È apparsa la grazia di Dio
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È apparsa la grazia di Dio
Verona, 25 dicembre 2008 Messa di mezzanotte È apparsa la grazia di Dio Carissimi, pur non essendo la celebrazione liturgica più importante dell’anno liturgico, il Natale celebra comunque un evento che sta a fondamento del Cristianesimo: l’Incarnazione del Figlio di Dio. Evento che non può non lasciare sorpreso, e contemplativo, chiunque abbia il senso della riflessione sul reale: Dio, trascendente, fatto uomo nella persona del Figlio! Senza cessare di essere Dio. Appunto perché incarnato, il Figlio di Dio ha potuto operare la sua salvezza mediante il suo mistero pasquale di morte e di risurrezione che segna ovviamente il vertice degli eventi salvifici, tutti confluenti poi nella effusione del dono dello Spirito. Proprio al tema della salvezza ci riporta la seconda lettura proclamata in questa notte santa del Natale. E poiché la Chiesa ci ha fatto il dono di un anno dedicato alla riscoperta dell’apostolo Paolo, nel bimillenario della sua nascita, attraverso soprattutto le sue lettere, la nostra riflessione si concentra questa notte sul tratto significativo della lettera a Tito, al capitolo 2. Il testo inizia con una affermazione che non può non sorprendere: “È apparsa la grazia di Dio”. Cioè si è manifestata. Dio stesso si è fatto vedere nella persona del Figlio. Non per chiedere qualche cosa all’uomo, ma per fargli una sorpresa, per consegnargli un dono. Il più grande che si possa immaginare e di cui l’uomo di tutti i tempi ha necessità assoluta: essere salvato dalla sua situazione di miseria spirituale che in definitiva sta alla radice di ogni male che domina nel mondo. Come atto di assoluta gratuità Dio mette a disposizione di tutti gli uomini di tutti i tempi la sua salvezza. Fa dono cioè di tutto ciò che necessita all’uomo per essere liberato dai suoi molteplici mali che fanno capo al peccato considerato come un agire dell’uomo al di fuori del progetto di amore di Dio: cosa che di fatto rende l’uomo un infelice. Nelle profondità del suo essere. Un inquieto, un irrequieto. Un pover’uomo. Nella persona di Gesù Cristo, il Verbo di Dio fatto uomo, Dio dona la sua capacità di vincere alla radice la logica del male che induce l’uomo a compiere follie di ogni genere, a disgregare il senso sociale del vivere collettivo e planetario, a distruggere la natura donatagli come patrimonio da amministrare con responsabilità in vista del bene comune. E, soprattutto, lo abilita ad essere più uomo, nella totalità del suo essere. All’altezza della sua dignità di creatura razionale e di figlio nel Figlio. Riconsideriamo i due aspetti appena abbozzati, quello del venir liberati dalla schiavitù del peccato e quello dell’essere abilitati a diventare il meglio di noi stessi, evidenziando le espressioni più significative della lettera a Tito: la grazia di Dio “ ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani… Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità”. Dunque la liberazione del cuore operata da Cristo ci impegna sul duplice fronte: quello di un ateismo serpeggiante che la lettera a Tito, e non solo, identifica con l’empietà, cioè con il mancato riconoscimento di Dio verso il quale essere pii; e quello del versante rivolto alle creature considerate dall’ateo come idoli: di qui l’espressione, che ne riassume gli atteggiamenti, di “desideri mondani”. Non si tratta dei desideri sani e approvabili, che spesso fanno da molla al divenire delle vicende umane. Si tratta invece di tutto ciò che ci fa identificare con le realtà amate dal mondo, divenute idoli veri e propri, come il denaro, il consumismo, l’arrivismo, l’edonismo, l’autoritarismo… Cose tutte che quanto meno degradano l’uomo collocandolo ai piedi di realtà da lui create, identificandosi con le quali fa svanire la sua autentica identità. Ma Paolo precisa ulteriormente: Gesù ha dato la sua vita per noi “per riscattarci da ogni iniquità”. Iniquità significa non equità. E corrisponde all’insieme delle ingiustizie. Insomma, se l’uomo si lascia riscattare da Cristo nella sua interiorità da tutte le sue inclinazioni cattive, si ritrova giusto e sperimenta una vita di alta qualità, intessuta di valori. A partire da quelli messi in rilievo da Paolo: “vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo”, formando così “un popolo puro, zelante nelle buone opere”. Qualche sottolineatura. Paolo prospetta una qualità di vita segnata dalla sobrietà, cioè dall’uso sapienziale dei beni, interamente finalizzati alla dignità della persona umana e mai assolutizzati: virtù oggi particolarmente necessaria in una congiuntura economica come quella in atto di cui vediamo almeno i lampi e i tuoni; segnata dalla giustizia nei rapporti sociali ed economici, in grado di mettere al primo posto la dignità delle persone rispetto ad ogni altra logica, come potrebbe essere ad esempio quella del profitto senza regole, come documentato dalla logica delle finanze virtuali; segnata dalla pietà che esprime il corretto rapporto con Dio, Assoluto, Trascendente, Creatore, Padre. Chi vive secondo questi parametri appartiene al popolo dei credenti salvati, impegnati, con zelo, cioè con dedizione senza riserve, nelle opere di bene. Cosa, del resto, testimoniata da una nutrita serie di santi veronesi, magari fondatori, e da cristiani, per così dire della ferialità, che mai hanno disgiunto fede in Dio dall’amore premuroso al prossimo in condizioni di bisogno, nel quale si sono incarnati, cioè immedesimati, nel nome del Figlio di Dio incarnato in ogni uomo e in fedeltà al suo esempio e al suo comandamento dell’amore fraterno. Infine l’apostolo ci fa risollevare lo sguardo dalla terra al cielo, alla destinazione eterna, individuando nella speranza cristiana la grande risorsa, il supplemento di risorse a disposizione dei credenti perché il cammino su questa terra sia diretto verso il suo compimento e non sia mortificato da un circuito solo intraterreno. Riudiamo le sue parole: “nell’attesa della beata speranza e della manifestazione del grande Dio e Salvatore Gesù Cristo”. Ecco il traguardo, l’approdo di una esistenza umana vissuta bene, come buona notizia, nella fede e nell’amore. Anche solo da queste brevi precisazioni, che sono altrettante segnaletiche direzionali, ci è dato di avvertire come il cristianesimo, considerato come concretizzazione e attuazione di queste traiettorie, sia davvero l’alfiere della civiltà. Il senso del vivere civile ad alta quotazione reale e non virtuale è insito nel cristianesimo, al punto che potremmo parlare di umanesimo cristiano nel quale ravvisare un vertice sublime dell’umanesimo umano. Soprattutto perché convinti di ciò, fa ancor più specie, e spiace per la sua acredine immotivata, quella strategia messa in atto da tempo che, dapprima in modo sotterraneo ed ora più che mai allo scoperto, si sta scatenando contro il cristianesimo, a partire da quello più specificamente cattolico. Per essere più precisi: visto che non si riesce a scardinarlo sotto il profilo dell’etica, di cui è l’estremo baluardo, questa strategia, che ha soggetti ormai abbastanza delineati, concentra le sue corazzate culturali su due fronti: quello dei fondamenti storici, da questa cultura relegati nel mito, e quello del peso culturale criticamente evanescente. È ovvio che una tale strategia mira a screditare il cristianesimo agli occhi delle persone colte, impegnate comunque in campi di tutt’altro contenuto e non certo esperte in questioni di storia e cultura delle religioni, con specifico riferimento al Cristianesimo. Presentando loro i dati forniti senza una analisi che sarebbe esigita quanto meno a livello scientifico. Si procede più per slogans e per pennellate sommarie e non documentate che per rigore scientifico. E poiché ciò che viene propinato da autori di grido è assunto acriticamente, su fiducia stile ipse dixit, anche persone di elevata cultura se ne imbevono. E si confermano nell’edizione proposta. Non ci si dà invece più di tanto preoccupazione della gente comune, snobbata come ingenua, cui si consente di dar credito ai miti religiosi, cristianesimo compreso. Il fatto, in atto ripeto, non lascia indifferenti. Per la superficialità con cui si affrontano questioni estremamente serie; per il mancato rispetto laico di tutti i cittadini che comunque meritano considerazione per le loro convinzioni anche religiose; per dimenticanza di una storia bimillenaria del cristianesimo che ha sfidato, vittorioso, ben più violente ondate persecutorie, da quelle degli imperatori romani a quelle della rivoluzione francese e dell’Illuminismo conseguente, a quelle del positivismo scientista, a quelle delle varie dittature. A livello mondiale. Ed è una entità che nessuna forza contraria è riuscita a far colare a picco, mentre essa le ha veduto dissolvere ad una ad una. La Chiesa è forza ineguagliabile di civiltà. Ci basti il riferimento alla famiglia, cellula della società: nessuna realtà come il Cristianesimo si adopera tanto per la sua realizzazione nella stabilità della fedeltà, nella sua apertura generosa alla vita. Il Cristianesimo è una realtà seria. Estremamente seria. Graniticamente fondato nella storia. Difficilmente smantellabile e destrutturabile. Non c’è dubbio che chi rema contro il cristianesimo rema contro la civiltà, non ama l’umanità, vuole solo imporre la propria ideologia. La storia stessa documenta che dai circuiti culturali ideologici di chi nega, combatte ed emargina Dio, non escono che larve umane, poiché solo un umanesimo religiosamente ispirato, soprattutto l’umanesimo cristiano salvaguarda l’umanesimo umano dalle sue alterazioni. Ci preoccupano certo queste bordate, ma non ci spaventano. Già alla nascita di Cristo ci furono coalizioni per farlo perire, Erode in testa. E la Chiesa nascente ha trovato opposizioni d’ogni genere. Se Cristo fosse un mito, e non una persona iscritta all’anagrafe dell’umanità, e se la sua Chiesa fosse stata fondata su un mito, già da tempo giacerebbero nei fondali dei ricordi sbiaditi e arrugginiti. Invece da due millenni permangono come stella polare della civiltà, fruttificando il meglio dell’umanità. La Vergine Maria come capocordata, Lei che dell’Incarnazione è il grembo verginale. La piena di grazia, nella quale è apparso e si è incarnato Colui che è la personificazione della Grazia di Dio apportatrice di salvezza.