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Il Sole 24 Ore
Luoghi e persone
DOMENICA - 21 DICEMBRE 2014
Né capo né coda | Palindromi di Marco Buratti
Il mio menu di Natale:
ANITRATA; LA TROTA; L’OCA; COCA-COLA; TORTA; LA TARTINA
a colloquio con yasmine ergas
svolta a cuba
La paura dell’uomo nero
Il compimento
di un sogno
Per la giurista della
Columbia University,
nella società Usa
l’uomo afroamericano
è percepito ancora come
simbolo del pericolo
di Eliana Di Caro
È
n. 350
una questione di genere e, per
una volta, non di genere femminile.«L’uomo afroamericano in quanto tale è il simbolo
del pericolo in una società in
cui, a dispetto del primo presi- nove volte | Un cartello di protesta a Brooklyn con la scritta «Non riesco a respirare»
dente nero della sua storia, c’è un grosso ripetuta nove volte: tante quante Eric Garner, sotto la presa da wrestling di un poliziotto, ripetè
problema di integrazione e di emarginazio- la frase prima di accasciarsi senza vita, a Staten Island, New York. In basso, Yasmine Ergas
ne sociale»: Yasmine Ergas, docente di International Human Rights Law alla Columbia University, legge così gli ultimi dramma- ne e urlare che «black lives matter».
tenzione sull’uso della forza da parte della
tici fatti che hanno scosso l’America,
«La verità è che, come ha scritto Michelle polizia. «In un contesto di tale sperequaziodall’omicidio di Michael Brown, il giovane Alexander in The New Jim Crow, questa parte ne tra gli uomini neri e il resto della società,
disarmato ucciso da un agente bianco a Fer- di popolazione patisce ancora la segregazio- la rapidità con cui viene usata la violenza
guson, in Missouri, lo scorso agonenonostante sia cadutalasegre- non può che alimentare il senso di un’ingiusto, alla morte di Eric Garner,
gazione giuridica», continua Er- stizia diffusa. Il paradosso è che tutto quel’uomo ancheluiinerme, soffocagas. «Ciò si riflette innanzitutto in sto avvenga sotto la presidenza Obama, che
to a New York dalla presa al collo
un tasso di incarcerazione altissi- ha rappresentato se stesso come la persona
di un poliziotto.
mo, il più alto di qualunque altro che ricompone le fratture della società ameIl video che mostra la brutaliPaese. Un eccesso in cui, come di- ricana, anche e soprattutto razziali. Ma le
tà di quest’ultimo attacco che
cono i dati, sono sovrarappresen- sue politiche non sono state sufficienti,
non si ferma davanti ai ripetuti
tatiimaschiafroamericani».Stan- non sono riuscite a garantire l’accesso alle
«I can’t breathe» («Non riesco a
do a Naacp (National Association risorse che pure questa società offre. L’inerespirare») mormorati dalla vitfor the Advancement of Colored guaglianza aumenta. E l’accesso ineguale
tima, ha scatenato le proteste
People, una Ong che ha una lunga diventa differenza strutturale». Anche qui i
delle ultime settimane, culmitradizione di lotta per i diritti civi- dati, questa volta del Bureau of Labor Statinate nelle grandi manifestazioli) su un totale di 2,3 milioni di de- stics, parlano chiaro: il tasso di disoccupani del 13 dicembre scorso: 25mitenuti, quasi un milione sono afroamerica- zione del segmento afroamericano, in qualla persone solo a New York, strade piene ni, e il tasso di incarcerazione dei neri è sei siasi fascia d’età, è pari al doppio (e anche
nelle principali città americane per de- volte quello dei bianchi.
più) di quello dei bianchi, con punte che tocnunciare la violenza delle forze dell’ordiGli ultimi episodi hanno richiamato l’at- cano il 36% tra i ragazzi di 18 e 19 anni.
Ergas, da oltre 25 anni a New York dove
ha fatto l’avvocato prima di dedicarsi all’insegnamento, racconta come sia rimasta
sempre colpita dal «tipico discorso che viene fatto ai ragazzi neri dai genitori: "succederà che la polizia ti fermerà, ti sembrerà
un’ingiustizia, un abuso, non capiterà ai
tuoi amici bianchi. Tu devi essere pronto a
mantenere la calma e a non far precipitare
le cose". Anche il sindaco di New York, Bill
De Blasio, non ha nascosto di aver detto le
stesse cose a suo figlio Dante».
Scuola, mercato del lavoro e sistema della
giustizia sono le tre riforme necessarie se
davvero si voglionocambiare le cose, secondo Ergas: «L’istruzione deve diventare fattore di eguaglianza, bisogna investire nelle
scuole pubbliche assicurandone la qualità.
Oggi sono troppo spesso mediocri e sovraffollate e invece la promozione sociale di tutti i ceti comincia lì. La riforma carceraria, a
mio avviso, è altrettanto importante, perchéla non tolleranzadi piccoleinfrazioni pesa soprattutto su alcuni tipi di persone che
scontano più di altri il malessere sociale». Il
problema sicurezza, che inevitabilmente si
porrebbe, dovrebbe essere contemperato
da politiche economiche adeguate facendo
in modo che «i posti, a tutti i livelli, diano un
reddito accettabile», cominciando dunque
con l’innalzamento del salario minimo (da
10 dollari all’ora a 12/15: è un tema all’ordine del giorno in alcuni Stati americani).
Ergas vuol concludere questo incontro
con un messaggio positivo, sottolineando
anche il rovescio della medaglia, e cioè che
quanto sta accadendo – la capacità di protestare, di rivendicare – si deve «a un contesto
politico in cui il presidente è un nero, e ci sono studenti, persone comuni e intellettuali
checondividono ilsentimento diingiustizia.
Epoi:abbiamoavuto allaCorte SupremaSoniaSotomajor, una donna cresciuta nelle case popolari di New York. Abbiamo De Blasio,
un sindaco la cui famiglia è un esempio di
perfetta integrazione. Spero davvero che arrivino altri segnali di cambiamento».
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di Franco Avicolli
«N
ei miei trenta anni al
«New York Times» –
affermava nell’aprile
del 1960 Herbert Matthews – non ho mai visto un tema così importante come la rivoluzione cubana, inteso così male, gestito così male e così male
interpretato».
In quei giorni, il presidente Eisenhower
cercava di imporre le ragioni della forza a un
Paese che voleva affermare il diritto a organizzarsi secondo una logica interna ispirata
ai principi della libertà dei popoli. La rivoluzione castrista voleva restituire a Cuba la terra, il petrolio e i mezzi produttivi nel rispetto
delle sue prerogative e gli Usa opponevano a
queldiritto la loro potenza economica emilitare. Era l’atteggiamentostorico del"potente
vicino delNord" che guardava a Cuba come a
un Paese "naturalmente" destinato a far parte della federazione degli stati nata dalla dichiarazionedi Filadelfia del1776.
«Per decreto della Provvidenza – secondo il magistrato della Louisiana J.C Larue –
Cuba appartiene agli Stati Uniti e deve essere americanizzata». Era il 1848. Cinquanta
anni dopo gli Stati Uniti d’America trattano
con la Spagna l’indipendenza di Cuba vitto-
riosa sul campo e inseriscono nella loro Costituzione l’emendamento Platt che li autorizza a intervenire militarmente, come accade numerose volte. Matthews chiariva
che dopo più di cento anni non c’era stato
un cambio nelle relazioni e che gli Usa trattavano la rivoluzione dei barbudos come
una questione di politica interna.
Cubaèl’ultimadellecoloniespagnoleamericane a raggiungere l’indipendenza incarnandone l’istanza più avanzata in un contesto che fin dalle origini si scontra con le mire
espansionistiche degli Usa. Lo afferma la rivoluzionedel1959 eloribadiscelavittoriadella Baia dei Porci del 1961, una pietra miliare
che marca il più grande avvenimento storico
neirapportifrailnord anglosassoneel’America Latina. Sono eventi che danno all’isola
un posto speciale e un alone di eroismo rivoluzionariocaricodiunsognodilibertàpoidiffuso da figure come il Che Guevara che hanno infiammato le generazioni del tempo.
Mi piace leggere il processo di normalizzazione avviato tra Cuba e gli Usa nella luce
di questo sogno storico che è americano,
cioè del nord, e dell’America Latina ed è sogno. Obama riconosce l’esistenza di Cuba e
Santiago, il testardo pescatore de Il vecchio
e il mare sosta ancora sull’orizzonte. Egli è
ragione di sé oltre ogni scopo: non rinuncia
aportare ilpesce a casa, ma soprattutto vuole continuare a pescare.
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