Resolute Support

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Resolute Support
 AnalysisNo.185,Luglio2013
AFGHANISTANDOPOIL2014:
LATOMBADELLANATO?
FabioAtzeni
The predominantly military approach adopted by the U.S. and NATO in Afghanistan is showing its
limits.AnincreaseinattacksagainstontheCoalitionforces,especiallybypersonnelinfiltratedinthe
Afghan National Security Forces (ANSF) cast serious doubts on their reliability and arise some
questions about the future of Afghanistan. The transfer of power from NATO troops to the Afghan
government, now in its fourth and final stage, seems to be in a very deep crisis. Moreover, the
assessmentofthesituationonthegroundleavesopenmanyquestionsforwhatconcernssecurity,
governance and socio‐economical situation. The Resolute Support Mission, which from 2015 will
replaceISAFisthereforelikelytobethesamemissionwithadifferentname.
To overtake the uncertainties about the role of US and NATO in the future of Afghanistan and to
involvetheregionalpartners:that'stheonlywayforachievingtherightconditionsforasuccessful
transitioninallthethreefundamentalaspectsofsecurity,governanceanddevelopment.
Onlyatoplevelandsharedagreementcouldpermittoachievetheconditionsnecessarytobringin
aneffectiveandsuccessfulshiftofpower.
FabioAtzeni,UfficialeEsercitoItaliano
©ISPI2013 1
The opinions expressed herein are strictly personal and do not necessarily reflect the position of ISPI. The ISPI online papers are also published with the support of Cariplo L’approccio prevalentemente militare adottato dagli USA e dalla NATO
in Afghanistan sta mostrando i suoi limiti, così come la dottrina della
Counter-Insurgency (COIN) del Colonnello Kilcullen risulta
difficilmente adattabile in tale contesto. Un aumento degli attacchi
contro le forze della Coalizione e in particolar modo degli attacchi
perpetrati da personale infiltrato nelle Forze armate afgane (ANSF)
contro gli addestratori delle stesse, i cosiddetti attacchi “Green on
Blue”, mettono in dubbio la loro affidabilità e pongono degli inquietanti
interrogativi sul futuro dell’Afghanistan. Il processo di transizione tra
le forze NATO e il Governo afgano, giunto ormai nella sua quarta e
ultima fase, sembra essere in crisi così come la valutazione della
situazione sul campo sembra essere dubbia per quanto concerne la
sicurezza, la governance e lo sviluppo socio-economico.
La nuova missione che sostituirà ISAF a partire dal 2015, la Resolute
Support Mission, rischia quindi di essere la stessa missione con un
nome diverso.
Oltre alle difficoltà ambientali sopra descritte, vi sono ancora troppi
interrogativi che minano la credibilità della NATO, a partire dal numero
delle truppe che dovranno essere impiegate e dal ruolo che gli USA
intendono avere nei negoziati con i talebani: mediatori super partes, o
protagonisti di trattative dirette che mettono all’angolo il governo Karzai?
Per tali ragioni, l’Afghanistan potrebbe provocare una vera e propria
crisi dell’Alleanza Atlantica, che sembra ora sminuita nelle sue
funzioni dalle priorità politiche di Washington, incentrate oramai sul
bacino dell’Oceano Pacifico.
©ISPI2013 Chi è il mio nemico?
Gli ultimi attacchi alle forze NATO da parte degli insurgents, come
quello dell’8 giugno, avvenuto nella provincia di Paktika, nel quale
hanno perso la vita due soldati e un contractor americani, è stato di tipo
“Green on Blue”. Anche il capitano dei bersaglieri La Rosa, caduto in un
attacco dalle dinamiche non chiare, faceva parte di un Military Advisor
Team (MAT), che aveva il compito di addestrare le ANSF. Questi eventi
mettono in luce le scarse condizioni di sicurezza in cui si trovano a
operare le nostre forze. Rispetto all’organizzazione dei precedenti
Operational Mentoring and Liaisoning Teams (OMLT), esistenti fino al
2011 (terza fase della transizione), i MAT e i PAT (Police Advisor Teams)
operano non per unità organica e autonoma (il plotone), ma per piccoli
team di una squadra l’uno (circa due veicoli lince), del tutto dipendenti
per la propria sicurezza dalle unità afgane che stanno supportando.
Inoltre, la conversione delle task force operative in Transition Support
Units, modificandone i compiti, non garantisce ai MAT/PAT il livello di
supporto e protezione finora ricevuta.
2 Gli attacchi “Green on Blue” sono un fenomeno in crescita. Nel 2012 il
15% del totale dei caduti è stato causato da attacchi di questo tipo,
mentre nel 2013 si è giunti al 7% 1. Questi attacchi, oltre a
compromettere il morale della Coalizione, hanno l’obiettivo di mettere
in dubbio la credibilità e l’affidabilità delle ANSF e il progresso del loro
addestramento da parte delle forze di ISAF, colpendo indirettamente il
processo di transizione. La capacità operativa delle ANSF sarebbe già
argomento di dibattiti controversi e secondo molti esperti non
sarebbero stati raggiunti i traguardi prefissati nonostante le difficoltà,
i rischi e la spesa di circa 50 miliardi di dollari da parte dei soli USA per
il loro addestramento. Secondo alcuni esperti dell’US Government
Accountability Office2 solo il 7% dei battaglioni dell’Afghan National
Army (ANA) e il 9% delle unità dell’Afghan National Police (ANP)
sarebbero in grado di operare autonomamente ma non senza
l’assistenza dei mentors di ISAF3.
Settembre 2014: ISAF, missione compiuta?
Alla fine di settembre 2014, terminerà la missione ISAF e la riduzione
delle truppe NATO presenti in Afghanistan. Molto probabilmente sarà
dichiarato che la “missione è compiuta”. Ma qual è l’obiettivo che deve
essere raggiunto? Cosa significa adempiere la missione di ISAF?
La condizione da raggiungere per dichiarare chiusa la missione di
assistenza e stabilizzazione per l’Afghanistan e voltare finalmente
pagina è la transizione completa del potere dalle forze NATO al governo
afgano, nei tre ambiti principali individuati dalla dottrina COIN: la
sicurezza, la governance e lo sviluppo socio-economico.
Per quanto concerne la sicurezza, le ANSF dovrebbero raggiungere la
totale autonomia e capacità operativa. Tuttavia, il ritardo nel
raggiungimento di questi obiettivi, unitamente all’aumento della
violenza in molte zone da considerarsi ormai non transitabili, pone seri
dubbi sulla capacità delle ANSF di proteggere i propri cittadini 4.
Per quanto riguarda la governance, il 2014 sarà l’anno delle elezioni
provinciali e nazionali. In tale contesto occorrerà accertarsi che le
elezioni, a differenza di quanto avvenuto nel 2009, abbiano luogo in
modo corretto e portino al governo una rappresentanza di tutte le etnie
e fazioni in gioco, compresi alcuni gruppi di talebani che si
©ISPI2013 1
B. ROGGIO e L. LUNDRUST, Green on Blue attacks in Afghanistan: the Data,
www.longwarjournal.org.
2
www.gao.gov .
G. ROSALSKY, As Afghan Security Forces training flounders, Pentagon alters Progress
levels, Hearing testimony shows, www.huffingtonpost.com, 25 febbraio 2012.
4 K. MAHR, Left Behind, in «Time», 17 giugno 2013.
3
3 ©ISPI2013 dimostreranno disponibili a trattare5. La governance potrà migliorare
solo se, oltre a queste misure, si continuerà a lottare contro
l’elevatissimo grado di corruzione che permea tutto l’apparato statale
afgano.
In fine, nell’ambito dello sviluppo socio-economico, dovrebbe avvenire
la piena transizione tra i Provincial Recostruction Teams della NATO
(PRT) e le agenzie governative, non governative e le imprese civili
afgane idonee a condurre queste attività di ricostruzione. Oltre a ciò,
dovrebbero essere prese delle misure per sviluppare il mercato interno
e per commercializzare le risorse naturali del paese che constano di gas,
petrolio, pietre preziose e minerali rari, diminuendo così la dipendenza
dell’Afghanistan dalle donazioni internazionali. Tuttavia, gli scarsi
investimenti esteri e le precarie condizioni di sicurezza, rendono molto
difficile lo sviluppo di questo settore. L’agricoltura, che riveste
attualmente una parte rilevante del PIL afgano, risulta più semplice ed
appetibile da sviluppare, ma insufficiente a ristabilire da sola
l’economia disastrata del paese6 che deve già fare i conti con una crisi
innestata dalle aspettative negative sui consumi, in seguito
all’annuncio del ritiro delle truppe di ISAF e all’aumento della
disoccupazione oltre il 50% della popolazione.
Questa è la situazione attuale della transizione del potere in
Afghanistan, valutata per mezzo degli schemi e delle matrici del JANIB
(Joint Afghan-NATO Inteqal Board) . Questo sistema di valutazione,
benché si basi su dati raccolti dalle unità operative di ISAF tramite un
processo bottom-up, non rispecchia sempre la realtà, creando così una
pericolosa dicotomia tra ciò che è descritto nelle aule briefing dei
pianificatori e la situazione che le truppe sul terreno si trovano ad
affrontare realmente.
Oltre alle problematiche segnalate, che riguardano tutti i tre pilastri
della COIN, è necessario considerare due ulteriori elementi: il fattore
umano e il fattore tempo.
Per quanto concerne il fattore umano, dopo 11 anni di guerra la NATO
ha perso complessivamente 3.335 militari, di cui 2.238 americani e 53
italiani. É chiaro che il prezzo da pagare in termini umani è stato alto e
non è più sostenibile, tanto più se comparato agli obiettivi raggiunti.
5
Barack Obama, State of the Union 2013, www.whitehouse.gov, 12 febbraio 2013 , F.
ZAKARIA, Fantasy and Reality in Afghanistan, www.fareedzakaria.com, 29 febbraio 2012.
6
K. MAHR, op. cit.
4 Il fattore tempo invece, ci pone di fronte agli elevatissimi costi del
conflitto: solo gli USA hanno speso finora circa 634 miliardi di dollari,
mentre per l’Italia il costo della guerra afgana è di circa 700 milioni di
euro all’anno. Oltre a queste spese è necessario considerare i soldi
destinati alla ricostruzione del paese e finalizzati a riavviarne
l’economia. Secondo alcuni esperti, l’afflusso di denaro da parte dei
paesi donatori non dovrebbe subire consistenti diminuzioni fino almeno
al 20177. Secondo altri invece, è plausibile che in un momento di
austerità e di grave crisi economica internazionale come questo, vi
siano dei tagli. Se tale ipotesi si realizzasse, Kabul non sarebbe in
grado di sostenere da sola le spese di mantenimento del suo enorme
apparato militare. Si rischierebbe quindi di tagliare le ANSF, passando
da uno strumento militare attuale di 352.000 unità a uno di 228.000 8,
con il rischio di congedare cica 124.000 uomini che, trovandosi
improvvisamente disoccupati e “traditi” nelle aspettative, potrebbero
riempire le fila dell’insurgency.
Alla luce di questi fatti, la missione ISAF sembra tutt’altro che
“compiuta”.
La “Resolute Support Mission”: un nome nuovo per la stessa
missione?
Secondo quanto affermato dal segretario generale della NATO Anders
Fogh Rasmussen9, la missione dell’Alleanza in Afghanistan, a partire
dal 2015, sarà completamente diversa rispetto a ISAF. Innanzi tutto vi
sarà un nuovo mandato, un numero molto inferiore di truppe
occidentali e l’obiettivo finale sarà quello di assistere, addestrare e
consigliare le ANSF secondo un nuovo approccio di tipo “Top-Down”,
ossia concentrandosi sui comandi di grandi unità. In fine, dal punto di
vista territoriale le forze NATO saranno dislocate presso cinque
comandi regionali a Nord, a Sud a Est e a Ovest del paese, mantenendo
le basi attualmente in funzione di Mazar-e-Sharif, di Kandahar, di
Herat e di Bagram oltre naturalmente al Comando presso Kabul.
Nonostante queste chiarificazioni, rimangono ancora numerosi
interrogativi in merito al quantitativo di truppe destinate a essere
impiegate in questa nuova missione.
Gli USA, sembrano voler realizzare quanto auspicato dal vice
presidente Joe Biden durante il dibattito sulla “Surge” nel 2009: un
impegno militare di tipo Light Footprint on the Groundcon capacità di
©ISPI2013 7
K. KATZMAN, Afghanistan: Post-Taliban Governance, Security and US Policy,
Congressional Research Service, Report for Congress, www.crs.gov, 9 aprile 2013.
8
M. O’HANLON, Afghan National Security Forces: a Glass 55% full, www.brookings.edu, 29
giugno 2012.
9
NATO Defense Ministers Meeting, Bruxelles 4-5 giugno 2013, www.nato.int .
5 Counter-Terrorism, assistenza militare, addestramento delle ANSF,
supporto logistico e force protection, ma senza quelle di ricostruzione e
supporto alle autorità civili tipiche di ISAF. Le opzioni finora pervenute
sarebbero tre: la prima prevede l’impiego di circa tremila uomini; la
seconda, caldeggiata dalla Casa Bianca, ne prevede circa seimila; la
terza, sostenuta dal Pentagono, ne prevede un numero compreso tra i
novemila e i dodicimila.
Il numero preciso è ancora in fase di determinazione e, secondo il
generale John Dunford, comandante di ISAF sarà definito in autunno,
una volta terminata la stagione dei combattimenti, in base alla
capacità operativa raggiunta dalle ANSF10.
Partendo dal presupposto che “l’opzione zero” ventilata da Washington
nei mesi precedenti non fosse credibile, ma che fosse un mero
strumento di pressione sul governo Karzai11, con ogni probabilità verrà
adottata la terza opzione, ossia dai novemila ai dodicimila uomini.
Questa sarebbe l’unica che consentirebbe di mantenere il fondamentale
rapporto 1 a 3 tra le forze operative e quelle logistiche e di supporto.
L’Afghanistan, infatti, per l’elevata lontananza dalle linee di
comunicazione logistiche dell’Asia Centrale e dell’Oceano Indiano,
dipende fortemente dai rifornimenti aerei, che richiedono un gran
numero di uomini, mezzi, materiali e infrastrutture. Questa opzione
risulta quindi essere la più credibile12.
Per quanto concerne gli Alleati europei invece, l’ipotesi d’impiegare
nella nuova missione solo poche centinaia di militari non sembra
credibile, dal momento che paesi come l’Italia e la Germania
continueranno a essere responsabili dei principali comandi provinciali
dell’Ovest e del Nord del paese13. Anche per le nazioni europee, facendo
le stesse considerazioni in merito ai limiti logistici della forza, vi sarà la
richiesta di un numero minimo di almeno seimila uomini.
Tenendo conto dell’impossibilità di azzerare l’apparato militare
straniero in Afghanistan, pena l’impossibilità dei nostri addestratori di
proteggersi e di operare, la Resolute Support Mission rischia di
assomigliare troppo a ISAF e di differenziarsi solo in termini
quantitativi più che qualitativi.
©ISPI2013 10 R. BURNS, US Forces in Afghanistan after 2014 to be determined by Afghan Army
Performance, www.huffingtonpost.com , 16 aprile 2013.
11 P. BERGEN, Abandon Afghanistan? A Dumb Idea, www.cnn.com, 10 gennaio 2013.
12
K. KATZMAN, op. cit.
13
E. LONDONO, US, Germany, Italy commit to training roles in post-2014 Afghanistan,
www.articles.washingtonpost.com , 5 giugno 2013.
6 Quale futuro per la NATO in Afghanistan?
©ISPI2013 È ormai evidente che l’approccio prevalentemente militare fin qui
utilizzato per mezzo di strumenti come la COIN non è sufficiente, né
consente di raggiungere gli obiettivi in tempi accettabili. Pertanto è
necessario affidarsi maggiormente alla diplomazia e alla politica.
Tuttavia, la credibilità di Washington e della NATO agli occhi degli
afgani e dei principali attori regionali è fortemente compromessa dagli
atteggiamenti ambigui della Casa Bianca, che vanno ad acuire il senso
di profonda incertezza sul futuro di questo paese.
Innanzi tutto, non è chiaro il ruolo che gli USA intendono avere
nell’ambito del processo di riconciliazione tra il governo di Kabul e le
fazioni talebane. In questi giorni la Casa Bianca sembra aver optato per
una partecipazione diretta ai negoziati con i talebani, che assumono
quindi l’aspetto di negoziati bilaterali, escludendo di fatto Karzai e
delegittimandolo ulteriormente. Le tensioni scaturite da ciò, hanno di
fatto bloccato questi negoziati e sospeso quelli inerenti all’elaborazione
del nuovo Status of Forces Agreement14. Questo atteggiamento rende
ancor più difficoltosa la riconciliazione, che vede i talebani non
intenzionati a trattare direttamente con Karzai e le fazioni tagike,
uzbeke e hazara (l’ex Alleanza del Nord) sfiduciate in merito al governo
di Kabul e pronte a combattere nuovamente i talebani, escludendo
qualsiasi compromesso. Secondo l’ex ambasciatore USA in Afghanistan
Ronald Neumann, per essere credibili in ambito negoziale, l’impegno
deve essere duraturo e le posizioni assunte devono essere chiare agli
interlocutori15. Se il primo punto sembra essere stato confermato
dall’intenzione degli USA di rimanere in Afghanistan fino almeno al
202416,non si può dire lo stesso per il secondo. Sempre secondo
Neumann17, per la ripresa dell’Afghanistan è necessaria la
realizzazione di due accordi politici: il primo, riguardante la politica
interna e avente il compito di porre le basi per la creazione di un
governo realmente rappresentativo di tutte le fazioni in causa compresi
i talebani e un secondo, con il compito di coinvolgere i principali attori
regionali come il Pakistan, l’India e l’Iran, per lo sviluppo e la
pacificazione dell’Afghanistan. Il primo, almeno nella fase attuale, pare
essere di difficile attuazione, il secondo, per quanto complesso, potrebbe
portare a una drastica riduzione della violenza nel paese, dal momento
che gran parte dell’insurgency risulta sponsorizzata da potenze
14 O. SACCHELLI, Tensione tra Afghanistan e USA: Kabul sospende i colloqui per l’accordo
sulla sicurezza, www.ilgiornale.it , 19 giugno 2013.
15 R. NEUMANN, Afghan Endgame. How to help Kabul stand on its own, in «Foreign
Affairs», novembre/dicembre 2012.
16
Vedi trattato bilaterale Strategic Partnership ratificato da USA e Afghanistan all’inizio
del 2012.
17
R.NEUMANN, op. cit.
7 ©ISPI2013 straniere e poiché essa non coincide nella sua totalità con il movimento
talebano. Da ciò scaturisce che non potrà esserci pace se non
coinvolgendo tutti i protagonisti e che la violenza e la criminalità in
Afghanistan non sono sempre correlate al termine “talebani”.
Solamente con un approccio onnicomprensivo, che tenda ad abbattere le
incertezze in merito al ruolo degli USA e della NATO nel futuro
dell’Afghanistan e che coinvolga i partner regionali, si potranno
ottenere condizioni più favorevoli alla transizione nei suoi tre aspetti
fondamentali di sicurezza, governance e sviluppo. Questo processo però,
non può essere avviato dal basso. Non si può pervenire a una soluzione
politica passando prima da una transizione incompleta e da un governo
afgano non funzionante. Al contrario, solo con una concertazione
avviata ai massimi livelli, si possono raggiungere le condizioni
necessarie ad una transizione effettiva del potere.
In questo modo gli USA e la NATO potranno ristabilire la propria
credibilità nel mondo ed evitare che il sanguinoso Afghanistan diventi,
oltre che il cimitero degli Imperi, la tomba della NATO.
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