Un vigneto nuovo... di 100 anni

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Un vigneto nuovo... di 100 anni
Anno 1 - N° 2 - Giugno 2016
Un vigneto nuovo... di 100 anni
Abbiamo molto riflettuto sulla necessità, graduale, di
poter aumentare la nostra produzione.
Dopo una lunga ricerca e aver visto diverse particelle
di terreno, la nostra scelta è - convintamente - andata
verso una vigna posta in strada Cavallara, molto
vicino a Monzambano, ma facente parte il comune di
Cavriana.
La vite, un tempo, era solo uno degli alberi coltivati in un
campo, pertanto non era importante la forma di crescita
che veniva a formarsi
Frazionare l'impegno tra Ponti sul Mincio e questo
"nuovo" vigneto non è stata una scelta semplice.
Da un lato vi era la legittima idea di espandersi in
zone limitrofe, dall'altra la radicata convinzione che i
vigneti non sono tutti uguali, ma frutto di esposizioni,
vitigni, portainnesti e soprattutto terreno, diversi.
Ci siamo fatti guidare dal cuore, sapendo che il tempo
avrebbe giustificato anche con ragione la nostra
decisione. Sette o otto chilometri sono poca cosa per
le distanze a cui oggi siamo abituati, ben diverso è il
discorso quando si tratti di organizzare la gestione del
vigneto.
Non vi erano pali di sostegno, gli aberi come i faggi, olmi
e mandorli, venivano utilizzati come supporto per le viti.
Ma ne vale la pena. Mi sono detto che la strada
intrapresa era da percorrere fino in fondo. Se si vuole
il massimo, non è prendendo in affitto il vigneto del
proprio vicino, ma riflettendo sul massimo che un
terroir possa offrire. Anche a costo di complicarsi la
vita.
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conferendo complessità alle uve e, successivamente,
al vino.
Sulla dorsale più inclinata troviamo una bella distesa
di Merlot a cordone speronato, con 5 o sei gemme per
pianta. Ci ha convinto particolarmente l'esclusione dei
portainnesti classici della zona, ovvero il Kober o l’
SO4. Supporti che rispondevano a situazioni lontane,
dove la quantità era l'unico parametro da seguire.
Proseguiremo la nostra impostazione di non superare
i 50 quintali per ettaro di uva fresca, al fine di avere
prodotti eccellenti, dalle grandi caratteristiche
organolettiche, escludendo ogni forzatura in cantina,
ovvero la completa esclusione della chimica di sintesi
e della temperatura controllata.
Il grande capolavoro, "coup au coeur" viene però
dal vigneto limitrofo, con le medesime condizioni di
terroir: siamo di fronte ad un vero "phanteon" della
viticultura gardesana.
Una specie di grotta di Altamira del vino morenico:
come il ritrovamento della stele di rosetta della
viticoltura del basso Benaco.
Il nuovo vigneto di Merlot a 175 metri di altezza. Nessun
tipo di diserbo, qui in piena fioritura di tarassaco
Un vigneto perfettamente integro impiantato nel
1922!
Eccoci all'inizio di un nuovo progetto, altrettanto
entusiasmante, quello di valorizzare due particelle
diverse, accomunate da un'esposizione a pieno Sud,
per cui diverse da quelle di Ponti sul Mincio.
Siamo a 175 metri d'altezza, una delle più alte colline
della zona, da un lato la chiesa parrocchiale del paese,
dall'altro si scorge l'immancabile presenza del monte
Baldo oltre la torre di San Martino ed un lessico
ininterrotto di dolci gobbe moreniche, ed ancora
più in fondo, alla fine dello sguardo tutta la dorsale
delle alpi: il paesaggio è un elemento fondante in
agricoltura biodinamica.
Il terreno è perfettamente argilloso, creta bianca
arida e molto compatta, sempre asciutta e davvero
poco fertile, posto sulla vetta della collina provoca
condizioni termiche ed idriche molto accentuate.
La grande pendenza enfatizza i raggi solari, risultando
una zona arsa dal sole, foriera di temperature estive
altissime e di altrettanti sbalzi termici notturni, non
appena il sole tramonti dietro la successiva collina.
Questi giochi di coni d'ombra mutano repentinamente
le temperature, specie d'estate o in pieno inverno, Vite piantate nel 1922
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Non esistevano veri "filari" e la distanza tra le file
era assai ampia in quanto veniva coltivato nel mezzo.
Proprio come un campo di grano o erba medica
destinata alle colture seminative.
Non si sprecava neppure un millimetro di terra!
Inconsapevolmente, ma con la saggezza, la quale è
dote assai più alta del sapere stesso, questa disposizione
conferiva molta qualità alle uve, immergendo tutto il
coltivato in quella che oggi chiamiamo "biodiversità",
ponendo in seria competizione le varie specie.
Le vigne erano intervallate a gruppi di 5 o 10 da un
albero, spesso un faggio o un mandorlo, supporti
vivi per il proto-filare. Frequenti erano le "alberate"
ovvero le viti "maritate ad una pianta", manifestando
la vera natura ampelografica dell'uva, ovvero quella
d'esser una specie appartenente la famiglia delle liane.
Tutta questa realtà è ancora presente in quella porzione
di vigneto su in collina, sulla cima d'un monte d'argilla
Le piante di vite venivano moltiplicate sotterrandone i sassosa esposto a Sud, avremo maniera di parlane
rami, quindi si formava un nuovo albero, non innestato, diffusamente, per ora gustatevi queste immagini.
a piede franco
Un miracolo per il quale vogliamo qui ringraziare
tutti coloro che da quasi un secolo, con passione e
dedizione, se ne occupano. Generazioni di agricoltori
di cui non conosciamo più il nome, gente che
idealmente fa da ponte con l'antichità dell'enologia, la
quale riappare sotto i nostri occhi con vigne secolari
e - udite udite - a PIEDE FRANCO.
Ora è presto per determinare con precisone i vitigni,
anche se pare abbastanza confermata, cosi come
correttamente accatastato presso il registro vinicolo
nazionale - la presenza di Trebbiano, Bianca Fernanda
(Cortese) e Rossanella.
Di più non possiamo dire in questa fase, perché la In questa immagine si può notare la grande ampiezza dei
stagione non ancora avanzata non permette di andare filari, i quali erano utilizzati come campo seminativo per
nel dettaglio, è certa la presenza di vitigni ormai l’erba medica, il grano o più recentemente il mais
scomparsi e che speriamo d'aver la forza di poter
salvare. E salvaguardare.
Non sorprenda il lettore questa pluralità, o meglio
incertezza, nel descrivere i cultivar presenti in questo
lembo di bel terroir morenico, infatti un tempo, fino
alla seconda guerra mondiale, i vigneti non venivano
piantati per monovitigno, così come facciamo ora.
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Terroir
Seconda parte
Gli scogli nel vigneto
Se dovessimo riscontrare direttamente la complessità
lapidea dei terreni morenici, dovremmo aspettarci vini
“verticali”, di grande complessità minerale. Invece
sappiamo bene che le cose non sono così, infatti la
rotondità unita al buon corpo sono le caratteristiche
salienti del nostro terroir.
Eppure la miscela caotica di sassi composta da
granito, quarzo, dolomite, calcare, pietra e marmi di
vario genere non è portatrice di quei toni sfaccettati
che possiamo trovare in molte altre zone di vocazione.
Il fatto è che non vi è alcun parallelo diretto tra la Carattere tufaceo di alcune pietre, memoria di passata
presenza d’acqua
composizione dei terreni e il gusto del vino.
Sia ben chiaro: la terra è determinante nel bouquet
e nella genesi delle componenti olfattive e gustative
del vino, ma non c’è alcuna correlazione diretta tra
il contenuto della bottiglia e il contenuto del terreno.
I gusti e i profumi del vino sono generati da una
somma davvero complessa di fattori.
Del resto lo stesso termine “minerale” è entrato in uso
in tempi piuttosto recenti e - consultati molti esperti non trova davvero una definizione comune.
Alcuni sovrappongono tale significato con quello
che un tempo veniva descritto, sensorialmente, come
“canna di fucile”: a riguardo è interessante ricordare
che in francese, questo aroma, è denominato come
“pierre à fusil” (letteralmente: pietra da fucile).
Il dizionario del vino cosi lo descrive: “cet arôme
associé à la minéralité (silex chauffé), au fumé
(poudre brûlée)”, ovvero “questo aroma associato
alla mineralità (selce scaldata), al fumé (polvere
bruciata)”. E in effetti se volessimo farci un fuoco
sfregando due pietre, otteremmo strane esalazioni
simili all’odore dello zolfo e della polvere da sparo.
Il Merlot a Cavriana. Come si può notare la sommità del
monte è la meno fertile: la migliore
Altri, ancora, identificano la mineralità con l’acidità,
quasi che un vino tendente “all’amabile” non possa
esprimersi con note minerali.
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La presenza di argilla è indice di bassa fertilità, un terreno
con ph fortemente alcalino, ideale per la vite, l’ulivo e il fico
La prevalenza di sassi rispetto all’argilla, tipicità morenica
che dona corpo e rotondità ai vini
I Reasling della Mosella, alfieri di tale caratteristica, La buona disponibilità di fosfati apporta ulteriore
anche se talvolta vinificati con molti residui di anaerobiosi del terreno: le viti si sforzano di più per
zuccheri (ad esempio quelli con predicato Kabinett o compiere il loro ciclo vitale.
Spatlese) conservano bene la loro spina acida.
Parafrasando un’espressione dialettale: le viti si
I vini rossi morenici hanno normalmente un buon sforzano di più per “respirare”, ed il risultato di questo
corpo coniugato a note tendenti ai profumi di frutti processo è il corpo dei vini al quale alludevamo prima.
blu, ed i bianchi esprimono spesso le note floreali:
una condizione succulenta che pare inspiegabile In questo sforzo di vita si avvia un’attività di
alla luce delle moltissime pietre disseminate tra le concentrazione polifenolica, specie sui rossi, che
nostre colline, ulteriore conferma della mancata porterà i vini a caratterizzarsi per dei tannini piuttosto
tondi. I sentori di mora e mirtillo derivano da questi
corrispondenza tra terra e risultati vinicoli.
scambi fisici, portando a naturale esaltazione vitigni
Dunque come si generano le caratteristiche del Garda come Merlot e Cabernet, i quali anche in affinamento
Colli Mantovani? Una spiegazione va individuata nel mantengono il loro caratteristico Rosso Rubino,
rapporto tra sassi e terra, rapporto che nelle nostre esaltando tutta il potenziale fruttato della Rondinella.
colline è quasi paritario, se non addirittura favorevole
È pertanto con sforzo che le nostre vigne ci consegnano
alla componente sassosa.
i vini del Garda. Lo sforzo della pianta è disposizione
Il silice di derivazione organica è quasi assente, necessaria se il nostro intento è quello di produrre
mentre trionfano argille ed altre componenti gessose: qualità. Lo stress è altro argomento, ma a nostro
è un terreno poco permeabile all’aria, che in assenza avviso la vite nasce per adattarsi anche a terroir di
di acqua diventa duro ed asfittico (ricordiamo che fino scarsa sostanza orgniza come il Garda (ma pensiamo
alla fine degli anni ‘60 non vi era irrigazione e per alle crete senesi... forse che il Brunello e ancor più il
Nobile di Montepulciano non siano grandi prodotti?).
nostra filosofia da Josef non si irriga la vigna).
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A mio modesto parere genera molto più stress
alla vigna l’uso della chimica di sintesi. Quando
s’introducono direttamente nella linfa della pianta
prodotti sistemici, oltre all’alterazione del ciclo
naturale della pianta, andiamo a compiere un atto
contrario alla complessità gustativa dei vini.
Insomma ogni alterazione agronomica è un’illusione
all’estetica gustativa nel vino.
I molti sassi dei Colli Morenici sono come scogli nel
vigneto, senza contare che molta parte di essi, hanno
caratteristiche di pietra tufacea e con il mare sono
strettamente imparentati, ricordandoci il tempo in cui
le nostre alture erano sommerse dal ghiacciaio, prima,
e dalle acque del suo discioglimento, poi.
Il caos geologico che ritroviamo sotto i nostri
piedi mentre camminiamo le vigne moreniche è
testimonianza del complesso percorso da cui i terreni
sono stati generati. Ma il rapporto tra la parte gessosa
e quella lapidea (pietre), è il vero responsabile di
quasi tutte le caratteristiche che ci fanno riconoscere
i nostri vini.
Tutto il resto lo fa il Sole.
Una pietra bianca ricca di gesso, componente
maggioritaria nei terreni dei colli mantovani
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Garganega
2015
Un brut nature dalle argille del Benaco
I vini frizzanti sono stati sdoganati da un consumo
trasversale, ed è venuto il momento di ragionarci sopra.
Non volevamo fare un bianco qualsiasi, ed i nostri
sforzi in cantina erano rivolti alla preparazione del
Rubino.
Detesto la definizione "bollicine", un vezzeggiativo
che non riconosce merito al processo, complesso
e delicato, che porta alla preparazione di un vino
rifermentato. Se da un lato fa piacere il ritrovato
interesse per i "metodo classico", i frizzanti sono
ancora chiusi in un limbo intermedio, complice il fatto
che larga parte del pubblico non sappia la diversità tra
una bolla e l'altra.
Eppure vi è un abisso tra le varie definizioni in un
"vin pétillant". E dietro ogni definizione c'è una storia
molto lunga.
Progettare un Metodo Classico in questa fase iniziale
era da escludere. Un grande spumante necessita
di due cose: un luogo di stoccaggio ed affinamento
particolare ma, soprattutto, tanti anni di riposo.
Molto più in linea con il nostro percorso è un vino
fermentato con i propri lieviti indigeni che svolge
un'ulteriore fermentazione (detta rifermentazione) in
bottiglia.
Un vino frizzante di antica tradizione, anche se a me
piace pensare che sia l'unico metodo possibile per la
presa di spuma. Non amo i grandi tank di forzatura,
le bolle devono formarsi l'una diversa dall'altra nella
singola bottiglia.
Questo ci permetterà di esprimere l'identità del
territorio gardesano e morenico (come non ricordare
a tal proposito i bianchi di Custoza, il lato sinistro
del Mincio!). I Colli sono sempre stati identificati
con vini di grande freschezza, disinvolti ed al tempo
stesso adattabili in qualsiasi situazione. Ed io ho
voluto inserirmi in questo solco, ma l'ho voluto fare
con il mio singolo punto di vista.
Sarà una Garganega in purezza, coltivata a Ponti Sul
Mincio con esposizione nord (finezza): nel pieno dei
rilievi argillosi.
In questo millesimo abbiamo tenuto una resa davvero
bassa (circa 35 q/ha d'uva). Il risultato è un vino di
grande corpo, con profumi che evolvono. E' dotato
in una particolare "spina acida" che lo accosta in
maniera eccellente alle crutites di mare cosi come
ad ogni cibo schietto, ad esempio i predatori d'acqua
dolce: il luccio, il persico e la trota.
Il vitigno potrebbe ricordare a qualcuno il ben più
importante, commercialmente parlando, vino Soave.
La differenza di terroirs incide molto sui vini che se ne
ricavano: minerali le garganeghe vicentine, rotonde e
fruttate quelle gardesane.
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Nessuna filtrazione per preservare quel legame
con la storia, la terra ed il paesaggio che la parte in
sospensione può esprimere.
Un brut nature allevato a cordone speronato, rivolto
verso il massiccio del Baldo, ad un paio di km dalle
acque del Benaco.
Applicando l'agricoltura Biodinamica, ci siamo messi
in frequenza - anche noi - con il rimo dei pianeti.
Coltivando nei momenti indicati, senza lasciare al
caso proprio nulla, guardando ogni componente del
campo come qualcosa di utile e connesso.
Mentre assaggio nuovamente la Garganega 2015,
penso di aver fra le mani un prodotto antico e poco
conosciuto, il quale ha ambizioni grandi e umili al
tempo stesso: ricordare i prati morenici ed il vento
che vi spira appena finito il temporale.
Al prossimo numero del magazine di Josef!
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