colonie israeliane

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colonie israeliane
RAPPORTO SULLE
COLONIE ISRAELIANE
NEI TERRITORI OCCUPATI
Luglio-Agosto 1998 Volume 8 n. 4
Pubblicazione bimestrale della Foundation for Middle East Peace
Indice
Notizie
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Rapporto speciale: l’impatto socioeconomico delle colonie sulla terra, l’acqua, l’economia palestinese
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Citazione
Notizie
Una proposta di Israele di includere colonie israeliane non specificate intorno a Gerusalemme in in “municipio
ombrello” (UM) ha incontrato quasi universalmente critiche.
Il nuovo piano investirà agenzie civili israeliane di poteri più ampi sullo sviluppo e l’espansione delle colonie
comprese nella proposta di UM. Funzionari USA hanno definito il piano “non utile in questo stadio delicato dei
negoziati”. L’osservatore dell’OLP all’ONU ha rifiutato l’azione israeliana come “un passo concreto verso
l’annessione illegale di più terre palestinesi occupate al municipio di Gerusalemme, già illegalmente ampliato”.
Funzionari israeliani, tuttavia, insistono che la proposta, importanti particolari della quale devono ancora essere
approvati, “è interamente una questione interna israeliana”.
Rapporto speciale: l’impatto socio-economico delle colonie
sulla terra, l’acqua e l’economia palestinese
L’impatto degli insediamenti e dei coloni israeliani sulle risorse palestinesi di terra e di acqua è un elemento in
un’ampia relazione di ineguaglianza e di dipendenza stabilita e promossa dall’occupazione nell’ultimo quarto di
secolo. Mentre vi sono state inchieste aneddotiche circa esempi specifici del fenomeno – per esempio, lavoro di
costruzione palestinese in una colonia israeliana, o gli effetti su una comunità palestinese adiacente di acque di scolo
prodotte da un insediamento – nessuno studio si è focalizzato sugli effetti economici globali delle colonie medesime,
singolarmente o collettivamente, sui palestinesi. Vi sono alcuni dati, tuttavia, che offrono una visione generale della
natura e della portata dell’impatto coloniale sulle risorse palestinesi di terra e d’acqua.
L’occupazione israeliana della Cisgiordania e di Gaza è in essenza una lotta per il controllo delle risorse della
regione, principalmente terra ed acqua. Nella misura in cui questi beni sono usati da un antagonista, l’occupazione è
stata strutturata in modo da far perdere l’altro.
Le colonie hanno rappresentato da molto tempo la volontà israeliana
di restare permanentemente su questa terra e di controllarne il
destino, necessariamente a spese dei palestinesi. Senza le colonie,
come gli israeliani hanno riconosciuto da tempo, sarebbero soltanto
un esercito “occupante”. Impiantare colonie civili israeliane è,
quindi, il primo ostacolo all’autodeterminazione palestinese.
Senza le colonie, come gli
israeliani hanno riconosciuto
da tempo, sarebbero soltanto
un esercito “occupante”.
Impiantare colonie civili
israeliane è, quindi, il primo
ostacolo
all’autodeterminazione
palestinese.
Tutte le colonie israeliane in Cisgiordania sono attualmente situate
nell’Area C, che è sotto esclusivo controllo israeliano e comprende il
72 per cento della Cisgiordania. Similmente, Israele controlla il 15
per cento della Striscia di Gaza. Nelle Alture del Golan, la
popolazione siriana, di 17.000 abitanti, è raggruppata in cinque
piccoli villaggi vicini al confine siro-libanese. Le 32 colonie
israeliane controllano l’80 per cento dell’altipiano. Un quarto
dell’intero Golan – 315.000 dunams - è terreno da pascolo controllata dai coloni.
Valutare l’effetto preciso della perdita di terre palestinesi e della loro riallocazione a colonie israeliane è difficile. La
Banca Mondiale, in una bozza del suo studio del settembre 1993, “Sviluppare i territori occupati – un investimento
nella pace”, osserva:
La confisca di terra palestinese ha reso Israele in grado di procedere a costruire colonie e strutture correlate
in varie zone della Cisgiordania tradizionalmente considerate desertiche. Le più importanti di queste sono le
pendici orientali e la parte centrale della Cisgiordania, che un tempo ospitava vari tipi di animali selvatici e
provvedeva terreno di pascolo per il bestiame d’inverno e svago per la popolazione locale…. Costruire
colonie agricole nella Valle del Giordano ha similmente privato in modo graduale gli abitanti palestinesi di
queste zone delle loro terre più ricche e dei pozzi d’acqua. Una situazione simile si è sviluppata nella
Striscia di Gaza, dove le colonie hanno usurpato terra fertile nell’interno e nelle aree costiere. Il programma
di colonizzazione israeliana non è stato accompagnato da considerazioni ambientali adeguate ed adatte.
Nessuna delle colonie ha sviluppato impianti di trattamento delle acque di scolo. Queste sono spesso
lasciate scorrere nelle valli, persino se minacciano un vicino villaggio [palestinese]. Il sistema delle acque
di scolo delle colonie sulle colline orientali e le pendici a nord di Gerusalemme ha contaminato le riserve di
acqua fresca per bere ed irrigare le aree palestinesi fino a Gerico.
Terra Agricola
Nel 1967, erano coltivati dai palestinesi 2.300 km2 in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Nel 1989 erano solo più
1.945 km2, il 31,5 per cento della Cisgiordania e della Striscia di Gaza. L’agricoltura costituiva il 24 per cento del
Prodotto Interno Lordo nel 1966, la medesima percentuale del periodo 1980-85 (pre-intifada). Entro il 1994, la
percentuale era scesa a meno del 15 per cento. Nel 1966 il settore agricolo dava impiego a 55.000 palestinesi, il 43
per cento del totale; nel periodo 1980-85, invece, vi erano 40.000 lavoratori nel settore agricolo, il 24% dei
palestinesi con un lavoro. Nel 1993 la percentuale di occupati nell’agricoltura era del 22 per cento.
Questi indicatori lordi non guidano a conclusioni specifiche circa l’effetto degli insediamenti sull’impiego
nell’agricoltura, la produzione agricola o la terra coltivata: le colonie sono solo una di un insieme di variabili che
devono essere prese in considerazione nel valutare queste tendenze.
Vi sono tuttavia regioni specifiche, come la Valle del Giordano, in cui si può stabilire un legame diretto fra la
perdita di opportunità per i palestinesi nell’agricoltura e le colonie israeliane. Confiscare terre agricole e passarle alle
colonie risultatono nella perdita di reddito e di occupazione nell’agricoltura, benchè questo non sia stato mai
quantificato, al di là di rapporti aneddotici. Nella regione intorno a Kiryat Arba e altrove, anche la contaminazione
da acque di scolo influenza direttamente l’agricoltura palestinese. Vi sono costi economici ed ambientali non
quantificati connessi alle industrie di proprietà israeliana nei territori occupati, come un impianto di riciclaggio per
l’olio di macchina usato, cave di pietra, altri impianti in cui originano sottoprodotti nocivi e tossici.
Acqua
Il più grande ostacolo allo sviluppo agricolo palestinese resta l’accesso all’acqua, più che la scarsità di terra. Per
Israele, l’acqua è stata una pre-condizione vitale a vincere le sfide di base – creare un’economia in rapida crescita
per sostenere una comunità ebraica in crescita. Senza un adeguato approvvigionamento d’acqua, sarebbe in pericolo
il concetto di massiccia immigrazione e colonizzazione ebraica; senza immigrati a colonizzare, la leadership
israeliana teme per il proprio futuro. Acqua, colonizzazione e sicurezza sono così divenuti pezzi complementari
della prospettiva di sicurezza israeliana.
… la mancanza d’acqua ha
obbligato i contadini
palestinesi a non coltivare
più alcune zone; lo scavo di
nuovi pozzi profondi per le
colonie, in particolare nella
Valle del Giordano, ha in
seguito causato carenze per i
contadini palestinesi.
Secondo un rapporto del 1992 di Miriam Lowi per l’Accademia Americana delle
Arti e delle Scienze, “quasi tutto l’aumento dell’utilizzo di acqua da parte di Israele
a partire dal 1967 deriva dalla Cisgiordania e dalla parte a monte del Giordano”.
Israele, tuttavia, per l’acqua è nel pieno di un’emergenza. Persino con le risorse
conquistate nel 1967 pompa più acqua dalle sue falde acquifere di quanta la natura
ne possa sostituire. E in Cisgiordania non solo Israele sfrutta l’acqua per la
popolazione israeliana e nei territori occupati, ciò che ammonta al 15 per cento del
consumo totale: ha anche impedito alla comunità palestinese di portare il proprio
utilizzo di acqua ad appena il 20 per cento oltre la quantità che adoperava nel 1967
– e solo per uso personale, non per l’agricoltura e lo sviluppo economico.
Da quando sono iniziati i negoziati bilaterali e multilaterali all’inizio degli anni ’90,
Israele ha cercato di proteggere il suo ininterrotto controllo delle risorse in
Cisgiordania, descritta da un funzionario statale di controllo nel febbraio del 1993 come “la principale riserva di
acqua potabile per la regione di Dan, Tel Aviv, Gerusalemme e Beersheba”, e “la più importante fonte a lungo
termine nel sistema idrico [nazionale]”.
I fabbisogni d’acqua nelle colonie israeliane sono un piccolo tassello di questo più ampio mosaico dello
sfruttamento da parte di Israele delle risorse idriche nei territori occupati.
Nel 1987, quando i coloni in Cisgiordania erano appena il 10 per cento della popolazione, il consumo dei palestinesi
era di 115 milioni di metri cubici (mcm) in totale , mentre quello dei coloni era pari a 97 mcm. Un rapporto di Peace
Now del 1993 osservava che “le aree irrigate pro capite dei coloni ebrei sono sette e tredici volte maggiori delle aree
concesse ai palestinesi per l’irrigazione, rispettivamente nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania”.
Un rapporto del Centro di Gerusalemme per i Media e la Comunicazione (JMCC), del novembre 1992, “Ostacoli
Israeliani allo Sviluppo Economico nei Territori palestinesi Occupati”, osserva che la mancanza d’acqua ha
obbligato i contadini palestinesi a non coltivare più alcune zone; lo scavo di nuovi pozzi profondi per le colonie, in
particolare nella Valle del Giordano, ha in seguito causato carenze per i contadini palestinesi.
Inquinamento Industriale
Circa 160 industrie di proprietà israeliana sono situate in Cisgiordania. Per gli industriali israeliani, la Cisgiordania
ha goduto, almeno in un campo, di un vantaggio comparativo rispetto a Israele. Le normative ambientali sulla
qualità del terreno, dell’aria e dell’acqua, e le restrizioni sullo sviluppo industriale in genere, sono state molto meno
generalizzate, ed applicate con molto minor rigore, che in Israele. Combinato con gli incentivi del
sovvenzionamento statale alle aziende perchè prendessero sede in aree industriali entro e vicino alle colonie, il
relativo lassismo nell’applicazione e nel monitoraggio delle norme ambientali ha fatto sì che prendessero residenza
nei territori occupati un certo numero di aziende “sporche”. Le fabbriche che pongono rischi ambientali in genere
usano procedimenti “bagnati” nella fabbricazione di cibo in scatola, rivestimenti metallici e prodotti tessili.
L’Associazione Municipale di Samaria per l’Ambiente (SMEA), un organismo governativo fondato da colonie nella
parte nord della Cisgiordania per il monitoraggio ed il miglioramento della qualità dell’ambiente, riconosce che “gli
efflussi di acqua di scarico da questi impianti e da circa 100 comunità residenziali nella nostra regione, se non
adeguatamente trattati, minacciano la qualità dell’acqua di sorgente nella regione. Oltre a ciò, le emissioni di aria
industriale ed il rumore generato da alcune fabbriche possono causare problemi”.
Nell’area industriale di Bukan, adiacente alla colonia di Ariel, operano quarantacinque ditte. La maggior parte sono
impegnate a produrre tessuti e plastica per l’esportazione. I palestinesi lamentano che i rifiuti industriali generati in
quest’area siano scaricati sui terra palestinese.
“I proprietari di queste fabbriche sfuggono alle regole sanitarie ed ambientali più rigide che vigono all’interno di
Israele per operare in Cisgiordania, dove ottengono vantaggi fiscali”, ha spiegato Khalil Suleiman, esperto
ambientale dell’Università al-Najah di Nablus. Oltre che nei riguardi di Burkan, i palestinesi hanno reclamato circa
il funzionamento di impianti industriali ad Ariel, Karnei Shomron, Kiryat Arba e Kadumim. Preoccupa
particolarmente l’effetto dello sviluppo industriale sulla qualità dell’acqua di sorgente, che ricercatori palestinesi
hanno trovato essere “significativamente più inquinata” vicino alle colonie che altrove.
La colonia di Kiryat Arba è stata identificata da ricercatori palestinesi come “la principale fonte di inquinamento
nell’area di Hebron”. Una fabbrica di tegole situata nell’area industriale dell’insediamento una volta scaricò l’acqua
di rifiuto nel sistema delle acque di scolo, il che diede numerosi problemi. La città di Hebron richiese alla
magistratura di fermare questa pratica, ed ebbe successo. Ora l’acqua di rifiuto è caricata in camion-serbatoi e
scaricata in un campo palestinese. L’acqua contiene alti livelli di carbonato di calcio, che innalza il pH, già elevato,
del terreno.
Il caso delle Industrie Geshurei
Le Industrie Geshurei, che producono pesticidi e fertilizzanti, erano originariamente situate nella cittadina israeliana
di Kfar Saba. Le preoccupazioni circa l’effetto ambientale della fabbrica – sul terreno, la salute pubblica,
l’agricoltura – ebbero come risultato un ordine della magistratura, nel 1982, che chiudeva l’impianto.
A partire dal 1987, la fabbrica ha funzionato oltre la Linea Verde, nella cittadina cisgiordana di Tulkarem, dove non
vi è in effetti alcun controllo sull’evacuazione dei rifiuti o sull’inquinamento dell’aria. Anche altri inquinatori
industriali di Israele, ivi compresi coloro che lavorano con l’asbesto, la fibra di vetro, pesticidi e gas infiammabili, si
sono trasferiti all’area di Tulkarem. Secondo un recente rapporto di un’organizzazione palestinese non governativa,
la Società palestinese per la Protezione dei Diritti Umani e dell’Ambiente (LAWE), l’inquinamento industriale
colpisce direttamente 144 dunams di terreno agricolo di prima qualità e “causa un notevole danno alla salute
pubblica”. La magistratura israeliana ha ordinato alcune azioni riparative, ivi compreso il risarcimento ai contadini
colpiti, ma l’impianto resta operativo.
Il rapporto della Società nota i seguenti effetti del funzionamento della fabbrica Geshurei:
•
il marcire della maggior parte egli alberi e di altra vegetazione intorno all’impianto;
•
il depositarsi di polvere e residui chimici e di una sostanza chimica che lascia un deposito simile a calcio
sul terreno e la vegetazione, causando un decremento nella produzione agricola dei campi e delle serre;
•
l’importanza di sottoprodotti industriali di sodio e di sale, entrambi importanti conseguenze della
contaminazione con acqua di rifiuto di terreno agricolo, nei campioni di terra dal terreno riscontrato essere
non arabile;
•
la scoperta di acido sulfamico, un materiale di partenza per un erbicida usato per uccidere in modo non
selettivo le erbacce, nei campioni di acqua di sorgente dall’area che circonda la fabbrica.
Il rapporto nota altresì che “vi è una chiara dimostrazione di inquinamento dell’acqua di sorgente tramite
infiltrazioni di prodotti chimici e vi è prova di un’evacuazione impropria di rifiuti e prodotti di scarto”.
LAWE ha documentato “una proporzione molto alta di problemi sanitari fra i contadini e fra chi vive nei dintorni
della fabbrica, comprese cefalee severe, prurito agli occhi, tosse spastica e cronica, asma bronchiale”. Il Ministero
palestinese dell’Agricoltura ha recentemente osservato che “la salute pubblica della comunità non è stata ben
documentata, a causa di decenni di occupazione militare e di conflitto diretto; questo suggerisce che i problemi
sanitari correlati all’ambiente possano essere più pervasivi di quanto attualmente stimato. Similmente, l’impatto a
lungo termine sulla terra e l’acqua di fonte ha ricevuto un’attenzione inadeguata”.
Il terreno agricolo di Tulkarem è stato, storicamente, un fattore significativo nell’economia locale. Come
conseguenza degli effetti nocivi dell’industria a guida israeliana nei dintorni di Tulkarem, secondo LAWE i profitti
agricoli si sono ridotti del 21,5 per cento fra il 1992 e il 1997. Il Ministero palestinese dell’Agricoltura stima che il
17 per cento del terreno agricolo di Tulkarem sia stato colpito dall’inquinamento originato nelle sei aziende
israeliane situate nell’area. Tre delle fabbriche sono situate su quello che i palestinesi sostengono essere terreno del
waqf (n.d.T.: terreno di uso pubblico). Altri terreni sono reclamati da proprietari privati palestinesi. Diverse
fabbriche sono situate a meno di 100 metri da case di abitazione.
I coloni sono stati implicati dai palestinesi in quello che questi ultimi definiscono “attacchi con pesticidi”, in cui i
coloni distruggono campi coltivati irrorandoli di pesticidi chimici durante la stagione agricola. LAWE osserva che in
un episodio nel villaggio di Ptarmus Ayya, i coloni hanno irrorato in questo modo raccolti di ortaggi, cereali ed
alberi di olivi.
Discariche
Vi sono centinaia di siti per evacuare i rifiuti all’interno dei territori occupati, fra cui dozzine di non autorizzati; vi
sono 246 siti nella sola Cisgiordania a nord di Gerusalemme. La maggior parte sono semplici e primitivi con poca o
nessuna salvaguardia ambientale; nessun sito è usato esclusivamente da colonie o da comunità palestinesi. Lo
SMEA riconosce che “i siti sono mantenuti in modo improprio, generano odori sgradevoli e fumo che infastidiscono
i residenti del vicinato e minacciano la qualità dell’acqua di sorgente”.
Un sito a Jiyous, vicino a Qalqilya, cittadina cisgiordana del nord, è
tipico. Sito in 12 dunams, a 200 metri dal letto del torrente che serve
come fonte di acqua potabile per il villaggio di Azoun, è stato aperto
nel 1990, amministrato da palestinesi sotto la direzione del SMEA. È
usato principalmente dalle colonie di Kamei Shomron, Kadumim,
Tzofim e Ma’ale Shomron. Ora imprenditori israeliani dei rifiuti
pongono sotto pressione lo SMEA, onde permetta loro di usare la
discarica per rifiuti prodotti in Israele, dopo che la discarica
israeliana da loro adoperata è stata chiusa dal governo. Gli abitanti di
Azoun si lamentano di un’epidemia di mosche in estate e del fumo
che si diffonde nel villaggio quando si brucia la spazzatura, e
sostengono che 200 olivi sono stati danneggiati dal fumo.
“I siti [per evacuare i rifiuti]
sono mantenuti in modo
improprio, generano odori
sgradevoli e fumo che
infastidiscono i residenti del
vicinato e minacciano la
qualità dell’acqua di
sorgente”.
Siti come quello di Jiyous sono, per le comunità israeliane, opzioni attraenti per evacuare i rifiuti. Dato che in Israele
i costi di smaltimento sono da tre a sei volte superiori, i siti in Cisgiordania offrono a molte cittadine israeliane
un’alternativa più vicina e più a buon mercato alle discariche in territorio israeliano.
Nel 1996, come parte di uno sforzo di sviluppare un piano generale per stabilire le priorità nel migliorare e
consolidare il sistema di evacuazione dei rifiuti in Cisgiordania, Israele ha condotto uno studio del Geographic
Information System. Il piano israeliano per l’evacuazione dei rifiuti in Cisgiordania viene concepito senza alcuna
partecipazione palestinese, né ufficiale né informale.
…
Citazione
L’Essenza della Proposta [di Municipio Ombrello]
“Per quanto riguarda pianificare e costruire, le colonie ebraiche in questione in Cisgiordania saranno funzionalmente
staccate dall’autorità dell’Amministrazione Civile (il Comandante Militare) (n.d.T.: l’ente israeliano che esercita il
controllo sui palestinesi) e, sostanzialmente, saranno sotto il controllo diretto dell’autorità civile israeliana. In
termini di pianificare e costruire, queste colonie saranno empiricamente indistinguibili dalle cittadine e dalle città in
territorio israeliano….
“Fino ad adesso, persino dopo Oslo, vi è stata una distinzione chiara e binaria fra il territorio israeliano (in cui vige
la legge israeliana) e la Cisgiordania (in cui vige, malgrado tutti gli sconti, la Normativa Militare). Il piano UM
(Municipio Ombrello) proposto offusca del tutto questa distinzione, rendendo senza significato la linea verde,
persino come termine di riferimento…
“Il termine ‘Grande Gerusalemme’ ha costituito fino ad oggi una dichiarazione di intenti abbastanza amorfa e non
terribilmente vincolante. Dopo questa proposta lo stesso termine costituirà un’entità geograficamente ed etnicamente
definita, chiaramente espressa in confini legalmente dettagliati, in cui si esercita controllo civile [israeliano] su
territori precedentemente definiti ‘occupati’”.
[Estratti da un’analisi del Dipartimento di Stato USA del piano proposto per un “Municipio Ombrello”,
comprendente colonie indeterminate della Cisgiordania, approvato dal consiglio dei ministri israeliano il 21 giugno
1998].