Relazione di Alfano - Associazione di Valutazione Italiana
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Relazione di Alfano - Associazione di Valutazione Italiana
La permeabilità al clientelismo delle Pubbliche Amministrazioni: un indice generico di Vincenzo Alfano1 Abstract Con questo contributo teorico si intende analizzare il fenomeno del clientelismo, con particolare riferimento ai rapporti di questa fattispecie nella e con la Pubblica Amministrazione. Sul tema del clientelismo, e nello specifico di quello di fattispecie politica, seppur definibile come una costante del sistema italiano (quantomeno, e con certezza, con riferimento alla storia repubblicana della penisola, ma a ben vedere non solo: come dice Caciagli2 [il clientelismo] è una delle categorie che meglio «viaggiano» nel tempo e nello spazio; per Antoni Mączak, ci son state forme di clientelismo in tutti i tempi e sotto tutti i cieli), è stato scritto molto; tuttavia c'è ancora molto da dire sulla questione, non fosse altro visti i continui riferimenti, le costanti notizie, ed i frequenti scandali o presunti tali in cui ci si imbatte con impressionante frequenza. E, non di meno, viste le forme nuove e la costante frequenza con cui il fenomeno sa rinnovarsi e reinventarsi. Si ritiene che il modellamento dei tratti che generalmente dovrebbe assumere una valutazione sulla permeabilità al clientelismo di amministrazioni pubbliche di qualsiasi genere sia cosa utile ed interessante. Permettere infatti di calare sulla singola specifica amminstrazione a cui lo studioso è interessato un indice figlio di una teoria generale ed adattabile ad altre realtà, è cosa potenzialmente molto utile sia a degli studiosi dello Stato che a degli amministratori. In un periodo in cui i proclami sulla spending review, sulla rilettura o addirittura il rimodellamento delle funzioni dello Stato, una comparazione anche sull'aspetto della permeabilità al clientelismo delle amministrazioni dello Stato non può non tenersi in alta considerazione; sia per le pressioni che si ricevono dal basso, da cittadini stufi di assistere a sprechi e prebende in cui fin troppo spesso proprio la pubblica amministrazione è coinvolta, che per quelle che arrivano dall'alto, da un'Unione Europea che non vede di buon occhio le stesse dinamiche poco trasparenti. Nell'articolo studio si intende sviluppare una proposta di un insieme di variabili da tenere in 1 2 Università di Napoli "Federico II", Borsista nell'ambito di una ricerca su "Valorizzazione dell'intelligenza nei sistemi di reclutamento della pubblica amministrazione" del Dipartimento di Scienze Politiche. Cfr. M. CACIAGLI, Il clientelismo politico. Passato, presente e futuro, Di Girolamo, 2009 considerazione per la creazione di un indice che permetta di comparare realtà diverse alla luce della permeabilità al clientelismo, e della maniera di correlarle tra loro. Seguendo un approccio basato su tre semplici assiomi individuati, si intende arrivare a proporre una vero e proprio insieme di linee guida su che genere di variabili cercare e come correlarle tra di loro per la realizzazione di un indice che, seppur calato su specifiche realtà, sia poi di semplice lettura e di immediata comparazione con risultati provenienti da diverse amministrazioni, anche di diverso tipo. Si mira ad un indice che riassuma in un dato (di facile lettura) se è più permeabile al clientelismo un ufficio di un Ministero della Difesa piuttosto che un Centro per l'Impiego di un paesino italiano: questo permetterebbe, aldilà dell'ovvia difficoltà dell'esempio citato, di decidere come e dove tagliare da una parte, o investire, dall'altra. Nello sviluppo dello studio si intende innanzitutto partire chiarendo le definizioni dei concetti di base che si utilizzeranno nello sviluppo del lavoro, ed in particolare cominciando proprio con cosa si debba intendere, almeno nell'ambito della misurazione proposta, per clientelismo, viste le diverse sfumature che il concetto tende ad assumere in politologia. Si proseguirà poi con l'analisi delle specifiche forme di clientelismo proprie dei rapporti con l'amministrazione pubblica, ed in particolare analizzando il clientelismo in diadi peculiari e specifiche, che si evidenzieranno quali sono gli indicatori che saranno poi utili a costruire l'indice. Infine, in conclusione, l'obiettivo di chi scrive è di arrivare a proporre al termine del lavoro un indice: non scolpito nella pietra, come si diceva, ma piuttosto formulato come un insieme di proposte di linee guida, utili agli studiosi per la costruzione di indici più specifici, e che siano adattabili a diverse realtà. Questo servirà come si diceva a misurare il grado di permeabilità al clientelismo in una Pubblica Amministrazione, e dunque in altri termini la potenziale corruttibilità di questa da parte di forze esterne. Il concetto di clientelismo: nozione e genesi storica Quando si parla di clientelismo l'etimo è un aspetto particolarmente importante; infatti dietro la vulgata del termine si nascondono distinte declinazioni del clientelismo, che è importante analizzare e distinguere per giungere ad una puntuale comprensione ed analisi del fenomeno. Più che di clientelismo, occorrerebbe parlare di clientelismi, tal e tante sono le declinazioni che ha il termine nelle nostre complesse e stratificate società. Una prima tipologia di clientelismo è quel rapporto, arricchito da elementi affettivi, che lega due soggetti, di norma posti su gradi differenti della scala sociale, in uno scambio di reciproco interesse in cui si incontrano bisogno di protezione e asservimento ad un padrone. È il cosiddetto “clientelismo sociale”. Un'altra accezione del termine è in riferimento a quelle pratiche, ampiamente diffuse nell'ambito dell'apparato burocratico statale, con cui funzionari infedeli all'amministrazione ed al loro mandato elargiscono benefici o attenzioni particolari nei confronti di cittadini che non ne avrebbero diritto alcuno. Quindi per il solo fatto di appartenere ad una “clientela”, ovvero genericamente per il solo fatto di far parte del seguito di un qualche esponente politico, in cambio dei cui favori si è garantito sostegno elettorale un individuo, si vede assegnata una sorta di corsia preferenziale nel suo rapporto con l'Amministrazione, in virtù della mediazione offerta dal politico-patrono. Questa seconda fattispecie, in una prima via di approssimazione, è definibile “clientelismo politico”. Simili prassi finiscono per generare nella platea dei cittadini l'idea e la sensazione di un'assenza di neutralità ed imparzialità dell'azione amministrativa. Più precisamente l'organizzazione dei pubblici uffici italiani ai più diversi livelli difetta sovente di quello “statuto di autonomia burocratica” che la dottrina germanica additava fin dalle origini quale il presupposto imprescindibile per il corretto funzionamento dell'apparato burocratico, quale che fosse il colore del partito al Governo. Ciò comporta una disaffezione dei cittadini verso la Pubblica Amministrazione, e spesso genera un circolo vizioso per cui, pur avendo diritto ad alcune prestazioni da parte dell'Amministrazione, il cittadino si sente in obbligo di doversi presentare tramite un intermediario-patrono, convinto che senza di questi non riuscirà ad ottenere il servizio cui ha diritto. Da un punto di vista strettamente socio-antropologico, e quindi prescindendo da un esame delle strutture politiche della comunità di riferimento, il clientelismo può essere inteso come quel rapporto asimmetrico che nasce tra individui posti, per ragioni di censo, a livelli di gerarchia sociale profondamente differenti3. È evidente che a generare la domanda di protezione da parte dell'individuo più debole 4 sia uno 3 4 È la definizione di clientelismo che offre lo storiografo A. M ACZAK, Il sistema delle clientele. I rapporti tra signori e servi, magnati e funzionari, patroni e seguaci. Un fenomeno di ogni epoca e paese, in “Prometeo”, XIII, 1986, secondo il quale esso si sostanzierebbe in “una relazione che riguarda persone con posizioni sociali ineguali, in cui il partner più potente protegge quello più debole avendo in cambio diritto ai servizi e alla lealtà di quest'ultimo”. Che da un punto di vista storico vede normalmente come protagonisti i contadini, ovvero quella porzione di popolazione che sconta i più bassi – quando non addirittura inesistenti – tassi di ricchezza e di scolarizzazione, e quindi carenza di opportunità diverse o comunque di possibilità d'un cambio di carriera e di poter influire sul tessuto sociale stato di soggezione e di bisogno insuperabile con le sole proprie forze. Ecco, quindi, che si rende necessaria l'intermediazione o, meglio, l'intervento, di un soggetto più potente all'interno della scala sociale. Si diceva intervento, e non mediazione, non a caso. Il rapporto che così si viene ad instaurare tra patrono-protettore e cliente-indigente non scaturisce, come invece accade nelle forme più “mature” di clientelismo politico, per via contrattuale, ossia in seguito ad una scelta in qualche modo libera e consapevole del cliente-elettore di impegnarsi. Il rapporto scaturisce da una condizione socio-economica che un contesto di vita immobile fa apparire al cliente immodificabile. Il patrono offre dunque protezione ed accesso a determinati beni, ottenendo in cambio un controllo, a seconda dei diversi casi più o meno incisivo ed invasivo, sulle famiglie e sulle terre appartenenti al proprio cliente 5. A parere di Boissevain, il clientelismo può essere definito come “un sistema auto-perpetuantesi di credenze e valori basato sul sistema di valori della società”6. Secondo l'autore, ripreso in Italia tra gli altri da Signorelli7, i clienti non si considerano soggetti passivi della relazione, ma è dal sistema di valori (che pervade la loro esistenza e la loro essenza nonché, in ultima analisi, la loro tradizione) che essi traggono i codici culturali che li guideranno alla risoluzione dei problemi di ogni giorno. L'influsso che il modus agendi produce su di un individuo allevato e cresciuto in un determinato contesto, come anche il bagaglio di tradizioni e convinzioni familiari, è a tal punto pervicace e profondo, da plasmare in pieno la sua personalità e la capacità di relazione, così che quel soggetto non abbandonerà quel retaggio di azioni e ricordi che costituiscono il suo humus più autentico neanche quando dovesse abbandonare la vita contadina per trasferirsi in un contesto urbano. Il rapporto clientelare si viene a instaurare in virtù della maggiore vicinanza e, per così dire, della “aggredibilità” dei beni di cui la collettività può disporre da parte del patrono, così che il cliente può scontare una maggiore sicurezza e celerità nell'elargizione e nel godimento del bene desiderato: “si ha scambio clientelare quando i benefici legati ai beni di autorità (cui ha accesso l'uomo politico) sono concessi dal contraente politico 5 6 7 Secondo Waterbury (in J. WATERBURY, North for the trade. The life and times of a Berber merchant, Berkeley, 1972), “il clientelismo è più pronunciato laddove i deboli sono sproporzionatamente deboli […] e tendono a percepire le cose come date, fisse”. Cfr. J. BOISSEVAIN, Rapporti diadici in azione: parentela e amicizia e clientela in Sicilia, in L. GRAZIANO (a cura di), Clientelismo e mutamento politico, Milano, 1974. A tal proposito confronta la lucida e, seppur datata, attualissima riflessione contenuta in A. S IGNORELLI, Chi può e chi aspetta. Giovani e clientelismo in un'area interna del Mezzogiorno, Napoli, 1983. in un modo che ne impedisce l'estensione all'intera categoria cui il beneficio appartiene”8. Si può giungere alla prudente conclusione che il rapporto che lega patrono e cliente (o, per meglio dire, il secondo al primo, ragionando nell'ottica della soddisfazione del bisogno) diventa di interesse mano a mano che il contesto di riferimento procede verso l'urbanizzazione: qui al patrono-proprietario terriero si sostituisce la figura del politico di professione. Così s'arriva al “clientelismo politico”. Con questa locuzione si indica quel fenomeno coincidente con la strategia razionale alla base di una delle tecniche di raccolta del consenso elettorale. Per meglio dire, con questa espressione si intende fare riferimento al clientelismo come ad una strategia politica, mediante la quale l'uomo politico cerca di crearsi un seguito quanto più possibile corposo e visibile di elettori, simpatizzanti, sostenitori. Approcciando razionalmente al problema, per massimizzare il risultato elettorale con una strategia clientelare sarà necessario individuare, percepire ed anticipare le manovre, gli indirizzi e gli umori dell'elettorato, affinché l'attore politico possa formare la propria clientela nella fase embrionale della sua carriera, creando il cosiddetto “zoccolo duro” del proprio elettorato. Gli elementi caratterizzanti del clientelismo politico sono sostanzialmente tre: l'occupazione delle posizioni di vertice e di potere nell'amministrazione (che altro non è che la conseguenza più diretta del successo del patrono nella sua attività di promozione degli interessi privati e collettivi dei clienti); l'utilizzo in misura sempre maggiore delle risorse pubbliche per conservare ed incrementare il proprio potere (ciò è dovuto al fatto che, offrendo la propria “opera” in contesti via via di crescente competizione, sarà necessario consolidare il consenso ricevuto, per evitare che esso vada dissolvendosi alla ricerca di nuovi e più produttivi attori politici); ed infine l'ottenimento di vantaggi da parte dei singoli clienti. Se infatti il clientelismo giova al patrono, persiste perché, al di là delle considerazioni sociologiche sull'istinto umano a ricercare protezione e facili ricompense, giova anche ai clienti, i quali se anche dovessero far venir meno il proprio sostegno elettorale all'attore politico di turno lo farebbero per affidarsi alle promesse e ai servigi di un nuovo patrono. 8 Si esprime così P. CERI, Le condizioni dello scambio politico, in “Quaderni di psicologia”, XXIX, 4. Ci è agevole notare dunque, in conclusione di paragrafo, come il clientelismo politico, per nascere e perpetrarsi, ha bisogno della Pubblica Amministrazione. Clientelismo e corporativismo La prima diade delle tre che si andranno ad esaminare alla ricerca dei caratteri che producono permeabilità al clientelismo nelle Pubbliche Amministrazioni, è quella clientelismo-corporativismo. Il termine corporativismo, in senso originale, deriva dalle Corporazioni delle Arti e Mestieri, organizzazioni che controllavano la vita cittadina in molti Liberi Comuni dell'Italia medievale 9: la definizione intende richiamare i cosiddetti “corpi sociali”, cioè le associazioni intermedie tra uomo ed autorità politica che formano la società civile. Nel 1891 il corporativismo venne richiamato, e reinterpretato, dall'enciclica Rerum Novarum10 di Papa Leone XIII, in ottica cattolica. Oggigiorno il termine “corporativismo” è utilizzato per riferirsi ad uno Stato con grossa partecipazione sociale da parte di organizzazioni e lobby di settore, che sedute a tavoli di concertazione con Autorità Amministrative indipendenti (o talvolta costituendoli in prima persona), indirizzato l'attività legislativa e di governo. E' un modello sperimentato, e con un certo successo, in Nord Europa. Per Peters11 il corporativismo è una variante estremizzata dei rapporti legittimi tra gruppi di pressione e burocrazia: la restrizione del numero dei gruppi di pressione interessati ad un processo di produzione politica, infatti, legittimati dalla cooptazione o incorporazione nell'apparato statale, porta a diverse possibili derive clientelari. Per Schmitter12, che lo chiama “neo-corporativismo” pur riferendosi allo stesso processo, occorre distinguere tra “corporativismo societale”, che interviene quando le associazioni prevalgono sullo Stato nella produzione di politica e governo, e “corporativismo di Stato”, in cui si registra invece la supremazia di quest'ultimo. In questa particolare forma di Stato pare che il fenomeno clientelare debba assumere un altro, diverso aspetto, da quello semplicistico sopra delinato del clientelismo politico, e vivere di altre, differenti dinamiche. Non essendo infatti il solo Governo a ricoprire il ruolo di attore unico, e talvolta non essendo 9 10 11 12 Una sorta di lobby ante litteram. Rerum Novarum, lettera enciclica di Leone XIII del 15 Maggio 1891, è il primo atto ufficiale con cui la Chiesa cattolica prese posizione in ordine alle questioni sociali. Fondò la moderna dottrina sociale cattolica. Cfr. B. GUY PETERS, La Pubblica Amministrazione, un'analisi comparata, Il Mulino, 1999, p. 248 e A.G. JORDAN, Iron Triangles, Woolly Corporatism and Elastic Nets: Images of the Policy Process, in Journal of Public Policy, 1, 1981, pp. 95123, cui Peters si rifà. Cfr. P. C. SCHMITTER, Still the Century of Corporatism?, in “Review of Politics”, 36, p. 93, 1974. nemmeno il protagonista nella produzione delle policy, ma dovendo dividere questo ruolo con associazioni di categoria e lobby, il ruolo dell'imprenditore-politico non può delinearsi come sopra definito, in termini di clientelismo. Ma c'è spazio per un rapporto clientelare anche in questo sistema? E chi indossa i panni del patrono e chi quelli del cliente? In un moderno Stato corporativo, specialmente di “corporativismo societale”, per riprendere la distinzione di Schmitter, la specializzazione che alcune organizzazioni raggiungono, nell'occuparsi di alcuni specifici aspetti della società, è invidiabile. E di conseguenza la fiducia, il potere e la libertà, nell'indirizzare l'attuazione di tali policy quando ricadono nelle mani della Pubblica Amministrazione, dovrebbe risultare notevole, e dunque facilmente prestabile a scambi clientelari. Tuttavia l'osservazione empirica insegna che le socialdemocrazie nord europee, principali esempi di attuazione dello Stato corporativo, hanno incidenze clientelari molto minori degli Stati che non attuano questo sistema. Questa apparente contraddizione è facilmente spiegabile, senza cadere nei soliti stereotipi culturali ed in una presunta superiorità morale dei popoli non latini, con un vantaggio utilitaristico che ripaga maggiormente di quello clientelare. La strategia di sviluppo clientelare adottata dall'imprenditore politico, infatti, lo ripaga (unita, per riprendere l'ottima distinzione teorica della Piattoni, all'offerta di programmi interessanti) solo perché insieme al “codice sublime” di offerta clientelare questi può attuare un “codice sublime” di offerta programmatica, che lo pone sul mercato politico in una posizione in cui elettori disposti allo scambio particolaristico, ed elettori interessati ai proclami programmatici, possono collocare il proprio voto. Al contrario, nello Stato corporativo, la lobby non può collocarsi, per così dire e proseguire nella metafora, su entrambi i mercati. Infatti il suo cliente, ovvero colui che vendendo la propria scelta potrebbe acquistarne servigi particolaristici, non è l'amministratore pubblico né l'elettore, bensì il politico, che (insieme al resto delle élite politiche) seleziona a quale corporazione “appaltare” settori di politica pubblica. Ma il patrono non ha alcun vantaggio a vendere i propri servigi particolaristici a quel cliente che deve contrastare, così come non c'è alcun vantaggio per la lobby nel non porsi in contrasto con quella classe politica da cui, per definizione, deve sottrarre risorse per gestirle. Al contrario del rapporto tra imprenditore-politico patrono e pubblico amministratore-cliente, in cui è facile vedere un vantaggio particolaristico e quindi vendere i propri servigi, nel rapporto tra lobby-patrona e politico-cliente, il rapporto non è vantaggioso né per l'una, interessata a distogliere e non a conferire potere e risorse al proprio possibile cliente, né per l'altro, interessato a conferire quante meno risorse possibili al proprio presunto patrono. Infine, un ultimo aspetto importante è che spesso tali organizzazioni della società civile che giungono a sedersi ai tavoli delle stanze dei bottoni, hanno nell'opinione pubblica un proprio importante sponsor. E mentre l'imprenditore-politico che attiva il canale clientelare può sperare, al di là dell'aspetto morale, di acquisire nuovi elettori interessati allo scambio particolaristico, la lobby che attiva il canale clientelare non potrà promettere prebende ai cittadini elettori che la sponsorizzano, risultando quindi solo danneggiata nell'immagine nell'attivazione del processo clientelare. Clientelismo e dualismo Seconda diade che si analizza, è quella clientelismo-dualismo. Con il termine “dualismo”, in senso proprio, si intende la doppia velocità, o meglio ancora la divergenza, tra l'evoluzione, in particolar modo economica, del Nord e del Sud del Paese. E quella sociale, in questo ambito, va di pari passo con quella economica. Esiste, ed in tal caso qual è, il ruolo del clientelismo in questo sotto-svilupparsi del meridione del Paese? Innanzitutto occorre dire che, dopo un lungo periodo di divergenza economica tra queste due parti del Paese (più precisamente, si fa riferimento agli anni tra l'unità del 1861 ed il 1951), ed uno ben più breve di convergenza (nel cosiddetto periodo del “boom economico” italiano, ovvero tra il 1951 ed il 1971), a partire dagli anni Settanta il divario di reddito pro-capite tra Centro-Nord e Mezzogiorno d’Italia sembra essersi stabilizzato, assestandosi intorno al 60%. Tale divario pare anche essere relativamente omogeneo, poiché, con la sola eccezione dell’Abruzzo, la massima differenza tra le regioni del Sud in termini di reddito pro-capite è di circa il 10%, rispetto ad una differenza minima di oltre il 30% con la media di reddito del Centro-Nord13. Occorre dunque porsi delle domande per indagare sul ruolo del clientelismo in questo problema: se l’arretratezza del Sud avesse tra le sue cause profonde una cultura di familismo amorale banfieldiano e delle carenze in termini di capitale sociale, perché nella fase che va dal 1951 al 1971 si realizzò una crescita più rapida di quella del Centro-Nord? Ossia, ponendo la questione in altri termini, come mai la scarsa fiducia 13 A. PIGLIARU, Il ritardo economico del Mezzogiorno: uno stato stazionario?, CRENoS, 2010. inter-soggettiva, se fosse la reale causa di impedimento alle moderne attività mercantili, non precluse una rapidissima crescita in quegli anni? Come mai smise di operare soltanto per un ventennio? Perché si perpetua, lungo gli ultimi quarant’anni, una situazione in cui il Centro-Nord paga trasferimenti unidirezionali verso il Sud14? E' bene dire fin d'ora che una risposta che invochi fattori quali l’inerzia storica o presunti comportamenti irrazionali, non può spiegare come mai i cittadini del Mezzogiorno, nel corso di lunghi decenni, non riescano ad imparare dai propri errori ed “evolvere”, revisionando antiche consuetudini che si dimostrano dannose. È più logico assumere che tra i soggetti si raggiunga un equilibrio strategico collettivo nel quale conviene a ciascuno mantenere la propria posizione; se assumiamo questo assioma, possiamo dedurne che il dualismo territoriale si riproduca volontariamente e consapevolmente. Si può ipotizzare il formarsi di un tale equilibrio tramite molteplici meccanismi: uno dei più potenti è certamente la “competizione sui trasferimenti selettivi”. Dati tre gruppi sociali: A, B e C, ed una policy che ottiene il voto di un singolo quando questi è certo di ricavarne dei benefici, la policy si realizza soltanto se ottiene un numero di voti maggioritario, ed il peso relativo dei tre gruppi è tale che nessuno può raggiungere la maggioranza da solo. In una situazione di tal genere, ipotizziamo che dalla policy X il gruppo A ottenga dei benefici, quello C subisca delle perdite, mentre nessun individuo in B è in grado di sapere se guadagnerà o perderà. Finché l’intero gruppo B è in condizioni d’incertezza, non si potrà mai formare un consenso maggioritario 15. Il rimedio più semplice, è ipotizzare che il gruppo B smetta di agire come gruppo e si scomponga, e che quindi i suoi singoli membri votino a favore (o contro) specifiche iniziative a seconda dei benefici (o delle perdite) che son certi di trarne. In altri termini, si sta dipingendo una situazione in cui il governo rinuncia alla policy di taglio generale, optando per un più comodo pacchetto comprendente un insieme di interventi, tra cui degli incentivi selettivi appositamente inseriti per compiacere alcuni dei soggetti del gruppo B. Questo 14 15 Per limitarsi ad un solo esempio, dai dati del ministero delle Finanze (elaborazione Centro Studi Sintesi, 2005) risulta che l’eccesso di spesa pubblica sui tributi raccolti da Stato e Regioni (e cioè il disavanzo pubblico totale per Regione) è pari a quasi 2.000 euro pro-capite in Campania, ad oltre 3.000 in Calabria, a 3.500 euro in Sicilia, mentre i contribuenti lombardi versano allo Stato 5.000 euro pro-capite in eccesso di quanto ricevono. Questi dati non sono pacifici: altri studiosi hanno teorie (e numeri) diversi, sulla differenza di contribuzione alla fiscalità comune nelle diverse parti del Paese: tuttavia non è intenzione soffermarsi su questo tema in questa sede. Il gruppo A potrebbe promettere ad alcuni membri del gruppo B, in cambio del loro voto a favore della policy, di risarcirli se, una volta effettuata l’azione pubblica, avessero perdite: ma non è una promessa credibile, poiché i vincenti di oggi sarebbero poco propensi a mantenere gli impegni presi ieri quando erano minoranza. Per una trattazione rigorosa, si rimanda a R. FERNANDEZ e D. RODRIK, Resistance to reform: status quo bias in the presence of individual-specific uncertainty, in “American economic review”, 81 (5), pp.1146-55, 1991 ed a G. SERAVALLI, Né facile, né impossibile. Economia e politica dello sviluppo locale, Donzelli, Roma, pp.173-76. ovviamente si protrarrà fino al punto in cui l’intero pacchetto verrà approvato 16. Cosa dimostra questo ragionamento? Che, da parte di un insieme di individui razionali e non di cittadini geneticamente predisposti per comportarsi come familisti amorali, se i risultati futuri dell’azione pubblica sono ex ante incerti per una parte rilevante della società (e ciò nella realtà accadrà quasi sempre), allora la formazione del consenso richiede lo spostamento su policy che rispondano ad interessi particolaristici. E cos'è ciò se non l'acquisto, con una specifica valuta fatta di policy particolaristiche, che ben potrebbero tradursi anche nell'investire da parte dell'imprenditore-politico in pubblici amministratori clienti, di clienti-elettori? Quindi il dualismo, se non nella nascita, nel suo perdurarsi può certamente (anche se in un modello estremamente semplificato come quello qui proposto) spiegarsi con una deriva di clientelismo da parte del governo nazionale, che si ripercuote a livello locale “stabilizzando” il disavanzo e la differenza di reddito pro-capite tra le due aree del Paese. Clientelismo e populismo Ultima diade protagonista dell'analisi è quella clientelismo-populismo. Il termine populismo, in senso proprio, deriva dalla traduzione di una parola russa: il movimento populista è stato infatti un movimento politico e intellettuale della Russia della seconda metà del XIX secolo, caratterizzato da idee socialisteggianti e comunitarismo rurale che gli aderenti ritenevano legate alla tradizione delle campagne russe. Ancora, il termine può essere fatto risalire al People's Party, un partito statunitense fondato nel 1892 al fine di portare avanti le istanze dei contadini del Midwest e del Sud, in conflitto con le pretese delle grandi concentrazioni politiche industriali e finanziarie, e anch’esso caratterizzato da una visione romantica del popolo e delle sue esigenze. Tuttavia il largo uso che politici e media han fatto del termine “populismo” ha contribuito a diffonderne un’accezione fondamentalmente priva di significato: è rilevabile infatti la tendenza a definire “populisti” attori politici dal linguaggio poco ortodosso e aggressivo che demonizzano le élite ed esaltano il “popolo”. Gli studiosi hanno proposto diverse definizioni del termine “populismo”17; ad esempio, nel loro volume Twenty-First Century Populism: The Spectre of Western European Democracy, Daniele Albertazzi e Duncan McDonnell hanno definito il populismo come: 16 17 Prassi comune, nel caso italiano, per i cosiddetti milleproroghe o per alcune leggi finanziarie. “Ad ognuno la sua definizione di populismo, a seconda del suo approccio e interessi di ricerca”, ha scritto Peter Wiles in Populism: Its Meanings and National Characteristics, 1969, il primo testo comparativo sul populismo internazionale curato da Ernest Gellner e Ghita Ionescu. “una ideologia secondo la quale al «popolo»(concepito come virtuoso e omogeneo) si contrappongono delle «élite» e una serie di nemici i quali attentano ai diritti, i valori, i beni, l’identità e la possibilità di esprimersi del «popolo sovrano»”. Il rapporto tra populismo, come inteso in quest'ultima definizione, e clientelismo può certamente esistere, ed essere particolarmente insidioso. Quale élite è più facilmente identificabile ed odiabile (in burocrazie complesse come la nostra) della Pubblica Amministrazione? E quant'è facile, per l'imprenditore politico, cavalcare quell'onda ed utilizzare i propri clienti nella Pubblica Amministrazione per favori selettivi “strappati” all'élite burocratica, che senza il suo intervento non si sarebbe attivata? D'altra parte, è facile riscontrare empiricamente nei regimi populisti dell'America Latina un esponenziale sviluppo del clientelismo. Ma ciò avviene perché tali regimi sono totalitari, o perché sono populisti? Di certo non è semplice rispondere, ed entrambi i fattori concorrono al risultato. Pur tuttavia, il passaggio evidenziato poc'anzi sulla demonizzazione dell'amministrazione pubblica, controllata clientelarmente dal politico-patrono stesso, pare essere una strategia riscontrabile in tutti i regimi populisti che sono arrivati al governo. D'altra parte, la difficile definizione del concetto di “populismo”, rende ardua una generalizzazione e l'estrapolazione di una regola. Si può però sicuramente dire che la Pubblica Amministrazione è una delle élite che, prima o poi, un partito populista deve demonizzare; e che, allo stesso tempo, qualora giungesse al governo, ne avrà certamente bisogno. A tal punto, o la sostituisce, come successo in alcune realtà latinoamericane, con una burocrazia fedele al partito (e quindi clientelare, allargando giusto di un minimo la definizione finora adottata) o compra con delle clientele quella esistente, trasformandosi in suo patrono: tertium non datur, almeno se il partito intende restare al potere. Il seme del clientelismo nella Pubblica Amministrazione Cosa porta alla soddisfazione dell'offerta di clientelismo all'interno della Pubblica Amministrazione, ovvero, perché un pubblico funzionario decide di applicare comportamenti diversi a cittadini segnalati e cittadini “comuni”? E' chiaramente molto difficile rispondere esaurientemente a questa domanda. Tuttavia si ritiene utile partire dalle motivazioni ai comportamenti virtuosi proposte da Williams 18, come fatto anche 18 Cfr. B. WILLIAMS, Consequentialism and Integrity, in Samuel Scheffler (ed.), Consequentialism and its Critics, Oxford University Press, 1988. dalla Piattoni nel suo lavoro. Secondo lo studioso i comportamenti virtuosi sono figli di quattro diverse possibili motivazioni: micro-motivazioni egoistiche ed altruistiche, e macro-motivazioni egoistiche ed altruistiche. Della prima branca, le micro-motivazioni egoistiche, fanno parte tutte le motivazioni afferenti alla simultanea massimizzazione dell'utilità: esempi classici sono il mercato o, per fare un esempio vicino alla logica del dipendente pubblico, lavorare bene perché si percepisce uno stipendio; in questa famiglia le sanzioni sono comminate da un ente sovrapposto (ad esempio la multa somministrata dal dirigente al membro del personale per un ritardo). Alla seconda branca, le micro-motivazioni altruistiche, appartengono quelle motivazioni basate sulla reciprocità. A queste, ad esempio, afferiscono le motivazioni generate dalle reti parentali o da quelle amicali: sostengono scambi ripetuti nel tempo, e permettono la sopravvivenza di piccoli gruppi, visto che le sanzioni sono comminate dai gruppi stessi (generalmente tramite l'esclusione dal gruppo stesso: come il figlio disconosciuto dalla famiglia per non essersi comportato in maniera favorevole verso il padre, o più in generale l'ostracismo esercitabile da qualsiasi gruppo, anche ad esempio i membri di un ufficio). Nella terza categoria, le macro-motivazioni egoistiche, rientrano la paura delle punizioni per i comportamenti devianti. Anche queste presuppongono la presenza di un ente sovrapposto, come ad esempio lo Stato, o quantomeno di un'agenzia che commini tali sanzioni. Permettono una più semplice convivenza di molti individui in società complesse, dato che si può dire che molti cittadini “fanno affidamento” su di queste. Tuttavia, da sole non bastano a garantire la pace e la sicurezza. Un esempio per i nostri fini potrebbe essere la paura di un dipendente d'essere licenziato in tronco ed indagato se affida un appalto pubblico senza regolare gara. Infine, ci sono le macro-motivazioni altruistiche, che sono valori come i codici etici, il senso civico, la fiducia nel sistema. Sicuramente sarebbero le migliori su cui affidarsi in esclusiva per far funzionare un sistema: tuttavia è chiaro, se non altro perché l'esperienza empirica ci dice questo, che da sole non bastano. Anche in questo caso l'esempio è semplice: il dipendente pubblico che svolge bene il suo lavoro per senso di appartenenza, il cittadino che denuncia il sopruso perché crede nel miglioramento del sistema, eccetera. Da dove nasce il clientelismo, dunque? Sicuramente dalla carenza di macro-motivazioni altruistiche, ed è facile evidenziare in questo caso un problema culturale, sia sociale che specifico dei pubblici dipendenti; ma anche dalla presenza di micro-motivazioni egoistiche (ed altruistiche, come nel caso del “familismo amorale” di Banfield) migliori al di fuori della propria sfera di lavoro che all'interno. Se l'imprenditore politico è in grado di offrire micro-motivazioni altruistiche “migliori” di quelle offerte dal pubblico impiego, e l'amministratore pubblico non rinviene macro-motivazioni, egoistiche o altruistiche, da mettere sul piatto della bilancia per controbilanciare quell'offerta, in un'ottica prettamente utilitaristica il seme del clientelismo politico è appena stato piantato. Gli anticorpi della Pubblica Amministrazione Il clientelismo pare dunque essere, quando non una necessità per permettere la sopravvivenza del cittadino-elettore, un fenomeno endemico ed impossibile da estirpare. L'unica soluzione sembra essere proprio interna alla Pubblica Amministrazione che, quando non protagonista, è l'anello fondamentale per congiungere l'offerta del patrono-imprenditore politico a quella del cliente-elettore. E ciò pare confermato anche dalle dichiarazioni del Presidente pro tempore della Corte dei Conti, Tullio Lazzaro, che nella cerimonia di apertura dell'anno giudiziario 2010 denunciava la mancanza di «anticorpi» nella Pubblica amministrazione19. Ma quali sono questi anticorpi cui, tra gli altri, il Presidente Lazzaro fa riferimento? Alla luce delle diadi analizzate, e della definizione del clientelismo, si ritiene che essi siano essenzialmente sintetizzabili in tre categorie, tre qualità che ogni Pubblica Amministrazione dovrebbe possedere per rendersi immune alle lusinghe ed ai ricatti della politica: indipendenza dai politici, ottimizzazione del funzionamento e regole chiare. Rotto l'anello di congiunzione tra imprenditoria politica ed elettorato in cerca di interessi legalmente illegittimi, a ricoprire il ruolo di patroni potrebbero essere solo direttamente i pubblici amministratori, senza la richiesta d'intermediazione della politica. Tuttavia questi, al contrario dei politici, non avrebbero un immediato interesse ad ingraziarsi gli elettori-cittadini. In tal caso dunque, il fenomeno di concessioni particolaristiche di beni e servizi pubblici da parte degli amministratori, a fronte di non meglio definiti vantaggi utilitaristici per questi ultimi, non potrebbe più configurarsi come clientelismo strictu sensu, almeno così come lo abbiamo definito in apertura, ma al contrario sarebbe configurabile come una pura e semplice corruzione20. 19 20 Cfr. Cerimonia di apertura dell'anno giudiziario 2010, intervento di Mario Ristuccia e Tullio Lazzaro. Non che ciò sia un bene, ovviamente, ma questa può essere combattuta con altri metodi, come ad esempio una legislazione Volendolo riassumere il tutto in una frase, se una Pubblica Amministrazione è indipendente, funziona bene ed ha regole chiare, non è clientelare. L'indipendenza Uno dei principali aspetti che rende una Pubblica Amministrazione insensibile alle pressioni clientelari, è l'indipendenza. Pubbliche Amministrazioni indipendenti sono il principale argine alla “privatizzazione”, intesa come fruzione esclusiva di alcuni che non ne avrebbero titolo, della cosa pubblica. L'argine al piegarsi a scopi particolaristici a fini clientelari. Infatti se impermeabile a pressioni politiche, una Pubblica Amministrazione non sarà clientelare, in quanto patroni-politici non potranno dispensarne i servizi come favori e privilegi. Tuttavia, in questa sede, ritengo importante specificare cosa si deve intendere per indipendenza. Per sua stessa natura, infatti, la Pubblica Amministrazione, sebbene la recente dottrina abbia sempre più sdoganato questa struttura dalla politica, e l'abbia considerata e studiata come un corpo a sé stante fino a fondare una vera e propria scienza della Pubblica Amministrazione separata dalla scienza politica, deve necessariamente essere vincolata alle scelte della politica. Una Pubblica Amministrazione totalmente autonoma rischia di degenerare in una tecnocrazia, un governo dei tecnici specialisti che risponde ad una visione semplicistica del mondo dove le visioni politiche non esistono, ed esiste una soluzione migliore in assoluto, e non delle visioni diverse e contrapposte che cercano il compromesso sociale. Appurato dunque che ai fini di questo lavoro la Pubblica Amministrazione è e resta lo strumento che mette in pratica le policy scelte dal decisore politico, l'indipendenza di cui si parla come una qualità immunizzante, uno degli anticorpi delle burocrazie al fenomeno clientelare è quella dai politici, non dalla politica. La differenza è tutt'altro che sottile: se infatti il modello ideale, l'archetipo a cui tendere, è quello weberiano di un corpo che traduce quanto più asetticamente possibile le scelte politiche in policy, e che quindi vincola necessariamente l'amministratore pubblico ad estrema fedeltà e quasi sudditanza al governo in carica, il burocrate dovrebbe sottostare all'istituzione, ed alle direttive che da questa provengono, e non al singolo politico, per quanto possa essere influente e ricoprire un ruolo chiave in questa istituzione, né tanto meno al singolo gruppo politico o partitico. punente, ed il suo studio comunque esula gli scopi di questo lavoro. L'indipendenza, figlia della cultura amministrativa, di quanto essere un burocrate sia considerato socialmente appagante, e del sistema di reclutamento scelto, è uno dei fattori che consente una scarsa permeabilità del sistema di Pubblica Amministrazione al clientelismo politico. Il buon funzionamento Come si diceva brevemente più sopra, se una Pubblica Amministrazione funziona bene, non è clientelare. Questa frase, apparentemente tautologica, ha ovviamente bisogno di essere esplicitata ed approfondita. Ma prima di spiegare cosa s'intende per buon funzionamento, mi preme evidenziare quanto forse può sembrare ovvio: una Pubblica Amministrazione che funziona bene non è clientelare perché non si ha bisogno di patroni per accedere ai servizi che eroga. Per buon funzionamento si intende in primo luogo che un apparato burocratico sia accessibile ai suoi fruitori, ovvero che i cittadini che ne abbiano bisogno possano avervi accesso senza tempi di attesa spaventosi o problemi logistici legati al raggiungimento difficilmente sormontabili (come ad esempio poche sedi in luoghi cui non è semplice arrivare). Ciò perché, ovviamente, qualora sia difficile accedere alla Pubblica Amministrazione da parte dei suoi potenziali fruitori, o ai servizi che essa eroga, ovviamente è difficile immaginare che funzioni bene. In secondo luogo, per poter funzionare bene, un apparato burocratico deve essere efficiente. È molto difficile valutare l'efficienza di una Pubblica Amministrazione, e diversi studi e studiosi si sono confrontati con il problema. La misurazione delle performance è definibile come quel processo che, attraverso la definizione e rilevazione di misure, dati, parametri ed indicatori, cerca di acquisire informazioni rilevanti sui risultati ottenuti da una azienda. È uno strumento formidabile nelle mani dei decisori aziendali, per poter avere informazioni sull’attività dell’azienda al fine di poter verificare il grado di raggiungimento degli obiettivi stabiliti in sede di pianificazione e programmazione. Con la dottrina del New Public Management, questi stessi processi sono stati iniziati ad esser applicati anche per le aziende pubbliche, per misurare il grado di realizzazione di programmi e policy. In generale, per le ovvie differenze rispetto al privato, nel contesto pubblico il processo di valutazione si estrinseca nella verifica della costante tensione verso il perseguimento degli obiettivi e le direttive ricevute dai superiori livelli istituzionali. Infine, per poter dire che funziona bene, una Pubblica Amministrazione deve avere dei costi sostenibili. Anche in questo caso, come nel precedente, i paragoni con il privato non sono facili, e considerare qual è il prezzo giusto per un servizio pubblico non è cosa semplice. Occorre cercare un altro concetto di efficienza economica, perché l’efficienza è strettamente correlata all’organizzazione. Ed è per questo che nasce l’analisi economica del diritto, che dapprima studia aspetti del diritto privato dal punto di vista economico, ma che ormai si occupa anche del diritto costituzionale ed amministrativo. E tale branca sarà utile per identificare un parametro di “giusto prezzo” per i servizi pubblici. Le regole chiare L'ultimo anticorpo al clientelismo nelle Pubbliche Amministrazioni, è l'avere regole chiare. Se una Pubblica Amministrazione infatti è governata da statuti trasparenti, e produce regolamenti e documenti accessibili e lineari, non presta il fianco al clientelismo. È chiaro infatti che regole fumose, spazi di interpretazione nel diritto e nei regolamenti, discrezionalità sulle regole, aiutano il patrono politico ad inserirsi in questi interstizi e manipolare a suo vantaggio quella burocrazia. Inoltre, regole poco chiare rendono anche meno chiaro il ruolo degli alti dirigenti ed il loro spazio di manovra, impedendo loro di operare al meglio se diligenti, o permettendo loro di sfruttarli per il proprio tornaconto, sottraendoli al bene pubblico, se disonesti e poco interessati all'ethos comune. Ma come si estrinseca questa chiarezza di regole? Innanzitutto nella quantità di legislazione che insiste sull'argomento. Troppe leggi e regolamenti che insistono sul funzionamento di una burocrazia, stratificandosi nel tempo e sovrapponendosi, lasciando spazi d'ombra e d'incertezza, di certo non sono un sintomo di chiarezza di regole. Dunque la quantità di atti legislativi che regolano il funzionamento di una Pubblica Amministrazione è un primo aspetto importante per quanto riguarda la chiarezza delle regole. Un secondo aspetto importante è l'accessibilità dei documenti prodotti da una Pubblica Amministrazione. L'effettiva possibilità di controllarli ed accedervi da parte del pubblico è un chiaro sintomo di trasparenza della Pubblica Amministrazione, oltre a limitare ovviamente la discrezionalità degli amministratori e costringerli, se non altro potenzialmente, a rendere conto al pubblico che servono (o dovrebbero servire). Infine, un terzo, e non meno importante, indice di chiarezza delle regole d'una pubblica amministrazione, è il tempo di risposta che questa ha nei confronti delle richieste provenienti da enti sovraordinati. Una Pubblica Amministrazione, infatti, ha come precipuo scopo quello di servire tanto i cittadini, quanto le amministrazioni che la sovraintendono, o addirittura, nel caso di alte amministrazioni, il Governo. Il tempo di risposta che quindi questa ha, il cosiddetto time to market, per utilizzare una metafora commerciale, è indice, prima che del buon funzionamento, della chiarezza delle regole che disciplinano quella amministrazione. L'indice di clientelismo amministrativo A seguito della trattazione, si ritiene ora di poter concludere proponendo delle linee guida che disegnino un indice che misuri il clientelismo amministrativo, ovvero quanto, almeno potenzialmente, una Pubblica Amministrazione sia suscettibile a pressioni clientelari. L'indice qui presentato è solo una proposta: non è immediatamente applicabile, senza uno studio preliminare, ad una qualsiasi delle diversissime realtà pubbliche, poiché per scelta a monte si è preferito costruire un indice dalla struttura flessibile, e dunque più generica e non specifica, applicabile alla misurazione di diverse realtà, e non uno specifico indice che misurasse solo alcune specificità del vasto e variegato mondo del pubblico. Per utilizzarlo in situazioni specifiche, dunque, occorrerà di certo un lavoro di adattamento dell'indice da parte del ricercatore, per poi poter calarlo sulla realtà concreta che sta studiando. Tuttavia si ritiene possa essere utile per avere uno scheletro con cui iniziare a lavorare di misurazione. Si è scelto di creare un indice normalizzato, e cioè con valori compresi tra 0 ed 1, dove 0 rappresenta un'amministrazione totalmente impermeabile a pressioni clientelari, ed 1 un'amministrazione ampiamente esposta a possibili richieste di patronato politico; questo per una semplicità di consultazione, e per rendere l'indice facilmente fruibile e comparabile per chiunque. Riprendendo la trattazione ampiamente esposta, per calcolare l'indice si farà uso di tre parametri: l'indipendenza, il buon funzionamento e le regole chiare, che siam giunti a considerare gli anticorpi ad una Pubblica Amministrazione clientelare. Inoltre, verrà applicato alla fine un modificatore matematico, volto a preservare la normalizzazione dell'indice tra 0 ed 1 ed a migliorare le performance dell'indice “punendo” con un risultato peggiore le amministrazioni meno performanti in diversi cluster. Ciascuno dei tre parametri citati, ha nell'indice come valore la somma di tre sotto-indici numerici, normalizzati per riportare valori compresi tra 0 e 0,3. Quindi, ogni parametro ha un valore compreso tra 0 e 0,9. Il prodotto dei tre parametri, dà infine come risultato l'indice (dopo l'aggiunta del modificatore matematico di cui si è detto). L'indice così costruito ha interessanti proprietà. Dato che intende misurare la permeabilità al clientelismo di una qualsiasi Pubblica Amministrazione, in linea con la trattazione fin qui esposta si è ritenuto che quand'anche uno solo dei tre parametri fosse pari a 0, e cioè che una Pubblica Amministrazione fosse perfettamente indipendente, o perfettamente funzionante, o perfettamente (e chiaramente) regolamentata, questa non sia permeabile al clientelismo. Questo perché questa astrazione permette di applicare l'indice indipendentemente dal contesto politico, sociale e normativo (ad esempio in uno dei parametri si fa conto della nomina politica dei dirigenti pubblici: questa è si possibile che dia luogo a clientelismo in un Paese come il nostro, ma ha dimostrato di non essere così influente in altri Paesi, come gli Stati Uniti, dove lo spoils system è una regola del gioco accettata e condivisa). Inoltre, la triplice moltiplicazione presente nella sua costruzione, permette anche in casi meno estremi di moderare il risultato finale qualora solo uno dei tre parametri considerati fosse fuori misura. In altri termini, l'indice è matematicamente studiato per ridurre risultati alti in presenza di un solo parametro fuori misura, che magari risponde ad una specificità culturale o normativa e non ad una permeabilità al clientelismo. Ma ritorniamo ora sulla composizione dell'indice: l'indipendenza di una Pubblica Amministrazione, il primo parametro, ovvero la prima delle tre macro categorie che si sono individuate, ha come sotto-indici che la compongono: il rapporto tra dirigenti di nomina politica e quelli vincitori di pubblico concorso; il numero di esternalizzazioni o comunque appalti (a seconda della tipologia di Pubblica Amministrazione) ricorrenti; ed il rapporto tra lo stipendio di un dipendente pubblico rispetto a quello di un pari ruolo che opera nel privato. Dunque il parametro indipendenza sarà pari alla somma di Ind¹ (rapporto tra dirigenti di nomina politica e dirigenti vincitori di concorso normalizzato tra 0 e 0,3), Ind² (esternalizzazioni o appalti ricorrenti) ed Ind³ (rapporto tra stipendi nel pubblico e nel privato per pari ruolo). Questi tre indici, normalizzati tra 0 e 0,3, sommati tra di loro danno il parametro indipendenza. Ovvero, in termini matematici, IND = Ind¹ + Ind² + Ind³ Il secondo parametro preso in considerazione è, come si ricorderà, il buon funzionamento di una Pubblica Amministrazione. Questo parametro è composto dai sotto-indici: accessibilità della Pubblica Amministrazione, ovvero quanto questa è utilizzabile dal cittadino, sintetizzabile ad esempio nel numero di pratiche svolte in un anno rispetto al proprio benchmark; dall'efficienza di quella Pubblica Amministrazione, sintetizzabile ad esempio nel numero di ricorsi intentati contro questa in un anno, rispetto sempre ad un parametro standard ricercabile in un'amministrazione simile; e dal costo di quella Pubblica Amministrazione, rapportato al costo di una struttura simile privata e normalizzato. Anche questi sottoindici sono normalizzati per riportare valori compresi tra 0 e 0,3. Dunque per il parametro buon funzionamento, avremo Fun¹, Fun² e Fun³, tre sotto-indici dal valore compreso tra 0 e 0,3. Ancora una volta, la somma di questi darà come risultato il parametro buon funzionamento. Dunque FUN = Fun¹ + Fun² + Fun³ Infine, il terzo ed ultimo parametro preso in considerazione, è la presenza di regole chiare in una Pubblica Amministrazione. Questo parametro è composto dai sotto-indici (ancora una volta normalizzati tra 0 e 0,3): quantità di regolamenti o leggi che disciplinano il funzionamento di quella Pubblica Amministrazione rispetto ad una Pubblica Amministrazione simile, o di pari funzioni in un diverso Stato 21; accessibilità ai documenti prodotti dalla Pubblica Amministrazione per il cittadino-utente, e cioè innanzitutto se è possibile, e poi con quali sforzi in termini di costi e tempi, il cittadino può accedere ai documenti della Pubblica Amministrazione; infine, i tempi di risposta di questa a richieste provenienti dall'alto (e cioè da amministrazioni sovraordinate o dal Governo). Ancora una volta, il parametro regole chiare, sarà pari a: RC = Rc¹ + Rc² + Rc³ Andiamo ora a costruire l'indice. Per quanto appena esposto, l'indice di clientelismo amministrativo d'una Pubblica Amministrazione, sarà pari a Indice di Clientelismo = (IND * FUN * RC) + Modificatore il che equivale, esplodendo l'equazione, a dire che Indice di Clientelismo = [(Ind¹ + Ind² + Ind³) * (Fun¹ + Fun² + Fun³) * (Rc¹ + Rc² + Rc³)] + Modificatore 21 Occorre fare attenzione a comparare Pubbliche Amministrazioni con le stesse funzioni ma in Stati diversi: infatti il sistema normativo, oltre che quello amministrativo, possono rendere strutture pubbliche con gli stessi scopi molto diverse tra di loro in quanto a regolamentazione. Su tutto, basti pensare alla differenza tra il civil service anglosassone ed il servizio pubblico italiano, per comprendere quanto la quantità di regolamentazione in merito non può essere “contata” senza tener conto delle differenze normative in merito. A tal punto, occorre dunque solo aggiungere il modificatore matematico cui si è accennato, che serve sia a preservare la normalizzazione dell'indice tra 0 ed 1 (che si perde nella triplice moltiplicazione 22) ma soprattutto a “punire” amministrazioni che hanno performance peggiori di altre, con un valore maggiore. Occorre dunque aggiungere un modificatore matematico che si ricava dalla tabella seguente: Per ogni Per ogni parametro Per ogni parametro Per ogni parametro parametro pari o superiore a 6 ed inferiore superiore a 7 ed inferiore pari o superiore a 9 inferiore a 5 a7 a9 Aggiungere 0 Aggiungere 0,06 Aggiungere 0,07 Aggiungere 0,09 Sappiam bene che nessuna statistica può essere migliore dei dati su cui si basa, e che dunque l'esposizione dell'indice, come qui appena fatta, lascia il grosso del lavoro al ricercatore che intenderà utilizzarlo, nella ricerca di dati affidabili e vicini a quanto qui inteso nella costruzione dell'indice; tuttavia si ritiene che una struttura teorica del genere possa risultare utile al ricercatore interessato a misurare il clientelismo della Pubblica Amministrazione. Bibliografia minima ANSELMI L., La misurazione delle performance nelle pubbliche amministrazioni; BANFIELD E. 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