Lineamenti di linguistica del testo. Testo e testi

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Lineamenti di linguistica del testo. Testo e testi
Modulo 3
Lineamenti di linguistica del testo
Testo e testi
di Cristina Lavinio
Università di Cagliari
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Indice:
3.0 Guida al modulo
3.0.1 Obiettivi
3.0.2 Struttura tematica
3.0.3 Modalità di fruizione on line
3.1 Testo e contesto
3.1.1 Oltre la frase: la nascita della linguistica del testo.
3.1.2 Il testo come unità di comunicazione
3.1.3 Il testo e il contesto: coerenza pragmatica e situazionalità
3.1.3.1 Classi di situazioni e contesto culturale
3.1.4 Spie linguistiche del contesto. La deissi
3.2 Come è fatto un testo
3.2.1. La coerenza logico-semantica e i fili del testo
3.2.1.1 La coesione e i coesivi
3.2.1.2 I connettivi
3.2.1.3 La progressione tematica
3.2.2 Altri principi costitutivi della testualità
3.2.2.1 Intenzionalità
3.2.2.2 Accettabilità
3.2.2.3 Informatività
3.2.2.4 Intertestualità
3.3 Tipologie testuali
3.3.1 La varietà dei testi
3.3.2 Le tipologie
3.3.3 Tipologia fondata sull’istanza enunciativa
3.3.4 Tipologia fondata sui vincoli per il destinatario
3.3.5 Tipologia fondata sugli scopi di lettura o di scrittura
3.3.6 Tipologia fondata sul mezzo o canale
3.3.6.1 Testi orali vs. testi scritti
3.3.7 Tipologia fondata sulla funzione comunicativa
3.3.8 Tipologia funzionale-cognitiva
3.4 I tipi testuali distinti su basi funzionali-cognitive
3.4.1 Tipi testuali e generi
3.4.2 Gli schemi testuali tra ricezione e produzione
3.4.3 Testi e generi narrativi
3.4.4 Testi descrittivi
3.4.5 Testi e generi argomentativi
3.4.6 Testi espositivi
3.4.7 Testi regolativi
3.4.8 Testi scenici
3.5 La comprensione dei testi
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3.5.1 La memoria
3.5.2 Due processi complementari: top-down e bottom-up
3.5.3 Schemi cognitivi e inferenze
3.5.3.1 Le inferenze
3.5.3.2 Gli schemi cognitivi
3.5.3.2.1 Tipi di schemi
3.5.4 La leggibilità e comprensibilità dei testi
3.5.4.1 La leggibilità
3.5.4.2 La comprensibilità
3.5.4.2.1 Altri criteri di valutazione della comprensibilità
3.5.5 Lo scriver chiaro
3.6 Avvertenze e suggerimenti didattici
3.6.1 I testi ‘bucati’
3.6.2 Dal parlato allo scritto
3.6.3 Alla scoperta degli schemi testuali
3.6.3.1 Un esempio di lavoro sui testi espositivi
3.6.4 Attività sui testi descrittivi
Nota bibliografica
Riferimenti bibliografici
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3.0 GUIDA AL MODULO
3.0.1 Obiettivi
Questo modulo, destinato in particolare agli insegnanti di italiano, presenta alcune delle
conoscenze di base sulla testualità. Si tratta di un modulo prevalentemente teorico, teso a fornire
maggiori consapevolezze sia sugli aspetti costitutivi della testualità, sia sui criteri che ci permettono
di orientarci di fronte alla grande varietà dei testi. Solo possedendo tali consapevolezze, un
insegnante può guidare e controllare meglio i processi di comprensione e di produzione testuale dei
suoi allievi, favorendo lo sviluppo delle loro abilità linguistiche sia ricettive che produttive.
Tra gli obiettivi di questo modulo, l’intento di far nascere in chi lo usa l’insoddisfazione per la
sua eccessiva sinteticità o schematicità, stimolando così il necessario passaggio a una riflessione più
ampia e sistematica. I contenuti di questo modulo possono essere approfonditi ricorrendo il più
possibile alla bibliografia indicata nella nota bibliografica.
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3.0.2 Struttura tematica
A monte dei temi trattati in questo modulo sta la convinzione che nella scuola e nella didattica
linguistica dovrebbero esserci due centralità: quella degli alunni e quella del testo.
Centralità degli alunni significa partire dai loro bisogni linguistici e comunicativi per costruire su
tali bisogni una didattica attenta alla gradualità, entro percorsi tesi a conseguire gli obiettivi via via
programmati.
Centralità del testo significa che l’insegnamento (e soprattutto quello linguistico) deve essere
fondato sui testi, deve fornire strumenti per capirli e produrli sempre meglio, sviluppando la
competenza comunicativa (capacità di usare una lingua in modo adeguato alle diverse situazioni)
assieme alla competenza linguistica (capacità di capire/costruire frasi rispettando le regole
grammaticali). La competenza testuale, le cui componenti vengono qui presentate, è parte
integrante della competenza comunicativa, ma non può prescindere neanche dalla competenza
linguistica.
Questo modulo si articola in sei parti:
-
Testo e contesto mostra come, a fondare la testualità, sia soprattutto il rapporto che un testo
instaura con il contesto comunicativo e culturale in cui viene prodotto. Molte tracce linguistiche
del contesto sono reperibili entro i testi;
-
Come è fatto un testo illustra i fenomeni interni al testo e il tradursi della sua coerenza logicosemantica in una coesione tra gli elementi linguistici che lo costituiscono. Segue una rapida
rassegna di altri caratteri considerati in genere come costitutivi della testualità, anche se, a ben
vedere, quello veramente irrinunciabile è la coerenza pragmatica ;
-
Tipologie testuali parte dalla constatazione della varietà che, al di là dei caratteri comuni,
caratterizza i testi e presenta alcune delle più importanti tipologie testuali, costruite a partire da
criteri di volta in volta differenti;
-
I tipi testuali distinti su basi funzionali-cognitive si concentra sulla tipologia che distingue i
testi in descrittivi, narrativi, argomentativi, espositivi, regolativi e scenici, distinguendo tra tipi
testuali e generi e presentando gli schemi testuali che sovrintendono all’organizzazione di
ognuno dei vari tipi testuali;
-
La comprensione dei testi illustra il realizzarsi della comprensione nell’interazione tra quanto è
già depositato nella memoria e gli input provenienti dall’esterno, dai testi che si leggono o si
ascoltano. La leggibilità e la comprensibilità dei testi vengono presi in considerazione come
problemi cruciali e centrali, verso i quali occorre diventare quanto mai sensibili;
-
Avvertenze e suggerimenti didattici presenta alcuni esempi di attività che possono essere utili
per sviluppare la competenza testuale degli allievi, cioè per migliorarne la capacità di capire,
manipolare e produrre testi.
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3.0.3 Modalità di fruizione on line
Si consiglia una prima lettura di questo modulo seguendo l’ordine progressivo delle varie parti.
Solo successivamente l’attenzione potrà spostarsi, secondo una logica di navigazione ipertestuale, a
inseguire fili e temi particolari che si senta il bisogno di approfondire e arricchire, utilizzando i
rimandi evidenziati e integrando i contenuti con la lettura di qualcuno dei testi consigliati nella nota
bibliografica o indicati nella bibliografia finale.
I rimandi interni e i link con altri moduli che presentino temi affini o contigui potrebbero essere
più numerosi di quelli qui indicati. Starà ai fruitori del modulo reperirli in modo problematico ed
eventualmente proporli a loro volta.
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3.1 TESTO E CONTESTO
3.1.1 Oltre la frase
La frase è stata a lungo, in linguistica, l’unità d’analisi massima, cioè l’unità più ampia presa in
considerazione nel descrivere l’organizzazione della lingua e la strutturazione delle sue forme.
Ma, negli anni ’60, si è incominciato a capire che alcuni fatti linguistici non possono essere
spiegati restando entro i confini della frase. Piuttosto, trovano la spiegazione del loro
funzionamento entro un contesto verbale più ampio, detto più semplicemente cotesto (in
opposizione implicita rispetto a contesto, o situazione extraverbale in cui un enunciato viene
prodotto). [Si veda il modulo 0].
Tra i fatti linguistici di natura eminentemente transfrastica si possono citare, in particolare:
a) le forme pronominali, che spesso costringono, per essere capite e per recuperare la forma piena
di cui esse sono sostituenti, ad andare oltre la frase, in ciò che la circonda: in frasi precedenti o
successive, insomma.
Prendiamo per esempio, una frase come la seguente (in realtà sarebbe opportuno parlare, per
questo come per gli esempi seguenti, di enunciato):
Accadde che un anno gliene fece solo tre corbe e mezzo
(è una citazione dalla fiaba di I. Calvino, La bambina venduta con le pere, in Fiabe italiane,
Torino, Einaudi, 1956, p. 48).
Non sappiamo, restando dentro questa frase, a chi e a che cosa si riferisca gliene. Solo
leggendo la frase precedente: “Una volta un uomo aveva un pero, che gli faceva quattro corbe di
pere all’anno”, diventa chiaro che, in gliene, gli si riferisce al proprietario del pero e ne si
riferisce alle pere;
b) le forme ellittiche del soggetto. Sappiamo che l’italiano è una lingua detta pro-drop, in cui il
soggetto può non essere espresso. Dunque, è possibile dire:
Arriva domani
ma, per capire di chi si parla (a meno che non sia chiaro dal contesto extralinguistico: in quel
caso l’ellissi è deittica), occorre andare oltre questa espressione, per cercare il riferimento
esplicito in frasi precedenti (o successive) del medesimo testo. Es.: Ho telefonato a Carlo. Arriva
domani oppure Arriva domani. Carlo me lo ho annunciato per fax.
c) gli articoli: la scelta, in particolare, di un articolo determinativo o indeterminativo è guidata per
lo più da ragioni che sono da ricercare oltre la frase. Per esempio, solo dopo aver detto C’era
una volta un Re, si può continuare a parlare di questo Re usando l’articolo determinativo (il re
ecc.) o anche, come si è appena fatto, riferendoglisi con un dimostrativo (questo). In altre
parole, se il nome preceduto dall’articolo designa un oggetto di discorso nuovo, di cui non si è
ancora parlato, l’articolo è indeterminativo, se invece si tratta di qualcosa di già dato, di cui si è
già parlato, l’articolo diventa determinativo;
d) i tempi dei verbi, nel loro variare in successione e, insieme, nel loro richiamarsi a vicenda (cfr.
Weinrich 1978);
e) le citazioni del discorso: i discorsi diretto, indiretto e indiretto libero sono governati da regole
testuali nell’uso dei tempi verbali che li caratterizzano, nell’uso delle forme personali, nei
riferimenti a un contesto che deve essere dichiarato/rappresentato nel cotesto ecc.;
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f) avverbi, congiunzioni ed espressioni che fungono da connettivi, cioè da strumenti di
collegamento tra una frase e l’altra. Ciò è evidente con frasi che iniziano con infatti, perciò ecc.:
non è possibile, tra l’altro, che una frase come Infatti ho freddo compaia da sola o in prima
posizione, in apertura di una serie di enunciati: deve essere preceduta da qualcosa del tipo: La
temperatura deve essersi abbassata o Sono vestito troppo leggero, che insomma giustifichino la
presenza del successivo infatti.
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3.1.2 Il testo come unità di comunicazione
Si è capito presto che la linguistica transfrastica, diventando una linguistica del testo, non era
ancora sufficiente, dato che molte forme linguistiche trovano la propria spiegazione, piuttosto che
nel solo cotesto, nel rapporto tra il testo e il contesto in cui viene prodotto, cioè nella situazione
extralinguistica particolare cui, dal testo stesso, ci si può riferire. Inoltre le forme linguistiche
presenti nel testo sono correlate agli scopi per i quali il testo viene prodotto, alle intenzioni dei
parlanti, agli argomenti trattati ecc. Rispetto a tali dimensioni eminentemente pragmatiche è
possibile giudicare, tra l’altro il grado di adeguatezza o meno dei testi rispetto al contesto, con tutte
le scelte linguistiche e stilistiche regolate dal contesto stesso (si tratta dunque, per esempio, di scelte
lessicali e di lingua, più o meno ‘comune’ o specialistica, di scelte di registro, dal più informale al
più formale ecc.).
Il testo è stato dunque ben presto definito come una unità di comunicazione. Ma la risposta fa
scaturire anche una catena di domande:
-
-
cosa è una unità di comunicazione? E’ sempre possibile stabilirne nettamente i confini, cioè
decidere quando inizia e quando finisce un testo? Certo, nella comunicazione scritta, i singoli
testi sono ben individuati/individuabili, si sa dove iniziano e dove finiscono, ma nel parlato?
nella comunicazione orale, e in particolare nella conversazione, dove c’è un continuo succedersi
di turni di parola di parlanti diversi, si può considerare testo il singolo contributo di ciascuno
alla conversazione? O non è piuttosto questa stessa, nel suo insieme, un testo? e quanto è lungo
questo testo? Come decidere quando la conversazione ha inizio e quando finisce? Quando una
conversazione è interrotta da una pausa di una certa lunghezza? Ma di quale lunghezza? E se poi
i medesimi parlanti, dopo la pausa, riprendono a parlare dei medesimi argomenti, dando
continuità tematica a un discorso comune già avviato? Oppure, se i parlanti si spostano,
uscendo di casa, per esempio, e continuando per strada la medesima conversazione? E cosa
succede, se i due parlanti, magari perché vivono nella stessa casa, parlano in continuazione tra
di loro, magari con pause più o meno lunghe, dopo le quali continuano a parlare dei medesimi
temi? C’è infatti chi ha proposto di individuare l’unitarietà tematica come criterio sulla cui base
individuare un testo: una unitarietà evidenziabile in un titolo che ne isoli il tema principale. I
testi scritti hanno in genere un titolo, i testi orali, comprese le conversazioni, sono titolabili.
Hanno titolo, però, nel parlato, solo certi testi monologici ‘annunciati’ (una conferenza, una
relazione).
Questi problemi, di difficile soluzione, spingono insomma a considerare che la definizione del
testo come unità di comunicazione è più che altro una definizione intuitiva, mentre i confini di ciò
che è considerabile come ‘unità’ sono, nel parlato, piuttosto fluidi e dipendono dai criteri (che
possono essere differenti) usati nell’analisi.
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3.1.3 Il testo e il contesto: coerenza pragmatica e situazionalità
Il testo definito come unità di comunicazione è il prodotto di un’azione comunicativa entro un
contesto dal quale non è possibile prescindere e che è il primo elemento fondante dell’esistenza
stessa della testualità. La relazione tra il testo è il contesto è una relazione di coerenza pragmatica.
La coerenza pragmatica è spesso, specialmente per testi molto brevi, fatti di un solo
enunciato, anche solo nominale, l’unico requisito irrinunciabile della testualità. Il grido Aiuto!
emesso in una situazione di pericolo è già un testo, come lo sono annunci (es.: Oggi frittura; Attenti
al cane ecc.) ecc.: testi dalla fortissima situazionalità, coerenti al massimo rispetto a un contesto da
cui non si può prescindere perché abbiano senso, benché privi di un minimo sviluppo logicosemantico interno, fatti come sono di enunciati, spesso nominali, in cui sono presenti, semmai,
elementi deittici (come oggi del primo esempio).
Il contesto influisce o può influire in modo determinante, oltre che sul tessuto linguistico del
testo, su quanto il testo lascia o può lasciare nell’implicito, recuperabile solo dal contesto stesso e
dalle conoscenze condivise dai parlanti.
La situazionalità è molto più marcata, in genere, nei testi orali che non nei testi scritti. Ciò è
dovuto al fatto ovvio che il parlato si sviluppa in un contesto che, nella comunicazione faccia a
faccia, vede la compresenza degli interlocutori. Il contesto situazionale, con le coordinate spaziali e
temporali che lo caratterizzano (il qui e l’ora in cui il testo viene prodotto), è alla immediata portata
percettiva di emittente e destinatario e non c’è bisogno di dichiararlo/descriverlo. Nella
comunicazione orale a distanza (per esempio al telefono) non è più condiviso il contesto spaziale,
ma permane la condivisione di quello temporale: il presente usato dai parlanti è condiviso, riferibile
al momento in cui la comunicazione avviene (ha anch’esso un valore deittico), la situazione
spaziale in cui ciascun interlocutore si trova può invece essere passibile di descrizione. Ma è questo
già un caso particolare di comunicazione orale.
Come esempio di testi provvisti di marcata situazionalità (o coerenza pragmatica), oltre agli
esempi già fatti (aiuto! ecc.), si può citare una sequenza di enunciati come “Bisturi! Forbici! Lacci
emostatici!”: costituiscono un testo che evoca immediatamente una situazione da sala operatoria.
Oppure, si può fare il seguente esempio (tratto con adattamenti da Levinson 1985): dati due
parlanti, A e B, si può produrre questa sequenza:
A: Suonano
B: Sono in bagno
Sono (o può venire in mente che siano) due parlanti che condividono il medesimo spazio
abitativo e, allo squillare del campanello, A dice Suonano non perché pensi che B non abbia sentito,
ma per invitarlo implicitamente (con un atto linguistico indiretto) ad andare ad aprire; mentre B,
con la sua risposta, esclude altrettanto indirettamente di poterlo fare, invitando di rimbalzo A a
compiere l’azione di aprire la porta.
Insomma, nei testi di massima (e quasi esclusiva) situazionalità il contesto, di cui i parlanti
stessi fanno parte, può far sì che, più che il significato generale e letterale delle parole dette, conti
quello ricavabile dalla situazione in cui vengono dette (è un significato o, ancora meglio, un senso
legato al contesto e alle intenzioni dei parlanti, che non cambierebbe se A dicesse per esempio: Non
senti? E B rispondesse: Non posso).
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3.1.3.1
Classi di situazioni e contesto culturale
A farci considerare come esempi di testi quelli fatti (e potrebbero esserne prodotti molti altri
similari), interviene la nostra conoscenza del mondo (o enciclopedia), che fa sì che, come utenti di
una lingua, possiamo ricostruire o immaginare sempre, a partire da una sequenza di parole, le
situazioni o i contesti in cui plausibilmente possono essere proferite e rispetto ai quali, ricevendone
senso, esse possono risultare dei testi perfettamente coerenti.
I contesti in cui possiamo produrre un numero illimitato di testi (o messaggi), al di là del loro
essere sempre peculiari e differenti, sono raggruppabili in classi di contesti socialmente e
culturalmente organizzati, cioè in domini (o classi di situazioni) che rendono altamente prevedibili,
nei loro caratteri generali, i tipi di comunicazione (e dunque anche di testi) che vi si possono
produrre. Come esempi di domini si possono citare la scuola, la chiesa, l’ambito di lavoro
(professionale o meno qualificato), il quartiere, la famiglia: i domini “mostrano un marcato
parallelismo con le situazioni sociali fondamentali” (Fishman 1975, p. 108). Ma l’alta prevedibilità
dei tipi di comunicazione (e delle scelte di lingua) che vi si operano può essere contraddetta dalle
relazioni di ruolo che sussistono tra i parlanti e dalla loro interpretazione soggettiva di tali relazioni.
Le relazioni di ruolo (sociale) possono essere simmetriche (es.: tra amici e coetanei, tra
colleghi ecc.) o asimmetriche (es.: tra insegnante e alunno, tra medico e paziente, tra capufficio e
impiegato ecc.) e anch’esse determinano scelte linguistiche altamente prevedibili. Spia di relazioni
di ruolo simmetriche sono in genere, in italiano, il tu o il lei reciproco e, più in generale, tutti gli
allocutivi, cioè i modi per rivolgersi al destinatario, ricorrendo a titoli (dott. sig.), titolo e cognome
(sig. Rossi), nomi propri (Filippo), nomignoli (Pippo), ecc.
La coerenza pragmatica dei testi ha a che fare anche con aspetti sociolinguisticamente variati
(domini e relazioni di ruolo). Ciò fa sì che certi generi testuali siano più prevedibili di altri in
determinati contesti e non siano invece appropriati in altri contesti (es.: un’omelia in chiesa e non
certo in casa o tra amici, un dibattito in un’aula universitaria e non in chiesa, un comizio in piazza e
non in ospedale ecc.).
Più in generale, la coerenza pragmatica può dilatarsi a includere l’ineliminabile e intrinseco
rapporto tra i testi e il contesto culturale, storicamente e geograficamente determinato, in cui i testi
vengono prodotti. In genere, vivendo entro una determinata cultura, dalle coordinate spaziotemporali ovvie (es.: l’Italia di oggi), si bada poco alla rilevanza di tale contesto. Ma ci si accorge
della rilevanza del contesto culturale (senza tenerne conto, si rischia di non capire), non appena si
abbia a che fare con testi del passato (prodotti nel medesimo spazio geografico, ma secoli fa) o con
testi, pur contemporanei, ma prodotti entro contesti culturali molto distanti da quello della cultura
occidentale in cui viviamo.
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3.1.4 Spie linguistiche del contesto. La deissi.
La deissi è il procedimento mediante il quale ci si riferisce, entro un testo, a elementi del
contesto situazionale senza nominarli esplicitamente. I deittici sono le forme linguistiche che
veicolano tale rinvio al contesto al cui interno il testo viene prodotto. Può essere deittico l’uso delle
forme personali, specie di prima e di seconda persona, l’uso di avverbi di luogo e di tempo (qui, là,
oggi, domani, ieri ecc.), dei dimostrativi, dei tempi verbali, riferiti a un presente, passato o futuro
rispetto al momento in cui il testo viene prodotto ecc. Possono rientrare dunque nella classe dei
deittici forme appartenenti a varie parti del discorso (aggettivi, verbi, avverbi, pronomi).
Per esempio, consideriamo due persone che si conoscono e si incontrano per strada, nei pressi di
un locale cinematografico. Si scambiano una serie di battute come:
- Ciao! Come stai? Coma mai da queste parti? Sto andando al cinema. Ci vieni?
- No, oggi non ho tempo. Ma vedrò questo film domani.
Analizzando questo breve testo, possiamo dire che sono deittici:
- la seconda persona di stai, vieni e la prima di sto riferite rispettivamente a un tu e a un io la cui
identità non è dichiarata nel testo (non ce n’è bisogno, dato che i due si conoscono); nella
seconda battuta la prima persona di ho e vedrò, riferiti a chi parla ora (che coincide con chi era
designato come un tu nella battuta precedente);
- i tempi verbali: il presente (che si riferisce al momento in cui i due interlocutori parlano) e il
futuro (che è tale rispetto al presente della situazione comunicativa);
- gli avverbi temporali oggi e domani (riferibili alla data precisa del giorno in cui avviene questo
scambio di battute e che però, come sempre quando si parla, non ha bisogno di essere
specificata);
- i dimostrativi che accompagnano due parole generiche, non meglio specificate (queste parti,
questo film) perché alla portata della percezione immediata e/o delle conoscenze condivise dei
due interlocutori.
Si tratta di una deissi particolarmente frequente nei testi parlati (per loro natura più strettamente
legati al contesto condiviso), ed è una deissi esoforica (“che porta fuori dal testo”, legandolo
strettamente al contesto).
La deissi esoforica può essere distinta rispetto alla deissi endoforica, che non manca e che si
realizza quando ci si riferisce, nel testo, a elementi del contesto creato dal testo e nel testo. Per
esempio, è endoforico il riferimento al testo stesso (o a elementi del cotesto) quando diciamo “in
questo capitolo, come detto sopra”. Tale deissi endoforica può finire per confondersi (anche se è
opportuno tenerla distinta) con le riprese coreferenziali realizzate mediante anafore, catafore,
incapsulatori ecc.: mezzi coesivi fondati su relazioni endoforiche, cioè interne al testo e che non
hanno bisogno, per essere colte e capite, di ancoraggi con il contesto esterno.
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3.2
COME E’ FATTO UN TESTO
3.2.1 La coerenza logico-semantica e i fili del testo
In alcuni degli esempi fatti a proposito della deissi c’è già una certa coerenza interna, di natura
logico-semantica, anche se istituita su basi fortemente pragmatiche, che interviene a collegare i
pochi enunciati in successione. In genere i testi sono comunque molto più estesi di quelli di poche
battute sopra esemplificati, e la loro coerenza logica, che ne sorregge i contenuti, si traduce
linguisticamente in coesione, cioè in legami grammaticali e semantici tra le parole e gli enunciati. Si
tratta di accordi grammaticali, di riprese sinonimiche o pronominali dei medesimi oggetti di
discorso, di parentele di significato, ora più ora meno esteso, tra le parole usate, spesso appartenenti
a una medesima famiglia o campo semantico ecc. Sono i fili linguistici del testo, per riprendere la
metafora insita nella stessa parola testo (etimologicamente “tessuto”), che in un testo si rincorrono e
intrecciano legando anche formalmente quanto vi si dice. Inoltre, le varie parti di un testo sono
collegate mediante connettivi, in modo da evidenziare il contributo informativo (maggiore o
minore, più o meno importante) di enunciati, parti di enunciato o blocchi di enunciati, assieme al
tipo di relazioni che li uniscono. Coesione e connessione costituiscono, in altre parole, la trama
interna dei testi, la loro testura.
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3.2.1.1 La coesione e i coesivi
In un testo la coesione si realizza mediante svariati procedimenti e forme grammaticali ed è
possibile riscontrarla su diversi livelli di analisi, compreso quello semantico.
Gli accordi grammaticali, anche intrafrasali, sono ovvi strumenti di coesione. Prendiamo per
esempio questi banalissimi enunciati:
C’erano delle pesche sul tavolo. Le ho mangiate tutte.
C’è coesione nell’accordo tra le forme di plurale, ribadite dalla desinenza verbale, dal partitivo
(delle), dalla desinenza –e di pesche, del participio (mangiate) e del quantificatore (tutte), oltre che
dal pronome atono Le. A parte il caso del verbo (c’erano), indifferente in italiano (ad eccezione che
per i participi) alla marca di genere, negli altri casi viene ribadito contemporaneamente anche
l’accordo al femminile (determinato dal genere femminile del nome cui tutte le altre forme si
riferiscono). Si parla di pesche, di un referente o oggetto di discorso citato esplicitamente, in modo
‘pieno’ (usando cioè una parola piena). Ma altre forme ribadiscono, in modo coreferenziale, il fatto
che ci si riferisca al medesimo oggetto di discorso (le pesche), in una catena anaforica fatta qui di
desinenze e di pronomi (le, tutte), cioè di parole vuote (come gli articoli e i pronomi) o di morfemi
grammaticali (come le desinenze) che hanno tutte il loro punto d’attacco in pesche.
Le anafore sono propriamente tutti gli elementi che, in un testo, si riferiscono a un medesimo
oggetto di discorso posto alla loro sinistra (o nominato esplicitamente prima) nel testo. Nel caso
invece la referenza piena sia collocata a destra, sia recuperabile solo andando avanti nel testo, si
deve parlare più propriamente di catafore. Così, nell’esempio fatto, Le è una chiarissima anafora
pronominale, mentre in
Le ho mangiate le pesche che erano sul tavolo
il Le iniziale è invece una catafora, dato che anticipa il riferimento a quelle che, solo in seguito, si
esplicitano come pesche.
Le forme anaforiche sono spesso dei sostituenti (testuali), come i pronomi, che evitano di
ripetere la medesima espressione linguistica. Ma lo stesso risultato si può ottenere ricorrendo anche
a sostituenti più pieni lessicalmente: a sinonimi (es.: Ieri ho usato l’auto di mio fratello. E’ una
macchina velocissima, dove macchina è sinonimo di auto e ne è anche una anafora, coreferenziale
rispetto all’auto appena nominata) oppure a iperonimi (parole il cui significato include quello di
parole più specifiche. Es.: il cane del mio vicino abbaia sempre, ma è un animale molto simpatico,
dove animale, iperonimo di cane, funge da sostituente anaforico), a incapsulatori (parole o
espressioni che possono ‘incapsulare’ il significato di interi enunciati. Es.: c’è stata una terribile
alluvione con molte vittime. La tragedia non era prevedibile, dove tragedia ribadisce
anaforicamente e ‘incapsula’ quando già detto) ecc.
Anche le ripetizioni della medesima parola o espressione possono far parte delle catene
anaforiche, purché siano coreferenziali (es.: Questo libro mi è piaciuto molto. E’ un libro che parla
della comunicazione, dove la seconda occorrenza di libro è chiaramente anaforica rispetto alla
prima, se si parla dello stesso libro). Anzi, la ripresa anaforica mediante ripetizioni, essendo la più
semplice cognitivamente, la più ‘immediata’, non comportando dispendio di energie mentali per
trovare un modo diverso per dire la stessa la cosa, è un tipo di ripresa anaforica molto frequente nel
parlato (Raffaele Simone ha parlato al riguardo di effetto-copia: cfr. almeno Simone 1990).
La coreferenzialità può realizzarsi persino mediante ellissi (cioè cancellazione di qualunque
formulazione esplicita). Per esempio, in Ho sentito Luigi. Durante le vacanze si è divertito molto,
dobbiamo individuare una ellissi coreferenziale rispetto a Luigi prima di si è divertito.
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I fenomeni individuati sono tra i principali coesivi reperibili in un testo. Intrecciandosi e
richiamandosi a vicenda, ne garantiscono la continuità sul piano grammaticale e semantico,
all’interno di una progressione tematica in cui, anche a distanza, possono essere ripresi i medesimi
oggetti di discorso posti dal testo, lungo ‘fili’ che si intrecciano e intersecano, come si può notare
anche da una successione banale di enunciati come:
Luigi è partito e non si è più fatto sentire. A Carla dispiace molto. Credo che il suo silenzio
ne spieghi il malumore, anche se non è disposta ad ammetterlo.
Dopo il primo enunciato, tutto organizzato intorno a Luigi, si parla di Carla, ma il silenzio è di
Luigi, cui riferire il possessivo anaforico suo, mentre l’anaforico ne è ovviamente riferito a Carla,
ribadita ellitticamente come soggetto di non è disposta, oltre che ribadita dalla desinenza del
participio. Invece nel –lo di ammetterlo troviamo un clitico (di nuovo un’anafora) che si riferisce
però all’insieme di quanto detto in precedenza (la partenza e il silenzio di Luigi spiegano il
malumore di Carla). Questo –lo dimostra tra l’altro il fatto che non sempre i pronomi sono forme
“usate al posto di nomi” (come recita la loro definizione grammaticale tradizionale): non a caso,
nell’ambito della linguistica del testo, si è proposto di sostituire il termine pronome con proforma.
Bisogna però ribadire che la presenza di soli coesivi può essere ingannevole: è necessario
infatti che i coesivi siano la manifesta traduzione nella superficie del testo della sua coerenza
logico-semantica di fondo. Lo si può vedere se si mettono assieme a caso una serie di enunciati
presi da testi diversi. Possono continuare ad esserci apparenti coesivi, ma non si capisce di che cosa
si stia parlando. Es.:
Pezzotta alza il tiro sul governo Berlusconi. A soli due giorni dalla sua approvazione,
l’indultino scontenta molti detenuti. Ma la ripresa del conflitto non la vuole la maggioranza
dei palestinesi. Lo ha ribadito una volta di più il premier nei giorni scorsi e gli ha fatto eco il
Presidente del Senato. Ma la conferenza episcopale cattolica e i teologi gesuiti che lo hanno
visto, negano.
Sono enunciati giustapposti, pescati a caso da articoli diversi di “Repubblica” del 3 agosto 2003. Ci
sono molti apparenti coesivi, ci sono dei connettivi come il ma di apertura di ben due enunciati;
manca però qualunque coerenza logico-semantica (ciò è evidente alla luce della nostra conoscenza
del mondo e dei fatti e personaggi di cui si parla) e siamo di fronte a un non testo (che potrebbe
essere considerato, paradossalmente, testo solo come esempio di non testo).
15
3.2.1.2 I connettivi
I connettivi sono gli elementi che servono a collegare le diverse parti di un testo o di una frase,
evidenziando il rapporto logico-semantico che le lega.
E’ possibile, in generale, distinguere tipi diversi di connettivi a seconda del loro valore o
funzione. Per esempio, possiamo parlare di connettivi:
- logici e di causa-effetto (poiché, dato che, se … allora, quindi, dunque, infatti, ecc.);
- avversativi (ma, però, tuttavia, anzi, bensì, mentre, invece, ecc.) e concessivi (anche se,
seppure, benché, per quanto, ecc.);
- temporali (quindi, poi, dunque, allora, dopo che, ecc.);
- metatestuali (in primo luogo, secondariamente, per seconda cosa, per concludere,
insomma, ecc.).
I connettivi si rivelano spesso centrali in un testo, importantissimi da controllare e insegnare a
capire/controllare. Ogni volta che si lavora a scuola con i connettivi si scopre che gli alunni spesso
li fraintendono, non conoscono il valore di un infatti o di un poiché. Tra l’altro molti connettivi,
possono avere spesso valori diversi pur restando formalmente identici: un allora può avere in certi
casi un valore temporale, in altri un valore consequenziale; un mentre può avere un valore
temporale, ma anche un valore argomentativo-avversativo. Dobbiamo chiederci dunque che cosa
capisca chi, leggendo un testo, scambi un mentre argomentativo per un mentre temporale o
viceversa.
Importanti sono anche i connettivi metatestuali, che segnalano le partizioni e l’andamento del
testo in cui occorrono, rinviando ad esso in modo meta- , appunto (es.: in primo luogo diremo che,
per concludere ecc.). E’ importante badarci per (ri)costruire, con il loro aiuto, l’ordine e la rilevanza
delle informazioni via via fornite.
I testi procedono linearmente affidando a parole e frasi, una dopo l’altra, una serie di
informazioni che non hanno però tutte la medesima rilevanza logico-concettuale. Esistono però dei
modi più o meno espliciti per sottolineare il rilievo di alcune di esse e la secondarietà, se non la
marginalità, di altre. Nel parlato la messa in rilievo delle informazioni viene spesso attuata mediante
la voce o l’enfasi; ma anche l’ordine delle parole e le costruzioni sintattiche contribuiscono a
istituire una certa gerarchia tra le informazioni fornite. Per esempio, in una frase complessa (o
periodo), l’informazione principale è in genere veicolata dalla proposizione principale; incisi o
parentesi aggiungono spesso informazioni di contorno e ‘arricchimento’, che però potrebbero anche
omettersi, ecc. Tutto ciò può diventare esplicito ricorrendo a svariati connettivi che, oltre che
collegarle, evidenziano la funzione delle singole porzioni testuali in cui compaiono o che
introducono. Se ne fa forse un uso superiore in italiano che non in altre lingue. L’inglese, per
esempio, tende a lasciare più nell’implicito le relazioni tra gli enunciati e il valore delle
informazioni fornite.
16
3.2.1.3 La progressione tematica
Il passaggio da una informazione all’altra, o meglio da un tema all’altro, nella sequenza degli
enunciati comporta quella che la linguistica del testo chiama progressione tematica. Ogni
enunciato è divisibile in due parti: il tema (ciò di cui si parla, ciò che risulta messo a fuoco) e il
rema (ciò che viene detto al riguardo). Il tema coincide spesso, ma non sempre, con il soggetto
grammaticale. Per esempio, in Carlo è arrivato ieri, il tema è Carlo (l’oggetto del discorso) a
proposito del quale si dice che è arrivato ieri (rema). Carlo è ovviamente, in questo caso, anche
soggetto grammaticale. Ma in un enunciato come Di Carlo non so niente il tema è Carlo mentre il
soggetto è sottinteso (io). Il tema, ciò di cui si parla, in genere occupa la prima posizione
nell’enunciato; rema è tutto ciò che si dice a proposito dell’argomento così introdotto.
Nella successione degli enunciati in un testo, concatenati gli uni agli altri in una complessiva
coerenza logico-semantica, come si realizza il passaggio dal tema di un enunciato a quello
dell’enunciato successivo? Il tema può restare lo stesso o deve cambiare ogni volta? Bisogna dire
subito che la progressione tematica può essere di tipi svariati.
I principali tipi di progressione tematica sono:
a) con mantenimento del tema in più enunciati successivi (es. Luigi è partito. Andrà prima a
Vienna, poi a Praga. Starà fuori una settimana. Poi, al ritorno, riprenderà a studiare: il
tema è sempre Luigi);
b) con passaggio continuo (lineare) da tema a rema che diventa tema, ecc. (es.: Luigi ha
incontrato Luisa. E’ la ragazza di Giacomo. Lo puoi trovare tutti i giorni al Tennis Club.
Luisa, che sta nel rema del primo enunciato, diventa tema del secondo; Giacomo, nel rema
del secondo, diventa tema nel terzo);
c) con tema dissociato, disarticolato in diverse componenti (che, in molti testi scritti, possono
essere evidenziate graficamente con gli a capo e contrassegnate da lettere, trattini, ecc.,
come del resto in questa stessa enumerazione, che riguarda – e dunque ha come tema – i
principali tipi di progressione tematica).
I vari tipi progressione tematica in genere si avvicendano e compaiono tutti in ogni testo di una
certa estensione. Si possono solo constatare preferenze tendenziali di un tipo di progressione
rispetto all’altra a seconda dei testi.
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3.2.2 Altri principi costitutivi della testualità
Oltre alla coerenza, almeno pragmatica (e dunque alla situazionalità) e, in genere, alla coerenza
logico-semantica e alla coesione, caratterizzano e ‘fondano’ la testualità altri principi generali che
possiamo individuare nella intenzionalità, accettabilità, informatività e intertestualità.
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3.2.2.1
Intenzionalità
Ogni testo, visto come unità di comunicazione, è anche il prodotto di un atto linguistico (o,
meglio, di un macro-atto linguistico, che include e regola i singoli atti linguistici individuabili in
corrispondenza di ciascuno degli enunciati che compongono il testo). In ogni atto linguistico ci
sono un aspetto illocutorio (o illocutivo), un aspetto locutorio (o locutivo) e un aspetto
perlocutorio (o perlocutivo). Contrariamente a quanto una certa terminologia ‘depistante’ può far
pensare (si parla in genere di atti illocutori, locutori e perlocutori), non si tratta di atti distinti, ma di
aspetti o dimensioni concomitanti, inerenti a ogni atto linguistico.
L’aspetto illocutorio è quello legato alle intenzioni del parlante nel compiere l’atto linguistico.
E’ impossibile, anche se gli studiosi ci hanno provato, compilare una lista chiusa di tutte le
intenzioni in base alle quali si produce un atto linguistico (che può rispondere all’intento di
ordinare, suggerire, consigliare, promettere, giurare, informare, pregare, raccomandare,
supplicare ecc.). Al massimo, si riesce a raggruppare questi atti innumerevoli in classi o tipi di atti
[si veda il modulo 8].
In un testo, in cui può essere individuata l’intenzione che sta a monte di ciascuno degli enunciati
che lo compongono, si può avere una successione anche molto estesa di atti differenti; ma è anche
possibile individuare l’atto principale e generale, il macroatto, rispetto al quale i singoli atti sono
subordinati e alla cui realizzazione ciascuno di essi dà il proprio contributo. Per i macroatti che
corrispondono alla produzione di un testo, per esempio, già la retorica classica aveva individuato
almeno i seguenti (e dunque le seguenti ‘intenzioni’): narrare, descrivere, argomentare.
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3.2.2.2
Accettabilità
Se l’intenzionalità riguarda l’emittente, cioè il produttore del testo, la sua accettabilità è
valutabile dalla prospettiva del destinatario. Presentato come uno dei principi che regolano la
testualità da De Beaugrand-Dressler (1981), è in realtà un principio che ha a che fare anche con le
capacità di capire da parte del destinatario (per il quale un testo può rivelarsi comunicativamente
inaccettabile perché troppo al di fuori dalla sua portata) e con il suo giudicare il testo adeguato
rispetto al contesto. Bisogna dire dunque che si tratta di un criterio molto relativo, così come
bisogna aggiungere che ogni parlante, anche di fronte a un messaggio che gli appare poco
comprensibile, incoerente ecc., raramente abbandona la presupposizione di testualità, cioè l’idea
che quello in cui si imbatte sia un testo, per quanto al di fuori della sua portata di comprensione
immediata e, semmai, si pone il problema di reperirne la coerenza su un piano meno evidente, più
nascosto, oggetto di interpretazione più sottile (“che cosa mi avrà voluto dire?” è una domanda che
spesso ci capita di fare quando ci sfugge il senso complessivo di un discorso di cui siamo stati
destinatari: non mettiamo in dubbio che quel discorso abbia avuto senso, e dunque fosse un testo
coerente rispetto a una intenzionalità precisa; siamo noi che non l’abbiamo colto).
Sulla base di questo assunto di coerenza (come lo hanno definito Brown e Yule 1986),
procediamo del resto a ricostruire gli impliciti, a fare inferenze e trovare collegamenti logici tra le
varie parti di un testo, trattandolo appunto come un tutto in cui ogni affermazione ha un senso ed è
comprensibile alla luce delle altre, anche quando ciò che la collega alle altre non è immediatamente
evidente o esplicito.
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3.2.2.3 Informatività
L’informazione, così come è stata definita dalla teoria dell’informazione, è correlata al grado di
prevedibilità o meno del contenuto veicolato da un messaggio. Più esattamente, è inversamente
proporzionale alla sua prevedibilità: per esempio, la risposta a una domanda è tanto più informativa
quanto meno è prevedibile e scontata, quanto maggiore è l’entropia (o ‘dispersione’, in questo caso
di significato) che ne risulta eliminata o ridotta. L’informatività di un testo è dunque maggiore o
minore a seconda del grado di prevedibilità dei suoi contenuti: ha valori molto bassi per testi banali
dai contenuti scontati, valori molto più alti per testi di altro tipo, originali e creativi nei contenuti e
nel modo di trattarli.
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3.2.2.4 Intertestualità
E’ il rapporto che ogni testo instaura con altri testi dello stesso tipo o genere o che trattano i
medesimi argomenti o argomenti analoghi ecc. Può essere fondata su costanti di forma, di contenuto
oppure di forma e contenuto insieme e fa sì che ogni testo concreto non sia mai completamente
‘nuovo’, ma presenti alcuni aspetti che permettono di avvicinarlo, in modo più o meno forte ed
evidente, a molteplici altri testi. C’è una forte intertestualità tra i testi riconducibili a uno stesso
genere, tra il testo di un autore e quelli di altri autori che hanno trattato dei medesimi temi in modo
simile, anche se in testi appartenenti a generi diversi ecc. Tale intertestualità è spesso dichiarata e
consapevole, comporta citazioni (esplicite o nascoste), parodie ecc.; ma, anche se inconsapevole, è
sempre reperibile nei rapporti di parentela, nell’aria di famiglia, che, a partire da un testo, possiamo
sempre individuare tra quel testo e altri testi, simili per uno o più aspetti.
22
3.3 TIPOLOGIE TESTUALI
3.3.1 La varietà dei testi
I testi condividono dunque, in genere, numerose caratteristiche, che ‘fondano’ la loro stessa
testualità, cioè che sono inerenti al loro stesso essere testi. Ma fa parte della competenza testuale,
anche inconsapevole, che ciascun parlante possiede il rendersi conto che esiste una gamma
amplissima di testi differenti per estensione, scopo comunicativo, argomento, stile ecc.: è un testo
un romanzo, una ricetta di cucina, una legge, una fiaba, un comizio, una conversazione, una predica,
un saggio scientifico, un articolo giornalistico, una recensione, e via citando i moltissimi altri generi
possibili, nei quali è possibile far rientrare ogni singolo testo reale.
Sulla base dei caratteri che manifesta, soprattutto se pratichiamo abbondantemente un genere
dato e ci capita di leggere, ascoltare o produrre molti testi simili, riusciamo a riconoscere, per ogni
testo reale, la classe (il genere) cui appartiene. Oppure, in modo ancora più generale, parliamo di
testi narrativi, descrittivi, informativi, letterari ecc., ricorrendo a questo punto a una
tipologizzazione più ampia, dato che ognuno degli attributi che usiamo è adatto in realtà per
qualificare generi svariati: sono di tipo narrativo tanto un romanzo quanto una barzelletta o un
articolo di cronaca (generi); sono informativi (tipo) tanto un articolo di cronaca quanto un notiziario
radiofonico o una recensione (generi); sono letterari (tipo) tanto un racconto quanto un poema epico
o una fiaba ecc.
A questo punto però la competenza del parlante/lettore comune comincia a rivelare qualche
contraddizione interna, dato che, anche solo badando agli esempi appena fatti, un articolo di
cronaca può essere fatto rientrare tanto tra i testi narrativi quanto tra quelli informativi, un romanzo
può essere incluso tanto tra i testi narrativi (a fianco all’articolo di cronaca) quanto tra i testi
letterari (assieme a una poesia lirica o a un poema cavalleresco).
23
3.3.2 Le tipologie
Per dominare, descrivere e dare conto della varietà dei testi reali e, nello stesso tempo, per
raggrupparli in classi coerenti di tipi testuali, gli studiosi di linguistica del testo hanno elaborato
svariate proposte tipologiche. Ne emergono tipologie testuali differenti, perché costruite assumendo
come base per la loro istituzione criteri diversi, ciascuno dei quali è autorizzato dal fatto che i testi
sono costituiti da una costellazione di elementi compositi. Isolando uno di questi criteri, di volta in
volta diverso, e assumendolo come criterio di base per l’istituzione di una tipologia, si ottengono
tipologie differenti.
Ci si limiterà qui a citare alcune di queste tipologie, che non sono certo le uniche individuate e
proposte nell’insieme degli studi di linguistica del testo, ma che sono le più ‘correnti’ e utilizzate
anche in ambito didattico (compaiono in svariate grammatiche e antologie per le scuole), anche se
spesso in modo confuso e senza aver fatto preliminarmente ordine nel quadro teorico di
riferimento.
Un’altra confusione frequente, da segnalare, è quella terminologica. Si ricorre spesso, infatti, alla
dicitura tipo di testo, facendone oscillare l’accezione da un piano più ampio (usandola come
sinonimo di tipo testuale) a uno più circoscritto (come sinonimo di genere). Per non incorrere in
fraintendimenti, in questa sede si eviterà di parlare di tipi di testo, per usare coerentemente, invece,
la distinzione tra tipi testuali e generi.
Dopo una rapida menzione di alcune tipologie testuali, sarà utile prendere in esame in particolare
la tipologia che distingue i testi in orali e scritti, e quella che li distingue in narrativi, descrittivi ecc..
Sono due tipologie facilmente e utilmente integrabili, dato che, una volta istituita l’opposizione
fondamentale relativa al canale (o mezzo), possiamo chiederci quanto e come si differenzino i testi
narrativi orali rispetto a quelli scritti, i testi espositivi orali da quelli scritti (pur restando sempre
testi espositivi) e così via. O, viceversa, una volta stabilito che cosa distingua gli uni dagli altri, su
basi funzionali e cognitive, i tipi testuali narrativi da quelli descrittivi, espositivi, ecc., possiamo
chiederci come e fino a che punto ciascuno di questi tipi si differenzi nel parlato e nello scritto,
inventariando i generi nei quali i diversi tipi si realizzano, per lo meno come tipi dominanti.
24
3.3.3 Tipologia fondata sull’istanza enunciativa
Se si privilegia l’istanza enunciativa (unica o molteplice) che produce i testi, è possibile
distinguere i tipi monologici (con un solo emittente) da quelli “dialogici” o bidirezionali, cioè dai
testi costruiti grazie al contributo di più parlanti che si alternano nei vari turni di parola: ciascuno di
loro dà un proprio contributo alla costruzione di un testo unitario, come accade in qualunque
conversazione. La profonda unitarietà e unicità dei testi conversazionali è del resto dimostrato
dalle coppie adiacenti domande-risposta che spesso vi emergono. La coerenza complessiva, ma
anche la coesione, è constatabile solo considerando insieme quanto dice un secondo parlante in
risposta alla domanda formulata dal primo, mentre nessuno dei due enunciati preso isolatamente è
considerabile testo.
Fondata sull’istanza enunciativa è la tipologia assunta dal LIP (Lessico di frequenza
dell’italiano parlato), che poi, all’interno della ripartizione fondamentale tra testi unidirezionali (o
monologici) e testi bidirezionali, distingue tra questi ultimi quelli con presa di parola libera faccia a
faccia (conversazioni) da quelli non faccia a faccia (conversazioni telefoniche) e da quelli con presa
di parola non libera, ma regolata da tempi a disposizione e turni assegnati (assemblee e dibattiti,
interviste, interrogazioni). Tra i testi unidirezionali vengono invece distinti quelli effettuati in
presenza del destinatario (lezioni, relazioni a congressi, comizi, omelie, conferenze, arringhe
giudiziarie) e quelli realizzati a distanza o in differita (trasmissioni radiofoniche e televisive).
Appare evidente che la tipologia del LIP è utile per differenziare ulteriormente tra loro i testi
parlati; la sua utilità è invece quasi nulla per i testi scritti, data la natura generalmente monologica di
questi ultimi. Tuttavia, si può trovare un qualcosa di analogo alla conversazione in uno scambio
epistolare, considerandolo come un unico (macro)testo composto dalla successione di lettere che
scriventi differenti si indirizzano rispondendosi a vicenda; e si pensi agli scambi di email (di cui è
comodo lasciare traccia in un unico file che può continuamente rimbalzare, girato in risposta, da un
partecipante all’altro) oppure, soprattutto, alle chat.
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3.3.4 Tipologia fondata sui vincoli verso il destinatario
Se si privilegiano i tipi di vincoli posti al destinatario per la loro decodifica/interpretazione e
anche per determinare il comportamento del destinatario nel seguire le ‘istruzioni’ date dal testo, è
possibile disporre i testi lungo una scala che va dai tipi molto vincolanti (leggi, regolamenti) a quelli
mediamente vincolanti fino a quelli niente affatto vincolanti e la cui interpretazione, molto più
libera, è inscritta nella loro stessa espressione linguistica, programmaticamente ambigua e
polisemica al massimo grado, come accade in moltissimi testi letterari. Questa proposta tipologica
è stata avanzata da tempo da Francesco Sabatini (cfr. ora Sabatini 1999).
26
3.3.5 Tipologia fondata sugli scopi di lettura o di scrittura
Se si privilegiano gli scopi di lettura (o di scrittura), con intenti eminentemente didattici e
guardando in particolare ai testi scritti, si possono distinguere i testi in funzionali (o pragmatici,
immediatamente connessi con il “saper fare” qualcosa: far funzionare un oggetto, reperire
un’informazione, scegliere un itinerario ecc.), informativi, di studio, di intrattenimento. E’
l’opzione assunta in un’importante ricerca didattica del Giscel (Ferreri 2000), tesa a proporre un
“Curricolo di alfabetizzazione nella scuola dell’obbligo” e ricca di materiali didattici (riversati sul
CD allegato) facilmente adattabili e riproponibili in percorsi di lettura realizzabili ovunque, in classi
di scuola elementare e media. Intorno a una tipologia analoga, fondata sugli scopi di scrittura, è
organizzato il volume di Calò (2003): si tratta di una tipologia che distingue la scrittura “per
comunicare”, da quella “per imparare” e “per inventare” secondo una convenzionalità meramente
didattica (non ignorando le ampie sovrapposizioni che possono sussistere tra una scrittura per
comunicare ed inventare, tra una scrittura per imparare e per comunicare ecc.) in cui, oltre che la
finalità, assume un peso diverso il destinatario correlato a questi differenti scopi di scrittura, di volta
in volta predominanti ma non esclusivi.
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3.3.6 Tipologia fondata sul mezzo
Se si privilegia il criterio relativo al mezzo o canale (orale, scritto, trasmesso) usato, si istituisce
una tipologia diamesica che distingue i testi in parlati e scritti, con ulteriori distinzioni interne
legate, per il parlato, al grado di spontaneità o di pianificazione nella progettazione del testo, per lo
scritto al fatto che si tratti di uno scritto per essere letto con gli occhi e integralmente, consultato, da
leggere ad alta voce, destinato ad essere recitato ecc.
E’ utile chiedersi preliminarmente che cosa differenzi, in generale, i testi parlati da quelli scritti,
con l’avvertenza che i testi parlati, oggetto di attenzione della linguistica del testo, possono essere
considerati come la parte meramente verbale di una testualità orale più complessa, che ricorre
simultaneamente a più codici: non solo alle parole, ma anche ai gesti, alla mimica ecc.
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3.3.6.1 Testi orali vs. testi scritti
L’aspetto più vistoso della differenza tra testi orali e scritti riguarda il materiale costitutivo del
piano dell’espressione: fonico-acustico nei testi orali, grafico-visivo nei testi scritti.
Nei testi orali, a garantirne la coesione, è fondamentale l’intonazione. I testi orali sono più spesso
bidirezionali che non ‘monologici’. Il parlato (intendendo per parlato la sola componente
linguistico-verbale dei testi orali, supportata dalla voce) è integrato da mimica, gesti ecc.; lo scritto
si serve o si può servire di altre componenti non verbali (i caratteri scelti, i colori usati,
l’impostazione e la scansione della pagina, spaziature ecc.).
I testi orali sono volatili: appena proferiti, a meno che non li si registri, si dissolvono; i testi
scritti permangono e possono essere riletti, consentono di potercisi soffermare ecc. Halliday (1992)
ha giustamente messo in evidenza che, nel parlato, siamo di fronte al processo di produzione del
testo nel suo stesso farsi; nello scritto resta solo il prodotto (il testo che leggiamo) di un processo di
produzione che pure, ovviamente, c’è stato.
I testi orali, tranne che in casi particolari, non hanno titolo, i testi scritti hanno in genere un titolo
che mette in evidenza, in genere, il tema principale di cui trattano.
I testi orali sono più legati al contesto in cui vengono prodotti, sono più ricchi di sottintesi e
allusioni recuperabili solo grazie alle conoscenze condivise dei parlanti; i testi scritti sono meno
immediatamente legati al contesto e sono più espliciti.
I testi orali sono mediamente meno pianificati, cioè più spontanei dei testi scritti.
Le differenti condizioni comunicative spiegano molte delle differenze linguistiche mediamente
reperibili tra testi orali e testi scritti. Nel parlato, per esempio, la ripetizione (di parole, di porzioni
di enunciati, di concetti riformulati con parole diverse ecc.) è normale e spesso necessaria e
comporta una progressione tematica in cui i medesimi temi tornano o possono tornare più volte,
anche a distanza; nello scritto si tende ad evitare le ripetizioni e a dare alla disposizione dei temi
trattati un andamento più ordinato e lineare. La scrittura si serve inoltre di particolari segni diacritici
come, tra l’altro, la punteggiatura, importantissima per scandire i testi rendendoli leggibili e
evidenziandone gli snodi (importantissimi in questo senso sono gli a capo).
Si può comunque articolare meglio e affinare la distinzione tra testi orali e testi scritti in una
tipologia (cfr. Lavinio 1990) che evidenzi, oltre che le differenze, anche le interazioni tra parlato e
scritto (evidenti quando un testo scritto nasce sotto dettatura, quando un testo orale viene prodotto
seguendo una scaletta scritta ecc.).
Questa tipologia dispone i testi parlati lungo una scala che va da un massimo di spontaneità (per
es. le conversazioni) a un minimo di spontaneità (es.: una storia, un aneddoto, una barzelletta: per
certi versi il testo è già pronto, depositato in memoria e si tratta solo di dargli, ogni volta che si
racconta ‘quella’ storia, una veste linguistica, mettendoci le parole).
I testi scritti, a seconda delle modalità di ricezione previste, sono distinguibili in testi
- per essere consultati (es.: elenchi telefonici, dizionari, enciclopedie);
- per essere letti integralmente (es.: saggi, romanzi),
- per essere letti come se non fossero scritti, ma detti (es.: dialoghi entro romanzi e racconti);
- per essere recitati (es.: sceneggiature, testi teatrali).
- per essere detti, cioè letti ad alta voce e dunque ascoltati dai destinatari (es.: comunicati e
annunci trasmessi nelle stazioni, notiziari radiofonici).
Ogni testo scritto può essere oralizzato, cioè letto ad alta voce, ma la voce da sola non basta a
rendere 'parlato’ quel testo, che può presentare tutti i caratteri più marcati (e complessi) della lingua
29
scritta; se invece il testo è stato scritto in modo da prevedere la sua fruizione orale, presenta una
veste linguistica più semplice e breve, più facilmente fruibile nell’ascolto. Inoltre, certi testi sono
fatti per essere letti come se non fossero scritti. Ciò ha a che fare con la mimesi o imitazione del
parlato e facilita il fatto che forme linguistiche tipiche o molto più frequenti nel parlato possano
essere presenti anche nella scrittura.
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3.3.7 Tipologia fondata sulla funzione comunicativa
Se si privilegia la funzione comunicativa pragmaticamente dominante, associata magari alla
matrice cognitiva che consente la loro comprensione e/o organizzazione, si ottiene una tipologia che
distingue i testi in descrittivi, narrativi e argomentativi e può articolarsi in distinzioni ulteriori.
Tutti gli studiosi concordano nell’individuare almeno una tipologia basica che distingue i testi
in narrativi, descrittivi e argomentativi, fondata sulle funzioni comunicative dominanti, che
possono essere intese come corrispondenti a macro-atti linguistici (del narrare, descrivere ecc.). E’
una tipologia minima e universale, valida per tutte le lingue e le culture. E’ possibile sostenere,
infatti, che non c’è cultura in cui non si producano racconti (narrazioni) e in cui non si usi la lingua
per descrivere (descrizioni) o per argomentare, cioè per sostenere la validità di un’affermazione, di
un’opinione, di un punto di vista (argomentazioni).
Descrizione, narrazione, argomentazione e, inoltre, esposizione, sono le tradizionali partizioni
del discorso prosastico individuate dalla retorica classica. C’è qui già un tassello in più, quello della
esposizione.
31
3.3.8 Tipologia funzionale-cognitiva
La tipologia prospettata da Egon Werlich (1976) aggiunge alla tipologia funzionalecomunicativa anche i testi regolativi. La tipologia di Werlich è una tipologia funzionale e cognitiva
insieme, dato che tiene conto, oltre che del focus dominante nei testi (cioè del loro principale centro
di interesse e di organizzazione), della ‘matrice’ o capacità cognitiva correlata, che ne consente sia
la comprensione che la produzione
A questa tipologia, allo scopo di renderla ancora più comprensiva di una serie di testi che
altrimenti ne sarebbero rimasti esclusi (appartenenti soprattutto ai generi teatrali), si può aggiungere
la classe dei testi scenici (cfr. Lavinio 1990 e Lavinio 2000).
Si ottiene così una tipologia a sei posti, di cui fanno parte:
-
il tipo testuale descrittivo. Evidenzia fenomeni (persone, oggetti, stati di cose, relazioni)
considerati in un contesto spaziale. Si associa alla percezione che, elaborata cognitivamente,
permette di cogliere le differenze e interrelazioni di aspetti relativi allo spazio e
all’organizzazione nello spazio di oggetti in genere provvisti di una propria fisicità. Ha un
campo di referenza di natura statico-spaziale;
-
il tipo testuale narrativo. E’ imperniato su azioni (di persone) o su trasformazioni di stati di cose,
su eventi cioè, che possono riguardare (e mutare) anche oggetti, relazioni e concetti visti nel
contesto temporale. E’ associato alla capacità di percepire il tempo e di cogliere le interrelazioni
e differenze relative ai cambiamenti nel tempo e col tempo. Ha dunque un campo di referenza
dinamico-temporale;
-
il tipo testuale scenico. Evidenzia e mette in scena, dentro il testo, soprattutto atti linguistici
propri o altrui svoltisi in contesti differenti da quello in cui il testo viene prodotto. Riporta la
parola (per esempio di personaggi) mediante espedienti che fanno in modo che il ricevente sia di
fronte all’evento comunicativo rappresentato e lo percepisca in un lasso di tempo che tende a
corrispondere a quello della loro durata reale (come capita a teatro, dove lo spettatore impiega,
nel sentire parlare i personaggi, lo stesso tempo che gli attori impiegano nel proferire le loro
parole). Ma ogni citazione dettagliata (soprattutto nella forma del discorso diretto) di parole
altrui dentro le proprie deve essere vista come realizzazione di questo tipo testuale. E’ legato
alla capacità cognitiva (di tipo metalinguistico) di trattare la parola come un oggetto che si può
riprodurre mediante la parola stessa e di rappresentare la durata di eventi comunicativi, discorsi
ecc. in un tempo equivalente a quello da loro occupato, verosimilmente, per svolgersi realmente.
E’ parente stretto del tipo narrativo, da cui non a caso spesso non viene distinto, e condivide con
quello il medesimo campo di referenza dinamico-temporale;
-
il tipo testuale espositivo. E’ orientato verso la scomposizione (nell’analisi) o la composizione
(nella sintesi) degli elementi costitutivi di concetti. E’ consentito dalla capacità cognitiva del
comprendere concetti generali, che vengono disarticolati nell’analisi, o vari concetti particolari
che risultano poi sintetizzati-ricondotti (nella sintesi) ai concetti generali che li includono e di
cui quelli particolari sono parte. Ha un campo di referenza concettuale;
-
il tipo testuale argomentativo. E’ orientato sulle relazioni tra concetti ed è fondato sulla capacità
cognitiva di giudicarli, cioè di valutarne il valore e stabilirne il peso, nella consapevolezze delle
relazioni (di similarità, contrasto, trasformazioni) che li possono legare o che li legano gli uni
agli altri. Ha anch’esso un campo di referenza concettuale;
32
-
il tipo testuale regolativo. E’ orientato a regolare (cioè orientare o determinare) il
comportamento del destinatario (o anche dello stesso produttore del testo) ed è legato alla
capacità di pianificare-prevedere il comportamento, composto anche da una serie di azioni in
successione. Ha pertanto un campo di referenza dinamico-comportamentale.
33
3.4
I tipi testuali distinti su basi funzionali-cognitive
3.4.1 Tipi testuali e generi
Ognuno dei vari tipi testuali può concretizzarsi in generi differenti, utilmente distinguibili in
non letterari (o non fictional) e letterari (o fictional). I primi trattano argomenti, questioni, eventi del
mondo reale, non di mondi di ‘finzione’, cioè non immaginari o inventati, per quanto più o meno
verosimili, come invece accade per i generi letterari. C’è una notevole utilità (ma anche relatività)
di questa distinzione, dal momento che è utile considerare i generi letterari entro una cornice teorica
che suggerisca la continuità (e dunque il possibile approccio a partire da basi comuni) tra usi
linguistici, forme e generi più ‘quotidiani’ e usi linguistici, forme e generi letterari. Usi, forme e
generi non letterari e letterari finiscono per illuminarsi a vicenda nelle reciproche specificità
proprio se considerati insieme e in parallelo, entro un approccio linguistico-testuale unitario e
coerente.
Occorre liberarsi dal pregiudizio che, parlando di generi, si debba intendere solo qualcosa di
codificato dalla tradizione letteraria. E’ genere qualunque configurazione discorsiva tipica,
ricorrente e riconoscibile nella sua configurazione complessiva. Esistono generi sia nel parlato che
nello scritto e ogni testo reale è ascrivibile a un genere (l’intertestualità è fondata anche sui caratteri
che un testo condivide con altri ‘fatti’ nello stesso modo).
I generi, sono, a differenza dei tipi testuali, di un numero molto più elevato e difficilmente
circoscrivibile in una lista chiusa.
I tipi testuali hanno una valenza transculturale, sono reperibili in tutte le lingue e le culture; i
generi hanno invece una natura più storico-culturalmente determinata: variano o possono variare da
una cultura all’altra e, anche nell’ambito della stessa cultura, da un’epoca storica all’altra. Perciò si
può parlare, per i generi, di loro nascita e ‘morte’ (quando non vengono più praticati o prodotti,
come nel caso della tragedia classica). Non così per i tipi testuali. I generi si collocano dunque a un
livello di astrazione inferiore rispetto ai tipi testuali. Costituiscono però, pur sempre, classi
‘astratte’, cui sono riconducibili gli infiniti testi concreti in cui si cala l’attività linguistica dei
parlanti: gli innumerevoli testi concreti, prodotti nel parlato e nello scritto, non sfuggono alla
possibilità di poter essere ascritti a un genere o all’altro, a seconda delle caratteristiche che li
contraddistinguono e che possono riguardare l’organizzazione formale, il modo di trattare
l’argomento, il tipo di contesto in cui vengono prodotti, la varietà linguistica usata e altri parametri
ancora che, nel loro insieme o con la loro presenza o assenza, concorrono a distinguere, in modo più
o meno marcato, un genere dall’altro.
Ai tipi testuali sono però riconducibili anche forme che non raggiungono l’autonomia di un
genere: sono più che altro porzioni testuali ben riconoscibili, ma incorporate entro testi appartenenti
ai generi più vari. Tra queste, per esempio, può essere annoverata la descrizione. E’ una forma
molto ricorrente, disseminata nei testi più diversi, mentre è difficile individuare generi a dominanza
descrittiva (tra questi, le schede di catalogazione, le cartelle cliniche, gli indovinelli).
Comunque, neanche i generi sono rappresentativi di un tipo testuale allo stato puro. Tanto
meno lo sono i testi reali riconducibili a questo o a quel genere. I testi hanno più spesso una natura
mista e vi si alternano sequenze ascrivibili ora all’uno ora all’altro tipo testuale. E’ utile ricorrere al
concetto di dominanza: è solo il tipo testuale di volta in volta dominante a permetterci di dire che
un testo o un genere, considerati complessivamente, sono ora narrativi, ora espositivi, ora
argomentativi ecc. Nei generi narrativi, per esempio, pur restando la dominanza narrativa e dunque
l’attenzione predominante verso eventi idealmente disposti sulla linea del tempo, molto spesso
34
compaiono sequenze descrittive che danno conto dello sfondo spaziale (degli ambienti) in cui le
vicende si sviluppano e, altrettanto spesso, in mondi narrati animati da persone o personaggi che
agiscono e che sono coinvolti negli eventi raccontati, compaiono porzioni sceniche in cui
‘sentiamo’ i personaggi parlare (nel cosiddetto dialogato) come se fossimo a teatro.
35
3.4.2 Gli schemi testuali tra ricezione e produzione
Ogni tipo testuale può essere definito da uno schema in cui siano evidenziati i suoi caratteri più
generali, comuni ai generi e ai testi riconducibili al medesimo tipo dominante. Si tratta di schemi
compositivi che si costruiscono e depositano a poco a poco nella memoria a lungo termine degli
utenti di una lingua, a mano a mano che si entra in contatto con testi che appartengono ai vari tipi
testuali. Sono cioè schemi generalissimi, ciascuno dei quali è valido per tutti i generi e le forme
appartenenti a un determinato tipo testuale, mentre per i singoli generi o forme si hanno schemi
compositivi ancora più articolati. Solo chi ‘frequenta’ un dato genere, cioè solo chi entra in contatto
spesso con testi appartenenti a quel genere, riesce a riconoscerlo, con le sue caratteristiche comuni,
non appena gli capiti di leggere un testo ascrivibile a quel medesimo genere. Solo il lettore di
romanzi gialli, per esempio, riesce a costruirsi un prototipo mentale di ‘giallo’, in cui la vicenda
prende le mosse da un delitto e la narrazione tende a far scoprire a poco a poco, magari
accompagnando e seguendo l’operato di un investigatore, l’autore del delitto con i suoi moventi.
In altre parole, la frequentazione di testi di un certo tipo, fa sì che si depositino nella nostra
memoria le superstrutture, di carattere eminentemente formale e retorico, che li caratterizzano;
questa idea dell’architettura complessiva di un tipo testuale facilita la comprensione dei testi che ne
sono manifestazione concreta e, nello stesso tempo, facilita e guida la produzione di testi del
medesimo tipo.
Si può tentare di rappresentare, per ogni tipo testuale, la sua architettura costruendo degli
schemi grafici impostati in modo analogo e riconducendone le caratteristiche alle fasi della inventio,
dispositio ed elocutio: tre momenti fondamentali che la retorica classica inviduava come presenti
nella genesi compositiva dei testi. Ma occorre anche sottolineare che nella parte alta degli schemi è
opportuno inserire sempre scopi e destinatari, che regolano la selezione precisa di tutte le altre
componenti (qui ci si soffermerà in particolare sugli schemi dei tipi narrativo, descrittivo,
argomentativo ed espositivo).
Dato un macro-tema (o oggetto di discorso) di cui parlare nel testo, l’inventio è la fase della
‘raccolta delle idee’, della scelta di quali cose dire al riguardo. E’ una scelta che in genere viene
fatta, soprattutto nell’ambito della scrittura, preliminarmente, anche se è vero che poi altre idee
possono venire (ed essere aggiunte), cammin facendo, nella fase di produzione testuale vera e
propria.
Una volta deciso cosa dire, subentra la dispositio, la decisione relativa all’ordine con cui
immettere nel testo le singole cose da dire, quali mettere prima e quali, e in quale sequenza, dopo.
Anche questa decisione non comporta ancora la elaborazione materiale del testo, cioè la sua
formulazione in parole ed enunciati concreti.
La scelta delle parole (comuni o meno, di quale varietà di lingua, di quale registro), delle
strutture frasali in cui calarle, dello stile ecc. si realizza nell’elocutio, nel momento stesso in cui si
parla o scrive.
Si può ricordare, a margine, che la retorica classica, arte del discorso orale, considerava anche
l’actio, cioè la realizzazione del discorso giocata anche utilizzando le risorse della voce e della
concomitante gestualità, alla ricerca di un’esecuzione consapevole dell’efficacia comunicativa
conseguibile mediante questi strumenti. Così come ricordava l’importanza della memoria, in cui
sono già depositati molti dei loci (argomenti e luoghi comuni) da utilizzare, quasi come pezzi
discorsivi già pronti, nella costruzione del discorso.
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Leggendo gli schemi grafici dall’alto verso il basso si ha dunque un’idea della successione di
operazioni che comunemente si fanno nella elaborazione dei testi. Se invece si pensa alla loro
semplice ricezione, i medesimi schemi sono da leggersi procedendo dal basso verso l’alto: chi
ascolta o legge, infatti, si trova di fronte a scelte linguistiche concrete (piano dell’elocutio), a
informazioni disposte nell’ordine che il produttore del testo ha dato loro (dispositio), da cui, per dire
di aver capito il testo, occorre risalire al piano dell’inventio, ricostruendo la logica interna che ha
guidato l’estensore nel raccogliere le informazioni selezionate e gli scopi o intenzioni da cui era
mosso nella elaborazione del testo.
Perciò l’interiorizzazione di tali schemi, la loro presenza nella memoria a lungo termine, è utile
sia per la produzione che per la ricezione.
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3.4.3 Testi e generi narrativi
I generi narrativi sono molto numerosi e possono essere prodotti con finalità (non
necessariamente in rapporto di reciproca esclusione) di intrattenimento, informative (si pensi agli
articoli di cronaca), educative (es.: favole con la ‘morale’).
I testi narrativi sono fondati e determinati dalla temporalità, dispongono fatti ed eventi lungo
l’asse temporale. Sono centrati su uno o più avvenimenti, che prendono rilievo rispetto a una
situazione iniziale (o di sfondo) e che si sviluppano fino allo scioglimento del racconto.
Lo schema del tipo testuale narrativo, procedendo da sinistra a destra, si articola in varie
opzioni. Nella fase dell’inventio, oltre ai destinatari e agli scopi per cui si produce il racconto, si
deve scegliere il modello narrativo e il genere entro cui calare un dato contenuto narrativo,
articolato in motivi legati (essenziali allo sviluppo delle tappe fondamentali del racconto) e liberi
(particolari che potrebbero essere omessi senza incidere sulla logica complessiva del racconto
stesso).
I motivi organizzati in un testo narrativo possono riguardare ciascuna delle cinque W che,
raccomandate dai giornalisti come promemoria degli elementi indispensabili per un articolo di
cronaca, sono estensibili ai contenuti di qualunque tipo di racconto, in cui si tratta di individuare:
- il (o i) dove (where), i luoghi in cui ambientare la vicenda;
- il quando (when), il tempo – reale o simulato – in cui la vicenda si svolge;
- il (o i ) chi (who), le persone (nella narrativa riferita al mondo reale) o i personaggi (nella
narrativa letteraria) di cui narrare;
- il che cosa (what) accade;
- il perché (why) avviene qualcosa (non necessariamente il perché è esplicito nei testi narrativi,
ma può essere inferito e ricostruito per interpretazione).
Ciascuna delle suddette componenti (il dove, quando, chi, che cosa e perché) può assumere
configurazioni diverse, può mutare e trasformarsi, nel corso del racconto, i cui motivi (intesi come
elementi o informazioni di base forniti dal racconto) possono essere disposti in un ordine che non
necessariamente segue l’asse del tempo: in un racconto si può raccontare prima un fatto avvenuto
dopo e dunque collocabile in modo differente sull’asse che lega temporalmente (in un prima e un
poi) e logicamente (secondo rapporti per esempio, di causa-effetto) i fatti narrati. Questo asse
logico-temporale è quello che i formalisti russi chiamavano fabula, distinguendolo dall’intreccio
(costituito invece dalla effettiva disposizione testuale dei motivi). In un testo narrativo, in altre
parole, si può raccontare “per filo e per segno”, seguendo nella dispositio un più semplice ordo
naturalis, in cui viene narrato prima quanto succede prima e viene rispettato l’ordine di svolgimento
degli eventi, oppure si può seguire un ordo artificialis, in cui la sequenza testuale non corrisponde
alla sequenza logico-temporale (es.. i flashback).
I testi narrativi più semplici da capire sono quelli provvisti di ordo naturalis (non a caso lo
rispettano in genere i testi narrativi orali, le fiabe, i racconti per bambini). Ma la possibilità di
‘giocare’ col tempo, come avviene nei testi il cui ordo è artificialis, comporta la necessità di
procedere a un uso mosso, variato e coerente dei tempi verbali quando, scegliendo la forma
linguistica da conferire al racconto, si passa al piano dell’elocutio.
Nei racconti orali, comunque, pur nell’alternanza con tempi di sfondo come, tipicamente,
l’imperfetto, i tempi del passato sono molto spesso sostituiti da un presente indicativo ‘scenico’ che
serve ad attualizzare il racconto, a renderlo più vivido e immediato, a dare l’impressione che i fatti
narrati si svolgano sotto gli occhi di chi ascolta. Questo presente compare (ma ciò può succedere
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anche nei testi narrativi scritti) soprattutto quando viene introdotta o intercalata la parola diretta dei
personaggi (il dialogato).
Sul piano dell’elocutio si collocano poi, ovviamente, anche tutte le altre scelte linguistiche
concrete. Si può, per esempio, decidere di adottare una lingua (e uno stile) aderente al mondo
narrato, al punto di vista e alla voce dei personaggi, ecc.
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3.4.4 Testi descrittivi
Il tipo testuale descrittivo si concretizza più spesso in una forma che non in un genere a
dominanza descrittiva.
La forma descrizione può comparire, come sequenza ben riconoscibile, nei testi e generi più vari
e per assolvere agli scopi più diversi:
-
-
-
uno scopo informativo caratterizza molte descrizioni, tra cui quelle scientifiche;
uno scopo regolativo accompagna le descrizioni che compaiono nelle istruzioni per l’uso e il
funzionamento degli oggetti più vari;
uno scopo argomentativo emerge da quelle dei dépliant turistici atti a convincere che valga la
pena di visitare un luogo, per esempio per le sue bellezze naturali e storico-artistiche (chiese,
monumenti ecc., accuratamente descritti);
uno scopo decorativo, di abbellimento del testo è quello raccomandato dalla retorica classica
per le descrizioni letterarie, dove la descrizione era concepita come ekfrasis (lett.: “fuori dal
discorso”). La moderna semiotica letteraria, che concepisce un testo come un tutto unitario di
parti fortemente interrelate, sottolinea e scopre le funzioni più riposte, comprese quelle
simboliche, delle descrizioni letterarie, anche di quelle che possano apparire più superflue e che
il lettore ingenuo o inesperto (di romanzi, racconti, ecc.) possa essere tentato di saltare a pie’
pari;
uno scopo simbolico è evidente in descrizioni in cui paesaggi, ambienti, ecc. tendono a
‘rassomigliare’ un po’ ai personaggi, al loro carattere, umori, ecc.
Stabilito lo scopo della descrizione, il descrittore deve decidere che cosa descrivere: se un oggetto
reale oppure fittivo (cioè immaginario o fantastico); e se un oggetto particolare, colto nella sua
individualità, oppure se generico, considerato semplicemente come rappresentante di una classe, e
dunque da descrivere negli elementi che caratterizzano tutti gli oggetti della medesima classe.
Per esempio, la descrizione di un cane riguarda un oggetto che è reale, quella di una chimera o
di un unicorno è relativa a un oggetto immaginario. Se poi il cane viene descritto come provvisto di
caratteristiche che valgono per tutti i cani (abbaiare, avere quattro zampe, essere domestico ecc.)
l’oggetto della descrizione, pur reale, è generico; ma se qualcuno descrive il proprio cane la
descrizione riguarderà un oggetto particolare, di cui, tra l’altro, non avrà molto senso evidenziare i
dettagli validi per tutti gli oggetti della medesima classe: si dirà piuttosto che quel cane è affettuoso,
ha il pelo di un certo colore, ha determinate abitudini, si potrà dire in che cosa differisce dal cane
che magari si possedeva prima ecc.
Insomma, una volta ‘ritagliato’ e isolato l’oggetto da descrivere, si tratta di decidere quali
particolari (o dettagli) nominare e che tipo di proprietà (intrinseche, come nel caso dell’abbaiare,
valido per tutti cani; o non intrinseche, sotto forma comparativa o meno, valide solo per dei cani
particolari). Quando poi si dice anche quale effetto producono tali caratteristiche (che, per esempio,
commuovono, suscitano affetto o timore, ecc.) le proprietà sono da considerarsi transitive.
Si tratta poi di decidere in quale successione disporre nel testo i dettagli (con le relative
proprietà) selezionati. Tutto ciò crea immediatamente una prospettica. L’oggetto descritto risulterà
come disegnato a poco a poco dall’ordine (dispositio) con cui ne saranno disposti i dettagli; si avrà
una certa linearità quando tali dettagli seguiranno, nella loro disposizione, un criterio ben
individuabile, corrispondente alla configurazione stessa dell’oggetto, seguendone la forma fisica e
procedendo, per esempio, dall’alto in basso o da destra a sinistra ecc. Se i dettagli saranno invece
disposti in modo casuale, si avrà una descrizione non lineare, più difficile da cogliere nei suoi criteri
organizzativi. L’ordine stesso con cui procede la descrizione è spia, in qualche modo, della
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posizione del descrittore rispetto all’oggetto descritto: la sua angolazione percettiva può essere
fissa (e la descrizione rivelerà, dell’oggetto, particolari ‘visibili’ solo da una posizione determinata,
frontale, laterale ecc.: si produrrà una descrizione monoprospettica) o mobile (come se il descrittore
girasse intorno all’oggetto o questo ruotasse davanti a lui: in questo caso la descrizione sarà
multiprospettica, come è tipico delle descrizioni dette “a tutto tondo”).
Sul piano della modalità enunciativa della descrizione, si potrà avere una descrizione
“oggettiva” in una lingua comune o in un linguaggio tecnico-scientifico (come è tipico delle
descrizioni scientifiche) oppure una descrizione soggettiva che ricorrerà alla lingua comune o
letteraria e che, a differenza della prima, privilegerà la ricerca di effetti connotativi rispetto alla
mera denotazione.
Questi, molto in sintesi, sono i criteri organizzativi e le opzioni possibili per qualunque
descrizione. Se non si riesce a coglierli, si rischia di sottovalutare la rilevanza di molte delle
informazioni veicolate da una descrizione, e dunque di non capire. Invece, chi ha già cognizione
dello schema tipico delle descrizioni, riesce a sistemare via via le informazioni ricavate dal testo
entro tale canovaccio mnemonico, utile per sorreggerne il ricordo e, nello stesso tempo, per
produrre, quando necessario, descrizioni del medesimo tipo.
Non a caso, in molti ambiti, scientifici e non, si è proceduto alla standardizzazione di
descrizioni relative alla medesima classe di oggetti. Si tratta spesso di schede da riempire, in cui i
dettagli da specificare sono già predisposti, in un ordine ugualmente prestabilito.
Ciò avviene, per esempio, per le carte d’identità, dove i dettagli previsti sono luogo e data di
nascita, residenza, attività lavorativa, statura, colore dei capelli e degli occhi, eventuali altri segni
particolari; oppure per le cartelle cliniche, i cui dettagli pertinenti – riferibili alla medesima persona,
e dunque al medesimo ‘oggetto’ – sono ben differenti, dato lo scopo diverso della descrizione; e
dove, nella sezione destinata all’anamnesi, possono comparire sequenze narrative (un caso di tipo
testuale narrativo incorporato in un testo a dominanza descrittiva) relative alla storia delle malattie
avute dal paziente.
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3.4.5. Testi e generi argomentativi
Sono a dominanza argomentativa tutti i testi o i segmenti testuali organizzati intorno a una tesi da
sostenere, della cui bontà si vuole persuadere il destinatario, oppure – come accade nei testi
scientifici – la cui validità si vuole dimostrare. Tra i generi e le forme argomentativi rientrano saggi
scientifici, recensioni critiche, discussioni e interventi in dibattiti, arringhe giudiziarie ecc.
Nella retorica classica l’argomentazione era il luogo privilegiato della persuasione, concerneva
la produzione di testi atti a convincere un uditorio. Ma l’argomentazione può essere dilatata a
includere tutte le dimostrazioni scientifiche, in cui non si tratta più di persuadere, bensì di
dimostrare, dati alla mano o facendo leva sulla cogenza di un ragionamento condotto con estremo
rigore logico.
Lo scopo per il quale il testo argomentativo viene prodotto va tenuto presente primariamente e
mai perso di vista. E’ collocato in alto, in prima posizione, nello schema, assieme al destinatario, le
cui “opinioni condivise”, i cui saperi o le cui credenze devono anch’essi tenuti presenti
prioritariamente: chi argomenta prende le mosse da questa base comune (non necessariamente
dichiarata), facendo leva su di essa.
La tesi da sostenere, che deve essere ben chiara nella consapevolezza di chi produce il testo, può
trovare una collocazione in una qualunque delle sue parti. Talvolta, può risultare persino non
enunciata esplicitamente, ma da ricostruire per inferenza. In questi casi, il testo si presenta come di
più difficile comprensione/interpretazione.
La scelta degli argomenti è condizionata anch’essa dalla consapevolezza di quanto può fare
presa sul destinatario. Gli argomenti, infatti, nell’accezione della retorica dell’argomentazione,
sono le pezze d’appoggio che rendono convincente o probante il discorso. Esistono argomenti
contrari o differenti (a supporto di tesi diverse) di cui si può tener conto per confutarli. In certi
generi e testi, possono fungere da argomenti intere sequenze di tipo testuale differente: un testo
narrativo può fungere da supporto, e dunque da argomento, della validità di un principio morale o
religioso da seguire (si pensi agli exempla della predicazione religiosa medievale), una descrizione
(di un fenomeno, di uno stato di cose) può fungere da argomento in una
dimostrazione/argomentazione scientifica ecc.
L’ordine con cui disporre gli argomenti a favore alla tesi o, eventualmente, anche contrari (nelle
cosiddette confutazioni) può essere anch’esso differente: si può andare in ordine decrescente dagli
argomenti principali, di maggior peso, a quelli via via più secondari, oppure in un ordine in
crescendo (climax) che procede da quelli secondari per arrivare, alla fine, ai principali. Se invece gli
argomenti più solidi e convincenti sono posti al principio e alla fine del testo, si ha un ordine che la
retorica classica definiva omerico o nestoriano (perché analogo alla disposizione data da Nestore
alle sue truppe, di cui narra l’Iliade). Oppure, ancora, l’ordine può essere misto, con un’alternanza
di argomenti principali e secondari che può porre molti più problemi alla
comprensione/interpretazione. In questo caso assumeranno un peso ancora maggiore, ai fini della
comprensibilità dell’argomentazione, i connettivi che, nei testi argomentativi, sono soprattutto di
tipo logico e di causa-effetto, avversativi e concessivi (questi ultimi soprattutto nelle confutazioni) e
metatestuali.
Con la scelta dei connettivi si slitta decisamente sul piano dell’elocutio, dove si tratta anche di
usare un tipo di enunciazione che può ricorrere o alla lingua comune (nelle argomentazioni su temi
non specialistici, prodotte per sostenere un’opinione personale) oppure a una lingua speciale. La
scelta della lingua comune si accompagna in genere alla presenza di una modalità soggettiva, in cui
compare spesso la prima persona (chi parla o scrive dice io) e, soprattutto nelle argomentazioni
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letterarie, l’uso abbondante di figure retoriche (metafore, similitudini ecc.); la scelta di una lingua
speciale (e in particolare di un linguaggio scientifico) si accompagna a uno stile neutrale,
“oggettivo” il più possibile, in cui la prima persona dell’emittente non compare, mentre (nei testi
scritti) le citazioni di fonti autorevoli (auctoritates) e la bibliografia consentono all’emittente di
avvalorare il discorso fatto, al destinatario di controllarne meglio, passo passo, la logica interna e,
volendo, di verificarne la validità.
Tutto ciò è importante nell’ambito della saggistica scientifica che deve, per essere tale, esibire i
procedimenti usati per renderli controllabili e iterabili da altri (a questo servono note, citazioni,
riferimenti bibliografici). Nella macrotestualità della saggistica scientifica, dunque, troviamo gli
aspetti appena menzionati, anche se, disciplina per disciplina, la loro organizzazione, sulla base di
questo sfondo comune, può variare notevolmente.
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3.4.6 Testi espositivi
I testi a dominanza espositiva possono essere considerati al crocevia tra argomentazione e
descrizione: spesso non presentano una linea di demarcazione netta, ora rispetto ai testi
argomentativi, ora rispetto a quelli descrittivi. Ciò è dovuto alle ragioni che si è già cercato di
evidenziare.
Sono presieduti dalla capacità di analizzare concetti, scindendoli nelle loro componenti
costitutive e mettendone in evidenza in modo ordinato le relazioni. Oppure, in modo
complementare, sono governati dalla capacità di sintetizzare più concetti, riconducendoli a concetti
più generali e sovraordinati, tenendo presenti gerarchie concettuali e isolando i concetti che
occupano i posti più in alto in tali gerarchie, tralasciando gli altri. E’ una capacità tanto maggiore
quanto più grande è la padronanza (di chi parla o scrive) delle tematiche sviluppate nel testo:
l’emittente le deve conoscere al meglio per poter procedere a organizzare buoni testi espositivi che
ne trattino.
La comprensione sta dunque a monte della produzione dei testi espositivi: riassunti,
riformulazioni e parafrasi di vario tipo, sommari e appunti possono essere considerati testi
espositivi, in cui si esibisce l’avvenuta comprensione dei testi di partenza e degli argomenti
affrontati. Ma, si può aggiungere, la comprensione è anche il loro fine, rappresenta lo scopo ultimo
di testi espositivi rivolti a destinatari che in genere sono in posizione asimmetrica, quanto a saperi e
informazioni relative, rispetto a chi li produce. Manuali scolastici, dizionari e enciclopedie, saggi
divulgativi, lezioni, spiegazioni sono gli esempi più chiari di testi espositivi destinati
all’apprendimento.
Perciò, nello schema dei testi espositivi (valido in particolare per i testi espositivi analitici),
è opportuno inserire, sottolineandone la rilevanza, una particolare attenzione verso il destinatario,
con l'individuazione, preliminare rispetto alla produzione del testo, della sua enciclopedia e delle
sue conoscenze pregresse rispetto al tema da illustrare, comprese le sue conoscenze linguistiche e
terminologiche. Fatte precise ipotesi su questi aspetti, si può decidere da dove partire e che cosa dare per scontato nella trattazione di un certo argomento, cercando la chiarezza, ma nella
consapevolezza che la chiarezza è un concetto relativo: infatti, a seconda delle conoscenze
pregresse su un dato argomento, può risultare molto chiaro quanto per altri che non le possiedano
nella stessa misura può essere invece incomprensibile.
In base dunque ad una analisi/costruzione preliminare di un destinatario mirato, il tema da
sviluppare nell'esposizione va delimitato più o meno ampiamente, decidendo,
contemporaneamente, quali e quante informazioni fornire su di esso. Nei testi espositivi scritti il
tema di cui il testo tratta è peraltro in genere evidenziato già nei titoli. Questi costituiscono poi, per
i lettori, una potente guida per la comprensione e la gerarchizzazione delle informazioni: saranno
considerate più rilevanti quelle riferibili al tema del titolo, mentre – di fronte a testi sprovvisti di
titolo e in cui le informazioni siano relative a vari temi intrecciati – lettori diversi possono costruire
gerarchizzazioni differenziate di informazioni, come mostrano più prove sperimentali al riguardo.
E’ rilevante badare soprattutto all'ordine secondo il quale disporre le informazioni. È un
ordine che, soprattutto nello scritto, comporta una suddivisione accurata dei testi in vari e compatti
blocchi informativi fortemente centrati su un unico sottotema e segnalati anche da partizioni
grafiche, dall'uso di colori e caratteri differenti, da titoletti a margine, ecc. A questi espedienti
ricorre la grafica spesso molto accurata di molti testi scolastici, che correda l'esposizione verbale
con numerose illustrazioni, grafici, tabelle, nell'intento di facilitare la ricezione e di creare una
interazione tra testo verbale e apparato non verbale.
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L’ordine secondo il quale le informazioni sono organizzate deve essere costruito in modo
coerente, secondo criteri ben riconoscibili. E’ opportuno segnalare, anche metatestualmente, le
partizioni del testo mediante connettivi come in primo luogo, in secondo luogo, infine oppure
mediante numerazioni, lettere in sequenza alfabetica, e simili.
Anche nei testi espositivi si può ricorrere sia a una modalità che non nasconde la
soggettività dell'enunciatore, sia a una modalità, più frequente, che tende a presentare le
informazioni in modo oggettivo e neutrale, usando una lingua che può andare da quella più comune
e più semplice sintatticamente e lessicalmente a una lingua speciale di cui, a seconda
dell'argomento, è difficile fare del tutto a meno, ma badando a che la terminologia risulti diluita
entro riformulazioni e parafrasi e curando l'introduzione di sequenze facilitatrici come esempi,
denominazioni e/o definizioni dei termini di volta in volta introdotti.
Rispetto ai testi di tipo argomentativo relativi ai medesimi temi, nei testi espositivi si
realizza, in questo modo, una minore densità informativa: più parole per spiegare/illustrare/ ribadire
le medesime informazioni che, in un testo argomentativo, possono essere affidate a un numero
molto inferiore di items lessicali.
Nei testi espositivi prodotti nel parlato la densità informativa è ancora minore che nei testi
scritti, mentre la progressione tematica vede soprattutto un passaggio continuo da tema a rema che
diventa sua volta tema e che viene ripetuto nella forma lessicale piena, piuttosto che sostituito da
forme anaforiche pronominali. Berretta (1994) fa al riguardo questo esempio, ricavato da una
lezione, dove viene ripetuta la forma lessicale la velocità della luce
in questo caso uno non va più a misurare la velocità della luce: la velocità della
luce è una convenzione umana.
Ma anche nei testi espositivi scritti è frequente una progressione in cui il rema diventa tema
e viene ripetuto (come nell’esempio fatto) oppure ripreso anaforicamente mediante pronomi o altri
sostituenti. Questo tipo di progressione si alterna con quella, altrettanto frequente, che procede con
mantenimento del tema in più enunciati successivi (con l'introduzione, poi, di temi derivati o
dissociati, articolati e scanditi da numerazioni o lettere).
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3.4.7 Testi regolativi
Sono testi regolativi le istruzioni di ogni tipo, le leggi, i regolamenti.
Le istruzioni per l’uso di determinati oggetti, i bugiardini per i medicinali (in particolare la parte
sulla posologia) oppure le regole dei giochi di società sono in genere allegate ai prodotti.
L’organizzazione interna di questi testi mostra un ordine molto vincolante dato che, se le istruzioni
non vengono seguite passo passo, l’oggetto può non funzionare o essere addirittura danneggiato da
procedure erronee di messa in opera. Oppure, per i giochi, non si riesce a giocare.
Non sempre i testi regolativi reali sono di facile accesso, specie quando utilizzano un linguaggio
eccessivamente specialistico, come capita nei bugiardini.
Non sempre la loro oscurità è giustificata (come può accadere invece nel caso di leggi e decreti,
le cui formulazioni tecniche sono spesso funzionali a una maggiore chiarezza di tipo giuridico: cfr.
Mortara Garavelli 2001).
In moltissimi casi la loro oscurità è dovuta a una cronica disattenzione verso il grande pubblico,
che pure di quelle istruzioni e prodotti deve fruire.
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3.4.8 Testi scenici
I testi scenici sono testi scritti per essere recitati, teatralizzati nel parlato e nella rappresentazione
scenica, oppure per essere recepiti come se fossero detti.
Non sempre i testi scritti per essere recitati hanno guardato al parlato reale come proprio modello
(si pensi a molte tragedie del passato, scritte in versi e dunque prive dell’intento di far parlare i
personaggi sulla scena in modo credibile rispetto al parlato reale). Solo nell’800 (in Italia con
Pirandello) si è sviluppato un teatro naturalistico. Sceneggiature cinematografiche, copioni per
soap operas e telenovenovelas ecc. si sono aggiunti in tempi più recenti ai testi scenici.
Ma sono scenici anche tutti i segmenti testuali (di testi orali e scritti) in cui compare il dialogato,
cioè in cui viene ceduta la parola, mediante il discorso diretto, a un locutore diverso dal locutore
primo (il narratore nei testi narrativi) che ‘parla’ e racconta stando in un’altra situazione
comunicativa, in un altro “centro deittico” differente da quello dei suoi personaggi, che si muovono
in uno spazio creato dal testo e differente da quello dell’autore e del narratore. Le coordinate delle
situazioni comunicative in cui i personaggi prendono la parola possono essere presentate più o
meno diffusamente dal locutore primo, in porzioni testuali la cui funzione è simile a quella delle
didascalie dei testi teatrali e tali situazioni diventano il centro deittico dei locutori differenti così
introdotti, che usano le forme personali e i riferimenti spaziali e temporali a partire da tali centri
deittici differenti (cfr. Mortara Garavelli 1995).
Ogni discorso riportato dentro un discorso induce più in generale a fare i conti con questi
fenomeni, in cui si manifesta, forse al massimo grado, la potenza della lingua “che consente, anche
a livelli elementari di prestazione linguistica, di creare complesse ‘polifonie’ dell’enunciato”:
“L’enunciato prodotto da un emittente reale E1 può riportare una illimitata serie di enunciati di un
numero illimitato di altri emittenti […] Nell’enunciazione il parlante può agire come autore, regista
e attore di una sorta di SPETTACOLO COMUNICATIVO, cioè di una messa in scena in cui
compaiono personaggi diversi, a ciascuno dei quali viene accordato uno SPAZIO
COMUNICATIVO definito, segnalato da formule apposite (ad esempio verbi come dire,
affermare, ecc.); il parlante stesso può rappresentare anche se stesso come personaggio, in quanto
può presentare un proprio enunciato precedente o futuro come ENUNCIATO RIPORTATO [es.:
gli ho detto: “…”; gli dirò: “…”] (Simone 1990, pp. 82-83). Cfr. inoltre Blanche Benveniste 1991.
47
3.5 La comprensione dei testi
Per capire un testo non è sufficiente capire il significato di tutte le parole che vi compaiono. Si
possono avere gradi diversi di comprensione e può essere più importante cogliere la logica
complessiva del testo piuttosto che non conoscere tutte le parole usate (il cui significato può essere
in qualche modo afferrato e poi costruito mentalmente dal ricevente grazie al cotesto in cui
compaiono). La validità della comprensione si gioca comunque nel rapporto tra locale e globale,
cioè tra gli aspetti microtestuali e locali delle singole parole ed enunciati di un testo e gli aspetti
macrotestuali della sua architettura complessiva.
48
3.5.1 La memoria
Sede della comprensione è la memoria, che si distingue in memoria di lavoro e memoria a
lungo termine. La memoria di lavoro è stata a lungo detta memoria a breve termine, ma è meglio
utilizzare la dicitura memoria di lavoro per evocarne immediatamente la complessa attività. Durante
il processo di comprensione, la memoria di lavoro analizza e decodifica via via gli input linguistici
percepiti (leggendo o ascoltando), dando loro una rappresentazione semantica. Le informazioni
fornite dal testo, così elaborate, vengono quindi trasferite nella memoria a lungo termine in un
formato che fa astrazione dalla forma linguistica particolare con la quale si presentano nell’input. In
altre parole, la memoria di lavoro analizza e riconosce le forme linguistiche nei loro aspetti
fonologico, grammaticale e semantico, elabora i significati e li trasferisce nella memoria a lungo
termine senza preoccuparsi di mantenerveli associati ai significanti originari.
Ricordare un testo mantenendo nel ricordo le medesime parole con cui è formulato sarebbe
del resto molto difficile, dato che un gran numero di prove sperimentali dimostrano che
normalmente si riescono a ricordare esattamente, immediatamente dopo averle percepite, non più di
sette-nove parole di seguito, nel medesimo ordine e nella medesima identica forma.
Le informazioni ricavate dall’input, oltre che facendo astrazione dalla forma originaria,
vengono sistemate di continuo l’una rispetto alle altre durante il processo di ricezione, cioè vengono
inserite in una rete di relazioni e di connessioni che sono anche gerarchiche.
In ogni testo ci sono informazioni principali e informazioni secondarie, dettagli più o meno
rilevanti: si può dire che la comprensione è tanto meglio realizzata quanto più la ricostruzione di tali
gerarchie è effettuata dal ricevente, nella cui memoria a lungo termine restano in un analogo ordine
gerarchico. Letto un testo, soprattutto se il testo è molto lungo, si constata che non tutte le
informazioni del testo di partenza sono rimaste in memoria, ma è importante che vi permangano
quelle principali, di ordine gerarchico superiore, che occupano i posti (o i nodi) più in alto nella
struttura ad albero che può essere idealmente ricostruita per rappresentare l’organizzazione logicoconcettuale di un testo. E’ esperienza comune sapere che quanto più tempo è passato rispetto al
momento della lettura, tanto più il ricordo ‘sbiadisce’ ma, se ‘a caldo’ si era realizzata una corretta
ricostruzione mentale della rilevanza maggiore o minore delle informazioni ricavatene, è
prevedibile che quelle collocate nei nodi superiori siano le ultime a scomparire: il processo di
erosione dei ricordi comincia dal basso, a meno che non esistano motivi ‘affettivi’ che, per ragioni
del tutto personali, facciano sì che venga mantenuto più a lungo un particolare del tutto irrilevante.
La memoria a lungo termine, in cui vengono depositate le informazioni elaborate, non è però
‘vuota’. Articolata in due grandi settori, la memoria semantica e la memoria episodica, vi sono
depositati da una parte i significati delle parole che già si conoscono (la memoria semantica è una
memoria linguistica), dall’altra le conoscenze di come funzionano e si realizzano fatti ed eventi nel
mondo (memoria episodica, costruitasi sulla base delle mille esperienze quotidiane attraversate da
un individuo a partire dai primi giorni della sua esistenza). L’enciclopedia di ciascun essere umano
è costruita in questo modo ed è passibile di continui arricchimenti e ristrutturazioni sulla base di
esperienze e conoscenze nuove.
49
3.5.2 Due processi complementari: top-down e bottom-up
L’attivazione dei settori della memoria a lungo termine interviene nel momento stesso in cui la
memoria di lavoro elabora le informazioni: permette il riconoscimento dei significati linguistici e la
comprensione di quanto di ‘nuovo’ si ricava dall’input alla luce delle conoscenze del mondo che si
hanno già.
Si realizzano dunque due processi paralleli e contemporanei, ma di direzione inversa: il
processo bottom-up e il processo top-down. Il primo, dal basso all’alto, elabora l’input (cioè quanto
materialmente si percepisce, per esempio leggendo o ascoltando) e trasferisce il risultato di questa
elaborazione nella memoria a lungo termine; il secondo, dall’alto al basso, cioè dalla mente e dalla
memoria a lungo termine, verso l’input, in maniera tale da potere elaborare quest’ultimo tenendo
conto di quanto già esiste in memoria e confrontandolo con quanto si sa già.
Perché ci sia una comprensione soddisfacente, è però necessario che si realizzi un equilibrio
perfetto tra i due percorsi, il bottom-up e il top-down. Infatti, se l’uno prevale sull’altro, insorgono
inconvenienti e distorsioni della comprensione: se prevale il bottom-up si rimane troppo ‘attaccati’
ai dati ricavati dall’input e non si riesce ad elaborarli. Si ricordano casualmente, per esempio,
particolari irrilevanti senza aver colto il senso generale del tutto e aver ricostruito la gerarchia di
significati del testo letto, non si riesce a compiere generalizzazioni e a vedere le connessioni tra
quanto si è letto e quanto esiste già nella propria memoria a lungo termine e che proviene da fonti
diverse. Se prevale il percorso top-down si rischia di appiattire l’input su quanto si sa già, su quanto
è già nella memoria a lungo termine, e non si colgono, dell’input, gli aspetti nuovi e differenti che
possono arricchire o correggere/ristrutturare quanto già si conosce.
50
3.5.3 Schemi cognitivi e inferenze
Le conoscenze depositate nella memoria a lungo termine sono organizzate in schemi più o
meno complessi, connessi gli uni agli altri entro una rete rispetto alla quale, per tentare di
descriverli, è difficile isolarli e districarli se non a patto di procedere a grossolane semplificazioni.
E’ però utile tenere presente al riguardo la grande mole di studi e di messe a punto elaborate negli
ultimi decenni da un grande numero di studiosi, che sottolineano tra l’altro come la comprensione
derivi dall’attivazione e selezione degli schemi ‘giusti’ – cioè più appropriati per capire un dato
testo o una data esperienza – che sono la base per poter procedere alle inferenze adeguate.
51
3.5.3.1 Le inferenze
Non è forse mai possibile, neanche nei testi più chiari, ‘dire tutto’, cioè esplicitare e segnalare
passo passo quanto serve per collegare logicamente tra loro ciascuna delle informazioni date. Nella
ricezione di un testo, ci si aspetta però sempre che il testo sia coerente – cioè logicamente
organizzato – e non sia una semplice accozzaglia casuale di frasi messe insieme da un computer
‘impazzito’ e di cui sia impossibile dipanare il senso complessivo. Perciò la mente di chi ascolta o
legge un testo è attiva e cooperante durante il processo della sua ricezione e interviene a istituire i
passaggi logici tra un’informazione e l’altra, colmando con questa attività logico-concettuale i
‘buchi’ informativi del testo, che possono essere più o meno ovvii (e cioè facili da recuperarericostruire) e più o meno numerosi.
Le informazioni di collegamento logico non presenti sono ricavate, oltre che dai significati
delle parole usate e dal contesto in cui vengono usate, da quanto è già presente nella enciclopedia
del ricevente, cioè nelle conoscenze immagazzinate nella sua memoria a lungo termine.
Per esempio, se leggiamo che “Gianni era rimasto senza soldi, ma il suo regalo per la mamma
era bellissimo”, siamo portati, con una inferenza, a pensare che Gianni abbia speso tutti i suoi
risparmi per fare un regalo alla mamma, anche se questo non è esplicitato nel testo: siamo noi lettori
a fare questa semplice inferenza di collegamento tra quanto detto esplicitamente, attivando il settore
della nostra enciclopedia dove è contenuta la conoscenza elementare “per fare dei regali in genere si
spendono dei soldi”. E’ poi solo il testo, nel suo prosieguo, a confermarci o meno la correttezza
dell’inferenza fatta. Le inferenze giuste, che poggiano su una conoscenza condivisa, che facciamo
in continuazione senza neanche rendercene conto, non entrano in contraddizione con quanto
leggiamo di seguito; ma se, nell’esempio fatto, leggiamo qualcosa come “Aveva messo da parte per
lei la conchiglia più bella raccolta sulla spiaggia” siamo costretti a correggere l’inferenza iniziale e
a capire che Gianni, pur essendo senza soldi, ha fatto comunque un bel regalo (non acquistato) alla
mamma.
La comprensibilità di un testo viene considerata tanto maggiore quanto più sono semplici e
meno numerose le inferenze da fare.
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3.5.3.2. Gli schemi cognitivi
Gli schemi cognitivi, per quanto numerosissimi e interconnessi, sono meccanismi
economici che ci permettono di elaborare le nostre esperienze con grande risparmio cognitivo.
Nello sviluppo di ogni individuo, essi si creano mano a mano, in base alle mille piccole e ripetute
esperienze quotidiane, ricavandone le costanti rispetto alle particolarità sempre differenti. Grazie al
possesso di tali schemi sappiamo come muoverci nel mondo senza doverlo reimparare ogni volta:
sappiamo che prima di attraversare una strada, anche di una città che non conosciamo e che
visitiamo per la prima volta, ci conviene guardare a sinistra e a destra; che prima di entrare in un
cinema dobbiamo pagare il biglietto; che se ci sediamo a un tavolo di un locale pubblico prima o
poi arriverà qualcuno a chiederci cosa ordiniamo, ecc.
Gli schemi cognitivi, ovviamente, hanno a che fare non solo con le nostre esperienze
individuali, ma anche con la cultura (in senso antropologico) in cui esse si sono realizzate. Il senso
di spaesamento che possiamo provare visitando un paese diverso dal nostro nasce dal fatto che
scopriamo che non sempre i nostri schemi sono validi o funzionano esattamente nello stesso modo:
per fare alcuni esempi, pur restando nella sola più ‘familiare’ Europa, teniamo presente che
guardare prima a sinistra poi a destra per attraversare una strada in paesi in cui si guida a sinistra
può essere pericoloso per la nostra incolumità e dobbiamo riadattare immediatamente lo schema; in
certi paesi non esiste niente di simile ai nostri bar, dove spesso facciamo colazione al mattino con
un caffè e una pasta (si provi a cercare un locale del genere, senza andar lontano, in Germania…).
Sono esempi banali, ma la natura sociale e culturale dei contenuti degli schemi cognitivi
incomincia già a evidenziarvisi.
La natura culturale degli schemi cognitivi spiega tra l’altro perché siano più complessi da
capire i testi prodotti in culture diverse dalla nostra, che dànno per scontate conoscenze e
comportamenti ovvi per la cultura da cui sono scaturiti ma non così ovvi per chi quella cultura non
conosce. Schank (1992, pp. 212-213) riporta per esempio una breve storia esquimese che è
comprensibile solo se si conoscono certe credenze di quel popolo.
La cultura dunque, anche se non ne siamo molto consapevoli, filtra la formazione degli
schemi e ne determina i contenuti; mentre un altro filtro, che fa sì che gli schemi cognitivi non
siano esattamente gli stessi neppure tra gli individui appartenenti alla medesima cultura, è quello
affettivo-emotivo individuale.
E’ possibile distinguere tipi diversi di schemi cognitivi. Gli studi al riguardo, considerati nel
loro insieme, non presentano un quadro uniforme: da una parte alcuni tipi di schemi, pur designati
in modo differente da studiosi diversi, si rivelano in fondo identici (e le loro designazioni diverse
possono essere considerate come sinonimiche); dall’altra parte, il fatto che un tipo di schema sia
designato in modo identico da studiosi differenti non è garanzia che sia inteso/definito nello stesso
modo. Cercando di mettere ordine in questo magma, possiamo vedere di distinguere frames,
schemata, scripts, plans e MOPs, con l’avvertenza che queste distinzioni non sono universalmente
condivise.
53
3.5.3.2.1. Tipi di schemi
I frames sono schemi di rappresentazione mentale di oggetti o ambienti tipici, colti nella
loro staticità. Sono probabilmente i primi a formarsi nel processo di sviluppo e di conoscenza degli
esseri umani. La capacità di percepire gli oggetti nella dimensione spaziale si forma probabilmente
prestissimo nel bambino: è fondata sulle percezioni sensoriali immediate (visive soprattutto) che
vengono elaborate e mandate in memoria, creando a poco a poco rappresentazioni mentali della
configurazione fisica degli oggetti e dello spazio. Tali rappresentazioni, ormai depositate in
memoria, vengono poi attivate ogni volta che, di fronte a oggetti dello stesso tipo, si tratta di riconoscerli sulla base delle esperienze precedenti.; ma i frames sono pronti a complicarsi
immediatamente in schemata, cioè in quelle rappresentazioni mentali, ugualmente statiche, che
includono anche le interrelazioni tra oggetti differenti inglobati entro un medesimo contesto
spaziale.
Gli scripts (detti anche copioni) sono invece rappresentazioni mentali contenenti la
successione delle azioni tipiche o il modo tipico di svilupparsi in successione di eventi entro
situazioni date. La concettualizzazione del tempo e del suo svolgersi si forma probabilmente in un
secondo tempo rispetto alla concettualizzazione dello spazio e alla capacità di raffigurare
mentalmente spazi e ambienti tipici, ma è provato che anche bambini molto piccoli possiedono già
una serie di scripts. Sono schemi relativi a fatti colti nella loro dinamicità, e sono parenti stretti dei
plans, schemi cognitivi un po' più complessi che includono anche la conoscenza degli scopi per i
quali le azioni tipiche (già previste negli scripts) vengono effettuate. Sono, in altre parole,
rappresentazioni mentali di piani strategici per il conseguimento di un obiettivo.
I MOPs sono pacchetti complessi di organizzazione memoriale in cui interagiscono
numerosi scripts e plans. Sono costituiti da un reticolo di incassamenti gerarchizzati di schemi
provvisti di connessioni trasversali.
Il riferimento ai vari schemi cognitivi e alla loro costruzione e attivazione spiega come si
sviluppa la nostra conoscenza del mondo e come la ampliamo in continuazione immettendo negli
schemi dati ulteriori ricavati dal crescere delle nostre esperienze.
Ma a questi medesimi schemi si fa frequente riferimento nell'ambito degli studi psicolinguistici che cercano di spiegare come avvenga la comprensione e produzione testuale (cfr. Corno
e Pozzo 1991; Schank 1992; Levorato 1998). Utilizziamo infatti gli schemi in memoria sia per
interpretare le situazioni che viviamo e decidere qual è il comportamento più adatto da tenere, sia
per capire i testi. Gli studi in tal senso sono ormai tanto numerosi da permetterci di parlare di una
vera e propria “psicolinguistica testuale”, intesa come l’analisi dei meccanismi tramite i quali il
soggetto umano tratta i dispositivi linguistici per produrre e/o interpretare una successione coerente
di enunciati.
Ed è possibile tentare di mettere in correlazione (cfr. Lavinio 2000) ciascuno dei tipi testuali
funzionali-cognitivi con i differenti schemi fin qui considerati:
- i testi decrittivi hanno a che fare prevalentemente con frames e schemata;
- i testi narrativi e i testi scenici con scripts, plans e MOPs;
- i testi espositivi con schemata;
- i testi argomentativi e i testi regolativi con plans.
54
3. 5. 4 La leggibilità e comprensibilità dei testi
Quanto detto mostra come la comprensione di un testo sia qualcosa di molto complesso. Sono
stati messi a punto, comunque, procedimenti che tendono a misurare, mediante l’applicazione di
formule matematiche, il grado di leggibilità di un testo scritto (indicativo delle difficoltà di
comprensione che esso presenti), ma badando esclusivamente alla sua veste linguistica e, in
particolare, alla lunghezza media delle parole e delle frasi usate.
Non tutto però può essere misurato. Si possono considerare complessivamente come facenti
parte del livello della leggibilità altri aspetti ‘materiali’ del disporsi dei testi sulla pagina: la
chiarezza e nitidezza dei caratteri, i rilievi ottenuti mediante caratteri o colori particolari,
l’impaginazione, l’uso accorto della suddivisione in paragrafi e dell’interpunzione in genere, di
titoli e titoletti ecc. Tutto ciò può favorire la reperibilità delle informazioni fornite e può invogliare
alla lettura.
Ed è opportuno distinguere dalla leggibilità la comprensibilità, che è una nozione relativa (la
comprensibilità di un testo può variare di molto a seconda dei lettori) e qualitativa insieme (c’è chi
propone di considerare un testo tanto più comprensibile quanto meno alto è il numero delle
inferenze da compiere per capirlo). (Cfr. Lumbelli 1989; Piemontese 1996)
55
3.5.4.1 La leggibilità
La formula di Flesh è una delle formule di leggibilità più note. Nata in ambito anglosassone
per misurare la leggibilità di testi scritti in inglese, è stata adattata all’italiano dall’ingegnere
Roberto Vacca. L’adattamento si è reso necessario per il fatto che mediamente le parole italiane
sono più lunghe di quelle inglesi, fra le quali invece abbondano i monosillabi. La formula è la
seguente:
206 – (0,6 x S + P)
206 e 0,6 sono delle costanti
S indica il numero complessivo di sillabe su 100 parole
P indica il numero medio di parole per frase su circa 100 parole
Le circa 100 parole considerate sono quelle di vari campioni prelevati dal testo a intervalli
abbastanza regolari (per esempio uno ogni cinque pagine, se il testo in questione è un libro),
considerando tutte le parole di brani chiusi dal punto fermo più vicino alla centesima parola.
Se i valori ottenuti dall’applicazione della formula di Flesh sono 0 o al di sotto dello 0, il testo è
molto difficile; difficile è un testo il cui indice di leggibilità è tra 0 e 30; abbastanza difficile se il
valore è tra 0 e 40; standard tra 40 e 50; abbastanza facile tra 50 e 60, facile tra 60 e 70, molto facile
da 80 in su. Sono valori non certo da assolutizzare, ma da assumersi come indice della probabilità
che il testo possa risultare mediamente come più o meno semplice o complicato.
Un’altra formula, messa a punto da Emanuela Piemontese e Piero Lucisano, è la formula
Gulpease (dove Gulp sta per “Gruppo universitario linguistico-pedagogico” e ease è la parola
inglese che significa “facilità”):
89 – (Lp/10) + (3 x Fr)
dove si considerano la lunghezza media delle parole misurate in lettere (e non in sillabe) e la
lunghezza media delle frasi. La formula presenta ancora una volta delle costanti (89, 10, 3); Lp si
ottiene moltiplicando per cento il totale delle lettere e dividendo la cifra ottenuta per il totale delle
parole; Fr si ottiene moltiplicando per cento il totale delle frasi e dividendo la cifra ottenuta per il
totale delle parole.
Lavorando con la formula Gulpease e testando i risultati della sua applicazione su tre livelli
differenziati di scolarizzazione (istruzione elementare, media, superiore) si è constatato che un
risultato come
- 80 indica testi facili per coloro che hanno un’istruzione elementare, per i quali risultano invece
difficili testi dall’indice di leggibilità al di sotto di 60;
- 60 rappresenta testi facili per chi ha un’istruzione media,
- 40 indica testi facili per chi ha un’istruzione superiore. Quanto più si scende, per ogni fascia di
istruzione considerata, al di sotto del valore medio di rispettiva ‘facilità’, tanto più aumenta la
difficoltà – e dunque la frustrazione – nella lettura.
Ed è importante parlare anche della “frustrazione” perché spesso, quando ci si limita a deplorare
la scarsa propensione di molti alla lettura, non ci si chiede se per caso essa non sia legata anche al
fatto che venga spesso sottovalutata l’importanza di scegliere o suggerire, almeno a scuola, per ogni
livello di istruzione e fascia d’età, letture adeguate, di testi non eccessivamente complicati e tali da
non generare, assieme alla frustrazione, un senso di fatica, noia e fastidio per il leggere, destinati a
56
permanere anche quando si abbandoni la scuola. Tanti, troppi analfabeti di ritorno, in fondo,
nascono proprio così.
La leggibilità dei testi, misurabile tenendo conto di dati meramente superficiali di tipo
linguistico, è integrabile con valutazioni difficilmente traducibili in dati numerici. Si può badare ad
altri aspetti ‘materiali’ del disporsi dei testi sulla pagina: caratteri chiari, non eccessivamente
faticosi per la vista, rilievi (o colori) conferiti a punti o parole particolari, paragrafi non troppo
compatti e scanditi da un uso accorto degli a capo, uso di titoletti, illustrazioni ecc. Tutto ciò può
favorire la reperibilità delle informazioni fornite e può invogliare alla lettura.
57
3.5.4.2 La comprensibilità
La comprensibilità di un testo è qualcosa di più ampio della leggibilità, benché tra le due
nozioni non sia possibile istituire un confine molto netto. Gli ostacoli alla leggibilità sono di tipo
meramente materiale e superficiale. Gli ostacoli alla comprensibilità sono di natura più profonda.
Nessuno di essi può essere misurato in modo statistico-matematico. Occorre, per valutare la
comprensibilità, un’analisi qualitativa dei testi. Su questa base di possono individuare le zone di
maggiore semplicità e quelle, invece, di maggiore difficoltà per utenti differenti per età, sviluppo
cognitivo, conoscenze linguistiche e ampiezza di vocabolario, scolarizzazione, cultura.
Nell’analisi dei testi, per stabilire se essi siano più o meno comprensibili, si deve tener conto di
fattori relativi alla loro organizzazione, oltre che linguistica, logico-concettuale. In particolare, si
deve tener conto del numero di inferenze necessarie per poter colmare, con le conoscenze (del
mondo e dell’argomento su cui si legge) che già si possiedono, quanto il testo va dicendo
esplicitamente, in modo da connettere le informazioni fornite entro una rete coerente e logica.
La comprensibilità di un testo viene considerata tanto maggiore quanto più sono semplici e
meno numerose le inferenze da fare. Ma in realtà, dato un testo, è spesso molto difficile stabilire
quante siano le inferenze necessarie per capirlo, anche se possiamo farcene un’idea tramite una sua
“lettura rallentata” che, oltre al numero delle inferenze di base necessarie per capire, consideri come
“criteri di valutazione della comprensibilità” la presenza o meno di una serie di punti problematici
che vanno dall’organizzazione complessiva del testo (la più semplice è quella lineare, senza salti
logici tra un argomento e l’altro, con un criterio ordinatore nella disposizione delle parti
chiaramente individuabile e seguito con coerenza) a fenomeni testuali e linguistici più locali.
58
3.5.4.2.1. Altri criteri di valutazione della comprensibilità
Lucia Lumbelli (1989), tra gli “indicatori testuali delle difficoltà di comprensione”, che comportano
un carico cognitivo notevole per chi legge, segnala:
-
l’identità ostacolata, che impedisce di capire che si sta parlando della stessa ‘cosa’ pur
nominandola in modo diverso, quando non si hanno le conoscenze necessarie per riconoscerle
come la stessa ‘cosa’, dato che queste conoscenze o informazioni non sono ricavabili
direttamente dal testo. Per essere più precisi, si tratta di impedimenti al riconoscimento della
coreferenzialità tra due elementi del testo. Per esempio, se leggo “Il Presidente della Repubblica
è partito per le sue vacanze. Ciampi ha però rilasciato alla stampa la seguente dichiarazione…”
e non so che Ciampi è il Presidente della Repubblica, il testo non mi aiuta a ricavare questa
informazione;
-
il nesso mal segnalato, o non segnalato, o distante: quando a delle informazioni logicamente
correlate corrisponde solo un tenuissimo (oppure nessun) raccordo esplicito; oppure, ancora,
nel caso del nesso distante, le informazioni, pur essendo strettamente collegate, sono dislocate a
una distanza eccessiva l’una dall’altra, tale da rendere difficoltosa l’instaurazione di tale nesso.
Anche forme linguistiche minute come i pronomi sembrano sensibili a tale criterio: i loro
riferimenti sono tanto più difficili da recuperare quanto più aumenta la distanza, misurabile in
numero di parole interposte, tra la forma piena (o punto d’attacco) e il pronome (soprattutto
clitico) che la sostituisce;
-
l’aggiunta relativizzante, che serve a circoscrivere la validità di asserzioni precedenti, per
limitarne la portata avvertendo che non sono opportune eccessive generalizzazioni e
schematizzazioni;
-
l’esempio difficile, che anziché semplificare la comprensione di un concetto formulato in
generale e in modo teorico, finisce per complicarla, risultando l’esempio più difficile da capire
della stessa asserzione da cui prende le mosse.
59
3.5.5 Lo scriver chiaro
Tenendo presente l’insieme degli ostacoli alla comprensibilità (e alla leggibilità) finora segnalati,
Lumbelli (1989) formula una serie di raccomandazioni utili per la redazione di testi divulgativi, il
cui scopo dovrebbe essere quello di risultare il più possibile chiari a un grande numero di non
esperti dell’argomento trattato.
Ma la ricerca sullo “scriver chiaro” interessa o dovrebbe interessare, oltre che il mondo
dell’editoria scolastica, anche quello giornalistico e della comunicazione pubblica. Non a caso si è
esercitata nella redazione del periodico “Due parole”, un giornale pensato per chi è portatore di
qualche handicap (che abbassa notevolmente, di per sé, la soglia di comprensibilità dei testi
‘normali’), adatto anche a parlanti stranieri che muovano i primi passi nell’acquisizione
dell’italiano. “Due parole” è attualmente pubblicato on line sul sito omonimo (www.dueparole.it).
La ricerca sulla chiarezza riguarda inoltre l’ambito della comunicazione pubblica e rivolta,
anche istituzionalmente, al grande pubblico, che ha il diritto di capire esattamente, nei suoi rapporti
con lo Stato o altri enti, le comunicazioni che lo riguardano, che pesano sulle sue tasche in termini
di tasse o bollette da pagare, ecc. Ne sono scaturiti il Codice di stile (1993) promosso dal ministro
della Funzione pubblica Sabino Cassese (si veda anche Fioritto 1997), oppure il lavoro che ha
portato alla semplificazione e maggiore perspicuità delle bollette Enel (De Mauro e Vedovelli
1999).
E’ l’esempio di un impegno civile coniugato a quello scientifico, che si alimenta dei risultati
della ricerca scientifica su questioni linguistiche e che, nello stesso tempo, contribuisce a farla
progredire, se non altro ponendole domande cui la ricerca linguistica ha il dovere di cercare di
rispondere. Né la scuola e gli insegnanti sono esonerati dal considerare attentamente tali
problematiche, alla luce delle quali cercare di valutare costantemente, tenendole sotto controllo, le
difficoltà di comprensione e i compiti cognitivi richiesti costantemente agli alunni, a partire
dall’(auto)controllo critico della comprensibilità delle lezioni orali dei docenti fino al vaglio attento
dei testi da adottare, scegliendoli non solo in base alla validità, attendibilità e aggiornamento
scientifico dei loro contenuti, ma anche badando alla loro maggiore o minore comprensibilità (e
dunque chiarezza) per gli allievi.
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3.6 Avvertenze e suggerimenti didattici
Conoscere e approfondire i contenuti di questo modulo non deve comportare un loro travaso
meccanico nella didattica.
Dalle questioni affrontate si possono piuttosto ricavare una serie di attenzioni e di suggerimenti,
da adattare alle capacità degli allievi e ai loro bisogni di apprendimento.
61
3.6.1 I testi ‘bucati’
Per far capire l’intima natura testuale delle formulazioni linguistiche si può lavorare con testi
‘bucati’, cioè con cloze (test).
Il cloze classico consiste nel cancellare da un brano, a intervalli regolari, una parola ogni cinque
(o sei o sette). La cancellazione determina dei ‘buchi’ da colmare da parte del lettore. Per colmarli
occorre fare delle ipotesi su quanto può essere stato cancellato e queste ipotesi sono guidate sia dal
significato (occorre scegliere parole semanticamente compatibili con quanto sta intorno) sia dalla
sintassi e dalla morfologia (la parola da ripristinare deve avere una forma grammaticalmente legata
a quanto la circonda, alle parole cui si accorda ecc.). Bisogna, in altre parole, tenere conto
costantemente dei suggerimenti logici e grammaticali forniti dal cotesto. La discussione sulle
soluzioni reperite può evidenziare i ragionamenti che hanno indotto alla scelta di una determinata
soluzione, basandosi sulla necessità di rispettare coerenza e coesione testuali.
E’ opportuno che, per evitare suggerimenti di altro tipo (relativi per esempio alla maggiore o
minore lunghezza delle parole da ripristinare), i buchi siano tutti della medesima dimensione.
Non è importante che la soluzione trovata sia perfettamente identica a quella del testo originario:
si può scoprire che parole diverse (per esempio sinonimi) possono essere altrettanto (o addirittura
più) adatti a colmare i buchi: l’importante è che poi il testo sia accettabile, essendone rispettati i fili
logici e grammaticali (cioè la coerenza e la coesione).
Una variante di cloze è il cloze mirato, dove le lacune non cadono più a intervalli regolari ma
colpiscono forme appartenenti a una medesima categoria grammaticale (per esempio, tutti i
pronomi) oppure selezionate sulla base di criteri semantici o lessicali. Imparentato con questo
esercizio è quello che consiste nel fornire le forme verbali all’infinito, chiedendo di inserire, in quel
punto del testo quello stesso verbo, ma nel modo, tempo e persona adeguati.
Sulla ricchezza e utilità didattica delle attività di cloze, con resoconti su esperienze condotte in
classi diverse di scuola elementare, si veda il volume a cura di C. Marello, 1989.
62
3.6.2 Dal parlato allo scritto
Per far capire agli allievi le differenze tra testi parlati e scritti è utile, anziché snocciolarle loro in
una lista dettagliata, far sì che le scoprano a poco a poco ‘manipolando’ il parlato per trascriverlo e
poi trasformarlo in un testo accettabile come scritto.
Si tratta di registrare testi orali (che possono essere i più vari e di tipo diverso, raccolti anche in
classe: la lezione dell’insegnante, gli interventi durante una discussione in classe, le interrogazioni
ecc.) per poi farne trascriverne agli allievi almeno alcune parti (la trascrizione di soli cinque minuti
di parlato comporta molto più tempo: soste e continui riascolti mandando indietro in continuazione
il nastro).
Si deve raccomandare una trascrizione fedelissima, che non ometta neanche una sillaba di
quanto è stato detto. Se il parlato viene trascritto in questo modo, si porrà immediatamente, tra
l’altro, il problema di trovare dei criteri supplementari per dar conto di quanto non si riesce a
‘sentire’ chiaramente, per dar conto di esclamazioni, risate, ma anche pause più o meno lunghe e
rumori vari. Si capirà che è necessario introdurre alcuni segni diacritici tra i quali la stessa
punteggiatura, fondamentale per rendere leggibile il testo. Introducendo la punteggiatura, si
scoprirà che non sempre essa sarà in corrispondenza di pause effettive (il punto fermo, per esempio,
dovrà essere usato per separare l’una dall’altra le frasi, a prescindere dalla presenza o meno di pause
nettamente percepibili in quel punto): l’interpunzione segue spesso criteri sintattici e semantici
piuttosto che non intonazionali (cfr. Mortara Garavelli 2002).
Inoltre, anche dopo aver inserito i segni interpuntori, il testo potrà presentare molti aspetti
(ripetizioni, frasi interrotte, intercalari inutili ecc.) che, normali nel parlato, non sono giustificati in
un testo scritto e vanno eliminati o modificati, in un lavoro di ‘pulizia’ teso a rendere quel testo
accettabile nella scrittura.
Lavorando in questo modo e ragionando sulle modifiche più opportune, si potrà diventare
consapevoli delle differenze tra parlato e scritto e, nello stesso tempo, si potrà imparare a gestire al
meglio la testualità che vi si realizza.
63
3.6.3 Alla scoperta degli schemi testuali
Dalle sezioni sulla varietà dei testi, parlati e scritti, differenziati a seconda del tipo testuale
dominante, ecc., si possono ricavare alcune piste per guidare gli allievi nell’analisi di testi e
fenomeni testuali, entro una riflessione sulla lingua condotta in modo da far ‘scoprire’ loro alcune
costanti e regolarità, fino agli stessi schemi che caratterizzano la struttura complessiva di tipi e
generi testuali.
Il possesso consapevole di schemi ha a che fare con la metacognizione (o conoscenza
metacognitiva, che si può identificare con un “sapere di sapere” e con la consapevolezza delle
procedure attivate per accrescere le cognizioni). Nei processi di apprendimento, la metacognizione
è estremamente rilevante, come sottolineano gli psicologi. Ma non si tratta di ‘insegnare’ gli
schemi: si tratta invece di farli scoprire agli alunni, di farli ‘(ri)costruire’ da loro, inducendoli a
lavorare sui testi. Per far sì che ne scoprano alcune caratteristiche, compresi gli schemi, basta che
l’insegnante formuli consegne ed esercizi adeguati.
Per esempio, si possono aiutare gli alunni a scoprire l'ordine con cui vengono fornite le
informazioni in vari testi, guidandoli a prestare attenzione a titoli, titoletti, connettivi metatestuali, a
ricavare da ogni blocco informativo almeno l'informazione principale, cui subordinare le altre
magari in uno schema grafico, e così via. Tutto ciò significa facilitare in loro (assieme alla capacità
di riassumere) la costruzione consapevole di schemi cognitivi adeguati, differenziati per tipi testuali,
cui ricorrere sia per capire e sistemare più facilmente e ordinatamente in memoria quanto letto o
studiato, sia per produrre buoni testi del medesimo tipo quando debbano fare una relazione,
rispondere alle interrogazioni o produrre un testo scritto.
64
3.6.3.1 Un esempio di lavoro sui testi espositivi
Per esempio, per far toccare con mano agli alunni quanto sia rilevante l'ordine nella
distribuzione delle informazioni in un testo espositivo (un paragrafo o un capitolo del manuale di
una qualunque disciplina scolastica), li si può far lavorare (in gruppo o singolarmente) a ripristinare
l'ordine originario degli enunciati di un breve brano, presentato dall'insegnante già disarticolato in
enunciati singoli mescolati in un ordine casuale.
Per realizzare questa attività, l’insegnante può:
a) scegliere un brano dal libro di testo;
b) trascriverne su diverse strisce di carta, una a una, tutte le frasi chiuse da un punto fermo;
c) distribuire ai singoli alunni (oppure a diversi gruppi di alunni) una copia delle varie strisce di
carta con la consegna di ricostruire il brano di partenza mettendo al posto giusto, in
successione, le singole frasi.
Facendosi guidare dai contenuti di ogni frase, gli alunni scopriranno che non possono disporle
casualmente, pena produrre un qualcosa di incomprensibile. Scopriranno la logica sottesa alla
disposizione delle informazioni veicolate, così come scopriranno di non poter mettere in apertura
del brano alcuni enunciati (che per esempio si aprano con un infatti).
I risultati, ovviamente, saranno tanto migliori quanto più ci sarà una conoscenza preventiva
dell'argomento da parte degli alunni e quanto più le frasi conterranno connettivi metatestuali che
potranno suggerire come ripristinare la sequenza originaria.
Se poi si vuole rendere un po' più complesso l'esercizio, si tratta di fornire agli alunni tante frasi
semplici in ordine sparso, ma a partire da un testo che l'insegnante abbia già semplificato,
spezzando in frasi monoproposizionali i periodi complessi ed eliminando tutti gli elementi di
connessione. La consegna dovrebbe essere di questo tipo: “riscrivi / costruisci un testo senza
perdere nessuna delle informazioni contenute nelle frasi di partenza, ma modificandone la forma
quando ciò si renda necessario ai fini della strutturazione del testo”. I risultati del lavoro degli
alunni possono essere poi confrontati con il testo di partenza, magari per scoprire che i loro prodotti
sono talvolta migliori o ne mettono a nudo le eventuali pecche, i punti problematici, ambigui e i
nessi non segnalati.
Si tratta ovviamente di dosare e calibrare lavori di questo tipo a seconda dell'età degli alunni
e del loro sviluppo cognitivo, ma è comunque importante lavorare anche sui testi espositivi per
facilitare/promuovere le abilità di studio. Queste, come sappiamo, sono molto rilevanti ai fini del
successo scolastico.
65
3.6.4. Attività sui testi descrittivi
Ogni descrizione presenta un insieme di parole imparentate tra loro per contiguità di significato,
che servono a disarticolare e nominare nelle sue parti costitutive (o dettagli) l’oggetto descritto.
L’ampiezza di una descrizione può dipendere dal vocabolario di cui dispone l’autore. In altre
parole, la descrizione mobilita competenze lessicali ed esercitarsi a produrre testi descrittivi può
essere utile per l’ampliamento e l’arricchimento del vocabolario, oltre che per abituarsi alla gestione
di una resa verbale coerente delle percezioni spaziali.
Possono essere costruite attività didattiche che non si limitino alla semplice
lettura/fruizione/osservazione di descrizioni. Può essere molto utile, per esempio, chiedere agli
alunni:
a) il completamento di un testo descrittivo da cui siano state cancellate molte parole (magari
relative a dettagli o proprietà) o molti termini (se si tratta di una descrizione scientifica). Nello
sforzo di individuarli per ripristinarli dentro il testo ‘bucato’ in modo ‘mirato’ (cfr. cloze
mirato), si attiveranno procedimenti inferenziali, sforzi di memoria, ricerche e controlli sui
dizionari ecc. che determineranno un solido possesso delle soluzioni corrette trovate, garantito
dal lavoro cognitivo svolto al riguardo;
b) la stesura di una descrizione, anche scientifica, in cui siano usati almeno una volta tutti i
vocaboli (parole e/o termini) indicati nella consegna. Es.: “Produci un testo descrittivo in cui
compaiano almeno una volta le seguenti parole: fiume, lago, montagna, affluente, estuario,
delta, diga, foce” oppure “cellula, membrana, nucleo, citoplasma, microscopio”. Insegnanti di
qualunque disciplina potranno così controllare, sulla base della coerenza interna del testo
prodotto e dell’uso appropriato del vocabolario indicato (pescato magari da un argomento già
spiegato e fatto studiare agli alunni), l’avvenuta acquisizione o meno di un pacchetto più o meno
esteso di vocaboli.
66
NOTA BIBLIOGRAFICA
Si forniscono qui alcune sobrie indicazioni bibliografiche, aggiuntive rispetto ai lavori già
citati nelle varie sezioni di questo modulo.
Per la transizione dalla linguistica transfrastica a quella testuale e per la concezione del testo
come unità di comunicazione cfr. Conte 1977. Tra i lavori fondamentali di linguistica testuale
pubblicati in italiano (alcuni dei quali ormai non reperibili in commercio) è doveroso citare almeno
Dressler 1974, Mortara Garavelli 1979, de Beaugrand-Dressler 1981, Conte 1988-1999. Ma anche
Brown-Yule 1986 può essere considerato un buon manuale di linguistica testuale, per quanto
applicata soprattutto all’analisi del discorso, cioè dei testi parlati. Si veda anche Mortara Garavelli
1991 e, per le questioni di tipologia testuale, Mortara Garavelli 1988b; per la retorica, che può
essere rivisitata dalla prospettiva della semiotica e della linguistica del testo, è fondamentale
Mortara Garavelli 1988a.
Per una rassegna degli studi italiani si rinvia comunque a Marello 1992 e Ferrari-Manzotti
2002, che evidenziano tra l’altro quanto i metodi della linguistica del testo siano stati e siano
proficuamente utilizzati anche nella didattica delle lingue, dando adito a numerose pubblicazioni
teorico-pratiche e a manuali di grammatica e di educazione linguistica improntati su quella
centralità del testo su cui si concorda ormai da tempo in ambito glottodidattico.
Per l’italiano, per esempio, ispirate da un’ottica decisamente testuale sono tante grammatiche
scolastiche, tra le quali ci si limita a citare Altieri Biagi 1987 e Corti-Caffi 1989. Ma si vedano
anche molti dei contributi pubblicati sui vari volumi della collana “Quaderni del Giscel”, in alcuni
dei quali l’attenzione verso la dimensione testuale è evidente fin dal titolo (una mappatura tematica
dei contributi presenti in questa collana, per i volumi pubblicati fino al 1998, è contenuta in FerreriGuerriero 1998, cui ci si limita a rinviare). Numerosi i contributi su problematiche testuali apparsi
spesso in numerose riviste e in particolare su “Italiano & oltre”, rivista diretta da Raffaele Simone.
67
Riferimenti bibliografici
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superiori, Milano, A.P.E. Mursia.
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della lingua italiana. II. Scritto e parlato, Torino, Einaudi, pp. 239-270.
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(a cura di), La costruzione del testo scritto nei bambini, Firenze, La Nuova Italia, pp. 259273.
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R. Calò (a cura di), 2003, Scrivere per comunicare, per inventare, per apprendere, Milano, Franco
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Codice di stile, 1993, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato.
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Italia; riedito nel 1999 a cura di B. Mortara Garavelli, Alessandria, Edizioni dell’Orso.
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68
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all’italiano contemporaneo. I. Le strutture, Roma-Bari, Laterza, pp. 371-402.
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B. Mortara Garavelli, 2002, Prontuario di punteggiatura, Roma-Bari, Laterza.
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per una tipologia dei testi, in G. Skytte, F. Sabatini (a cura di), Linguistica testuale
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H. Weinrich, 1978, Tempus. Le funzioni dei tempi nei testi, Bologna, il Mulino.
E. Werlich, 1976, A Text Grammar of English, Heidelberg, Quelle & Meyer.
69
TESTI NARRATIVI
DESTINATARI E SCOPO
di intrattenimento
informativo
educativo-morale
…………..
MODELLO NARRATIVO E GENERE
fiaba
novella
romanzo
articolo di cronaca
parabola
………..
I
N
V
E
SITUAZIONE INIZIALE
FABULA AVVENIMENTO
SCIOGLIMENTO
N
motivi legati in ordine logico-cronologico
T
Reperimento di eventuali motivi liberi
I
MOTIVI organizzati intorno a
personaggi (chi?, who?)
luoghi (dove?, where?)
tempo (quando, when?)
cosa e come (what?)
perché (why?)
INTRECCIO = ORDINE
nella disposizione dei motivi della fabula
PUNTO DI VISTA (chi vede?)
DISCORSO
VOCE (chi parla?)
O
D
I
S
lineare (ordo naturalis)
P
O
non lineare (ordo artificialis) S
I
T
I
O
fisso
variabile
E
L
O
nella _rgomen ….. a chi ?
scelte linguistiche e stilistiche
C
nella mimesi …. A chi ?
conseguenti (aderenti allo status U
dei personaggi, ecc.)
T
I
O
Torna al paragrafo 3.4.3
70
TESTI DESCRITTIVI
FUNZIONE o FINALITA’
informativa
_rgomentativi
decorativa-esibitiva
simbolica
………….
I
N
V
E
N
T
I
O
reale
DELIMITAZIONE DEL “CAMPO”:
oggetto
fittivo
SELEZIONE dei DETTAGLI
e delle PROPRIETA’
intrinseche
non intrinseche
comparative
transitive
lineare
ordine nella disposizione
di dettagli e proprietà
D
I
S
P
O
S
I
T
I
O
non lineare
PROSPETTICA
angolazione percettiva
(o posizione del descrittore)
MODALITA’ di
PRESENTAZIONE
fissa
mobile
d. “oggettiva”………….. lingua “comune”
d. tecnico-scientifica …. Lingua speciale
(prevalenza di denotazione)
“oggettiva”
soggettiva
d. soggettiva ……… lingua comune
(ricerca di connotazione)
e/o letteraria
E
L
O
C
U
T
I
O
Torna al paragrafo 3.4.4
71
TESTI ARGOMENTATIVI
TESI da sostenere o da dimostrare
I
N
Definizione del DESTINATARIO e delle OPINIONI CONDIVISE (che si possono presupporre) V
E
a favore
N
ARGOMENTI
T
contrari ( Confutazione)
I
O
dai principali ai secondari
DISPOSIZIONE DEGLI ARGOMENTI dai secondari ai principali (climax)
D
misto
I
S
P
ORDINE
O
all’inizio
S
COLLOCAZIONE DELLA TESI
alla fine
I
nel testo
al centro
T
………
I
O
logici e di causa- effetto
(es.: dato che, se…allora, per effetto di, dunque, poiché, quindi)
CENTRALITA’ DEI CONNETTIVI
avversativi e concessivi
(es.: ma, eppure, tuttavia, anzi, o meglio, bensì, benché, anche se) E
conclusivi
(es.: insomma, infine, per concludere)
L
O
C
Soggettiva ………..lingua comune e/o settoriale,
U
uso abbondante di figure retoriche,
prevalenza della 1° persona
T
MODALITA’ DI PRESENTAZIONE
I
“oggettiva”………..lingua speciale, stile neutrale,
(a. scientifica)
prevalenza della 3° persona,
eventuali citazioni, bibliografia
O
Torna al paragrafo 3.4.5
72
TESTI ESPOSITIVI
I
di un Argomento
N
Memorizzazione/evidenziazione
(o Tema di discorso) V
delle informazioni principali ---- Esposizione sintetica
E
N
T
Destinatario e individuazione della sua ENCICLOPEDIA e
I
delle sue CONOSCENZE PREGRESSE sull’argomento
O
Spiegazione/illustrazione ------------------ Esposizione analitica
SCOPO
Delimitazione dell’argomento da trattare
Selezione delle informazioni
nella disposizione delle INFORMAZIONI
ORDINE ed eventuale suddivisione accurata in vari BLOCCHI INFORMATIVI
con SEGNALAZIONI METATESTUALI delle partizioni del testo
MODALITA’ ENUNCIATIVA:
prevalentemente “oggettiva”
D
I
S
P
O
S
I
T
I
O
lingua comune (ricorrendo il meno possibile a parole di bassa
frequenza d’uso, a tecnicismi, ecc.)
E
L
O
lingua speciale (ma con terminologia diluita entro
C
RIFORMULAZIONI e PARAFRASI,
U
per lo più segnalate da indicatori come
T
cioè, o meglio, più precisamente, con
I
numerosi ESEMPI e DEFINIZIONI)
O
Torna al paragrafo 3.4.6
73