piero gobetti_un intellettuale concreto

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piero gobetti_un intellettuale concreto
Piero Gobetti – un intellettuale “concreto”
GLI STUDI ED “ENERGIE NUOVE”
Piero Gobetti nasce a Torino il 19 giugno 1901 da Giovanni Battista Gobetti e Angela Canuto. I genitori
gestiscono un piccolo negozio nel capoluogo piemontese. L’educazione del piccolo Piero, secondo quanto
egli afferma, è lasciata principalmente a lui stesso. Nonostante questo per i genitori l’avvenire del loro
unico figlio è il loro pensiero dominante. Terminate le scuole elementari s’iscrive al ginnasio Cesare Balbo
a Torino. In questo periodo, attraverso i suoi scritti in terza persona, mostra di sentirsi solo, poco stimato
e insicuro. Nel 1916 passa al liceo classico Vincenzo Gioberti, presso cui conosce colei che diventerà la
sua futura moglie: Ada Prospero. Il Gioberti ha come professori Umberto Cosmo, Luigi Galante e Balbino
Giuliano. Quest’ultimo, professore di filosofia e collaboratore del settimanale “L’Unità” di Salvemini, ha una
grande influenza sul giovane Gobetti. Sempre durante il liceo egli si dedica alle letture di Croce, Gentile,
Bissolati, Prezzolini, Salvemini e Papini, da cui apprende e fa propria la visione dell’intellettuale come
rinnovatore capace di agire nel concreto nel bene della nazione. La figura di Balbino Giuliano trasmette a
Gobetti sentimenti di patriottismo e d’interventismo democratico, propri anche di Salvemini.
Al termine della Prima Guerra Mondiale e ripresa la vita normale Piero è cofondatore di un periodico
studentesco di cultura che s'occuperà di arte, letteratura, filosofia, questioni sociali”. Questa rivista
quindicinale è “Energie Nove”, il cui primo numero vede la luce il primo novembre 1918. Questo periodico
riprende e condivide le idee liberali espresse da Salvemini e da “L’Unità”, ma senza esserne un suo
doppione. In Energie Nove, oltre agli approfondimenti e alle interviste di personaggi politici, si concedono
ampi spazi all’arte e alla letteratura. La rivista gobettiana non ha un manifesto di intenzioni, questa
mancanza viene sopperita con l’articolo di Balbino Giuliano “Rinnovamento” apparso sulla rivista di
trincea “San Marco”. Giuliano stesso è uno dei più prestigiosi collaboratori e articolista politico di Energie
Nove, almeno per i primi numeri, a dimostrazione di quanto Piero condividesse le idee politiche del suo
professore di liceo. Energie Nove appare come una rivista in cui l’aspetto politico, quello letterario e quello
filosofico confluiscono in un obiettivo pedagogico dei giovani redattori, con lo scopo di rinnovare lo spirito
nazionale. Ciò porta, in autonomia dalla politica a passare al vaglio gli intellettuali del periodo. La battaglia
contro singole figure del panorama culturale o politico accompagna l’esordio stesso della rivista. Vittime di
questi sferzanti attacchi sono, tra gli altri: l’italianista Vittorio Cian, il filosofo Giovanni Vidari e anche il
poeta Gabriele D’Annunzio. Nell’autunno del 1918 si iscrive alla facoltà di giurisprudenza presso l’università
di Torino. Presso di essa insegnano, tra gli altri, Luigi Einaudi, Giuseppe Prato, Gaetano Mosca e Giuseppe
Solari. Ad esclusione del legame stretto con Solari l’esperienza universitaria pare non segnare
particolarmente Gobetti: frequenta poco la facoltà e raramente ne parla nelle sue lettere. Durante il suo
periodo universitario Piero scrive diversi articoli con giudizi poco generosi verso i professori, sia di liceo che
di università, in cui denuncia la loro ignoranza e in cui si pone egli stesso come educatore. Se ciò a prima
vista può sembrare un atteggiamento pretenzioso, se non proprio arrogante, esso va rivisto considerando i
fattori sociologici e caratteriali di Piero. Il mondo della cultura in quel periodo doveva sembrare una realtà
piuttosto ingessata e priva di mobilità sociale per il piccolo borghese Gobetti, realtà a cui egli vi era giunto
non per eredità familiari ma solo con le sue forze. In una ambiente così asfittico si intuisce che il compiere
gesti eclatanti risulti essere una, se non l’unica, via per farsi notare. Il pensiero di Gobetti in quegli anni ha
come punto saldo il messianismo della giovinezza, secondo cui i giovani italiani, essendo figli della
rivoluzione causata dalla Grande Guerra, avrebbero avuto il potere di detronizzare gli intellettuali saliti alla
ribalta con pochi meriti. Ai giovani, secondo l’intellettuale torinese, spetta il compito di creare il nuovo
italiano. La concezione che egli ha della cultura è aristocraticamente basata sulla comprensione intuitiva di
essa stessa da parte di piccoli gruppi elitari di giovani, da cui essa possa essere divulgata.
DALLA LEGA SALVEMINIANA A “LA RIVOLUZIONE LIBERALE”
Nel 1919 Gobetti prende parte a riunioni, congressi e incontri del gruppo di intellettuali che fanno capo a
Salvemini e al suo settimanale. Piero partecipa con vera e franca passione all’impegno politico degli unitari,
promuovendo il gruppo torinese de “L’Unità” e poi recandosi in aprile a Firenze per il primo congresso
nazionale. Nella città toscana gli unitari fondano la “Lega democratica per il rinnovamento della politica
nazionale”, una formazione politica che porterà a coinvolgere personalità sia legate alla rivista salveminiana
che non. Il Congresso degli unitari consente al giovane Piero di incontrare dal vivo i suoi maestri quali
Salvemini (di cui scriverà: “è un genio”) e Prezzolini (“l’editore più intelligente d’Italia”), oltre a Radice,
Formentini, Ojetti e Lombroso. L’entusiasta Gobetti però deve scontrarsi con una certa assenza di chiarezza
all’interno della lega, che appare divisa su molte questioni. Questa formazione politica però avrà vita breve.
Essa non riuscirà a presentarsi alle elezioni del 1919 e nel giugno del 1920 ne sarà decretato lo
scioglimento. Durante l’unico anno di attività della Lega democratica si nota come il ruolo di intellettualepolitico non dispiaccia affatto a Piero, inserito in una formazione politica con i tratti del partito degli
intellettuali. Di certo è proprio la visione messianica e rigeneratrice che Gobetti ha della società lo porta,
quale suo sbocco ovvio e naturale, all’incontro con la politica. Probabilmente Salvemini comprende le
qualità del giovane intellettuale, arrivando a proporgli la direzione del settimanale “L’Unità”. Tuttavia, tale
proposta viene lasciata cadere da Piero che, come afferma nel suo diario il 23 agosto 1919, non si sente
pronto per tale ruolo. In definitiva, l’unica parentesi di impegno politico di Piero termina con una sconfitta,
da cui però saprà trarre una serie di lucide lezioni. La rivista “Energie Nuove”, che aveva tenuto
un “benevole atteggiamento” verso la Lega salveminiana, termina le pubblicazioni il 22 febbraio del 1920.
La fine della rivista ha come causa la perdita di soddisfazione di Gobetti stesso verso la propria rivista,
soprattutto dopo aver constatato la debolezza del pensiero su cui essa si fondava. Nella prima metà del
1920 egli si ritira dalla vita pubblica dedicandosi all’arricchimento della propria cultura. La visione che ha
della realtà e del movimento operaio torinese di quegli anni risentono di uno scarso interesse empirico e ad
una scarsa conoscenza del pensiero socialista. Egli vede nello spirito che anima le masse operaie la
prosecuzione di quel rinnovamento portato dalla guerra, ripreso da persone desiderose di affermarsi come
produttori in libera e conflittuale competizione con gli imprenditori. Iniziato il servizio di leva privo di una
propria rivista, egli inizia a frequentare reti di intellettuali nuove, arrivando a scrivere per le riviste e i
giornali più disparati, trai i quali il “Resto del Carlino”, “L’Arduo”, la “Rivista d’Italia”, la “Rivista di
Milano”, “Nostra Scuola” ma anche per la rivista comunista “Ordine Nuovo”, su cui scrive come critico
teatrale con lo pseudonimo di Giuseppe Baretti. Per comprendere questa collaborazione, di certo inusuale
tra una rivista comunista e un liberale come Piero, occorre citare il fascino che la cultura russa aveva
esercitato su Gobetti. Questo fascino lo porta in breve ad interessarsi anche della situazione politica russa.
All’inizio del 1922 Piero viene congedato in anticipo dal servizio di leva per problemi di salute. Nello stesso
periodo vive un periodo d’incertezza, dovuto alla ricerca per sé di un ruolo attivo (e anche lavorativo)
nella società, in modo da porre su basi salde la propria situazione materiale. Sempre agli inizi del ’22, il 12
febbraio, esce il primo numero della sua nuova rivista settimanale, “La Rivoluzione Liberale”. Essa prosegue
quanto già iniziato con “Energie Nuove”, continuando la missione pedagogica di illuminare le future élite
dirigenti, unitariamente a spunti teorici tratti dalle lotte operaie di quegli anni di cui si è già fatto cenno. Nel
giugno dello stesso anno Piero si laurea con lode con una tesi sul pensiero politico di Vittorio Alfieri. Dopo
la marcia su Roma il sentimento più diffuso tra i lettori della “Rivoluzione Liberale” e i suoi protagonisti
è l’attendismo verso il fascismo, con casi alterni di appoggio e di opposizione. L’effetto immediato sulla
redazione è di dover meglio definire cosa si intende con autonomia degli intellettuali e in che senso parlare
di aristocrazie pedagogiche. Ad esso seguirà una dura polemica sull’apotismo di Prezzolini, considerata una
fuga dalla responsabilità, ma anche contro il messianismo populista fascista. Nel medesimo periodo “la
Rivoluzione Liberale” conduce una campagna di aspra critica nei confronti di Gentile in nome della
moralità e della correttezza degli intellettuali. A questo allontanamento da Gentile corrisponde per Piero
un avvicinamento al pensiero di Croce, che in quel periodo non si è ancora dissociato in modo netto dal
fascismo. Piero cita nella sua rivista i liberali Amendola ed Einaudi come esempi di coerenza per il loro
rifiuto a posti nel governo fascista in contrapposizione a Gentile, che invece aveva accettato il ruolo di
ministro dell’istruzione. Lo scontro tra il liberale siciliano e Gobetti si basa su una diversa visione di come
rinnovare il liberalismo italiano. Gentile auspica una concezione religiosa e totalitaria della politica e dello
stato, mentre Piero è orientato verso un liberalismo di stampo anglosassone ed individualista. Non a caso
tra la “Rivoluzione Liberale” e “Nuova politica Liberale”, rivista di area gentiliana, si ha, tra il ‘22 ed il’23, la
nascita d un violento scontro. Ulteriore argomento di critica e di ironia per Gobetti è la riforma della scuola
di Gentile, che avrebbe disegnato una scuola “delle padrone, dei servi e dei cortigiani”. Le critiche a Gentile
si estendono quando egli inizia a rappresentare una parte dell’intellettualità fascista. Dopo la marcia su
Roma aumenta la distanza politica tra Gobetti e gli altri liberali.
Nel gennaio del 1923 Piero si sposa con Ada Prospero. I due vanno ad abitare nella casa in via XX Settembre
60 a Torino, che diventerà la sede della sua casa editrice, la “Piero Gobetti Editore”, fondata nell’aprile
dello stesso anno. Questa piccola casa editrice, nella sua pur breve vita, riuscirà a pubblicare circa un
centinaio di libri, di autori quali Einaudi, Sturzo, Salvemini, Pareto, Salvatorelli, Amendola, oltre alla
raccolta di poesie “Ossi di seppia” di Montale. Quasi tutte le opere pubblicate hanno carattere antifascista.
Dall’inizio dello stesso anno “La Rivoluzione Liberale” inizia a svolgere una funzione aggregatrice per
le forze contrarie al fascismo. Mussolini ordina al prefetto di Torino di rendere la vita impossibile
all’intellettuale, definito “uno dei nemici più perfidi e innocui dell’attuale Governo”. Il 6 febbraio 1923
Piero viene arrestato assieme al padre e al gerente della tipografia di “La Rivoluzione Liberale” con l’accusa
pretestuosa di ricevere finanziamenti da stati esteri. Gobetti rigetta le accuse, definendosi critico verso il
fascismo e rivendicando la sua indipendenza di studioso estraneo ai gruppi politici.
IL LIBRO “LA RIVOLUZIONE LIBERALE”, IL BARETTI E L’ESILIO
Nel marzo del 1924 viene pubblicato da Cappelli Editore il primo ed unico libro politico di Gobetti: “La
Rivoluzione liberale. Saggio sulla lotta politica in Italia”. Il libro è composto da una raccolta di articoli
comparsi sull’omonima rivista nei due anni precedenti suddivisi in quattro libri. L’opera, dopo un
approfondimento della storia d’Italia, mettendone in vista le problematiche, approfondisce il pensiero
e le critiche ai partiti politici italiani ed infine espone la visione gobettiana di liberalismo. L’ultima parte
dell’opera è interamente dedicata al fascismo, di cui Gobetti detesta non tanto il ricorso alla violenza
quanto la vocazione unanimista e la pretesa d’incarnare l’Italia nel suo complesso. Piero mette in luce i
legami del regime con i peggiori lati del carattere italiano quali la cortigianeria, il conformismo, la vuota
retorica, l’abitudine a delegare la gestione della cosa pubblica all’uomo forte di turno. Ciò lo porta a
definire il fascismo “l’autobiografia della nazione” in quanto frutto delle tare storiche accumulate dall’Italia,
arrivando ad augurarsi che dall’avvento di Mussolini scaturisca una dittatura sanguinaria, al fine di
risvegliare il desiderio di lotta per la libertà negli Italiani. Da parte di Gobetti non si riscontrano denunce
dell’assenza di libertà in Italia, da lui imputata alla mancanza di dignità del popolo italiano e quindi non
direttamente imputabile all’operato di Mussolini. Nel frattempo l’ideale pedagogico di Piero diviene meno
elitario, in modo da favorire l’incontro tra le masse e il liberalismo. Il libro segna il passaggio definitivo dal
messianismo alla politica, dalla teoria alla pratica. Questo passaggio è perfettamente sintetizzato nelle
conclusioni dell’opera, in cui Piero non chiede lettori apatici, ma collaboratori, e ad essi il libro è dedicato.
Nella prima parte del libro il Risorgimento italiano è visto come una rivoluzione incompiuta, lasciata a metà
a causa di interessi ostili al progetto e all’impreparazione dei suoi attori principali, anche se il peggiore
vizio di quella stagione della storia italiana è individuato nel non aver coinvolto l’intera nazione ma solo
ristrette élite. Ciò, avrebbe causato un ritardo nella diffusione delle idee liberali e nel dirigere l’Italia
verso la modernità. Tali eventi, secondo l’intellettuale piemontese, sarebbero ostacolati nel nostro Paese
dai caratteri strutturali del capitalismo italiano, caratterizzato da mancanza di spirito imprenditoriale e
dall’assenza di volontà di progresso tecnico e sociale. La visione della società italiana contemporanea è
vista come mancante di una coscienza capitalistica e liberista, maggiormente orientata al protezionismo.
I proletari invece sono visti come ancora profondamente diseducati e corrotti, incapaci di svolgere
concretamente e integralmente l’opera di lotta di classe. Nel pensiero gobettiano il concetto di lotta di
classe, non è intesa nel senso marxistico del termine, ma è innestato nell’idea di politica come costruzione.
Per l’intellettuale torinese non c’è politica senza governo della cosa pubblica ed essa deve essere
amministrata da un’elite. La lotta di classe si esplica nella capacità di nuove élite, più capaci, di rimpiazzare
quelle vecchie e inette. Dalla concezione industrialista e liberista scaturisce la concezione della società
liberale, la cui cellula elementare non è più la famiglia o la classe sociale, ma il singolo individuo con le sue
potenzialità e capacità.
Il mito politico, elaborato dai singoli partiti, diventa fondamentale per Gobetti per qualunque politico, in
quanto solo il mito stesso può garantire l’intransigenza e la fermezza nella direzione dell’agire.
Il fine dell’azione dei liberali per Gobetti deve consistere (partendo dal principio di irreversibilità del
moderno) nel cogliere gli aspetti di modernità della vita ed evitare che essi diventino a loro volta
conservatori, divenendo ostacoli agli istinti di libertà, in particolar modo individuale.
Il giudizio di Piero sui partiti vive di un pregiudizio verso le forme politiche di massa (o meno elitarie) come
socialisti e popolari, viste come potenzialmente demagogiche e corruttrici.
Gobetti ritiene che la politica coincide con l’azione, quindi alle grosse organizzazioni con le loro lungaggini
burocratiche preferisce i piccoli gruppi, in cui la selezione delle élite è maggiore e dove vi sono minori
ostacoli alla conduzione della politica. Riguardo al pensiero dell’autore, egli identifica il liberalismo con la
lotta per la conquista della libertà e con l’azione storica. Da quest’ottica, se il liberalismo è la dottrina che
spiega l’avvento dei tempi moderni, essa deve riconoscere l’avanzata positiva della nuova élite degli operai
di industria.
A partire dal 1924 negli articoli su “La Rivoluzione liberale” si ha un intensificarsi dell’attenzione nei
confronti dell’indagine specifica e delle inchieste (come quelle sulle regioni italiane), mentre si riducono
le discussioni sui caratteri e sull’essenza del liberalismo. Le continue minacce di sequestro costringono
la rivista ad abbandonare la polemica politica immediata, anche se questa maggiore presenza di indagini
e inchieste è frutto, almeno in parte, di un maggiore interesse politico-sociologico degli intellettuali
di “Rivoluzione liberale”. Con il delitto del parlamentare socialista Matteotti la presa di posizione politica
di Gobetti si fa più netta. Già nei giorni successivi al rapimento egli non ha dubbi che il piano sia giunto
dall’alto e che, come in un atto di guerra civile, si sia voluto colpire il capo di uno stato nemico. Piero nutre
molta fiducia, seppur per un breve periodo, nell’Aventino, salvo poi perderla quando parte dei politici che
ne facevano parte iniziano a mantenere una linea meno intransigente verso il fascismo. Nel frattempo, alle
minacce sempre più frequenti di sequestro della rivista si uniscono anche quelle di arresto dei redattori.
Questa situazione porta ad una linea d’intervento politico più dissimulato, evitando di giocare allo scoperto
ma al contempo usando un’ironia tagliente, sottintesi e pubblicando testi di autori classici come Tucidide,
Minghetti e Manzoni, ma i cui risvolti sulla situazione politica contemporanea sono ben evidenti.
Il 23 dicembre 1924 esce il primo numero di una nuova rivista gobettiana, “Il Baretti”, un periodico di critica
letterale ed estetica, a cui collaborano Augusto Monti, Natalino Sapegno, Benedetto Croce ed Eugenio
Montale.
In ossequio alle direttive mussoliniane si ripetono per tutto il 1925 i sequestri della rivista “La rivoluzione
liberale”; anche il riportare citazioni di autori passati i cui ideali non collimino con la dittatura viene
considerato un motivo adeguato per il sequestro. Sempre nello stesso anno Piero e sua moglie Ada vivono
un momento di relativa tranquillità in cui compiono un viaggio a Parigi e Londra. Gobetti pensa di stabilire
la sua casa editrice nella capitale francese, anche se vuole rimanere in Italia. Al suo ritorno a Torino a
settembre è picchiato da una squadraccia fascista. L’11 novembre del 1925 il prefetto di Torino impone la
definitiva cessazione delle pubblicazioni delle riviste e la chiusura della casa editrice. Piero inizia a soffrire
di problemi cardiaci, forse aggravati o provocati dalle violenze fasciste. Il 28 dicembre dello stesso anno
nasce suo figlio Paolo. Il 6 febbraio 1926 Piero parte da solo per Parigi dove pensa di proseguire l’attività
di editore. Giunto nella capitale francese si ammala di bronchite, la quale aggrava i suoi problemi cardiaci.
Piero Gobetti muore la notte del 15 febbraio all’età di 24 anni.
CONCLUSIONI
In conclusione la figura di Piero Gobetti non appare facile da descrivere. Di ispirazione liberale, si distacca
però da essa e percorre un percorso politico suo, arrivando a rivalutare e rivedere il ruolo del proletariato
e il concetto di lotta di classe. Accusato di subalternità ai comunisti per i suoi legami con la rivista “Ordine
nuovo” egli non tradisce la sua ispirazione liberista, anche se etichettare e ingabbiare il suo pensiero può
essere fuorviante. Scrittore e giornalista acuto, dotato di brillanti intuizioni e autore di sferzanti critiche
da cui, dal Risorgimento in poi, solo pochissime figure sono riuscite a salvarsi (Camillo di Cavour, Carlo
Cattaneo e in parte Salvemini e Sturzo). Piero ci propone una nuova concezione di intellettuale, calato
nella realtà e impegnato nella lotta politica fino al sacrificio. Intransigente, sempre coerente con il suo
pensiero, ma non per questo immobile sulle sue posizioni. La sua vita frenetica si chiude in modo brusco
e prematuro, su cui si proietta l’ombra del martirio e lasciando aperti i dubbi su come si sarebbe potuto
evolvere il suo pensiero in età adulta.
BIBLIOGRAFIA
● Gariglio B., Progettare il postfascismo. Gobetti e i cattolici, Milano, Franco Angeli Editore, 2003
● Gervasoni M., L'intellettuale come eroe. Piero Gobetti e le culture del Novecento, Firenze, La Nuova
Italia Editore, 2000
● Carioti A., Prefazione a “La rivoluzione liberale: saggio sulla lotta politica in Italia”, Torino, Einaudi
Editore edizione speciale, 2011
● Gobetti P., La Rivoluzione Liberale: saggio sulla lotta politica in Italia, Torino, Einaudi Editore, 1964
● Gobetti P., L’Editore Ideale: frammenti autobiografici con iconografia, Milano, Franco Antonicelli
Editore, 1966
Davide Rondini
Davide Umiliacchi