EBP08_GIORGIO_PPischiutti
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GIORGIO FERIGO Parlare di Giorgio, anche se solo per uno degli aspetti della sua prolifica, poliedrica vita, è sicuramente problematico, soprattutto se vincolato dalla necessità di ridurre tutto in due-tre pagine. Giorgio è stato, oltre che medico, un musicista, un poeta, uno storico, un narratore, uno storico d’arte. Giorgio è stato (ed è) un punto di riferimento per la cultura friulana e carnica in particolare. Così lo è per la sanità pubblica. Anche in Sanità, come in molti altri campi che lo hanno visto operare, era avanti di alcuni anni, era un’avanguardia, un anticipatore, che, come succede a chi ha queste caratteristiche o doti, creava scompiglio, provocava dure reazioni, rompeva gli schemi (e a qualcuno anche qualcos’altro….). Ma questo suo pensiero e lavoro, che gli descrivevo, e lui ne rideva, come un cuneo, che pian piano entra nel tronco e lo spacca, era anche apprezzato e difeso da molti, colleghi e categorie di lavoro, che vedevano aprirsi uno spiraglio di buon senso, efficacia e utilità nell’agire quotidiano e una semplificazione del lavoro legata all’abbandono di pratiche inutili e dispendiose. Il destino, sotto forma di passione comune per la medicina del lavoro e la sanità pubblica, per la prevenzione come strumento di politica sanitaria, ci ha fatto incontrare più volte, anche se abbiamo realmente lavorato assieme solamente negli ultimi dieci anni. Della sua attività di medico ricordo in particolare due momenti: il primo, agli inizi della sua carriera, a cavallo tra gli anni settanta e ottanta, come medico del lavoro presso il Centro di medicina Preventiva dell’Età Lavorativa del Consorzio Sanitario Udinese, prima della riforma sanitaria del 1978 e successivamente nel Settore Igiene e Prevenzione della Patologia di Lavoro dell’USL n. 7 di Udine. Allora, anche grazie al sua contributo, sono state effettuate, presso alcune tra le più importanti aziende dell’udinese attive in diversi comparti, dalla metalmeccanica alle concerie, dall’industria tessile all’edilizia (Officine Bertoli, SAFAU, Cascami di Bulfons, Lavanderia Lestuzzi, Fonderia G.B. Bertoli, Concerie Cogolo, SPAV tra le altre) indagini di igiene industriale e medicina del lavoro che, come ricordato nell’introduzione di una di esse “trova pochi riscontri in Italia (e dunque scarsa bibliografia relativa)”. La stagione era molto calda dal punto di vista politico e sindacale e queste indagini erano frutto di uno stretto collegamento tra sanità pubblica, lavoratori e loro rappresentanti, e, figlie di quel periodo di importanti riforme, avevano come primo e più importante obiettivo la tutela della salute dei lavoratori. Esse hanno rappresentato per molti (tra cui mi ci metto io) un punto di partenza e un modello che, pur nella loro semplicità e, in alcune parti, limitatezza tecnica, oggi non potremmo eseguire e forse non riusciremmo neppure a imitare per mancanza di molti presupposti, tra cui, oltre all’irripetibilità di quel periodo storico e sociale, c’è sicuramente il venir meno di molte delle motivazioni con cui a quel tempo un operatore della Sanità Pubblica, come Giorgio, affrontava il lavoro quotidiano. Io l’ho conosciuto in quel periodo, agli inizi degli anni ’80; dovevo fare la tesi di laurea (l’argomento era, ovviamente, relativo alla medicina del lavoro: esposizione a piombo in una fonderia di seconda fusione). Il mio relatore, il prof. Clonfero, di chiare origini friulane, visto che io provenivo dal Friuli, mi raccontò di un medico del lavoro laureato e specializzato a Padova, che lavorava in Friuli e che avrebbe potuto seguirmi in loco, se io avessi trovato una fonderia da studiare. Tra le altre cose, mi raccontò che questo medico, carnico, aveva messo assieme un gruppo musicale assieme ad amici padovani; fin qui nulla di strano se non fosse che essi cantavano in carnico, anzi nel dialetto di Comeglians, il paese di Giorgio. Una sorta di “canzoniere popolare” nato attorno alle liriche di Giorgio, musicate dal gruppo, ottenendo una fusione tra musica e poesia, ancora oggi attualissima nei contenuti. Così un giorno mi sono presentato in via Manzoni, a Udine, e, davanti a nuvole di fumo originate dalla sigaretta che stava fumando e dall’altra ancora accesa e dimenticata sul posacenere, gli ho spiegato il progetto. Si era subito dimostrato entusiasta, anche se devo dire che al primo impatto mi era sembrato un po’ caotico e dispersivo; sembrava interessato ma nello stesso tempo occupato nei pensieri (ed anche nel concreto, come scoprirò più tardi) su cento altri progetti. La collaborazione con lui per la mia tesi, alla fine, non è andata in porto a causa di alcuni problemi e disguidi tra tempi miei e suoi e per alcuni problemi con l’Università. E’ stato per me comunque un incontro importante perchè ho percepito la passione per un lavoro e per una disciplina, la medicina del lavoro, vista anche e soprattutto dalla parte dei lavoratori. Ciò mi ha rinforzato nella prosecuzione dello studio e del lavoro sulla strada che avevo già scelto, optando per esami complementari relativi all’area della medicina del lavoro. Alcuni anni dopo, alla fine degli anni ’80, il destino ci ha fatti rincontrare: avevo fatto domanda per un incarico di assistente medico nel Settore Igiene Pubblica di Udine e l’avevo vinto. Quando sono andato all’ufficio Personale ho scoperto che il posto che avrei occupato era il suo, lasciato libero grazie al fatto che lui era “passato di grado”, diventando “aiuto”, nello stesso Settore. Anche in quel caso però non abbiamo lavorato assieme perchè mi hanno mandato a fare il medico in un Distretto. Lì però ho iniziato ad accorgermi di alcune prestazioni insensate, di scarso significato sanitario, o inutili, che venivano effettuate negli ambulatori di quello che veniva definito ancora “ufficiale sanitario”. E questo è stato il legante che, quando ci siamo incontrati per la terza e definitiva volta, in cui finalmente abbiamo iniziato a lavorare assieme, ci ha accomunato nelle attività a favore della semplificazione e della lotta alla burocrazia. Nel 1997, anche in questo caso fortuitamente, lui decise di trasferirsi a lavorare in Alto Friuli, visto che si era trasferito anche come domicilio a Comeglians. Contemporaneamente io avevo ricevuto un offerta per dirigere il Dipartimento di Prevenzione proprio dell’Alto Friuli. Ci siamo così ritrovati sotto lo stesso tetto. Gli ho proposto di diventare Responsabile dell’Igiene degli Alimenti e lui ha accettato, diventando così un punto di riferimento per molti operatori pubblici, stanchi di lavorare come automi, basandosi solo normative vecchie e spesso assurde, ma soprattutto per molti operatori del settore, che lo sentivano dalla loro parte, che sentivano di essere capiti nelle loro esigenze, come probabilmente lo erano stati gli operai degli anni ’80, e che per questo gli sono stati vicini, anche come categorie, nel sostenere le sue lotte alla burocrazia. Memori quindi delle giornate passate dietro le scrivanie degli ambulatori, costretti spesso a rilasciare certificati che, come dice nel suo libro <<Il certificato come sevizia>>, “non certificano nulla di certificabile; e costringono il medico che li rilascia ad illazioni, predizioni, previsioni, ed a un esercizio della prognostica che si rivela molto prossimo alla divinazione” abbiamo deciso di dedicarci allo studio di un percorso di semplificazione normativa . Partendo da quelle comuni esperienze infatti abbiamo deciso di proporre, a vari livelli, un percorso di “sburocratizzazione”; così abbiamo proposto incontri tra colleghi, con le categorie interessate, dibattiti pubblici, fatto “lobbing” per proporre leggi di abolizione dei certificati. Abbiamo capito che non eravamo soli, che qualcosa si stava muovendo contemporaneamente in molte altre parti d’Italia. Abbiamo aderito al gruppo che si occupa di lavorare basandosi sulle evidenze di efficacia del proprio lavoro (EBP, Evidence Based Prevention). Lui però era, anche in questo caso, una spanna sopra. La sua cultura, umanistica e scientifica, gli faceva trattare l’argomento con facilità e ironia; il lavoro era sempre accompagnato dalla rigorosa ricerca bibliografica e pertanto inoppugnabilmente documentato. La sua testardaggine assieme alla consapevolezza di avere la ragione dalla sua, gli facevano affrontare discussioni interminabili su commi e codicilli, articoli e interpretazioni autentiche di leggi, di fronte a burocrati regionali, comunali, prefettizi, scolastici, statali e parastatali. Queste doti, mirabilmente comprese nel libro citato, lo hanno fatto conoscere a livello nazionale, tanto che era stato chiamato a far parte della Comitato Scientifico EBP, creato dal Ministero della Salute. Il suo lavoro ha contribuito a far licenziare dal Senato il 12 dicembre scorso, il disegno di legge n.1249 “Disposizioni per la semplificazione degli adempimenti amministrativi connessi alla tutela della salute”. In esso si cancellano, anche se non tutte, molte “sevizie” individuate da Giorgio nel suo libro, tanto da farlo passare, almeno in parte, come un libro di storia. Il suo contributo l’ha dato; ora, come mi ha detto pochi giorni prima di lasciarci, dobbiamo continuare noi. marzo 2008 Paolo Pischiutti