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I morti dell’alluvione di Messina
1º ottobre 2009
Quando arriva Bertolaso ai naufraghi dell’acqua di terraferma prende come una specie di allegria. Tutto conquista forma, le cose hanno un nome,
e ogni disgrazia si manifesta, finalmente, con il suo corredo di imperativi («fronteggiare l’emergenza», «assistere gli sfollati») e buone intenzioni.
Quando arriva Bertolaso i vivi sono più tranquilli, perché è arrivato Bertolaso. Con il suo completo coordinato, con lo scudetto tricolore che fa tanto Italia solidale, i capelli mai in disordine, l’espressione sempre tranquilla.
Bertolaso arriva sempre con l’elicottero.
Quando arriva Bertolaso vuol dire che qualcuno si è fatto male per davvero.
Quando arriva Bertolaso si contano i morti.
Bertolaso è una specie di uomo della pioggia.
Fa un lavoro tranquillo Bertolaso. Ha il senno del poi. Non ha bisogno di
un ufficio vero e proprio. Constata, conta, provvede. Annulla vincoli e burocrazia. Ripara, rialza, salva. Ammonisce, ricostruisce, consegna. Ringrazia. E se ne va.
A quante persone dà lavoro Bertolaso? Ai giornalisti che lo seguono, ai tecnici che lo inquadrano, a quelli che raccolgono i fondi, a quelli che danno
i pasti, a quelli che vendono tende, a quelli che spalano fango, a quelli che
votano lo stato di emergenza, a quelli che decretano le calamità, a quelli che
gestiscono la ricostruzione, a quelli che fanno le inaugurazioni delle casette, a quelli che vendono gli elettrodomestici da mettere dentro le casette. È
buona parte del nostro Pil, Bertolaso.
Quando arriva Bertolaso arrivano i nostri.
Quando arriva Bertolaso, i paesi, o quel che rimane di loro, diventano famosi. L’Italia si arricchisce di nuovi nomi. E tutti quando guardate Bertolaso pensate alla maestra, alla geografia, e a quella mappa della nostra
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penisola appesa a muro, in classe, e mai imparata abbastanza. Ieri Sarno, Onna, oggi Giampilieri. Dov’è Giampilieri? Oggi lo sappiamo. Grazie
a Bertolaso.
Sono in tanti che vorrebbero avere una foto con Bertolaso. Solo che si vergognano a chiederlo.
Chissà dove ha casa, Bertolaso. Da qualche parte dovrà pure abitare, quando non ha addosso la polo di supereroe della Protezione civile. Magari Bertolaso vive proprio in un comune a rischio di dissesto idrogeologico. Non è
difficile: sono in questa condizione il 70% dei comuni italiani.
Quando arriva Bertolaso tutto comincia a funzionare, e anche velocemente. Ha sempre fretta, Bertolaso. Anche perché ha un sacco di cose da fare, e
se dovesse andare dappertutto, pover’uomo, non potrebbe fermarsi un attimo. ln Italia tra il 1991 e il 2001 ci sono stati 13mila eventi di dissesto idrogeologico.
Nei luoghi dove arriva Bertolaso si blocca il pagamento delle tasse. La cosa, per chi le tasse non le paga, non è affatto una novità.
Gli anziani sanno che quando vedono Bertolaso in tivù, vuol dire che è successo qualcosa. Qualcuno trattiene il respiro. Le mamme fanno una rassegna mentale rapida di parenti o amici da chiamare.
Quando arriva Bertolaso, i calciatori sanno che la domenica andranno in
campo un minuto di silenzio dopo.
Le star della tv, quando vedono Bertolaso, sanno che tra qualche settimana
ci sarà una partita di pallone da organizzare, da qualche parte.
Quando arriva Bertolaso, Vespa mette da parte l’ultimo plastico. E si prepara a una prima serata.
Molti bambini dicono: «Io da grande voglio fare Bertolaso».
Dopo che arriva Bertolaso arrivano gli altri. Ognuno di loro sa i nomi dei
colpevoli, ma esclude elegantemente dall’elenco il proprio. Tutti a lamentarsi della «mancata difesa del territorio», come se la colpa fosse di altri. Consumano territorio senza costruire, hanno inventato una declinazione del
termine «urbanizzazione» che fa rima con aggressione. Sono riusciti a fare
dell’Italia un Paese dove avviene in media uno smottamento ogni 45 minuti: dal 1918 a oggi si sono riscontrate oltre 15mila frane.
Forse è per questo che Bertolaso arriva sempre dopo.
Ma perché Bertolaso arriva sempre dopo? Dovrebbe arrivare prima, Bertolaso. Non è questione di magia. È questione di prudenza, di responsabilità.
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Perché noi sapevamo. Sapevamo che un territorio violentato è un territorio che prima o poi vomita fango. Sapevamo che ciò che è costruito in pendenza prima o poi scivola.
Perché non c’è un Bertolaso che arrivava prima? E ci diceva le cose come
stavano? Diceva che è un unico filo quello che lega i consigli comunali che
approvano piani di lottizzazione in maniera dissennata, e certe catastrofi. Diceva che la natura si rispetta non solo per una questione di bellezza,
ma per un’altra, più pratica, questione di salvezza. Diceva che le frane altro non sono che una manifestazione della legge di gravità, e su questa non
c’è scudo che tenga.
I politici sanno dire solo «mai più» davanti alle telecamere. Lo urlano forte, per fare scena, ma pensano già alle eccezioni. Perché vivono di eccezioni. E tanto, a morire, siamo sempre noi, i poveri.
Perché non c’è stato un Bertolaso a Giampilieri? Stessi luoghi, stesse scene, una violenza ridotta in scala. Quella montagna doveva essere messa in
sicurezza da allora, ma i lavori del Comune di Messina erano bloccati, per
mancanza di fondi.
Perché non c’è stato un Bertolaso a Sarno quando tutto avrebbe potuto essere fermato?
Perché non c’è un Bertolaso che contava noi, i morti quando eravamo, ancora vivi?
Quando arriva Bertolaso è già tardi.
La chiamano «Protezione» civile. Ma allora, chi o cosa protegge?
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