Consiglio di Stato, sez. VI, 30 maggio 2014, n. 2825

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Consiglio di Stato, sez. VI, 30 maggio 2014, n. 2825
Consiglio di Stato, sez. VI, 30 maggio 2014, n. 2825
Edilizia e urbanistica - Recupero abitativo sottotetti - Indice rivelatore dell'intenzione di rendere
abitabile in via permanente un locale sottotetto.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul
ricorso
numero
di
registro
generale
8834
del
2013,
proposto
da:
I Garofani Costruzioni S.r.l., rappresentato e difeso dagli avv. Riccardo Villata, Andreina Degli
Esposti, con domicilio eletto presso E Assoc. Villata Degli Esposti in Roma, via L. Bissolati N.
76;
contro
Comune di Milano, rappresentato e difeso dagli avv. Antonello Mandarano, Paola Cozzi,
Raffaele Izzo, con domicilio eletto presso Raffaele Izzo in Roma, Lungotevere Marzio, 3;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA - MILANO: SEZIONE II n. 02605/2013, resa tra le parti,
concernente della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA - MILANO: SEZIONE II n. 02605/2013, resa
tra le parti, concernente ordine demolizione opere edilizie
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Milano;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 maggio 2014 il Cons. Sergio De Felice e uditi per
le parti gli avvocati Degli Esposti, Villata e Izzo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso proposto dinanzi al tribunale amministrativo regionale per la Lombardia la società I
Garofani s.r.l. agiva per l'annullamento del provvedimento prot. n. 122779/2013 del 14
febbraio 2013 che annullava il titolo abilitativo edilizio formatosi sulla D.I.A. prot. n.
440989/2012 del 3 luglio 2013, così come modificata con D.I.A. prot. n. 841717/2012 del 27
dicembre 2012, e contestuale ordine di sospensione immediata delle opere in corso ed avvio
del procedimento finalizzato all'applicazione delle sanzioni di cui al d.p.r. n. 380/2001.
La società Garofani Costruzioni s.r.l. aveva in data 3 luglio 2012 presentato al Comune di
Milano una denuncia di inizio attività finalizzata alla demolizione di un fabbricato esistente e
successiva realizzazione di un edificio formato da quattro piani fuori terra, avente destinazione
residenziale; tale atto era stato seguito da una successiva denuncia in variante del 27
dicembre 2012, depositata dall’interessata anche al fine di ottemperare ad alcuni rilievi
formulati dall’Amministrazione sulla denuncia originaria.
Il Comune, con provvedimento del 14 febbraio 2013, disponeva l’annullamento del titolo
edilizio formatosi in esito ai suindicati atti, ordinando altresì la sospensione delle opere in corso
e la demolizione di quelle eseguite con ripristino della situazione preesistente.
Per giustificare il disposto annullamento, l’Amministrazione adduceva il ritenuto superamento,
da parte dell’immobile oggetto della DIA, dell’altezza massima (m. 13,50) prevista dall’art. 28
del vigente PRG per la zona in cui lo stesso immobile è ubicato, risultando decisivo in tal senso
il computo, ai fini del calcolo dell’altezza complessiva dell’intero edificio, del piano sottotetto
(che, secondo la stessa Amministrazione, possiede i requisiti dell’abitabilità).
La società ricorrente contestava tale conclusione, rilevando che il sottotetto, contrariamente a
quanto sostenuto dal Comune di Milano, non può considerarsi “piano abitabile” e non può
quindi essere computato ai fini del calcolo dell’altezza complessiva dell’immobile, tenuto conto
che questa, in base alla normativa comunale, deve essere misurata all’intradosso dell’ultimo
piano abitabile.
Il giudice di primo grado rigettava il ricorso, ritenendo che sia necessario effettuare una
valutazione complessiva delle caratteristiche atta a verificare se il locale in questione possa o
meno essere considerato ambiente idoneo allo svolgimento della vita domestica; quando per le
sue caratteristiche complessive il locale si appalesa idoneo ad assolvere a tale funzione, si deve
giungere alla conclusione che esso sostenga carico urbanistico e che quindi non possa essere
considerato alla stregua di un vano tecnico non abitabile; in presenza di univoci elementi che
denotano l’intenzione di rendere abitabile il locale, perde di rilevanza il fatto che siano stati
adottati accorgimenti surrettizi (quali la tamponatura di alcune finestre) finalizzati a rendere i
rapporti di aero-illuminazione inferiori rispetto ai parametri previsti dalla normativa edilizia
vigente; al contrario, tale circostanza aggrava la posizione di colui che chiede l’assenso per la
sua realizzazione, giacché non è possibile autorizzare la costruzione di locali in sostanza
destinati alla presenza di persone quando questi non rispettino i rapporti di aero - illuminazione
suindicati.
Con riguardo alle altezze, secondo la sentenza appellata, quando un ambiente possieda nel suo
complesso caratteristiche oggettive, tali da renderlo idoneo ad ospitare la vita domestica, al
fine di escludere la volontà del privato di destinarlo a funzione abitativa, non si può addurre la
circostanza che la sua altezza sia di poco inferiore rispetto a quella prescritta dal regolamento
edilizio per i vani abitabili; anche in questo caso, come nel precedente, si deve ritenere che
tale caratteristica, lungi dal dimostrare un differente intento del costruttore, costituisca
elemento ulteriormente ostativo all’assentibilità dell’intervento; nel caso di specie non era
contestato che il locale sottotetto di cui alla DIA oggetto del provvedimento impugnato, oltre
ad essere suddiviso in diversi vani collegati ai locali sottostanti da scala interna, possiede altre
numerose caratteristiche che ne testimoniano la funzione abitativa; in particolare, il primo
giudice rilevava come esso fosse: a) dotato di impianto di riscaldamento ed impianto elettrico;
b) dotato di servizio igienico avente dimensioni ben maggiori rispetto a quelle minime previste
dal regolamento edilizio; c) destinato ad essere intonacato e rifinito a “civile abitazione”. Tali
elementi suffragavano la convinzione che la reale intenzione del ricorrente fosse quella di
destinare, in futuro, tali locali, alla funzione abitativa già virtualmente impressa, con
correttezza del computo di tale locale ai fini del calcolo dell’altezza complessiva dell’edificio.
Il giudice di primo grado rigettava altresì la censura con cui si lamentava in subordine la
sproporzione della misura adottata dall’Amministrazione, la quale aveva annullato il titolo
edilizio nella sua interezza, anziché annullare parzialmente, con riferimento al solo sottotetto,
potendo comunque l’interesse del privato, volto a mantenere in essere quella parte di progetto
e di opere non in contrasto con la normativa urbanistico – edilizia, essere adeguatamente
salvaguardato dalla possibilità di presentare istanza di permesso di costruire in sanatoria,
previa modifica delle parti progettuali che sono invece in contrasto con la normativa stessa.
Avverso la sentenza di primo grado, ritenuta errata ed ingiusta, propone appello la società I
Garofani s.r.l., che si affida ai seguenti motivi di appello.
L’operato del Comune e la sentenza di primo grado sono errate nei punti in cui hanno ritenuto
di individuare da bagni regolamentari, tamponamenti fissi e serramenti esterni indici rivelatori
della volontà di rendere permanentemente abitativo il sottotetto, mentre concetti diversi
esprimono le normative in materia; la legge regionale lombarda n. 12 del 2005 all’art. 63
definisce i sottotetti quei “volumi sovrastanti l’ultimo piano degli edifici dei quali sia stato
eseguito il rustico e completata la copertura”, che abbiano un’altezza media ponderale non
superiore a m.2,40; la circolare n.1 del 2009 del Comune di Milano prevede che per essere
computati nella S.L.P. debbano avere un’altezza media comunque inferiore ai mt.2,40
(calcolata al lordo di ogni intercapedine tecnica, controsoffitto o altro e quindi dagli intradossi
dei solai) nonché rapporti aeroilluminanti decisamente inferiori a quelli previsti per gli spazi
abitabili; il regolamento edilizio del Comune di Milano prevede che nella superficie s.l.p. non
vanno ricompresi “pur trattandosi di spazi che consentono l’insediamento di abitanti….le
superfici dei piani sottotetto, che non hanno i requisiti di abitabilità, pari o inferiori alla
superficie dell’ultimo piano”; in tali piani “è sempre ammessa la realizzazione di servizi
igienici”; i “sottotetti possono essere adibiti – con esclusione dell’abitazione – a locali accessori
alla residenza, quali ripostiglio, guardaroba, lavanderia, nonché…servizi igienici con superficie
minima di mq.2 e lato minimo di mt1,20 anche a ventilazione forzata”.
Partendo da tali dati normativi e regolamentari, l’appello deduce che nella specie: l’altezza
media ponderale del piano sottotetto è pari a 2,24/2,25 metri e quindi inferiore a mt 2,40
prescritti ai fini dello scomputo del locale dalla s.l.p.; è ammessa la realizzazione di servizi
igienici, né essa dimostra necessariamente la volontà di rendere abitabile il sottotetto; i
rapporti aeroilluminanti in progetto sono pari a 1/15 e quindi inferiori a 1/10 prescritti per i
locali abitabili; l’edificio ha un’altezza calcolata all’intradosso della soletta dell’ultimo piano
abitabile pari a 13,30 metri, inferiore ai 13,50 prescritti dall’art. 28 delle N.T.A. del P.R.G., che
si assume violato.
Secondo l’appello, è errato il ragionamento del Comune di ritenere che il sottotetto progettato
sarebbe certamente idoneo a consentire la permanenza di persone e tale condizione
renderebbe il progetto inammissibile anche sotto l’ulteriore profilo della violazione del vincolo
di altezza dell’edificio (13,5 m) imposto per il particolare ambito, in quanto i sottotetti milanesi,
pur perfettamente utilizzabili dalle persone e quindi diversamente dai volumi tecnici, non
“cubano”.
In definitiva, i sottotetti in questione non sarebbero da ritenere alla stregua di locali abitativi,
essendo essi solo accessori alla residenza, come ripostigli, lavanderia, guardaroba ed essendo
organizzati in un unico ambiente open space senza suddivisione interna, salvo il servizio
igienico, a differenza delle abitazioni sottostanti, divise in diversi locali, zona giorno, zona
notte, locale cucina e bagno.
Con l’appello si contesta anche l’affermazione sostenuta dal Comune che i sottotetti siano
dotati dello stesso numero di finestre dei piani sottostanti, in quanto si tratta di finte finestre,
presenti solo in facciata e adeguatamente tamponate internamente con opere in muratura.
Con riguardo al servizio igienico, ritenuto un indice della volontà di rendere abitabile il
sottotetto, l’appello fa presente come la normativa citata ne prevede espressamente la
realizzabilità, stabilendone anche i requisiti dimensionali e funzionali minimi.
Si contestano le conclusioni del Comune di Milano, condivise dal primo giudice, secondo cui il
sottotetto è destinato ad un uso abitativo, che non può trattarsi di volume tecnico e che
occorre effettuare una valutazione complessiva.
Infatti, oltre ai sottotetti destinati alla permanenza abitativa delle persone e ai volumi tecnici,
esiste la categoria intermedia dei sottotetti destinati ad usi accessori alla residenza con
presenza non permanente di persone e in tale categoria rientrerebbe il sottotetto in questione.
Con altro motivo, proposto in via subordinata, l’appello lamenta la erroneità della sentenza
laddove ha ritenuto di annullare integralmente il titolo edilizio abilitativo formatosi sulla
denuncia di inizio di attività: anche ritenendo la illegittimità della denuncia di inizio di attività
nella realizzazione di un sottotetto dichiarato senza presenza permanente di persone ma
secondo il Comune predisposto ad usi abitativi, il Comune avrebbe dovuto limitare
l’annullamento del titolo a tali soli locali, anziché a tutto l’edificio, con salvezza delle aree non
impegnate dall’abuso in quanto tale.
Si è costituito il Comune di Milano ribadendo la legittimità del suo operato e chiedendo il
rigetto dell’appello; deduce come nella specie il sottotetto abbia le caratteristiche e le
dimensioni praticamente assimilabili a quelle di una normale abitazione.
Secondo la difesa comunale, il sottotetto, valutabile perché ritenuto abitabile, ai fini del
superamento dell’altezza massima consentita per gli edifici nella zona, è di dimensione
coincidente con le rispettive unità immobiliari sottostanti, con lo stesso numero di finestre, ad
eccezione di due aperture lungo la parete perimetrale posta a nord e le scale d’accesso al
piano sottotetto, posizionate all’interno delle unità immobiliari sottostanti, che confermano
l’utilizzo esclusivo dei due sottotetti da parte di coloro che abitano gli appartamenti del terzo
piano. Sintomatiche sarebbero anche le circostanze della dimensione del bagno, non inferiore a
quella regolamentare e dotata di finestra ancorchè sia possibile la sola ventilazione forzata.
Nel sopralluogo sono state accertate l’installazione della vasca da bagno nei locali igienici e la
creazione di una non denunciata intercapedine nella soletta di copertura avente profondità di
oltre 7 centimetri tale da portare artificiosamente l’altezza interna del sottotetto a quota
superiore a metri 2,40.
Alla udienza pubblica del 13 maggio 2014 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1.Con l’appello viene riproposto il motivo, già respinto in primo grado, relativo alla illegittimità
del provvedimento comunale di annullamento del titolo edilizio formatosi a seguito di
presentazione di DIA.
Il Comune di Milano, a giustificazione del disposto annullamento, ha argomentato dal ritenuto
superamento, da parte dell’immobile oggetto della DIA, dell’altezza massima (m. 13,50)
prevista dall’art. 28 del vigente PRG per la zona in cui lo stesso immobile è ubicato; a tale
computo risultando decisivo, ai fini del calcolo dell’altezza complessiva dell’intero edificio,
anche il calcolo del piano sottotetto che, secondo la stessa Amministrazione, possiede i
requisiti dell’abitabilità.
L’appellante, come in primo grado, si premura di contestare tale ragionamento, deducendo
come il sottotetto, contrariamente a quanto sostenuto dal Comune di Milano, non possa
considerarsi “piano abitabile” e quindi essere computato ai fini del calcolo dell’altezza
complessiva dell’immobile, tenuto conto che questa, in base alla normativa comunale, deve
essere misurata all’intradosso dell’ultimo piano abitabile.
2. Il motivo di appello è infondato.
Nella specie, la rilevanza dell’abitabilità potenziale in via permanente del sottotetto riguarda la
possibilità di computarlo nel misurare il rispetto del limite di altezza previsto dalla normativa
urbanistica per un intervento di ricostruzione di fabbricato residenziale successivo alla
demolizione.
La giurisprudenza in materia si è affidata al richiamo di indici rivelatori e alla rilevanza di tutte
le circostanze fattuali.
L’appellante invoca il regolamento edilizio laddove prevede che non debbano essere computati
nella superficie gli spazi che pur comportando l’insediamento di abitanti e in cui è ammessa la
realizzazione di servizi igienici, presentino determinate caratteristiche, per esempio di altezza
media non superiore a metri 2 e 40.
La Sezione è consapevole della circostanza che la normativa urbanistica vigente nel Comune di
Milano, nel prevedere una tripartizione tipologica tra abitazione, sottotetti abitabili in via non
permanente, e volumi tecnici non abitabili introduce elementi valutativi in ordine alla seconda
tipologia di natura finalistica e quindi non certi. E tale previsione andrebbe opportunamente
rivalutata dal Comune di Milano quanto meno per meglio chiarire gli elementi fisici e strutturali
che possano determinare in maniera certa tale distinzione.
Nella situazione normativa vigente, peraltro, il Giudice, allo scopo di verificare se il sottotetto
abbia caratteristiche inidonee a essere abitato in via permanente e ne possa essere quindi
esclusa la rilevanza ai fini dell’altezza massima dell’edificio, è tenuto a condurre un’analisi
rapportata alla situazione di fatto, in modo da evitare che la costruzione, per caratteristiche
oggettive, si risolva in una sostanziale elusione della sopra richiamata disciplina urbanistica
attualmente vigente nel Comune di Milano.
A tal fine, può essere utilmente richiamata la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato che,
anche quando formatasi con riferimento alla diversa fattispecie della distinzione tra locali
abitabili e volumi tecnici (diversa da quella ricorrente nel caso in esame), consente di trarre
indici rivelatori (anche) dell’abitabilità in via permanente dei locali sottotetti.
In altri termini, al fine di stabilire se un locale abbia o meno i requisiti dell’abitabilità, è
necessario effettuare una valutazione complessiva delle sue caratteristiche atta a verificare se
il locale in questione possa o meno essere considerato ambiente idoneo allo svolgimento della
vita domestica; quando per le sue caratteristiche complessive il locale si appalesa idoneo ad
assolvere a tale funzione, si deve giungere alla conclusione che esso sostenga carico
urbanistico.
Sulla
base
della
giurisprudenza,
può
ritenersi
che
possa
costituire
indice
rivelatore
dell'intenzione di rendere abitabile in via permanente un locale sottotetto il fatto che questo sia
suddiviso in vani distinti e comunicanti con il piano sottostante mediante una scala interna o
che il piano di copertura, impropriamente definito sottotetto, costituisca in realtà una
mansarda in quanto dotato di rilevante altezza media rispetto al piano di gronda (cfr.
esemplificativamente, Consiglio di Stato, sez. IV, 7 febbraio 2011 n. 812). Né a conclusione
contraria può indurre la circostanza che (ricorrente nella specie), alcune delle finestre poste in
detto locale siano state tamponate in modo da contenere il rapporto di aero-illuminazione al di
sotto dei parametri previsti dal regolamento edilizio per i locali abitabili; e ciò in quanto la
tamponatura delle finestre è un’operazione in sé talmente semplice, reversibile e surrettizia da
non privare l’ambiente della sua intrinseca qualità abitativa; e quindi non può considerarsi
volume tecnico un locale con requisiti di abitabilità, reso non abitabile con una semplice
operazione di tamponamento delle finestre (così, Cons. St., sez. IV, 7 febbraio 2011 n. 812).
In altre parole, quando una costruzione abbia già raggiunto o sia poco al di sotto dell’altezza
massima consentita a un edificio, non è consentita una qualificazione negativa (nel senso che
non si computa a fini di altezza) del sottotetto, che, per le caratteristiche di sostanziale identità
con quelle delle abitazioni sottostanti, si traduca in un sostanziale innalzamento dell’edificio
assentito in elusione della stessa normativa invocata sull’utilizzazione dei sottotetti per finalità
abitative non stabili.
Infatti la ratio della norma che vieta il superamento dei limiti di altezza previsti dagli strumenti
urbanistici è senza dubbio quella di evitare che attraverso il recupero abitativo dei sottotetti
esistenti vengano nei fatti eluse o violate le prescrizioni urbanistiche vincolanti in tema di
altezza massima di edifici.
In presenza di univoci elementi che denotano l’intenzione di rendere abitabile il locale, perde di
rilevanza il fatto che siano stati adottati accorgimenti surrettizi (quali la tamponatura di alcune
finestre) finalizzati a rendere i rapporti di aero-illuminazione inferiori rispetto ai parametri
previsti dalla normativa edilizia vigente. Allo stesso modo, con riferimento alle altezze, quando
un ambiente possiede nel suo complesso caratteristiche oggettive, tali da renderlo idoneo ad
ospitare stabilmente la vita domestica, al fine di escludere la volontà del privato di destinarlo a
funzione abitativa, non si può addurre la circostanza che la sua altezza sia di poco inferiore
rispetto a quella prescritta dal regolamento edilizio per i vani abitabili. Anche in questo caso,
come nel precedente, si deve ritenere che tale caratteristica, lungi dal dimostrare un differente
intento
del
costruttore,
costituisca
elemento
ulteriormente
ostativo
all’assentibilità
dell’intervento.
Nella specie, la considerazione del sottotetto quale elemento abitabile in via permanente rileva
ai fini del complessivo computo delle altezze e del rispetto di quanto prevede la normativa
urbanistica (limite di metri 13 e 50 ai fini della ricostruzione del fabbricato).
Nella fattispecie esaminata non è contestato, ed anzi è ammesso, che il locale sottotetto di cui
alla DIA oggetto del provvedimento impugnato, oltre ad essere suddiviso in diversi vani
collegati ai locali sottostanti da scala interna, possieda altre numerose caratteristiche che dal
punto di vista fattuale ne testimoniano la funzione abitativa.
Si rileva come esso: a) sia dotato di impianto di riscaldamento ed impianto elettrico; b) sia
dotato di servizio igienico avente dimensioni ben maggiori rispetto a quelle minime previste dal
regolamento edilizio; c) sia destinato ad essere intonacato e rifinito a “civile abitazione”.
L’intervento edilizio di nuova edificazione raggiunge l’altezza di metri 13 e 30 già in
corrispondenza del sottostante piano abitabile; lo spazio sottotetto, al di sopra, presenta
caratteristiche di abitabilità e anche un ingombro fisico esterno identico a quello del piano
sottostante, di cui costituisce replica sia in pianta che in totalità di facciata; il piano sottotetto,
quindi, si trova ad occupare uno spazio aereo per la quasi totalità al di sopra del limite imposto
dagli strumenti urbanistici comunali; come riferisce il Comune, il regolamento edilizio comunale
prevede (art. 10 comma 2.7) che sono escluse dal computo (soltanto) le superfici dei piani
sottotetto che non hanno i requisiti di abitabilità, pari o inferiori alla superficie dell’ultimo
piano.
Come emerge dalle planimetrie allegate, richiamate dalla difesa comunale, sussiste una
sostanziale coincidenza di dimensione delle rispettive unità immobiliari poste al piano
sottotetto e al piano sottostante; le unità immobiliari sono dotate di un identico numero di
bagni regolamentari e dello stesso numero di finestre, con l’unica eccezione di due aperture
lungo la parete perimetrale posta a nord.
Tali elementi, sulla base dei principi giurisprudenziali richiamati, sono idonei a suffragare la
convinzione che la reale intenzione del ricorrente sia quella di destinare tali locali, alla funzione
abitativa già virtualmente impressa.
La circostanza addotta dall’appello che il regolamento edilizio ammetta che anche i locali privi
dei requisiti dell’abitabilità possano presentare le caratteristiche suindicate (e quindi possano
essere dotati di impianto di riscaldamento ed elettrico, di bagno, e possano essere intonacati)
non può portare, nel contesto dianzi delineato, a diversa conclusione.
Né, per la stessa ragione, vale il richiamo alla legge regionale (n. 12 del 2005) - che consente
e anzi favorisce il recupero abitativo dei sottotetti, contemplando quindi una categoria di
sottotetti non ancora divenuti abitabili ma che sono appunto destinati a diventarlo - a
sostenere che in teoria sono ammissibili sottotetti non abitabili, in quanto, come visto, la
abitabilità deve essere valutata in concreto.
Infatti, essendo complessiva la valutazione che deve essere effettuata dal Comune, non è
escluso che locali oggettivamente inidonei ad assolvere alla funzione abitativa (ad esempio
perché particolarmente bassi o poco illuminati) possiedano una o più delle suindicate
caratteristiche, ma se la combinazione di queste comprova inequivocabilmente la volontà di
imprimere ai locali tale funzione, non è possibile invocare le suddette prescrizioni del
regolamento edilizio per giungere a conclusioni contrarie.
In definitiva, deve ritenersi che la valutazione compiuta dal Comune di Milano, secondo il quale
il locale sottotetto oggetto del provvedimento impugnato possiede i requisiti dell’abitabilità in
via stabile, sia nella sostanza condivisibile e che correttamente tale locale sia stato computato
ai fini del calcolo dell’altezza complessiva dell’edificio.
3.Con altro motivo di appello, proposto in via subordinata per il caso di rigetto del precedente
motivo, viene lamentata la sproporzione della misura adottata dall’Amministrazione, la quale,
con l’atto qui gravato, ha deciso di annullare il titolo edilizio nella sua interezza; sarebbe stata
adeguata
e non
sproporzionata
la
disposizione di
un
annullamento parziale, riferito
esclusivamente al sottotetto, ritenendo che l’interesse del privato volto a mantenere in essere
quella parte di progetto e di opere non in contrasto con la normativa urbanistico - edilizia
possa essere adeguatamente salvaguardato dalla possibilità di presentare istanza di permesso
di costruire in sanatoria, previa modifica delle parti progettuali che sono invece in contrasto
con la normativa stessa.
Ad opinione del Collegio, il provvedimento sanzionatorio è illegittimo nella misura in cui, in
presenza del palese interesse della parte privata al mantenimento di buona parte della
costruzione realizzata, ribadito anche in giudizio, riguardi l’intero titolo edilizio considerando
l’edificio abusivo nella sua interezza e quindi le opere edilizie nella loro integralità e non con
riferimento alla sola parte del manufatto che supera il limite di altezza (Consiglio di Stato sez.
IV, 14 aprile 2011, n. 2326).
4. Sulla base delle sopra esposte considerazioni, l’appello va accolto in parte nei limiti di cui in
motivazione e va respinto per il resto; conseguentemente, in riforma dell’appellata sentenza, il
ricorso originario va accolto nei limiti di cui in motivazione e va respinto per il resto.
Sussistono giusti motivi per disporre tra le parti la compensazione delle spese di giudizio del
doppio grado, a causa della soccombenza reciproca.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando
sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie ai sensi e limiti di cui in motivazione,
respingendolo per il resto; conseguentemente, in riforma dell’appellata sentenza, accoglie in
parte il ricorso originario ai sensi e nei limiti di cui in motivazione, respingendolo per il resto.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.