciati, assieme al tipo di relazioni che li uniscono. Coesione e connessione costituiscono, in altre parole, la trama interna dei testi, la loro testura. 13 3.2.1.1 La coesione e i coesivi In un testo la coesione si realizza mediante svariati procedimenti e forme grammaticali ed è possibile riscontrarla su diversi livelli di analisi, compreso quello semantico. Gli accordi grammaticali, anche intrafrasali, sono ovvi strumenti di coesione. Prendiamo per esempio questi banalissimi enunciati: C’erano delle pesche sul tavolo. Le ho mangiate tutte. C’è coesione nell’accordo tra le forme di plurale, ribadite dalla desinenza verbale, dal partitivo (delle), dalla desinenza –e di pesche, del participio (mangiate) e del quantificatore (tutte), oltre che dal pronome atono Le. A parte il caso del verbo (c’erano), indifferente in italiano (ad eccezione che per i participi) alla marca di genere, negli altri casi viene ribadito contemporaneamente anche l’accordo al femminile (determinato dal genere femminile del nome cui tutte le altre forme si riferiscono). Si parla di pesche, di un referente o oggetto di discorso citato esplicitamente, in modo ‘pieno’ (usando cioè una parola piena). Ma altre forme ribadiscono, in modo coreferenziale, il fatto che ci si riferisca al medesimo oggetto di discorso (le pesche), in una catena anaforica fatta qui di desinenze e di pronomi (le, tutte), cioè di parole vuote (come gli articoli e i pronomi) o di morfemi grammaticali (come le desinenze) che hanno tutte il loro punto d’attacco in pesche. Le anafore sono propriamente tutti gli elementi che, in un testo, si riferiscono a un medesimo oggetto di discorso posto alla loro sinistra (o nominato esplicitamente prima) nel testo. Nel caso invece la referenza piena sia collocata a destra, sia recuperabile solo andando avanti nel testo, si deve parlare più propriamente di catafore. Così, nell’esempio fatto, Le è una chiarissima anafora pronominale, mentre in Le ho mangiate le pesche che erano sul tavolo il Le iniziale è invece una catafora, dato che anticipa il riferimento a quelle che, solo in seguito, si esplicitano come pesche. Le forme anaforiche sono spesso dei sostituenti (testuali), come i pronomi, che evitano di ripetere la medesima espressione linguistica. Ma lo stesso risultato si può ottenere ricorrendo anche a sostituenti più pieni lessicalmente: a sinonimi (es.: Ieri ho usato l’auto di mio fratello. E’ una macchina velocissima, dove macchina è sinonimo di auto e ne è anche una anafora, coreferenziale rispetto all’auto appena nominata) oppure a iperonimi (parole il cui significato include quello di parole più specifiche. Es.: il cane del mio vicino abbaia sempre, ma è un animale molto simpatico, dove animale, iperonimo di cane, funge da sostituente anaforico), a incapsulatori (parole o espressioni che possono ‘incapsulare’ il significato di interi enunciati. Es.: c’è stata una terribile alluvione con molte vittime. La tragedia non era prevedibile, dove tragedia ribadisce anaforicamente e ‘incapsula’ quando già detto) ecc. Anche le ripetizioni della medesima parola o espressione possono far parte delle catene anaforiche, purché siano coreferenziali (es.: Questo libro mi è piaciuto molto. E’ un libro che parla della comunicazione, dove la seconda occorrenza di libro è chiaramente anaforica rispetto alla prima, se si parla dello stesso libro). Anzi, la ripresa anaforica mediante ripetizioni, essendo la più semplice cognitivamente, la più ‘immediata’, non comportando dispendio di energie mentali per trovare un modo diverso per dire la stessa la cosa, è un tipo di ripresa anaforica molto frequente nel parlato (Raffaele Simone ha parlato al riguardo di effetto-copia: cfr. almeno Simone 1990). La coreferenzialità può realizzarsi persino mediante ellissi (cioè cancellazione di qualunque formulazione esplicita). Per esempio, in Ho sentito Luigi. Durante le vacanze si è divertito molto, dobbiamo individuare una ellissi coreferenziale rispetto a Luigi prima di si è divertito. 14 I fenomeni individuati sono tra i principali coesivi reperibili in un testo. Intrecciandosi e richiamandosi a vicenda, ne garantiscono la continuità sul piano grammaticale e semantico, all’interno di una progressione tematica in cui, anche a distanza, possono essere ripresi i medesimi oggetti di discorso posti dal testo, lungo ‘fili’ che si intrecciano e intersecano, come si può notare anche da una successione banale di enunciati come: Luigi è partito e non si è più fatto sentire. A Carla dispiace molto. Credo che il suo silenzio ne spieghi il malumore, anche se non è disposta ad ammetterlo. Dopo il primo enunciato, tutto organizzato intorno a Luigi, si parla di Carla, ma il silenzio è di Luigi, cui riferire il possessivo anaforico suo, mentre l’anaforico ne è ovviamente riferito a Carla, ribadita ellitticamente come soggetto di non è disposta, oltre che ribadita dalla desinenza del participio. Invece nel –lo di ammetterlo troviamo un clitico (di nuovo un’anafora) che si riferisce però all’insieme di quanto detto in precedenza (la partenza e il silenzio di Luigi spiegano il malumore di Carla). Questo –lo dimostra tra l’altro il fatto che non sempre i pronomi sono forme “usate al posto di nomi” (come recita la loro definizione grammaticale tradizionale): non a caso, nell’ambito della linguistica del testo, si è proposto di sostituire il termine pronome con proforma. Bisogna però ribadire che la presenza di soli coesivi può essere ingannevole: è necessario infatti che i coesivi siano la manifesta traduzione nella superficie del testo della sua coerenza logico-semantica di fondo. Lo si può vedere se si mettono assieme a caso una serie di enunciati presi da testi diversi. Possono continuare ad esserci apparenti coesivi, ma non si capisce di che cosa si stia parlando. Es.: Pezzotta alza il tiro sul governo Berlusconi. A soli due giorni dalla sua approvazione, l’indultino scontenta molti detenuti. Ma la ripresa del conflitto non la vuole la maggioranza dei palestinesi. Lo ha ribadito una volta di più il premier nei giorni scorsi e gli ha fatto eco il Presidente del Senato. Ma la conferenza episcopale cattolica e i teologi gesuiti che lo hanno visto, negano. Sono enunciati giustapposti, pescati a caso da articoli diversi di “Repubblica” del 3 agosto 2003. Ci sono molti apparenti coesivi, ci sono dei connettivi come il ma di apertura di ben due enunciati; manca però qualunque coerenza logico-semantica (ciò è evidente alla luce della nostra conoscenza del mondo e dei fatti e personaggi di cui si parla) e siamo di fronte a un non testo (che potrebbe essere considerato, paradossalmente, testo solo come esempio di non testo). 15 3.2.1.2 I connettivi I connettivi sono gli elementi che servono a collegare le diverse parti di un testo o di una frase, evidenziando il rapporto logico-semantico che le lega. E’ possibile, in generale, distinguere tipi diversi di connettivi a seconda del loro valore o funzione. Per esempio, possiamo parlare di connettivi: - logici e di causa-effetto (poiché, dato che, se … allora, quindi, dunque, infatti, ecc.); - avversativi (ma, però, tuttavia, anzi, bensì, mentre, invece, ecc.) e concessivi (anche se, seppure, benché, per quanto, ecc.); - temporali (quindi, poi, dunque, allora, dopo che, ecc.); - metatestuali (in primo luogo, secondariamente, per seconda cosa, per concludere, insomma, ecc.). I connettivi si rivelano spesso centrali in un testo, importantissimi da controllare e insegnare a capire/controllare. Ogni volta che si lavora a scuola con i connettivi si scopre che gli alunni spesso li fraintendono, non conoscono il valore di un infatti o di un poiché. Tra l’altro molti connettivi, possono avere spesso valori diversi pur restando formalmente identici: un allora può avere in certi casi un valore temporale, in altri un valore consequenziale; un mentre può avere un valore temporale, ma anche un valore argomentativo-avversativo. Dobbiamo chiederci dunque che cosa capisca chi, leggendo un testo, scambi un mentre argomentativo per un mentre temporale o viceversa. Importanti sono anche i connettivi metatestuali, che segnalano le partizioni e l’andamento del testo in cui occorrono, rinviando ad esso in modo meta- , appunto (es.: in primo luogo diremo che, per concludere ecc.). E’ importante badarci per (ri)costruire, con il loro aiuto, l’ordine e la rilevanza delle informazioni via via fornite. I testi procedono linearmente affidando a parole e frasi, una dopo l’altra, una serie di informazioni che non hanno però tutte la medesima rilevanza logico-concettuale. Esistono però dei modi più o meno espliciti per sottolineare il rilievo di alcune di esse e la secondarietà, se non la marginalità, di altre. Nel parlato la messa in rilievo delle informazioni viene spesso attuata mediante la voce o l’enfasi; ma anche l’ordine delle parole e le costruzioni sintattiche contribuiscono a istituire una certa gerarchia tra le informazioni fornite. Per esempio, in una frase complessa (o periodo), l’informazione principale è in genere veicolata dalla proposizione principale; incisi o parentesi aggiungono spesso informazioni di contorno e ‘arricchimento’, che però potrebbero anche omettersi, ecc. Tutto ciò può diventare esplicito ricorrendo a svariati connettivi che, oltre che collegarle, evidenziano la funzione delle singole porzioni testuali in cui compaiono o che introducono. Se ne fa forse un uso superiore in italiano che non in altre lingue. L’inglese, per esempio, tende a lasciare più nell’implicito le relazioni tra gli enunciati e il valore delle informazioni fornite. 16 3.2.1.3 La progressione tematica Il passaggio da una informazione all’altra, o meglio da un tema all’altro, nella sequenza degli enunciati comporta quella che la linguistica del testo chiama progressione tematica. Ogni enunciato è divisibile in due parti: il tema (ciò di cui si parla, ciò che risulta messo a fuoco) e il rema (ciò che viene detto al riguardo). Il tema coincide spesso, ma non sempre, con il soggetto grammaticale. Per esempio, in Carlo è arrivato ieri, il tema è Carlo (l’oggetto del discorso) a proposito del quale si dice che è arrivato ieri (rema). Carlo è ovviamente, in questo caso, anche soggetto grammaticale. Ma in un enunciato come Di Carlo non so niente il tema è Carlo mentre il soggetto è sottinteso (io). Il tema, ciò di cui si parla, in genere occupa la prima posizione nell’enunciato; rema è tutto ciò che si dice a proposito dell’argomento così introdotto. Nella successione degli enunciati in un testo, concatenati gli uni agli altri in una complessiva coerenza logico-semantica, come si realizza il passaggio dal tema di un enunciato a quello dell’enunciato successivo? Il tema può restare lo stesso o deve cambiare ogni volta? Bisogna dire subito che la progressione tematica può essere di tipi svariati. I principali tipi di progressione tematica sono: a) con mantenimento del tema in più enunciati successivi (es. Luigi è partito. Andrà prima a Vienna, poi a Praga. Starà fuori una settimana. Poi, al ritorno, riprenderà a studiare: il tema è sempre Luigi); b) con passaggio continuo (lineare) da tema a rema che diventa tema, ecc. (es.: Luigi ha incontrato Luisa. E’ la ragazza di Giacomo. Lo puoi trovare tutti i giorni al Tennis Club. Luisa, che sta nel rema del primo enunciato, diventa tema del secondo; Giacomo, nel rema del secondo, diventa tema nel terzo); c) con tema dissociato, disarticolato in diverse componenti (che, in molti testi scritti, possono essere evidenziate graficamente con gli a capo e contrassegnate da lettere, trattini, ecc., come del resto in questa stessa enumerazione, che riguarda – e dunque ha come tema – i principali tipi di progressione tematica). I vari tipi progressione tematica in genere si avvicendano e compaiono tutti in ogni testo di una certa estensione. Si possono solo constatare preferenze tendenziali di un tipo di progressione rispetto all’altra a seconda dei testi. 17 3.2.2 Altri principi costitutivi della testualità Oltre alla coerenza, almeno pragmatica (e dunque alla situazionalità) e, in genere, alla coerenza logico-semantica e alla coesione, caratterizzano e ‘fondano’ la testualità altri principi generali che possiamo individuare nella intenzionalità, accettabilità, informatività e intertestualità. 18 3.2.2.1 Intenzionalità Ogni testo, visto come unità di comunicazione, è anche il prodotto di un atto linguistico (o, meglio, di un macro-atto linguistico, che include e regola i singoli atti linguistici individuabili in corrispondenza di ciascuno degli enunciati che compongono il testo). In ogni atto linguistico ci sono un aspetto illocutorio (o illocutivo), un aspetto locutorio (o locutivo) e un aspetto perlocutorio (o perlocutivo). Contrariamente a quanto una certa terminologia ‘depistante’ può far pensare (si parla in genere di atti illocutori, locutori e perlocutori), non si tratta di atti distinti, ma di aspetti o dimensioni concomitanti, inerenti a ogni atto linguistico. L’aspetto illocutorio è quello legato alle intenzioni del parlante nel compiere l’atto linguistico. E’ impossibile, anche se gli studiosi ci hanno provato, compilare una lista chiusa di tutte le intenzioni in base alle quali si produce un atto linguistico (che può rispondere all’intento di ordinare, suggerire, consigliare, promettere, giurare, informare, pregare, raccomandare, supplicare ecc.). Al massimo, si riesce a raggruppare questi atti innumerevoli in classi o tipi di atti [si veda il modulo 8]. In un testo, in cui può essere individuata l’intenzione che sta a monte di ciascuno degli enunciati che lo compongono, si può avere una successione anche molto estesa di atti differenti; ma è anche possibile individuare l’atto principale e generale, il macroatto, rispetto al quale i singoli atti sono subordinati e alla cui realizzazione ciascuno di essi dà il proprio contributo. Per i macroatti che corrispondono alla produzione di un testo, per esempio, già la retorica classica aveva individuato almeno i seguenti (e dunque le seguenti ‘intenzioni’): narrare, descrivere, argomentare. 19 3.2.2.2 Accettabilità Se l’intenzionalità riguarda l’emittente, cioè il produttore del testo, la sua accettabilità è valutabile dalla prospettiva del destinatario. Presentato come uno dei principi che regolano la testualità da De Beaugrand-Dressler (1981), è in realtà un principio che ha a che fare anche con le capacità di capire da parte del destinatario (per il quale un testo può rivelarsi comunicativamente inaccettabile perché troppo al di fuori dalla sua portata) e con il suo giudicare il testo adeguato rispetto al contesto. Bisogna dire dunque che si tratta di un criterio molto relativo, così come bisogna aggiungere che ogni parlante, anche di fronte a un messaggio che gli appare poco comprensibile, incoerente ecc., raramente abbandona la presupposizione di testualità, cioè l’idea che quello in cui si imbatte sia un testo, per quanto al di fuori della sua portata di comprensione immediata e, semmai, si pone il problema di reperirne la coerenza su un piano meno evidente, più nascosto, oggetto di interpretazione più sottile (“che cosa mi avrà voluto dire?” è una domanda che spesso ci capita di fare quando ci sfugge il senso complessivo di un discorso di cui siamo stati destinatari: non mettiamo in dubbio che quel discorso abbia avuto senso, e dunque fosse un testo coerente rispetto a una intenzionalità precisa; siamo noi che non l’abbiamo colto). Sulla base di questo assunto di coerenza (come lo hanno definito Brown e Yule 1986), procediamo del resto a ricostruire gli impliciti, a fare inferenze e trovare collegamenti logici tra le varie parti di un testo, trattandolo appunto come un tutto in cui ogni affermazione ha un senso ed è comprensibile alla luce delle altre, anche quando ciò che la collega alle altre non è immediatamente evidente o esplicito. 20 3.2.2.3 Informatività L’informazione, così come è stata definita dalla teoria dell’informazione, è correlata al grado di prevedibilità o meno del contenuto veicolato da un messaggio. Più esattamente, è inversamente proporzionale alla sua prevedibilità: per esempio, la risposta a una domanda è tanto più informativa quanto meno è prevedibile e scontata, quanto maggiore è l’entropia (o ‘dispersione’, in questo caso di significato) che ne risulta eliminata o ridotta. L’informatività di un testo è dunque maggiore o minore a seconda del grado di prevedibilità dei suoi contenuti: ha valori molto bassi per testi banali dai contenuti scontati, valori molto più alti per testi di altro tipo, originali e creativi nei contenuti e nel modo di trattarli. 21 3.2.2.4 Intertestualità E’ il rapporto che ogni testo instaura con altri testi dello stesso tipo o genere o che trattano i medesimi argomenti o argomenti analoghi ecc. Può essere fondata su costanti di forma, di contenuto oppure di forma e contenuto insieme e fa sì che ogni testo concreto non sia mai completamente ‘nuovo’, ma presenti alcuni aspetti che permettono di avvicinarlo, in modo più o meno forte ed evidente, a molteplici altri testi. C’è una forte intertestualità tra i testi riconducibili a uno stesso genere, tra il testo di un autore e quelli di altri autori che hanno trattato dei medesimi temi in modo simile, anche se in testi appartenenti a generi diversi ecc. Tale intertestualità è spesso dichiarata e consapevole, comporta citazioni (esplicite o nascoste), parodie ecc.; ma, anche se inconsapevole, è sempre reperibile nei rapporti di parentela, nell’aria di famiglia, che, a partire da un testo, possiamo sempre individuare tra quel testo e altri testi, simili per uno o più aspetti. 22 3.3 TIPOLOGIE TESTUALI 3.3.1 La varietà dei testi I testi condividono dunque, in genere, numerose caratteristiche, che ‘fondano’ la loro stessa testualità, cioè che sono inerenti al loro stesso essere testi. Ma fa parte della competenza testuale, anche inconsapevole, che ciascun parlante possiede il rendersi conto che esiste una gamma amplissima di testi differenti per estensione, scopo comunicativo, argomento, stile ecc.: è un testo un romanzo, una ricetta di cucina, una legge, una fiaba, un comizio, una conversazione, una predica, un saggio scientifico, un articolo giornalistico, una recensione, e via citando i moltissimi altri generi possibili, nei quali è possibile far rientrare ogni singolo testo reale. Sulla base dei caratteri che manifesta, soprattutto se pratichiamo abbondantemente un genere dato e ci capita di leggere, ascoltare o produrre molti testi simili, riusciamo a riconoscere, per ogni testo reale, la classe (il genere) cui appartiene. Oppure, in modo ancora più generale, parliamo di testi narrativi, descrittivi, informativi, letterari ecc., ricorrendo a questo punto a una tipologizzazione più ampia, dato che ognuno degli attributi che usiamo è adatto in realtà per qualificare generi svariati: sono di tipo narrativo tanto un romanzo quanto una barzelletta o un articolo di cronaca (generi); sono informativi (tipo) tanto un articolo di cronaca quanto un notiziario radiofonico o una recensione (generi); sono letterari (tipo) tanto un racconto quanto un poema epico o una fiaba ecc. A questo punto però la competenza del parlante/lettore comune comincia a rivelare qualche contraddizione interna, dato che, anche solo badando agli esempi appena fatti, un articolo di cronaca può essere fatto rientrare tanto tra i testi narrativi quanto tra quelli informativi, un romanzo può essere incluso tanto tra i testi narrativi (a fianco all’articolo di cronaca) quanto tra i testi letterari (assieme a una poesia lirica o a un poema cavalleresco). 23 3.3.2 Le tipologie Per dominare, descrivere e dare conto della varietà dei testi reali e, nello stesso tempo, per raggrupparli in classi coerenti di tipi testuali, gli studiosi di linguistica del testo hanno elaborato svariate proposte tipologiche. Ne emergono tipologie testuali differenti, perché costruite assumendo come base per la loro istituzione criteri diversi, ciascuno dei quali è autorizzato dal fatto che i testi sono costituiti da una costellazione di elementi compositi. Isolando uno di questi criteri, di volta in volta diverso, e assumendolo come criterio di base per l’istituzione di una tipologia, si ottengono tipologie differenti. Ci si limiterà qui a citare alcune di queste tipologie, che non sono certo le uniche individuate e proposte nell’insieme degli studi di linguistica del testo, ma che sono le più ‘correnti’ e utilizzate anche in ambito didattico (compaiono in svariate grammatiche e antologie per le scuole), anche se spesso in modo confuso e senza aver fatto preliminarmente ordine nel quadro teorico di riferimento. Un’altra confusione frequente, da segnalare, è quella terminologica. Si ricorre spesso, infatti, alla dicitura tipo di testo, facendone oscillare l’accezione da un piano più ampio (usandola come sinonimo di tipo testuale) a uno più circoscritto (come sinonimo di genere). Per non incorrere in fraintendimenti, in questa sede si eviterà di parlare di tipi di testo, per usare coerentemente, invece, la distinzione tra tipi testuali e generi. Dopo una rapida menzione di alcune tipologie testuali, sarà utile prendere in esame in particolare la tipologia che distingue i testi in orali e scritti, e quella che li distingue in narrativi, descrittivi ecc.. Sono due tipologie facilmente e utilmente integrabili, dato che, una volta istituita l’opposizione fondamentale relativa al canale (o mezzo), possiamo chiederci quanto e come si differenzino i testi narrativi orali rispetto a quelli scritti, i testi espositivi orali da quelli scritti (pur restando sempre testi espositivi) e così via. O, viceversa, una volta stabilito che cosa distingua gli uni dagli altri, su basi funzionali e cognitive, i tipi testuali narrativi da quelli descrittivi, espositivi, ecc., possiamo chiederci come e fino a che punto ciascuno di questi tipi si differenzi nel parlato e nello scritto, inventariando i generi nei quali i diversi tipi si realizzano, per lo meno come tipi dominanti. 24 3.3.3 Tipologia fondata sull’istanza enunciativa Se si privilegia l’istanza enunciativa (unica o molteplice) che produce i testi, è possibile distinguere i tipi monologici (con un solo emittente) da quelli “dialogici” o bidirezionali, cioè dai testi costruiti grazie al contributo di più parlanti che si alternano nei vari turni di parola: ciascuno di loro dà un proprio contributo alla costruzione di un testo unitario, come accade in qualunque conversazione. La profonda unitarietà e unicità dei testi conversazionali è del resto dimostrato dalle coppie adiacenti domande-risposta che spesso vi emergono. La coerenza complessiva, ma anche la coesione, è constatabile solo considerando insieme quanto dice un secondo parlante in risposta alla domanda formulata dal primo, mentre nessuno dei due enunciati preso isolatamente è considerabile testo. Fondata sull’istanza enunciativa è la tipologia assunta dal LIP (Lessico di frequenza dell’italiano parlato), che poi, all’interno della ripartizione fondamentale tra testi unidirezionali (o monologici) e testi bidirezionali, distingue tra questi ultimi quelli con presa di parola libera faccia a faccia (conversazioni) da quelli non faccia a faccia (conversazioni telefoniche) e da quelli con presa di parola non libera, ma regolata da tempi a disposizione e turni assegnati (assemblee e dibattiti, interviste, interrogazioni). Tra i testi unidirezionali vengono invece distinti quelli effettuati in presenza del destinatario (lezioni, relazioni a congressi, comizi, omelie, conferenze, arringhe giudiziarie) e quelli realizzati a distanza o in differita (trasmissioni radiofoniche e televisive). Appare evidente che la tipologia del LIP è utile per differenziare ulteriormente tra loro i testi parlati; la sua utilità è invece quasi nulla per i testi scritti, data la natura generalmente monologica di questi ultimi. Tuttavia, si può trovare un qualcosa di analogo alla conversazione in uno scambio epistolare, considerandolo come un unico (macro)testo composto dalla successione di lettere che scriventi differenti si indirizzano rispondendosi a vicenda; e si pensi agli scambi di email (di cui è comodo lasciare traccia in un unico file che può continuamente rimbalzare, girato in risposta, da un partecipante all’altro) oppure, soprattutto, alle chat. 25 3.3.4 Tipologia fondata sui vincoli verso il destinatario Se si privilegiano i tipi di vincoli posti al destinatario per la loro decodifica/interpretazione e anche per determinare il comportamento del destinatario nel seguire le ‘istruzioni’ date dal testo, è possibile disporre i testi lungo una scala che va dai tipi molto vincolanti (leggi, regolamenti) a quelli mediamente vincolanti fino a quelli niente affatto vincolanti e la cui interpretazione, molto più libera, è inscritta nella loro stessa espressione linguistica, programmaticamente ambigua e polisemica al massimo grado, come accade in moltissimi testi letterari. Questa proposta tipologica è stata avanzata da tempo da Francesco Sabatini (cfr. ora Sabatini 1999). 26 3.3.5 Tipologia fondata sugli scopi di lettura o di scrittura Se si privilegiano gli scopi di lettura (o di scrittura), con intenti eminentemente didattici e guardando in particolare ai testi scritti, si possono distinguere i testi in funzionali (o pragmatici, immediatamente connessi con il “saper fare” qualcosa: far funzionare un oggetto, reperire un’informazione, scegliere un itinerario ecc.), informativi, di studio, di intrattenimento. E’ l’opzione assunta in un’importante ricerca didattica del Giscel (Ferreri 2000), tesa a proporre un “Curricolo di alfabetizzazione nella scuola dell’obbligo” e ricca di materiali didattici (riversati sul CD allegato) facilmente adattabili e riproponibili in percorsi di lettura realizzabili ovunque, in classi di scuola elementare e media. Intorno a una tipologia analoga, fondata sugli scopi di scrittura, è organizzato il volume di Calò (2003): si tratta di una tipologia che distingue la scrittura “per comunicare”, da quella “per imparare” e “per inventare” secondo una convenzionalità meramente didattica (non ignorando le ampie sovrapposizioni che possono sussistere tra una scrittura per comunicare ed inventare, tra una scrittura per imparare e per comunicare ecc.) in cui, oltre che la finalità, assume un peso diverso il destinatario correlato a questi differenti scopi di scrittura, di volta in volta predominanti ma non esclusivi. 27 3.3.6 Tipologia fondata sul mezzo Se si privilegia il criterio relativo al mezzo o canale (orale, scritto, trasmesso) usato, si istituisce una tipologia diamesica che distingue i testi in parlati e scritti, con ulteriori distinzioni interne legate, per il parlato, al grado di spontaneità o di pianificazione nella progettazione del testo, per lo scritto al fatto che si tratti di uno scritto per essere letto con gli occhi e integralmente, consultato, da leggere ad alta voce, destinato ad essere recitato ecc. E’ utile chiedersi preliminarmente che cosa differenzi, in generale, i testi parlati da quelli scritti, con l’avvertenza che i testi parlati, oggetto di attenzione della linguistica del testo, possono essere considerati come la parte meramente verbale di una testualità orale più complessa, che ricorre simultaneamente a più codici: non solo alle parole, ma anche ai gesti, alla mimica ecc. 28 3.3.6.1 Testi orali vs. testi scritti L’aspetto più vistoso della differenza tra testi orali e scritti riguarda il materiale costitutivo del piano dell’espressione: fonico-acustico nei testi orali, grafico-visivo nei testi scritti. Nei testi orali, a garantirne la coesione, è fondamentale l’intonazione. I testi orali sono più spesso bidirezionali che non ‘monologici’. Il parlato (intendendo per parlato la sola componente linguistico-verbale dei testi orali, supportata dalla voce) è integrato da mimica, gesti ecc.; lo scritto si serve o si può servire di altre componenti non verbali (i caratteri scelti, i colori usati, l’impostazione e la scansione della pagina, spaziature ecc.). I testi orali sono volatili: appena proferiti, a meno che non li si registri, si dissolvono; i testi scritti permangono e possono essere riletti, consentono di potercisi soffermare ecc. Halliday (1992) ha giustamente messo in evidenza che, nel parlato, siamo di fronte al processo di produzione del testo nel suo stesso farsi; nello scritto resta solo il prodotto (il testo che leggiamo) di un processo di produzione che pure, ovviamente, c’è stato. I testi orali, tranne che in casi particolari, non hanno titolo, i testi scritti hanno in genere un titolo che mette in evidenza, in genere, il tema principale di cui trattano. I testi orali sono più legati al contesto in cui vengono prodotti, sono più ricchi di sottintesi e allusioni recuperabili solo grazie alle conoscenze condivise dei parlanti; i testi scritti sono meno immediatamente legati al contesto e sono più espliciti. I testi orali sono mediamente meno pianificati, cioè più spontanei dei testi scritti. Le differenti condizioni comunicative spiegano molte delle differenze linguistiche mediamente reperibili tra testi orali e testi scritti. Nel parlato, per esempio, la ripetizione (di parole, di porzioni di enunciati, di concetti riformulati con parole diverse ecc.) è normale e spesso necessaria e comporta una progressione tematica in cui i medesimi temi tornano o possono tornare più volte, anche a distanza; nello scritto si tende ad evitare le ripetizioni e a dare alla disposizione dei temi trattati un andamento più ordinato e lineare. La scrittura si serve inoltre di particolari segni diacritici come, tra l’altro, la punteggiatura, importantissima per scandire i testi rendendoli leggibili e evidenziandone gli snodi (importantissimi in questo senso sono gli a capo). Si può comunque articolare meglio e affinare la distinzione tra testi orali e testi scritti in una tipologia (cfr. Lavinio 1990) che evidenzi, oltre che le differenze, anche le interazioni tra parlato e scritto (evidenti quando un testo scritto nasce sotto dettatura, quando un testo orale viene prodotto seguendo una scaletta scritta ecc.). Questa tipologia dispone i testi parlati lungo una scala che va da un massimo di spontaneità (per es. le conversazioni) a un minimo di spontaneità (es.: una storia, un aneddoto, una barzelletta: per certi versi il testo è già pronto, depositato in memoria e si tratta solo di dargli, ogni volta che si racconta ‘quella’ storia, una veste linguistica, mettendoci le parole). I testi scritti, a seconda delle modalità di ricezione previste, sono distinguibili in testi - per essere consultati (es.: elenchi telefonici, dizionari, enciclopedie); - per essere letti integralmente (es.: saggi, romanzi), - per essere letti come se non fossero scritti, ma detti (es.: dialoghi entro romanzi e racconti); - per essere recitati (es.: sceneggiature, testi teatrali). - per essere detti, cioè letti ad alta voce e dunque ascoltati dai destinatari (es.: comunicati e annunci trasmessi nelle stazioni, notiziari radiofonici). Ogni testo scritto può essere oralizzato, cioè letto ad alta voce, ma la voce da sola non basta a rendere 'parlato’ quel testo, che può presentare tutti i caratteri più marcati (e complessi) della lingua 29 scritta; se invece il testo è stato scritto in modo da prevedere la sua fruizione orale, presenta una veste linguistica più semplice e breve, più facilmente fruibile nell’ascolto. Inoltre, certi testi sono fatti per essere letti come se non fossero scritti. Ciò ha a che fare con la mimesi o imitazione del parlato e facilita il fatto che forme linguistiche tipiche o molto più frequenti nel parlato possano essere presenti anche nella scrittura. 30 3.3.7 Tipologia fondata sulla funzione comunicativa Se si privilegia la funzione comunicativa pragmaticamente dominante, associata magari alla matrice cognitiva che consente la loro comprensione e/o organizzazione, si ottiene una tipologia che distingue i testi in descrittivi, narrativi e argomentativi e può articolarsi in distinzioni ulteriori. Tutti gli studiosi concordano nell’individuare almeno una tipologia basica che distingue i testi in narrativi, descrittivi e argomentativi, fondata sulle funzioni comunicative dominanti, che possono essere intese come corrispondenti a macro-atti linguistici (del narrare, descrivere ecc.). E’ una tipologia minima e universale, valida per tutte le lingue e le culture. E’ possibile sostenere, infatti, che non c’è cultura in cui non si producano racconti (narrazioni) e in cui non si usi la lingua per descrivere (descrizioni) o per argomentare, cioè per sostenere la validità di un’affermazione, di un’opinione, di un punto di vista (argomentazioni). Descrizione, narrazione, argomentazione e, inoltre, esposizione, sono le tradizionali partizioni del discorso prosastico individuate dalla retorica classica. C’è qui già un tassello in più, quello della esposizione. 31 3.3.8 Tipologia funzionale-cognitiva La tipologia prospettata da Egon Werlich (1976) aggiunge alla tipologia funzionalecomunicativa anche i testi regolativi. La tipologia di Werlich è una tipologia funzionale e cognitiva insieme, dato che tiene conto, oltre che del focus dominante nei testi (cioè del loro principale centro di interesse e di organizzazione), della ‘matrice’ o capacità cognitiva correlata, che ne consente sia la comprensione che la produzione A questa tipologia, allo scopo di renderla ancora più comprensiva di una serie di testi che altrimenti ne sarebbero rimasti esclusi (appartenenti soprattutto ai generi teatrali), si può aggiungere la classe dei testi scenici (cfr. Lavinio 1990 e Lavinio 2000). Si ottiene così una tipologia a sei posti, di cui fanno parte: - il tipo testuale descrittivo. Evidenzia fenomeni (persone, oggetti, stati di cose, relazioni) considerati in un contesto spaziale. Si associa alla percezione che, elaborata cognitivamente, permette di cogliere le differenze e interrelazioni di aspetti relativi allo spazio e all’organizzazione nello spazio di oggetti in genere provvisti di una propria fisicità. Ha un campo di referenza di natura statico-spaziale; - il tipo testuale narrativo. E’ imperniato su azioni (di persone) o su trasformazioni di stati di cose, su eventi cioè, che possono riguardare (e mutare) anche oggetti, relazioni e concetti visti nel contesto temporale. E’ associato alla capacità di percepire il tempo e di cogliere le interrelazioni e differenze relative ai cambiamenti nel tempo e col tempo. Ha dunque un campo di referenza dinamico-temporale; - il tipo testuale scenico. Evidenzia e mette in scena, dentro il testo, soprattutto atti linguistici propri o altrui svoltisi in contesti differenti da quello in cui il testo viene prodotto. Riporta la parola (per esempio di personaggi) mediante espedienti che fanno in modo che il ricevente sia di fronte all’evento comunicativo rappresentato e lo percepisca in un lasso di tempo che tende a corrispondere a quello della loro durata reale (come capita a teatro, dove lo spettatore impiega, nel sentire parlare i personaggi, lo stesso tempo che gli attori impiegano nel proferire le loro parole). Ma ogni citazione dettagliata (soprattutto nella forma del discorso diretto) di parole altrui dentro le proprie deve essere vista come realizzazione di questo tipo testuale. E’ legato alla capacità cognitiva (di tipo metalinguistico) di trattare la parola come un oggetto che si può riprodurre mediante la parola stessa e di rappresentare la durata di eventi comunicativi, discorsi ecc. in un tempo equivalente a quello da loro occupato, verosimilmente, per svolgersi realmente. E’ parente stretto del tipo narrativo, da cui non a caso spesso non viene distinto, e condivide con quello il medesimo campo di referenza dinamico-temporale; - il tipo testuale espositivo. E’ orientato verso la scomposizione (nell’analisi) o la composizione (nella sintesi) degli elementi costitutivi di concetti. E’ consentito dalla capacità cognitiva del comprendere concetti generali, che vengono disarticolati nell’analisi, o vari concetti particolari che risultano poi sintetizzati-ricondotti (nella sintesi) ai concetti generali che li includono e di cui quelli particolari sono parte. Ha un campo di referenza concettuale; - il tipo testuale argomentativo. E’ orientato sulle relazioni tra concetti ed è fondato sulla capacità cognitiva di giudicarli, cioè di valutarne il valore e stabilirne il peso, nella consapevolezze delle relazioni (di similarità, contrasto, trasformazioni) che li possono legare o che li legano gli uni agli altri. Ha anch’esso un campo di referenza concettuale; 32 - il tipo testuale regolativo. E’ orientato a regolare (cioè orientare o determinare) il comportamento del destinatario (o anche dello stesso produttore del testo) ed è legato alla capacità di pianificare-prevedere il comportamento, composto anche da una serie di azioni in successione. Ha pertanto un campo di referenza dinamico-comportamentale. 33 3.4 I tipi testuali distinti su basi funzionali-cognitive 3.4.1 Tipi testuali e generi Ognuno dei vari tipi testuali può concretizzarsi in generi differenti, utilmente distinguibili in non letterari (o non fictional) e letterari (o fictional). I primi trattano argomenti, questioni, eventi del mondo reale, non di mondi di ‘finzione’, cioè non immaginari o inventati, per quanto più o meno verosimili, come invece accade per i generi letterari. C’è una notevole utilità (ma anche relatività) di questa distinzione, dal momento che è utile considerare i generi letterari entro una cornice teorica che suggerisca la continuità (e dunque il possibile approccio a partire da basi comuni) tra usi linguistici, forme e generi più ‘quotidiani’ e usi linguistici, forme e generi letterari. Usi, forme e generi non letterari e letterari finiscono per illuminarsi a vicenda nelle reciproche specificità proprio se considerati insieme e in parallelo, entro un approccio linguistico-testuale unitario e coerente. Occorre liberarsi dal pregiudizio che, parlando di generi, si debba intendere solo qualcosa di codificato dalla tradizione letteraria. E’ genere qualunque configurazione discorsiva tipica, ricorrente e riconoscibile nella sua configurazione complessiva. Esistono generi sia nel parlato che nello scritto e ogni testo reale è ascrivibile a un genere (l’intertestualità è fondata anche sui caratteri che un testo condivide con altri ‘fatti’ nello stesso modo). I generi, sono, a differenza dei tipi testuali, di un numero molto più elevato e difficilmente circoscrivibile in una lista chiusa. I tipi testuali hanno una valenza transculturale, sono reperibili in tutte le lingue e le culture; i generi hanno invece una natura più storico-culturalmente determinata: variano o possono variare da una cultura all’altra e, anche nell’ambito della stessa cultura, da un’epoca storica all’altra. Perciò si può parlare, per i generi, di loro nascita e ‘morte’ (quando non vengono più praticati o prodotti, come nel caso della tragedia classica). Non così per i tipi testuali. I generi si collocano dunque a un livello di astrazione inferiore rispetto ai tipi testuali. Costituiscono però, pur sempre, classi ‘astratte’, cui sono riconducibili gli infiniti testi concreti in cui si cala l’attività linguistica dei parlanti: gli innumerevoli testi concreti, prodotti nel parlato e nello scritto, non sfuggono alla possibilità di poter essere ascritti a un genere o all’altro, a seconda delle caratteristiche che li contraddistinguono e che possono riguardare l’organizzazione formale, il modo di trattare l’argomento, il tipo di contesto in cui vengono prodotti, la varietà linguistica usata e altri parametri ancora che, nel loro insieme o con la loro presenza o assenza, concorrono a distinguere, in modo più o meno marcato, un genere dall’altro. Ai tipi testuali sono però riconducibili anche forme che non raggiungono l’autonomia di un genere: sono più che altro porzioni testuali ben riconoscibili, ma incorporate entro testi appartenenti ai generi più vari. Tra queste, per esempio, può essere annoverata la descrizione. E’ una forma molto ricorrente, disseminata nei testi più diversi, mentre è difficile individuare generi a dominanza descrittiva (tra questi, le schede di catalogazione, le cartelle cliniche, gli indovinelli). Comunque, neanche i generi sono rappresentativi di un tipo testuale allo stato puro. Tanto meno lo sono i testi reali riconducibili a questo o a quel genere. I testi hanno più spesso una natura mista e vi si alternano sequenze ascrivibili ora all’uno ora all’altro tipo testuale. E’ utile ricorrere al concetto di dominanza: è solo il tipo testuale di volta in volta dominante a permetterci di dire che un testo o un genere, considerati complessivamente, sono ora narrativi, ora espositivi, ora argomentativi ecc. Nei generi narrativi, per esempio, pur restando la dominanza narrativa e dunque l’attenzione predominante verso eventi idealmente disposti sulla linea del tempo, molto spesso 34 compaiono sequenze descrittive che danno conto dello sfondo spaziale (degli ambienti) in cui le vicende si sviluppano e, altrettanto spesso, in mondi narrati animati da persone o personaggi che agiscono e che sono coinvolti negli eventi raccontati, compaiono porzioni sceniche in cui ‘sentiamo’ i personaggi parlare (nel cosiddetto dialogato) come se fossimo a teatro. 35 3.4.2 Gli schemi testuali tra ricezione e produzione Ogni tipo testuale può essere definito da uno schema in cui siano evidenziati i suoi caratteri più generali, comuni ai generi e ai testi riconducibili al medesimo tipo dominante. Si tratta di schemi compositivi che si costruiscono e depositano a poco a poco nella memoria a lungo termine degli utenti di una lingua, a mano a mano che si entra in contatto con testi che appartengono ai vari tipi testuali. Sono cioè schemi generalissimi, ciascuno dei quali è valido per tutti i generi e le forme appartenenti a un determinato tipo testuale, mentre per i singoli generi o forme si hanno schemi compositivi ancora più articolati. Solo chi ‘frequenta’ un dato genere, cioè solo chi entra in contatto spesso con testi appartenenti a quel genere, riesce a riconoscerlo, con le sue caratteristiche comuni, non appena gli capiti di leggere un testo ascrivibile a quel medesimo genere. Solo il lettore di romanzi gialli, per esempio, riesce a costruirsi un prototipo mentale di ‘giallo’, in cui la vicenda prende le mosse da un delitto e la narrazione tende a far scoprire a poco a poco, magari accompagnando e seguendo l’operato di un investigatore, l’autore del delitto con i suoi moventi. In altre parole, la frequentazione di testi di un certo tipo, fa sì che si depositino nella nostra memoria le superstrutture, di carattere eminentemente formale e retorico, che li caratterizzano; questa idea dell’architettura complessiva di un tipo testuale facilita la comprensione dei testi che ne sono manifestazione concreta e, nello stesso tempo, facilita e guida la produzione di testi del medesimo tipo. Si può tentare di rappresentare, per ogni tipo testuale, la sua architettura costruendo degli schemi grafici impostati in modo analogo e riconducendone le caratteristiche alle fasi della inventio, dispositio ed elocutio: tre momenti fondamentali che la retorica classica inviduava come presenti nella genesi compositiva dei testi. Ma occorre anche sottolineare che nella parte alta degli schemi è opportuno inserire sempre scopi e destinatari, che regolano la selezione precisa di tutte le altre componenti (qui ci si soffermerà in particolare sugli schemi dei tipi narrativo, descrittivo, argomentativo ed espositivo). Dato un macro-tema (o oggetto di discorso) di cui parlare nel testo, l’inventio è la fase della ‘raccolta delle idee’, della scelta di quali cose dire al riguardo. E’ una scelta che in genere viene fatta, soprattutto nell’ambito della scrittura, preliminarmente, anche se è vero che poi altre idee possono venire (ed essere aggiunte), cammin facendo, nella fase di produzione testuale vera e propria. Una volta deciso cosa dire, subentra la dispositio, la decisione relativa all’ordine con cui immettere nel testo le singole cose da dire, quali mettere prima e quali, e in quale sequenza, dopo. Anche questa decisione non comporta ancora la elaborazione materiale del testo, cioè la sua formulazione in parole ed enunciati concreti. La scelta delle parole (comuni o meno, di quale varietà di lingua, di quale registro), delle strutture frasali in cui calarle, dello stile ecc. si realizza nell’elocutio, nel momento stesso in cui si parla o scrive. Si può ricordare, a margine, che la retorica classica, arte del discorso orale, considerava anche l’actio, cioè la realizzazione del discorso giocata anche utilizzando le risorse della voce e della concomitante gestualità, alla ricerca di un’esecuzione consapevole dell’efficacia comunicativa conseguibile mediante questi strumenti. Così come ricordava l’importanza della memoria, in cui sono già depositati molti dei loci (argomenti e luoghi comuni) da utilizzare, quasi come pezzi discorsivi già pronti, nella costruzione del discorso. 36 Leggendo gli schemi grafici dall’alto verso il basso si ha dunque un’idea della successione di operazioni che comunemente si fanno nella elaborazione dei testi. Se invece si pensa alla loro semplice ricezione, i medesimi schemi sono da leggersi procedendo dal basso verso l’alto: chi ascolta o legge, infatti, si trova di fronte a scelte linguistiche concrete (piano dell’elocutio), a informazioni disposte nell’ordine che il produttore del testo ha dato loro (dispositio), da cui, per dire di aver capito il testo, occorre risalire al piano dell’inventio, ricostruendo la logica interna che ha guidato l’estensore nel raccogliere le informazioni selezionate e gli scopi o intenzioni da cui era mosso nella elaborazione del testo. Perciò l’interiorizzazione di tali schemi, la loro presenza nella memoria a lungo termine, è utile sia per la produzione che per la ricezione. 37 3.4.3 Testi e generi narrativi I generi narrativi sono molto numerosi e possono essere prodotti con finalità (non necessariamente in rapporto di reciproca esclusione) di intrattenimento, informative (si pensi agli articoli di cronaca), educative (es.: favole con la ‘morale’). I testi narrativi sono fondati e determinati dalla temporalità, dispongono fatti ed eventi lungo l’asse temporale. Sono centrati su uno o più avvenimenti, che prendono rilievo rispetto a una situazione iniziale (o di sfondo) e che si sviluppano fino allo scioglimento del racconto. Lo schema del tipo testuale narrativo, procedendo da sinistra a destra, si articola in varie opzioni. Nella fase dell’inventio, oltre ai destinatari e agli scopi per cui si produce il racconto, si deve scegliere il modello narrativo e il genere entro cui calare un dato contenuto narrativo, articolato in motivi legati (essenziali allo sviluppo delle tappe fondamentali del racconto) e liberi (particolari che potrebbero essere omessi senza incidere sulla logica complessiva del racconto stesso). I motivi organizzati in un testo narrativo possono riguardare ciascuna delle cinque W che, raccomandate dai giornalisti come promemoria degli elementi indispensabili per un articolo di cronaca, sono estensibili ai contenuti di qualunque tipo di racconto, in cui si tratta di individuare: - il (o i) dove (where), i luoghi in cui ambientare la vicenda; - il quando (when), il tempo – reale o simulato – in cui la vicenda si svolge; - il (o i ) chi (who), le persone (nella narrativa riferita al mondo reale) o i personaggi (nella narrativa letteraria) di cui narrare; - il che cosa (what) accade; - il perché (why) avviene qualcosa (non necessariamente il perché è esplicito nei testi narrativi, ma può essere inferito e ricostruito per interpretazione). Ciascuna delle suddette componenti (il dove, quando, chi, che cosa e perché) può assumere configurazioni diverse, può mutare e trasformarsi, nel corso del racconto, i cui motivi (intesi come elementi o informazioni di base forniti dal racconto) possono essere disposti in un ordine che non necessariamente segue l’asse del tempo: in un racconto si può raccontare prima un fatto avvenuto dopo e dunque collocabile in modo differente sull’asse che lega temporalmente (in un prima e un poi) e logicamente (secondo rapporti per esempio, di causa-effetto) i fatti narrati. Questo asse logico-temporale è quello che i formalisti russi chiamavano fabula, distinguendolo dall’intreccio (costituito invece dalla effettiva disposizione testuale dei motivi). In un testo narrativo, in altre parole, si può raccontare “per filo e per segno”, seguendo nella dispositio un più semplice ordo naturalis, in cui viene narrato prima quanto succede prima e viene rispettato l’ordine di svolgimento degli eventi, oppure si può seguire un ordo artificialis, in cui la sequenza testuale non corrisponde alla sequenza logico-temporale (es.. i flashback). I testi narrativi più semplici da capire sono quelli provvisti di ordo naturalis (non a caso lo rispettano in genere i testi narrativi orali, le fiabe, i racconti per bambini). Ma la possibilità di ‘giocare’ col tempo, come avviene nei testi il cui ordo è artificialis, comporta la necessità di procedere a un uso mosso, variato e coerente dei tempi verbali quando, scegliendo la forma linguistica da conferire al racconto, si passa al piano dell’elocutio. Nei racconti orali, comunque, pur nell’alternanza con tempi di sfondo come, tipicamente, l’imperfetto, i tempi del passato sono molto spesso sostituiti da un presente indicativo ‘scenico’ che serve ad attualizzare il racconto, a renderlo più vivido e immediato, a dare l’impressione che i fatti narrati si svolgano sotto gli occhi di chi ascolta. Questo presente compare (ma ciò può succedere 38 anche nei testi narrativi scritti) soprattutto quando viene introdotta o intercalata la parola diretta dei personaggi (il dialogato). Sul piano dell’elocutio si collocano poi, ovviamente, anche tutte le altre scelte linguistiche concrete. Si può, per esempio, decidere di adottare una lingua (e uno stile) aderente al mondo narrato, al punto di vista e alla voce dei personaggi, ecc. 39 3.4.4 Testi descrittivi Il tipo testuale descrittivo si concretizza più spesso in una forma che non in un genere a dominanza descrittiva. La forma descrizione può comparire, come sequenza ben riconoscibile, nei testi e generi più vari e per assolvere agli scopi più diversi: - - - uno scopo informativo caratterizza molte descrizioni, tra cui quelle scientifiche; uno scopo regolativo accompagna le descrizioni che compaiono nelle istruzioni per l’uso e il funzionamento degli oggetti più vari; uno scopo argomentativo emerge da quelle dei dépliant turistici atti a convincere che valga la pena di visitare un luogo, per esempio per le sue bellezze naturali e storico-artistiche (chiese, monumenti ecc., accuratamente descritti); uno scopo decorativo, di abbellimento del testo è quello raccomandato dalla retorica classica per le descrizioni letterarie, dove la descrizione era concepita come ekfrasis (lett.: “fuori dal discorso”). La moderna semiotica letteraria, che concepisce un testo come un tutto unitario di parti fortemente interrelate, sottolinea e scopre le funzioni più riposte, comprese quelle simboliche, delle descrizioni letterarie, anche di quelle che possano apparire più superflue e che il lettore ingenuo o inesperto (di romanzi, racconti, ecc.) possa essere tentato di saltare a pie’ pari; uno scopo simbolico è evidente in descrizioni in cui paesaggi, ambienti, ecc. tendono a ‘rassomigliare’ un po’ ai personaggi, al loro carattere, umori, ecc. Stabilito lo scopo della descrizione, il descrittore deve decidere che cosa descrivere: se un oggetto reale oppure fittivo (cioè immaginario o fantastico); e se un oggetto particolare, colto nella sua individualità, oppure se generico, considerato semplicemente come rappresentante di una classe, e dunque da descrivere negli elementi che caratterizzano tutti gli oggetti della medesima classe. Per esempio, la descrizione di un cane riguarda un oggetto che è reale, quella di una chimera o di un unicorno è relativa a un oggetto immaginario. Se poi il cane viene descritto come provvisto di caratteristiche che valgono per tutti i cani (abbaiare, avere quattro zampe, essere domestico ecc.) l’oggetto della descrizione, pur reale, è generico; ma se qualcuno descrive il proprio cane la descrizione riguarderà un oggetto particolare, di cui, tra l’altro, non avrà molto senso evidenziare i dettagli validi per tutti gli oggetti della medesima classe: si dirà piuttosto che quel cane è affettuoso, ha il pelo di un certo colore, ha determinate abitudini, si potrà dire in che cosa differisce dal cane che magari si possedeva prima ecc. Insomma, una volta ‘ritagliato’ e isolato l’oggetto da descrivere, si tratta di decidere quali particolari (o dettagli) nominare e che tipo di proprietà (intrinseche, come nel caso dell’abbaiare, valido per tutti cani; o non intrinseche, sotto forma comparativa o meno, valide solo per dei cani particolari). Quando poi si dice anche quale effetto producono tali caratteristiche (che, per esempio, commuovono, suscitano affetto o timore, ecc.) le proprietà sono da considerarsi transitive. Si tratta poi di decidere in quale successione disporre nel testo i dettagli (con le relative proprietà) selezionati. Tutto ciò crea immediatamente una prospettica. L’oggetto descritto risulterà come disegnato a poco a poco dall’ordine (dispositio) con cui ne saranno disposti i dettagli; si avrà una certa linearità quando tali dettagli seguiranno, nella loro disposizione, un criterio ben individuabile, corrispondente alla configurazione stessa dell’oggetto, seguendone la forma fisica e procedendo, per esempio, dall’alto in basso o da destra a sinistra ecc. Se i dettagli saranno invece disposti in modo casuale, si avrà una descrizione non lineare, più difficile da cogliere nei suoi criteri organizzativi. L’ordine stesso con cui procede la descrizione è spia, in qualche modo, della 40 posizione del descrittore rispetto all’oggetto descritto: la sua angolazione percettiva può essere fissa (e la descrizione rivelerà, dell’oggetto, particolari ‘visibili’ solo da una posizione determinata, frontale, laterale ecc.: si produrrà una descrizione monoprospettica) o mobile (come se il descrittore girasse intorno all’oggetto o questo ruotasse davanti a lui: in questo caso la descrizione sarà multiprospettica, come è tipico delle descrizioni dette “a tutto tondo”). Sul piano della modalità enunciativa della descrizione, si potrà avere una descrizione “oggettiva” in una lingua comune o in un linguaggio tecnico-scientifico (come è tipico delle descrizioni scientifiche) oppure una descrizione soggettiva che ricorrerà alla lingua comune o letteraria e che, a differenza della prima, privilegerà la ricerca di effetti connotativi rispetto alla mera denotazione. Questi, molto in sintesi, sono i criteri organizzativi e le opzioni possibili per qualunque descrizione. Se non si riesce a coglierli, si rischia di sottovalutare la rilevanza di molte delle informazioni veicolate da una descrizione, e dunque di non capire. Invece, chi ha già cognizione dello schema tipico delle descrizioni, riesce a sistemare via via le informazioni ricavate dal testo entro tale canovaccio mnemonico, utile per sorreggerne il ricordo e, nello stesso tempo, per produrre, quando necessario, descrizioni del medesimo tipo. Non a caso, in molti ambiti, scientifici e non, si è proceduto alla standardizzazione di descrizioni relative alla medesima classe di oggetti. Si tratta spesso di schede da riempire, in cui i dettagli da specificare sono già predisposti, in un ordine ugualmente prestabilito. Ciò avviene, per esempio, per le carte d’identità, dove i dettagli previsti sono luogo e data di nascita, residenza, attività lavorativa, statura, colore dei capelli e degli occhi, eventuali altri segni particolari; oppure per le cartelle cliniche, i cui dettagli pertinenti – riferibili alla medesima persona, e dunque al medesimo ‘oggetto’ – sono ben differenti, dato lo scopo diverso della descrizione; e dove, nella sezione destinata all’anamnesi, possono comparire sequenze narrative (un caso di tipo testuale narrativo incorporato in un testo a dominanza descrittiva) relative alla storia delle malattie avute dal paziente. 41 3.4.5. Testi e generi argomentativi Sono a dominanza argomentativa tutti i testi o i segmenti testuali organizzati intorno a una tesi da sostenere, della cui bontà si vuole persuadere il destinatario, oppure – come accade nei testi scientifici – la cui validità si vuole dimostrare. Tra i generi e le forme argomentativi rientrano saggi scientifici, recensioni critiche, discussioni e interventi in dibattiti, arringhe giudiziarie ecc. Nella retorica classica l’argomentazione era il luogo privilegiato della persuasione, concerneva la produzione di testi atti a convincere un uditorio. Ma l’argomentazione può essere dilatata a includere tutte le dimostrazioni scientifiche, in cui non si tratta più di persuadere, bensì di dimostrare, dati alla mano o facendo leva sulla cogenza di un ragionamento condotto con estremo rigore logico. Lo scopo per il quale il testo argomentativo viene prodotto va tenuto presente primariamente e mai perso di vista. E’ collocato in alto, in prima posizione, nello schema, assieme al destinatario, le cui “opinioni condivise”, i cui saperi o le cui credenze devono anch’essi tenuti presenti prioritariamente: chi argomenta prende le mosse da questa base comune (non necessariamente dichiarata), facendo leva su di essa. La tesi da sostenere, che deve essere ben chiara nella consapevolezza di chi produce il testo, può trovare una collocazione in una qualunque delle sue parti. Talvolta, può risultare persino non enunciata esplicitamente, ma da ricostruire per inferenza. In questi casi, il testo si presenta come di più difficile comprensione/interpretazione. La scelta degli argomenti è condizionata anch’essa dalla consapevolezza di quanto può fare presa sul destinatario. Gli argomenti, infatti, nell’accezione della retorica dell’argomentazione, sono le pezze d’appoggio che rendono convincente o probante il discorso. Esistono argomenti contrari o differenti (a supporto di tesi diverse) di cui si può tener conto per confutarli. In certi generi e testi, possono fungere da argomenti intere sequenze di tipo testuale differente: un testo narrativo può fungere da supporto, e dunque da argomento, della validità di un principio morale o religioso da seguire (si pensi agli exempla della predicazione religiosa medievale), una descrizione (di un fenomeno, di uno stato di cose) può fungere da argomento in una dimostrazione/argomentazione scientifica ecc. L’ordine con cui disporre gli argomenti a favore alla tesi o, eventualmente, anche contrari (nelle cosiddette confutazioni) può essere anch’esso differente: si può andare in ordine decrescente dagli argomenti principali, di maggior peso, a quelli via via più secondari, oppure in un ordine in crescendo (climax) che procede da quelli secondari per arrivare, alla fine, ai principali. Se invece gli argomenti più solidi e convincenti sono posti al principio e alla fine del testo, si ha un ordine che la retorica classica definiva omerico o nestoriano (perché analogo alla disposizione data da Nestore alle sue truppe, di cui narra l’Iliade). Oppure, ancora, l’ordine può essere misto, con un’alternanza di argomenti principali e secondari che può porre molti più problemi alla comprensione/interpretazione. In questo caso assumeranno un peso ancora maggiore, ai fini della comprensibilità dell’argomentazione, i connettivi che, nei testi argomentativi, sono soprattutto di tipo logico e di causa-effetto, avversativi e concessivi (questi ultimi soprattutto nelle confutazioni) e metatestuali. Con la scelta dei connettivi si slitta decisamente sul piano dell’elocutio, dove si tratta anche di usare un tipo di enunciazione che può ricorrere o alla lingua comune (nelle argomentazioni su temi non specialistici, prodotte per sostenere un’opinione personale) oppure a una lingua speciale. La scelta della lingua comune si accompagna in genere alla presenza di una modalità soggettiva, in cui compare spesso la prima persona (chi parla o scrive dice io) e, soprattutto nelle argomentazioni 42 letterarie, l’uso abbondante di figure retoriche (metafore, similitudini ecc.); la scelta di una lingua speciale (e in particolare di un linguaggio scientifico) si accompagna a uno stile neutrale, “oggettivo” il più possibile, in cui la prima persona dell’emittente non compare, mentre (nei testi scritti) le citazioni di fonti autorevoli (auctoritates) e la bibliografia consentono all’emittente di avvalorare il discorso fatto, al destinatario di controllarne meglio, passo passo, la logica interna e, volendo, di verificarne la validità. Tutto ciò è importante nell’ambito della saggistica scientifica che deve, per essere tale, esibire i procedimenti usati per renderli controllabili e iterabili da altri (a questo servono note, citazioni, riferimenti bibliografici). Nella macrotestualità della saggistica scientifica, dunque, troviamo gli aspetti appena menzionati, anche se, disciplina per disciplina, la loro organizzazione, sulla base di questo sfondo comune, può variare notevolmente. 43 3.4.6 Testi espositivi I testi a dominanza espositiva possono essere considerati al crocevia tra argomentazione e descrizione: spesso non presentano una linea di demarcazione netta, ora rispetto ai testi argomentativi, ora rispetto a quelli descrittivi. Ciò è dovuto alle ragioni che si è già cercato di evidenziare. Sono presieduti dalla capacità di analizzare concetti, scindendoli nelle loro componenti costitutive e mettendone in evidenza in modo ordinato le relazioni. Oppure, in modo complementare, sono governati dalla capacità di sintetizzare più concetti, riconducendoli a concetti più generali e sovraordinati, tenendo presenti gerarchie concettuali e isolando i concetti che occupano i posti più in alto in tali gerarchie, tralasciando gli altri. E’ una capacità tanto maggiore quanto più grande è la padronanza (di chi parla o scrive) delle tematiche sviluppate nel testo: l’emittente le deve conoscere al meglio per poter procedere a organizzare buoni testi espositivi che ne trattino. La comprensione sta dunque a monte della produzione dei testi espositivi: riassunti, riformulazioni e parafrasi di vario tipo, sommari e appunti possono essere considerati testi espositivi, in cui si esibisce l’avvenuta comprensione dei testi di partenza e degli argomenti affrontati. Ma, si può aggiungere, la comprensione è anche il loro fine, rappresenta lo scopo ultimo di testi espositivi rivolti a destinatari che in genere sono in posizione asimmetrica, quanto a saperi e informazioni relative, rispetto a chi li produce. Manuali scolastici, dizionari e enciclopedie, saggi divulgativi, lezioni, spiegazioni sono gli esempi più chiari di testi espositivi destinati all’apprendimento. Perciò, nello schema dei testi espositivi (valido in particolare per i testi espositivi analitici), è opportuno inserire, sottolineandone la rilevanza, una particolare attenzione verso il destinatario, con l'individuazione, preliminare rispetto alla produzione del testo, della sua enciclopedia e delle sue conoscenze pregresse rispetto al tema da illustrare, comprese le sue conoscenze linguistiche e terminologiche. Fatte precise ipotesi su questi aspetti, si può decidere da dove partire e che cosa dare per scontato nella trattazione di un certo argomento, cercando la chiarezza, ma nella consapevolezza che la chiarezza è un concetto relativo: infatti, a seconda delle conoscenze pregresse su un dato argomento, può risultare molto chiaro quanto per altri che non le possiedano nella stessa misura può essere invece incomprensibile. In base dunque ad una analisi/costruzione preliminare di un destinatario mirato, il tema da sviluppare nell'esposizione va delimitato più o meno ampiamente, decidendo, contemporaneamente, quali e quante informazioni fornire su di esso. Nei testi espositivi scritti il tema di cui il testo tratta è peraltro in genere evidenziato già nei titoli. Questi costituiscono poi, per i lettori, una potente guida per la comprensione e la gerarchizzazione delle informazioni: saranno considerate più rilevanti quelle riferibili al tema del titolo, mentre – di fronte a testi sprovvisti di titolo e in cui le informazioni siano relative a vari temi intrecciati – lettori diversi possono costruire gerarchizzazioni differenziate di informazioni, come mostrano più prove sperimentali al riguardo. E’ rilevante badare soprattutto all'ordine secondo il quale disporre le informazioni. È un ordine che, soprattutto nello scritto, comporta una suddivisione accurata dei testi in vari e compatti blocchi informativi fortemente centrati su un unico sottotema e segnalati anche da partizioni grafiche, dall'uso di colori e caratteri differenti, da titoletti a margine, ecc. A questi espedienti ricorre la grafica spesso molto accurata di molti testi scolastici, che correda l'esposizione verbale con numerose illustrazioni, grafici, tabelle, nell'intento di facilitare la ricezione e di creare una interazione tra testo verbale e apparato non verbale. 44 L’ordine secondo il quale le informazioni sono organizzate deve essere costruito in modo coerente, secondo criteri ben riconoscibili. E’ opportuno segnalare, anche metatestualmente, le partizioni del testo mediante connettivi come in primo luogo, in secondo luogo, infine oppure mediante numerazioni, lettere in sequenza alfabetica, e simili. Anche nei testi espositivi si può ricorrere sia a una modalità che non nasconde la soggettività dell'enunciatore, sia a una modalità, più frequente, che tende a presentare le informazioni in modo oggettivo e neutrale, usando una lingua che può andare da quella più comune e più semplice sintatticamente e lessicalmente a una lingua speciale di cui, a seconda dell'argomento, è difficile fare del tutto a meno, ma badando a che la terminologia risulti diluita entro riformulazioni e parafrasi e curando l'introduzione di sequenze facilitatrici come esempi, denominazioni e/o definizioni dei termini di volta in volta introdotti. Rispetto ai testi di tipo argomentativo relativi ai medesimi temi, nei testi espositivi si realizza, in questo modo, una minore densità informativa: più parole per spiegare/illustrare/ ribadire le medesime informazioni che, in un testo argomentativo, possono essere affidate a un numero molto inferiore di items lessicali. Nei testi espositivi prodotti nel parlato la densità informativa è ancora minore che nei testi scritti, mentre la progressione tematica vede soprattutto un passaggio continuo da tema a rema che diventa sua volta tema e che viene ripetuto nella forma lessicale piena, piuttosto che sostituito da forme anaforiche pronominali. Berretta (1994) fa al riguardo questo esempio, ricavato da una lezione, dove viene ripetuta la forma lessicale la velocità della luce in questo caso uno non va più a misurare la velocità della luce: la velocità della luce è una convenzione umana. Ma anche nei testi espositivi scritti è frequente una progressione in cui il rema diventa tema e viene ripetuto (come nell’esempio fatto) oppure ripreso anaforicamente mediante pronomi o altri sostituenti. Questo tipo di progressione si alterna con quella, altrettanto frequente, che procede con mantenimento del tema in più enunciati successivi (con l'introduzione, poi, di temi derivati o dissociati, articolati e scanditi da numerazioni o lettere). 45 3.4.7 Testi regolativi Sono testi regolativi le istruzioni di ogni tipo, le leggi, i regolamenti. Le istruzioni per l’uso di determinati oggetti, i bugiardini per i medicinali (in particolare la parte sulla posologia) oppure le regole dei giochi di società sono in genere allegate ai prodotti. L’organizzazione interna di questi testi mostra un ordine molto vincolante dato che, se le istruzioni non vengono seguite passo passo, l’oggetto può non funzionare o essere addirittura danneggiato da procedure erronee di messa in opera. Oppure, per i giochi, non si riesce a giocare. Non sempre i testi regolativi reali sono di facile accesso, specie quando utilizzano un linguaggio eccessivamente specialistico, come capita nei bugiardini. Non sempre la loro oscurità è giustificata (come può accadere invece nel caso di leggi e decreti, le cui formulazioni tecniche sono spesso funzionali a una maggiore chiarezza di tipo giuridico: cfr. Mortara Garavelli 2001). In moltissimi casi la loro oscurità è dovuta a una cronica disattenzione verso il grande pubblico, che pure di quelle istruzioni e prodotti deve fruire. 46 3.4.8 Testi scenici I testi scenici sono testi scritti per essere recitati, teatralizzati nel parlato e nella rappresentazione scenica, oppure per essere recepiti come se fossero detti. Non sempre i testi scritti per essere recitati hanno guardato al parlato reale come proprio modello (si pensi a molte tragedie del passato, scritte in versi e dunque prive dell’intento di far parlare i personaggi sulla scena in modo credibile rispetto al parlato reale). Solo nell’800 (in Italia con Pirandello) si è sviluppato un teatro naturalistico. Sceneggiature cinematografiche, copioni per soap operas e telenovenovelas ecc. si sono aggiunti in tempi più recenti ai testi scenici. Ma sono scenici anche tutti i segmenti testuali (di testi orali e scritti) in cui compare il dialogato, cioè in cui viene ceduta la parola, mediante il discorso diretto, a un locutore diverso dal locutore primo (il narratore nei testi narrativi) che ‘parla’ e racconta stando in un’altra situazione comunicativa, in un altro “centro deittico” differente da quello dei suoi personaggi, che si muovono in uno spazio creato dal testo e differente da quello dell’autore e del narratore. Le coordinate delle situazioni comunicative in cui i personaggi prendono la parola possono essere presentate più o meno diffusamente dal locutore primo, in porzioni testuali la cui funzione è simile a quella delle didascalie dei testi teatrali e tali situazioni diventano il centro deittico dei locutori differenti così introdotti, che usano le forme personali e i riferimenti spaziali e temporali a partire da tali centri deittici differenti (cfr. Mortara Garavelli 1995). Ogni discorso riportato dentro un discorso induce più in generale a fare i conti con questi fenomeni, in cui si manifesta, forse al massimo grado, la potenza della lingua “che consente, anche a livelli elementari di prestazione linguistica, di creare complesse ‘polifonie’ dell’enunciato”: “L’enunciato prodotto da un emittente reale E1 può riportare una illimitata serie di enunciati di un numero illimitato di altri emittenti […] Nell’enunciazione il parlante può agire come autore, regista e attore di una sorta di SPETTACOLO COMUNICATIVO, cioè di una messa in scena in cui compaiono personaggi diversi, a ciascuno dei quali viene accordato uno SPAZIO COMUNICATIVO definito, segnalato da formule apposite (ad esempio verbi come dire, affermare, ecc.); il parlante stesso può rappresentare anche se stesso come personaggio, in quanto può presentare un proprio enunciato precedente o futuro come ENUNCIATO RIPORTATO [es.: gli ho detto: “…”; gli dirò: “…”] (Simone 1990, pp. 82-83). Cfr. inoltre Blanche Benveniste 1991. 47 3.5 La comprensione dei testi Per capire un testo non è sufficiente capire il significato di tutte le parole che vi compaiono. Si possono avere gradi diversi di comprensione e può essere più importante cogliere la logica complessiva del testo piuttosto che non conoscere tutte le parole usate (il cui significato può essere in qualche modo afferrato e poi costruito mentalmente dal ricevente grazie al cotesto in cui compaiono). La validità della comprensione si gioca comunque nel rapporto tra locale e globale, cioè tra gli aspetti microtestuali e locali delle singole parole ed enunciati di un testo e gli aspetti macrotestuali della sua architettura complessiva. 48 3.5.1 La memoria Sede della comprensione è la memoria, che si distingue in memoria di lavoro e memoria a lungo termine. La memoria di lavoro è stata a lungo detta memoria a breve termine, ma è meglio utilizzare la dicitura memoria di lavoro per evocarne immediatamente la complessa attività. Durante il processo di comprensione, la memoria di lavoro analizza e decodifica via via gli input linguistici percepiti (leggendo o ascoltando), dando loro una rappresentazione semantica. Le informazioni fornite dal testo, così elaborate, vengono quindi trasferite nella memoria a lungo termine in un formato che fa astrazione dalla forma linguistica particolare con la quale si presentano nell’input. In altre parole, la memoria di lavoro analizza e riconosce le forme linguistiche nei loro aspetti fonologico, grammaticale e semantico, elabora i significati e li trasferisce nella memoria a lungo termine senza preoccuparsi di mantenerveli associati ai significanti originari. Ricordare un testo mantenendo nel ricordo le medesime parole con cui è formulato sarebbe del resto molto difficile, dato che un gran numero di prove sperimentali dimostrano che normalmente si riescono a ricordare esattamente, immediatamente dopo averle percepite, non più di sette-nove parole di seguito, nel medesimo ordine e nella medesima identica forma. Le informazioni ricavate dall’input, oltre che facendo astrazione dalla forma originaria, vengono sistemate di continuo l’una rispetto alle altre durante il processo di ricezione, cioè vengono inserite in una rete di relazioni e di connessioni che sono anche gerarchiche. In ogni testo ci sono informazioni principali e informazioni secondarie, dettagli più o meno rilevanti: si può dire che la comprensione è tanto meglio realizzata quanto più la ricostruzione di tali gerarchie è effettuata dal ricevente, nella cui memoria a lungo termine restano in un analogo ordine gerarchico. Letto un testo, soprattutto se il testo è molto lungo, si constata che non tutte le informazioni del testo di partenza sono rimaste in memoria, ma è importante che vi permangano quelle principali, di ordine gerarchico superiore, che occupano i posti (o i nodi) più in alto nella struttura ad albero che può essere idealmente ricostruita per rappresentare l’organizzazione logicoconcettuale di un testo. E’ esperienza comune sapere che quanto più tempo è passato rispetto al momento della lettura, tanto più il ricordo ‘sbiadisce’ ma, se ‘a caldo’ si era realizzata una corretta ricostruzione mentale della rilevanza maggiore o minore delle informazioni ricavatene, è prevedibile che quelle collocate nei nodi superiori siano le ultime a scomparire: il processo di erosione dei ricordi comincia dal basso, a meno che non esistano motivi ‘affettivi’ che, per ragioni del tutto personali, facciano sì che venga mantenuto più a lungo un particolare del tutto irrilevante. La memoria a lungo termine, in cui vengono depositate le informazioni elaborate, non è però ‘vuota’. Articolata in due grandi settori, la memoria semantica e la memoria episodica, vi sono depositati da una parte i significati delle parole che già si conoscono (la memoria semantica è una memoria linguistica), dall’altra le conoscenze di come funzionano e si realizzano fatti ed eventi nel mondo (memoria episodica, costruitasi sulla base delle mille esperienze quotidiane attraversate da un individuo a partire dai primi giorni della sua esistenza). L’enciclopedia di ciascun essere umano è costruita in questo modo ed è passibile di continui arricchimenti e ristrutturazioni sulla base di esperienze e conoscenze nuove. 49 3.5.2 Due processi complementari: top-down e bottom-up L’attivazione dei settori della memoria a lungo termine interviene nel momento stesso in cui la memoria di lavoro elabora le informazioni: permette il riconoscimento dei significati linguistici e la comprensione di quanto di ‘nuovo’ si ricava dall’input alla luce delle conoscenze del mondo che si hanno già. Si realizzano dunque due processi paralleli e contemporanei, ma di direzione inversa: il processo bottom-up e il processo top-down. Il primo, dal basso all’alto, elabora l’input (cioè quanto materialmente si percepisce, per esempio leggendo o ascoltando) e trasferisce il risultato di questa elaborazione nella memoria a lungo termine; il secondo, dall’alto al basso, cioè dalla mente e dalla memoria a lungo termine, verso l’input, in maniera tale da potere elaborare quest’ultimo tenendo conto di quanto già esiste in memoria e confrontandolo con quanto si sa già. Perché ci sia una comprensione soddisfacente, è però necessario che si realizzi un equilibrio perfetto tra i due percorsi, il bottom-up e il top-down. Infatti, se l’uno prevale sull’altro, insorgono inconvenienti e distorsioni della comprensione: se prevale il bottom-up si rimane troppo ‘attaccati’ ai dati ricavati dall’input e non si riesce ad elaborarli. Si ricordano casualmente, per esempio, particolari irrilevanti senza aver colto il senso generale del tutto e aver ricostruito la gerarchia di significati del testo letto, non si riesce a compiere generalizzazioni e a vedere le connessioni tra quanto si è letto e quanto esiste già nella propria memoria a lungo termine e che proviene da fonti diverse. Se prevale il percorso top-down si rischia di appiattire l’input su quanto si sa già, su quanto è già nella memoria a lungo termine, e non si colgono, dell’input, gli aspetti nuovi e differenti che possono arricchire o correggere/ristrutturare quanto già si conosce. 50 3.5.3 Schemi cognitivi e inferenze Le conoscenze depositate nella memoria a lungo termine sono organizzate in schemi più o meno complessi, connessi gli uni agli altri entro una rete rispetto alla quale, per tentare di descriverli, è difficile isolarli e districarli se non a patto di procedere a grossolane semplificazioni. E’ però utile tenere presente al riguardo la grande mole di studi e di messe a punto elaborate negli ultimi decenni da un grande numero di studiosi, che sottolineano tra l’altro come la comprensione derivi dall’attivazione e selezione degli schemi ‘giusti’ – cioè più appropriati per capire un dato testo o una data esperienza – che sono la base per poter procedere alle inferenze adeguate. 51 3.5.3.1 Le inferenze Non è forse mai possibile, neanche nei testi più chiari, ‘dire tutto’, cioè esplicitare e segnalare passo passo quanto serve per collegare logicamente tra loro ciascuna delle informazioni date. Nella ricezione di un testo, ci si aspetta però sempre che il testo sia coerente – cioè logicamente organizzato – e non sia una semplice accozzaglia casuale di frasi messe insieme da un computer ‘impazzito’ e di cui sia impossibile dipanare il senso complessivo. Perciò la mente di chi ascolta o legge un testo è attiva e cooperante durante il processo della sua ricezione e interviene a istituire i passaggi logici tra un’informazione e l’altra, colmando con questa attività logico-concettuale i ‘buchi’ informativi del testo, che possono essere più o meno ovvii (e cioè facili da recuperarericostruire) e più o meno numerosi. Le informazioni di collegamento logico non presenti sono ricavate, oltre che dai significati delle parole usate e dal contesto in cui vengono usate, da quanto è già presente nella enciclopedia del ricevente, cioè nelle conoscenze immagazzinate nella sua memoria a lungo termine. Per esempio, se leggiamo che “Gianni era rimasto senza soldi, ma il suo regalo per la mamma era bellissimo”, siamo portati, con una inferenza, a pensare che Gianni abbia speso tutti i suoi risparmi per fare un regalo alla mamma, anche se questo non è esplicitato nel testo: siamo noi lettori a fare questa semplice inferenza di collegamento tra quanto detto esplicitamente, attivando il settore della nostra enciclopedia dove è contenuta la conoscenza elementare “per fare dei regali in genere si spendono dei soldi”. E’ poi solo il testo, nel suo prosieguo, a confermarci o meno la correttezza dell’inferenza fatta. Le inferenze giuste, che poggiano su una conoscenza condivisa, che facciamo in continuazione senza neanche rendercene conto, non entrano in contraddizione con quanto leggiamo di seguito; ma se, nell’esempio fatto, leggiamo qualcosa come “Aveva messo da parte per lei la conchiglia più bella raccolta sulla spiaggia” siamo costretti a correggere l’inferenza iniziale e a capire che Gianni, pur essendo senza soldi, ha fatto comunque un bel regalo (non acquistato) alla mamma. La comprensibilità di un testo viene considerata tanto maggiore quanto più sono semplici e meno numerose le inferenze da fare. 52 3.5.3.2. Gli schemi cognitivi Gli schemi cognitivi, per quanto numerosissimi e interconnessi, sono meccanismi economici che ci permettono di elaborare le nostre esperienze con grande risparmio cognitivo. Nello sviluppo di ogni individuo, essi si creano mano a mano, in base alle mille piccole e ripetute esperienze quotidiane, ricavandone le costanti rispetto alle particolarità sempre differenti. Grazie al possesso di tali schemi sappiamo come muoverci nel mondo senza doverlo reimparare ogni volta: sappiamo che prima di attraversare una strada, anche di una città che non conosciamo e che visitiamo per la prima volta, ci conviene guardare a sinistra e a destra; che prima di entrare in un cinema dobbiamo pagare il biglietto; che se ci sediamo a un tavolo di un locale pubblico prima o poi arriverà qualcuno a chiederci cosa ordiniamo, ecc. Gli schemi cognitivi, ovviamente, hanno a che fare non solo con le nostre esperienze individuali, ma anche con la cultura (in senso antropologico) in cui esse si sono realizzate. Il senso di spaesamento che possiamo provare visitando un paese diverso dal nostro nasce dal fatto che scopriamo che non sempre i nostri schemi sono validi o funzionano esattamente nello stesso modo: per fare alcuni esempi, pur restando nella sola più ‘familiare’ Europa, teniamo presente che guardare prima a sinistra poi a destra per attraversare una strada in paesi in cui si guida a sinistra può essere pericoloso per la nostra incolumità e dobbiamo riadattare immediatamente lo schema; in certi paesi non esiste niente di simile ai nostri bar, dove spesso facciamo colazione al mattino con un caffè e una pasta (si provi a cercare un locale del genere, senza andar lontano, in Germania…). Sono esempi banali, ma la natura sociale e culturale dei contenuti degli schemi cognitivi incomincia già a evidenziarvisi. La natura culturale degli schemi cognitivi spiega tra l’altro perché siano più complessi da capire i testi prodotti in culture diverse dalla nostra, che dànno per scontate conoscenze e comportamenti ovvi per la cultura da cui sono scaturiti ma non così ovvi per chi quella cultura non conosce. Schank (1992, pp. 212-213) riporta per esempio una breve storia esquimese che è comprensibile solo se si conoscono certe credenze di quel popolo. La cultura dunque, anche se non ne siamo molto consapevoli, filtra la formazione degli schemi e ne determina i contenuti; mentre un altro filtro, che fa sì che gli schemi cognitivi non siano esattamente gli stessi neppure tra gli individui appartenenti alla medesima cultura, è quello affettivo-emotivo individuale. E’ possibile distinguere tipi diversi di schemi cognitivi. Gli studi al riguardo, considerati nel loro insieme, non presentano un quadro uniforme: da una parte alcuni tipi di schemi, pur designati in modo differente da studiosi diversi, si rivelano in fondo identici (e le loro designazioni diverse possono essere considerate come sinonimiche); dall’altra parte, il fatto che un tipo di schema sia designato in modo identico da studiosi differenti non è garanzia che sia inteso/definito nello stesso modo. Cercando di mettere ordine in questo magma, possiamo vedere di distinguere frames, schemata, scripts, plans e MOPs, con l’avvertenza che queste distinzioni non sono universalmente condivise. 53 3.5.3.2.1. Tipi di schemi I frames sono schemi di rappresentazione mentale di oggetti o ambienti tipici, colti nella loro staticità. Sono probabilmente i primi a formarsi nel processo di sviluppo e di conoscenza degli esseri umani. La capacità di percepire gli oggetti nella dimensione spaziale si forma probabilmente prestissimo nel bambino: è fondata sulle percezioni sensoriali immediate (visive soprattutto) che vengono elaborate e mandate in memoria, creando a poco a poco rappresentazioni mentali della configurazione fisica degli oggetti e dello spazio. Tali rappresentazioni, ormai depositate in memoria, vengono poi attivate ogni volta che, di fronte a oggetti dello stesso tipo, si tratta di riconoscerli sulla base delle esperienze precedenti.; ma i frames sono pronti a complicarsi immediatamente in schemata, cioè in quelle rappresentazioni mentali, ugualmente statiche, che includono anche le interrelazioni tra oggetti differenti inglobati entro un medesimo contesto spaziale. Gli scripts (detti anche copioni) sono invece rappresentazioni mentali contenenti la successione delle azioni tipiche o il modo tipico di svilupparsi in successione di eventi entro situazioni date. La concettualizzazione del tempo e del suo svolgersi si forma probabilmente in un secondo tempo rispetto alla concettualizzazione dello spazio e alla capacità di raffigurare mentalmente spazi e ambienti tipici, ma è provato che anche bambini molto piccoli possiedono già una serie di scripts. Sono schemi relativi a fatti colti nella loro dinamicità, e sono parenti stretti dei plans, schemi cognitivi un po' più complessi che includono anche la conoscenza degli scopi per i quali le azioni tipiche (già previste negli scripts) vengono effettuate. Sono, in altre parole, rappresentazioni mentali di piani strategici per il conseguimento di un obiettivo. I MOPs sono pacchetti complessi di organizzazione memoriale in cui interagiscono numerosi scripts e plans. Sono costituiti da un reticolo di incassamenti gerarchizzati di schemi provvisti di connessioni trasversali. Il riferimento ai vari schemi cognitivi e alla loro costruzione e attivazione spiega come si sviluppa la nostra conoscenza del mondo e come la ampliamo in continuazione immettendo negli schemi dati ulteriori ricavati dal crescere delle nostre esperienze. Ma a questi medesimi schemi si fa frequente riferimento nell'ambito degli studi psicolinguistici che cercano di spiegare come avvenga la comprensione e produzione testuale (cfr. Corno e Pozzo 1991; Schank 1992; Levorato 1998). Utilizziamo infatti gli schemi in memoria sia per interpretare le situazioni che viviamo e decidere qual è il comportamento più adatto da tenere, sia per capire i testi. Gli studi in tal senso sono ormai tanto numerosi da permetterci di parlare di una vera e propria “psicolinguistica testuale”, intesa come l’analisi dei meccanismi tramite i quali il soggetto umano tratta i dispositivi linguistici per produrre e/o interpretare una successione coerente di enunciati. Ed è possibile tentare di mettere in correlazione (cfr. Lavinio 2000) ciascuno dei tipi testuali funzionali-cognitivi con i differenti schemi fin qui considerati: - i testi decrittivi hanno a che fare prevalentemente con frames e schemata; - i testi narrativi e i testi scenici con scripts, plans e MOPs; - i testi espositivi con schemata; - i testi argomentativi e i testi regolativi con plans. 54 3. 5. 4 La leggibilità e comprensibilità dei testi Quanto detto mostra come la comprensione di un testo sia qualcosa di molto complesso. Sono stati messi a punto, comunque, procedimenti che tendono a misurare, mediante l’applicazione di formule matematiche, il grado di leggibilità di un testo scritto (indicativo delle difficoltà di comprensione che esso presenti), ma badando esclusivamente alla sua veste linguistica e, in particolare, alla lunghezza media delle parole e delle frasi usate. Non tutto però può essere misurato. Si possono considerare complessivamente come facenti parte del livello della leggibilità altri aspetti ‘materiali’ del disporsi dei testi sulla pagina: la chiarezza e nitidezza dei caratteri, i rilievi ottenuti mediante caratteri o colori particolari, l’impaginazione, l’uso accorto della suddivisione in paragrafi e dell’interpunzione in genere, di titoli e titoletti ecc. Tutto ciò può favorire la reperibilità delle informazioni fornite e può invogliare alla lettura. Ed è opportuno distinguere dalla leggibilità la comprensibilità, che è una nozione relativa (la comprensibilità di un testo può variare di molto a seconda dei lettori) e qualitativa insieme (c’è chi propone di considerare un testo tanto più comprensibile quanto meno alto è il numero delle inferenze da compiere per capirlo). (Cfr. Lumbelli 1989; Piemontese 1996) 55 3.5.4.1 La leggibilità La formula di Flesh è una delle formule di leggibilità più note. Nata in ambito anglosassone per misurare la leggibilità di testi scritti in inglese, è stata adattata all’italiano dall’ingegnere Roberto Vacca. L’adattamento si è reso necessario per il fatto che mediamente le parole italiane sono più lunghe di quelle inglesi, fra le quali invece abbondano i monosillabi. La formula è la seguente: 206 – (0,6 x S + P) 206 e 0,6 sono delle costanti S indica il numero complessivo di sillabe su 100 parole P indica il numero medio di parole per frase su circa 100 parole Le circa 100 parole considerate sono quelle di vari campioni prelevati dal testo a intervalli abbastanza regolari (per esempio uno ogni cinque pagine, se il testo in questione è un libro), considerando tutte le parole di brani chiusi dal punto fermo più vicino alla centesima parola. Se i valori ottenuti dall’applicazione della formula di Flesh sono 0 o al di sotto dello 0, il testo è molto difficile; difficile è un testo il cui indice di leggibilità è tra 0 e 30; abbastanza difficile se il valore è tra 0 e 40; standard tra 40 e 50; abbastanza facile tra 50 e 60, facile tra 60 e 70, molto facile da 80 in su. Sono valori non certo da assolutizzare, ma da assumersi come indice della probabilità che il testo possa risultare mediamente come più o meno semplice o complicato. Un’altra formula, messa a punto da Emanuela Piemontese e Piero Lucisano, è la formula Gulpease (dove Gulp sta per “Gruppo universitario linguistico-pedagogico” e ease è la parola inglese che significa “facilità”): 89 – (Lp/10) + (3 x Fr) dove si considerano la lunghezza media delle parole misurate in lettere (e non in sillabe) e la lunghezza media delle frasi. La formula presenta ancora una volta delle costanti (89, 10, 3); Lp si ottiene moltiplicando per cento il totale delle lettere e dividendo la cifra ottenuta per il totale delle parole; Fr si ottiene moltiplicando per cento il totale delle frasi e dividendo la cifra ottenuta per il totale delle parole. Lavorando con la formula Gulpease e testando i risultati della sua applicazione su tre livelli differenziati di scolarizzazione (istruzione elementare, media, superiore) si è constatato che un risultato come - 80 indica testi facili per coloro che hanno un’istruzione elementare, per i quali risultano invece difficili testi dall’indice di leggibilità al di sotto di 60; - 60 rappresenta testi facili per chi ha un’istruzione media, - 40 indica testi facili per chi ha un’istruzione superiore. Quanto più si scende, per ogni fascia di istruzione considerata, al di sotto del valore medio di rispettiva ‘facilità’, tanto più aumenta la difficoltà – e dunque la frustrazione – nella lettura. Ed è importante parlare anche della “frustrazione” perché spesso, quando ci si limita a deplorare la scarsa propensione di molti alla lettura, non ci si chiede se per caso essa non sia legata anche al fatto che venga spesso sottovalutata l’importanza di scegliere o suggerire, almeno a scuola, per ogni livello di istruzione e fascia d’età, letture adeguate, di testi non eccessivamente complicati e tali da non generare, assieme alla frustrazione, un senso di fatica, noia e fastidio per il leggere, destinati a 56 permanere anche quando si abbandoni la scuola. Tanti, troppi analfabeti di ritorno, in fondo, nascono proprio così. La leggibilità dei testi, misurabile tenendo conto di dati meramente superficiali di tipo linguistico, è integrabile con valutazioni difficilmente traducibili in dati numerici. Si può badare ad altri aspetti ‘materiali’ del disporsi dei testi sulla pagina: caratteri chiari, non eccessivamente faticosi per la vista, rilievi (o colori) conferiti a punti o parole particolari, paragrafi non troppo compatti e scanditi da un uso accorto degli a capo, uso di titoletti, illustrazioni ecc. Tutto ciò può favorire la reperibilità delle informazioni fornite e può invogliare alla lettura. 57 3.5.4.2 La comprensibilità La comprensibilità di un testo è qualcosa di più ampio della leggibilità, benché tra le due nozioni non sia possibile istituire un confine molto netto. Gli ostacoli alla leggibilità sono di tipo meramente materiale e superficiale. Gli ostacoli alla comprensibilità sono di natura più profonda. Nessuno di essi può essere misurato in modo statistico-matematico. Occorre, per valutare la comprensibilità, un’analisi qualitativa dei testi. Su questa base di possono individuare le zone di maggiore semplicità e quelle, invece, di maggiore difficoltà per utenti differenti per età, sviluppo cognitivo, conoscenze linguistiche e ampiezza di vocabolario, scolarizzazione, cultura. Nell’analisi dei testi, per stabilire se essi siano più o meno comprensibili, si deve tener conto di fattori relativi alla loro organizzazione, oltre che linguistica, logico-concettuale. In particolare, si deve tener conto del numero di inferenze necessarie per poter colmare, con le conoscenze (del mondo e dell’argomento su cui si legge) che già si possiedono, quanto il testo va dicendo esplicitamente, in modo da connettere le informazioni fornite entro una rete coerente e logica. La comprensibilità di un testo viene considerata tanto maggiore quanto più sono semplici e meno numerose le inferenze da fare. Ma in realtà, dato un testo, è spesso molto difficile stabilire quante siano le inferenze necessarie per capirlo, anche se possiamo farcene un’idea tramite una sua “lettura rallentata” che, oltre al numero delle inferenze di base necessarie per capire, consideri come “criteri di valutazione della comprensibilità” la presenza o meno di una serie di punti problematici che vanno dall’organizzazione complessiva del testo (la più semplice è quella lineare, senza salti logici tra un argomento e l’altro, con un criterio ordinatore nella disposizione delle parti chiaramente individuabile e seguito con coerenza) a fenomeni testuali e linguistici più locali. 58 3.5.4.2.1. Altri criteri di valutazione della comprensibilità Lucia Lumbelli (1989), tra gli “indicatori testuali delle difficoltà di comprensione”, che comportano un carico cognitivo notevole per chi legge, segnala: - l’identità ostacolata, che impedisce di capire che si sta parlando della stessa ‘cosa’ pur nominandola in modo diverso, quando non si hanno le conoscenze necessarie per riconoscerle come la stessa ‘cosa’, dato che queste conoscenze o informazioni non sono ricavabili direttamente dal testo. Per essere più precisi, si tratta di impedimenti al riconoscimento della coreferenzialità tra due elementi del testo. Per esempio, se leggo “Il Presidente della Repubblica è partito per le sue vacanze. Ciampi ha però rilasciato alla stampa la seguente dichiarazione…” e non so che Ciampi è il Presidente della Repubblica, il testo non mi aiuta a ricavare questa informazione; - il nesso mal segnalato, o non segnalato, o distante: quando a delle informazioni logicamente correlate corrisponde solo un tenuissimo (oppure nessun) raccordo esplicito; oppure, ancora, nel caso del nesso distante, le informazioni, pur essendo strettamente collegate, sono dislocate a una distanza eccessiva l’una dall’altra, tale da rendere difficoltosa l’instaurazione di tale nesso. Anche forme linguistiche minute come i pronomi sembrano sensibili a tale criterio: i loro riferimenti sono tanto più difficili da recuperare quanto più aumenta la distanza, misurabile in numero di parole interposte, tra la forma piena (o punto d’attacco) e il pronome (soprattutto clitico) che la sostituisce; - l’aggiunta relativizzante, che serve a circoscrivere la validità di asserzioni precedenti, per limitarne la portata avvertendo che non sono opportune eccessive generalizzazioni e schematizzazioni; - l’esempio difficile, che anziché semplificare la comprensione di un concetto formulato in generale e in modo teorico, finisce per complicarla, risultando l’esempio più difficile da capire della stessa asserzione da cui prende le mosse. 59 3.5.5 Lo scriver chiaro Tenendo presente l’insieme degli ostacoli alla comprensibilità (e alla leggibilità) finora segnalati, Lumbelli (1989) formula una serie di raccomandazioni utili per la redazione di testi divulgativi, il cui scopo dovrebbe essere quello di risultare il più possibile chiari a un grande numero di non esperti dell’argomento trattato. Ma la ricerca sullo “scriver chiaro” interessa o dovrebbe interessare, oltre che il mondo dell’editoria scolastica, anche quello giornalistico e della comunicazione pubblica. Non a caso si è esercitata nella redazione del periodico “Due parole”, un giornale pensato per chi è portatore di qualche handicap (che abbassa notevolmente, di per sé, la soglia di comprensibilità dei testi ‘normali’), adatto anche a parlanti stranieri che muovano i primi passi nell’acquisizione dell’italiano. “Due parole” è attualmente pubblicato on line sul sito omonimo (www.dueparole.it). La ricerca sulla chiarezza riguarda inoltre l’ambito della comunicazione pubblica e rivolta, anche istituzionalmente, al grande pubblico, che ha il diritto di capire esattamente, nei suoi rapporti con lo Stato o altri enti, le comunicazioni che lo riguardano, che pesano sulle sue tasche in termini di tasse o bollette da pagare, ecc. Ne sono scaturiti il Codice di stile (1993) promosso dal ministro della Funzione pubblica Sabino Cassese (si veda anche Fioritto 1997), oppure il lavoro che ha portato alla semplificazione e maggiore perspicuità delle bollette Enel (De Mauro e Vedovelli 1999). E’ l’esempio di un impegno civile coniugato a quello scientifico, che si alimenta dei risultati della ricerca scientifica su questioni linguistiche e che, nello stesso tempo, contribuisce a farla progredire, se non altro ponendole domande cui la ricerca linguistica ha il dovere di cercare di rispondere. Né la scuola e gli insegnanti sono esonerati dal considerare attentamente tali problematiche, alla luce delle quali cercare di valutare costantemente, tenendole sotto controllo, le difficoltà di comprensione e i compiti cognitivi richiesti costantemente agli alunni, a partire dall’(auto)controllo critico della comprensibilità delle lezioni orali dei docenti fino al vaglio attento dei testi da adottare, scegliendoli non solo in base alla validità, attendibilità e aggiornamento scientifico dei loro contenuti, ma anche badando alla loro maggiore o minore comprensibilità (e dunque chiarezza) per gli allievi. 60 3.6 Avvertenze e suggerimenti didattici Conoscere e approfondire i contenuti di questo modulo non deve comportare un loro travaso meccanico nella didattica. Dalle questioni affrontate si possono piuttosto ricavare una serie di attenzioni e di suggerimenti, da adattare alle capacità degli allievi e ai loro bisogni di apprendimento. 61 3.6.1 I testi ‘bucati’ Per far capire l’intima natura testuale delle formulazioni linguistiche si può lavorare con testi ‘bucati’, cioè con cloze (test). Il cloze classico consiste nel cancellare da un brano, a intervalli regolari, una parola ogni cinque (o sei o sette). La cancellazione determina dei ‘buchi’ da colmare da parte del lettore. Per colmarli occorre fare delle ipotesi su quanto può essere stato cancellato e queste ipotesi sono guidate sia dal significato (occorre scegliere parole semanticamente compatibili con quanto sta intorno) sia dalla sintassi e dalla morfologia (la parola da ripristinare deve avere una forma grammaticalmente legata a quanto la circonda, alle parole cui si accorda ecc.). Bisogna, in altre parole, tenere conto costantemente dei suggerimenti logici e grammaticali forniti dal cotesto. La discussione sulle soluzioni reperite può evidenziare i ragionamenti che hanno indotto alla scelta di una determinata soluzione, basandosi sulla necessità di rispettare coerenza e coesione testuali. E’ opportuno che, per evitare suggerimenti di altro tipo (relativi per esempio alla maggiore o minore lunghezza delle parole da ripristinare), i buchi siano tutti della medesima dimensione. Non è importante che la soluzione trovata sia perfettamente identica a quella del testo originario: si può scoprire che parole diverse (per esempio sinonimi) possono essere altrettanto (o addirittura più) adatti a colmare i buchi: l’importante è che poi il testo sia accettabile, essendone rispettati i fili logici e grammaticali (cioè la coerenza e la coesione). Una variante di cloze è il cloze mirato, dove le lacune non cadono più a intervalli regolari ma colpiscono forme appartenenti a una medesima categoria grammaticale (per esempio, tutti i pronomi) oppure selezionate sulla base di criteri semantici o lessicali. Imparentato con questo esercizio è quello che consiste nel fornire le forme verbali all’infinito, chiedendo di inserire, in quel punto del testo quello stesso verbo, ma nel modo, tempo e persona adeguati. Sulla ricchezza e utilità didattica delle attività di cloze, con resoconti su esperienze condotte in classi diverse di scuola elementare, si veda il volume a cura di C. Marello, 1989. 62 3.6.2 Dal parlato allo scritto Per far capire agli allievi le differenze tra testi parlati e scritti è utile, anziché snocciolarle loro in una lista dettagliata, far sì che le scoprano a poco a poco ‘manipolando’ il parlato per trascriverlo e poi trasformarlo in un testo accettabile come scritto. Si tratta di registrare testi orali (che possono essere i più vari e di tipo diverso, raccolti anche in classe: la lezione dell’insegnante, gli interventi durante una discussione in classe, le interrogazioni ecc.) per poi farne trascriverne agli allievi almeno alcune parti (la trascrizione di soli cinque minuti di parlato comporta molto più tempo: soste e continui riascolti mandando indietro in continuazione il nastro). Si deve raccomandare una trascrizione fedelissima, che non ometta neanche una sillaba di quanto è stato detto. Se il parlato viene trascritto in questo modo, si porrà immediatamente, tra l’altro, il problema di trovare dei criteri supplementari per dar conto di quanto non si riesce a ‘sentire’ chiaramente, per dar conto di esclamazioni, risate, ma anche pause più o meno lunghe e rumori vari. Si capirà che è necessario introdurre alcuni segni diacritici tra i quali la stessa punteggiatura, fondamentale per rendere leggibile il testo. Introducendo la punteggiatura, si scoprirà che non sempre essa sarà in corrispondenza di pause effettive (il punto fermo, per esempio, dovrà essere usato per separare l’una dall’altra le frasi, a prescindere dalla presenza o meno di pause nettamente percepibili in quel punto): l’interpunzione segue spesso criteri sintattici e semantici piuttosto che non intonazionali (cfr. Mortara Garavelli 2002). Inoltre, anche dopo aver inserito i segni interpuntori, il testo potrà presentare molti aspetti (ripetizioni, frasi interrotte, intercalari inutili ecc.) che, normali nel parlato, non sono giustificati in un testo scritto e vanno eliminati o modificati, in un lavoro di ‘pulizia’ teso a rendere quel testo accettabile nella scrittura. Lavorando in questo modo e ragionando sulle modifiche più opportune, si potrà diventare consapevoli delle differenze tra parlato e scritto e, nello stesso tempo, si potrà imparare a gestire al meglio la testualità che vi si realizza. 63 3.6.3 Alla scoperta degli schemi testuali Dalle sezioni sulla varietà dei testi, parlati e scritti, differenziati a seconda del tipo testuale dominante, ecc., si possono ricavare alcune piste per guidare gli allievi nell’analisi di testi e fenomeni testuali, entro una riflessione sulla lingua condotta in modo da far ‘scoprire’ loro alcune costanti e regolarità, fino agli stessi schemi che caratterizzano la struttura complessiva di tipi e generi testuali. Il possesso consapevole di schemi ha a che fare con la metacognizione (o conoscenza metacognitiva, che si può identificare con un “sapere di sapere” e con la consapevolezza delle procedure attivate per accrescere le cognizioni). Nei processi di apprendimento, la metacognizione è estremamente rilevante, come sottolineano gli psicologi. Ma non si tratta di ‘insegnare’ gli schemi: si tratta invece di farli scoprire agli alunni, di farli ‘(ri)costruire’ da loro, inducendoli a lavorare sui testi. Per far sì che ne scoprano alcune caratteristiche, compresi gli schemi, basta che l’insegnante formuli consegne ed esercizi adeguati. Per esempio, si possono aiutare gli alunni a scoprire l'ordine con cui vengono fornite le informazioni in vari testi, guidandoli a prestare attenzione a titoli, titoletti, connettivi metatestuali, a ricavare da ogni blocco informativo almeno l'informazione principale, cui subordinare le altre magari in uno schema grafico, e così via. Tutto ciò significa facilitare in loro (assieme alla capacità di riassumere) la costruzione consapevole di schemi cognitivi adeguati, differenziati per tipi testuali, cui ricorrere sia per capire e sistemare più facilmente e ordinatamente in memoria quanto letto o studiato, sia per produrre buoni testi del medesimo tipo quando debbano fare una relazione, rispondere alle interrogazioni o produrre un testo scritto. 64 3.6.3.1 Un esempio di lavoro sui testi espositivi Per esempio, per far toccare con mano agli alunni quanto sia rilevante l'ordine nella distribuzione delle informazioni in un testo espositivo (un paragrafo o un capitolo del manuale di una qualunque disciplina scolastica), li si può far lavorare (in gruppo o singolarmente) a ripristinare l'ordine originario degli enunciati di un breve brano, presentato dall'insegnante già disarticolato in enunciati singoli mescolati in un ordine casuale. Per realizzare questa attività, l’insegnante può: a) scegliere un brano dal libro di testo; b) trascriverne su diverse strisce di carta, una a una, tutte le frasi chiuse da un punto fermo; c) distribuire ai singoli alunni (oppure a diversi gruppi di alunni) una copia delle varie strisce di carta con la consegna di ricostruire il brano di partenza mettendo al posto giusto, in successione, le singole frasi. Facendosi guidare dai contenuti di ogni frase, gli alunni scopriranno che non possono disporle casualmente, pena produrre un qualcosa di incomprensibile. Scopriranno la logica sottesa alla disposizione delle informazioni veicolate, così come scopriranno di non poter mettere in apertura del brano alcuni enunciati (che per esempio si aprano con un infatti). I risultati, ovviamente, saranno tanto migliori quanto più ci sarà una conoscenza preventiva dell'argomento da parte degli alunni e quanto più le frasi conterranno connettivi metatestuali che potranno suggerire come ripristinare la sequenza originaria. Se poi si vuole rendere un po' più complesso l'esercizio, si tratta di fornire agli alunni tante frasi semplici in ordine sparso, ma a partire da un testo che l'insegnante abbia già semplificato, spezzando in frasi monoproposizionali i periodi complessi ed eliminando tutti gli elementi di connessione. La consegna dovrebbe essere di questo tipo: “riscrivi / costruisci un testo senza perdere nessuna delle informazioni contenute nelle frasi di partenza, ma modificandone la forma quando ciò si renda necessario ai fini della strutturazione del testo”. I risultati del lavoro degli alunni possono essere poi confrontati con il testo di partenza, magari per scoprire che i loro prodotti sono talvolta migliori o ne mettono a nudo le eventuali pecche, i punti problematici, ambigui e i nessi non segnalati. Si tratta ovviamente di dosare e calibrare lavori di questo tipo a seconda dell'età degli alunni e del loro sviluppo cognitivo, ma è comunque importante lavorare anche sui testi espositivi per facilitare/promuovere le abilità di studio. Queste, come sappiamo, sono molto rilevanti ai fini del successo scolastico. 65 3.6.4. Attività sui testi descrittivi Ogni descrizione presenta un insieme di parole imparentate tra loro per contiguità di significato, che servono a disarticolare e nominare nelle sue parti costitutive (o dettagli) l’oggetto descritto. L’ampiezza di una descrizione può dipendere dal vocabolario di cui dispone l’autore. In altre parole, la descrizione mobilita competenze lessicali ed esercitarsi a produrre testi descrittivi può essere utile per l’ampliamento e l’arricchimento del vocabolario, oltre che per abituarsi alla gestione di una resa verbale coerente delle percezioni spaziali. Possono essere costruite attività didattiche che non si limitino alla semplice lettura/fruizione/osservazione di descrizioni. Può essere molto utile, per esempio, chiedere agli alunni: a) il completamento di un testo descrittivo da cui siano state cancellate molte parole (magari relative a dettagli o proprietà) o molti termini (se si tratta di una descrizione scientifica). Nello sforzo di individuarli per ripristinarli dentro il testo ‘bucato’ in modo ‘mirato’ (cfr. cloze mirato), si attiveranno procedimenti inferenziali, sforzi di memoria, ricerche e controlli sui dizionari ecc. che determineranno un solido possesso delle soluzioni corrette trovate, garantito dal lavoro cognitivo svolto al riguardo; b) la stesura di una descrizione, anche scientifica, in cui siano usati almeno una volta tutti i vocaboli (parole e/o termini) indicati nella consegna. Es.: “Produci un testo descrittivo in cui compaiano almeno una volta le seguenti parole: fiume, lago, montagna, affluente, estuario, delta, diga, foce” oppure “cellula, membrana, nucleo, citoplasma, microscopio”. Insegnanti di qualunque disciplina potranno così controllare, sulla base della coerenza interna del testo prodotto e dell’uso appropriato del vocabolario indicato (pescato magari da un argomento già spiegato e fatto studiare agli alunni), l’avvenuta acquisizione o meno di un pacchetto più o meno esteso di vocaboli. 66 NOTA BIBLIOGRAFICA Si forniscono qui alcune sobrie indicazioni bibliografiche, aggiuntive rispetto ai lavori già citati nelle varie sezioni di questo modulo. Per la transizione dalla linguistica transfrastica a quella testuale e per la concezione del testo come unità di comunicazione cfr. Conte 1977. Tra i lavori fondamentali di linguistica testuale pubblicati in italiano (alcuni dei quali ormai non reperibili in commercio) è doveroso citare almeno Dressler 1974, Mortara Garavelli 1979, de Beaugrand-Dressler 1981, Conte 1988-1999. Ma anche Brown-Yule 1986 può essere considerato un buon manuale di linguistica testuale, per quanto applicata soprattutto all’analisi del discorso, cioè dei testi parlati. Si veda anche Mortara Garavelli 1991 e, per le questioni di tipologia testuale, Mortara Garavelli 1988b; per la retorica, che può essere rivisitata dalla prospettiva della semiotica e della linguistica del testo, è fondamentale Mortara Garavelli 1988a. Per una rassegna degli studi italiani si rinvia comunque a Marello 1992 e Ferrari-Manzotti 2002, che evidenziano tra l’altro quanto i metodi della linguistica del testo siano stati e siano proficuamente utilizzati anche nella didattica delle lingue, dando adito a numerose pubblicazioni teorico-pratiche e a manuali di grammatica e di educazione linguistica improntati su quella centralità del testo su cui si concorda ormai da tempo in ambito glottodidattico. Per l’italiano, per esempio, ispirate da un’ottica decisamente testuale sono tante grammatiche scolastiche, tra le quali ci si limita a citare Altieri Biagi 1987 e Corti-Caffi 1989. Ma si vedano anche molti dei contributi pubblicati sui vari volumi della collana “Quaderni del Giscel”, in alcuni dei quali l’attenzione verso la dimensione testuale è evidente fin dal titolo (una mappatura tematica dei contributi presenti in questa collana, per i volumi pubblicati fino al 1998, è contenuta in FerreriGuerriero 1998, cui ci si limita a rinviare). Numerosi i contributi su problematiche testuali apparsi spesso in numerose riviste e in particolare su “Italiano & oltre”, rivista diretta da Raffaele Simone. 67 Riferimenti bibliografici M.L. Altieri Biagi, 1987, La grammatica dal testo. Grammatica italiana e testi per le scuole medie superiori, Milano, A.P.E. Mursia. M. Berretta, 1994, Il parlato italiano contemporaneo, in L. Serianni e P. Trifone (a cura di), Storia della lingua italiana. II. Scritto e parlato, Torino, Einaudi, pp. 239-270. C. Blanche-Benveniste, 1991, Le citazioni nell’orale e nello scritto, in M. Orsolini e C. Pontecorvo (a cura di), La costruzione del testo scritto nei bambini, Firenze, La Nuova Italia, pp. 259273. G. Brown, G. Yule, 1986, Analisi del discorso, Bologna, il Mulino. R. Calò (a cura di), 2003, Scrivere per comunicare, per inventare, per apprendere, Milano, Franco Angeli. Codice di stile, 1993, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato. M. E. Conte, 1988, Condizioni di coerenza. Ricerche di linguistica testuale, Firenze, La Nuova Italia; riedito nel 1999 a cura di B. Mortara Garavelli, Alessandria, Edizioni dell’Orso. M.E. Conte (a cura di), 1977, La linguistica testuale, Milano, Feltrinelli. D. Corno, G. Pozzo (a cura di), 1992, Mente, linguaggio, apprendimento, Firenze, La Nuova Italia. M. Corti, C. Caffi, 1989, Per filo e per segno. Grammatica italiana per il biennio, Milano, Bompiani. R.A. de Beaugrand, U. Dressler, 1981, Introduzione alla linguistica testuale, Bologna, il Mulino. T. De Mauro e M. Vedovelli (a cura di), 1999, Dante, il gendarme e la bolletta, Roma-Bari, Laterza. W.U. Dressler, 1974, Introduzione alla linguistica del testo, Roma, Officina edizioni. A. Ferrari, E. Manzotti, 2002, Linguistica del testo, in C. Lavinio (a cura di), La linguistica italiana alle soglie del 2000 (1987-1997 e oltre), Roma, Bulzoni, pp. 413-451. S. Ferreri (a cura di), 2002, Non uno di meno. Strategie didattiche per leggere e comprendere, Firenze, La Nuova Italia. S. Ferreri, A.R. Guerriero (a cura di), 1998, Educazione linguistica vent’anni dopo e oltre, Firenze, La Nuova Italia. J. A. Fishman, 1975, La sociologia del linguaggio, Roma, Officina edizioni. A. Fioritto (a cura di), 1997, Manuale di stile, Dipartimento della Funzione pubblica, il Mulino, Bologna. M.A.K. Halliday, 1992, Lingua parlata e lingua scritta, Firenze, La Nuova Italia. C. 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Holtus, M. Metzeltin, C. Schmitt (a cura di), Lexikon der Romanistischen Linguistik, vol.Iv, Tübingen, Niemeyer. 68 B. Mortara Garavelli, 1991, Strutture testuali e retoriche, in A.A. Sobrero (a cura di), Introduzione all’italiano contemporaneo. I. Le strutture, Roma-Bari, Laterza, pp. 371-402. B. Mortara Garavelli, 1995, Il discorso riportato, in L. Renzi, G. Salvi, A. Cardinaletti, a cura di, Grande grammatica italiana di consultazione, Bologna, il Mulino, pp. 427-468 B. Mortara Garavelli, 2001, Le parole della giustizia, Torino, Einaudi. B. Mortara Garavelli, 2002, Prontuario di punteggiatura, Roma-Bari, Laterza. E. Piemontese, 1996, Capire e farsi capire, Napoli, Tecnodid. F. Sabatini, 1999, “Rigidità-esplicitezza” vs. “elasticità-implicitezza”: possibili parametri massimi per una tipologia dei testi, in G. Skytte, F. Sabatini (a cura di), Linguistica testuale comparativa, Copenaghen, Museum Tusculanum Press. R. Schank, 1992, Il lettore che capisce, Firenze, La Nuova Italia. R. Simone, 1990, Fondamenti di linguistica, Roma-Bari, Laterza. H. Weinrich, 1978, Tempus. Le funzioni dei tempi nei testi, Bologna, il Mulino. E. Werlich, 1976, A Text Grammar of English, Heidelberg, Quelle & Meyer. 69 TESTI NARRATIVI DESTINATARI E SCOPO di intrattenimento informativo educativo-morale ………….. MODELLO NARRATIVO E GENERE fiaba novella romanzo articolo di cronaca parabola ……….. I N V E SITUAZIONE INIZIALE FABULA AVVENIMENTO SCIOGLIMENTO N motivi legati in ordine logico-cronologico T Reperimento di eventuali motivi liberi I MOTIVI organizzati intorno a personaggi (chi?, who?) luoghi (dove?, where?) tempo (quando, when?) cosa e come (what?) perché (why?) INTRECCIO = ORDINE nella disposizione dei motivi della fabula PUNTO DI VISTA (chi vede?) DISCORSO VOCE (chi parla?) O D I S lineare (ordo naturalis) P O non lineare (ordo artificialis) S I T I O fisso variabile E L O nella _rgomen ….. a chi ? scelte linguistiche e stilistiche C nella mimesi …. A chi ? conseguenti (aderenti allo status U dei personaggi, ecc.) T I O Torna al paragrafo 3.4.3 70 TESTI DESCRITTIVI FUNZIONE o FINALITA’ informativa _rgomentativi decorativa-esibitiva simbolica …………. I N V E N T I O reale DELIMITAZIONE DEL “CAMPO”: oggetto fittivo SELEZIONE dei DETTAGLI e delle PROPRIETA’ intrinseche non intrinseche comparative transitive lineare ordine nella disposizione di dettagli e proprietà D I S P O S I T I O non lineare PROSPETTICA angolazione percettiva (o posizione del descrittore) MODALITA’ di PRESENTAZIONE fissa mobile d. “oggettiva”………….. lingua “comune” d. tecnico-scientifica …. Lingua speciale (prevalenza di denotazione) “oggettiva” soggettiva d. soggettiva ……… lingua comune (ricerca di connotazione) e/o letteraria E L O C U T I O Torna al paragrafo 3.4.4 71 TESTI ARGOMENTATIVI TESI da sostenere o da dimostrare I N Definizione del DESTINATARIO e delle OPINIONI CONDIVISE (che si possono presupporre) V E a favore N ARGOMENTI T contrari ( Confutazione) I O dai principali ai secondari DISPOSIZIONE DEGLI ARGOMENTI dai secondari ai principali (climax) D misto I S P ORDINE O all’inizio S COLLOCAZIONE DELLA TESI alla fine I nel testo al centro T ……… I O logici e di causa- effetto (es.: dato che, se…allora, per effetto di, dunque, poiché, quindi) CENTRALITA’ DEI CONNETTIVI avversativi e concessivi (es.: ma, eppure, tuttavia, anzi, o meglio, bensì, benché, anche se) E conclusivi (es.: insomma, infine, per concludere) L O C Soggettiva ………..lingua comune e/o settoriale, U uso abbondante di figure retoriche, prevalenza della 1° persona T MODALITA’ DI PRESENTAZIONE I “oggettiva”………..lingua speciale, stile neutrale, (a. scientifica) prevalenza della 3° persona, eventuali citazioni, bibliografia O Torna al paragrafo 3.4.5 72 TESTI ESPOSITIVI I di un Argomento N Memorizzazione/evidenziazione (o Tema di discorso) V delle informazioni principali ---- Esposizione sintetica E N T Destinatario e individuazione della sua ENCICLOPEDIA e I delle sue CONOSCENZE PREGRESSE sull’argomento O Spiegazione/illustrazione ------------------ Esposizione analitica SCOPO Delimitazione dell’argomento da trattare Selezione delle informazioni nella disposizione delle INFORMAZIONI ORDINE ed eventuale suddivisione accurata in vari BLOCCHI INFORMATIVI con SEGNALAZIONI METATESTUALI delle partizioni del testo MODALITA’ ENUNCIATIVA: prevalentemente “oggettiva” D I S P O S I T I O lingua comune (ricorrendo il meno possibile a parole di bassa frequenza d’uso, a tecnicismi, ecc.) E L O lingua speciale (ma con terminologia diluita entro C RIFORMULAZIONI e PARAFRASI, U per lo più segnalate da indicatori come T cioè, o meglio, più precisamente, con I numerosi ESEMPI e DEFINIZIONI) O Torna al paragrafo 3.4.6 73