inaugurazione anno accademico 2005-2006
Transcript
inaugurazione anno accademico 2005-2006
INAUGURAZIONE ANNO ACCADEMICO 2005-2006 24 febbraio 2006 Aula Magna Facoltà di Lettere e Filosofia Copyright © by Università degli Studi Roma Tre Divisione Comunicazione e Cerimoniale [email protected] Coordinamento e immagine Paola Andreucci Revisione editoriale Monica Postiglione Progetto grafico ed impaginazione Daniela Basti Foto Paolo Galosi Copertina Edigraf S.r.l. INDICE pag. 7 Apertura dei Lavori del Rettore Prof. Guido Fabiani pag. 9 Intervento del Rappresentante degli Studenti Sig. Matteo Zaccari pag. 13 Intervento del Rappresentante del Personale Tecnico-Amministrativo e Bibliotecario Dr.ssa Maria Rosaria Cagnazzo pag. 17 Relazione del Rettore pag. 31 Prolusione del Presidente Onorario della Robert F. Kennedy Foundation of Europe Kerry Kennedy pag. 43 Intervento conclusivo del Sindaco di Roma Walter Veltroni pag. 51 Profili pag. 65 Mostra fotografica pag. 67 Ospiti a Roma Tre Apertura dei Lavori del Rettore Prof. Guido Fabiani I n qualità di Rettore di questo Ateneo dichiaro aperta la Cerimonia di Inaugurazione dell’Anno Accademico 20052006. A nome del Prorettore Vicario, prof. Mario Morganti, dei Prorettori, proff. Renato Moro e Maria Rosaria Stabili, dei Presidi di Facoltà, del Direttore Amministrativo, dott. Pasquale Basilicata, del Senato Accademico e del Consiglio di Amministrazione, rivolgo un caloroso saluto alle autorità civili, religiose e militari, ai colleghi Rettori, agli studenti, ai docenti, al personale tecnico-amministrativo e bibliotecario e a tutti i presenti. Ringrazio e saluto in particolare il Presidente prof. Annibale Marini e i consi- 7 glieri della Corte Costituzionale, il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri on. Gianni Letta, il Vice-Segretario Generale della Presidenza della Repubblica professoressa Melina De Caro. Al privilegio di aprire questa giornata inaugurale di Roma Tre si aggiunge per me il piacere di farlo con la presenza di Mrs. Kerry Kennedy e del Sindaco Walter Veltroni. Quest’anno abbiamo deciso di invertire, rispetto alla tradizione delle inaugurazioni di Roma Tre, l’ordine degli interventi e daremo pertanto subito la parola al rappresentante degli studenti e poi al rappresentante del personale tecnico-amministrativo e bibliotecario. Vogliamo sottolineare il ruolo che queste due componenti hanno svolto e continuano a svolgere nel processo di costruzione del nostro Ateneo. Bisogna dire che con gli studenti quest’anno il rapporto è stato segnato anche da episodi di incomprensioni e da tensioni. A loro per primi perciò rivolgo alcune brevi considerazioni. A Roma Tre, come in tutti gli atenei, il Rettore ha il dovere di garantire che tutte le opinioni, vissuti, memorie, abbiano diritto di cittadinanza e trovino spazio di espressione. Compito dell’Università è quello di offrire un terreno comune che permetta, attraverso la riflessione critica e il confronto anche appassionato, di comporre in forma dialettica le opinioni e le idee. Tutto questo mi porta a dire che noi amiamo avere studenti portatori di idee e valori diversi, costituzionalmente legittimi, e che li riaffermino con passione ma con rispetto e tolleranza nei riguardi dell’altro. Noi lavoreremo per dare a tutti gli opportuni spazi di espressione. A tutti inoltre voglio dire che abbiamo bisogno di tutti voi e di ciascuno di voi, di ciascuna delle vostre rappresentanze, culturali, ideali e politiche. In un’occasione come quella odierna deve prevalere il senso di appartenenza comune come valore aggiunto e indispensabile a fare sì che il vostro specifico contributo operi nel modo più ricco e profondo nel corpo vivo dell’Ateneo. Al personale tecnico-amministrativo e bibliotecario voglio ancora una volta oggi esprimere il mio ringraziamento anche a nome di tutti i colleghi docenti e degli studenti, per il contributo di lavoro, l’intelligenza, lo spirito di appartenenza e la professionalità che sono diventati preziosi caratteri distintivi del nostro Ateneo. 8 Intervento del Rappresentante degli Studenti L a nostra è una generazione che ha bisogno di immaginazione per il proprio futuro; immaginare il proprio perché molte incertezze annebbiano quello disegnato da e per, le generazioni precedenti. Ogni giovane, studente, ricercatore di quest’Ateneo per progettare la propria vita ha bisogno di conoscere anche il futuro della sua generazione. Oggi siamo costretti a farci alcune domande, tra loro molto diverse, a cui siamo chiamati a rispondere nei prossimi 10 o 20 anni. Dobbiamo chiederci: «Per quanti sarà un’opportunità l’ascesa economica Asiatica?», «Scateneremo ancora molte guerre?», «Cosa porterà il riscaldamento climatico?», «Di chi sarà internet?», «Ci sarà conoscenza ancora libera da brevetti?», «Quali combustibili manderanno avanti le nostre società?», «Milioni di uomini migreranno ancora in cerca di acqua, cibo e opportunità?», «Quanti saranno i seguaci dei vari fanatismi?». Se da oggi non tracciamo i percorsi che possono affrontare queste e altre domande, sarà difficile realizzare anche molti dei nostri progetti personali. La costruzione dell’Europa è stata la costruzione di un grande strumento di indirizzo del futuro. Uno strumento troppo po- tente, per essere ben utilizzato dalle lobby e oscuro per la maggior parte dei suoi abitanti. La «cittadinanza europea» è stata un pilastro, ma l’allontanamento delle sue istituzioni dalla dialettica diretta con i cittadini la svuota ogni giorno di più di significato. E oggi le politiche di promozione del cittadino sono sempre di più messe da parte, non solo non c’è l’Europa politica, ma la politica dell’Europa mette al centro il mer- 9 cato e non più la persona. Nel marzo di sei anni fa, il Consiglio Europeo riunito in sessione straordinaria a Lisbona, progettava per i dieci anni successivi : “...l’economia basata sulla conoscenza, più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale...”, un progetto che avrebbe utilizzato come strumento operativo la diffusione del sapere e l’innalzamento del livello di istruzione dei suoi cittadini. La diffusione della conoscenza è uno strumento adatto non solo allo sviluppo economico equo, ma ancor prima rafforza la democrazia, promuove la pace e risponde bene ai nostri quesiti iniziali. È lo strumento di cui abbiamo bisogno per costruire, ognuno, il proprio futuro. A sei anni dal quel progetto la strada da fare è ancora molto lunga. L’università così come la conosciamo e viviamo oggi non è un’istituzione forte, che dà ai giovani la preparazione necessaria a perseguire con sicurezza un proprio progetto. La formazione è stata centellinata, è diventata nozionistica e velocemente deperibile. I percorsi di studio sono molto più rigidi di quanto richiederebbero le esigenze didattiche, e, per rispondere alle molteplici richieste del mercato del lavoro, si moltiplicano a dismisura. I costi per l’accesso alla formazione universitaria sono interamente accollati a studenti e famiglie (solo il 4% dei nostri studenti ha una borsa di Laziodisu); non ci so- 10 no strutture di ristoro adeguate; non abbiamo costruito un solo posto alloggio e la realizzazione di strutture minime è una speranza dai tempi decennali, dislocata decisamente fuori mano. L’accesso alla formazione lungo tutto l’arco della nostra vita, attraverso master o corsi di specializzazione, necessari per rimanere nel mercato del lavoro, arriva a costare 5.000,00 euro solo per l’iscrizione. Le stesse strutture didattiche degli Atenei sono estremamente carenti, e si limitano per lo più a un numero di aule insufficienti e a biblioteche. Laboratori e spazi di socializzazione sono rari o casuali. L’Università di oggi non ha le risorse necessarie per avviare un progetto tanto ambizioso quale quello di Lisbona e la ricerca di quelle necessarie per mantenersi determina scelte che si allontanano dal nostro ambizioso obiettivo. L’università di oggi ha bisogno di curare la propria immagine di fronte agli occhi degli studenti-clienti e delle loro famiglie. Essere scelti da studenti, che continueranno a usufruire dei master e servizi post lauream diviene fondamentale. I servizi offerti devono essere innovativi e accattivanti. Le famiglie sicure del fatto che lo studente sia produttivo e il servizio assistenza sempre presente (con quello che costa farlo studiare!), ma soprattutto lo studente non deve disperdere il proprio tempo appresso alle proprie inclinazioni o peggio…. non deve fare politica: una cosa sporca, che non serve a niente e che con lo studio non centra nulla. Lavorare sulla centralità del soggetto in for- mazione è invece l’altro cardine su cui incentrare una politica di rilancio della formazione. Molto spesso infatti prima della possibilità di uno studente di conseguire un dottorato di ricerca, viene trascurata la capacità di produzione e condivisione autonoma di ognuno. Prima della riforma dei cicli l’unico momento dedicato all’auto-formazione e alla produzione di sapere era quello della tesi. Oggi quel momento si è molto ridimensionato e l’applicazione pratica dei crediti dedicati all’auto-formazione è rarissima. Dedicare uno spazio costante nel percorso didattico all’auto-formazione, sia come pratica personale, sia attraverso il lavoro cooperativo, garantisce una maggiore capacità critica e promuove l’idea che la conoscenza è un bene pubblico tanto più ricco quanto più condiviso. La centralità dello studente passa anche per un maggiore coinvolgimento della città che lo ospita. Lo studente infatti è spesso pro- 11 tagonista della vita sociale e culturale di una città, e se fuori sede è anche portatore di risorse economiche. La fruibilità dei parchi, delle biblioteche, dei musei, dei mezzi pubblici e del patrimonio abitativo, degli eventi culturali sono elementi qualificanti della vita formativa. Alcuni limiti alla cittadinanza studentesca sono però evidenti. Roma ad esempio ospita per anni migliaia di studenti che vivono intensamente la metropoli, sono spesso soggetti nella vita sociale e politica della città ma non hanno la possibilità neanche di esprimere il loro voto alle amministrative perché la residenza rischia di far perdere lo «status» di fuori sede. E come possono svilupparsi in un’amministrazione politiche coerenti dedicate a non-cittadini, come si possono difendere ad esempio i diritti di studenti-inquilini, contro padroni di casa-elettori? Ampliare i diritti di cittadinanza, i diritti di mobilità, prolungare gli orari dei servizi cul- turali, avere una politica abitativa specifica, rientra negli obiettivi di promozione di una società basata sulla conoscenza. L’anno che si è concluso è stato il primo anno in cui l’università è stata attraversata da un importante fermento dalla riforma dei cicli. Un fermento che mette in mostra un disagio senza bandiera di partito, ma che nasce dalla constatazione che siamo la prima generazione «ricca», senza diritto all’essenziale: una casa, un reddito, una nostra famiglia. Un fermento che chiede una risposta politica, che chiede provvedimenti che realizzano nella sostanza i principi approvati a Lisbona. Un progetto che, nonostante non siamo stati noi a scrivere, dovremo guadagnarci sul campo nei prossimi anni. Il nostro augurio per quest’anno è quello di imparare a tracciare il percorso per il nostro futuro. È quello di far tornare la politica, l’impegno e la progettualità nelle nostre vite; che l’università torni priorità nell’agenda politica. Sig. Matteo Zaccari Rappresentante degli Studenti 12 Intervento del Rappresentante del Personale Tecnico-Amministrativo e Bibliotecario R ivolgo innanzitutto il mio più cordiale saluto al Magnifico Rettore, alle Autorità presenti, agli ospiti, così autorevoli, ai docenti, alle colleghe, ai colleghi ed agli studenti. Salutiamo con piacere la presenza di Kerry Kennedy, qui, oggi. Già in altre occasioni dichiarammo che la battaglia per i diritti umani e civili è una battaglia che ci appartiene e ci riguarda tutti. Oggi in ogni parte del mondo una nuova generazione di donne diventa punto di riferimento per milioni di persone che si battono per la democrazia e per l’avanzamento morale e materiale del pianeta. La nostra città è diventata in questi anni sempre di più una capitale del dialogo e del confronto fra culture e religioni diverse; in tempi nei quali sembra che lo scontro tra civiltà sia sempre più inevitabile e che non si riesca ad arrestare questa deriva, Roma ha invece costruito occasioni di incontro e di ascolto reciproco. Coloro che sono chiamati dalla società al compito di produrre e diffondere cultura sono ben consapevoli di quanto il dialogo ed il confronto abbiano contribuito al progresso dell’umanità. Anche per questo il nostro Ateneo ha par- tecipato, con le inaugurazioni dell’anno accademico ma non solo, alla costruzione di questa vocazione cittadina ed alla diffusione di questi valori. Questa giornata inaugurale, con l’autorevole partecipazione del Sindaco Walter Veltroni, vuole essere per noi una tappa di questo percorso. L’auspicio è che esso possa essere confermato e rafforzato nei prossimi mesi. L’impegno è quello di fare ognuno fino in 13 fondo la propria parte. Sappiamo che il mondo dell’università e della ricerca vive un momento difficile, così come siamo consapevoli che sono molte le tematiche che riguardano il personale tecnico-amministrativo e bibliotecario: legittime aspirazioni, disagi, richieste di valorizzazione. Tuttavia, in occasione dell’inaugurazione di questo anno accademico vogliamo richiamare l’attenzione dell’intera comunità di Ateneo, delle Autorità presenti e degli ospiti, su una questione che a livello nazionale, proprio in tema di diritti e solidarietà, sta assumendo i caratteri di una vera emergenza sociale; emergenza sociale alla quale università e ricerca non sfuggono. Si tratta della questione del precariato, del lavoro precario, o, se volete, “atipico”, come viene spesso definito per distinguerlo, già nel nome, da quella che dovrebbe essere la normalità del lavoro dipendente a tempo indeterminato. Sono ormai tre milioni e mezzo in Italia, i lavoratori, a vario titolo, precari; in primo luogo co. co. co. e co. co. pro., cioè collaborazioni coordinate e continuative e collaborazioni a progetto, ma anche lavoro a termine e in affitto, lavoratori con partita IVA. Fino a pochi anni fa, l’età media dei lavoratori precari si collocava tra i venti e i trenta anni; oggi si è spostata in avanti di dieci anni, dimostrando che il lavoro precario non costituisce automaticamente l’anticamera della stabilizzazione, semmai il contrario. Più precisamente, il lavoro atipico nel pub- 14 blico impiego, secondo una stima della Corte dei Conti riguarda oltre 300.000 persone. Il blocco delle assunzioni negli ultimi cinque anni è stata la causa principale del moltiplicarsi del lavoro precario anche negli Enti Pubblici; ed oggi, il medesimo Governo che ha costretto le pubbliche amministrazioni a ricorrere ai lavoratori precari, pretenderebbe che le stesse provvedessero al loro licenziamento tramite la norma “taglia-precari” contenuta nell’ultima Legge Finanziaria, la quale prevede la riduzione del 40% delle risorse destinate al lavoro atipico. E proprio la lotta alla precarizzazione ha costituito il tema unificante del movimento di protesta che negli ultimi mesi ha attraversato le università italiane contro la legge proposta dal ministro Moratti; anche nel nostro Ateneo docenti, personale tecnico-amministrativo e studenti si sono mobilitati insieme per contrastare un progetto di sostanziale precarizzazione dei ricercatori e dei docenti che rientra nella più generale filosofia di questi anni. Noi chiediamo alle università, agli enti pubblici, agli enti locali, di bloccare ogni ulteriore ricorso al lavoro atipico, la conferma di quello già in essere, l’avviamento di interventi e percorsi possibili che fin da subito forniscano maggiori garanzie e stabilità. Vogliamo qui ricordare che anche nel contratto dei metalmeccanici, firmato pochi giorni fa, oltre alla parte economica e normativa, è contenuto e sottoscritto un impegno delle parti a non applicare la Legge 30. È da questa nuova attenzione al problema del lavoro precario e alle sue conseguenze sociali, dalla responsabilizzazione degli enti pubblici e delle imprese, che si deve ripartire per trovare una soluzione definitiva fatta di strumenti normativi di carattere generale e nazionale i quali, comunque, a nostro giudizio, non possono prescindere dal completo ribaltamento delle logiche della legge 30; in sostanza più diritti e garanzie e meno precarietà. Il lavoro a tempo determinato dovrà costituire l’eccezione e non più la regola. Noi non condividiamo l’idea secondo cui la creazione di posti di lavoro e la possibilità di competere nel commercio mondiale si ottengono riducendo diritti, tutele e garanzie. Pensiamo, al contrario, che questi due obiettivi si raggiungono investendo molto di più in ricerca, alta formazione, specializzazione tecnologica, qualità industriale. Riusciremo a dare un futuro a questo paese solo se convinceremo i nostri concittadini che questa sfida riguarda tutti, 15 non solo gli addetti ai lavori. Dieci anni fa l’obiettivo dell’ingresso nella moneta unica europea fu vissuto da tutti gli italiani come proprio; in questo caso dovremo saper fare la stessa cosa. Questa Università ha mostrato sensibilità democratica non solo sulle scelte urbanistiche ma anche in tema di servizi sociali e nei rapporti con gli studenti. Anche in tema di lavoro precario in passato si è positivamente lavorato a fondo per assorbire coloro che, da precari, contribuirono alla fondazione e al consolidamento dell’Ateneo. Tuttavia, il blocco delle assunzioni stabilito dalle ultime Leggi Finanziarie, ha nuovamente costretto un’università in crescita come Roma Tre a fronteggiare la maggiore domanda di servizi ricorrendo al lavoro atipico, il quale rappresenta oggi un aspetto importante del lavoro quotidiano in molti uffici amministrativi, all’interno delle facoltà e nei dipartimenti. Diversamente da altri enti, comunque, si è scelto di formulare contratti che contengono alcuni elementi di garanzia. Ora però, in virtù della deroga al blocco delle assunzioni per le università, è possibile formulare un programma pluriennale per l’occupazione che, attraverso anche provvedimenti intermedi, riteniamo sia in grado di creare nuovi posti di lavoro stabili, di restituire a chi 16 già lavora diritti e garanzie. È possibile ancora una volta con il concorso di tutti: l’intera comunità d’Ateneo, gli Organi di Governo, l’Amministrazione, le Organizzazioni Sindacali dei lavoratori. Dott.ssa Maria Rosaria Cagnazzo Ufficio di Supporto per lo Studio di Progetti Informatici Relazione del Rettore Prof. Guido Fabiani 1. SEGNI DI VITALITÀ I discorsi d’inaugurazione degli anni accademici passati si aprivano di solito con una rassegna degli aspetti critici dell’Università Italiana a livello di legislazione, di finanziamento e di gestione centrale. Ci sarebbero ancora diversi buoni motivi per cominciare nello stesso modo. Nell’occasione odierna, però, penso sia utile provare a cambiare prospettiva. Non che il cielo sopra l’università italiana – intendiamoci bene – sia migliorato, anzi. Ma, a dispetto di quel cielo coperto, a livello di terra – cioè qui tra noi, che nell’università lavoriamo e viviamo – si vedono affiorare di continuo nuove forme di vita intellettuale, scientifica, organizzativa, gestionale, studentesca, comunitaria: tutti segni di vitalità troppo spiccati e nuovi perché non si debba prendere le mosse proprio da qui. Per questo motivo oggi voglio iniziare sottolineando le cose che funzionano o che promettono di andare bene in futuro o che sembrano costituire fattori di possibile crescita del sistema. tissimi e confortanti. Nelle scorse settimane sono stati pubblicati i risultati della valutazione cosiddetta CIVR sui prodotti della ricerca nel triennio 2001-2003, alla quale sono stati sottoposti tutti gli atenei. (Tra parentesi, non sembra vero, ma l’Italia ha dovuto aspettare il 2006 per sapere che cosa vale la sua ricerca uniIn questo spirito, cominciamo allora dalla ri- versitaria!) Ebbene, il nostro sistema univercerca, dove abbiamo dati e indicatori recen- sitario ha mostrato di essere in grado di pro- 17 durre risultati valutati in gran parte come eccellenti o di buon livello. Giudicati anche da esperti internazionali e secondo una scala di valori condivisa dalla comunità scientifica, gli oltre 17 mila prodotti sottoposti a valutazione sono risultati per il 30% eccellenti, per il 46% buoni, per il 19% accettabili e solo per il 5% limitati. Inoltre, dal 2000 ad oggi si sono rilevati una crescita delle pubblicazioni scientifiche italiane (di molto superiore alla media europea: 16% contro 2,8%), e un incremento -- vicino a quello medio europeo -- del fattore d’impatto delle pubblicazioni stesse (nei campi, ovviamente, in cui il fattore d’impatto viene computato). È pur sempre vero che in termini assoluti la nostra posizione globale nella ricerca continua a rimanere distante da paesi come Germania, Gran Bretagna e Francia, ma ciò è anche dovuto agli scarsi investimenti nazionali in Ricerca e Sviluppo, come ha rilevato nei giorni scorsi anche il Presidente Ciampi (la metà rispetto ai paesi OCSE ed il 60% rispetto alla media dei paesi europei). L’università italiana rivela dunque nuova vitalità nella ricerca, e non solo in quella di base. Ciò è confermato dalle richieste italiane di partecipazione al Programma Nazionale della Ricerca per il 2005-07, dove l’Università è presente nell’89% dei progetti presentati assieme ad un elevato numero di imprese di varie dimensioni e agli altri Enti nazionali di ricerca (presenti nel 55% dei progetti). Credo quindi che possiamo annotare un punto a favore del nostro sistema universi- 18 tario per quanto attiene alla ricerca, e confido che vedremo cose ancora migliori nel prossimo futuro. Vediamo ora la didattica. Quanto ai cambiamenti nell’offerta formativa, già negli anni scorsi erano stati rilevati un aumento della percentuale dei laureati del 33% e una notevole crescita degli immatricolati (nonostante la diminuzione della coorte dei diciannovenni), in aggiunta a un dimezzamento degli abbandoni in corso di studio. Quest’anno, sono stati appena pubblicati i dati relativi al compimento del primo ciclo della laurea triennale, che mostrano, pur con notevoli diversificazioni tra facoltà, che: (a) il 35,5% dei laureati si è inserito nel mercato del lavoro senza proseguire gli studi, (b) il 18,3% si è ugualmente inserito nel mercato del lavoro, ma contemporaneamente prosegue gli studi, (c) il 36,5% ha deciso di continuare gli studi e di non lavorare, (d) il 9,7% non lavora e non prosegue gli studi. Per quanto riguarda i master (benché occorra ancora valutarli nel complesso e nelle loro singole tipologie), è noto che hanno avuto un notevole successo, favorendo un nuovo fruttuoso collegamento con le professioni, le specializzazioni e la formazione ricorrente. Del pari ci aspettiamo risultati positivi dalla riorganizzazione dei dottorati di ricerca, soprattutto per i nuovi collega- menti internazionali che si stanno attivando. Possiamo allora annotare un altro punto a favore per quanto attiene all’attrattività dell’università nei confronti dei giovani e in generale del mondo esterno. Insomma, seppur limitata nelle risorse e dipinta talvolta dai media come destinata a un declino irreversibile per la colpevole responsabilità del corpo docente e di altri fattori maligni, l’Università italiana mostra che vuole andare avanti, recuperare il tempo perduto, integrarsi con i sistemi universitari europei, e perfino competere. 2. SEGNALI DI PERICOLO Ma le cose non vanno tutte in modo altrettanto promettente. Nel contempo, infatti, chi nell’università lavora, ricerca, insegna e studia, si pone con un’insistenza mai sperimentata prima alcune semplici domande: quale è il futuro del nostro sistema universitario? Che cosa possiamo aspettarci? E che cosa il paese può aspettarsi dall’università? Negli atenei si vive infatti un clima d’incertezza, si sente che i processi di rinnovamento avviati non hanno garanzia di completamento, si avverte il rischio che possa spezzarsi il nesso - che è sollecitato e quasi imposto dalle forme che la conoscenza assume oggi - tra Università e società, tra accumulazione del sapere e vita collettiva, tra ricerca e produzione. Solo un osservatore superficiale e privo 19 d’immaginazione potrebbe non cogliere il disorientamento in cui si trovano quanti dedicano all’Università il loro impegno primario. Non è difficile prevedere che il perdurare di queste condizioni solleciterà la crescita dello scontento e perfino tensioni interne ai singoli atenei. Il taglio delle risorse finanziarie produrrà effetti gravi sul reclutamento di giovani e in particolare su quel delicatissimo tema che è l’accesso dei meritevoli, sulla scoperta di nuovi talenti, sulla creazione di conoscenze di base e applicate, sulla manutenzione e espansione degli impianti, sulla creazione di relazioni internazionali di cooperazione scientifica e didattica, sull’organizzazione di convegni e di iniziative culturali avanzate: insomma, sulla vita complessiva degli Atenei, e - bisogna dirlo - sul vantaggio globale che un’università dinamica, evoluta, moderna può portare al paese. Per parte loro, gli studenti non potranno non sentire pesantemente insidiato il già precario livello del diritto allo studio. Quando si riducono le risorse reali e la capacità di spesa e al contempo si accrescono maliziosamente gli squilibri tra le singole università, si mette a rischio la gestione ordinaria e si finisce per soffocare l’esercizio responsabile dell’autonomia. Quando si opera senza reali obiettivi di sviluppo, senza un disegno politico-culturale valido e condiviso, senza fantasia e coraggio, quando si baratta tutto ciò con richiami approssimativi a modelli stranieri e a concezioni rozzamente aziendalistiche e efficientistiche; quando si dimentica che l’uni- versità, pur avendo modelli organizzativi e gestionali complessi, non è un’azienda ma qualcosa di diverso e di speciale, anche data la forte connotazione pubblica delle sue funzioni e finalità; quando si favorisce l’istituzione a pioggia di università locali, spesso costituite solo da un nome e un indirizzo, o anche di altisonanti “Istituti di Tecnologia” noti finora solo per la sorprendente abbondanza di risorse di cui dispongono; quando si improvvisano “università telematiche” del tutto sottratte alla valutazione della comunità scientifica; quando si creano università e istituti universitari intesi come “prelature personali”, contigui cioè a questo o a quel notabile del momento - insomma, quando si opera con visioni e pratiche di questa levatura si finisce per disarticolare la concezione stessa di Università come luogo elettivo per la coltivazione dell’intelligenza del paese e la produzione di conoscenza evoluta e vantaggiosa per tutti. 20 Questa è una politica di false novità, portatrice di un disegno fiacco e retrogrado, un disegno che non diventa migliore per il solo fatto di presentarsi come liberista; una politica orientata a dirottare risorse su obiettivi estranei alle reali esigenze di sviluppo e di competitività del paese. Una politica che finisce così per minare il rapporto tra didattica e ricerca, quasi - potrebbe supporre qualche malizioso - con l’intento di sottrarre la ricerca all’Università per trasferirla altrove. Per venire a qualche considerazione più di dettaglio, non si capisce perché si sia voluto metter mano ad una “riforma della riforma” della didattica, accompagnata da discussioni che, per quanto sfibranti, hanno partorito modifiche ininfluenti (se si esclude, quella, comunque molto discutibile, concernente l’ordinamento della facoltà di Giurisprudenza) e un inutile aggravio orga- nizzativo. Per contro, si sarebbe dovuto sollecitare con ogni mezzo una rigorosa e capillare verifica dei risultati del primo ciclo della riforma, per meglio qualificare l’offerta formativa degli atenei. Si sarebbero dovute definire direttive per orientare efficacemente gli ordinamenti didattici verso un sistema integrato europeo. Allo stesso modo, si è messa mano con gran clamore di proteste e con un tortuosissimo iter alla revisione dello stato giuridico dei docenti. Il risultato è un provvedimento debole nell’impianto, povero di contenuti e biasimevole in molti aspetti, contestato da tutti, che riporta al passato il difficile tema della politica degli accessi: ad esempio, è stato abolito il ruolo di ricercatore (anche se solo a partire dal 2013 (!)), così svilendo la funzione attuale e futura di questa categoria, proprio mentre la Carta Europea dei diritti e dei doveri dei ricercatori ne invoca la tutela e la stabilizzazione come forza di rinnovamento del sistema universitario. A ciò si aggiungono altri tocchi, ne cito solo due ad esempio: un’irresponsabile enfatizzazione della figura dei docenti a contratto, tanto più strana in quanto nel contempo agli attuali 55.000 professori a contratto si prospetta un taglio drastico (-40%!) dei contratti stessi, che sappiamo quanto malpagati; o anche una normativa di reclutamento che, per la fase transitoria, può dare luogo ad avanzamenti di carriera motivati dall’anzianità di servizio piuttosto che da una solida qualificazione scientifico-didattica. 21 3. LA VIA DEL TERRITORIO L’Università italiana da troppi anni -voglio essere chiaro: non solo da un quinquennioè in attesa che nella classe dirigente nazionale e nel paese nel suo insieme si formi un’idea positiva, propulsiva, civile e critica di università. Ciò mi spinge a puntare di nuovo lo sguardo sul contesto intorno a noi. Tutti sappiamo che si è venuta creando negli ultimi anni una concezione globale e insieme territoriale dell’azione economica, e anche, di conseguenza, di quella scientifica e di ricerca. In tutto il mondo nascono “distretti di ricerca” geograficamente delimitati (pensate, nel campo privato, alla Silicon Valley, o, nel campo pubblico e più vicino a noi, al parco scientifico francese di Sophia Antipolis o al recentissimo Polo della Ricerca che si viene creando a Lione), collegati con i poteri locali (a livello di Land, di regione, o in ambito ancora più ridotto) piuttosto che con quelli centrali, di cui preferiscono schivare l’abbraccio che potrebbe facilmente essere fatale. L’incrocio innovazione--territorio è del resto la chiave della politica industriale europea: cogliere le domande, le potenzialità e le vocazioni del territorio, tradurle in obiettivi di ricerca e di innovazione, restituire e diffonderne i risultati attraverso una nuova alleanza tra autonomie universitarie e territoriali. In questa cornice, l’università ha le carte in regola per proporsi in modo sempre più au- torevole come hub di una rete di relazioni di medio raggio – scientifico-culturali e formative, economiche e istituzionali, – una rete che irrobustisce il tessuto socio-economico territoriale nelle sue diverse dimensioni, ne trae alimento e obiettivi, e contribuisce a configurare un modello di organizzazione, di finanziamento e di sviluppo. È facile vedere che queste considerazioni, valide in generale, si attagliano perfettamente alla situazione in cui vivono le università come la nostra, che hanno la fortuna di avere come proprie cornici concentriche Roma, la sua Provincia e la Regione Lazio. Questa non è solo una mia opinione personale. Una recente indagine del Censis (in occasione del convegno Roma 2015) ha mostrato che per i romani l’università è il primo dei soggetti considerati capaci di incidere sullo sviluppo della città: un segno chiaro del fatto che i rapporti tra la città di Roma e le sue università si sono fatti più ricchi e più intensi negli ultimi anni. Ciò è dovuto a due fattori che hanno operato soprattutto in anni recenti: un sostanziale mutamento nella “fantasia progettuale” dei governi locali e una radicale trasformazione che ha avuto luogo nell’università stessa, sia nel modo di rappresentarsi e organizzarsi, sia nel modo di presentarsi all’esterno. A questi processi si accompagna anche un recente fatto inedito: Regione e Provincia hanno avviato – forse per la prima volta – una riflessione approfondita, e certamente difficile, per definire la loro missione per il 22 futuro, per articolare la propria proiezione nello spazio – insomma la propria missione di azione territoriale, anche extra-moenia – e per elaborare su questa base le loro priorità. Tutti questi fattori hanno reso possibile avviare un percorso con cui ci stiamo gradualmente avvicinando alla costruzione di un articolato e moderno sistema universitario metropolitano e regionale. 4. LA SITUAZIONE ROMANA Per approfondire questa prospettiva conviene fare una breve analisi delle dimensioni del sistema universitario romano e del contesto più generale in cui si inserisce. In primo luogo vanno considerati alcuni aspetti che attengono alla dimensione quantitativa, precisando che farò riferimento solo agli Atenei statali. Voglio peraltro sottolineare che, seppure le università private coprono una percentuale relativamente bassa della domanda (6%), alcune di esse sono ormai componenti qualitativamente notevoli del sistema universitario cittadino. Secondo gli ultimi dati (ufficiali ma ancora provvisori), nel 2005 sono iscritti alle tre università romane 204.417 studenti. Se si confronta l’incidenza di questi iscritti sul totale nazionale (11,2%), col peso della popolazione della provincia sulla popolazione totale italiana (7,5% circa), se ne deduce il forte potere di attrazione che il sistema universitario romano esercita verso l’esterno. Per ora, ogni anno il flusso di entrata di gio- vani nel sistema è pari all’incirca a 35.000 unità (su 332.000 in Italia), mentre oltre 28.000 laureati (su circa 270.000 in totale) rappresentano il contributo del sistema universitario romano alla formazione della classe dirigente del paese. Le università romane statali contano inoltre 6.500 docenti di ruolo (su circa 53.000 totali) e oltre 4.000 dottorandi (su 33.000 totali), cui vanno sommati i numerosi tecnici e i portatori di competenze amministrative, gestionali e di processo impegnati con contratto a tempo determinato. Il peso del sistema universitario romano sui totali nazionali assume maggior significato se lo si inquadra nella cornice globale del comparto Ricerca e Sviluppo (R&S): a questo riguardo il territorio romano, per la concentrazione di risorse che richiama - infrastrutturali, umane e finanziarie - svolge una indubbia leadership nazionale. Su questo tema, la Fondazione Roma Europea ha pubblicato lo scorso ottobre un rapporto di grande interesse, dal quale conviene riprendere alcuni dati. A Roma, secondo questo rapporto, “si collocano quasi 1.300 enti pubblici e privati iscritti nell’Anagrafe nazionale delle ricerche (il 10% del totale nazionale, il 7% con sede a Milano) … quasi il 25% degli Istituti CNR (a Milano solo il 9%) … e inoltre, molti dei principali Istituti della ricerca pubblica italiana, … più di 10.000 aziende operanti in settori ad alta tecnologia (il 6,9% del totale contro il 6,6% di Milano) di cui 2/3 nel comparto del terziario, … oltre a poco me- 23 no di 300 unità di grandi imprese con un contributo elevatissimo all’occupazione complessiva dell’industria e dei servizi (oltre il 55%)”. E, ancora, riferendosi alla Regione Lazio e considerando che per oltre il 90% i dati riguardano Roma, sono “…oltre 30.000 gli addetti alla R&S censiti dall’Istat, e rappresentano quasi il 20% del personale di ricerca impiegato nel paese”, mentre la spesa regionale per R&S pesa per il 20% sul totale nazionale. Se, però, da questi dati risulta molto alto l’impegno pubblico, bisogna rilevare che “il contributo dei soggetti privati all’attività di ricerca… appare nel Lazio molto modesto… La spesa in R&S delle imprese laziali contribuisce solo per il 25% al complesso delle risorse regionali destinate alla ricerca, contro il 47% della media nazionale, il 66% della Lombardia, e il 77% del Piemonte”. È quindi un fatto, come si vede bene, che a Roma l’Università rappresenta il perno insostituibile di un settore di R&S ricco di potenzialità che, tra l’altro, potrebbero ancora espandersi disponendo di più consistente contributo privato. In ogni caso è indiscutibile che quando, come territorio, si giunge a rappresentare il 20% della forza-lavoro e della spesa nazionale per R&S, per tutti nascono responsabilità ed opportunità che sarebbe colpevole trascurare. 5. UNA PROPOSTA: LAVORIAMO AD Il governo della città di Roma sta già opeUN PATTO rando per mettere a frutto le potenzialità di produzione di conoscenza, innovazione e Voglio essere più chiaro. Credo che il qua- progresso tecnologico che sono intrinseche dro appena delineato rappresenti il punto di all’area romana. Ad esempio, sta realizzanpartenza di una potenzialità straordinaria, do l’inserimento della programmazione ediche è a portata di mano e che forse non lizia delle università in un contesto comaspetta che di essere articolata e tradotta in plessivo di lungo periodo. La continua crefatti: Roma, con il suo contesto territoriale, scita del campus di Tor Vergata, la progrespuò divenire una componente propulsiva di pri- siva articolazione della Sapienza, la valorizmo piano nello spazio europeo per la forma- zazione di Roma Tre come motore per il zione superiore e la ricerca. salvataggio di quella che all’origine era solo Se si vuole raggiungere questo obiettivo, è un’area industriale degradata, il consolidarsi tempo che si lavori tutti insieme per stipu- dello IUSM, sono elementi di un nuovo aslare una grande intesa, un Patto tra autono- setto urbano, che potrà svilupparsi ulteriormie universitarie (pubbliche e private) e isti- mente con la creazione di moderni campus tuzioni locali e imprese per mettere a pro- residenziali cui si sta lavorando. fitto, ai fini dello sviluppo economico e del- Cominciano nel contempo a notarsi segnali la coesione sociale, la funzione propria d’interesse verso il problema dell’accogliendell’Università. Quest’ultima è la sede eletti- za degli studenti stranieri, su cui c’è ancora va dell’accumulazione di capitale umano, il molto da fare. Il Comune sollecita le unisoggetto istituzionalmente preposto alla versità ad attivare un’offerta che permetta di produzione e alla diffusione di conoscenza, formare quadri professionali nei settori deled è un fattore determinante per governare lo sviluppo sostenibile, dei servizi pubblici, le tendenze della globalizzazione e portare dell’ingegneria del terziario e dei trasporti. Si una città come Roma, integrata col territo- stanno finanziando (con fondi del Comune, rio, a partecipare con un assetto competiti- della Regione e della Camera di Commercio) vo allo sviluppo della società della cono- giovani ricercatori per realizzare progetti sescenza. lezionati (in particolare nei settori dell’auÈ una sfida ambiziosa, che richiede un for- diovisivo e dell’ICT) presso varie imprese e te impegno di collaborazione paritaria tra le sotto la tutorship delle università. Si è costiuniversità, prevede l’investimento di risorse tuito il tavolo di concertazione per lo sviluppo con pubbliche e private e l’attivazione di mecca- le università come componenti permanenti nismi finanziari appositi, comporta un alto del tavolo stesso e delle sue commissioni. Si livello di fantasia progettuale da parte delle sta pensando alla costituzione di un istituzioni di governo territoriale. Segretariato per l’innovazione per una ricogni- 24 zione della domanda e dell’offerta innovativa. La Provincia, per parte sua, è molto attenta a sostenere le attività culturali e la ricerca delle università e sta lavorando con i centri per l’impiego e in collaborazione con le università a mettere in contatto domanda e offerta di lavoro. La Regione sta rielaborando l’impostazione del diritto allo studio e si sta impegnando a concentrare fondi significativi sull’obiettivo dello sviluppo della ricerca e dell’innovazione. Le Università romane, come si è visto, stanno articolando e adattando la propria offerta formativa al di là degli schemi tradizionali; hanno attivato iniziative di spin off per puntare alla valorizzazione economica della ricerca; sperimentano l’istituzione di Industrial liaison offices (ILO), per accompagnare i ricercatori nella creazione di imprese in cui si concretizzino particolari risultati di ricerca; stabiliscono infine sempre più 25 numerosi collegamenti col tessuto produttivo attraverso consorzi d’imprese e poli tecnologici. Gli Atenei di Viterbo e Cassino si sono consolidati e sviluppati e costituiscono validi presidi accademici e preziosi punti di riferimento per il tessuto sociale e produttivo di contesto. Esistono quindi le prospettive per fare di Roma, della sua provincia e del Lazio intero un’area privilegiata di ricerca tecnologico-industriale. Ma non bisogna dimenticare neanche che Roma e gran parte del territorio regionale sono da secoli uno dei più straordinari depositi di documenti, di monumenti e di sapere nell’ambito delle umanità, intese nel senso ampio del termine: dal diritto all’archeologia e alla conservazione dei beni culturali, dalla filosofia alla filologia, dalla storia alle scienze sociali, dalla linguistica agli studi religiosi e a quelli educativi. Sarebbe un peccato imperdonabile se queste risorse, che la storia antica e moderna ha messo dinanzi a noi, continuassero a restare dissociate e non si cementassero in un disegno comune: il disegno, che nella opinione di molti è ormai maturo, di fare di Roma con il suo retroterra regionale una capitale europea delle scienze umane. Per puntare a questi obiettivi, occorre lavorare in modo coordinato e collaborativo a taluni problemi che necessitano di una impostazione comune. Se si prova ad elencarli sono numerosi: favorire la mobilità degli studenti a Roma e sul territorio regionale attraverso un coordinamento didattico interateneo e sviluppando sinergie nei settori della formazione interdisciplinare e della riqualificazione professionale; creare un sistema comune di accoglienza di studenti, studiosi e ricercatori stranieri, anche integrando servizi residenziali, mense, strutture per il tempo libero e lo sport; costruire reti di intervento per sviluppare i rapporti tra università e realtà economiche e produttive del territorio favorendo il trasferimento dei risultati di ricerca, istituendo alcune strutture di servizio comuni: una banca dei brevetti universitari, una anagrafe della ricerca universitaria, un servizio informativo sulla domanda di lavoro delle imprese; destinare una quota del 5‰ dell’IRPEF all’immissione di una nuova leva di ricercatori nel sistema universitario romano e laziale; 26 integrare l’immenso patrimonio bibliotecario della città e delle università e il ricchissimo, e in parte mal conosciuto, patrimonio museale degli atenei, delle scuole e delle fabbriche in disuso; valorizzare i rapporti tra le Accademie e le istituzioni culturali straniere, che rappresentano una preziosa specificità storica della capitale; ricostruire organici rapporti tra le Università e i numerosi Enti di ricerca operanti nel Lazio, in primo luogo il CNR, che stanno anch’essi uscendo da una faticosa riforma; potenziare e riconoscere in maniera concreta il ruolo di coordinamento e propositivo del CRUL, nel quale è necessario includere i rappresentanti degli Enti locali e dei principali istituti di ricerca e dell’imprenditoria pubblica e privata. Al Governo della città, a quello della Regione, della Provincia e di tutte le istituzioni territoriali, al sistema delle imprese e delle istituzioni culturali, si chiede di essere sempre più parte attiva nella creazione di un sistema territoriale di ricerca e sviluppo, di impegnare risorse coordinate con le Università per fare di Roma e del Lazio un’area particolare di produzione di conoscenze e di cultura e, come conseguenza, di beni e servizi qualificati. Apriamo su quest’obiettivo importante un’intensa fase di collaborazione. Cominciamo da subito e guardiamo lontano: ad un sistema di distretti territoriali di R&S. 6. ROMA TRE Di questo mio discorso, come vedete, Roma Tre non rappresenta il centro. Ho voluto piuttosto delineare il profilo degli scenari entro cui saremo chiamati a operare in futuro. Se si guarda solo nel proprio orto si rischia di restare prigionieri di traguardi ristretti, di veder accrescere le tensioni all’interno e tra i diversi campi disciplinari, le facoltà, i dipartimenti. Noi di Roma Tre, tutti insieme, abbiamo saputo generare il clima di fiducia e di simpatia che indiscutibilmente circonda il nostro Ateneo, un Ateneo che in tredici anni ha raggiunto una scala dimensionale e un’autorevolezza che non erano facili da prevedere agli inizi della nostra storia. Non dobbiamo nasconderci le difficoltà del momento, ma dobbiamo anche trarre beneficio dal patrimonio che si è accumulato e metterlo in sinergia con quanto sta crescendo intorno a noi. Se qui non mi dilungo sulle singole, numerose realizzazioni che abbiamo conseguito anche in quest’ultimo anno, se non segnalo, come in passato, le insufficienze da superare, gli impegni non ancora attuati, i progetti da mettere in cantiere, è perché voglio sottolineare quello che è stato il carattere originario di Roma Tre: quello di esser nata e cresciuta come università del territorio, integrata nel territorio, insomma – dicevamo qualche anno fa – come city university. L’impegno che abbiamo profuso sul piano didattico, su quello edilizio e sui servizi in 27 particolare, la grande attenzione che abbiamo posto sui problemi sociali, la rete che stiamo tessendo sul piano internazionale, la cura degli aspetti organizzativi, le infrastrutture a sostegno della ricerca, l’impegno per infoltire la schiera dei giovani ricercatori – tutto ciò deve ancora procedere, ma deve ora collegarsi a nuovi interlocutori con cui costruire un tessuto connettivo per lo sviluppo di un sistema territoriale di cui sia parte integrante il nostro Ateneo. La carenza di risorse, di cui soffriamo al pari di tutti gli atenei italiani, ci crea molte difficoltà. Non dobbiamo essere preoccupati per le azioni programmate e in atto: l’aumento degli spazi e la programmazione degli organici fino al 2007 sono garantiti. Continuano i miglioramenti nei servizi agli studenti, in particolare nell’informatizzazione, che sta raggiungendo livelli realmente significativi. Entro il 2006 la capacità delle aule avrà raggiunto la disponibilità di oltre 19.000 posti (in media un posto ogni due studenti). A mio avviso, senza tralasciare un’azione continua per migliorare le condizioni per studiare, insegnare e fare ricerca a Roma Tre, dobbiamo concentrarci su alcune priorità: continuando con gli incentivi all’immissione di ricercatori e potenziando il dottorato soprattutto nelle aree che privilegiano i rapporti internazionali; portando avanti, sulla base dei buoni risultati CIVR, l’anagrafe e la valutazione interna della ricerca. Esplorare nuovi spazi di sviluppo didattico e scientifico di Roma Tre con logiche innovative, contando sul sostegno e le potenzialità di intervento delle istituzioni territoriali, Comune e Regione in particolare. Riorganizzare la didattica mettendo a frutto le giornate di riflessione della recente Conferenza didattica di Ateneo. Lì sono stati evidenziati gli aspetti critici del nuovo processo formativo e si sono indicate alcune linee di modifica e revisione. Il lavoro va continuato e bisognerà porsi anche precisi obiettivi di tempo. Bisognerà puntare sul coordinamento dell’offerta formativa sfruttando i vantaggi comparativi rispetto agli altri atenei e in rapporto con loro, specie sul fronte delle lauree magistrali e dei master, evitando il rischio di inutili doppioni e di concorrenza al ribasso, favorendo la specializzazione e creando un’offerta differenziata e qualificata. In questa direzione verrà prossimamente concretizzato il nostro impegno a istituire una Scuola Superiore, che nasca già dotata, sia sul piano della didattica che della ricerca, di qualificati legami internazionali. Consolidare gli interventi di rilancio della ricerca rafforzando il piano laboratori; favorendo le azioni di sostegno alla progettualità e al reperimento di risorse esterne; 7. I NOSTRI OSPITI 28 Sin dalla sua costituzione Roma Tre è sempre stata estremamente sensibile al tema dei diritti e, in occasioni solenni come le inaugurazioni degli anni accademici, ha voluto più volte affidare a personalità di rilievo internazionale il compito di ampliare le nostre prospettive, anche per meglio interrogarci sul senso delle vicende in cui ci troviamo immersi. Norberto Bobbio ci ha insegnato che i diritti umani per quanto proclamati, affermati, riconosciuti, non si conquistano una volta per sempre ma hanno bisogno di essere quotidianamente difesi e riaffermati, anche a costo di percorrere sentieri accidentati. In tutto il mondo, a tutti i livelli, da parti diverse e contrapposte e con varia intensità, in forme sottili, violente, finanche barbariche, si assiste a un preoccupante attacco all’esercizio dei diritti e al rispetto della persona umana. Fondandosi su una concezione non auto- referenziale dell’alta formazione e della ricerca, le università si candidano per loro natura ad avere un ruolo primario nella costruzione di una società aperta, ispirata a valori di pace e tolleranza, di rispetto delle identità e delle differenze culturali, religiose, etniche. Nulla come la cultura aiuta a non rinchiudersi nelle proprie identità e a superare la resistenza diffusa alla appartenenza globale. Invitare la signora Kerry Kennedy a parlare del modo in cui la società statunitense si interroga sulla questione dei diritti umani in una fase storica in cui quel paese è impegnato in un’ardua, contrastata e discutibile azione di riassetto degli equilibri mondiali, ha dunque per noi un doppio significato: quello di porre al centro il tema dei diritti nelle società contemporanee sviluppate e quello di cogliere le peculiari responsabilità di quei paesi e quelle società che dispongono di formidabili mezzi - cul- 29 turali, finanziari e materiali - per influire sull’esercizio dei diritti umani nella società globale. Kerry Kennedy per storia familiare, sensibilità e cultura personale, è impegnata a livello internazionale su queste questioni. A nome di tutti rivolgo a lei il più caloroso benvenuto a Roma Tre. Un benvenuto caloroso anche a Walter Veltroni, a cui è affidato il compito di concludere questa cerimonia. La sua biografia testimonia un appassionato impegno sul tema dei diritti umani. La sua azione di sindaco della Capitale, l’attenzione che manifesta verso gli Atenei di Roma, la sua sensibilità verso il mondo dei giovani, la creatività e l’intelligenza lo rendono un interlocutore privilegiato di qualunque progetto sia teso a promuovere un sistema della ricerca e della conoscenza a Roma e nella Regione. 30 Prolusione di Kerry Kennedy Presidente Onorario della Robert F. Kennedy Foundation of Europe A few months ago I was asked to speak with you about civil liberties in America in the wake of September 11th. Hearing those words from human rights defenders Dianna Ortiz, Harry Wu, Ka Hsaw Wa, Bobby Muller and Helen Prejean remind us of how precious our liberties are. Over the course of the last 4 years, the United States government has undertaken sweeping policy initiatives on a wide range of issues under the rubric of national security which, taken together, amount to an unprecedented assault on our fundamental values and most cherished beliefs. The Bush administration took full advantage of the climate of fear in the wake of the terrorist attacks on our country to silence critics, imprison the innocent, torture suspects, invade our privacy and create an atmosphere of repression which harms the American people at home and appeals to the worst instincts for oppression in governments across the globe. Bush administration is claiming to protect. For additional information I urge you to visit www.humanrightsfirst.org and www.ACLU.org. Both organizations have issued a series of reports on these subjects, from which I have taken freely in my remarks today. Both organizations have issued Today, I will point to 12 changes in law, a series of reports on these subjects, from regulation and practices which amount to a which I have taken freely in my remarks tofrontal assault on the very freedoms the day, especially Human Rights First’s com- 31 prehensive report on the loss of civil liber- subsequently refused to answer FOIA reties in the wake of the September 11th at- quests about the extent to which toxic tacks called “Assessing the New Normal”. paints and household chemicals are poisoning New York City’s water and air. This Bush administration has gone to war on civil rights. I am as concerned about terrorism as anyone, but its clear this policy makes our city, Assault Number 1: The Freedom of and our nation, more vulnerable to corInformation Act. ruption, abuse and endangerment, not less. In 1966, Congress passed the Freedom of Information Act---FOIA--- mandating that records in the federal and legislative branches of government must be accessible to the American people. Perhaps our most important transparency legislation, FOIA has been used to increase government accountability, expose abuse, and counter corruption. In November 2001, the Attorney General reversed nearly 40 years of openness, mandating a new policy which orders agencies to presume government records are secret, forcing citizens to resort to litigation. This secrecy policy reaches far beyond issues which might touch on terrorism, or, for that matter, any security concern. It is a presumption of secrecy in decision making on everything from education budgets to housing policy to regulation of the pork industry! For instance, an expose in last week’s New York Times revealed that chemical manufacturers successfully lobbied the federal Environmental Protection Agency which 32 Assault Number 2: The Whistle Blower Protection Act. Further eroding the right to scrutinize government action, the Bush administration initially sought to shield the Department of Homeland Security from the Whistle Blower Protection Act. Though Congress rejected this bad idea, the Bush Administration has made no secret of its intention to punish federal employees who sound the public alarm about official corruption and violations of the law, whether it’s about no-bid contracts in Iraq or a secret program to spy on Americans. Instead of seeking to protect our security by understanding the problems within bureaucracies, the Administration has worked to silence whistleblowers who courageously speak out in order to protect our national security. Just look what happened to Sargeant Sam Provance, a young soldier serving in Iraq who began to raise concerns with his superiors in early 2004 about what was going on at a U.S. run prison at Abu Ghraib. For speaking to the press about his experiences, Sgt. Provance-who testified before Congress last week-was disciplined and demoted. As even Republican members of Congress are beginning to recognize, our national security interests would be far better assured by protecting the brave women and men who are willing to come forward and report government abuse than by, in effect, shooting the messenger. Assault Number 3: Outsourcing Torture. Since September 11th, the United States has pursued a new policy known as “extraordinary rendition”, under which the United States seizes individuals from our streets or yours, and sends them off for interrogation to countries known to practice torture. Bob Herbert wrote about the practice in the New York Times. Here is what he said: “Mr. Arar, a Canadian citizen with a wife and two young children, had his life flipped upside down in the fall of 2002 when the Justice Department, acting at least in part on bad information supplied by the Canadian government, decided it would be a good idea to abduct Mr. Arar and ship him off to Syria, an outlaw nation that the Justice Department honchos well knew was addicted to torture. and yet he was deprived not only of his liberty, but of all legal and human rights. He was handed over in shackles to the Syrian government and, to no one’s surprise, promptly brutalized. A year later he emerged, and still no charges were lodged against him. His torturers said they were unable to elicit any link between Mr. Arar and terrorism. He was sent back to Canada to face the torment of a life in ruins. Mr. Arar’s is the case we know about. How many other individuals have disappeared at the hands of the Bush administration? (The New York bar report estimates between 100-150 other individuals have been disappeared at the hands of the Bush administration to overseas torture centers?) We don’t know how many people are being held in the C.I.A.’s highly secret offshore prisons, who they are and how they are being treated? We must ask what recourse do they have? But our government did not act alone. Last week, the Council of Europe released a report acknowledging that European governments were most likely aware of or collaborated in the rendering of prisoners. Assault Number 4: Torture under U.S. Custody. Throughout my 25 years working on human rights, torture was always associated Mr. Arar was not charged with anything, with the most brutal regimes-Kim Jong Il’s 33 North Korea, Idi Amin’s Uganda, Papa Doc’s Haiti, Pinochet’s Chile. Today, say the word torture and the universal image is of U.S. soldiers abusing prisoners in Abu Ghraib, Iraq. By mid-2003, the military extended the Guantanamo rules to Iraq. In fact, in August 2003, the Pentagon sent the Guantanamo commander, Maj. Gen. Geoffrey Miller, to Abu Ghraib prison, reportedly with the instruction to “GitmoIt is not always convenient to send detainees ize” the Iraqi prisons. The revelation of overseas for abuse. In recognition of that pictures from Abu Ghraib this week tells fact, the New York Times reported: part of that story». «In the spring of 2003, Defense Secretary Donald H. Rumsfeld explicitly approved 24 interrogation techniques for Guantanamo, including “dietary manipulation”, “environmental manipulation”, “sleep adjustment” and “isolation”, all of which had been previously prohibited by U.S. law and explicit military policy. He did so despite strenuous objections from senior military lawyers, the FBI and others in the government. This policy is still in place. 34 Under this administration, prisoners under US control have been subjected to unspeakable horrors, including sexual abuse, humiliation, use or threat of electric shock, beating, shaking, hooding, “water boarding”, extended sleep deprivation, attacks by dogs, prolonged solitary confinement, and prolonged incommunicado detention. For the past several years, the Bush administration has fought hard for the right to torture detainees. Mr. Bush even threatened to use the first veto of his presidency, “on a defense bill needed to fund military operations in Iraq and Afghanistan”, as the Washington Post reported “So that he can preserve the prerogative to subject detainees to cruel, inhuman and degrading treatment. In effect, he threatens to declare to the world his administration’s moral bankruptcy”. After months of debate Sen. John McCain ‘s amendment -- barring cruel inhuman or degrading treatment -- passed the US Senate by a vote of 90-9, despite the administration’s fierce objections. So the President was forced to accept this provision. But when he signed it into law, the President added language in his “signing statement” saying that he would apply the law only as it was consistent with what he, as commander-inchief, deemed necessary and appropriate to ensure US national security. Pentagon itself categorizes 34 of these deaths as homicides. In at least 8 and as many as 12 of these cases, the detainees were literally tortured to death by U.S. officials. The United States must allow the International Committee of the Red Cross to meet with individuals in U.S. custody. Moreover, Congress should create an independent commission, to investigate the hundreds of allegations of torture, abuse, and other illegal detention practices that have been reported over the last four years. Assault Number 5: Domestic Spying. According to the ACLU, the Bush administration has gutted restrictions on the FBI’s spying on domestic religious and political organizations. The new guidelines loosen some of the most fundamental controls on the conduct of the Federal Bureau of Today the United States is holding more Investigation and represent yet another than 12,000 detainees in Iraq, Afghanistan, civil rights casualty of the Bush at Guantanamo and elsewhere. At least half Administration’s war on terrorism. the Guantanamo detainees have no known connection with terrorist organizations. An The guidelines had regulated FBI activity in unknown number of these so called “ghost both foreign and domestic intelligence gadetainees” are being held in secret locations, thering, and had made it clear that constiwith no access to the International tutionally protected advocacy of unpopular Committee of the Red Cross or anyone. ideas or political dissent alone could not serve as the basis for an investigation. According to a report released by Human Rights First yesterday, to date almost 100 Under the new guidelines, however, the FBI detainees have died in U.S. custody. The is free to send undercover agents to snoop 35 on groups that gather at places like mosques stripped. or churches -- even if there is not a shred of evidence that someone in the group has Assault Number 7: Invading Privacy: or plans to break the law. Snooping on Library Records, Credit Card Data, Pharmacy Purchases and other Congressman John Conyers declared the Personal Information. new guidelines “decimated the Fourth Amendment”. Under the Patriot Act, the FBI has vastly expanded access to personal records of US Assault Number 6: Attorney Client citizens who are not suspected of any crimPrivilege. inal activity Information sought can include what internet site a patron surfed while visiWithout observing the legally mandated pe- ting the public library. The citizen would riod of public review and comment, the have absolutely no knowledge of the search. Bush administration implemented a new Indeed the librarian or bookseller can be eavesdropping regulation that gives the go- criminally prosecuted for informing the citivernment the unprecedented power to zen of the FBI’s interest. But this is not listen in on conversations between a prison limited to books. The FBI is now allowed inmate and his attorney. to openly monitor the Internet, credit card data and pharmacy items anyone purchases. The new regulation allows the Justice In an nationwide survey nearly 10 percent Department, unilaterally, without judicial of our libraries reported being asked to oversight, and with no meaningful standards supply information by the federal governas to when it will be invoked, to decide ment. when to eavesdrop on the confidential attorney-client conversations of a person Assault Number 8: Wiretapping Private whom the Justice Department itself may be Conversations. seeking to prosecute. What is even more disturbing, this new regulation applies not Just after September 11th, President Bush only to convicted prisoners, but to all per- authorized the National Security Agency to sons in the custody of the Department of intercept vast quantities of the telephone Justice, including those who have not yet and internet communications of innocent been convicted of any crime and are pre- Americans without court approval. sumed innocent, as well as those who are not accused of any crime. This means that “Without a system of checks and balances, innocent people will have their rights the government can monitor any phone call 36 or e-mail they want, and they can collect and disseminate any data they find however they like. Just knowing that the government is spying without cause on innocent Americans sends a chilling message to all of us that our conversations are not our own”. ACLU to avoid conviction. The Administration has even left the telephone companies vulnerable to lawsuits for cooperating with the government”. As Italians, you are vulnerable to this abuse of power, because the surveillance is aimed at Americans calling people on the phone who live overseas. According to President Bush, he doesn’t need a warrant to do so. Apparently he can just go on a fishing expedition and listen in on who ever he wants, despite the law. Assault Number 9: Targeting Immigrants. This is one more example of the abuse of power in the wake of the terrorist attacks. Walt Whitman wrote: “These States are the amplest poem. Here is not merely a nation, but a teeming nation of nations”. John Kennedy called us “A nation of immigrants”. Over the 4 years the administration has The federal government already has the gone on a rampage against the rights of impower to listen in on Al Qaeda, and that is migrants in our country. not in dispute. The issue here is that the president wants to listen in on anyone. This First, it rounded up 1,200 people, mostly policy actually undermines our national se- Muslim men with minor visa problems, lacurity. beled them as “suspected terrorists”, and held them in prisons in secret, refusing to As Sen. Kennedy, points outs: tell their loved ones, their lawyers or the press whether they were being held and on “The Administration has placed front line what basis. This is reminiscent of Latin employees at the National Security Agency American disappearances during the 1980’s. at risk of criminal penalties. Many were long term, tax paying residents The Administration has made it possible for of the United States with American terrorists to challenge the evidence against children. Few were ever charged with them and evade prison. criminal activity tied to the investigation. The Administration has made it less likely that terrorists will cooperate in further in- The administration then deported people, vestigations and prosecutions because they using secret evidence, without revealing to will rely on their challenges to the evidence defendants, their lawyers or the press, the 37 basis for the deportations. Assault Number 10: Racial Profiling. Despite President Bush’s claim that the war on Terrorism would not become a war on immigrants, the first several years after September 11th saw the Attorney General, in a full embrace of racial profiling, inform 5,000 immigrant Muslim men aged 18 to 35 that they were wanted by law enforcement for “voluntary questioning”. to detonate a dirty bomb, he was never charged and never tried for these alleged crimes. And he was denied access to a lawyer. Late last year as the US Supreme Court began to consider whether to pursue his case, Padilla was abruptly charged with an unrelated crime and transferred to a federal detention center in Miami where he is now being held. The administration continues to assert that it has the right to detain any US citizen suspected of having ties with Al Queda and to hold them indefinitely as “enemy combatants”. Racial profiling is anathema to our values our constitution, and our most cherished And even if Mr. Padilla is acquitted of the beliefs, but for a time it became official pol- crimes of which he is now accused, the adicy at the Department of Justice. ministration indicated it might continue to hold him indefinitely after that. Assault Number 11: The Detention of U.S. Citizens. Assault Number 12: Military Tribunals Let me start with a quote. Just in case you think U.S. citizens protected ourselves from these assaults, think again. “Following a rise of extremist violence, the Consider the case of Jose Padilla. He is an Government began trying cases of persons American citizen, born in New York and accused of terrorism and membership in raised in Chicago. He was arrested at terrorist groups before military triO’Hare Airport in Chicago, and taken into bunals...This use of the military...courts...has federal custody. Initially he was detained in deprived hundreds of civilian defendants of connection with a criminal investigation, the constitutional right to be tried by a civibut after 30 days he was transferred to US lian judge. The Government defends the use military custody and classified as an “ene- of military courts as necessary in terrorism my combatant”. For more than three years cases, maintaining that trials in the civilian Mr. Padilla was held in in communicato de- courts are protracted and that civilian tention at a military base in South Carolina. judges and their families are vulnerable to Though the government claimed that he terrorist threats. Some civilian judges have had ties to Al Queda and was part of a plot confirmed that they fear trying high visibili- 38 ty terrorism cases because of possible reprisal. The Government claims that defendants receive fair trails in military courts...However, the military courts do not ensure civilian defendants due process before an independent tribunal...There is no appellate process for verdicts issued by military courts; instead, verdicts are subject to...confirmation by the President”. As Elisa Massimino of the Human Rights First points out, “This is not a draft of an ACLU press release on the recent military order signed by President Bush. It’s an excerpt from the Egypt section of the U. S. Department of State Country Reports on Human Rights Practices from 2001”. Similarly, when American Lori Berenson was convicted on terrorism charges in a military court in Peru, the United States, including in its Human Rights report, vigorously objected: “Proceedings in these mili- 39 tary courts...do not meet internationally accepted standards of openness, fairness, and due process. Military courts hold...trials in secret”. What will we be able to say now?. U.S. military commissions at Guantanamo suffer from the very same flaws-and worse. Under military tribunal rules, a defendant could be sentenced to death in a trial held entirely in secret. Congress recently added a limited right to judicial appeal, but there is no protection against coerced confession, no protection against the use of evidence obtained through torture, and as practical matter no presumption of innocence. To the contrary, it’s a presumption of guilt on which the military tribunal system is justified. As we wrestle with our response to the terrorist attacks on our nation, policies we pursue and laws we pass have had a devastating impact on real human beings. So we have innumerate 12 of the assaults enforcement and cooperation with our alon civil liberties: Assaults on: lies around the world. That cooperation can only be enhanced if we adopt a stance of The Freedom of Information Act fraternity with the rest of the world by supThe Whistle Blower Protection act porting rather than seeking to undermine Out sourcing torture international agreements such as the antiTorture under U.S. Custody ballistic missile treaty, the Kyoto confeDomestic Spying rence, the land mines treaty, the Convention Attorney Client Privilege on Children’s rights, the convention on the Invading Privacy rights of women, and International Wiretapping Private Conversations Criminal Court among others. Targeting Immigrants Racial Profiling Third, we must root out terrorists in genIndefinite Detention of U.S. Citizens eral and their sponsors throughout the Military Tribunals globe and make certainty of capture so absolute and the consequences for participatIt is no easy job to balance protecting civ- ing in, or harboring, or financing or in any il liberties with maintaining our national se- way aiding and abetting terrorists so severe curity. I don’t claim to have all the answers. that no one considers it an option. Suicide But I do know this. If we fail to confront bombers may appear unstoppable but their the issue, then the next generation will in- effectiveness depends on a network of cold herit the harvest of our indifference. calculators with well developed instincts for self-preservation. It seems clear that there are certain things we ought to do. Fourth, we must take all reasonable precautions to secure innocent civilians, our In the wake of the terrorist attacks, our first land, airports, sea ports, nuclear power duty is to the survivors, the victims and plants and other vulnerable sites. their families. We must tend to their needs, rebuild New York City, and invest in our Fifth, we must use our vast resources of economy. knowledge and wealth as a nation to build a world in which the United States is viewed Second, we must bring the people respon- from abroad with the same sense of admisible for this act of destruction to justice. ration for our values of openness, freedom Success will necessitate a coordinated effort and democracy as we like to think of ourbetween local, federal and international law selves at home. In practical terms that ne- 40 cessitates several changes. The average American’s share of foreign aid to the world’s 40 poorest countries is about equivalent to the price of a pastry and a fancy cup of coffee. We must increase foreign aid, seek the wisdom of our allies, comply with international treaties, and assure our foreign policy enhances human rights and economic prosperity for our neighbors as well as ourselves. And we must close Abu Ghraib, Guatanamo, and everywhere else prisoners are held in secret and abused. Too often, the United States is viewed as propping up brutal regimes which practice torture. We need, instead, to demonstrate our support for local civil rights defenders, the Martin Luther Kings of their countries and urge governments to tolerate peaceful, non-violent dissent. And then, at home, we must be vigilant to assure that, in the aftermath of this disaster, we achieve a reasonable balance between collective security and individual liberty. I think we are all now more willing than ever before, to endure the inconveniences of heightened security, longer lines at airports, metal detectors in all government buildings, etc. But we should proceed with wisdom and caution about what we are willing to accept in a time of fear. Justice Thurgood Marshall said: “History teaches that grave threats to liberty often come in times of urgency, when constitutional rights seem too extravagant to endure”. 41 But liberty is never extravagant; it is the very heart and soul of the idea of America. That’s the America I grew up to believe in. The America which assured all our citizens the right to vote. The America which passed legislation so women would have equal pay for equal work. The America which embraced immigrants who built our nation. The America which proudly stood with those seeking to shuffle off the shackles of colonialism across Africa. The America where the pursuit of happiness is measured by how we educate our children, respect our elderly, secure a living wage to our workers, provide health care for the sick, and assure we remain the land of the free. It is the America of the Works Progress Administration, the Marshall Plan, the Peace Corps, the Civil Rights Act. Its is the place where, in the words of Martin Luther King, “anyone can be great, because everyone can serve”. It is the land of Jefferson, Tubman, Lincoln, Stanton, FDR and Eleanor Roosevelt, Kennedy and King. I would like to end with these lines from the great American poet and civil rights advocate, Langston Hughes: O, Let America be America again--The land that never has been yet--And yet must be--The land where every one is free. Who made America, Whose sweat and blood, whose faith and pain, Whose hand at the foundry whose plow in the rain Must bring back our mighty dream again I’m the one who dreamt our basic dream In the Old World while still a serf of kings, Who dreamt a dream so strong, so brave, so true, That even yet its mighty daring sings In every brick and stone, in every furrow turned That’s made America the land it has become. Out of the rack and ruin of our gangster death, The rape and rot of graft, and stealth, and lies, We, the people, must redeem The land, the mines, the plants, the rivers. The mountains and the endless plain-All, all the stretch of these great green states- And make America again! 42 As you leave here today, hold fast to your dreams-to your courage and your commitment. And, help us make America, America again. Intervento conclusivo del Sindaco di Roma Walter Veltroni D esidero innanzitutto rivolgere un particolare saluto al Magnifico Rettore Guido Fabiani, congratulandomi con lui per quanto illustrato nel suo intervento, e a tutti i Magnifici Rettori oggi qui presenti; essi rappresentano gran parte di quel tesoro non solo di sapere, ma anche di speranza nel futuro, che è racchiuso nelle Università del nostro Paese. Un saluto affettuoso, infine, a Kerry Kennedy, alla quale mi lega un rapporto di affetto, stima e riconoscenza, gli stessi sentimenti che provo nei confronti della sua famiglia; una famiglia che ha vissuto nel nome di ideali di democrazia e di progresso, nel nome dei diritti umani e che, anche conoscendo pagine di dolore, ha consegnato, non solo agli Stati Uniti ma al mondo intero, un tesoro di valori, di idee e di speranze. Dividerò il mio intervento in due capitoli: il primo, come è giusto che sia, sarà dedicato al tema dei diritti umani, argomento centrale sul quale l’Università Roma Tre ha organizzato questo incontro; il secondo, invece, riguarderà nello specifico proprio l’università. Vorrei per prima cosa ricordare Ingrid Betancourt, una donna coraggiosa che da 43 quattro anni vive sequestrata nel totale disinteresse del mondo; quattro anni fa era candidata alle elezioni nel suo Paese; è stata portata via dal marito, dalla sua famiglia, dalla sua battaglia politica senza che ciò ed è questa la cosa più sconcertante - abbia costituito ragione per interventi diplomatici, politici, o per pressioni (troppo poche le eccezioni e tra queste tengo a ricordare Parigi, la Francia, e Roma, la nostra città). Stiamo parlando di una donna che rappresenta un movimento non maggioritario, come quello dei Verdi, e che vive in un paese lontano dal mondo e considerato poco occidentale. Il suo caso, dunque, forse non merita la stessa attenzione rivolta a situazioni analoghe, magari accadute in Europa o in Occidente. Considerazioni simili vanno fatte anche per la signora Aung San Suu Kyi, che nel 1988 vinse libere elezioni in Birmania, il suo paese, e che dallo stesso anno non è più nelle condizioni di poter esercitare la propria libertà: è stata prima reclusa e poi confinata in una abitazione sita in un posto particolarissimo, dove io potei incontrarla solo simulando un viaggio turistico e accettando una condizione di controllo forzato. Una situazione che richiama ed amplifica quanto detto da Kerry Kennedy nel proprio intervento. Anche per quanto riguarda Aung San Suu Kyi la pressione che le cancellerie potevano, e dovevano, determinare sul Governo Birmano non è stata quella giusta ed adeguata. Ricordo con quale meravigliosa serenità Aung San Suu Kyi è stata costretta a prendere decisioni personali struggenti e difficili, come quella di rinunciare ad assistere il marito morente all’estero. In quella occasione chiese che il marito potesse raggiungerla per morire in patria, accanto a lei e alla sua famiglia; il Governo birmano respinse questa richiesta e si limitò a concedere, solo a lei, il permesso di varcare i confini e di espatriare, consapevole che così facendo 44 avrebbe potuto in seguito impedirle di rientrare nel suo Paese. Ingrid Betancourt e Aung San Suu Kyi, dunque, due donne estremamente coraggiose, che non possiamo e non dobbiamo dimenticare. Queste due storie sono sconosciute in tutto il mondo, ma a questa conoscenza non corrisponde la necessaria passione e attenzione; sono soprattutto due dei migliaia e migliaia di casi di violazione dei diritti umani che continuano a verificarsi in tante parti del mondo. Nelle piccole ma anche nelle grandi democrazie, come abbiamo ascoltato ora attraverso le parole di Kerry Kennedy. La difesa dei diritti umani è un valore fondamentale per il tempo in cui noi viviamo. Nell’intervento di Matteo Zaccari, il Rappresentante degli Studenti, ho sentito enumerare una serie di interrogativi che lui, come tutti i giovani della sua generazione, si vanno ponendo. Immaginavamo e speravamo che la scienza ci avrebbe consentito di non vivere con la paura dell’influenza aviaria; immaginavamo e speravamo che la fine delle ideologie consentisse al mondo di trovare un equilibrio fondato sulla diffusione di quei valori di libertà e di democrazia che l’Europa ha conquistato al prezzo di sacrifici duri, di sconfitte e di errori. Non dimentichiamo che proprio noi, che così spesso ci arroghiamo il diritto di dare lezioni agli altri, siamo gli stessi che abbiamo creato i campi di concentramento, i campi di sterminio, la perse- cuzione e il massacro degli ebrei, le dittature comuniste, i gulag. Però, come ha detto prima Zaccari, proprio ora che potremmo guardare con fiducia al futuro, ci troviamo stretti in una serie di contraddizioni che abbiamo il dovere di sciogliere per far sì che trovino un loro ragionevole equilibrio. Come riuscire ad assicurare la sicurezza del proprio popolo, diceva poco fa Kerry Kennedy, come garantirla, come fare per evitare che un uomo venga preso, venga prelevato da casa sua e poi sparire per sempre? Come si fa, inoltre, a mantenere il giusto equilibrio sul sempre più crescente utilizzo delle tecnologie, tra le esigenze di controllo e verifica e tutela della privacy, tra le esigenze di crescita e tutela dell’ambiente? Sono queste alcune delle grandi questioni della nostra epoca, sono i grandi temi che meriterebbero una riflessione costante. In queste ore noi stiamo vivendo forse uno dei passaggi più difficili della nostra storia contemporanea. Anche se siamo distratti da tante cose, molte delle quali davvero misere, non possiamo non renderci contro che è in atto una guerra tra Sciiti e Sunniti che può avere effetti devastanti in una parte del mondo dove l’assenza di equilibrio è di per sé un elemento generale di instabilità. Se queste tragedie hanno una possibilità di risoluzione, questa va affrontata in una dimensione globale e multilaterale. Pensiamo al tema dell’ambiente: noi auspichiamo la crescita della Cina, dell’India e dei Paesi in 45 via di sviluppo; al tempo stesso però temiamo che questa crescita possa determinare una minaccia per la sicurezza del mondo intero. Ora, quale futuro ci aspetta se ciascuno di noi si rinchiuderà nella propria identità? È questo il vero rischio che corriamo, quello che di fronte alla dimensione globale e all’interdipendenza dei problemi, l’umanità, invece di scegliere una dimensione politicoistituzionale che ne sia all’altezza, scelga invece di isolarsi, di rinchiudersi nelle proprie identità e di cercare, ciascuno, un proprio nemico. Paradossalmente, proprio ora che il tempo delle ideologie pare finito, sembra che ciascuno possa definire se stesso a livello globale, ma anche locale, solo in ragione dell’esistenza di un nemico da combattere e possibilmente da distruggere. Se questa sarà la strada, i rischi per l’umanità saranno elevatissimi, perché il tempo che stiamo vivendo è quello della costruzione di un dialogo e non della chiusura. Chiudersi in se stessi non serve se non ad alimentare la visione di essere tutti nemici di tutti. Ciascuno di noi coltiverà una contrapposizione al termine della quale non esisterà più la possibilità di costruire un equilibrio, che solo le grandi e le sagge leadership sanno realizzare, usando quella meravigliosa arma che è la politica. È con la politica che si è sconfitto il nazismo; è con la politica che si è usciti dalla crisi del ’29; è con la politica che questo paese si è ricostruito. La politica intesa co- me nobile arte, attraverso la quale si riesce a prevenire i problemi e a garantire la sicurezza collettiva. Tutto questo ha la sua grande frontiera nella lotta alla povertà. Ne parlava Robert Kennedy quarant’anni fa. Ho trovato una sua frase che vorrei leggervi, perché oltre a sembrarmi molto bella trovo sia di grandissima attualità. Diceva Robert Kennedy nel 1966: “L’anno passato ho visitato 10 paesi in due continenti: in Etiopia l’aspettativa di vita è inferiore a 35 anni; in Brasile ci sono villaggi nei quali 7 bambini su 10 muoiono prima di compiere il primo anno di vita; in Tanzania il 97% della popolazione è analfabeta. Non tocca solamente agli Stati Uniti porre rimedio ad ogni ingiustizia e correggere tutte le imperfezioni del mondo, ma non possiamo nemmeno starcene felici e contenti nelle nostre ricche dispense mettendoci a dieta mentre gli altri muoiono di fame, acquistando 8 milioni di autovetture 46 nuove all’anno mentre la maggior parte dell’umanità non ha nemmeno le scarpe. La realtà è semplice: non stiamo facendo abbastanza”. Aggiunge: “Quindici anni or sono, facendoci carico di un’Europa devastata dalla guerra, destinammo in aiuti all’estero il 10% del bilancio federale, vale a dire il 2% del Prodotto Interno Lordo: il Piano Marshall. Nel 1960, durante l’amministrazione Eisenhower, accogliemmo l’invito lanciato dalle Nazioni Unite in occasione del decennio dello sviluppo di destinare almeno l’1% del P.I.L., metà di allora, ai Paesi in via di sviluppo attanagliati da problemi altrettanto disperati: ritengo che sia giunta l’ora di riaffermare quell’impegno e di tradurlo in iniziative concrete; è un impegno a mio giudizio necessario rispetto alle esigenze degli anni ’60”. Questo diceva Robert Kennedy, al quale e lo dico con profonda gratitudine - devo anche il fatto di essere oggi qui: egli è stato per me l’incontro decisivo per la mia formazione, per la mia esperienza culturale e civile; un uomo politico che sapeva vedere le cose prima che accadessero. Vedete, di uomini politici che ci spiegano le cose dopo che sono accadute ne conosciamo tantissimi, ma di quelli che le vedono prima degli altri ce ne sono stati pochi nella storia. Robert Kennedy era uno di questi. Erano gli anni ’60 e lui chiedeva allora quello che oggi noi continuiamo a chiedere di fare, con l’aggravante che la combustione tra la povertà e le condizioni del conflitto cui ho fatto riferimento prima, rischiano di creare una situazione allo stato attuale difficilmente governabile. Passo ora al secondo tema e lo introduco raccontandovi un episodio che ho vissuto personalmente. La prima volta che sono andato in Africa, andai in Kenya a Korogocho, dove c’è una gigantesca bidonville di 100mila persone malate di Aids e dove lavorano dei fantastici sacerdoti italiani. In questi luoghi una libera circolazione è possibile solo insieme a loro, perché c’è violenza, pericolo e tutto quello che ne consegue da situazioni di estrema povertà. Ad un certo punto mi condussero in una specie di anfiteatro, dove c’erano migliaia di ragazzi che aspettavano di vedere questi inusuali visitatori bianchi. Da questo gruppo di ragazzi se ne staccò uno al quale era stato detto di raccontare la propria storia. Avrà avuto 14-15 anni e portava a tracolla una 47 bottiglia di plastica che ogni tanto annusava. Quella bottiglia conteneva una droga primordiale usata dagli adolescenti africani; derivava dall’olio dei combustibili degli aerei, che è possibile recuperare nella discarica presso cui gli abitanti di quell’area si alimentano. Korogocho, infatti, non è troppo diversa dalle descrizioni delle città che nascevano intorno alle fabbriche durante la Rivoluzione Industriale inglese; la sola differenza è che essa è nata intorno ad una discarica, unica fonte di alimentazione e di ricchezza, dove esseri umani sono costretti - per reperire il cibo - a lottare contro i marabù, uccelli particolarmente aggressivi. Questo ragazzo, che con la creatività tipica degli Africani un pò parlava, un pò cantava e ogni tanto annusava quella sostanza, cominciò a raccontare la sua storia: sua madre era morta di Aids e lui era rimasto da solo. Ad un certo punto però disse “the education is the key”, l’educazione è la chiave. Diceva: “io ce la farò perché sto studiando”. Ecco perché è importante per ciascun Paese investire sulla formazione; è ovvio che per i Paesi più poveri quella è la frontiera fondamentale, ma lo stesso deve valere anche per un paese come l’Italia. Come potrà l’Italia reggere la competizione internazionale se non investe in formazione e ricerca, se non investe sulle unicità e sulle specialità italiane, sulle originalità che le sono proprie? È una scelta di priorità e allo stesso tempo una scelta di futuro. Il nostro Paese sembra avere qualcuno avvinghiato alle sue gambe che lo blocca, che gli impedisce di muoversi e di andare verso il raggiungimento di nuovi traguardi. Il futuro del nostro Paese è nella ricerca, nella formazione, nella cultura, nell’ambiente, nella tecnologia. Sono cinque settori tra loro collegati sui quali l’Italia, nella competizione globale, può giocare le sue carte senza alcun timore. È chiaro che in questo momento, grazie alle condizioni di cui possono usufruire, nella produzione metalmeccanica, cinesi e indiani riescono ad essere più competitivi degli italiani. Il Colosseo, tuttavia, lo abbiamo solo noi; le condizioni ambientali, la storia del talento e della ricerca, sono cose che hanno determinato e determineranno l’originalità del nostro Paese. Guardiamo quello che succede qui a Roma: siamo una città che cresce tre volte in più dell’Italia; siamo una città dove il turismo aumenta del 6%, mentre in Italia cala della stessa percentuale; siamo la città che ha il maggior numero di laureati; abbiamo il 15% di ricercatori quando la seconda città italiana, Trieste, ne ha appena il 7,5. Come mai Roma, città di ministeri, città burocratica per antonomasia, è diventata una città con questa vivacità? Perché Roma ha scommesso su se stessa, ha investito nell’innovazione, ha creduto nella cultura, ha valorizzato l’ambiente e, come ha ricordato la dottoressa Cagnazzo nel proprio intervento, cerca di essere anche una comunità inclusiva; in ultima anali- 48 si - ed è il tema lanciato da Guido Fabiani e che io riprendo con convinzione - perché vuole essere la Capitale della formazione e delle risorse umane. In questi pochi anni abbiamo fatto moltissime cose. L’Università Roma Tre è diventata un quartiere: possiede e ha rivalorizzato strutture come il Palladium, Vicolo Savini e l’ormai ex-Mattatoio; tutti spazi che - come ha detto il Rettore Fabiani - sono inusuali per un’università italiana. Abbiamo creato nei tre campus universitari alcune migliaia di posti letto destinati agli studenti. A Tor Vergata costruiremo numerosi impianti sportivi e probabilmente anche il Museo della Scienza. Abbiamo cercato di mettere in collegamento la formazione con le nostre imprese e abbiamo detto agli studenti europei ed internazionali di venire in Italia. Siamo stanchi che i nostri figli, una volta presa la maturità, chiedano: “e ora dove vado a studiare?”. È il tema che dobbiamo porre agli studenti di tutto il mondo, ai quali però dobbiamo fornire le condizioni per venire qui: mi riferisco in particolare alla capacità di accoglienza del nostro paese, che deve lavorare per ospitare queste risorse e inserirle nel nostro circuito formativo. Desidero concludere ricordando che questo è un Paese che ha un deficit di futuro, poca voglia di futuro; manca in un certo senso quella passione, quella tensione interiore che deve portare a “volere” il futuro. Concludo anche in questo caso, allora, ci- tando una frase di Robert Kennedy, anche questa molto bella. Si tratta di un discorso che fece agli studenti a Città del Capo nel giugno del ’66, due anni prima di essere ucciso: “La nostra risposta è la speranza del mondo: fidare sui giovani. Non saranno i dogmi obsoleti, né gli slogan superati a decretare la fine delle crudeltà e degli ostacoli di questo pianeta in rapida trasformazione, né saranno coloro che si aggrappano ancora ad un presente che sta già morendo e che preferiscono l’illusione della sicurezza all’eccitazione e ai rischi che accompagnano anche il progresso più pacifico. Questo mondo ha bisogno delle qualità della giovinezza intesa non come fatto anagrafico, ma come stato d’animo, come disposizione della volontà, come requisito del 49 la fantasia, come predominio del coraggio sull’esitazione della sete di avventura e sull’amore per la tranquillità: in una parola, come preferenza per il viaggio piuttosto che per la permanenza, perché ciò che muove l’umanità è la voglia di viaggiare intellettualmente, civilmente, culturalmente, politicamente”. Io penso che un grande laboratorio di sapere come un’università, come questa Università e come le altre qui rappresentate dai loro Rettori, possano costituire, debbano costituire e costituiscano per il nostro Paese una specie di garanzia collettiva: è da qui che emergeranno ed usciranno generazioni e generazioni di viaggiatori del sapere, della cultura e dei diritti umani. Grazie. 50 Profili Nel tempo ha tenuto corsi di Teoria della pianificazione economica, Economia dei mercati agricoli, Economia agraria, Politica economica agraria ed Economia dell’ambiente. È stato tra i più stretti collaboratori di Manlio Rossi Doria. Con lui ha partecipato a ricerche che hanno caratterizzato negli anni sessanta/settanta, assieme ai lavori di Fuà, Sylos Labini e Saraceno, l’intervento di programmazione territoriale e regionale. I suoi interessi vertono sui temi di analisi e politica economica dei sistemi agricolo-industriali italiani ed internazionali e sui temi della programmazione territoriale regionale e dello sviluppo nel Mezzogiorno. I suoi principali lavori sono stati pubblicati con Il Mulino, Einaudi e Franco Angeli. Un suo volume L’agricoltura italiana tra sviluppo e crisi (Il Mulino, 1986) che rappresenta una delle analisi più compiute del settore primario in Italia, è stato oggetto di più edizioni e ristampe ed è uscito in edizione giapponese nel 1989. Altri suoi saggi sono stati tradotti per varie riviste in francese, inglese, spagnolo e portoghese. Ha collaborato sul piano scientifico con varie istituzioni nazionali e internazionali, tra cui: ISTAT, Formez, Ministero dell’Ambiente, Ministero dell’Agricoltura, GUIDO FABIANI Rettore dell’Università degli Studi Roma Tre dal 1998. È stato Preside della Facoltà di Economia “Federico Caffè” dal 1° novembre 1992 al 31 ottobre 1998 e professore ordinario di Politica economica. Laureato in Scienze agrarie, ha abbandonato gli studi agronomici per specializzarsi in problemi dello sviluppo economico del Mezzogiorno alla scuola di Manlio Rossi Doria in Portici e in Teoria della pianificazione. Su quest’ultimo tema ha studiato in particolare i problemi della pianificazione economica in URSS, come visiting researcher alla London School of Economics, con Peter Wiles e Alfred Zauberman. Ha insegnato nelle Facoltà di Giurisprudenza (Università di Salerno), di Economia (Università di Modena), di Agraria e di Economia (Università di Napoli) e di Economia (Università degli Studi di Roma “La Sapienza” e Università degli Studi Roma Tre). 51 Cooperazione allo Sviluppo, UE, CNEL, ONU, FAO, IPALMO. Ha partecipato alla valutazione del primo censimento dell’agricoltura cinese come componente di una commissione internazionale. È stato Copeland Fellow all’Amherst College (Massachusetts, USA). È stato consigliere di amministrazione del Formez e commissario straordinario dell’INEA. È socio della Società Italiana degli Economisti e della Società Geografica Italiana; è inoltre membro del Comitato di Presidenza della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI). Il 16 novembre 2005 con decreto del Presidente della Repubblica Francese è stato insignito del titolo di Cavaliere nell’Ordine Nazionale della Legion d’Honneur dall’Ambasciatore di Francia. Nel gennaio 2006 è stato nominato membro del Comitato di Valutazione del Consiglio Nazionale delle Ricerche. MARIO MORGANTI Prorettore Vicario dell’Università degli Studi Roma Tre. Nato a Roma il 25 maggio 1946, si è laureato in Ingegneria presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” nel 1971, dal 52 novembre del 1990 è professore ordinario del settore scientifico-disciplinare di Idraulica. Dal 1992 è professore presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università degli Studi Roma Tre e afferisce al Dipartimento di Scienze dell’Ingegneria Civile, di cui è stato Direttore (1993-1998). La sua attività scientifica si è indirizzata verso studi e ricerche sia nell’ambito sperimentale di laboratorio sia nel campo della modellazione teorico-numerica di fenomeni idrodinamici. I suoi prevalenti temi di ricerca sono: dinamica delle correnti idriche, stabilità idrodinamica e fenomenologia della turbolenza, modelli per la simulazione di flussi con moti di larga scala. Su questi argomenti ha pubblicato più di sessanta lavori, prevalentemente su riviste e volumi di edizione internazionale. Nell’ambito della sua attività scientifica è stato visiting professor presso la Brown University di Rhode Island e il M.I.T. di Boston; ha coordinato progetti di ricerca bilaterali Italia - Francia, in collaborazione con il Laboratorio di Ricerche del CNRS di Meudon. È membro dell’European Mechanics Society (EUROMECH) e dell’Associazione Italiana di Meccanica teorica e Applicata (AIMETA). RENATO MORO Prorettore dell’Università degli Studi Roma Tre. Dal 1995 docente di Storia contemporanea presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi Roma Tre, ha insegnato dal 1990 come professore ordinario Storia dei partiti e dei movimenti politici presso la Facoltà di Giurisprudenza (Corso di laurea in Scienze Politiche) dell’Università di Camerino. Dal 1993 al 1995 è stato Direttore dell’Istituto di Studi Storico-Giuridici, Filosofici e Politici della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Camerino e dal 1998 al 2001 Direttore del Dipartimento di Istituzioni Politiche e Scienze Sociali dell’Università Roma Tre. Attualmente è Presidente del Corso di Laurea in Scienze Politiche dell’Università degli Studi Roma Tre. È anche Direttore della Scuola dottorale in Scienze Politiche dell’Università degli Studi Roma Tre. È stato responsabile nazionale di programmi di ricerca del MIUR. È membro del consiglio del CROMA (Centro di Ateneo per lo studio di Roma) e del collegio dei docenti del Master in Peacekeeping & Security Studies. I suoi interessi di ricerca riguardano principalmente il tema del rapporto tra ideologie politiche e società di massa, con particola- 53 re attenzione all’intreccio tra processo di modernizzazione, fenomeni politici (in particolare nazionalismo, razzismo, pacifismo) e dimensione religiosa. Tra i suoi libri: La formazione della classe dirigente cattolica (Il Mulino, 1979); Giuseppe Bottai - Don Giuseppe De Luca, Carteggio 1940-1957, curato assieme a Renzo De Felice (Edizioni di Storia e Lette-ratura, 1989); La Chiesa e lo sterminio degli ebrei (Il Mulino, 2002); Cattolicesimo e totalitarismo, curato assieme a Daniele Menozzi (Morcelliana, 2004). Sono in corso di pubblicazione: Storia della pace (Il Mulino, 2005); Fascismo e Franchismo: Relazioni, immagini, rappresentazioni, curato assieme a Giuliana Di Febo (Rubbettino, 2005); Guerra e pace nell’Italia del Novecento, curato assieme a Luigi Goglia e Leopoldo Nuti (Il Mulino, 2005). Dirige assieme a Giuseppe Conti, Luigi Goglia e Mario Toscano “Mondo contemporaneo. Rivista di storia”. Ha collaborato e/o collabora con le riviste “Storia contemporanea”, “Il Mulino”, “La rivista trimestrale”, con l’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, con l’Ecole Française de Rome, con l’Istituto per la storia dell’Azione Cattolica e del movimento cattolico in Italia “Paolo VI”, con la Fondazione R. Murri di Urbino, con l’Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nelle Marche, con le Edizioni di Storia e Letteratura. MARIA ROSARIA STABILI Prorettore dell’Università degli Studi Roma Tre. Insegna Storia dell’America Latina presso la Facoltà di Lettere e Filosofia e afferisce al Dipartimento di Studi Storici Geografici Antropologici. Nata a Lecce nel 1950, si è laureata in Filosofia presso l’Università di Lecce nel 1972. Abbandonati gli studi filosofici, si è dedicata alla ricerca sulla storia contemporanea delle Americhe lavorando, dal 1973 al 1975, in qualità di research associate, presso il Dipartimento di Storia della University of California di Berkeley; nel 1977, in qualità di fulbright fellow, presso la American University di Washington D.C. e dal 1982 al 1986, in qualità di Profesora visitante, presso la Pontificia Universidad Católica de Chile, Santiago. Ha mantenuto nel tempo intensi e continuativi rapporti con le università statunitensi, latinoamericane ed europee svolgendovi periodicamente attività di ricerca e docenza. Gli interessi di ricerca, inizialmente centrati sulla storia delle grandi imprese, del sindacalismo e della politica estera USA, si sono successivamente spostati sull’America Latina con un’attenzione particolare alla sto- 54 ria politica e sociale del Cile contemporaneo, alla storia di genere e dei movimenti sociali per la difesa dei diritti umani. La riflessione sulle forme storiche dello stato latinoamericano rappresenta il filo conduttore dei suoi lavori. Attualmente è impegnata nell’analisi comparativa dei processi di transizione democratica in atto in vari paesi della regione. La sua ricerca si riflette in un’ampia produzione di monografie e saggi, pubblicati in Italia e all’estero. È membro del comitato scientifico della rivista Historia; Referee del Consiglio nazionale delle ricerche cileno (Conycit), membro del collegio dei docenti del Dottorato di Studi Americani di Roma Tre. È altresì membro della Asociación Europea de Historiadores latinoamericanistas (AHILA) di cui, dal 2002, è Segretario generale; della Latin American Studies Association, USA; della Oral History Association; della Società Italiana delle Storiche (SIS); della Società Italiana di Storia Contemporanea (SISSCO); del Centro Studi di Politica Internazionale (CeSPI). Nel gennaio 2002 il Governo cileno le ha conferito il titolo di Commendatore dell’Ordine al merito “Gabriela Mistral” per l’educazione e la cultura. Tra le sue ultime pubblicazioni El sentimiento aristocrático. Elites chilenas frente al espejo (1860-1960). Traduzione di Paula Zaldívar H. Santiago, Editorial Andrés Bello y Centro de Investigaciones Diego Barros Arana, 2003. MARIO GIRARDI FRANCESCO SUSI Preside della Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali dal 1995. Professore ordinario di Istituzioni di Analisi Superiore. È stato professore ordinario all’Università degli Studi dell’Aquila e all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Dal punto di vista scientifico si occupa di analisi non lineare, e in particolare di teoria dei punti critici, teoria di Morse e applicazioni alle soluzioni periodiche e omocline, sistemi Hamiltoniani, equazioni ellittiche. È autore di molte pubblicazioni scientifiche su riviste nazionali ed internazionali, e di alcuni libri tra cui Teoria dei campi (Feltrinelli, 1977). Collabora con Mathematical Reviews; è membro dell’Unione Matematica Italiana (UMI) e della International Federation of Nonlinear Analysis (IFNA); è stato invited speaker in oltre trenta conferenze a carattere internazionale. Nell’ambito degli organi di governo dell’Università ha ricoperto la carica di Consigliere d’Amministrazione presso l’Università degli Studi dell’Aquila e la carica di Direttore del Dipartimento di Matematica presso l’Università degli Studi Roma Tre (dal 1993 al 1995). Preside della Facoltà di Scienze della Formazione dal 1996. Professore ordinario di Storia della scuola e delle istituzioni educative e di Pedagogia interculturale, si è laureato in Filosofia presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. È stato professore nell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” e nell’Università degli Studi di Siena. Nell’Università degli Studi Roma Tre ha promosso la costituzione del CREIFOS (Centro di Ricerca sull’Educazione Interculturale e la Formazione allo Sviluppo) di cui è coordinatore. I suoi interessi vertono sui temi dell’educazione degli adulti, della formazione continua, della formazione nelle organizzazioni e dell’educazione interculturale. Ha diretto e coordinato numerose attività di formazione rivolte a quadri e dirigenti della Pubblica Amministrazione e delle organizzazioni di rappresentanza. Tra i suoi lavori: La domanda assente (La Nuova Italia Scientifica, Roma 1989); I bisogni formativi e culturali degli immigrati stranieri (Franco Angeli, Milano 1991); La formazione nell’organizzazione (Anicia, Roma 1994); L’interculturalità possibile (Anicia, Roma 1995); 55 L’educazione interculturale fra teoria e prassi (Università degli Studi Roma Tre, Roma 1998); Come si è stretto il mondo. L’educazione interculturale in Italia e in Europa: teorie, esperienze e strumenti (Armando, Roma 1999); Il leader educativo. Le logiche dell’autonomia e l’apporto del dirigente scolastico (Armando, Roma 2000); Formazione e cambiamento nelle organizzazioni (Armando, Roma 2004). FRANCESCO CELLINI Francesco Cellini è nato a Roma il 18/4/1944; si è laureato in architettura presso la Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” nel 1969. Dal 1972 al 1986, ha svolto attività didattica e di ricerca nella stessa Facoltà (come borsista, contrattista e, dal 1976, come ricercatore), collaborando ai corsi di composizione della Facoltà di Architettura di Roma, tenuti da Ludovico Quaroni e poi da Carlo Aymonino. Nel 1987 è divenuto professore ordinario di composizione presso la Facoltà di Architettura di Palermo, poi, dal 1994, presso la Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi Roma Tre. Nel 1997 è stato eletto Preside della medesima Facoltà. Dal 2001 è Presidente della Conferenza Nazionale dei Presidi di Architettura. 56 Ha pubblicato, oltre a saggi ed articoli sulle riviste di settore, vari volumi e monografie di carattere storico critico (sull’opera dell’architetto Mario Ridolfi, su quella di Roberto Gabetti ed Aymaro Isola, ecc.) ovvero di carattere tecnico e didattico; ha fatto parte della redazione della rivista “Controspazio” dal 1976 al 1981 e tuttora fa parte del comitato di redazione di “Casabella”; è stato ed è direttore scientifico di collane editoriali. Ha curato, come promotore e responsabile scientifico, alcune importanti mostre di architettura e di arte, in particolare per la Biennale di Venezia. Ha una lunga attività professionale, costituita da più di duecento progetti, prevalentemente per opere pubbliche, commissionati da istituzioni, o da alcune delle più importanti società di progettazione italiane, o ancora realizzati a seguito della vittoria in vari e prestigiosi concorsi internazionali e nazionali. Questa attività progettuale è pubblicata in numerosi libri e riviste (italiane e straniere) ed è stata esposta in varie mostre internazionali. Nominato accademico nazionale di San Luca per la sua opera di architetto, Francesco Cellini ha anche ricevuto, nel 1991, il premio internazionale della Biennale di Venezia e, nel 1996, il premio “Presidente della Repubblica”. FRANCO GORI LETIZIA VACCA Preside della Facoltà di Ingegneria dal 1998. Ha insegnato Fisica Generale e Ottica presso l’Università degli Studi dell’Aquila e l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Professore ordinario dal 1980 nel Settore Scientifico Disciplinare FIS/03 - Fisica della Materia, impartisce attualmente l’insegnamento di Elettronica Quantistica. Ha svolto ricerca in vari settori dell’ottica, interessandosi, in particolare, di applicazioni dell’olografia al restauro di opere d’arte, di caratterizzazione di fasci laser e di problemi inversi. È autore di più di cento lavori su riviste internazionali. Collabora, come revisore, alle principali riviste internazionali di fisica e di ottica. È stato nominato fellow della Optical Society of America e della European Optical Society. Fa parte del Comitato Editoriale della rivista Optics Communications e della collana di volumi Progress in Optics. È Topical Editor per il settore “Propagazione” della rivista Journal of the Optical Society of America A. Preside della Facoltà di Giurisprudenza dal 1998. Si è laureata presso la Facoltà di Giurisprudenza di Cagliari nel 1965. Nel 1980 ha vinto il concorso per cattedre nel raggruppamento di Diritto Romano ed è stata chiamata a ricoprire la cattedra di Storia del Diritto Romano, presso la Facoltà di Giurisprudenza di Cagliari. Nel 1981 è stata chiamata a coprire la cattedra di Storia del Diritto Romano presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Pisa che in qualità di professore ordinario ha ricoperto fino al 1995. Dal 1983 al 1988 è stata Direttore dell’Istituto di Diritto Romano e Storia del Diritto della Facoltà di Giurisprudenza di Pisa. Dal 1995 è stata chiamata a ricoprire la cattedra di Istituzioni di Diritto Romano presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi Roma Tre. Dal 15 luglio 1996 al 31 ottobre 1998 è stata Direttore del Dipartimento di Studi Giuridici dell’Università degli Studi Roma Tre. Dal 1996 al 1998 è stata coordinatore della Commissione Ricerca dell’Ateneo Roma Tre. 57 Dal 1999 ad oggi è coordinatore della Commissione Didattica dell’Ateneo Roma Tre. È coordinatore nazionale della ricerca internazionale CNR su “Ricerca storica e comparazione giuridica”. È stata coordinatore nazionale della ricerca interateneo su “Ricerca storica e indagine comparatistica” cofinanziata dal Murst per il biennio 1998-2000 come progetto di particolare rilevanza nazionale. Dal 1999 è Presidente dell’ARISTEC (Associazione Internazionale per la Ricerca Storico-Comparatistica). Dal 2001 è membro del direttivo della Società Italiana di Storia del Diritto. Dal 2001 è coordinatore del Centro di Eccellenza in Diritto Europeo costituito con DM presso la Facoltà di Giurisprudenza di Roma Tre, Dipartimento di Studi Giuridici. Dal 2002 è coordinatore dell’Unità di ricerca della Facoltà di Giurisprudenza di Roma Tre per il progetto di rilevanza nazionale su “Le situazioni affidanti nel Diritto Europeo”. Dal 2001 è coordinatore del dottorato congiunto Roma Tre - UNED (Madrid) su “Il Diritto Europeo nella prospettiva storicocomparatistica”. Dal 2001 al 2004 è stata coordinatore del Master di II livello su “I Contratti nel Diritto Europeo”. Dal 2003 è membro della Giunta della Conferenza dei Presidi della Facoltà di Giurisprudenza. 58 È stata relatore in diversi convegni internazionali e ha tenuto seminari in numerose Università italiane e straniere. È inoltre autore di numerose opere a carattere monografico e saggi a carattere specifico, fra cui si segnalano le ultime: Considerazioni in tema di risoluzione del contratto per impossibilità della prestazione e di ripartizione del rischio nella “locatio conductio” in Iuris vincula, Studi in onore di Mario Talamanca, 249 ss., Napoli 2001; Buona fede e sinallagma contrattuale in IURA, 2002; Casistica e sistema nel diritto giurisprudenziale romano, in Atti del congresso Internazionale di Copanello, ESI, 2003; La garanzia nella prospettiva storico-comparatistica, Atti del congresso Intenazionale Aristec, a cura di L. Vacca, Torino 2003; Cultura giuridica e unificazione del diritto europeo, in Europa e Diritto Privato, Giuffrè, 2004. LUIGI MOCCIA Preside della Facoltà di Scienze Politiche dal 1998. Professore ordinario di Diritto Privato Comparato. Ha studiato presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, laureandosi presso la Facoltà di Giurisprudenza e si è successivamente specializzato presso altre sedi universitarie all’estero (Austria, Inghilterra, Scozia, Spagna, Stati Uniti, Francia). Ha insegnato presso le Università di Perugia (Scienze Politiche) e Macerata (Giurisprudenza); in quest’ultima sede è stato Direttore del Dipartimento di Diritto Privato e del Lavoro italiano e comparato. È stato coordinatore del Dottorato di ricerca in Diritto Comparato e Diritto Privato delle Comunità europee. È stato research fellow presso il King’s College di Londra e visiting professor presso lo Hastings College di San Francisco (USA). È Presidente del Centro di Studi e Documentazione sulla Cina (CSDC). È titolare della Cattedra Jean Monnet di “Diritto e istituzioni dell’Unione europea”; è docente altresì in vari corsi di alta formazione presso istituti ed Accademie. È Direttore del Centro di eccellenza (Polo Jean Monnet) “Altiero Spinelli - per l’Europa dei popoli e la pace nel mondo”. È attualmente Presidente della Conferenza dei Presidi delle Facoltà di Scienze Politiche (per il biennio 2005-2007). Il suo campo di ricerca, relativo in generale alla comparazione giuridica, è rappresentato in particolare dallo studio dei rapporti, sotto diversi profili e in vari settori, fra la tradizione giuridica continentale (civil law) e quella angloamericana (common law); inoltre, dallo studio dei temi e problemi legati all’integrazione giuridica europea; con interessi estesi anche ai diritti dell’Estremo Oriente (India e Cina). È autore di molti scritti, pubblicati in volume e su riviste in Italia e all’estero, tra cui: Glossario per uno studio della common Law, 59 Unicopli, Milano 1983 (varie rist.); Il sistema di giustizia inglese. Profili storici e organizzativi, Maggioli, Rimini, 1995; Figure di usucapione e sistemi di pubblicità immobiliare. Sintesi di diritto privato europeo, Giuffrè, Milano, 1993; I giuristi e l’Europa (cur.), Laterza, Bari, 1997; Comparazione giuridica e diritto europeo, Milano, 2005; Rule of law. Modelli di tutela dei privati presso le pubbliche amministrazioni, Roma 2005; Profili emergenti del sistema giuridico cinese (cur.), Philos, Roma, 1999. Ha ideato e dirige (dal 2002) la Rivista semestrale “La Cittadinanza Europea Itinerari - Strumenti - Scenari”, unitamente alla collana dei “Quaderni sulla Cittadinanza Europea”. MARIA PAOLA POTESTIO Preside della Facoltà di Economia “Federico Caffè” dal 1998. Professore ordinario di Economia politica. Si è laureata in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Perugia nel 1970. Ha insegnato Storia del pensiero economico ed Economia politica presso la Facoltà di Statistica dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Divenuta professore ordinario, ha insegnato Economia monetaria e Politica economica presso l’Università “G. D’Annunzio” di Pescara. Dal 1994 è professore presso la Facoltà di Economia dell’Università degli Studi Roma Tre, dove insegna Macroeconomia ed Economia industriale. In tale Facoltà è stata Presidente del Corso di Laurea in Economia e Commercio dal 1996 al 1998. Ha insegnato altresì dal 1992 al 1998 alla LUISS (Economia politica III - Corso Progredito) e, dal 1999 al 2001, alla Università S. Pio V di Roma (Politica Economica). Ha lavorato prevalentemente su temi di teoria economica, occupandosi in particolare di teoria del valore, teoria del capitale e della distribuzione, equilibrio economico generale, teoria dell’occupazione. Sul piano applicato, ha lavorato a lungo sulle relazioni tra orari di lavoro e livelli di occupazione e sui sistemi di incentivazione agli investimenti delle imprese. È autrice di numerose pubblicazioni e articoli apparsi su riviste italiane e internazionali. Ha promosso e partecipato a conferenze di carattere internazionale su temi di teoria economica; ha fatto parte del gruppo di lavoro costituito presso l’ISTAT sulla “Individuazione della segmentazione degli occupati in riferimento al quadro teorico della Contabilità Nazionale”. È stata sindaco-revisore della Associazione Italiana degli Economisti del Lavoro (AIEL) nel biennio 1997-1999. È stata responsabile scientifico, nelle edizioni I, II e III dei Progetti PassSottoprogramma Formazione dei Funzionari della Pubblica Amministrazione -, delle azio- 60 ni delle singole annualità per le quali l’Università Roma Tre è risultata vincitrice. È stata eletta nel Consiglio di Presidenza della Società Italiana degli Economisti (SIE) per il triennio 2001-2004. VITO MICHELE ABRUSCI Vito Michele Abrusci, nato a Bari il 16 giugno 1949, è professore ordinario di Logica e Filosofia della Scienza (settore scientifico disciplinare M-FIL/02) presso l’Università degli Studi Roma Tre dal 1996 ed è Preside della stessa Facoltà per il quadriennio accademico 2004-2008. Nel Senato Accademico dell’Università degli Studi Roma Tre, coordina la “Commissione Ricerca Uno” (Dottorato di Ricerca e Assegni di Ricerca). Vito Michele Abrusci è stato professore straordinario di Logica e Filosofia della Scienza presso l’Università di Bari (19941996), professore associato di Logica Matematica presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” (1991-1994), professore associato di Filosofia della Scienza presso l’Università di Bari (1988-1991), ricercatore confermato in Logica e Filosofia della Scienza presso l’Università di Firenze (1981-1988). Dal 1999 al 2003 Vito Michele Abrusci è stato Presidente della Società Italiana di Logica e Filosofia delle Scienze. Dal 2001 al 2004 è stato Presidente del Corso di Laurea in Comunicazione nella società della globalizzazione, membro del Senato Accademico e Coordinatore della Commissione Ricerca del Senato Accademico, presso l’Università degli Studi Roma Tre. Vito Michele Abrusci ha svolto la sua attività di ricerca in particolare nei seguenti campi: a) Storia della logica, dove ha indagato in particolare la nascita della teoria della dimostrazione all’interno del programma hilbertiano di fondazione della matematica; b) Teoria della dimostrazione (teoria dei dilatatori), entro la quale i suoi maggiori risultati hanno riguardato la non-dimostrabilità di teoremi della matematica combinatoria entro sottosistemi della Aritmetica e dell’Analisi; c) Logica lineare, entro la quale i suoi maggiori risultati sono stati quelli sulla semantica delle fasi per la logica lineare intuizionista e per la logica lineare intuizionista non-commutativa, l’introduzione e l’indagine (calcolo dei sequenti e teorema di cutelimination, semantica delle fasi, reti dimostrative moltiplicative) per la logica lineare classica non-commutativa con due negazioni, le applicazioni della logica lineare noncommutativa alla linguistica, i criteri di correttezza per le reti dimostrative moltiplicative della logica lineare ciclica; d) Logica non-commutativa (raffinamento 61 della logica lineare), che è stata introdotta e sviluppata da Abrusci con P. Ruet, e successivamente da numerosi altri ricercatori. Attualmente Vito Michele Abrusci svolge la sua attività di ricerca nel campo della geometria della logica, e in questo contesto ha indagato la natura geometrica dei sillogismi e delle loro trasformazioni. Vito Michele Abrusci è stato responsabile scientifico del sito “Roma Tre” entro la rete europea di ricerca TMR “Linear Logic in Theoretical Computer Science”(1998-2002), è stato coordinatore locale presso Roma Tre di numerosi progetti di ricerca italiani e internazionali, ha intensamente collaborato con centri di ricerca in Logica all’estero (in particolare, con l’Università di Parigi 7, con l’Università di Parigi 13 e con l’Institut de Mathématiques de Luminy a Marsiglia), ha trascorso su invito periodi di ricerca e di docenza all’estero ed è stato relatore in numerosi convegni nazionali e internazionali. Vito Michele Abrusci ha promosso in Italia lo studio e la ricerca nella logica lineare, nelle sue applicazioni e nei suoi sviluppi, dirigendo e formando dottorandi di ricerca e organizzando convegni nazionali e internazionali. PASQUALE BASILICATA Il Dott. Pasquale Basilicata è nato a Napoli il 12 luglio 1954. Si è laureato in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II” con il massimo dei voti. Ha ricoperto incarichi direttivi in varie Università italiane. Nel 1993 è stato nominato, a seguito di concorso pubblico, Dirigente nel ruolo della carriera amministrativa universitaria. Nel 1994 è stato nominato Direttore Amministrativo presso l’Università degli Studi di Teramo, mentre dal 1995 ricopre la carica di Direttore Amministrativo dell’Università degli Studi Roma Tre. Ricopre inoltre attualmente gli incarichi di membro del Collegio dei Revisori dei Conti dell’Università degli Studi di Cassino, membro del Nucleo di Valutazione dell’Università degli Studi “Magna Graecia” di Catanzaro e dell’Università degli Studi del Sannio di Benevento, membro del Consiglio di Amministrazione del Consorzio di Alta Formazione Giuridica “Ius Commune Europaeum”, membro del comitato scientifico istituito nell’ambito della Convenzione tra l’Università degli Studi Roma Tre e il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, membro del Consiglio direttivo del 62 Consorzio Nuval Università Roma, costituito dai tre Atenei statali romani. Da febbraio ad agosto 2002 ha ricoperto la carica di Direttore Amministrativo dell’Azienda per il Diritto allo Studio dell’Università degli Studi Roma Tre. Dal 2001 al 2004 è stato membro del Collegio Sindacale dell’Azienda Ospedaliera Universitaria “Policlinico Tor Vergata”. Ha tenuto, in qualità di docente, corsi di formazione ed è stato membro di Commissioni ispettive presso il Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica. KERRY KENNEDY Kerry Kennedy è madre di tre bambine, Cara, Mariah e Michaela. Dopo la Laurea conseguita presso la Brown University e la Boston College Law School, la signora Kennedy fonda nel 1988 il Robert F. Kennedy Memorial Center for Human Rights. Ha lavorato in diversi settori dei Diritti Umani come i diritti dei bambini, lo sfruttamento del lavoro infantile, i diritti sulle terre degli indigeni, la libertà di espressione, la violenza etnica, la responsabilità delle aziende e delle multinazionali e l’ambiente. Si è concentrata in particolar modo sui diritti delle donne, portando all’atten- zione dell’opinione pubblica le ingiustizie di cui sono vittime le donne, in particolar modo i delitti d’onore, la schiavitù sessuale, la violenza privata, le discriminazioni sul posto di lavoro, le violenze sessuali, gli abusi sui prigionieri, e molto di più. Lei ha guidato più di 40 delegazioni dei diritti umani in più di 30 Nazioni. Nel momento di forte diminuzione degli ideali e dell’accrescere del cinismo nei confronti del servizio pubblico, la sua vita ed i suoi discorsi sono testimonianze dell’impegno nel sostenere i valori alla base dei Diritti Umani. Kennedy è autrice di Speak Truth To Power: Human Rights Defenders Who Are Changing Our World - Dire la Verità al Potere: Difensori dei Diritti Umani che Stanno Cambiando il Nostro Mondo. Kerry Kennedy ha costituito il RFK Center for Human Rights per assicurare la tutela dei diritti sanciti dalla Dichiarazione dei Diritti Umani delle Nazioni Unite. Il Centro provvede a supportare le attività dei più importanti Difensori dei Diritti Umani nel mondo. Gli Articoli e gli editoriali di Kerry Kennedy sono stati pubblicati sul “The Boston Globe”, “The Chicago Sun-Times”, “L’Unità”, “The Los Angeles Times”, “Marie Claire”, “The New York Times”, “TV Guide” and “The Yale Journal of International Law”. Kerry Kennedy presiede l’“Amnesty International Leadership Council” e fa parte della giuria del “Reebok Human Rights Award”. 63 È nel Consiglio di Amministrazione del “International Center for Ethics, Justice and Public Life presso la Brandeis University”, nel “Human Rights First”, “Inter-Press Service” (Roma, Italia), “The Bloody Sunday Trust” (Irlanda del Nord), e nel “China Information Network”. È nell’Advisory Board del “Sakharov Award”, il “Buffalo Human Rights Law Review”. 64 Mostra fotografica “Eventi a Roma Tre dal 1992 ad oggi” 65 Mostra fotografica a cura della Divisione Comunicazione e Cerimoniale 66 Ospiti a Roma Tre Ospiti intervenuti a Roma Tre in occasione delle cerimonie di Inaugurazione Anno Accademico: 1993-1994 Oscar Luigi Scalfaro 1994-1995 Antonio Ruberti e Giorgio Salvini 1998-1999 Carlo Azeglio Ciampi 1999-2000 Leah Rabin 2000-2001 Philippe Busquin 2001-2002 Papa Giovanni Paolo II Letizia Moratti 2002-2003 Tommaso Padoa-Schioppa 2003-2004 Shirin Ebadi 2004-2005 Valerio Onida 67 Finito di stampare nel mese di maggio 2006 dalla Tipografia Edigraf srl - via degli Olmetti, 38 00060 - Formello (Rm)