Untitled - Muoversi a Milano
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Untitled - Muoversi a Milano
1. Premessa La presente relazione tecnica, viene redatta in conformità a quanto previsto da contratto di appalto aggiudicato al Consorzio Alpi scarl in merito alle analisi agronomiche, vegetazionali, fitostatiche e della architettura radicale del popolamento arboreo di Viale Mac Mahon, relativamente al tratto compreso tra Piazzale Diocleziano e viale Monte Ceneri. Immagine 1 – localizzazione del tratto indagato Allo scopo il Consorzio Alpi ha incaricato di svolgere le indagini i seguenti professionisti: - dott. agr. G. Claudio Corrazzin della società CAF sas di Corrazzin – svolgimento ed elaborazione delle indagini e coordinamento - dott. agr. Daniele Lugaresi della società Agri2000 responsabile delle indagini relative alle prove di trazione (polling test) e collaborazione alle altre indagini - La società Soing per quanto attiene alle indagini con Georadar e tomografia elettrica ad alta frequenza per le indagini ipogee Ha inoltre collaborato alla raccolta dei dati in campo il dott. agr. Nicola Canepa Le operazioni di rilevo e di analisi in campo sono iniziate il 24 novembre 2104 e sono state ultimate nell’ultima settimana di dicembre. Durante la seconda decade di gennaio 2015 sono state eseguite alcune prove di trazione supplementari in notturna, ed in tale occasione si sono anche completate alcune operazioni di rilievo (fotografie, carotaggi, prelievo di campioni, ecc). Alla presente relazione sono allegate 5 tavole grafiche e i fascicoli contenenti i dossier tecnici di ogni albero esaminato. Le analisi agronomiche e fitostatiche preliminari che di seguito saranno presentate (nei metodi, contenuti e risultati) si sono svolte seguendo quanto offerto in fase di gara dall’impresa aggiudicataria, con qualche indagine supplementare rispetto all’offerta formulata. Durante il corso delle indagini in capo e nella successiva elaborazione non si sono verificati fatti o eventi che abbiano in qualche modo disturbato il regolare svolgimento dei lavori 2 . Obiettivi del lavoro Al di la di quanto previsto dal contratto di appalto, l’obiettivo del lavoro era quello di verificare lo stato di salute del popolamento arboreo indagato, ed individuare eventuali criticità da punto di vista statico. L’analisi delle criticità e l’esatta fotografia dei luoghi (focalizzando l’attenzione sugli alberi) diventano così lo strumento propedeutico alla progettazione esecutiva. La progettazione esecutiva del rinnovamento degli impianti tramviari si struttura sulla base di tali studi (e non al contrario) e dovrà essere elaborata nel massimo rispetto delle alberature presenti, sviluppando tecniche e sistemi che consentano di eseguire i lavori preparatori e la posa in sicurezza dell’armamento tramviario col minor impatto possibile. Anche la progettazione delle opere di contorno (sistemazione a verde, irrigazione e fermate) è legata alle risultanze che emergono dagli studi sul popolamento arboreo, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti di dettaglio esecutivo. Il progetto esecutivo dovrà fornire pertanto le indicazioni operative e le soluzioni tecniche necessarie per la tutela dell’alberatura. L’efficacia del progetto e la diligenza nell’esecuzione, saranno poi testate alla fine dei lavori “tramviari”, quando su tutte le piante giudicate ante-operam “abili” saranno ripetute le indagini, nella prospettiva che non si riscontri nessuna anomalia. 3. Il popolamento arboreo esaminato - generalità Si tratta di un doppio filare di olmi messo a dimora nel 1953. Le piante appartengono alla specie Ulmus pumila (olmo siberiano) ed in parte alla specie Ulmus hollandica (olmo olandese ibrido tra Ulmus glabra ed Ulmus carpinifolia). L’Ulmus pumila è tra le specie che in passato sono state tra le più utilizzate per l’arredo dei viali, soprattutto per la sua resistenza alla grafiosi (il pumila) e per le sue caratteristiche di buona adattabilità a suoli estremi con falda alta. E’ una specie oggi un po’ discussa in quanto alloctona, probabilmente utilizzata con frequenze eccessive e con una gran capacità di disseminazione (ed invasività). Nonostante la bibliografia affermi che la specie prediliga terreni freschi e profondi, ha una ottima capacità di adattamento anche situazioni estreme con terreni poco spessi, aridi e poveri di nutrienti. Questa grande adattabilità ad ambienti “non fertili” è dovuta al fatto che la specie ha la capacità di formare con facilità palchi radicali alti o inconsueti. Usando una espressione poco tecnica si può dire che la specie ha la capacità di formare radici “dove essere servono”, e dove è possibile trovare nutrienti. Caratteristiche simile sono possedute dall’Ulmus x hollandica. Il comportamento morfologico delle due specie è molto simile e non è stato possibile vista la stagione in cui si sono svolte le indagine identificare quali degli alberi presenti appartenessero alla specie Ulmus hollandica. Se ne ammette la presenza perché il dato è riportato nel progetto definitivo e non abbiamo motivo di dubitarne. La bibliografia segnala che la specie Ulmus hollandica è suscettibile agli attacchi grafiosi (Ophiostoma ulmi) mentre l’Ulmus pumila sembra per ora resistente. In ogni caso non è stata rinvenuta la presenza del parassita e neanche del suo vettore (scolitidi). Il popolamento arboreo di via Mac Mahon è composto da due file di alberi distanti tra loro circa 8 metri, mentre sulla fila le piante distano circa 6,7/7 metri. Il popolamento è disetaneo, composto da 174 piante di cui 135 adulte e 39 più giovani di recente impianto (in sostituzione di piante abbattute). L’impianto è molto fitto e tutte le piante hanno un comportamento slanciato o filato. Il filare è poco soleggiato, in quanto su entrambi i lati son presenti edifici alti che normalmente lo ombreggiano. La competizione fototropica ha determinato la loro forma assurgente e slanciata. Tutte le piante adulte sono impalcate a 3, 4 o 5 metri e portano la chioma su 2, 3 o 4 branche principali che a loro volta poi si dividono. Hanno un comportamento slanciato anche le branche primarie e secondarie, spesso zigzagante, nella maggior parte dei casi con vegetazione solo all’apice. La competizione per la luce ha inoltre fatto in modo che spesso le branche siano molto divaricate e sciabolate. La vegetazione è soprattutto apicale e rappresentata da getti epicormici derivanti dal riscoppio di gemme latenti conseguenti a cimature. Si tratta di una forma innaturale dalla quale è ora difficile tornare indietro, in quanto le branche principali sono di dimensioni tali da non consentire tagli di ritorno, tagli non eseguiti quando c’era ancora la possibilità di farli. I getti epicormici sommitali sono generalmente fragili, in quanto competono con i loro simili in uno spazio ristretto, con “giunture” normalmente deboli e facilmente suscettibili di sbrancamento, soprattutto in caso di importanti carichi da vento o da neve. Immagine 2 e 3 – forma slanciata con rami epicormici sommitali deboli I parametri dendrometrici di ogni esemplare sono stati rilevati e sono riportati nei dossier di ogni pianta. Generalmente le piante sono comunque alte tra i 18 ed i 24 metri. Moltissime piante del popolamento hanno una anomala rugosità corticale, spesso nella zona del castello in estensione verso l’alto. Su molte piante sono presenti diffuse escrescenze tumorali, verosimilmente da ricondurre ad infezioni batteriche. In molti casi la sintomatologia è decisamente riconducibile a Agrobacterium tumefaciens. Da un punto di vista statico la patologia non è da considerarsi di particolare gravità, salvo i casi (presenti) in cui tali formazioni tumorali siano in necrosi. Sicuramente si tratta comunque di un fastidio che riduce la vigorosità dell’esemplare e la sua capacità di reazione a sollecitazioni dinamiche (viene rallentato il deposito di legno di distensione per la ridotta attività del cambio). Immagine 4, 5, 6, 7 – Escrescenze tumorali e rugosità anomale Tutte le piante hanno ferite da potatura lungo le branche, in parte non cicatrizzate, ma nella maggior parte dei casi il legno scoperto è cariato solo superficialmente. Decisamente particolare la struttura dell’apparato radicale. La specie per sua natura forma un fittone quando è giovane poi tende ad abbandonate tale fittone ed ad organizzarsi con palchi radicali laterali piuttosto espansi e fascicolati. Nello specifico caso le piante hanno una storia agronomica particolare (vedi capitolo specifico) ed una “location” altrettanto particolare (si veda lo specifico capitolo). Le piante hanno di fatto uno spazio radicale estremamente ridotto, delimitato lateralmente al senso del filare dal cordolo stradale su un lato e dalle rotaie dal’altro e sono limitate a svilupparsi in profondità dalla presenza di una soletta lapidea e di asfalto di fatto impenetrabile che si trova a -30/35 cm dalla superficie. In pratica le piante sono ancorate al luogo mediante il fittone originale e mantengono la loro stabilità grazie ad un piatto radicale molto espanso che “galleggia” in un ridotto volume di suolo. Nella maggior parte dei casi le radici affioranti hanno un andamento parallelo alla linea del filare. Sono molti comunque i casi di alberi con alcune radici addossate alla rotaia ed in alcuni casi ci sono affioramenti di radici anche tra i binari Immagine 8 e 9 – radici superficiali, spesso addossate alla rotaia La struttura del resto non sorprende, le piante hanno avuto una crescita adattativa che ha fatto loro assumere la forma staticamente più conveniente, anche a livello radicale. Il capilizio radicale è comunque molto espanso, tanto che sono state ritrovate radici ben oltre la strada, e tutte le condutture della zona non perfettamente isolate sono diventate per le radici dell’olmo dei luoghi esplorati e conquistati a decine di metri dalla pianta. Immagine 10 (tratta da web) – La foto è ben esemplificativa della struttura radicale della specie In pratica le piante hanno sicuramente il fittone poco strutturato e poco espanso (ed in molti casi atrofizzato) ed hanno invece un espanso apparato radicale superficiale spesso affiorante. In molte casi le radici sono tra loro in anastomosi, formando una sorta di colletto ipertrofico espanso anche alcuni metri quadrati. Immagine 11 – Radici affioranti ed anastomizzate Il comportamento degli apparati radicali, nello specifico caso non è paragonabile a quello di altri olmi della stessa specie in crescita in spazi diversi. La tavola 3446707, rappresenta la mappatura delle radici affioranti, e dall’osservazione della stessa si percepisce che le condizioni edafiche di via Mac Mahon son particolari ed hanno determinato un comportamento “particolare” degli apparati radicali. In fase di elaborazione del progetto esecutivo sarà fondamentale tenerne conto Immagine 12 – Rappresentazione della mappatura delle radici affioranti Particolarmente utile è risultata l’analisi radicale con l’uso della tomografia elettrica ad alta frequenza. I risultati delle piante esaminate confermano che nella maggior parte dei casi il fittone originario è atrofizzato e ben poche sono e radici che riescono a sopravvivere nel suolo asfittico sotto la soletta. I dettagli sono consultabili nello specifico allegato. Si riportano d seguito soltanto le conclusioni relative agli alberi esaminati (estratto della relazione prodotta dalla SO.I.ING) Blocco 1, Albero 8610-02 L’albero 02 ha una diffusione laterale molto ampia, di oltre 4m. Lo stesso vale in profondità, in cui questi 4 m rimangono anche oltre 1 m ma con ovviamente maggior contenuto di terreno limoso rispetto alla percentuale di radici presenti. Blocco 1, Albero 8453-172 Questo albero ha uno sviluppo superficiale molto limitato, ed uno sviluppo in profondità molto allungato in direzione parallela ai binari, per una media di circa 6 m di larghezza totale. Il volume oltre i 60 cm è sempre a possibile percentuale dominante di terreno limoso. Blocco 2, Alberi 8462-160 e 8463-159 Lo strato di ghiaia compattata in questa parte è molto continuo ed omogeneo ed ha permesso di visualizzare bene la radice ed il terreno limoso con radici grazie al forte contrasto con la resistività molto elevata di strato ghiaioso. L’albero 160 ha una buona parte di radici fuori terra (vedi zona in azzurro della tavola 6), per un ingombro di circa 4-5m laterali ed una profondità media di circa 1 m. dal piano campagna. Tra 60 e 100 cm si può valutare la presenza percentuale maggiore di terreno limoso con radici rispetto alla sola presenza di radici del volume superiore fino alla superficie. L’albero 159 non ha lo stesso sviluppo superficiale del 160 ed in profondità la massa si allarga per circa 3-4 ma con meno densità di volume interessato dalle radici rispetto al 160. In profondità la concentrazione maggiore si limita ai primi 60 cm, lo sviluppo tra 60 e 100 si ha in presenza di maggior terreno limoso. Blocco 2, Alberi 8619-14 e 8620-15 Questo è uno dei casi peggiori dal punto di vista della interpretazione dei risultati delle indagini geofisiche eseguite. Il contrasto di resistività è molto disorganizzato e la distinzione delle radici dal terreno non è perfetta. Sia la sezione verticale che i piani orizzontali mostrano questa completa disorganizzazione del volume di terreno indagato per cui su queste due piante i risultati potrebbero non essere molto attendibili. Come avrete notato nell’allegato grafico è stato molto difficile selezionare le zone con radici oltre i 30 cm di spessore di terreno. Blocco 3, Alberi 8483-137 e 8484-136 L’albero 137 ha uno sviluppo superficiale laterale di circa 3m per lato rispetto al centro del fusto. Il terreno ghiaioso e compatto (alto resistivo-rosso) è abbastanza omogeneo fino a circa 30cm. Gli strati inferiori, fino a circa 1m sono quasi divisibili in due zone diverse, di cui quella più vicina ai binari è molto più conduttiva (blu). Questa situazione tra 60 e 100cm dal piano campagna rende meno chiara l’effettiva delimitazione tra la presenza di terreno limoso con radici e di solo terreno limoso. L’unico modo di verificare al meglio in profondità la maggior distinzione è quella di dare maggior importanza alla sezione verticale in asse al fusto, rispetto alla quale si può definire un ingombro in larghezza di circa 2,0-2,5m ed in profondità al massimo di 1m. E’ valido anche in questo caso che la percentuale maggiore di radici ricade entro i primi 50-60cm dal paino di campagna. L’albero 136 ha uno sviluppo superficiale inferiore, al massimo di circa 2m in larghezza. Tale ingombro laterale resta lo stesso anche in profondità entro 1m dal paino di campagna. Blocco 3, Alberi 8645-38 e 8644-37 Anche in questo caso il terreno circostante gli alberi è molto disomogeneo ma la lettura del contrasto di resistività all’intorno degli alberi è stata comunque buona. L’albero 38 non ha radici fuori-terra ed un ingombro laterale che aumenta con la profondità. L’albero 37 ha più di 5m in senso laterale (parallelo ai binari) di radici fuoriterra ed uno sviluppo in profondità molto ristretto. IN generale il volume di terreno a maggior concentrazione di radici è sempre quello compreso tra 0 e 50cm dal piano di campagna. Blocco 4, Alberi 8512-106 e 8513-105 L’albero 106 e l’albero 105 si trovano circondati dallo strato compatto e ghiaioso molto resistivo e molto continuo. Per questo il contrasto radice e radice con terreno limoso è sono molto ben distinguibili dal terreno circostante ghiaioso e compatto. L’albero 106 ha circa 4m di radici fuori-terra. Lo stesso sviluppo si ha solo entro i primi 10cm di spessore mentre in profondità maggiori lo sviluppo laterale è circa di 2m. L’albero 105 non ha evidenze di radici in superficie ed un sviluppo laterale di circa 3m entro i primi 10cm di terreno ed al massimo 2m a profondità maggiori. LA distinzione 50-100cm vale anche in questo caso. Blocco5, Alberi 8526-90 e 8527-89 L’albero 90 ha un ingombro laterale limitato tra 0 e 30cm (max 2m) ma con possibile sviluppo oltre il binario 1. Lo strato ghiaioso sembra meno compatto e continuo ma il contrasto è stato comunque leggibile, ma non perfetto. Tra 40 e 100cm invece lo sviluppo laterale sembra aumentare fino a circa 3m di larghezza. Tale volume ha sempre la stessa caratteristica di essere prevalentemente terreno limoso con radici. L’albero 89 ha uno sviluppo simile al 90 entro 30cm dal piano campagna mentre in profondità maggiori il volume con radici è molto più limitato, anche se con possibile difficoltà di lettura dato dal non perfetto contrasto ottenuto su questi dati a causa della disomogeneità dello strato molto resistivo. Blocco 5, Alberi 8691-83 e 8690-82 Lo sviluppo radicale dell’albero 83 è abbastanza compatto ed omogeneo ma con sviluppo in direzione diversa da tutti i precedenti alberi studiati, quindi perpendicolare ai binari e non parallelo. Infatti le due sezione verticali analizzate son entrambe interessate dalle radici, cosa che in altri pochi casi si è verificato. In questo caso le radici potrebbero trovarsi anche oltre il primo binario. L’albero 82 ha uno sviluppo laterale, oltre 30cm di spessore, inferiore del precedente. Rimane Il fatto confermato da tali indagini, che le piante hanno un apparato radicale sviluppato quasi esclusivamente negli starti superficiali, e che le parti profonde del suolo sono esplorate dalle radici quasi esclusivamente nella zona prossima all’albero (la massimo qualche metro). Le condizioni di asfissia, e la natura del suolo molto povera di nutrienti di fatto sono un impedimento invalicabile. 4. Inquadramento geografico, storico, territoriale e paesaggistico del popolamento arboreo 4.1 Inquadramento geografico e paesistico Il viale Mac Mahon si trova nel quadrante nord ovest di Milano. Lo stesso viale ha un andamento sud/est – nord/ovest e urbanisticamente “viaggia” praticamente parallelo a Corso Sempione, entrando da protagonista nel “graticolato” viabilistico di collegamento tra centro e periferia. Immagine 13 – Via Mac Mahon Il tema apparentemente non è pertinente alla presente relazione, ma si ritiene che in ogni caso debba essere fatto un accenno all’aspetto paesaggistico della situazione di studio, in quanto le valutazioni tecniche non possono essere asettiche ed indipendenti dalle condizione in cui si opera, ed impongono una diversa attenzione o una diversa focalizzazione del problema. E’ compito dei tecnici analizzare le situazioni e trovarne e soluzioni. Per comprendere sembra importante definire il concetto di paesaggio. Il paesaggio non deve infatti essere confuso con l’insieme delle “cose” che compongono un ambiente ne con la loro somma, ma è l’insieme sinergico delle “cose” facenti parte di un ambiente, sommato ad aspetti non fisici (emozionali) che produce il paesaggio; pertanto il paesaggio è definibile come la somma delle sensazioni che un ambiente trasmette. Si tratta di sensazioni derivanti da percezioni visive, olfattive, acustiche (quindi panorami), ma anche di sensazioni legate ad aspetti storici, di tradizione, o di significato percettivo. Che il paesaggio sia importante per il benessere, è facilmente intuitivo: sono apprezzati gli ambienti in cui si percepisce il senso di armonia, della vivacità o della singolarità (ciò che è armonico non è ostile, ciò che è vivace è allegro, ciò che è singolare prefigura cose nuove e quindi interessanti); non sono apprezzati invece gli ambienti disarmonici, piatti, e prevedibili. In tal senso non deve essere confuso il concetto di panorama con il concetto di paesaggio: il panorama, o meglio i panorami sono componenti del paesaggio. I panorami diventano paesaggi quando ad essi si aggiungono gli aspetti non propriamente fisici, quali la storia, le tradizioni, i simbolismi o i significati. Un luogo vissuto ha una storia e solo per questo esprime dei panorami emozionali. Un panorama equilibrato e ordinato produce calma, sicurezza psichica e godimento estetico quindi un paesaggio gradevole; un panorama disarmonico o con elementi di casuale dissonanza produce un paesaggio sgradevole. Le dissonanze e le varietà possono produrre un paesaggio gradevole, purché non siano banali e gratuite. Peraltro, sarebbe riduttivo considerare i paesaggi soltanto come fonti di godimento estetico o assimilarli al concetto di ambiente. Se la piacevolezza è una qualità importante del paesaggio, il grado di benessere o di malessere che esso può produrre è legato a contenuti più complessi e meno immediatamente percepibili, che sono una condizione essenziale per un paesaggio vivibile. Dei ruderi possono essere esteticamente godibili perché toccano le corde di una visione romantica ancora presente nella nostra cultura: la loro veduta, però, è funzionale ad un paesaggio visitabile, ma non a un paesaggio abitabile. Una costruzione ipertecnica può essere bellissima come luogo di attrazione, ma disastrosa come luogo del vivere quotidiano, perché priva di elementi della memoria propri della nostra cultura. Per questo le scelte tecniche non possono prescindere dal contesto paesaggistico per cui devono essere prese. Analizzando il significato paesaggistico delle alberature di via Mac Mahon e scoponendone nelle sue componenti emerge che: - Non sono presenti elementi comparativi che possano attenuare le emozioni trasmesse dal viale alberato, ne sono presenti “viste” alternative interessanti - La massa visibile fornita dalle alberature è usueta e non sostituibile in tempi brevi - Gli alberi sono di fatto l’elemento che caratterizza il luogo e rappresentano un elemento focale non sostituibile. - La skyline di via Mac Mahon è tipicamente ed indubbiamente determinata dagli olmi presenti. La sottrazione di quelle forme creerebbe un paesaggio diverso, non per forza peggiore ma diverso. Alle diversità ci si deve abituare altrimenti creano ansia, e l’ansia è una componente non fisica del paesaggio Il progetto esecutivo, pur nell’imparzialità delle analisi fitostatiche preliminari, dovrà trovare le opportune soluzioni alle criticità che emergeranno, che in altre condizioni paesaggistiche avrebbero suggerito scelte “di completo” rifacimento mentre nello specifico caso suggeriscono scelte più “conservatrici e restauratrici” 4.2 Inquadramento storico L’analisi storica del popolamento di olmi di Viale Mac Mahon non ha finalità architettoniche o storicosociali, ma ha finalità meramente tecniche. Infatti le lavorazioni a cui possono essere state sottoposte le piante, possono aver influenzato anche in maniera decisa la loro morfologia, fisiologia e comportamenti biologici. Il filare di Olmi presenti al margine della linea tramviaria di Viale Mac Mahon venne messo a dimora nel 1953, direttamente dagli operai dalla Giardineria del Comune di Milano. Come si legge su un articolo comparso sulla rivista “cronache milanesi” in origine l’impianto venne eseguito inserendo le piante lungo i marciapiedi laterali. Le cronache dell’epoca (1951/52) riferiscono che tale sistemazione avesse creato più disagi di quanti l’impianto volesse risolvere, motivo per cui si cambiò idea e si decise di spostare l’alberata lungo la linea tramviaria (marcia tram) Immagine 14 (tratta dal web) – estratto di un articolo del 1953 “Cronache milanesi” I tecnici del Comune scelsero di recuperare tali alberi, che furono espiantati dai marciapiedi messi temporaneamente in sosta nei vivai comunali e successivamente (1953) rimpiantati lungo la linea tramviaria. Non è dato sapere le dimensioni che avessero le piante al momento del doppio trapianto, anche dalle foto sembra che comunque fossero piante di piccola dimensione (inferiori a 20 cm di circonferenza) . L’articolo dell’epoca, precisa che si è trattato di un lavoro delicato in quanto le piante avevano già ben radicato. Le cronache indicano un attecchimento di reimpianto del 100 %. Con tutti i dubbi del caso, le conseguenze tecniche di tale lavorazione possono essere intraviste e si può ipotizzare, con serenità, che è altamente probabile che durante queste operazioni (tra l’altro avvenute in breve tempo) le piante abbiano perso la funzionalità radicale del fittone originale e che già in quella fase giovanile l’apparato radicale fosse composto da palchi radicali fascicolati laterali, proprio a causa degli inevitabili “danni radicali” derivati dai due trapianti. Le piante vengono messe quindi a “definitiva dimora” l’ungo il “marciatram” o meglio il marciapiede che costeggia i due binari. Dalle foto dell’epoca si desume che gli alberi siano stati sistemati entro piazzole ricavate dal marciapiede. Non si è in grado in questa sede di sapere se le piazzole siano state ricavare da un preesistente marciapiede o se la costruzione del marciapiede sia contemporanea al secondo trapianto degli alberi. Nelle cartoline d’epoca che seguono appare un tratto del viale, prima della ri-collocazione degli olmi. Si tratta verosimilmente del tratto della Mac Mahon dopo l’incrocio con Viale Monte Ceneri, che da testimonianze risultava avere comune la stessa strutturazione del tratto oggetto di studio. Immagine 15 (tratta dal web) Diocleziano) Viale Mac Mahon anni 20 prima della messa dimora degli alberi (Sullo sfondo piazzale Immagine 16 (tratta dal web) Viale Mac Mahon fine anni 40 (dopo Monte Ceneri) con gli alberi lungo i marciapiedi Finalmente nel 1953 Il viale assume la conformazione definitiva, con le piante che dopo la sosta nei vivai della Ghisolfa vengono riportate a Mac Mahon per la messa dimora in sede definitiva. Immagine 17 (tratta dal web) Cartolina della fine degli anni ’50, riferita a qualche anno precedente con i giovani olmi a dimora definitiva Immagine 17 (tratta dal web) Nell’ingrandimento i particolari dell’impianto con il marcia tram Si trattava di piante già impalcate (quindi certamente di origine vivaistica) piuttosto alte con chioma concentrata verosimilmente per le decise potature subite. Immagine 18 (tratta dal web) Cartolina della fine degli anni ’50 con l’infilata del viale Mac Mahon Immagine 19 (tratta dal web) Cartolina di metà anni ’60 con gli olmi già cresciuti Col passare degli anni la condizione del traffico di Milano cambia ed anche la sicurezza richiesta in prossimità delle linee del tram cambia. Il marcia tram non è più compatibile e verso la metà degli anni ’80 (dato testimoniale non documentato) la linea tranviaria vien contornata da cordoli e viene interrato il marcia tram con un spessore di circa 30 cm di suolo. A quel punto le piante si trovano il coletto interrato ed iniziano a sviluppare un secondo palco radicale superficiale. Durante le indagini di dicembre 2014, sono stati eseguiti molti sondaggi, dai quali è emerso che la soletta di calpestio del vecchio marcia tram è ancora presente ed intatta, ma l’argomento sarà trattato in uno specifico capitolo. Nel frattempo le piante si sono accresciute.. L’impianto piuttosto fitto e la competizione per la luce, a causa anche degli alti e vicini edifici, ha fatto si che le piante assumessero un comportamento filato, raggiungendo altezze comprese tra i 18 ed i 23 metri. Purtroppo per gli alberi in città non è sempre possibile eseguire perfette tecniche colturali, con i giusti turni e nei tempi giusti, e bastano alcuni errori colturali per accentuare determinati comportamenti della pianta. Immagine 20 (tratta dal web) Cure colturali alle alberature L’assenza di tagli di ritorno eseguiti nelle giuste età, e le continue cimature hanno portato alla odierna situazione con alberi filati e vegetazione solo apicale formata unicamente da getti epicormici derivanti dal riscoppio di gemme latenti. 5. Inquadramento climatico del viale Il clima di Milano è quello tipico della Val Padana, con tempo in prevalenza stabile, con presenza di foschie e nebbie nella stagione invernale. Secondo la classificazione dei climi di Köppen, Milano ha un clima tipicamente temperato delle medie latitudini. Nelle giornate estive più torride si possono determinare condizioni di afa. Come in tutte le città di grandi dimensioni il calore cittadino rende le temperature più elevate rispetto alle campagne circostanti. Le temperature medie del centro di Milano vanno dai 0 ai +5°C nel mese di gennaio ai +20/+30°C del mese di luglio. Gli inverni milanesi sono freddi e molto umidi. Le estati sono in genere calde e umide, cioè decisamente afose e poco ventilate. In estate a Milano possono esservi diversi temporali che attenuano la calura: i mesi compresi tra giugno e agosto sono quindi discretamente piovosi, anche se la piovosità si ha soprattutto nelle stagioni intermedie. Le nebbie sono favorite sia dal cielo sereno, che consente il raffreddamento da irraggiamento, sia dal suolo superficialmente piuttosto umido, sia da configurazioni bariche invernali come i regimi altopressori con gradienti barici molto deboli. Milano, come del resto gran parte della Pianura Padana, soffre infatti di scarsa ventilazione, che favorisce il ristagno delle nebbie e degli inquinanti. In questo quadro climatico è inserito anche il viale alberato Mac Mahon, che è una importante via di comunicazione del Comune di Milano, situata a Nord-Est del centro cittadino ed intersecante Viale Monte Ceneri, quest’ultimo facente parte dei viali di circonvallazione esterna. Il viale Mac Mahon ha un andamento rettilineo con direzione Nord-Est/Sud-Ovest più precisamente 315°/135° Nord. La parte di viale interessata dalle valutazioni descritte in questo lavoro è esclusivamente la parte compresa fra Piazza Diocleziano e Viale Monte Ceneri. Il viale, e quindi anche l’alberata stradale che vi cresce all’interno, sono delimitati da alti edifici che raggiungono e superano l’altezza degli alberi su quasi tutto il viale, raggiungendo e superando anche i 30 metri di altezza, mentre gli alberi più alti del viale raggiungono i 24-25 metri. Questo viale, e con esso l’alberata stradale, si sviluppa pertanto all’interno di una grande città, con alti edifici e quindi con una rugosità del terreno che interferisce in modo particolare con la velocità del vento. Il vento, in particolare la velocità del vento, è il parametro climatico di maggiore importanza rispetto a tutti gli altri per quanto riguarda la stabilità delle piante arboree in quanto interferisce con la chioma degli alberi generando un carico ed una forza che, attraverso il fusto, viene scaricata alle radici sollecitandole più o meno intensamente in base alla intensità del vento stesso. Anche la neve ha una importanza non indifferente per quanto riguarda la statica degli alberi anche se, essendo un fenomeno prettamente invernale, ha massima importanza per le piante sempreverdi, alle quali può arrecare danni notevoli fino a causarne il ribaltamento. Per le latifoglie, nella maggior parte dei casi la neve può determinare la rottura di rami o branche, danneggiando la struttura e la forma della chioma. L’area metropolitana di Milano è inserita in un contesto tipico della pianura padana situata lontano dalla costa del mare; questa area è circondata da alti rilievi montuosi su tre lati: Nord, Ovest e Sud, pertanto è piuttosto riparata da venti forti. Elaborando i dati provenienti dalla stazione meteo dell’aeroporto di Linate, posta a Sud-Est della città e quindi in area aperta e libera da infrastrutture e ostacoli che possono frenare l’azione del vento, si è visto che nell’ultimo cinquantennio la velocità massima del vento non ha mai superato gli 80 km/h, raggiungendo i 78 km/h (21,67 m/sec) in due sole occasioni: nel 1986 e nel 2009. Inoltre negli ultimi 50 anni il vento ha superato la velocità massima di 70 km/h in 16 occasioni, verificatesi nelle diverse stagioni dell’anno. Man mano che si considera una minore intensità del vento si ha un maggior numero di episodi, (48 episodi con velocità > 60 km/h e 101 con velocità > 50 km/h). Immagine 21 – Rappresentazione grafica della velocità giornaliera massima del vento negli ultimi 50 anni registrata dalla stazione meteo di Milano Linate 5.1 Raffiche di vento La raffica di vento viene così definita se la velocità del vento eccede di 5 m/sec (18 km/h) la velocità media misurata nell’arco di 10 minuti. Le raffiche di vento sono pertanto colpi di vento molto forti che possono avere una durata anche molto breve ma che si discostano nettamente dalla velocità media del vento (misurata in un arco di 10 minuti). Ovviamente le raffiche di vento esplicano tutta la loro forza quando c’è atmosfera molto instabile e soprattutto se ci si trova in aperta campagna, dove non ci sono ostacoli che ne limitino l’intensità. Per quanto riguarda le velocità di raffica misurate all’aeroporto di Milano Linate si può osservare che negli ultimi 50 anni sono state registrate raffiche con velocità superiore ai 100 km/h solo in una occasione (nel 2006); velocità superiori ai 90 km/h (25 m/sec) sono state registrate in 11 casi, mentre velocità superiori agli 80 km/h sono state registrate in 27 casi. Immagine 22 – Rappresentazione grafica della velocità giornaliera massima e la velocità di raffica del vento negli ultimi 23 anni registrata dalla stazione meteo di Milano Linate 5.2 Dati sul vento a Milano L’alberata oggetto di studio, come già descritto in precedenza, è inserita in un contesto cittadino ed è circondata da alti edifici per gran parte della sua lunghezza. È sembrato pertanto opportuno valutare l’intensità del vento anche nel contesto cittadino, per verificare eventuali differenze con i dati sul vento registrati dalla centralina di Milano Linate. Sono stati pertanto raccolti i dati meteo delle centraline gestite da Arpa Lombardia poste all’interno della città, in vicinanza di Viale Mac Mahon in quanto in questa stessa via non sono presenti stazioni meteo. Le centraline Arpa individuate sono quelle di Milano-Brera e Milano-Viale Marche, distanti circa 2-3 km dal Viale Mac Mahon. I dati raccolti riguardano la velocità media giornaliera del 2014 e la direzione del vento sempre nell’anno 2014. Confrontando i dati delle tre stazioni meteo risulta che la velocità media giornaliera del vento, misurata nel corso di un anno, è sempre maggiore presso Linate (area aperta) rispetto alle misurazioni registrate dalle centraline Arpa del centro cittadino; risulta infatti che nel corso di un anno la velocità del vento registrata presso le 2 centraline poste in città sia di circa il 30% inferiore rispetto alla velocità registrata dalla centralina meteo di Linate, ovviamente con importanti differenze nel corso dell’anno. Immagine 23 - Confronto fra le velocità medie giornaliere del vento nelle stazioni di Milano Linate, Milano Brera, Milano Viale Marche Dal grafico sopra riportato si può notare come, anche nei giorni di vento più intenso, la velocità registrata all’interno della città sia inferiore rispetto alla velocità registrata all’esterno della città stessa. Un dato importante riguardo al vento è la sua direzione; gli strumenti misurano la direzione di provenienza del vento che, nel contesto urbano, può essere influenzata dalla posizione degli edifici e dalla presenza di spazi aperti o “canali” in cui può scorrere più facilmente e più velocemente. La elaborazione dei dati relativi alla direzione del vento misurata dalla stazione meteo di Milano Linate mostra come il vento provenga principalmente da Sud-Ovest (225°) ed in misura minore da Est o EstSud-Est (90° e 112°); le altre direzioni sono meno rappresentate.. Immagine 24 – rappresentazione schematica dei venti frequenti in viale Mac Mahon Nel grafico seguente è rappresentata la frequenza di provenienza del vento registrata dalla stazione di Linate, su base annua Anche l’elaborazione dei dati rilevati dalle centraline Arpa di Milano Brera e Viale Marche conferma che le principali direzioni da cui proviene il vento su Milano corrispondono alle direzioni registrate dalla stazione di Linate. Immagine 25 - Direzioni del vento misurate dalla stazione meteo di Milano Linate (Fonte: Windifinder.com) 5.4 Normativa europea sulla intensità del vento per le costruzioni edili La normativa europea che contiene le norme da seguire per la costruzione degli edifici, nello specifico per resistere all’azione del vento, è riportata nell’Eurocodice n. 8 ed in particolare nella norma UNI EN 1998-1:2005 nella quale per l’area del Nord Italia (in cui è compresa l’area di Milano) viene prescritto di effettuare gli opportuni calcoli di resistenza degli edifici ad un vento di 25 m/sec (90 km/h), se non si è in possesso di dati meteorologici per l’area di riferimento. Infatti l’intensità del vento a cui fanno riferimento gli ingegneri, considerando un tempo di ritorno di 50 anni, è di 25 m/sec, mentre considerando un tempo di ritorno di 20 anni è di 23,2 metri al secondo, in quanto negli ultimi 20 anni ci sono stati eventi ventosi meno intensi (vedi grafico della velocità massima negli ultimi 50 anni). Se si è in possesso di dati meteo relativi all’area in cui verrà costruito l’edificio, i calcoli strutturali possono fare riferimento ai dati meteo registrati nella zona medesima. Nel nostro caso i dati derivanti dalla stazione meteo di Milano Linate indicano una intensità massima del vento negli ultimi 50 anni di 78 km/h (21,67 m/sec). È opportuno inoltre ricordare che nel centro cittadino, e quindi sul Viale Mac Mahon, l’intensità del vento è inferiore a questa velocità, come dimostrato dalla elaborazione dei dati delle centraline di Milano Brera e Viale Marche (vedi grafico di confronto). Volendo pertanto mantenere un margine di sicurezza a garanzia della stabilità delle piante arboree indagate, le elaborazioni dei dati derivanti dalle prove di trazione sugli olmi del Viale Mac Mahon sono state effettuate con un vento di intensità minima di 22 m/sec; questa intensità è stata mantenuta per tutti gli alberi che si trovano all’interno del filare e per quelli riparati dagli edifici. Per gli olmi che si trovano nei pressi degli incroci di Via Mac Mahon con le principali arterie di comunicazione (incroci con Piazza Diocleziano, Viale Principe Eugenio e Viale Monte Ceneri) e per gli olmi che si trovano nel tratto non protetto dagli edifici (compreso fra l’intersezione con Via Caracciolo e Via Ollearo), è stata effettuata la valutazione statica con un vento minimo di 25 m/sec (90 km/h), come indicato dalla norma UNI EN 1998-1:2005, in quanto questi alberi sono protetti solo parzialmente dagli edifici o da altri alberi vicini. In base ai criteri sino qui esposti, su un totale di 135 olmi verificati 95 sono stati valutati con velocità minima del vento di 22 km/h mentre i rimanenti 40 olmi sono stati valutati con velocità minima del vento di 25 km/h. 6. Inquadramento agronomico Da un punto di vista agronomico gli olmi oggetto di studio crescono su un substrato particolare. L’analisi stratigrafica, ricavata dall’esecuzione di una serie di carotaggi e di sondaggi ha rilevato la seguente situazione: • Fasce laterali comprese tra il cordolo stradale e la prima rotaia da 0 a -20/25 cm: substrato terroso, di medio impasto, piuttosto organico mediamente dotato di fosforo e potassio, piuttosto povero di azoto. Lo strato è permeato da un fittissimo reticolo di radici, generalmente di piccole e medie dimensioni. Tale substrato in alcuni tratti è ricco di scheletro a -20/25 cm (il alcuni casi 30 cm) è presente una soletta in asfalto spessa mediamente 2 cm, generalmente integra - sotto la soletta in asfalto per uno spessore variabile di 15/20 cm è presente uno strato di conglomerato calcareo estremamente compatto, formato da ciottoli frantumati (da 2 a 6 cm) legati da roccia calcare a grana sottile o molto sottile - sotto lo strato di conglomerato è presente un assortimento di suoli diversi, si alternano senza una logica preordinata : lenti di pura argilla compatta ed asfittica, ghiaie frammiste a residui di demolizione, terreno generalmente poco organico, sabbie. Si tratta verosimilmente di materiale di scarto di cantiere utilizzato per il riempimento. Lo stato è permeato da pochissime radici • Tra i due binari - da 0 a -10/15 cm: substrato terroso, di medio impasto, piuttosto organico mediamente dotato di fosforo e potassio, piuttosto povero di azoto. Lo strato è permeato da un fittissimo reticolo di radici, generalmente di piccole e medie dimensioni. Tale substrato in alcuni tratti è ricco di scheletro - per uno spessore variabile di 15/20 cm è presente uno strato di conglomerato calcareo estremamente compatto, formato da ciottoli frantumati (da 2 a 6 cm) legati da roccia calcare a grana sottile o molto sottile - sotto lo strato di conglomerato è presente un assortimento di suoli diversi, si alternano senza una logica preordinata : lenti di pura argilla compatta ed asfittica, ghiaie frammiste a residui di demolizione, terreno generalmente poco organico, sabbie. Si tratta verosimilmente di materiale di scarto di cantiere utilizzato per il riempimento. Lo stato è permeato da pochissime radici Le immagini proposte rendono l’idea della situazione più di ogni altra descrizione. L’aspetto critico è chiaramente rappresentato dalla presenza della soletta in asfalto, e del sottostante strato di conglomerato. Tale soletta è di fatto impenetrabile dalle radici dell’albero che sembra quasi appoggiarsi su di essa. Gli alberi sono stati in origine collocati entro piazzole con il colletto (originario) in quota con la ritrovata soletta. I sondaggi effettuati in prossimità di un pianta precedentemente abbattuta e non reimpiantata hanno permesso di “rivedere” la originaria piazzola di impianto, collocata circa 25 cm sotto l’attuale piano di campagna e sotto il “nuovo” colletto dell’albero Immagine 26 - la ritrovata piazzola che ospitava un albero originario nel frattempo abbattuto con la soletta di contorno 7. Inquadramento fitoiatrico aspetti generali e puntuali Che lo stato fitosanitario del popolamento arboreo di via Mac Mahon non sia ottimale è facilmente comprensibile dal’osservazione dei numeri riportati nella seguente tabella: Impianto originario 192 Alberi residui del’impianto originario (circa) 100 pari al 53 % Alberi sostituiti tra gli anni 80 e 90 (circa) 35 pari al 18 % Alberi sostituiti dopo il 2000 39 pari al 20 % Alberi non sostituiti 18 pari al 9 % I numeri indicano un tasso di sostituzione estremamente elevato ed assolutamente anomalo. Le cause di tale stato di sofferenza (e patogenicità) son molteplici, ma sostanzialmente riconducibili alle pessime condizioni edafiche in cui e piante si trovano a crescere ed alle cure colturali a cui sono state sottoposte, non sempre appropriate e tempestive. La causa diretta di deperimento è spesso riconducibile a parassiti, ma si tratta di parassiti che hanno trovato condizioni ottimali per estrinsecare al massimo la loro virulenza. La situazione di criticità, non è tuttavia omogenea in tutte le zone del viale. In alcune zone sono chiaramente visibili tassi di mortalità o sofferenza maggiori che in altri. Si tratta di zone in cui sono già stati sostituiti alberi e dove le attuali indagini hanno riscontrato ulteriori seri problemi sulle piante residue. Immagine 27 - Zone a particolare patogenicità Lo schema riportato evidenzia le zone dove ci sono frequenze di criticità decisamente anomale, entro le quali quasi tutte le piante dell’impianto originario hanno avuto o hanno problemi dall’esito nefasto. Come già ricordato la causa madre di tale situazione è da ascrivere alle pessime condizioni in cui si trova ad esistere l’apparato radicale: - radici “vivaci” presenti solo negli starti superficiali di terreno , comunque confinati da manufatti “impenetrabili” (vedi soletta) e soggette a deciso calpestio - radici poco attive, del fittone originale relativamente poco sviluppate per la specie, a causa di pesanti condizioni di asfissia negli starti di terreno sotto la solettaLe piante si presentano pertanto strutturalmente deboli ed in perenne condizioni di “fame” per i nutrienti, per l’acqua e per la luce. Ma la situazione è aggravata anche dalla presenza di patogeni, che in tali condizioni di stress esprimono al massimo la loro virulenza e la loro patogenicità, contribuendo quindi all’ulteriore e progressivo decadimento del popolamento arboreo. In particolare ci si riferisce a due patogeni normalmente poco aggressivi e normalmente trascurati: Agrobacterium tumefaciens e Agrocybe aegerita 7.1 Agrobacterium tumefaciens La patologia sulle piante di viale Mac Mahon risulta anomala per intensità e frequenza. Interessa circa il 35% delle piante adulte ed è presente sui fusti e sulle branche (ma in alcuni casi anche al colletto). Si manifesta con grosse escrescenze tumorali (già esplicitate) o con una esagerata rugosità degli strati corticali. Si tratta un batterio in grado di interferire con il metabolismo auxinico della pianta, determinando la proliferazione iperplastica (moltiplicazione eccessiva) dei tessuti con formazione di tumori anche molto voluminosi. Con il termine “tumore” si intende un cospicuo accrescimento indefinito di un tessuto privo di organizzazione interna che conserva la consistenza dell’organo da cui è derivato. Immagine 28 - tumore da Agrobacterium tumefaciens Peculiarità delle cellule tumorali sono: l’attenuazione dell’adesione selettiva, la perdita dell’inibizione da contatto, l’attitudine all’invasione e alla metastasi. L’adesione selettiva delle cellule normali consiste nel fatto che quelle di un dato tessuto tendono ad associarsi ad altre dello stesso tipo; si ha inibizione da contatto quando le cellule normali tendono ad invadere i tessuti che le ospitano e a creare metastasi, cioè a formare, per spostamento di alcune di esse, nuovi centri di crescita tumorale a distanza da quello originario. La patogenicità è condizionata dalla possibilità di entrare in contatto con i tessuti viventi dell’ospite appena interessati da un fatto traumatico; infatti, solamente in queste condizioni si determina lo stimolo necessario ad attivare la patogenesi nell’ospite, derivato dalle variazioni nello stato fisiologico delle cellule nelle zone contigue la ferita stessa. Ferite delle parti aeree e ferite radicali. Il processo di induzione tumorale avviene a seguito del trasferimento di una specifica regione (denominata T-DNA) di un plasmide (DNA batterico) induttore di tumore (Ti), proprio di tutti gli agrobatteri virulenti, al DNA nucleare della cellula attaccata dal batterio. Il T-DNA trasferito contiene i geni che codificano la sintesi di opine (sostanze amminoacidiche utilizzate dal batterio come sorgenti di azoto e per il mantenimento dello stato tumorale delle cellule) e di enzimi che catalizzano la produzione di ormoni – le auxine e le citochinine – che stimolano le cellule della pianta a dividersi e ad accrescersi in maniera incontrollata. L’integrazione del segmento di T-DNA nel DNA nucleare della cellula vegetale avviene attraverso in processo di trasferimento genico controllato da un gruppo di geni, localizzati in una regione del plasmide. I tessuti interessati da tali degenerazioni cellulari, mantengono nella fase iniziale la loro elasticità, successivamente divengono sempre più rigide e spesso si evolvono in necrosi. Le piante inoltre hanno una crescita adattativa alterata, non riuscendo più ed in tempi ordinati all’”accumulo differenziato” di legno da contrapporre alle sollecitazioni dinamiche ordinarie e di maggior frequenza. 7.2 Agrocybe aegerita (piopparello) Si tratta di un fungo patogeno generalmente poco aggressivo, e che solitamente si comporta da saprofita che degenera parti morte di pianta. L’olmo è una sua pianta ospite, e sull’olmo può comportarsi anche da parassita. Su numerosi esemplari in genere poco vigorosi, sono stati rinvenuti carpofori di tale fungo. Le analisi con resistorgrafo non hanno evidenziato particolari fenomeni degenerativi, ma la presenza del piopparello indica la presenza di uno stato di stress e la presenza di tessuti in degenerazione. Immagine 29 – Carpofori al colletto di Agrocybe aegerita 8. Metodologia analitica Per ognuno dei 135 olmi esaminai sono state seguite le seguenti operazioni analitiche 1° fase – rilievo dei parametri dendrometrici e morfologici 2° fase – Valutazione fitostatica visiva e strumentale 3° fase - pulling test 4° fase – contemporanea alle precedenti: analisi radicali con georadar e tomografia elettrica ad alta frequenza. 5° fase – carotaggi e studi agronomici 6 ° fase elaborazione dei dati 8.1 Rilievo dei parametri dendrometrici e morfologici Per ogni albero oggetto di indagine sono stati rilevati i principali parametri dendrometrici che rappresentano le dimensioni e la struttura dell’albero; i parametri rilevati sono stati : • altezza complessiva della pianta arborea; • diametro medio del fusto ad 1,3 metri da terra; • altezza da terra dell’inserzione delle branche principali sul fusto; • diametro medio della chioma; • numero delle branche principali che vanno a formare la chioma. • Architettura delle radici affioranti L' altezza dell' albero è stata misurata con l' impiego dell' ipsometro, strumento di tipico utilizzo in ambito forestale; la precisione ottenibile con tale strumento nelle condizioni operative incontrate è da considerarsi ottima. Sempre con l' ipsometro è stata misurata l' altezza di inserzione delle branche. E'stato misurato il diametro della chioma, operando da terra con una cordella metrica, ponendosi in corrispondenza della proiezione della chioma sul terreno e facendo passare la cordella tangente al fusto. La misura è stata sempre ottenuta come media di due misure effettuate ortogonalmente tra loro. Il diametro del fusto è stato misurato a metri 1,30 di altezza dal colletto, con l' impiego del cavalletto dendrometrico; nel caso di fusto di sezione irregolare è stata considerata la media di due misure effettuate ortogonalmente tra loro. Per la rappresentazione dell’architettura delle principali radici affioranti, ci si è avvalsi di un micro rilievo manuale eseguito in loco e poi disegnato in Autocad ( vedi tavola 3446703) 8.2 Valutazione fitostatica visiva e strumentale Tutti gli alberi oggetto di indagine sono stati sottoposti ad una attenta valutazione fitostatica visiva allo scopo di rilevare i sintomi e/o danni presenti nelle diverse parti della pianta: colletto, fusto, inserzione delle branche sul fusto e branche; i sintomi e danni rilevati si riferiscono a ferite, carie, presenza di carpofori, anomalie di forma e struttura delle diverse parti della pianta (torsione, inclinazione del fusto ecc.). È stata inoltre rilevata la presenza di radici esterne al terreno (radici affioranti), radici avvolgenti e gli eventuali danni rilevabili sulle radici esterne. Sono state inoltre registrate informazioni riguardanti l’ambiente circostante ogni singolo albero, che possono rilevare eventuali anomalie di sviluppo della pianta in particolare rispetto all’apparato radicale: si è infatti rilevata la presenza di pozzetti, eventuali tracce di scavi, sollevamenti della pavimentazione o danni relativi a muri o infrastrutture. Infine sono state rilevate le caratteristiche salienti della chioma, in particolare riguardo alla forma e alle limitazioni allo sviluppo rappresentate dalla vicinanza ad altri alberi o ad edifici. Tutte queste informazioni sono state registrate in una scheda di campo e quindi inserite su supporto informatico per la successiva elaborazione e stampa. Per 10 alberi si è ritenuto necessario un approfondimento di indagine attraverso l’uso del dendrodensimetro, in quanto mostravano sintomi o difetti che facevano supporre la presenza di alterazioni o cavità interne di cui è necessario confermarne o meno la presenza e misurarne l’ampiezza e l’estensione. L’elaborazione dei risultati dell’analisi visiva e strumentale ha permesso di ponderare l’importanza di ogni sintomo e danno rilevato, allo scopo di attribuire ogni albero analizzato ad una “classe di propensione al cedimento”, secondo la terminologia SIA (Società Italiana di Arboricoltura). 8.3 Pulling test (PT) e Wind Load Analysis (WLA) La valutazione della stabilità dell’apparato radicale degli alberi è un tema delicato e ancora non compreso totalmente. Innanzitutto il mondo radicale rappresenta la parte nascosta del “sistema albero” e dunque in gran parte inaccessibile visivamente e strumentalmente se non abbattendo la pianta ed estirpando la ceppaia. È pertanto complesso e non privo di ostacoli determinare la forza di ancoraggio al suolo dell’albero, ovvero quanto le radici di un determinato esemplare arboreo possano resistere alle sollecitazioni esterne (vento, carico di neve). Il pulling test ha come obiettivo la determinazione della forza critica che può determinare la rottura del fusto o il ribaltamento della zolla radicale; l’individuazione di tale forza avviene sottoponendo l’albero ad una trazione artificiale controllata che simula la spinta esercitata dal vento sulla chioma dell’esemplare arboreo in esame. Questa sollecitazione esterna viene indotta sull’albero attraverso un paranco manuale (tirfor) a sua volta ancorato ad un punto fisso. Immagine 30, 31 e 32 – Operazioni di tiro La prova di trazione controllata (pulling test) è finalizzata a determinare, con la minore approssimazione possibile, la potenzialità al ribaltamento della zolla radicale e la potenzialità alla rottura del fusto di un determinato albero, calcolando nel contempo la velocità critica del vento che potrebbe determinare tali accadimenti. Sull’albero stesso vengono posizionati sensori di inclinazione (inclinometri) e sensori di allungamento delle fibre legnose (estensimetri) per misurare la risposta della pianta alle sollecitazioni indotte. L’analisi e la elaborazione dei risultati derivanti dai sensori, in relazione alla forza applicata e alle dimensioni della pianta, ad opera di specifici software, esprimono il grado di sicurezza della pianta ad una determinata velocità del vento. Il sistema si compone dei seguenti elementi essenziali: • paranco manuale (tirfor) per generare la forza da applicare alla pianta; • dinamometro: collocato sulla fune di trazione, misura l’intensità della forza applicata all’albero; • inclinometro: è collocato al colletto della pianta e misura l’inclinazione della base del fusto (quindi della zolla radicale) in due direzioni ortogonali fra loro, X e Y, rispettivamente parallela e ortogonale alla direzione di trazione; • elastometro: collocato sul fusto della pianta può misurare la distensione/compressione delle fibre legnose periferiche; • corde e fasce per agganciarsi all’albero e ancorarsi ad un punto fisso; • Pc portatile con software per la registrazione dei dati in campo e la successiva elaborazione. Immagine 33, 34, 35 e 36 – strumentazione per l’esecuzione delle prove i trazione 8.3.1 Alcune nozioni teoriche La statica è definita come “una branca della meccanica che riguarda il mantenimento dell’equilibrio nei corpi attraverso l’interazione delle forze su di essi” (Columbia Encyclopedia-2001). Le forze che agiscono su un albero sono primariamente dovute al vento, ma anche al peso della neve, del giaccio e al loro stesso peso. Fra queste tre forze quella di maggiore importanza è dovuta all’azione del vento, che ha di gran lunga l’impatto più importante sulla stabilità delle piante. La forza con cui il vento impatta le piante arboree, e quindi trasmette un carico dai rami alle branche quindi al fusto sino alle radici, è influenzata da diversi fattori fra cui i più importanti sono: • situazione geografica (ci sono aree più ventose ed altre meno); • situazione in cui cresce l’albero (in aperta campagna l’albero è soggetto a venti più intensi rispetto ad un’area urbana, specie se con grandi edifici); • altezza dell’albero. I profili del vento sopra diverse aree topografiche mostrano che la forza di una tempesta in area esposta e senza protezioni raggiunge il suo apice ad una altezza da terra di circa 250 metri, mentre in aree urbane, specie con alti edifici, l’altitudine in cui il vento spira senza disturbi si trova ad una altezza di circa 600 metri. 1 Pertanto un albero che si trova in aperta campagna dovrà avere una struttura più robusta rispetto ad un albero che si trova in aree più protette. La velocità del vento aumenta rapidamente all’aumentare dell’altezza da terra; questo fatto porta alla conclusione che gli alberi più alti ricevono un carico, in presenza di vento, maggiore rispetto a quelli più piccoli. Negli alberi più alti c’è una maggiore superficie di chioma esposta, nella parte più alta, ad una maggiore velocità del vento. 2 Infatti gli alberi più grandi hanno un baricentro delle forze ad una altezza maggiore da terra, pertanto hanno una “leva” di maggiore lunghezza ed il momento delle forze a terra è maggiore. Infatti essendo il momento a terra M = F x h (dove M è il momento, F è la forza del vento e h è l’altezza da terra del baricentro) essendo la forza del vento maggiore all’aumentare dell’altezza ed essendo maggiore l’altezza del baricentro delle forze, all’incremento di quest’ultimo il momento a terra aumenta più che proporzionalmente. Fig. 37 – Esempio di calcolo del Momento a terra 1 Davenport, A.G. 1965. The Relationship of Wind Structure to wind Loading, Wind Effects of Buildings and structures. HMSO London, England 2 Erk Brudi and Philip van Wassenaer. Trees and Statics: Nondestructive Failure Analysis. Gli alberi resistono all’azione del vento attraverso una resistenza alla rottura delle fibre del legno ed una resistenza al ribaltamento della zolla radicale. Le relazioni esistenti fra il materiale legnoso e la resistenza alle sollecitazioni del vento sono state studiate da Wessolly e pubblicate in numerosi suo lavori fin dagli anni 90. In questo scritto si ritiene utile riportare solo alcune informazioni basilari che aiutano a comprendere la metodologia e le modalità operative seguite nel lavoro svolto. Riguardo la sicurezza dell’albero nei confronti del ribaltamento della zolla radicale lo studio di Wessolly ha dimostrato che gli alberi, seppure con alcune differenze fra loro, mostrano un danneggiamento primario delle strutture meccaniche quando il processo di ribaltamento raggiunge i 2,5°; da questa inclinazione sino ai 45-60° non c’è più bisogno di aumentare la forza per aumentare l’inclinazione; oltre i 45-60° l’albero cade per effetto del semplice peso della pianta stessa.3 Anche per quanto riguarda la resistenza delle fibre legnose alla trazione/compressione Wessolly ha compiuto studi su diversi campioni di legno di numerose specie arboree che hanno permesso di individuare il limite elastico delle fibre legnose sottoposte a stress. Questo limite è il massimo stress sopportabile dal materiale senza che avvengano deformazioni irreversibili o rotture. Al raggiungimento del limite elastico le fibre legnose cominciano a deformarsi (cedimento primario); aumentando la forza applicata si arriva alla rottura (cedimento secondario). Per misurare l’inclinazione della zolla radicale di un albero sottoposto a trazione controllata si applica un inclinometro alla base del fusto. L’inclinometro misura l’inclinazione della base del fusto e quindi della zolla radicale con una risoluzione di almeno 0,01°. Fig. 38 – Curva del ribaltamento della zolla radicale di 400 alberi (Wessolly and Erb 1998) 3 Erk Brudi and Philip van Wassenaer Secondo i dati derivanti dalla letteratura presente, la fase elastica della zolla radicale è compresa fra 0 e 25 centesimi di grado di inclinazione. Fermando l’applicazione della forza prima di questo limite si evitano danneggiamenti alle strutture legnose che possono essere permanenti. Questo limite rappresenta il 40% della forza che, applicata allo stesso albero, porterebbe al suo sradicamento. 8.3.2. Fasi operative del pulling test Prima di iniziare le operazioni di trazione dell’albero si effettua una foto dell’intero albero, generalmente dalla parte verso cui verrà effettuata la trazione. La foto viene caricata sul software Arwilo (della Rinntech) e viene disegnato il contorno della chioma e del fusto per misurare la superficie dell’albero esposta all’azione del vento. Nello stesso software viene inserita l’altezza dell’albero. Il software calcola così l’area della chioma, l’altezza da terra del baricentro delle forze che agiscono su questo albero e quindi il momento delle forze risultanti a terra. Si effettua quindi il calcolo del carico di lavoro che un vento di velocità molto alta (uragano della scala Beaufort4) esercita sul baricentro della chioma di quel determinato albero, quindi si calcola il carico di lavoro a livello del terreno (base del fusto) per trovare il momento flettente del carico di lavoro (WLA). La formula base in grado di calcolare la forza che il vento esercita sulla chioma di un albero (Wind Load Analysis) è la seguente: F = A * Cw * ( /2) * u² dove: Cw = coefficiente di resistenza aerodinamica; = peso specifico dell’aria; A= superficie della chioma intesa come intersezione della chioma con un piano perpendicolare alla direzione del vento che passa attraverso l’asse longitudinale della pianta; u= velocità del vento; Il momento a terra viene così calcolato: M= F x h dove: F = Forza del vento simulata al punto di trazione in chioma h = Altezza del punto di trazione Quindi si passa alla vera e propria fase di trazione, applicando al colletto almeno un inclinometro alla base del tronco (nel nostro caso sono sempre stati utilizzati 2 inclinometri posti a 90° l’uno dall’altro: il primo in direzione del tiro e il secondo in posizione ortogonale al tiro) e un estensimetro lungo il tronco, in posizione variabile in base alla conformazione del fusto o anche alla eventuale presenza di difetti/danni o probabili alterazioni. All’albero da valutare viene applicata una fune nel punto più vicino possibile al baricentro delle forze, tenendo comunque conto della forma dell’albero (se si è in presenza di freccia centrale oppure di fusto capitozzato con sviluppo di diverse branche) cercando quindi di evitare fenomeni di torsione che possono essere determinati dalla applicazione eccentrica della forza su di una singola branca. 4 Vedi pagina successiva All’altro capo della fune viene applicato un paranco manuale per imprimere la forza necessaria alla trazione della pianta; al paranco viene applicato un dinamometro per registrare i valori di forza applicata, quindi il paranco viene ancorato ad un punto fisso vicino al terreno, che può essere la base di un altro albero o un mezzo pesante (camion o altro). I dati derivanti dal dinamometro, dagli inclinometri e dall’estensimetro vengono registrati in tempo reale sul software Dynatim® ed archiviati nel Pc di campo per la successiva elaborazione. Rapportando i valori ricavati dalla prova di trazione riguardo il carico di rottura (PT) con i valori calcolati del carico di lavoro (WLA), si ottiene un fattore di sicurezza (PT/WLA) che rappresenta la capacità di resistenza dell’albero al ribaltamento della zolla o alla rottura delle fibre. Questo fattore di sicurezza deve essere di almeno il 100% (il carico di rottura eguaglia il carico di lavoro), ma generalmente viene opportunamente sovradimensionato per assorbire la variabilità e incertezza della prova e l’aleatorietà nella determinazione di alcune variabili non facilmente misurabili e quantificabili. Generalmente si tiene conto di un fattore di sicurezza minimo del 115%, al di sotto del quale si considera l’albero instabile in quanto è probabile che possa accadere un evento che porti alla rottura del fusto o allo sradicamento della pianta. Operativamente nel caso del Viale Mac Mahon sono state effettuate 6 prove di trazione in 3 distinte direzioni di tiro, quindi 2 prove per ogni direzione. La doppia prova di trazione per ogni direzione ha permesso di valutare la congruità e omogeneità dei dati raccolti. La elaborazione dei dati raccolti durante le trazioni ha riguardato 3 prove, una per ogni direzione di tiro; la prova da elaborare è stata compiuta scartando eventuali trazioni con dati anomali (dovuti ad esempio all’assestamento delle corde) e scegliendo la prova con le inclinazioni maggiori rispetto alla forza applicata. Le tre direzioni di tiro sono state scelte in modo da valutare la tenuta della maggiore porzione di apparato radicale, inoltre si è valutato visivamente la eventuale presenza di condizioni ambientali (pozzetti, sottoservizi) o condizioni della pianta che potevano far pensare ad un problema riguardante lo sviluppo radicale. Generalmente 2 prove sono state effettuate a 90° l’una dall’altra e la terza prova è stata effettuata nella direzione più utile per valutare eventuali anomalie presenti. Per diverse piante, infatti, una direzione di tiro è stata effettuata perpendicolarmente alla direzione dei binari, allo scopo di valutare la tenuta dell’apparato radicale sia verso i binari tramviari che verso la strada; infine per un numero significativo di alberi (15 piante) è stato effettuato un tiro in direzione della sede stradale. Si tratta di piante di grandi dimensioni, poste soprattutto in corrispondenza degli incroci stradali dove l’azione del vento può essere più intensa in quanto la pianta è più esposta ai venti che provengono da direzioni diverse. Le prove di trazione che hanno interessato la sede stradale sono state effettuate in orario notturno per premettere la chiusura della strada al traffico veicolare. 8.3.3. Analisi dei dati tramite software TSE I dati raccolti in campo tramite l’analisi visiva e i dati derivanti dalle prove di trazione, registrati nel software Dynatim, sono stati inseriti nel programma TSE, realizzato dall’associazione ITEG (Independent Tree Expert Group) di cui Agri 2000 fa parte. Nel programma TSE vengono inseriti i dati che descrivono l’albero (specie, altezza, area della chioma, diametro del fusto), i dati relativi all’area di crescita (aperta campagna, città, o altro) ed i dati relativi alla prova di trazione (altezza dell’attacco delle fune, distanza del punto di ancoraggio ecc). Il programma calcola automaticamente, in base ai dati inseriti, alcuni fattori quali il limite di elasticità (elasticity limit) ed il coefficiente aerodinamico (drag coefficient), che sono legati alla specie arborea. Quindi vengono inseriti i dati riguardanti la forza applicata derivanti dal dinamometro, i dati di inclinazione della zolla, derivanti dai 2 inclinometri (si inserisce il dato peggiore) e i dati riguardanti l’estensione delle fibre legnose periferiche derivanti dall’estensimetro. In base ai dati inseriti il programma TSE calcola 3 fattori di sicurezza relativi ad una data velocità del vento: la sicurezza di base che deriva dai dati dendrometrici dell’albero (diametro del fusto, area della chioma), la sicurezza rispetto al ribaltamento (derivante dalla elaborazione dei dati dell’inclinometro) e la sicurezza rispetto alla rottura del fusto (derivante dalla elaborazione dei dati dell’elastometro). Tutti questi fattori di sicurezza devono essere superiori ad 1,15 (115%) per poter affermare che l’albero è stabile e sicuro. In caso contrario occorre prevedere qualche intervento manutentivo per ridurre il rischio oppure l’abbattimento dell’albero stesso nei casi più gravi. 9. Dossier di ogni pianta (totale 135 dossier) In allegato alla presente relazione vengono prodotti i dossier di ogni albero. In ogni dossier sono contenute tutte le informazioni raccolte per ogni albero. Le prove con georadar e tomografia elettrica ad alta frequenza costituiscono un allegato a parte 10. Risultati delle indagini 7 . Risultati delle indagini Le varie indagini fitostatiche eseguite, hanno rilevato le criticità presenti rispetto alla sicurezza del viale alberato. Sono risultate da abbattere le seguenti piante: 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 incompatibilita pianta n° radici Puling test VTA 8452 1 0 8454 1 0 8471 0 1 8477 0 1 8498 0 1 8501 0 1 8511 1 0 8518 0 1 8523 0 1 8680 0 1 8677 0 1 8672 0 1 8670 0 1 8668 0 1 8664 0 1 8662 0 1 8661 0 1 8642 0 1 8641 0 1 8639 0 1 8636 0 1 8635 0 1 8632 0 1 8629 0 1 8628 0 0 8644 1 0 8610 1 0 8493 1 0 8616 0 1 6 22 0 0 1 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 0 0 0 3 In sei casi l’abbattimento è dovuto al fatto che le radici sono troppo espanse superficialmente tra i binari ed è irragionevole pensare di riuscire a fare gli scavi senza danni irrimediabili. In un caso i problemi riguardano solo la parte aerea, in due casi sono presenti problemi sia alla parte ipogea che epigea, negli altri casi i problemi sono di ordine radicale. 11. Raccomandazioni e suggerimenti per l’elaborazione del progetto esecutivo Una volta eseguiti gli abbattimenti previsti il viale torna in condizioni di accettabile e normale sicurezza. Il concetto di normalità è statistico, e ci si riferisce a ciò che è probabile in condizioni normali secondo una distribuzione gaussiana degli eventi. Chiaramente i problemi che sono all’origine del progressivo decadimento, e che sono anche causa di disturbo alle linee tramviare permangono. Le piante residue rimangono confinate in spazi radicali esigui, gli strati profondi di suolo rimangono inesplorabili a causa della soletta presente e delle condizioni di asfissia generale e le piante subiranno comunque dei danni radicali a causa dei lavori, pur con le estreme cautele del caso. Si suggeriscono pertanto i seguenti interventi: 1. rottura della soletta sub superficiale in asfalto e conglomerato calcareo. L’operazione deve essere prevista nel progetto e potrà essere realizzata con un martello demolitore a punta montata su escavatore. La soletta dovrà essere soltanto rotta senza asportarla in quanto per ora in qualche modo 2. 3. 4. 5. 6. 7. serve da base di appoggio per l’albero e l’asporto della stessa sarebbe causa di danni radicali. Le “forature” dovranno comunque essere fitte (2 ogni metro quadro), anche con leggero movimento vibrante in modo da creare fratture tra la soletta Il lavoro è da farsi nella fascia tra il cordolo stradale e le rotaie. Il lavoro non sarà eseguito in prossimità degli alberi (1,5 metri prima e dopo) . La lavorazione va eseguita anche dove sono presenti alberi piccoli. Dove sono ora presenti le fermate, con manto in asfalto anche in superficie, è necessario asportare completamente tale manto bituminoso, asportando ovviamente in questo caso le risulte. La rottura della soletta sub superficiale deve essere eseguita anche in queste aree. Creazione tra gli alberi ad una distanza dal tronco di almeno due metri di alcuni “pozzi” di approfondimento delle radici. Si tratta di eseguire una trivellazione (diametro circa 20 cm) alla profondità di almeno 100 cm, asportare il materiale ed inserire nel foro un materiale molto drenante, molto areato moto organico e ricco di nutrienti. In quel foro le piante dovrebbero infilarci le radici e migliorare il loro ancoraggio oltre che il volume di suolo esplorato Eseguire una corretta ed ordinaria manutenzione delle chiome, eseguendo ove possibile tagli di ritorno finalizzati ad abbassare di 3-4 metri le chiome. L’operazione è complicata in quanto le piante hanno quasi una chioma a forma di testa di salice molto apicale. L’operazione di riconversione dovrebbe quindi avvenire per tornate di potatura diverse. Si potrà ad esempio cimare una delle due o tre branche più in basso, e nella tornata di potatura successiva selezionare alcuni rametti tra i molti che emergeranno, Nella stessa occasione sarà possibile abbassare la seconda branca e così via. Devono essere ridotti al minimo indispensabile gli scavi in prossimità degli alberi di grandi dimensioni (entro la fascia compresa tra cordolo stradale ed attuale rotaia), neanche per la formazione delle rampe di accesso ai tram. In quella zona non è possibile collocare sottoservizi e nemmeno tubi interrati per l’irrigazione Non possono essere in alcun modo caricati materiali lapidei nella fascia compresa tra il cordolo stradale e la rotaia in prossimità degli alberi di grandi dimensioni, soprattutto se si prevede la compattazione di tali materiali. In tali zone si suggerisce che il progetto esecutivo adotti soluzioni diverse ad esempio banchine sospese Essendo presenti, nel piano di sostegno dell’attuale armamento tramviario, numerose radici anche di apprezzabili dimensioni e con importanti funzioni trofiche, di sostegno ed ancoraggio è opportuno evitare, ove possibile lo scavo di tale materiale. Ove possibile si suggerisce che il progetto esecutivo adotti soluzioni che tendano a ridurre al massimo possibile gli scavi alzando per esempio l’altezza dei binari e posando il nuovo ballast sul preesistente. In tal modo si manterrebbe l’integrità degli apparati radicali presenti in tale zona. Nell’esecuzione degli scavi per la posa dell’armamento tramviario ove indispensabili, si dovrà utilizzare, come previsto dal progetto definitivo l’escavatore a risucchio. Il taglio delle radici dovrà essere netto, ed in qualche modo la superficie di taglio è opportuno venga disinfettata con sali di rame 12. Conclusioni Lo studio dello stato fitosanitario degli olmi di viale Mac Mahon ha permesso di evidenziare “ponderare” le criticità del popolamento arboreo, che in sintesi vengono così riassunte: e 1. Le piante sono generalmente troppo fitte e competono per la luce assumendo un comportamento filato, spesso sciabolato. Le mancate o inadeguate cure colturale hanno contribuito ad accentuare la forma molto slanciata delle piante. Le cimature hanno infatti favorito la formazione di vegetazione solo nelle parti apicali, con getti epicormici derivanti dal riscoppio di gemme latenti. 2. Le radici esplorano uno strato di suolo decisamente ridotto. In particolare in senso verticale, alla profondità di circa 30 cm. è presente una soletta in asfalto e materiale lapideo praticamente invalicabile. Lo strato di terreno sottostante la soletta si trova in condizioni di elevata asfissia e vien poco esplorato dalle radici. Le radici pertanto hanno uno sviluppo molto superficiale ed espanso interferendo spesso con le rotaie 3. Le piante sono affette in maniera non ordinaria da Agrobacterium tumefaciens, parassita batterico che contribuisce ad indebolirle. Le principali problematiche brevemente elencate interessano con gli alberi con intensità e gravità diverse. Per 25 di loro, le analisi diverse hanno avuto un esito negativo e per tali piante si rende necessario l’ abbattimento. Per le altre sono state indicate le raccomandazioni progettuali che il progetto esecutivo dovrà recepire, al fine di non aggravare la condizione ed entro i limiti del possibile tentare di attenuare alcune criticità. Milano 15 febbraio 2015