Il nemico del mio nemico

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Il nemico del mio nemico
Il nemico del mio nemico
di Claudo Chillemi
La luce della luna si rifletteva sul cavallo bronzeo di Marco Aurelio come un sinistro
presagio. L’uomo guardò l’icona del grande imperatore del passato e si domandò
“Perché?”, perché tutto era finito lì, in una piazza in mezzo ad una metropoli del ventesimo
secolo…Forse era questo il destino dell’uomo, lasciarsi andare ai ricordi del passato
senza più farne parte, essere ad un tempo prigioniero e carceriere delle propria
vita…Come quel giorno, diversi anni prima, quando lui era venuto alla luce da una bara di
plexiglas trasparente e subito si era domandato: “Chi sono?”.
Ma ormai era tardi, era tardi per questioni tanti inutili come conoscere lo scopo della
propria vita, come sapere a quale fato si è destinati, come apprendere il futuro o, più
semplicemente, era tardi per andare a dormire…In men che non si dica la luna avrebbe
lasciato il posto allo sgargiante sole italiano e lui sarebbe stato visibile, visibile al mondo
intero…Guardò in alto nel cielo e scomparve in una nuvola di fumo…
In un altro luogo del passato James T. Kirk stava sorbendo la sua tazza di caffé mattutina.
Spock non aveva ancora chiamato, forse perché il giorno prima la vicenda dei Capellani
era stata dura da affrontare e lui, Mc Coy e il Vulcaniano avevano portato a casa la vita
per puro caso; oppure, per quello strano rispetto che si instaura tra il capitano e i suoi
sottoposti alle sette di un giorno qualunque…Chi lo sa! Sorbì il lungo liquido nero con la
bramosia di ritrovare sul fondo della tazza la sua forza perduta e si alzò di scatto pronto a
prender servizio. Si avviò verso l’uscita e quando la porta si aprì, il apparve il volto
sorridente di Bones che, evidentemente, più sfrontato di Spock, era lì ad aspettarlo.
“Allora Jim, come ha passato la notte?”
“Sempre meglio che in quella caverna, dottore…”.
“Mi guardo bene di contraddirla…”.
“E il suo pargolo come sta?”.
“La reggente mi ha appena informato che va a meraviglia…”.
“Bene, quindi possiamo lasciare l’orbita di Capella?”
“A sua discrezione…”.
“Lo farò appena giunto in plancia…”.
I due si separarono proprio innanzi al turbo ascensore. Kirk salutò appena il suo amico
imboccando con decisione l’inizio della nuova giornata. E fu qui che lo raggiunse Spock.
“Capitano, è meglio che venga in plancia…”.
“La sto raggiungendo…”, rispose proprio mentre la porta scorrevole si apriva innanzi a lui
lasciando intravedere il sorriso smagliante della bella Uhura.
“Ah, capitano…C’è un fenomeno piuttosto interessante a 0,9 anni luce da qui…”, lo
informò il vulcaniano.
“Di che si tratta?”, chiese Kirk mettendosi a sedere sulla sua poltrona e formando alcuni
rapporti carburante che gli porgeva la sua attendente.
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“Un’anomalia subspaziale di tipo 4, temporale, direi…”.
A quelle parole James T., smise di compiere le azioni di routine e guardò a lungo Spock
quasi a volerlo rimproverare; ma non ne ebbe il coraggio. Si avvicinò, invece alla
postazione scientifica e osservò con attenzione i dati dal display.
“Capisco…”, mormorò.
“Ha una larghezza di 176 miglia e una profondità di quasi 600 metri, è come se fosse una
lunga stringa di energia…”.
“Signor Spock, sono sorpreso, una scoperta del genere farebbe saltare qualunque
scienziato del quadrante, ma lei sembra quasi non accorgersene…”.
“In effetti ho provato, come dire?, un sottile senso di curiosità…”.
“Ma davvero?”.
“Sì capitano…”, disse il vulcaniano inclinando il capo in senso affermativo.
“Bene, signor Sulu ci porti là, curvatura 1…”.
“Eppure questa è la data giusta e il luogo giusto…”, disse l’uomo a se stesso. Si guardò
ancora una volta intorno e si accorse che proprio vicino all’arco di Costantino vi era la
figura alta e robusta di qualcuno che si comportava con l’irrequietezza di chi sta
aspettando. Si avvicinò di soppiatto e quando fu abbastanza vicino da vederne il volto, il
suo corpo si tese in uno spasimo di sorpresa. Non era certo che ciò che vedeva era la
realtà o la fantasia, ma era comunque concreto, tangibile, vivo. La faccia di colui che lo
attendeva aveva i lineamenti tipici di un orientale: la pelle leggermente olivastra, i lunghi
capelli neri raccolti sulla nuca in una coda di cavallo, gli occhi scuri e profondi, le labbra
strette e severe. In una parola, il suo volto. Il suo stesso volto.
“Ti aspettavo…”, disse colui che attendeva.
“Chi sei tu?”, rispose l’uomo stentando ad articolare le parole.
“Io sono te, e tu sei me, questa spiegazione ti deve bastare…”.
“Vieni dal futuro?”.
“Il futuro e il passato sono concetti così monodimensionali…”.
“…E noi siamo di un intelletto superiore per pensare in solo quattro dimensioni…”,
concluse la frase del suo interlocutore come se la conoscesse bene. “Come fai a
conoscere…queste parole? Le ho scritte nel mio diario pochi giorni fa…Nessuno le può
aver lette!”.
“Tranne te stesso…”.
“Sei tu che mi hai avvertito?…Sei tu che mi hai spinto a fuggire?”.
“Sono io…Ma ora altre rivelazioni ti aspettano…”
“Sono pronto…”, rispose l’uomo respirando l’aria frizzante della notte.
“Scansione di avvicinamento temporale…”, ordinò il capitano Fermi dalla plancia della
UST Marconi.
“Cinque secondi e 7 decimi all’arrivo…”, rispose il guardiamarina Buongiorno leggendo il
suo quadro controllo.
“Rallentamento del dispositivo cronometrico in fase quattro…”.
“Eseguito…”.
“Variazione del flusso temporale stabile…”, informò la plancia il capo operazioni temporali
Marco Anselmi, dalla sezione ingegneria.
“Bene…”, mormorò l’ufficiale comandante dando un’occhiata veloce allo schermo
tridimensionale che troneggiava proprio al centro del ponte.
“Nuovo continuum raggiunto…”, disse Buongiorno. “Capitano, rilevo due navi…Una è
quella che stavamo cercando, l’altra è una USS di classe Costitution, abbastanza diffuse
in questo periodo…”, continuò il giovane ufficiale.
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“Postazione storica, tenente Gentile, mi dica qualcosa su tutto questo…”, ordinò il capitano
rivolgendosi ad una donna a pochi metri dalla sua posizione.
“Si tratta della USS Enterprise NCC 1701…L’incontro era previsto allo 0,98%...”.
“Perché non sono stato informato?”, domandò Fermi irritato.
“Si trattava di una eventualità abbastanza remota…”, cercò di scusarsi Gentile.
“Non voglio sentire nulla di più, sapete perfettamente che il tempo non scorre seguendo le
nostre percentuali, ma in modo anomalo e imprevisto…Comunque, attivate il dispositivo di
astensione temporale, per metterli al riparo dai cambiamenti del continuum…”.
“Capitano siamo visibili ai loro sensori, cosa dobbiamo fare?”.
“Che domanda? Contattiamoli…”, ordinò. “Sappiamo bene quale sarà la loro parte in tutto
questo…”, concluse schiudendo le labbra in un debole sorriso.
“Pare che sia presente un veicolo spaziale…”, informò Spock.
“Di che natura?”, chiese il capitano.
“Molto vecchio…E…”, il vulcaniano s’interruppe inarcando il suo sopracciglio destro,
simbolo inequivocabile che aveva scoperto qualcosa di sorprendente e inquietante. “Jim si
tratta di un’astronave del tutto simile a quella in cui abbiamo incontrato Khan e il suo
equipaggio di superuomini…”.
“Altre informazioni?”, chiese Kirk avvicinandosi alla postazione del suo ufficiale scientifico.
“Si direbbe un vascello quasi identico…Mi correggo, identico…”.
“In che senso, identico?”.
“Che si tratta della Botany Bay o di una copia equivalente in tutto e per tutto…”.
“Ma come è possibile?”, domandò James T. visibilmente sorpreso.
“Gli strumenti non possono mentire, Jim…”, disse Spock.
“Una nave sconosciuta è apparsa in direzione 342.67 sembrerebbe provenire direttamente
dall’anomalia…”, li informò Sulu alle loro spalle.
“Allarme giallo…”, ordinò Kirk.
Subito il segnale si diffuse su tutta la nave mettendo in allerta gli uomini della plancia che
armeggiarono convulsamente le mani sulle loro consolle.
Kirk e Spock diedero una lunga occhiata agli strumenti per cercare di capire cosa stava
succedendo, ma dopo pochi istanti fu Uhura ad attirare la loro attenzione.
“Ci stanno chiamando, signore…”.
“Sullo schermo, tenente…”.
Subito il viso sorridente e rubicondo di Roberto Fermi apparve sul video della plancia
dell’Enterprise.
“Piacere di rivederla capitano Kirk…”, disse l’italiano.
“Ci conosciamo?”, domandò James T. visibilmente sorpreso.
“Direi di sì, ci siamo visti almeno tre volte…”, l’informò il comandante della Marconi.
“Non ne ho alcun ricordo…”.
“Non mi sorprende, le nostre visite lasciano sempre dei vuoti di memoria…Sono il capitano
Roberto Fermi della UST Marconi, veniamo da quello che per voi è il 27° secolo e…Ma
non sarebbe meglio parlarci di persona?”.
“Jim…”, mormorò Spock da dietro le spalle del suo capitano.
“Non si preoccupi, signor vulcaniano, vengo io a bordo da voi, anche l’ultima volta è stato
così…”.
E dopo pochi istanti l’imponente stazza di centoventi chili di Roberto Fermi si materializzò
sul ponte di comando dell’Enterprise a una ventina di centimetri da Kirk che assisteva,
impotente, all’evento.
“Ma come ha fatto a teletrasportarsi attraverso gli scudi d’energia…”, chiese il figlio di
Sarek.
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“Andiamo, signor Spock, non mi faccia tutte le volte la stessa domanda…E dia un’occhiata
a questo…”, rispose l’ospite ridacchiando e mostrando un supporto di registrazione color
oro. “Troverà il suo contenuto molto interessante…”, concluse non senza un attimo di
misurata suspance.
Spock inserì i dati nel computer centrale e con somma sorpresa di tutti apparve sullo
schermo il volto del capitano Kirk.
“Signori, sono James T. Kirk, come spero, ancora capitano della USS Enterprise…Questa
mia registrazione è stata fatta ad uso del capitano Fermi in quanto lei, Signor Spock e voi
ufficiali di plancia, crediate a quanto detto dal mio corrispettivo e gli diate la massima
collaborazione…Purtroppo, per suo dovere, il capitano Fermi ha necessità, ogni volta finita
una missione, di cancellare la memoria di ognuno di noi, e questo ci fa dimenticare di
averlo conosciuto…Ecco il perché di questa mia annotazione. Ripeto, date al capitano
Fermi la massima collaborazione, è un ordine. Chiudo.”.
L’immagine scomparve mentre il Kirk in carne ed ossa e Spock si fissarono per un lungo
istante. Poi il capitano fece un eloquente segno al suo primo ufficiale che controllò due e
più volte l’integrità e la fedeltà del sistema di riproduzione.
“E’ una registrazione originale, non vi è dubbio…”, sentenziò il vulcaniano.
“Bene, allora chi sono io per non ubbidire agli ordini che mi sono dato…?”, disse James T.
non senza una vaga ironia.
“Da dove vieni?”, chiese l’uomo al suo strano interlocutore.
“Io vengo dallo specchio che riproduce e distorce la realtà…Io vengo dal luogo dove tutto
é uguale e tutto è diverso…Vengo da là…”, disse indicando un punto lontano che si
perdeva all’orizzonte.
“Insomma, parliamo da quasi un’ora e non fai altro che dirmi cose criptiche e
insensate…Non ho tempo da perdere, devo andare via…Mi hai detto che potevi aiutarmi
ma, fino ad ora, non ho visto nessun aiuto…”.
“Tu sei inseguito da qualcuno che ti vuole portare via, condurti lontano da questo
pianeta…Tu sei stato l’assoluto ora sei il solo…”.
“Volevo dare al mondo l’ordine, è vero…Ma il mondo mi ha respinto dopo avermi
creato…Io e i miei compagni saremo prigionieri di una nave spaziale, come morti, e
viaggeremo tra le stelle finché una mano pietosa non vorrà risvegliarci…”.
“Ecco perché fuggi, ma io ti chiedo di venire con me…”.
“Ma dove, dove?”.
Si levò una brezza che portò lontano, tra le onde del Tevere, fino al mare, quel grido di
sconforto e disperazione. I due uomini si guardarono a lungo, poi, il disperato alzò il capo
come segno di un ritrovato orgoglio ed afferrò per il bavero il suo alter ego. I suoi occhi
fissarono quelli dell’altro suo io e lo fecero con una ferocia inaudita.
“Sono stanco di te e delle tue parole, dimmi quello che devi e poi sparisci…”.
“Vengo da un universo parallelo al tuo…Nel mio mondo non vi sono mai state le guerre
eugenetiche, alla fine del ventesimo secolo, quando l’ingegneria genetica aveva compiuto
miracoli, fu messa al bando e le sue attività furono parecchio limitate…Nessun uomo
modificato venne mai alla luce, ed io sono la tua copia sbiadita, l’uomo che saresti stato se
il tuo genoma non fosse stato riprogettato…”.
“Come sei giunto qui?”.
“Nel mio futuro, alcuni uomini di una nave stellare del tuo universo, ci hanno fatto visita,
aprendo una breccia insanabile tra le nostre storie, le nostre vicende, i nostri
destini…Sarebbe troppo lungo spiegarti, ma un’organizzazione del 27° secolo del mio
universo mi ha mandato da te per aiutarti a fuggire dai tuoi persecutori…”.
“…Per far che?”.
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“Per portarti con me…Abbiamo bisogno del tuo intelletto superiore…Se non ci aiuti in
meno di trecento anni l’umanità sarà ridotta in schiavitù da un’alleanza aliena…Abbiamo
bisogno di un capo che ci guidi…”.
…E, a quelle parole, la notte romana assunse una colorazione più tenue, quasi che, una
luce soffusa che emanava direttamente dagli occhi di Khan Noonian Singh, la
illuminasse…
“Andiamo, dottore, non posso credere a quello che dice…”, disse Spock inarcando come
sua consuetudine il sopracciglio destro.
“Le dico che è così, gli italiani sono pelandroni, scansafatiche, disordinati, passionali e
irrazionali…E non credo che tutti questi aggettivi messi insieme rendano ancora bene
l’idea di cosa sono veramente…”.
“Io sono esterrefatto, dopo aver conosciuto personalmente quasi un centinaio di specie
aliene, lei considera alieni dei suoi simili…?”.
“Per carità, amico mio, non sono alieni, se lo fossero, in qualche modo sarebbero
giustificati, sono degli uomini riusciti male al buon Dio…E mi sembra assurdo che la flotta
stellare del 27° secolo abbia affidato ad un equipaggio tutto d’italiani le prime esplorazioni
temporali pianificate…”.
“E perché mai?”, chiese il vulcaniano sempre più stupito.
“Perché gli italiani non hanno il senso del tempo, ecco perché…Ma non la ricorda la
barzelletta che si raccontava in accademia?”
“Barzelletta, cos’è? Un soliloquio con un acne umoristico?”.
“Pressappoco…Insomma la barzelletta recitava così…Ci sono un bambino vulcaniano, un
bambino klingon e uno italiano…”.
“Dove sono ubicati?”.
“Dove? Che ne so, su Risa, ecco su Risa…”.
“Mi pare alquanto improbabile la presenza di vulcaniani su Risa…”.
“E va bene, facciamo un bambino andoriano, uno klingon e uno italiano, ok? Quindi,
l’andoriano fa…Mio padre lavora sulla rotta tra la Terra e le colonie di Giove…”.
“Nessun andoriano lavora su quella rotta, ne sono sicuro…”.
“Andiamo, Spock, è solo una battuta…”.
“Capisco…”.
“Allora, dicevo, l’andoriano dice che il padre lavora sulla rotta Terra Giove, e che finisce il
suo turno ogni sera alle venti, ma possiede una navetta così veloce che alle venti e trenta
è a casa pronto per cenare…Al che il bambino klingon, che non vuole essere da meno,
dice che suo padre lavora sulla stessa rotta, ma che ha una navetta ancora più veloce, e
pur smettendo il suo turno alle ore venti, alle ore venti e un quarto è già pronto a casa per
cenare…Il bambino italiano, allora, li redarguisce entrambi, e dice che anche suo padre
lavora sulla rotta Terra Giove, e che anche suo padre finisce il turno alle ore venti, ma è
pronto a casa per cenare alla 19.30…Eh…?”, ridacchiò McCoy cercando di cogliere nel
volto di Spock un sorriso.
“Non capisco la presunta ironia di questa cosiddetta barzelletta…”.
“Ma come? L’italiano dice che suo padre è a casa mezz’ora prima della fine del suo
turno…”, cercò di spiegare il dottore.
“E allora?”.
“Gli italiani se ne infischiano del dovere e degli orari e fanno solo i loro comodi…”.
“E lei crede ad una barzelletta?”.
“Oh mio Dio Spock, perché è così maledettamente cocciuto?”, sbuffò McCoy proprio
nell’istante in cui Kirk sbucò alle loro spalle.
“State andando al meeting con il capitano Fermi?”, chiese il capitano.
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“Come da lei ordinato…”, rispose il suo primo ufficiale.
“Spock non crede che gli italiani sono superficiali e approssimativi…”, disse il dottore
cercando conforto alle sue parole.
“Beh, sono anche tante altre cose, creativi, passionali, generosi, altruisti, disponibili…”, gli
fece eco James T.
I tre si presentarono in sala riunioni in pochi istanti. Ad attenderli, puntuale, il capitano
Fermi e due giovani ufficiali della sua nave, seduto alle stesso tavolo vi era anche Scotty
che stava chiacchierando amenamente con uno degli ospiti, una bella ragazza mora di
chiara estrazione mediterranea.
“E’ un piacere rivederla, capitano…”, disse Kirk.
“Il piacere è mio, ho fatto interfacciare il computer della Marconi con quello dell’Enterprise
per trasmettere sul vostro schermo le specifiche della nostra missione…Il suo primo
ufficiale mi ha dato il permesso…”.
“Sono al corrente…”, rispose James T. mettendosi a sedere.
“Ecco, penso che lei riconosca quest’uomo…”, disse Fermi mentre sullo schermo appariva
l’immagine
di
Khan.
”Ovviamente, è il dittatore Khan Noonian Singh, lo abbiamo incontrato qualche tempo fa a
bordo della sua nave, la Botany Bay…”.
“La nostra missione riguarda lui…Ma anche qualcosa d’altro, ci risulta, infatti, che lei e
parte del suo equipaggio, il qui presente signor Scott, il dottor McCoy e il tenente Uhura
abbiate anche fatto un viaggio in quello che viene conosciuto come l’Universo dello
Specchio, una realtà alternativa alla nostra dove la Federazione è una brutale e
sanguinaria associazione di pianeti che ha sottomesso l’intero quadrante con metodi
discutibili…”.
“Sì, anche questo risponde a verità…”.
“Ebbene, dopo la vostra visita questa realtà alternativa ha preso una ben altra strada…E
in breve la Federazione è stata sottomessa da un’alleanza Klingon – Cardassiana e la
razza umana tratta in schiavitù…E questo solo per colpa vostra…”.
“Ma noi non potevamo saperlo…”, borbottò McCoy.
“La prego, dottore, non mi risponda tutte le volte nello stesso modo…”, sbuffò Fermi.
“Comunque, per farla breve, il Khan della realtà alternativa, un essere normale, per nulla
modificato geneticamente, è stato convinto dal mio alter ego dell’universo dello specchio,
di andare nel nostro passato a prendere il nostro Khan, il crudele dittatore, e di portarlo
nella loro realtà per guidare la razza umana e riscattarla dalla schiavitù in cui è caduta…”.
“Capitano Fermi, non ho capito bene…”, disse Scotty. “Me lo spieghi come se fossi un
bambino di tre anni…”.
“Quello che il nostro amico vuole dire…”, intervenne Kirk. “E’ che abbiamo fatto un guaio e
dobbiamo rimediare…”.
“La Botany Bay che è qua fuori non ha a bordo Khan, il quale si trova nell’Universo dello
Specchio a governare l’Umanità… Noonian Singh deve salire su quella nave, è
inevitabile…”, spiegò Fermi.
“Ma come possiamo aiutarla…?”, domandò Spock.
“Dobbiamo tornare indietro nel tempo, ed aiutare le autorità del XX secolo a far salire
Khan sulla Botany Bay…”.
“Indietro nel tempo e dove?”, chiese McCoy frastornato.
“Che domande? A Roma…Perché se no sarebbe stata mandata la Fermi a compiere
questa missione…”.
“Già, perché se no?”, disse Spock guadando il suo amico dottore e nascondendo dietro un
ghigno un sorriso stellare.
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Le mura fredde e spesse alte diversi metri poco o nulla avrebbero protetto Khan e il suo
amico dello Specchio da una squadra di agenti speciali delle Nazioni Unite. La salita
elicoidale che portava alla cima di Castel Sant’Angelo era piena di turisti che approfittando
della bella stagione e della Pace che, a fatica, si era raggiunta in tutto il mondo, tornavano
a viaggiare. Si udivano lingue tra le più disparate, dal giapponese allo spagnolo, dal
portoghese al tedesco, tutti in fila per raggiungere la terrazza dell’Angelo da cui si poteva
vedere tutta Roma. L’ex dittatore di quasi i due terzi del mondo si faceva strada con le
mani e si guardava indietro ad ogni passo; accanto a lui, il suo alter ego, frastornato e
confuso, cercava di stargli dietro, ma non aveva la sua esuberanza e il suo scatto. Una
volta, quella che era stata la Mole Adriana, aveva protetto i papi per secoli e Khan, che
come il papa, aveva regnato su miliardi di individui, non poteva rassegnarsi ad essere un
uomo braccato, vilipeso, osteggiato, odiato e chi più ne ha, più ne metta…Il suo corpo
straordinario, reggeva bene la fatica della corsa e i suoi occhi vispi e spiritati guardavano
ben più lontano di ciò che avevano semplicemente innanzi.
Quando giunsero all’anello esterno, per un attimo entrambi furono rapiti dal panorama. Il
Tevere tagliava in due la città come una grande arteria che pulsa sangue e vita nel corpo.
Le sue acque bionde e ribollenti di corrente cavalcavano sotto i ponti, antiche vestigia di
un passato glorioso. Per un lungo istante Khan si rese conto perché amasse tanto quella
città, la grandiosità di una cultura che aveva dominato la terra e che, a distanza di quasi
mille e cinquecento anni dal crollo dell’impero, lasciava ancora segni tangibili della sua
esistenza…Ma non c’era tempo per pensare a questo, fece segno al suo alter ego di
seguirlo e scansati alcuni turisti polacchi che indicavano da lontano il cupolone di San
Pietro, imboccò con sicurezza una porta a sinistra. Aveva visto bene…Un museo di armi e
divise d’epoca, passò in rassegna rapidamente le vetrine espositive, poi in una notò
alcune lunghe alabarde, rotto il vetro si impossessò di una delle lance, dandone un’altra al
suo compagno. Poteva almeno difendersi, anche se rozzamente…Ora bisognava
raggiungere il camminatoio che portava al Vaticano, aveva studiato che i papi se ne
servivano per lasciare la chiesa culla del cattolicesimo e rifugiarsi nella loro fortezza, lo si
vedeva benissimo dall’alto, una sorta di lungo ponte che ora tagliava la città ma che un
tempo si perdeva tra i quartieri popolari della Roma papalina…
Fece cenno al suo se stesso dell’universo dello Specchio di seguirlo, aveva visto che poco
vicino alcune scale introducevano agli appartamenti che erano già stati del pontefice Paolo
III, sicuramente costui aveva creato un passaggio diretto dai suoi appartamenti al
camminatoio, almeno così sperava…Salì con violenza le scale che lo portavano alla meta,
gettando a terra alcuni passanti di origine tedesca, quindi si ritrovò immerso in una sala
riccamente affrescata dove un custode in divisa cercò di fermarlo. Fu affare di pochi
secondi liberarsene, così poté gettare uno sguardo attorno a sé e vedere delle scale ripide
e strette che si inerpicavano verso l’alto. Non era la direzione giusta, ma era l’unica via di
fuga, oltre al tornare indietro e, tornare indietro, non era un’opzione accettabile.
Divorò gli scalini con la veemenza di un toro infuriato, ma quando giunse alla fine
dell’ascesa non si trovò sulla via di fuga papalina che lui aveva sognato, ma bensì in una
grande e vasta terrazza dove troneggiava con la spada in pugno l’Angelo spadaccino che
aveva indicato a Gregorio Magno, quasi mille e cinquecento anni prima, la via da seguire
per salvarsi. Era giunto alla terrazza di Tosca, dove venivano fucilati i condannati dallo
stato Pontificio, era giunto in uno dei luoghi più alti di Roma, dove si dominava l’intera città
senza bisogno di essere un imperatore; ma era giunto anche alla fine della sua corsa.
“Cosa facciamo?”, chiese il Khan dell’Universo dello Specchio una volta ripreso fiato.
“Non mi arrenderò mai…”, rispose il suo alter ego.
“Io sì…”.
“Ma cosa dici? Non vorrai…”.
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“Sì, voglio proprio questo, è troppo importante che tu raggiunga il mio universo, che guidi
la razza umana alla rivolta contro la dittatura aliena, è troppo importante…Mi consegnerò
agli agenti di sicurezza, siamo identici in tutto e per tutto, del resto…Tu nasconditi…Ed
aspetta il momento del rendez vous con la nave che ti porterà nel mio mondo, sai già dove
dovevamo incontrarli…”.
“Se il mio intelletto è superiore la tua anima è superiore alla mia, amico…”, disse il Khan
geneticamente modificato. Quindi si guardò intorno e vide che, a parte lui e il suo alter
ego, in terrazza vi erano due giovani innamorati che si sbaciucchiavano su una panchina e
un uomo che indossava un impermeabile e un cappellino, si avvicinò di soppiatto a
quest’ultimo; lo tramortì con un pungo reggendolo senza farlo cadere a terra, gli sfilò i suoi
indumenti, gli mise nelle mani la lancia che aveva portato con sé e lo gettò oltre la
balaustra. Indossò il soprabito e il berretto e dopo aver dato un cenno di assenso al suo
altro sé stesso si posizionò come se stesse guardando l’orizzonte. In quell’istante una
dozzina di agenti irruppero, da due scale diverse, sulla terrazza.
“Mi hai fatto chiamare, capitano Kirk?”, chiese Fermi da bordo della Marconi.
“Sì, abbiamo scoperto una cosa molto interessante…”, rispose James T. con il solito
sguardo rabbuiato di quando scopriva che qualcuno cercava di ingannarlo.
“Sei in ritardo sul nostro rendez vous avremmo dovuto vederci cinque minuti fa per
cominciare la missione…”.
“In effetti ho qualcosa da mostrarti…Signor Spock…”, concluse facendo segno al
vulcaniano che subito armeggiò con i comandi della sua postazione. “Come vedi, Khan
Noonian Singh si trova a bordo della Botany Bay…”, sentenziò Kirk compiaciuto.
“Vedo e sono perplesso…”, rispose Fermi decisamente contrariato. “Tenente Gentile…”,
gridò a più non posso rischiando di mandare in tilt il sistema di comunicazione e le
orecchie della povera Uhura che subito abbassò il volume della conversazione.
“Cosa gli prende, adesso?”, chiese Mc Coy che era giunto in plancia quasi di soppiatto.
Dalla Fermi si udivano frasi concitate e grida soffocate, come se qualcuno avesse lasciato
la comunicazione inserita e stesse goffamente cercando di occultarla poggiando una
mano sul microfono.
“Capitano Fermi…Capitano Fermi, mi risponda…”, disse Kirk infastidito dal contrattempo.
“Sì, sì…”, balbettò la voce dell’italiano ritornata quasi normale.
“Cosa è successo?”.
“Ho fatto quattro chiacchiere con il mio storico di bordo il tenente Gentile…Mi ha appena
informato che la previsione che Khan si trovi su quella nave è remota, in effetti l’unica
spiegazione che anziché essere il reale Noonian Singh, in qualche modo sia il suo alter
ego dello specchio che ne ha preso il posto…”.
“…Ed allora?”, chiese James T. piuttosto infastidito.
“Allora la missione diventa non solo necessaria ma impellente, dobbiamo assolutamente
tornare indietro nel tempo e rimettere le cose a posto…”.
“Ma capitano…”, mormorò Spock all’indirizzo di Kirk. “E’ tutto maledettamente campato in
aria…Come può l’ufficiale comandante di una nave stellare agire con tanta
approssimazione…”, concluse il vulcaniano.
“Come le dicevo, sono italiani…”, commentò Mc Coy sarcastico.
“Bones…”, lo redarguì James T. “Ho deciso che seguiremo le indicazioni del capitano
Fermi del resto ci ha dimostrato con prove tangibili che ci si può fidare di lui…”.
“Come ordina…”, disse Spock reclinando il capo.
“Siamo pronti ad iniziare la missione…Il problema è: dove si trova il vero Khan?”, chiese
Kirk.
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“Una volta rimasto solo, privo del suo alter ego, Khan deve raggiungere il punto di incontro
con gli uomini dello Specchio che lo devono condurre nel loro universo alternativo…Là
siamo sicuri di beccarlo…”.
“Beccarlo?”, chiese Spock non riuscendo a capire l’espressione.
“Catturarlo…”, tradusse per lui Mc Coy.
“E dove sarebbe questo punto di incontro…?”, chiese James T.
“Lei conosce Khan, Jim…Trovandosi a Roma, dove crede che abbia dato appuntamento
ai suoi nuovi amici…?”.
“In un posto dall’indubbio fascino storico e imperiale, potrei dire il Colosseo, a quei tempi
era ancora in piedi…”.
“Già, e poi è un ottimo luogo dove nascondersi, soprattutto di notte…”, gli fece eco Fermi.
“E’ proprio lì che lo troveremo…”, concluse l’italiano sovraccaricando con una sonora
risata il sistema di comunicazione.
L’Anfiteatro Flavio troneggiava da quasi duemila anni sulla città di Roma. Costruito in
prossimità di quello che era stato il lago artificiale della Domus Aurea, la reggia di Nerone,
per far dimenticare lo sfrenato dispotismo dell’imperatore piromane e cancellarne tutte le
tracce, il Colosseo, come era stato battezzato dopo, aveva un fascino che travalicava i
secoli. Il suo ovale spezzato, la sua roccia brulla, depredata dei bianchi marmi che
probabilmente la ricoprivano, la sua maestosa crudeltà, che aveva visto morire innocenti
sotto le più atroci sofferenze, ridicolizzata da frotte di turisti ignoranti, erano l’emblema
stesso della grandezza e della vacuità delle cose.
“Tu sei come me, monumento ad una grandezza che non esiste più…Entrambi siamo
sopravvissuti alla nostra utilità, non noti un sottile senso d' ironia?”, chiese Khan a se
stesso e all’immensa costruzione che lo ospitava, proprio sotto uno dei suoi archi. “Ora,
qualcuno verrà a prendermi e mi condurrà nei miei nuovi domini, e spero di trovar fortuna
là dove l’ignoranza umana non può arrivare…”.
Sul finire di quelle considerazioni udì un sibilo, un alternarsi modulato di suoni che
sembravano provenire dal nulla. Si guardò intorno e si accorse che ad una decina di metri
da lui, proprio dove i raggi della luna non riuscivano ad arrivare, una qualche forma di
energia si stava materializzando. Non aveva mai visto un fenomeno del genere ma, forse
grazie al suo intelletto superiore, non ne rimase troppo sorpreso. “Una qualche forma di
teletrasporto…”, pensò tra sé e si mise in guardia, pronto per ricevere l’ospite. Questi non
tardò a farsi vedere e si materializzò innanzi a lui. Si trattava, senza ombra di dubbio, di un
essere umano, alto e robusto, con un grande sorriso stampato in faccia e una mano
protesa in atto di saluto.
“Sono Marco Fermi, eccellenza…Sono venuto a prenderla…”.
“E’ venuto per portarmi sul suo mondo?”, chiese Khan meno spavaldo del solito.
“No, non proprio, sono venuto a portarla nel mio mondo ma nel suo tempo, io vengo
dall’universo, come lo chiamate voi, dello Specchio, ma anche dal futuro…”.
“Capisco…”.
“Certamente, la sua mente geneticamente modificata glielo permette, nessun umano di
quest' universo e di questo secolo potrebbe capire cosa ho appena detto, se non persone
come lei…”.
Proprio in quel momento un altro sibilo, simile al primo, s' interpose tra le loro parole.
Marco Fermi guardò Khan e gli fece un segno inequivocabile. L’ex dittatore si defilò
rapidamente dietro uno dei grandi pilastri dell’immensa struttura e si mise in posizione di
attesa; il suo estemporaneo compagno d’avventura, invece, si armò e si posizionò a pochi
metri anch’egli al riparo di una struttura muraria. Nel frattempo, Kirk, Spock e il capitano
della Marconi, si materializzarono in un cono d’ombra proprio sul bordo dell’immenso
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catino del Colosseo. In quella situazione tattica fu davvero questione di secondi e il fuoco
dei faser illuminò istantaneamente l’aria. Il primo a sparare fu Marco Fermi che sfiorò
James T. alla spalla sinistra; la reazione fu immediata e prima un colpo del vulcaniano e
poi quello dei suoi compagni saettò tra il buio e il silenzio dell’antico monumento. Quella
lotta riecheggiò antiche e più cruente battaglie che avevano insanguinato l’arena
dell’Anfiteatro Flavio. Sembrava quasi che le grida dei gladiatori sgozzati e dei leoni
ruggenti si innalzassero verso il cielo; Khan, che era forse l’unico dei pugnanti che poteva
avvertire la grandezza del luogo, si armò di un fervore inatteso e, armato delle sue sole
mani, si lanciò contro coloro che riteneva nemici. Marco Fermi, vedendolo allo scoperto,
cercò in qualche modo di proteggerlo, ma inutilmente. L’ex dittatore si avventò contro Kirk
e lo mise quasi subito al tappeto, poi atterrò anche il suo corrispettivo del 27° secolo
facendolo sbattere violentemente contro una ringhiera in ferro; solo Spock, dotato di una
forza sicuramente superiore a quella dei due compagni umani, reagì prontamente e sferrò
a Khan un pugno in pieno petto. Il vulcaniano stava quasi per avere la meglio, quando
Marco Fermi sparò un preciso colpo di faser e lo tramortì.
“Lo ha ucciso?”, chiese Noonian Singh.
“No, non è necessario…Preferisco non lasciare cadaveri in giro…”.
“Già…”, mormorò l’ex dittatore guardando i tre avversari a terra, privi di sensi.
Fu proprio in quel momento che James T., rivenuto provvidenzialmente, diede un calcio
ben assestato a Khan e gli fece perdere l’equilibrio facendolo cadere addosso a Marco
Fermi; questi cercò di tenersi in piedi ma per non cadere allentò la presa dal faser che gli
scivolò dalle mani. Era l’occasione che Kirk stava aspettando: sfilò dalla cintura la sua
arma e fece fuoco due volte con estrema precisione. In un secondo, accanto al corpo privo
di sensi di Spock, giacevano quelli dei due avversari definitivamente sconfitti.
“Mio Dio Jim, che botta…”, disse il capitano Fermi rinvenendo e guardando il suo alter ego
ridotto all’impotenza. “Pare che abbiamo concluso la missione…Non ci resta che lavorare
di teletrasporto e portare questo Khan sulla Botany Bay…Il mio alter ego dello specchio e
l’altro Noonian Singh nel loro universo, e noi tre a casa…”.
“Ma cosa ti assicura che non tenteranno di rifare la stessa cosa?”, chiese James T.
porgendo una mano a Spock che si stava riprendendo.
“Siamo capaci di sigillare le linee temporali, Jim…Prenderemo i giusti provvedimenti…Non
preoccuparti…”.
“…A quanto ho visto siete capaci di fare molte cose, non capisco proprio perché avete
coinvolto me e il mio equipaggio in questa avventura, sono sicuro che tu e i tuoi ufficiali
avreste potuto benissimo risolvere il tutto da soli…”.
“Ti potrei dare una qualunque spiegazione, ma ti dico solo che per me è stato un onore
lavorare con te e i tuoi uomini, del resto dimenticherete tutto, fino al nostro prossimo
incontro…”.
“Ci rincontreremo?”, chiese Kirk decisamente incuriosito.
“Oh, ma certo, almeno un’altra dozzina di volte, stanne certo, e il dottor Mc Coy racconterà
sempre la stessa barzelletta, quella dei tre bambini, l’andoriano, il klingon e l’italiano…”.
“Quale barzelletta?”, chiese James T. più che perplesso.
“Cosa è successo?”, intervenne Spock guardandosi intorno.
“E’ successo che tutto è finito…Mio caro amico dal sangue verde…”, gli rispose Fermi
sorridendo. “E devo essere in plancia in minuti perché il mio turno scade alle venti…”.
E subito una nuvola di energie li avvolse illuminando di una luce evocativa quelle rocce e
quelle pietre che ricordavano, a distanza di millenni, la grandezza di Roma Imperiale.
“Quali sono gli ordini, capitano?”, chiese Spock appena vide Kirk presentarsi in plancia.
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“Lasciamo l’orbita di Capella, il dottore mi ha appena informato che il piccolo figlio della
reggente e del re ucciso, sta bene…”.
“Come lei desidera…Signor Sulu inserisca la rotta…”, disse il vulcaniano con la sua solita
efficienza, proprio nel momento in cui McCoy si presentò in plancia.
“Salve Bones, finito il suo turno in infermeria?”, gli chiese James T.
“Ho lasciato Chapel a svolgere il mio lavoro e sono venuto qua su ad oziare…”, rispose il
medico.
“…Non potrebbe oziare in qualche altra parte…”, lo redarguì Spock.
“In effetti…No, ho una barzelletta fresca fresca raccontatami dal comandante Giotto…”.
“Barzelletta, cos’è? Un soliloquio con un acne umoristico?”, chiese il vulcaniano.
“Pressappoco…”, rispose Kirk trattenendo a stento le risa.
“Sentiamo questa cosiddetta barzelletta…”.
“Allora…”, iniziò Mc Coy. “Ci sono un bambino andoriano, uno klingon ed uno italiano
che…”.
…E l’Enterprise sfrecciò come una stella cometa fuori dall’orbita di Capella in direzione
della sua prossima meta.
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