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UNA BRUTTA PAGINA DELLA NOSTRA STORIA : la fuga del re e di Badoglio
Il maresciallo e senatore Badoglio, diventato capo del governo dopo la drammatica seduta del Gran Consiglio il 25 luglio
del 1943 che aveva portato alla caduta del fascismo e all’esautorazione di Mussolini, d’accordo con il re Vittorio
Emanuele III, si era adoperato per procurare l’uscita dell’Italia
dal conflitto. Ma, mentre incaricava i suoi emissari di avviare le
trattative, nello stesso tempo provvedeva a riaffermare la
volontà di proseguire la guerra accanto all’alleato tedesco. Fu
proprio Badoglio a chiedere al comando germanico di
dislocare sul territorio della Penisola un congruo numero di
divisioni
per
prevenire
un
possibile
sbarco
degli
anglo-americani. Un campione di doppiezza, neanche tanto
avveduto, visto che a Berlino conoscevano bene le sue
incaute mosse. Le trattative, gestite in maniera approssimativa da parte dei rappresentanti ufficiali e non del governo
italiano , si conclusero agli inizi di settembre.
L’ARMISTIZIO DI CASSIBILE
L’Italia non aveva molto da scegliere: doveva piegarsi senza porre condizioni di sorta. Badoglio accettò il diktat e così il 3
settembre 1943 fu siglato segretamente l’Armistizio a Cassibile, in Sicilia su cui il generale Castellano e lo statunitense
Bedell-Smith apposero le firme . Ci si prese, però, ancora qualche
giorno per rendere noto l’accordo: ciò al fine di consentire al governo
italiano di predisporre misure idonee per evitare ritorsioni da parte dei
tedeschi. All’improvviso, però, gli Alleati, stizziti dall’atteggiamento
incerto e contraddittorio del governo italiano, decisero di divulgare
l’avvenuta sottoscrizione del patto. Erano le 18.45 dell’8 settembre
quando ‘Radio Londra’ trasmetteva un messaggio di Eisenhower che
annunciava al mondo intero la resa incondizionata delle forze armate
italiane. Colto di sorpresa Badoglio si vide costretto a fare altrettanto:
alle 19.30 si recò nella sede romana dell’Eiar e, presentato
laconicamente da uno speaker, lesse il testo di un breve comunicato: “Il governo italiano, riconosciuta l’impossibilità di
continuare l’impari lotta contro la schiacciante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi danni
alla nazione, ha chiesto l’armistizio al generale Eisenhower. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente ogni atto di
ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad
eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza”.
L’Italia, dunque, usciva dalla guerra passava da un campo all’altro ribaltando antiche alleanze. Eppure proprio quell’8
settembre, il re Vittorio Emanuele, ricevendo a Villa Savoia l’ambasciatore Rahn, aveva inviato un messaggio al Fuhrer
nel quale ribadiva che l’Italia era “legata alla Germania per la vita e per la morte”. Mentre, però,
recitava il suo
menzognero copione, alcuni suoi fiduciari avevano provveduto a spedire al sicuro in Svizzera una quarantina di autocarri
stracolmi di quadri, oggetti preziosi, mobili, sculture, tappeti, argenterie e, naturalmente, i gioielli della Corona.
Il giorno seguente (9 settembre) i sovrani e buona parte dei ministri del governo, Badoglio in testa, decisero di
abbandonare Roma per correre incontro agli Alleati che, sbarcati in Sicilia (10 luglio), stavano risalendo lo Stivale.
Alle prime luci dell’alba una interminabile fila di automobili si avviò da Palazzo Baracchini, sede capitolina del ministero
della guerra: la fuga era iniziata. Il corteo, scortato da alcune autoblindo dell’esercito italiano, trasportava passeggeri di
rango assai elevato: il re Vittorio Emanuele III, la regina, il ministro della Real Casa Acquarone, il maresciallo Badoglio,
Umberto di Savoia, i generali Ambrosio e Roatta, rispettivamente capo di Stato Maggiore generale e capo di Stato
Maggiore dell’esercito, il ministro della marina De Courten ed altri numerosi militari e funzionari governativi.
LA FUGA
Badoglio e De Courten , dopo aver fissato per la mezzanotte il ritrovo presso il molo di Ortona, nel pomeriggio si
diressero all’aeroporto di Pescara dove
Badoglio e il Principe Umberto discussero animatamente insieme agli altri
fuggiaschi , circa la scelta dei mezzi da utilizzare per
raggiungere il sud dell'Italia : aerei o nave?. Ma, nonostante la
presenza di diversi aerei il principe Ruspoli con il Comandante
dell'aeroporto e con il portavoce dei piloti , comunicò al Ministro
della Real Casa , sia pure a malincuore , che con quei mezzi
disponibili, tutti leggeri e nessuno da trasporto , non se la
sentivano di assumersi nessuna responsabilità in quanto non c'
erano apparecchi idonei a trasportare
passeggeri sia pure..
reali. In pratica si trattò di un diniego bello e buono da parte
degli aviatori che non mutò minimante neppure di fronte
all'invito loro rivolto personalmente da Badoglio e dal Ministro
dell'aeronautica Sandali. . Mossero poi alla volta di Pescara
dove giunsero alle 21 qui però, la popolazione dimostrò di
gradire molto poco la precipitosa fuga dei reali . Poiché mancavano diverse ore all’imbarco i reali e i loro dignitari si
recarono a Crecchio dove furono ospiti del
Duca di Bovino Giovanni De Riseis (proprietario dell’omonima villa a
Pescara) e della duchessa Antonia Gaetani nel loro castello nobiliare .
Durante il pranzo e nelle ore successive
trascorse dai Bovino si ebbe modo di parlare di ciò che stava accadendo in Italia e della precipitosa partenza. Fu proprio
la duchessa Gaetani , pur essendo molto legata ai Savoia ad introdurre l’argomento facendo osservare loro, anche se
con cautela e deferenza , che si trattava molto probabilmente di una scelta sbagliata, anzi la nobildonna si fece in
seguito più ardita suggerendo a Sua Maestà imperiale di fare marcia indietro , secondo alcuni storici, su suggerimento
del Principe Umberto che era notoriamente contrario all’abbandono del Quirinale . Ma lo stratega della “fuga” Badoglio
si affrettò a spiegare i motivi della scelta mentre il Re , pur ringraziando la duchessa per aver espresso la sua opinione
dettata da sentimenti affettivi , fece presente che in casa Savoia, una volta presa una decisione , non si tornava mai
indietro.
Puntuale a mezzanotte l’imbarcazione: la corvetta Baionetta gettò l’ancora al largo di Ortona. Quasi
contemporaneamente , preceduta dall’ululato delle sirene per simulare un allarme aereo, la colonna reale giunse al
molo saraceno scortata da 250 carabinieri e soldati. In attesa di imbarcarsi c’era tanta gente, più di quanta Badoglio
avesse supposto, tra cui diverse autorità politiche e militari desiderose di sfuggire ai tedeschi. Quando fu spiegato che ,
date le dimensioni ridotte della nave, potevano imbarcarsi solo una trentina di persone, scoppiò il putiferio, volarono
parole grosse , proteste e minacce. Uno spettacolo indecoroso si presentò al cospetto di numerosi ortonesi che, scesi al
porto per curiosità, ne rimasero scandalizzati. La fase esecutiva dell’imbarco fu affidata al generale Agostinone ( che
non sopravviverà alla battaglia di Ortona) che però , dato l’ arrembaggio per salire a bordo, non riuscì ad evitare che altre
29 persone si infilassero nella corvetta, quasi il doppio del consentito. Le concitate manovre di imbarco durarono un paio
d’ore . Avventuroso fu anche il trasbordo dal peschereccio alla nave, ancorata al largo di Ortona, predisposto attraverso
un’apposita scala . Quando fu la volta della regina Elena , nonostante le tante cautele usate, poco mancò che cadesse in
mare. Il principe Umberto invece più disinvolto prese in braccio il suo minuto genitore Vittorio Emanuele che , giunto
sulla nave cercò subito di Badoglio nel timore di essere stato abbandonato dal capo del Governo ideatore della fuga.
Alle due di notte la nave da guerra poté finalmente salpare alla volta di Brindisi tra il sollievo generale per condurre al
sicuro il Re sconfitto e il principe ereditario .
Un vecchio pescatore del luogo “ Zì Bastiane”, presente alla scena, si racconta che avesse esclamato “ loro si son
messi al sicuro e a noi chissà che ci aspetta”. Un esatto e terribile presentimento il suo se si pensa a quello che
accadde ad Ortona ed ai suoi abitanti. La navigazione nell’Adriatico si protrasse per circa nove ore e non fu molestata
dai tedeschi che si limitarono a qualche controllo di un innocuo aereo di ricognizione che effettuò dei volteggi quasi a
mò di saluto.
Questo confermerebbe che i tedeschi, con o senza il consenso di Hitler, preferirono questa soluzione
per i reali d’Italia e per il loro primo ministro.
Settembre 1943 i giorni della vergogna
In seguito all’annuncio ufficiale dell’armistizio la sera dell'8 settembre, le forze di terra italiane, abbandonate a loro
stesse e senza ordini e piani precisi, non furono in grado di opporre un'efficace e coordinata resistenza all'occupazione
nazista dell'Italia , si disintegrarono in poche settimane e
finirono in larga parte preda dei tedeschi. Fu in tal modo
consentito all'ex alleato di occupare agevolmente oltre due terzi del territorio nazionale, tutti i territori oltremare e
catturare ingenti quantità di bottino. Inoltre circa seicentomila militari italiani furono dai tedeschi considerati non come
prigionieri di guerra, soggetti quindi alla convenzione di Ginevra , ma come "internati", classificazione che dava loro,
secondo un'interpretazione voluta da Hitler in persona, il diritto di trattare e sfruttare i prigionieri con metodi e modi del
tutto al di fuori delle convenzioni internazionali. Con la repentina avanzata alleata in Calabria e gli sbarchi anfibi di
Salerno e Taranto in concomitanza con l'Armistizio, il
restante terzo del Paese fu rapidamente occupato dagli
angloamericani. L'Italia fu perciò trasformata in larga parte in
un
campo
di
battaglia,
usata
dai
due
contendenti:
rispettivamente dal primo per la difesa del territorio e degli
interessi strategici e politici del Terzo Reich, e dai secondi
per attaccare l'Asse nel suo "ventre molle", attirando in Italia
il maggior numero possibile di divisioni tedesche per
sguarnire gli altri fronti. Il Paese fu così esposto alle
carneficine e alle sciagure di ulteriori venti mesi di guerra,
sottoposto alla duplice occupazione di truppe straniere
spesso indifferenti alle condizioni della popolazione civile e
al patrimonio artistico, industriale e infrastrutturale italiano.
Indro Montanelli, a proposito di questa terribile pagina della nostra storia, sentenziò “A testimonianza dell’unica vera
battaglia che lo Stato Maggiore italiano abbia ingaggiato dopo l’8 settembre, restavano solo fagotti e cartocci imbrattanti
il molo”. In tutto questo marasma si perse di vista il maresciallo Badoglio che, non va dimenticato, era il capo del
governo in carica. Qualcuno giunse a pensare che il vecchio militare, mosso da un vigoroso sussulto di orgoglio, avesse
invertito la marcia per far ritorno a Roma. Ma la maggior parte degli storici ha rigettato questa ipotesi aggiungendo che
lui, non volendo correre rischi, si era imbarcato sulla ‘Baionetta’ fin da Pescara, evitando così i disordini di Ortona.
L’indecorosa fuga dei regnanti sabaudi e dell’esecutivo provocò guasti irreparabili per le tante centinaia di migliaia di
soldati dislocati in Italia e all’estero,
Ma
ciò,
per
quei
signori,
che restarono disorientati, confusi e, soprattutto, privi di ordini e di direttive.
fu
soltanto
un
particolare
di
marginale
importanza.
Quel che contava davvero era mettere in salvo la pelle e conservare ben stretta la poltrona: tutto il resto era
assolutamente secondario. Del resto anche oggi è sempre la logica dei superiori interessi che prevale.
Ecco perché quell’8 settembre 194 resta una data luttuosa e nefasta, l’indelebile giorno della vergogna nazionale.
A testimonianza dell'ostilità nei confronti del re traditore e di Badoglio e della loro vergognosa fuga, venne posta nel
1945 una lapide presso il porto di Ortona con la seguente scritta:”
Da questo porto , la notte del 9 settembre
1943
L'ultimo Re d’Italia fuggì
Con la Corte e con Badoglio
Consegnando la martoriata patria
alla tedesca rabbia.
Ortona Repubblicana
dalle sue macerie e dalle sue ferite
grida eterna maledizione
alla monarchia dei tradimenti
del fascismo e della rovina d'Italia
anelando giustizia
dal Popolo e dalla Storia
nel nome santo di Repubblica.
9/9/1945
Ricostruzione storiografica di Elisabetta Mancinelli email [email protected]
I documenti e le immagini sono tratti dagli Archivi di Stato di Pescara e di Chieti , da : “ Pescara e la guerra” di Alfonso
Di Russo e da “ Settembre 1943 i giorni della vergogna” di Marco Patricelli
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