SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
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SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
SEZIONE SECONDA CASO GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA (Ricorsi n° 18640/10, 18647/10, 18663/10, 18668/10 et 18698/10) SENTENZA STRASBURGO 4 marzo 2014 Questa decisione diventerà definitiva alle condizioni di cui all'articolo 44 §2 della Convenzione. Questa sentenza può subire modifiche nella forma. SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 1 Nel caso Grande Stevens e altri. c. Italia, La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in una camera composta da: Işıl Karakaş, presidente, Guido Raimondi, Peer Lorenzen, Dragoljub Popović, András Sajó, Paulo Pinto de Albuquerque, Helen Keller, giudici, e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione, Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 28 gennaio 2013, Pronuncia la seguente sentenza adottata in tale ultima data: PROCEDURA 1. All’origine della causa vi sono cinque ricorsi (n° 18640/10, 18647/10, 18663/10, 18668/10 et 18698/10) contro la Repubblica italiana in cui tre cittadini e due società di questo Stato, i Sigg. Franzo Grande Stevens, Gianluigi Gabetti e Virgilio Marrone, nonché Exor S.p.a. e Giovanni Agnelli & C. S.a.s. (“i ricorrenti”), hanno adito la Corte il 27 marzo 2010 ai sensi dell'art. 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali ("la Convenzione"). 2. I ricorrenti sono rappresentati da A. e G. Bozzi, avvocati rispettivamente del Foro di Milano e Roma. Il Sig. Grande Stevens è SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 2 rappresentato anche da N. Irti, avvocato del Foro di Milano. Il governo italiano ("Governo") è rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e dal suo co-agente, P. Accardo. 3. I ricorrenti lamentano in particolare che i procedimenti giudiziari intrapresi nei loro confronti non sono stati equi e non si sono svolti davanti a un “tribunale” indipendente e imparziale, che hanno subito la violazione del diritto al rispetto della loro proprietà e che sono state vittime di una violazione del principio ne bis in idem. 4. Il 15 gennaio 2013, i ricorsi sono stati dichiarati in parte irricevibili e i motivi di ricorso espressi ai sensi dell’articolo 6 della Convenzione, nonché dell’articolo 1 del Protocollo n° 1 e 4 del Protocollo n° 7 sono state comunicate al Governo. Come consentito dall’articolo 29 § 1 della Convenzione, è stato altresì deciso che la camera si pronuncerà contemporaneamente sull’ammissibilità e sul merito. IN FATTO I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO 5. L’elenco delle parti ricorrenti si trova in allegato. A. Il contesto del caso 6. All’epoca dei fatti, il Sig. Gianluigi Gabetti era il presidente delle due società ricorrenti e il Sig. Virgilio Marrone era il procuratore della società Giovanni Agnelli & C. s.a.a. 7. Il 26 luglio 2002, la società per azioni FIAT (Fabbrica Italiana Automobili Torino) firmò un contratto di finanziamento (prestito convertendo) con otto banche. Il contratto scadeva il 20 settembre 2005 e prevedeva che, in caso di mancato rimborso del prestito da parte della FIAT, le banche potessero recuperare il credito tramite la sottoscrizione di un aumento del capitale sociale. In questo modo, le banche avrebbero SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 3 acquisito il 28% del capitale sociale della FIAT, mentre la partecipazione della società per azioni IFIL Investments (diventata in seguito, il 20 febbraio 2009, Exor s.p.a., denominazione che sarà utilizzata di seguito nel presente documento) sarebbe passata dal 30,06% al 22% circa. 8. Il Sig. Gabetti desiderò richiedere una consulenza giuridica per ricercare una modalità per consentire ad Exor di rimanere l’azionista di controllo della FIAT, e si rivolse in quest’ottica a un avvocato specializzato in diritto societario, il Sig. Grande Stevens. Quest’ultimo stimò che era possibile ottenere tale risultato rinegoziando un contratto di equity swap (ossia un contratto che permetteva lo scambio della performance di un’azione contro un tasso di interesse senza anticipo in denaro) in data 26 aprile 2005 per circa 90 milioni di azioni FIAT che Exor aveva concluso con una banca d’affari inglese, Merrill Lynch International Ltd, e la cui scadenza era fissata al 26 dicembre 2006. Secondo l’opinione del Sig. Grande Stevens, questo contratto rappresentava una via per evitare il lancio di un’offerta pubblica di acquisto (O.P.A.) sulle azioni FIAT. 9. Senza nominare Merrill Lynch International Ltd, ai fini di non violare i suoi doveri di riservatezza, il 12 agosto 2005 il Sig. Grande Stevens domandò alla Commissione Nazionale per le Società e la Borsa – la “CONSOB”, che nel sistema giuridico italiano ha lo scopo, tra altre funzioni, di garantire la protezione degli investitori e l’efficacia, la trasparenza e lo sviluppo dei mercati azionari – se, nell’ipotesi contemplata, un’OPA poteva essere evitata. Allo stesso tempo, il Sig. Grande Stevens cominciò ad informarsi presso Merrill Lynch International Ltd circa la possibilità di apportare modifiche al contratto di equity swap. SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 10. 4 Il 23 agosto 2005, la CONSOB domandò alle società Exor e Giovanni Agnelli di diffondere un comunicato stampa per segnalare tutte le iniziative adottate in merito alla scadenza del contratto di finanziamento con le banche, tutte le novità riguardanti la società FIAT e ogni elemento utile per spiegare le fluttuazioni delle azioni FIAT sul mercato. 11. Il sig. Marrone riferisce che in tale data si trovava in ferie. Aveva informato il Sig. Grande Stevens sulla richiesta della CONSOB, trasmettendogli una copia. Il Sig. Marrone sostiene di non aver partecipato alla redazione dei comunicati stampa di cui ai paragrafi 13 e 14. 12. Il Sig. Gabetti riferisce che il 23 agosto 2005 si trovava ricoverato in ospedale negli Stati Uniti. Aveva ricevuto un progetto di comunicato stampa e aveva contattato per telefono il Sig. Grande Stevens, che gli aveva confermato che, visti i numerosi dati rimasti incerti, l’ipotesi di un rinegoziazione del contratto di equity swap non poteva essere ritenuta un’opzione concreta e attuale. In queste circostanze, il Sig. Gabetti approvò il progetto del comunicato. 13. Il comunicato stampa rilasciato come risposta, approvato dal Sig. Grande Stevens, si limitava a indicare che Exor non aveva “né avviato, né studiato iniziative riguardanti la scadenza del contratto di finanziamento” e che desiderava “rimanere l’azionista di riferimento della FIAT”. Non vi è stata fatta alcuna osservazione circa l’eventuale rinegoziazione del contratto di equity swap con Merrill Lynch International Ltd, considerata dai ricorrenti una semplice ipotesi futura in mancanza di un chiaro fondamento di fatto e di diritto. 14. di Exor. La società Giovanni Agnelli confermò il comunicato stampa SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 15. 5 Dal 30 agosto al 15 settembre 2005, il Sig. Grande Stevens proseguì le sue trattative con Merrill Lynch International Ltd per esaminare la possibilità di apportare delle modifiche al contratto di equity swap. 16. Il 14 settembre 2005, durante una riunione della famiglia Agnelli, è stato deciso che il progetto esaminato dal Sig. Grande Stevens doveva essere sottoposto all’approvazione del consiglio di amministrazione di Exor. Lo stesso giorno, la CONSOB ricevette una copia del contratto di equity swap e fu informata sulle trattative in corso ai fini di utilizzarlo per consentire ad Exor di acquisire azioni FIAT. 17. Il 15 settembre 2005, in applicazione delle delibere dei rispettivi consigli di amministrazione, Exor e Merrill Lynch International Ltd conclusero l’accordo sulla modifica del contratto di equity swap. 18. Il 17 settembre 2005, in risposta alla domanda fattale dal Sig. Grande Stevens il 12 agosto 2005 (paragrafo 9 sopra), la CONSOB indicò che nell’ipotesi contemplata non sussisteva l’obbligo di lanciare un’OPA. 19. Il 20 settembre 2005, FIAT aumentò il suo capitale sociale; le nuove azioni emesse furono acquisite da otto banche per recuperare i crediti vantati. Lo stesso giorno, l’accordo che modificava il contratto di equity swap entrò in vigore. Di conseguenza, Exor mantenne la sua partecipazione del 30% al capitale della FIAT. B. Il procedimento davanti alla CONSOB 20. Il 20 febbraio 2006, la Divisione mercati e consulenza economica – ufficio Insider Trading – di seguito “l’ufficio IT” della CONSOB accusò i ricorrenti della violazione dell’articolo 187 ter § 1 SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 6 del Decreto Legislativo n° 58 del 24 febbraio 1998. Ai sensi dell’articolo di cui sopra, intitolato “manipolazione del mercato”, “Salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro ventimila a euro ventcinque milioni chiunque, tramite mezzi di informazione, compreso Internet o ogni altro mezzo, diffonde informazioni, voci o notizie false o fuorvianti che forniscano o siano suscettibili di fornire indicazioni false ovvero fuorvianti in merito agli strumenti finanziari.”1 21. Secondo la tesi dell’ufficio IT, l’accordo che modificava l’equity swap era stato concluso o era sul punto di essere concluso prima della diffusione dei comunicati stampa del 24 agosto 2005, e quindi non era normale che detti comunicati non lo segnalassero in alcun modo. I ricorrenti furono invitati a presentare la loro difesa. 22. La pratica fu trasmessa in seguito dall’ufficio IT all’ufficio sanzioni amministrative – di seguito “la direzione” della CONSOB, accompagnato da un rapporto (relazione istruttoria) del 13 settembre 2006, che segnalava gli elementi a carico e gli argomenti degli imputati. Secondo questo rapporto, la difesa presentata dai ricorrenti non consentiva di archiviare il caso. 23. La direzione comunicò questo rapporto ai ricorrenti e li invitò a presentare per iscritto, entro e non oltre 30 giorni con scadenza il 23 ottobre 2006, le argomentazioni che stimavano necessarie per la loro difesa. Nel frattempo l’ufficio IT continuò ad esaminare il caso dei ricorrenti, ottenendo informazioni per via orale e tramite l’analisi dei documenti ricevuti il 7 luglio 2006 da Merrill Lynch International Ltd. 1 L’ammontare di questa sanzione è stato moltiplicato per cinque dall’articolo 39 § 3 della legge n° 262 del 28 settembre 2005, entrata in vigore dopo la diffusione dei comunicati stampa incriminati. SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 7 Il 19 ottobre 2006, l’ufficio trasmise alla direzione una “nota complementare” in cui affermava che i nuovi documenti esaminati non erano in grado di modificare le sue conclusioni. Il 26 ottobre 2006, i ricorrenti ricevettero una copia della nota complementare del 19 ottobre 2006 e dei suoi allegati; una nuova scadenza di trenta giorni fu concessa per presentare eventuali osservazioni. 24. Senza comunicarlo ai ricorrenti, la direzione presentò il suo rapporto (datato 19 gennaio 2007 e contenente le sue conclusioni) alla commissione – la CONSOB vera e propria – ossia l’organo incaricato con l’adozione della decisione su eventuali sanzioni. All’epoca dei fatti, la commissione era composta da un presidente e quattro membri, nominati dal presidente della Repubblica su proposta del presidente del Consiglio dei ministri. Il loro mandato durava cinque anni e poteva essere rinnovato un’unica volta. 25. Con la decisione n° 15760 del 9 febbraio 2007, la CONSOB infliggeva ai ricorrenti le seguenti sanzioni amministrative: - 5 000 000 EUR al Sig. Gabetti, - 3 000 000 EUR al Sig. Grande Stevens, - 500 000 EUR al Sig.Marrone, - 4 500 000 EUR alla società Exor, - 3 000 000 EUR alla società Giovanni Agnelli. 26. I Sigg. Gabetti, Grande Stevens e Marrone furono colpiti da un’interdizione di amministrare, di dirigere o di controllare società quotate in borsa, per una durata di, rispettivamente, sei, quattro e due mesi. 27. La CONSOB stimò soprattutto che dalla pratica risultava che il 24 agosto 2005, data dei comunicati stampa incriminati, il progetto atto SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 8 alla conservazione di una partecipazione del 30% al capitale della FIAT sulla base della rinegoziazione del contratto di equity swap sottoscritto con Merrill Lynch International Ltd, era già stato studiato ed era in corso di applicazione. Di conseguenza i comunicati stampa costituivano una rappresentazione falsa della situazione all’epoca. La CONSOB sottolineava anche la posizione occupata dalle persone coinvolte, la “gravità oggettiva” dell’infrazione e l’esistenza del dolo. C. L’opposizione davanti alla Corte d’Appello 28. I ricorrenti presentarono opposizione alla sanzione di cui sopra davanti la corte di appello di Torino. I ricorrenti lamentarono, tra le altre cose, il fatto che il regolamento della CONSOB fosse illegale perché, contrariamente a quanto richiesto dall’articolo 187 septies del decreto legislativo n° 58 del 1998 (paragrafo 57 di seguito), non rispettava il principio di un esame in contraddittorio del caso. 29. Il Sig. Grande Stevens fece notare inoltre che la CONSOB lo aveva accusato e condannato per non aver partecipato alla pubblicazione del comunicato stampa del 24 agosto 2005 in qualità di amministratore di Exor. Davanti alla CONSOB, l’interessato aveva eccepito senza successo che non possedeva tale qualità e che era semplicemente l’avvocato e il consulente del gruppo Agnelli. Davanti alla corte di appello, il Sig. Grande Stevens ribadì che, non essendo amministratore, non poteva aver partecipato alla decisione di pubblicare il comunicato stampa incriminato. In una memoria del 25 settembre 2007, il Sig. Grande Stevens indicò che nel caso in cui la corte d’appello avesse stimato insufficienti o inutilizzabili i documenti allegati alla pratica, egli richiedeva la convocazione e l’esame di testimoni “sui fatti riferiti nei documenti sopra citati”. Non indicò chiaramente nella memoria né i nomi di questi testimoni né le circostanze sulle quali essi avrebbero dovuto testimoniare. In una memoria dello stesso giorno, il Sig. SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 9 Marrone citò due testimoni, le cui dichiarazioni avrebbero provato che egli non aveva partecipato alla redazione dei comunicati stampa e specificò che la corte di appello avrebbe potuto esaminarli “ove occorresse”. 30. Con le sentenze depositate presso la cancelleria il 23 gennaio 2008, la corte di appello di Torino ridusse per alcuni dei ricorrenti l’ammontare delle sanzioni amministrative inflitte dalla CONSOB, come segue: - 600 000 EUR per Giovanni Agnelli s.a.a. ; - 1 000 000 EUR per Exor s.p.a. ; - 1 200 000 EUR per il Sig. Gabetti. Nell’intestazione delle sentenze emesse contro i Sigg. Gabetti e Marrone e contro Exor S.p.a. era indicato che la corte di appello si era “riunita in camera di consiglio”. La parte “procedimento” delle sentenze emesse contro il Sig. Grande Stevens e Giovanni Agnelli & C S.a.s. indicava che era stata “disposta la comparizione delle parti in camera di consiglio”. 31.La durata dell’interdizione di assumere incarichi di amministrazione, di direzione o di controllo di società quotate in borsa inflitta al Sig. Gabetti fu ridotta da sei a quattro mesi. 32. La corte di appello rigettò tutte le altre istanze degli interessati. La corte fece notare tra altre cose che, anche dopo la trasmissione della pratica alla direzione, all’ufficio IT spettava il diritto di proseguire le sue attività di indagine, dato che il termine di 210 giorni previsto per la delibera della CONSOB non era vincolante. Inoltre, il principio del contraddittorio era rispettato dal momento che, come nella fattispecie, SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 10 gli imputati erano stati informati sui nuovi elementi raccolti dall’ufficio IT e avevano avuto la possibilità di presentare le loro repliche. 33. La corte di appello osservò altresì che era vero che la CONSOB da una parte aveva inflitto le sanzioni previste dall’articolo 187 ter del decreto legislativo n° 58 del 1998, e dall’altra parte aveva denunciato al pubblico ministero la commissione del reato penale di cui all’articolo 185 § 1 dello stesso decreto. Ai sensi di questo articolo, “ Chiunque diffonde notizie false o pone in essere operazioni simulate o altri artifizi concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro ventimila a euro cinque milioni.” 34. Secondo la corte di appello, le due disposizioni avevano come oggetto lo stesso comportamento (la “diffusione di informazioni false”) e perseguivano lo stesso scopo (evitare manipolazioni del mercato), però si distinguevano per quanto riguarda la situazione di pericolo che deve aver generato tale comportamento: per l’articolo 187 ter, era sufficiente il fatto di aver fornito indicazioni false o fuorvianti sugli strumenti finanziari, mentre l’articolo 185 richiedeva inoltre che queste informazioni fossero state in grado di provocare un’alterazione sensibile del prezzo degli strumenti in causa. Come aveva indicato la Corte costituzionale nella sua ordinanza n° 409 del 12 novembre 1991, il legislatore aveva la facoltà di punire un comportamento illegale contemporaneamente con una sanzione amministrativa e una sanzione penale. Inoltre, l’articolo 12 della direttiva 2003/6/CE (paragrafo 60 di seguito), che invitava gli Stati membri dell’Unione europea ad applicare sanzioni amministrative nei confronti delle persone responsabili di una manipolazione del mercato, conteneva esso stesso l’osservazione “fatto salvo il loro diritto d’infliggere sanzioni penali”. SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 11 35. Sul merito, la corte d’appello osservò che dalla pratica risultava che la rinegoziazione dell’equity swap era stata esaminata, all’epoca della controversia, nei minimi dettagli e che la conclusione alla quale era arrivata la CONSOB (ossia che questo progetto esisteva già un mese prima del 24 agosto 2005) era ragionevole alla luce dei fatti stabiliti e del comportamento delle persone coinvolte. 36. Per quanto riguarda il Sig. Grande Stevens, era vero che egli non era l’amministratore di Exor s.p.a. Ciò nonostante, l’infrazione amministrativa punita dall’articolo 187 ter del decreto legislativo n° 58 del 1998 poteva essere commessa da “chiunque”, quindi in qualsiasi qualità; e il Sig. Grande Stevens aveva partecipato al processo decisionale che aveva portato alla pubblicazione del comunicato stampa in qualità di avvocato consultato dalle società ricorrenti. D. Ricorso in cassazione 37. I ricorrenti presentarono ricorso in cassazione. Nel terzo e nel quarto motivo del loro ricorso, lamentarono soprattutto una violazione dei principi del processo equo sanciti dall’articolo 111 della Costituzione, per le seguenti cause: l’assenza del carattere contraddittorio della fase istruttoria davanti alla CONSOB; la mancata comunicazione agli accusati del rapporto della direzione; l’impossibilità secondo loro di depositare memorie o documenti e di essere sentiti personalmente dalla commissione; il fatto che l’ufficio IT ha proseguito la sua indagine e trasmesso una nota complementare dopo la scadenza fissata a tale scopo. 38. Con le sentenze del 23 giugno 2009, il cui testo fu depositato presso la cancelleria il 30 settembre 2009, la Corte di cassazione rigettò il ricorso. La Corte stimò che il principio di un esame in contraddittorio della causa era stato rispettato nel procedimento davanti alla CONSOB, SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 12 rilevando che essa aveva indicato agli interessati il comportamento per il quale erano stati accusati e aveva tenuto conto delle rispettive difese. L’omissione di sentire i ricorrenti e di trasmettere loro le conclusioni della direzione non violava questo principio, in quanto le disposizioni costituzionali in materia di processo equo e di diritto alla difesa erano applicabili soltanto ai procedimenti giudiziari, e non al procedimento per l’inflizione di sanzioni amministrative. E. Le azioni penali contro i ricorrenti 39. Ai sensi del decreto legislativo n° 58 del 1998, il comportamento in causa dei ricorrenti poteva essere oggetto non solo di una sanzione amministrativa inflitta dalla CONSOB, ma anche di sanzioni penali previste dall’articolo 185 § 1, citato sopra al paragrafo 33. 40. Il 7 novembre 2008, i ricorrenti furono rinviati a giudizio davanti al tribunale di Torino. I ricorrenti erano accusati di aver dichiarato, nei comunicati stampa del 24 agosto 2005, che Exor desiderava rimanere l’azionista di riferimento della FIAT e che la società non aveva né avviato, né studiato iniziative riguardanti la scadenza del contratto di finanziamento, mentre l’accordo che modificava l’equity swap era già stato esaminato e concluso, informazione che sarebbe stata nascosta ai fini di evitare un probabile calo del prezzo delle azioni FIAT. 41. La CONSOB si costituì parte civile, ai sensi dell’articolo 187 undecies del decreto legislativo n° 58 del 1998. 42. Dopo il 30 settembre 2009, data in cui fu depositata presso la cancelleria l’ordinanza che rigetta il ricorso in cassazione dei ricorrenti contro la condanna inflitta dalla CONSOB (paragrafo 38 sopra), gli interessati richiesero la rinuncia all’azione penale nei loro confronti ai sensi del principio ne bis in idem. Nello specifico, durante l’udienza del 7 gennaio 2010, i ricorrenti eccepirono l’incostituzionalità delle SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 13 disposizioni pertinenti del decreto legislativo n° 58 del 1998 e dell’articolo 649 del codice di procedura penale (il “CPP” – vedi paragrafo 59), data la loro incompatibilità secondo loro con l’articolo 4 del Protocollo n° 7). 43. Il rappresentante del pubblico ministero presentò un’opposizione a questa eccezione, dichiarando che il “doppio giudizio” (amministrativo e penale) era imposto dall’articolo 14 della direttiva 2003/6/CE del 28 gennaio 2003 (paragrafo 60), che il legislatore italiano aveva recepito introducendo gli articoli 185 e 187 ter del decreto legislativo n° 58 del 1998. 44. Il tribunale di Torino non si pronunciò immediatamente sulla questione relativa alla costituzionalità sollevata dalla difesa. Il tribunale ordinò una perizia per determinare le fluttuazioni delle azioni FIAT tra dicembre 2004 e aprile 2005 e per valutare gli effetti dei comunicati stampa del 24 agosto 2005 e delle informazioni rese note il 15 settembre 2005. 45. Con una decisione del 21 dicembre 2010, il cui testo fu depositato presso la cancelleria il 18 marzo 2011, il tribunale di Torino assolse il Sig. Marrone, con il motivo che non aveva contribuito alla pubblicazione dei comunicati stampa, e assolse anche gli altri ricorrenti con il motivo che non era stato provato che il loro comportamento era stato in grado di provocare un’alterazione significativa del mercato finanziario. Il tribunale osservò che il fatto che i comunicati stampa contenevano informazioni false era già stato sanzionato dall’autorità amministrativa. Secondo l’opinione del tribunale, il comportamento incriminato degli interessati aveva lo scopo di nascondere, probabilmente, alla CONSOB la rinegoziazione del contratto di equity swap, e non di far aumentare il prezzo delle azioni FIAT. SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 14 46. Il tribunale dichiarò chiaramente infondata la questione relativa alla costituzionalità sollevata dai ricorrenti. Il tribunale fece notare che la legge italiana (articolo 9 della legge n° 689 del 1981) vietava un “doppio giudizio”, penale e amministrativo, su uno “stesso fatto”. Orbene, gli articoli 185 e 187 ter del decreto legislativo n° 58 del 1998 non sanzionavano lo stesso fatto: soltanto la disposizione penale (l’articolo 185) richiedeva che il comportamento fosse stato in grado di provocare un’alterazione importante del valore degli strumenti finanziari (vedi Corte di cassazione, sezione sesta, sentenza del 16 marzo 2006, n° 15199). Inoltre, l’applicazione della disposizione penale presupponeva l’esistenza di un dolo, mentre la disposizione amministrativa si applicava in presenza di un semplice comportamento errato. D’altronde, l’azione penale che ha seguito l’inflizione della sanzione pecuniaria prevista dall’articolo 187 ter del decreto legislativo n° 58 del 1998 era autorizzata dall’articolo 14 della direttiva 2003/6/CE. 47. Per quanto riguarda invece la giurisprudenza della Corte citata dai ricorrenti (Gradinger c. Austria (23 ottobre 1995, serie A n° 328-C), Sergueï Zolotoukhine c. Russia ([GC], n°14939/03, CEDH 2009-...), Maresti c. Croazia (n° 55759/07, 25 giugno 2009), e Ruotsalainen c. Finlandia (n° 13079/03, 16 giugno 2009)), non è pertinente nella fattispecie, perché fa riferimento a casi in cui uno stesso fatto è stato punito con sanzioni penali e amministrative e in cui quest’ultime avevano un carattere punitivo e potevano comportare la privazione della libertà oppure (affare Ruotsalainen) avevano un ammontare superiore all’ammenda penale. 48. Il pubblico ministero presentò ricorso in cassazione, lamentando che il reato di cui sono accusati i ricorrenti era un “reato di pericolo” e SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 15 non “reato di danno”. Il reato poteva dunque essere costituito anche in assenza di danni per gli azionisti. 49. Il 20 giugno 2012, la Corte di cassazione accolse in parte il ricorso del pubblico ministero e annullò l’assoluzione delle società Giovanni Agnelli ed Exor, nonché dei Sigg. Grande Stevens e Gabetti. Confermò in cambio l’assoluzione del Sig. Marrone, dato che non aveva partecipato al comportamento incriminato. 50. Con una sentenza del 28 febbraio 2013, la corte di appello di Torino condannò i Sigg. Gabetti e Grande Stevens per il reato previsto all’articolo 185 § 1 del decreto legislativo n° 58 del 1998, stimando che era molto probabile che, in assenza delle informazioni false incluse nel comunicato stampa rilasciato il 24 agosto 2005, il valore delle azioni FIAT fosse calato in modo molto più significativo. La Corte assolse invece le società Exor e Giovanni Agnelli, stimando che non esistevano reati che potessero essere imputati alle società in causa. 51. La corte di appello escluse ogni violazione del principio ne bis in idem, confermando, essenzialmente, il ragionamento seguito dal tribunale di Torino. 52. Secondo le informazioni fornite dal Governo il 7 luglio 2013, i Sigg. Gabetti e Grande Stevens hanno presentato ricorso in cassazione contro questa sentenza, e il procedimento è ancora in corso alla data odierna. Nei loro ricorsi, questi due ricorrenti hanno invocato la violazione del principio ne bis in idem e richiesto di sollevare una questione relativa alla costituzionalità per quanto riguarda l’articolo 649 CPP. II. IL DIRITTO E LE PRASSI INTERNI ED EUROPEI PERTINENTI IN MATERIA SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 16 A. Il diritto interno 1. Il decreto legislativo n° 58 del 24 febbraio 1998 53. Come indicato prima (paragrafo 20), l’articolo 187 ter § 1 del decreto prevede sanzioni amministrative per le persone responsabili di una manipolazione del mercato. Ai sensi del paragrafo 5 della stessa disposizione, quando il loro ammontare normale risulta inadeguato rapportato alla gravità del comportamento in causa, dette sanzioni possono essere aumentate fino a tre volte il loro ammontare massimo normale o fino a dieci volte il prodotto o il profitto conseguito dal comportamento illecito. La CONSOB deve indicare gli elementi e le circostanze che prende in considerazione per valutare i comportamenti che costituiscono manipolazione del mercato ai sensi della direttiva 2003/6/CE (paragrafo 60 di sotto) e delle disposizioni di attuazione. 54. L’articolo 187 quater precisa che l’inflizione delle sanzioni amministrative pecuniarie di cui sopra causa anche la perdita temporanea dei requisiti di onorabilità per i rappresentanti delle società coinvolte. Se la società è quotata in borsa, i suoi rappresentanti sono colpiti da incapacità temporanea di assumere incarichi di amministrazione, gestione o controllo delle società quotate. Queste sanzioni accessorie hanno una durata che va da due mesi a tre anni. Tenendo conto della gravità della violazione del grado della colpa, la CONSOB può anche interdire alle società quotate, alle società di gestione e alle società di revisione di avvalersi della collaborazione dell’autore dell’infrazione, per una durata massima di tre anni. La CONSOB può anche richiedere agli ordini professionali la sospensione temporanea professionale. dell’interessato dall’esercizio della sua attività SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 17 55. Ai sensi dell’articolo 187 quinquies, quando le infrazioni commesse nel suo interesse o a suo vantaggio da amministratori, dirigenti o manager di una società commerciale hanno causato l’applicazione di una sanzione amministrativa, la società in causa è tenuta al pagamento di una somma pari all’ammontare della sanzione inflitta alle persone di cui sopra. Qualora queste infrazioni avessero generato un prodotto o un profitto importante, la sanzione applicata alla società è aumentata fino a dieci volte il prodotto o il profitto conseguito. Tuttavia, la responsabilità della società è esclusa se prova che i suoi amministratori, dirigenti o manager hanno agito esclusivamente nel loro interesse o a favore di terzi. 56. Ai sensi dell’articolo 187 sexies, l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie in questione importa sempre la la confisca del prodotto o del profitto dell'illecito e dei beni utilizzati per commetterlo. Ai sensi dell’articolo 187 septies, provvedimento di applicazione delle sanzioni è pubblicato per estratto nel Bollettino della CONSOB, che può richiedere, a spese dell’autore dell’infrazione, ulteriori forme di pubblicità. 57. L’articolo 187 septies descrive la procedura di applicazione delle sanzioni da parte della CONSOB. Nello specifico, il comportamento illecito di cui si è accusati deve essere notificato agli interessati entro 180 giorni dal suo accertamento, gli interessati possono richiedere di essere sentiti e il procedimento è retto dai principi del contraddittorio, della conoscenza degli atti istruttori, della verbalizzazione nonché della distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie. 58. Ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo n° 58 del 1998, la CONSOB è autorizzata a fissare le scadenze e le procedure per l’adozione degli atti che rientrano nelle sue competenze. SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 18 2. Il CPP 59. L’articolo 649 del CPP recita: “1. L'imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado per le circostanze (..). 2. Se ciò nonostante viene di nuovo iniziato procedimento penale, il giudice in ogni stato e grado del processo pronuncia sentenza di proscioglimento di non luogo a procedere, enunciandone la causa nel dispositivo.” B. Il diritto e la prassi europea 60. L’articolo 14 della direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 28 febbraio 2003 relativa all'abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato (abusi di mercato – Gazzetta Ufficiale n° L 096 del 12/04/2003 p. 0016-0025) dispone: “1. Fatto salvo il diritto degli Stati membri di imporre sanzioni penali, gli Stati membri sono tenuti a garantire, conformemente al loro ordinamento nazionale, che possano essere adottate le opportune misure amministrative o irrogate le opportune sanzioni amministrative a carico delle persone responsabili del mancato rispetto delle disposizioni adottate in attuazione della presente direttiva. Gli Stati membri sono tenuti a garantire che tali misure siano efficaci, proporzionate e dissuasive. SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 19 2. La Commissione stila, in conformità della procedura di cui all'articolo 17, paragrafo 2, un elenco indicativo delle misure e delle sanzioni amministrative di cui al paragrafo 1. 3. Gli Stati membri fissano le sanzioni da applicare per l'omessa collaborazione alle indagini di cui all'articolo 12. 4. Gli Stati membri provvedono affinché l’autorità competente possa divulgare al pubblico le misure o sanzioni applicate per il mancato rispetto delle disposizioni adottate in attuazione della presente direttiva, salvo il caso in cui la divulgazione possa mettere gravemente a rischio i mercati finanziari o possa arrecare un danno sproporzionato alle parti coinvolte.” 61. Nella causa Spector Photo Group NV e Chris Van Raemdonckc/ Commissie voor het Bank-, Financie- en Assurantiewezen (CBFA) (procedimento C-45/08) del 23 dicembre 2009, la Corte di Giustizia dell’Unione europea (CJUE) si è espressa come segue: “40. Al riguardo va ricordato che, secondo la giurisprudenza costante, i diritti fondamentali fanno parte integrante dei principi generali del diritto dei quali la Corte garantisce l’osservanza (sentenza 3 settembre 2008, cause riunite C‑402/05 P e C‑415/05 P, Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione, Racc. pag. I‑6351, punto 283). 41. Emerge altresì dalla giurisprudenza della Corte che il rispetto dei diritti dell’uomo rappresenta una condizione di legittimità degli atti comunitari e che nella Comunità non possono essere consentite misure incompatibili con il rispetto di questi ultimi (citata sentenza Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione, punto 284). SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 20 42. È vero che l’art. 14, n. 1, della direttiva 2003/6 non impone agli Stati membri di prevedere sanzioni penali nei confronti degli autori di abusi di informazioni privilegiate, ma si limita ad affermare che tali Stati sono tenuti a garantire che «possano essere adottate le opportune misure amministrative o irrogate le opportune sanzioni amministrative a carico delle persone responsabili del mancato rispetto delle disposizioni adottate in attuazione di [tale] direttiva», essendo gli Stati membri, inoltre, tenuti a garantire che queste misure siano «efficaci, proporzionate e dissuasive». Tuttavia, considerata la natura delle violazioni di cui trattasi, nonché dato il grado di severità delle sanzioni che esse possono comportare, siffatte sanzioni, ai fini dell’applicazione della CEDU, possono essere qualificate come sanzioni penali (v., per analogia, sentenza 8 luglio 1999, causa C-199/92 P, Hüls/Commissione, Racc. pag. I-4287, punto 150, nonché sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo 8 giugno 1976, Engel e altri c. Paesi Bassi, serie A n. 22, par. 82; 21 febbraio 1984, Öztürk c. Germania, serie A n. 73, par. 53, e 25 agosto 1987, Lutz c. Germania, serie A n. 123, par. 54). 43. Secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, ogni sistema giuridico contempla presunzioni di fatto o di diritto e la CEDU certamente non vi pone ostacolo in linea di principio, ma, in materia penale, essa obbliga gli Stati contraenti a non oltrepassare al riguardo una determinata soglia. Pertanto, il principio della presunzione d’innocenza sancito all’art. 6, n. 2, della CEDU non si disinteressa delle presunzioni di fatto o di diritto che si riscontrano nelle leggi penali. Esso ordina agli Stati di contenerle in limiti ragionevoli che tengano conto della gravità dell’offesa e che rispettino i diritti della difesa (v. sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo 7 ottobre 1988, SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 21 Salabiaku c. Francia, serie A n. 141-A, par. 28, e 25 settembre 1992, Pham Hoang c. Francia, serie A n. 243, par. 33). 44. Occorre considerare che il principio della presunzione d’innocenza non osta alla presunzione prevista dall’art. 2, n. 1, della direttiva 2003/6, con la quale l’intenzione dell’autore di un abuso di informazioni privilegiate si deduce implicitamente dagli elementi materiali costitutivi di tale violazione, dato che questa presunzione è confutabile e i diritti della difesa sono garantiti. 45. L’introduzione di un sistema efficiente e uniforme di prevenzione e di sanzione degli abusi di informazioni privilegiate con il legittimo scopo di tutelare l’integrità dei mercati finanziari ha quindi potuto indurre il legislatore comunitario a prendere in considerazione una definizione oggettiva degli elementi costitutivi di un abuso vietato di informazioni privilegiate. Il fatto che l’art. 2, n. 1, della direttiva 2003/6 non preveda espressamente alcun elemento psicologico non significa per questo che sia necessario interpretare tale disposizione nel senso che qualunque insider primario in possesso di informazioni privilegiate che effettua un’operazione di mercato rientra automaticamente nell’ambito del divieto degli abusi di informazioni privilegiate.” 62. Per un più ampio panorama del diritto dell’Unione europea in ambito azionario, vedi anche Soros c. Francia, n° 50425/06, §§ 38-41, 6 ottobre 2011. IN DIRITTO I. LE ECCEZIONI PRELIMINARI DEL GOVERNO A. L’eccezione del Governo basata sulla natura abusiva del ricorso SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 22 1. L’eccezione del Governo 63. Il Governo eccepisce innanzitutto la natura a suo parere abusiva del ricorso, facendo presente che alcune informazioni riportate dai ricorrenti non sono vere o quantomeno necessitano di chiarimenti. Il ricorso sarebbe stato presentato in modo da indurre la Corte in errore. Il Governo fa riferimento in modo particolare alle seguenti circostanze: a) i ricorrenti affermano che non vi sia stata un’udienza pubblica davanti alla corte di appello di Torino; mentre, ai sensi dell’articolo 23 della legge 689 del 1981, tutte le udienze tenute davanti a questa giurisdizione erano aperte al pubblico; la loro affermazione è dunque falsa. b) l’ufficio IT della CONSOB ha allegato al suo rapporto tutti i documenti dell’inchiesta e quindi anche le difese presentate dai ricorrenti; c) la lettera della CONSOB che accerta la violazione dell’articolo 187 ter § 1 del decreto legislativo n° 58 del 1998 non era firmata dal presidente della CONSOB, ma dal capo della divisione mercati e consulenza economica e dal direttore generale delle attività istituzionali della CONSOB; inoltre, il presidente della CONSOB non ha avuto alcun ruolo nella fase che ha preceduto la decisione sull’applicazione delle sanzioni; d) un termine di trenta giorni è stato concesso ai ricorrenti per presentare eventuali osservazioni alla nota complementare dell’ufficio IT del 19 ottobre 2006, e i ricorrenti hanno presentato dette osservazioni il 24 novembre 2006 senza lamentare il tempo limitato di cui disponevano; e) i ricorrenti non hanno mai richiesto la citazione e l’esame di testimoni; f) davanti alla CONSOB, il Sig. Grande Stevens è stato accusato di aver partecipato alla decisione che ha condotto alla redazione del comunicato stampa; l’indicazione del suo incarico come direttore di Exor serviva soltanto per indicare che faceva parte del top management della società e SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 23 che quindi il suo comportamento poteva essere imputato a tale qualifica; la corte di appello di Torino non avrebbe trasformato l’accusa nei suoi confronti; g) i ricorrenti non sono stati condannati per un’omissione. 64. Secondo l’opinione del Governo, facendo uso di tali imprecisioni i ricorrenti hanno provato a dare l’impressione sbagliata che la decisione della CONSOB fosse stata adottata in segreto e senza rispettare i procedimenti legali e i diritti della difesa. 2. La replica dei ricorrenti 65. I ricorrenti contestano le tesi del Governo e fanno notare che gli elementi di fatto sui quali riposano i motivi di ricorso fondati sull’articolo 6 della Convenzione fanno riferimento a circostanze specifiche che hanno influito sull’andamento del procedimento contenzioso, fatto che è collegato al merito della causa. 3. La valutazione della Corte 66. La Corte fa notare che ai sensi dell’articolo 47 § 6 del suo regolamento, i ricorrenti hanno il dovere di informarla in merito a qualsiasi fatto pertinente per l’esame del loro ricorso. La Corte ribadisce che un ricorso può essere respinto come abusivo se è stato deliberatamente fondato su fatti falsi (Řehàk c. Repubblica ceca (dic.), n° 67208/01, 18 maggio 2004, e Keretchashvili c. Giorgia (dic.), n° 5667/02, 2 maggio 2006) o se il ricorrente ha passato sotto silenzio informazioni essenziali riguardanti i fatti della causa ai fini di indurre la Corte in errore (vedi, tra altri, Hüttner c. Germania (déc.), N° 23130/04, 19 giugno 2006, e Basileo e altri c. Italia (dic.), n° 11303/02, 23 agosto 2011). 67. La Corte ha già affermato, inoltre, che “qualsiasi comportamento del ricorrente palesemente contrario alla vocazione del diritto di ricorso e che SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 24 ostacola il buon funzionamento della Corte o lo svolgimento adeguato della procedura davanti alla Corte, può [in principio] essere qualificato come abusivo” (Miroļubovs e altri c. Lettonia, no 798/05, § 65, 15 settembre 2009); la nozione di abuso, ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione, è da intendersi nel suo senso comune ritenuto dalla teoria generale del diritto – ossia il fatto, per il titolare di un diritto, di esercitarlo oltre le sue finalità in una modalità lesiva (Miroļubovs e altri, già citato, § 62 ;Petrović c. Serbia (dic.), nos 56551/11 et dieci altri, 18 ottobre 2011). 68. Nella fattispecie, il Governo accusa i ricorrenti di aver omesso di specificare chiaramente alcuni fatti pertinenti per l’esame della loro causa (elencati al paragrafo 63 b) – g) sopra) e di aver falsamente sostenuto che non vi fosse stata un’udienza pubblica davanti alla corte di appello di Torino (paragrafo 63 a) sopra). 69. La Corte osserva innanzitutto che quest’ultima circostanza è un punto di fatto controverso tra le parti e che i ricorrenti hanno prodotto documenti per sostenere la loro affermazione secondo la quale l’udienza in questione si è tenuta in camera di consiglio (paragrafo 142 sotto). Per quanto riguarda invece gli altri fatti elencati dal Governo, la Corte considera che si tratti essenzialmente di elementi che possono essere utilizzati nel dibattito sul merito dei i motivi di ricorso dei ricorrenti, che il Governo avrà la possibilità di sviluppare nelle sue osservazioni. Date le circostanze, la Corte non può concludere che l’omissione, da parte dei ricorrenti, di indicare esplicitamente questi elementi renda abusivo il ricorso o che esso sia deliberatamente fondato su fatti falsi. 70. Di conseguenza l’eccezione del Governo basata sulla natura abusiva del ricorso deve essere respinta. B. L’eccezione del Governo basata sull’assenza di pregiudizio notevole SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 25 1. L’eccezione del Governo 71. Il Governo eccepisce anche l’irricevibilità del ricorso in quanto i ricorrenti non avrebbero subito un pregiudizio notevole ai sensi dell’articolo 35 § 3 b) della Convenzione. I motivi di ricorso dei ricorrenti non riguarderebbero una effettiva violazione dei loro interessi protetti dalla Convenzione, ma semplicemente questioni teoriche senza alcun rapporto con il pregiudizio effettivamente subito. Questo fatto sarebbe stato giustamente notato dalla Corte di cassazione, e i ricorrenti avrebbero avuto la possibilità di presentare tutte le difese che ritenevano necessarie. 2. La replica dei ricorrenti 72. I ricorrenti contestano le tesi del Governo e fanno notare che al termine del procedimento contenzioso sono stati condannati al pagamento di ingenti somme di denaro e che sono stati sottoposti a sanzioni che colpiscono il loro onore e la loro reputazione. Per quanto riguarda il carattere presumibilmente troppo generico dei loro motivi di ricorso, sottolineano che la Corte di cassazione, nelle sue sentenze molto elaborate, ha presentato risposte circostanziate a pretese specifiche. 3.La valutazione della Corte 73. Secondo la giurisprudenza della Corte, l’elemento principale per il criterio di ricevibilità previsto dall’articolo 35 § 3 b) della Convenzione consiste nel sapere se il ricorrente non ha subito alcun “pregiudizio notevole” (Adrian Mihai Ionescu c. Romania (dic.), no 36659/04, § 32, 1 giugno 2010). La nozione di “pregiudizio notevole”, basata sul principio de minimis non curat praetor, fa riferimento all’idea che la violazione di un diritto deve raggiungere una soglia minima di gravità per giustificare l’esame da parte di una giurisdizione internazionale. La valutazione di detta soglia è, per sua natura, soggettiva e dipende dalle circostanze della causa (Korolev c. Russia (déc.), no 25551/05, 1 luglio 2010). Questa valutazione SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 26 deve tener conto della percezione soggettiva del ricorrente, nonché dell’importanza della controversia. La valutazione utilizzerà quindi criteri quali l’impatto economico della controversia o l’importanza della causa per il ricorrente (Adrian Mihai Ionescu, già citato, § 34). 74. La Corte osserva innanzitutto che la causa presenta un impatto finanziario notevole. I ricorrenti sono stati condannati dalla CONSOB e dalla corte d’appello di Torino al pagamento di sanzioni che vanno da 500 000 a 3 000 000 EUR (paragrafi 25 e 30 sopra) e i Sigg. Gabetti e Grande Stevens rischiano di incorrere, davanti alle giurisdizioni penali, in sanzioni che prevedono una misura privativa della libertà e un’ammenda da 20 000 a 5 000 000 EUR (paragrafo 33 sopra). Inoltre, l’importanza soggettiva della questione è evidente per i Sigg. Gabetti, Grande Stevens e Marrone (vedi, a contrario, Shefer c. Russia (déc.), no 45175/04, 13 marzo 2012). Questi ultimi sono stati effettivamente colpiti da un’interdizione di amministrare, di dirigere o di controllare società quotate in borsa per un periodo di, rispettivamente, sei, quattro e due mesi (paragrafi 26 e 31 sopra), fatto che potrebbe essere considerato come compromettente per la loro reputazione professionale (vedi, mutas mutandis, Eon c. Francia, no 26118/10, § 34, 14 marzo 2013). 75. Di conseguenza, la Corte stima che la prima condizione dell’articolo 35 § 3 b) della Convenzione, riguardate l’assenza di pregiudizio notevole per i ricorrenti, non è stata adempita e quindi l’eccezione del Governo deve essere respinta. 76. Ad abundantiam, la Corte specifica che il proseguimento dell’esame della causa si impone anche per rispetto dei diritti dell’uomo (vedi, mutas mutandis, Nicoleta Gheorghe c. Romania, no 23470/05, § 24, 3 aprile 2012, ed Eon, già citato, § 35). In questo senso, la Corte sottolinea che il ricorso solleva soprattutto la questione della natura e dell’equità della procedura davanti alla CONSOB e la possibilità di iniziare una causa penale per fatti SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 27 già sanzionati da quest’ultima. Si tratta della prima causa di questo tipo che la Corte è chiamata ad esaminare per quanto riguarda l’Italia e una decisione della Corte su questo principio rappresenterebbe una guida per le giurisdizioni nazionali. C. L’eccezione del Governo basata sul mancato esperimento delle vie di ricorso interne 1. L’eccezione del Governo 77. Il Governo eccepisce il mancato esperimento delle vie di ricorso interne e osserva che nel loro ricorso in cassazione contro le sentenze della corte di appello di Torino del 23 gennaio 2008, i Sigg. Grande Stevens, Marrone e Gabetti non hanno invocato la violazione del principio ne bis in idem. Inoltre, alcuna decisione definitiva non è stata adottata per quanto riguarda l’inflizione delle sanzioni penali previste dall’articolo 185 del decreto legislativo n° 58 del 1998, il procedimento essendo ancora in corso in cassazione. Davanti alla Corte di Cassazione italiana, i Sigg. Gabetti e Grande Stevens hanno invocato il principio ne bis in idem e richiesto di sollevare una questione relativa alla costituzionalità per quanto riguarda l’articolo 649 CPP. Quando una tale questione è sollevata, la pratica è trasmessa alla Corte costituzionale che può dichiarare le disposizioni in causa incostituzionali e annullarle di conseguenza. 78. Inoltre, i ricorrenti non hanno richiesto alla corte di appello di Torino un’udienza pubblica e non hanno fatto valere davanti alla Corte di cassazione la pretesa assenza di tale udienza. Non hanno neanche presentato a livello interno i loro motivi di ricorso riguardanti la pretesa assenza di imparzialità del presidente della CONSOB. Le pretese riguardanti l’iniquità della procedura davanti alla CONSOB sono state presentate per la prima volta in cassazione, e quindi tardivamente. SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 28 2. La replica dei ricorrenti 79. Nella misura in cui il Governo lamenta che le loro pretese non fossero state presentate alla Corte di cassazione rispettando le condizioni previste dalla legge, i ricorrenti osservano innanzitutto che l’alta giurisdizione italiana ha esaminato i loro i motivi di ricorso nel merito e non li ha dichiarati irricevibili. I motivi di ricorso presentati a Strasburgo sono essenzialmente quelli contenuti nel terzo e nel quarto motivo del loro ricorso, dove è stato invocato l’articolo 111 della Costituzione (diritto ad un processo equo) e dove è stato indicato che il procedimento davanti alla CONSOB non era contraddittorio e che gli imputati non erano stati sentiti personalmente. 80. Per quanto riguarda il fatto che il procedimento penale interno è ancora in corso, i ricorrenti ricordano che l’articolo 4 del Protocollo n° 7 non vieta soltanto la “doppia condanna”, ma anche “i casi di doppio processo”. I ricorrenti invece hanno presentato davanti alle giurisdizioni interne la questione del ne bis in idem alla luce della giurisprudenza di Strasburgo. Infine, nel sistema giuridico italiano, gli individui non godono di un accesso diretto alla Corte costituzionale per invitarla a verificare la costituzionalità di una legge: il solo ad avere la facoltà di sottoporre la questione alla Corte costituzionale è il giudice davanti al quale il caso pende nel merito. 3. La valutazione della Corte 81. La Corte ribadisce che ai sensi dell’articolo 35 § 1 della Convenzione le cause possono essere sottoposte alla Corte soltanto dopo l’esperimento delle vie di ricorso interne. La finalità di tale regola è di offrire agli Stati contrattanti l’occasione di prevenire o sistemare le violazioni lamentate nei loro confronti prima che la causa sia sottoposta alla Corte (vedi, tra altri, Mifsud c. Francia (déc.) [GC], no 57220/00, § 15, CEDH 2002-VIII, e Simons c. Belgio (déc.), no 71407/10, § 23, 28 agosto 2012). SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 29 82. I principi generali relativi alla regola dell’esperimento delle vie di ricorso interne si trovano esposti nella sentenza Sejdovic c. Italia ([GC],no 56581/00, §§ 43-46, CEDH 2006-II). La Corte ribadisce che l’articolo 35 § 1 della Convenzione prescrive solo l’esperimento dei ricorsi relativi contemporaneamente alle violazioni incriminate, accessibili ed adeguati. Un ricorso è effettivo quando è accessibile sia in teoria che in pratica all’epoca dei fatti, cioè quando è accessibile, suscettibile di offrire al ricorrente la riparazione del pregiudizio e di presentare prospettive ragionevoli di successo. In questo senso, il semplice fatto di avere dei dubbi sulle prospettive di successo di un ricorso che non è in modo del tutto evidente destinato al fallimento non costituisce una ragione valida per giustificare il mancato esperimento dei ricorsi interni (Brusco c. Italia (déc.), no 69789/01,CEDH 2001-IX ; Sardinas Albo c. Italia (déc.), no 56271/00, CEDH 2004-I ; e Alberto Eugénio da Conceicao c. Portogallo (déc.), no 74044/11, 29 maggio 2012). 83. Nella fattispecie, nella loro opposizione davanti alla corte di appello di Torino, i ricorrenti hanno eccepito la violazione, da parte della CONSOB, del principio del contraddittorio (paragrafo 28 sopra). Hanno reiterato le loro accuse in questo senso davanti alla Corte di cassazione, invocando i principi del processo equo, garantito dall’articolo 111 della Costituzione (paragrafo 37 sopra). Hanno dunque esaurito, in questo senso, le vie di ricorso disponibili nella giurisdizione italiana. Per quanto riguarda le questioni relative ai poteri del presidente della CONSOB e all’assenza di un’udienza pubblica alla corte di appello di Torino, si trattava, secondo i ricorrenti, dell’applicazione di regole riportate nelle disposizioni legislative interne. Inoltre, qualsiasi eccezione dei ricorrenti in questo senso sarebbe stata sprovvista di ogni prospettiva di successo, tenendo conto soprattutto del fatto che la Corte di cassazione ha stimato che le disposizioni costituzionali in materia di processo equo e di diritto alla difesa non erano SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 30 applicabili al procedimento per l’inflizione di sanzioni amministrative (paragrafo 38 sopra). 84. La Corte sottolinea inoltre che dopo la conferma, da parte della Corte di cassazione, della condanna inflitta dalla CONSOB, i ricorrenti hanno invocato, nel procedimento penale, il principio ne bis in idem e hanno eccepito, senza successo, l’incostituzionalità delle disposizioni pertinenti del decreto legislativo n° 58 del 1998 e dell’articolo 649 del CPP, vista la loro incompatibilità con l’articolo 4 del Protocollo n° 7 (paragrafo 42 sopra). 85. Per quanto riguarda infine la circostanza che il procedimento penale era, alla data delle ultime informazioni ricevute dalla Corte (7 giugno 2013 – paragrafo 52 sopra), ancora in corso in cassazione nei confronti dei Sigg. Gabetti e Grande Stevens, basta osservare che i ricorrenti lamentavano il “di essere stati perseguiti penalmente” per un’infrazione per la quale erano già stati condannati con sentenza definitiva. In queste circostanze, non possiamo considerare prematuro il loro motivo di ricorso basata sull’articolo 4 del Protocollo n° 7. 86. Di conseguenza, l’eccezione del Governo basata sul mancato esperimento delle vie di ricorso interne non può essere ritenuta. II. SULLA PRESUNTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 DELLA CONVENZIONE 87. I ricorrenti lamentano che il procedimento davanti alla CONSOB non è stato equo e denunciano la mancanza di imparzialità e d’indipendenza di questo organo. I ricorrenti invocano l’articolo 6 della Convenzione che, nelle parti pertinenti, recita: SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 31 “1. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente [e] pubblicamente (…) da un tribunale indipendente e imparziale (…), il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti. La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l’accesso alla sala d’udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell’interesse della morale, dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o, nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità possa portare pregiudizio agli interessi della giustizia. 2. Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata. 3. In particolare, ogni accusato ha diritto di: (a) essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa formulata a suo carico; (b) disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa; (c) difendersi personalmente o avere l’assistenza di un difensore di sua scelta e, se non ha i mezzi per retribuire un difensore, poter essere assistito gratuitamente da un avvocato d’ufficio, quando lo esigono gli interessi della giustizia; (d) esaminare o far esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico nelle condizioni dei testimoni a carico; stesse SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 32 (…)” 88. Il Governo contesta la tesi dei ricorrenti. A. Sulla ricevibilità 1. Sulla questione di sapere se l’articolo 6 della Convenzione si applica per l’aspetto penale a) Argomenti delle parti i. Il Governo 89. Il Governo afferma che il procedimento davanti alla CONSOB non riguardava una “accusa in materia penale” contro i ricorrenti. Osserva che il reato previsto dall’articolo 187 ter del decreto legislativo n° 58 del 1998 è chiaramente classificato come “amministrativo” sia in diritto interno, che in diritto europeo; l’accusa può essere inflitta da un organo amministrativo al termine di un procedimento amministrativo. 90. Per quanto riguarda la natura del reato, questo riguarda qualsiasi comportamento, anche per semplice negligenza, suscettibile di produrre segnali o informazioni errate per gli investitori, senza che sia necessario che un’alterazione significativa dei mercati finanziari sia in grado di prodursi. In questo modo gli investitori sono protetti contro qualsiasi rischio potenziale che possa influire sulle loro scelte e di conseguenza anche contro gli interessi diversi da quelli normalmente tutelati dal diritto penale. Infine, le sanzioni che possono essere inflitte non colpiscono il patrimonio della persona coinvolta e/o la sua capacità di esercitare funzioni manageriali, e non possono in alcun modo condurre alla privazione della libertà, neanche in caso di mancato pagamento. Le sanzioni non sono riportate nel casellario giudiziale e colpiscono normalmente gli operatori professionali del sistema finanziario, escludendo gli altri cittadini. SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 33 91. Inoltre, l’ammontare delle ammende sarà proporzionale alle risorse e al potere finanziario del colpevole; nella fattispecie, si trattava di un’operazione finanziaria atta ad ottenere il controllo di uno dei più grandi produttori di automobili del mondo e che aveva costato oltre 500 000 000 EUR. Inoltre, l’ammenda, l’eventuale confisca dei beni utilizzati per commettere il reato e l’interdizione di esercitare funzioni manageriali hanno lo scopo essenzialmente di ristabilire la fiducia dei mercati e degli investitori, colpendo gli elementi che hanno consentito di commettere il reato amministrativo (vedi anche, su questo punto, gli obiettivi della direttiva 2003/6/CE). Questi provvedimenti hanno lo scopo di risanare e compensare un pregiudizio di natura finanziaria e di evitare che il colpevole possa trarne profitto per le sue attività illecite. D’altronde, nella causa Spector Photo Group, già citata (paragrafo 61 sopra), la CJUE ha ammesso la coesistenza, in questo settore, delle sanzioni amministrative e penali. ii. I ricorrenti 92. I ricorrenti considerano che le sanzioni inflitte dalla CONSOB, nonostante classificate come “amministrative” nel diritto interno, debbano essere considerate “penali”, nel senso autonomo che questa nozione acquisisce nella giurisprudenza della Corte. La sentenza della CJUE nella causa Spector Photo Group, citata dal Governo, non afferma il contrario, ma si limita a dire che uno Stato membro ha previsto la possibilità di infliggere una sanzione pecuniaria di natura penale, il livello di questa sanzione non deve essere preso in considerazione per valutare il carattere effettivo, proporzionale e dissuasivo della sanzione amministrativa. Inoltre, nella sua sentenza del 26 febbraio 2013 nel caso C-617/10 (Åklagaren c. Hans Åkerberg Fransson), la CJUE ha affermato i seguenti principi: a) l’applicabilità del diritto dell’Unione implica anche l’applicabilità dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta; b) l’articolo 50 di quest’ultima (che garantisce il principio ne bis in idem) implica il fatto che le misure adottate SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 34 contro un imputato rivestono un carattere penale; c) per valutare la natura penale delle sanzioni fiscali, è necessario tener conto della classifica della sanzione nel diritto interno, della natura del reato e della gravità della sanzione che rischia di subire l’interessato. 93. Nella fattispecie, la gravità delle sanzioni era evidente, il massimo previsto essendo pari a 5 000 000 EUR. A questa sanzione principale si aggiungono le sanzioni accessorie, quali la perdita temporanea (potendo arrivare fino a tre anni) della capacità di occupare incarichi di amministrazione, di direzione o di controllo di società quotate in borsa, la sospensione temporanea (fino a tre anni) dall’ordine professionale, e la confisca del prodotto del reato e dei beni utilizzati per commetterlo. Facendo riferimento alla giurisprudenza della Corte in materia (vedi in particolare Dubus S.A.c. Francia, no 5242/04, 11 giugno 2009 ; Messier c. Francia, no 25041/07, 30 giugno 2001 ; e Menarini Diagnostics S.r.l. c. Italia, no 43509/08, 27 settembre 2011), i ricorrenti concludono che l’articolo 6 trova applicazione nella fattispecie per l’aspetto penale. b) La valutazione della Corte 94. La Corte ribadisce la sua giurisprudenza costante secondo la quale per determinare l’esistenza di una “accusa in materia penale”, è necessario tenere in considerazione tre criteri: la qualifica giuridica della misura di cui si discute nel diritto interno, la natura stessa di quest’ultima, e la natura e la gravità della “sanzione” (Engel e altri c. Paesi Bassi, 8 giugno 1976, § 82, série A no 22). Questi criteri sono inoltre alternativi e non cumulativi: affinché si applichi l’articolo 6 § 1 per le parole “accusa in materia penale”, è sufficiente che il reato in causa sia, per natura, “penale” per la Convenzione, o che abbia esposto l’interessato ad una sanzione che, per sua natura e gravità, è collegata in generale alla “materia penale”. Questo non impedisce la scelta di un approccio cumulativo qualora l’analisi separata di ciascun criterio non permettesse di trarre una conclusione chiara in merito SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 35 all’esistenza di una “accusa in materia pernale” (Jussila c. Finlandia [GC], no 73053/01, §§ 30 e 31, CEDH 2006-XIII, e Zaicevs c. Lettonia, no 65022/01, § 31, CEDH 2007-IX (estratti)). 95. Nella fattispecie, la Corte constata innanzitutto che i manipolazioni del mercato imputate ai ricorrenti non costituiscono un reato penale nel diritto italiano. Questi comportamenti vi sono in effetti sanzionati tramite una sanzione classificata come “amministrativa” dall’articolo 187 ter § 1 del decreto legislativo n° 58 del 1998 (paragrafo 20 sopra). Ciò nonostante, questo non è stato decisivo ai fini dell’applicabilità dell’articolo 6 della Convenzione per l’aspetto penale, in quanto le indicazioni fornite dal diritto interno hanno soltanto un valore relativo (Öztürk c. Germania, 21 febbraio 1984, § 52, serie A nº 73, e Menarini Diagnostics S.r.l., già citato, § 39). 96. Per quanto riguarda la natura del reato, appare che le disposizioni la cui violazione è stata imputata ai ricorrenti erano atte a garantire l’integrità dei mercati finanziari e a mantenere la fiducia del pubblico nella sicurezza delle transazioni. La Corte ribadisce che la CONSOB, autorità amministrativa indipendente, ha lo scopo di garantire la protezione degli investitori e l’efficacia, la trasparenza e lo sviluppo dei mercati azionari (paragrafo 9 sopra). Si tratta qui di interessi generali della società normalmente tutelati dal diritto penale (vedi, mutas mutandis, Menarini Diagnostics S.r.l., già citato, § 40 ; vedi anche Société Stenuit c. Francia, rapporto della Commissione europea dei diritti dell’uomo del 30 maggio 1991, § 62, serie A no 232-A). Inoltre, la Corte ritiene che le ammende inflitte avevano lo scopo di punire essenzialmente per prevenire la recidiva. Erano dunque fondate su normative che perseguivano uno scopo allo stesso tempo preventivo, cioè dissuadere gli interessati a ricominciare, e repressivo, in quanto sanzionavano un’irregolarità (vedi, mutas mutandis, Jussila, già citato, § 38). Tali sanzioni non avevano quindi soltanto lo scopo di risanare un pregiudizio di natura finanziaria, come pretende il Governo (paragrafo SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 36 91 sopra). In questo senso, conviene notare che le sanzioni erano inflitte dalla CONSOB in funzione della gravità del comportamento incriminato e non del pregiudizio provocato agli investitori. 97. Per quanto riguarda la natura e la gravità della sanzione “suscettibile di essere inflitta” ai ricorrenti (Ezeh et Connors c. Royaume-Uni [GC], nos 39665/98 et 40086/98, § 120, CEDH 2003-X), la Corte nota insieme al Governo (paragrafo 90 sopra) che le ammende in causa non potevano essere sostituite da una misura privativa della libertà in caso di mancato pagamento (vedi, a contrario, Anghel c. Romania, nº 28183/03, § 52, 4 ottobre 2007). Tuttavia, l’ammenda che poteva essere inflitta dalla CONSOB poteva arrivare a 5 000 000 EUR (paragrafo 20 sopra), questa soglia ordinaria potendo essere in alcune circostanze triplicata o portata a dieci volte il valore del prodotto o del profitto conseguito dal comportamento illecito (pragrafo 53 sopra). L’inflizione delle sanzioni amministrative pecuniarie di cui sopra comporta anche la perdita temporanea della loro onorabilità per i rappresentanti delle società coinvolte, e, se queste ultime sono quotate in borsa, i loro rappresentanti sono colpiti da un’incapacità temporanea di amministrare, di dirigere o di controllare società quotate in borsa per una durata da due mesi a tre anni. La CONSOB può anche interdire alle società quotate, alle società di gestione e alle società di revisione di avvalersi della collaborazione dell’autore dell’infrazione, per una durata massima di tre anni e richiedere agli ordini professionali la sospensione temporanea dell’interessato dall’esercizio della sua attività professionale (paragrafo 54 sopra). Infine, l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie comporta anche la confisca del prodotto o del profitto dell'illecito e dei beni utilizzati per commetterlo (paragrafo 56 sopra). 98. E’ vero che nella fattispecie, le sanzioni non sono state applicate con l’ammontare massimo, in quanto la corte di appello di Torino ha ridotto alcune ammende inflitte dalla CONSOB (paragrafo 30 sopra), e nessuna SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 37 confisca non è stata ordinata. Tuttavia, l’aspetto penale di una istanza è subordinato alla gravità della sanzione che può essere inflitta a priori alla persona interessata (Engel e altri, già citato, § 82), e non alla gravitò della sanzione inflitta alla fine (Dubus S.A., già citato, § 37). Inoltre, nella fattispecie, i ricorrenti sono stati sanzionati alla fine con ammende comprese tra 500 000 e 3 000 000 EUR, e i Sigg. Gabetti, Grande Stevens e Marrone sono stati colpiti da un’interdizione di amministrare, di dirigere o di controllare società quotate in borsa, per un durata da due a quattro mesi (paragrafi 25-26 e 30-31 sopra). Quest’ultima sanzione era di natura a colpire la reputazione delle persone coinvolte (vedi, mutatis mutandis, Dubus S.A., loc. ult. cit.), e le ammende erano, per il loro ammontare, di una gravità notevole, comportando per gli interessati conseguenze patrimoniali significative. 99. Alla luce di quanto detto prima e tenendo conto dell’ammontare delle ammende inflitte, nonché dell’ammontare delle sanzioni a cui i ricorrenti andavano incontro, la Corte stima che le sanzioni in causa sono caratteristiche, per la loro natura, alla materia penale (vedi mutatis mutandis, Öztürk, già citato, § 54, e, a contrario, Inocêncio c. Portogallo (déc.), no 43862/98, CEDH 2001-I). 100. Per il resto, la Corte ribadisce che per quanto riguarda alcune autorità francesi competenti in diritto economico e finanziario e che dispongono di poteri di sanzione, ritiene che l’articolo 6, per l’aspetto penale, si applica nello specifico per la causa della Corte di disciplina del bilancio e finanziaria (Guisset c. Francia, no 33933/96, § 59,CEDH 2000-IX), del Consiglio dei mercati finaziari (Didier c. Francia (déc.), no 58188/00, 27 agosto 2002), del Consiglio della concorrenza (Lilly France S.A. c. Francia (déc.), no 53892/00, 3 dicembre 2002), della commissione delle sanzioni dell’Autorità dei mercati finanziari (Messier c. Francia (déc.), no 25041/07, 19 maggio 2009), e della Commissione bancaria (Dubus S.A., già citato, § SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 38 38). Vale lo stesso per l’autorità italiana per la regolarizzazione della concorrenza e del mercato (l’AGCM – Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ; vedi Menarini Diagnostics S.r.l., già citato, § 44). 101. Tenendo conto dei vari aspetti della causa, debitamente considerati, la Corte stima che le ammende inflitte ai ricorrenti hanno un carattere penale e di conseguenza l’articolo 6 § 1 trova applicazione, nell’occorrenza, sotto il suo aspetto penale (vedi mutatis mutandis, Menarini Diagnostics S.r.l., loc. ult. cit.). 2. Altri motivi di irricevibilità 102. Il Governo stima che il ricorso debba essere dichiarato irricevibile per mancanza palese di fondatezza, in quanto essenzialmente di competenza del quarto grado di giudizio, dato che le questioni relative alla qualifica giuridica dei fatti imputati ai ricorrenti e l’esistenza degli elementi costitutivi dei reati rientrano nelle competenze esclusive delle giurisdizioni nazionali. 103. In ogni caso, le sanzioni inflitte dalla CONSOB sono di natura amministrativa, la CONSOB è un organo indipendente e imparziale che giudica seguendo un procedimento rispettoso nei confronti della difesa e le sue decisioni possono essere impugnate davanti agli organi giurisdizionali (corte d’appello e Corte di cassazione). 104. I ricorrenti ritengono che le loro pretese non possono essere considerate di competenza del “quarto grado”. In effetti, essi richiedono il rispetto delle garanzie previste dall’articolo 6 della Convenzione – fatto che rientra nella competenza contenziosa della Corte e ha avuto ripercussioni sulla legalità delle sanzioni che sono state inflitte. 105. La Corte ritiene che questa pretesa non sia palesemente infondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione. La Corte rileva anche il fatto SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 39 che non è presente nessun altro motivo di irricevibilità. Conviene dunque di dichiarare il ricorso ricevibile. B. Sul merito 1. Sulla questione di sapere se il procedimento davanti alla CONSOB è stato equo a) Argomenti delle parti i. I ricorrenti 106. I ricorrenti lamentano il fatto che il procedimento davanti alla CONSOB era essenzialmente scritto, che nessun’udienza pubblica è stata prevista e che i diritti della difesa non sono stati rispettati. La Corte di cassazione stessa ha riconosciuto che le garanzie del processo equo e della protezione dei diritti della difesa (articoli 111 e 24 della Costituzione) non si applicano al procedimento amministrativo (paragrafo 38 sopra). 107. I ricorrenti sostengono che la decisioni della CONSOB n° 12697 del 2 agosto 2000 e 15086 del 21 giugno 2005 hanno de facto eliminato il principio del contraddittorio, enunciato invece all’articolo 187 septies del decreto legislativo n° 58 del 1998 (paragrafo 57 sopra). Queste decisioni permettono, come nella fattispecie, di non trasmettere agli imputati le conclusioni della direzione, che costituiscono in seguito la base della decisione della commissione – la quale, da parte sua, non riceve le memorie degli imputati riguardanti la fase istruttoria. Inoltre, la commissione decide senza sentire gli imputati e senza un’udienza pubblica, fatto che nella fattispecie ha impedito i ricorrenti di dialogare direttamente con la commissione e di difendersi dinanzi ad essa in base alle conclusioni della direzione. Dette conclusioni costituivano un elemento importante e la loro conoscenza avrebbe permesso ai ricorrenti di identificare le incoerenze nell’indagine o di accedere a informazioni utili per la loro difesa. Un’unica riunione interna è stata tenuta dalla commissione, durante la quale non è SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 40 stato sentito nessuno tranne un funzionario dell’ufficio IT (ossia l’organo incaricato dell’”accusa”). I ricorrenti non vi erano stati citati e non hanno potuto ottenere neanche una copia del verbale della riunione. 108. I ricorrenti affermano inoltre che non sono stati avvisati tempestivamente sui nuovi documenti su cui si fondava la nota complementare dell’ufficio IT (paragrafo 23 sopra) e non hanno avuto il tempo e le facilità necessarie per difendersi rispetto a questa nota. Questi documenti gli sarebbero stati comunicati tardivamente. 109. I ricorrenti ritengono che il procedimento davanti alla CONSOB non assicuri una vera separazione tra la fase istruttoria e la fase decisionale, fatto che secondo loro costituisce una violazione del principio di uguaglianza delle armi. La fase istruttoria è in effetti sottoposta al potere direzionale del presidente della CONSOB, con competenze per un numero importante di atti di istruzione, compresa la formulazione del capo o dei capi di accusa. 110. Nella fattispecie, secondo i ricorrenti, l’attività d’istruzione è stata unilaterale e fondata su deposizioni di testimoni realizzate nell’assenza degli imputati o dei loro difensori, che non hanno avuto modo di presentare le loro domande ai testimoni o di assistere al compimento dei vari atti di istruzione. I ricorrenti hanno potuto presentare le rispettive difese solo per iscritto. ii. Il Governo 111. Il Governo sostiene che l’ufficio IT della CONSOB ha allegato al suo rapporto tutti i documenti dell’indagine e dunque anche le difese presentate dai ricorrenti. Sottolinea anche che un termine di trenta giorni è stato concesso ai ricorrenti per presentare eventuali osservazioni alla nota complementare dell’ufficio IT del 19 ottobre 2006, e i ricorrenti hanno presentato dette osservazioni il 24 novembre 2006 senza lamentare il tempo limitato di cui disponevano. Gli interessati non hanno mai richiesto la SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 41 citazione e l’esame di testimoni, la cui presenza è normalmente inutile nel procedimento davanti la CONSOB, basata sull’acquisizione di informazioni e di dati a carattere tecnico. La natura tecnica dei reati giustifica la scelta di un procedimento essenzialmente scritto. 112. Tenendo conto della natura “amministrativa” del procedimento davanti alla CONSOB, il suo carattere equo non può essere messo in causa, secondo l’opinione del Governo, per il solo fatto che detto procedimento si è svolto completamente per iscritto. Dato che i procedimenti amministrativi non sono citati nell’articolo 6 della Convenzione, i principi del processo equo non sarebbero da applicare se non mutas mutandis. Il procedimento incriminato è stato in realtà ispirato dalla cura per garantire il rispetto dei diritti della difesa, del principio del contraddittorio e del principio della corrispondenza tra il fatto addebitato e il fatto sanzionato. I ricorrenti hanno avuto accesso alla pratica d’indagine e vi è stata separazione tra l’indagine e la decisione – la prima fase è stata di competenza dell’ufficio IT e della direzione delle sanzioni amministrative, mentre la seconda è stata affidata alla commissione della CONSOB. 113. In questo senso, il Governo sottolinea che la lettera che accerta la violazione dell’articolo 187 ter § 1 del decreto legislativo n° 58 del 1998 non era firmata dal presidente della CONSOB, ma dal capo della divisione mercati e consulenza economica e dal direttore generale delle attività istituzionali della CONSOB. 114. Una volta aperto il procedimento per l’infrazione, le persone coinvolte possono esercitare il loro diritto alla difesa presentando commenti scritti o richiedendo di essere sentiti, prima dall’ufficio competente, poi dalla direzione delle sanzioni amministrative. In questo modo, come nella fattispecie, gli interessati hanno la possibilità di formulare osservazioni sugli elementi costitutivi del reato e su ogni altra circostanza pertinente per l’esame della loro causa. L’indagine si articola in due tappe (una davanti SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 42 all’ufficio IT e l’altra davanti alla direzione), e il rapporto dell’ufficio è trasmesso non solo alla direzione, ma anche agli accusati, che possono quindi difendersi in riferimento al contenuto di detto rapporto davanti alla direzione. Il fatto che le conclusioni di quest’ultima non siano state trasmesse agli imputati e che essi non siano stati sentiti personalmente dalla commissione non comprometterebbe in alcun modo il carattere equo del procedimento. 115. Il Governo fa notare che anche nei procedimenti giudiziari, l’accusato non ha la facoltà di discutere la sanzione durante la fase decisionale. Inoltre, il quantum massimo di queste sanzioni era fissato dalla legge, che indicava anche i criteri da seguire per assicurare la loro proporzionalità alla gravità dei fatti commessi. Infine, come ammesso dalle sezioni riunite della Corte di cassazione nella sentenza n° 20935 del 2009, l’articolo 187 septies del decreto legislativo n° 58 del 1998 (relativo ai diritti della difesa nell’ambito di un procedimento davanti alla CONSOB) è stato introdotto nel sistema giuridico italiano proprio ai fini di garantire il rispetto delle esigenze della Convenzione. b) La valutazione della Corte 116. La Corte è pronta ad ammettere che, come sottolineato dal Governo, il procedimento davanti alla CONSOB ha consentito agli accusati di presentare gli elementi per la loro difesa. In effetti, l’accusa formulata dall’ufficio IT è stata comunicata ai ricorrenti, che sono stati invitati a difendersi (paragrafi 20 e 21 sopra). Sono stati portati a conoscenza dei ricorrenti anche il rapporto e la nota complementare dell’ufficio IT ed è stato disposto un termine di trenta giorni per presentare eventuali obiezioni in merito a quest’ultimo documento (pragrafo 23 sopra). Questo termine non appare chiaramente insufficiente e i ricorrenti non hanno richiesto una proroga. SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 43 117. Ciò nonostante, come ammesso dal Governo (paragrafo 114 sopra), il rapporto contenente le conclusioni della direzione, che in seguito sarebbe servito come base per la decisione della commissione, non è stato comunicato ai ricorrenti, che dunque non hanno avuto la possibilità di difendersi rispetto al documento sottoposto nella fase finale dagli organi d’inchiesta della CONSOB all’organo incaricato di decidere sulla fondatezza delle accuse. Inoltre, gli interessati non hanno avuto la possibilità di esaminare o far esaminare le persone eventualmente sentite dall’ufficio IT. 118. La Corte ha rilevato anche il fatto che il procedimento davanti alla CONSOB era essenzialmente in forma scritta e che i ricorrenti non hanno avuto la possibilità di partecipare all’unica riunione tenuta dalla commissione, dalla quale sono stati esclusi. Questo non è contestato dal Governo. In questo senso, la Corte ricorda che l’esistenza di un’udienza pubblica costituisce il principio fondamentale sancito dall’articolo 6 § 1 (Jussila, già citato, § 40). 119. Pertanto, è vero che l’obbligo di tenere un’udienza pubblica non è assoluto (Håkansson e Sturesson c. Svezia, 21 febbraio 1990, § 66, serie A no 171-A) e che l’articolo 6 non richiede necessariamente la tenuta di un’udienza in tutti i procedimenti. E’ il caso soprattutto di cause che non sollevano questioni di credibilità o che non suscitano controversie sui fatti rendendo necessario un confronto orale, e per le quali i tribunali possono pronunciarsi in modo equo e ragionevole sulla base delle conclusioni scritte delle parti e del resto del dossier (vedi ad esempio Döry c. Svezia, no 28394/95, § 37, 12 novembre 2002 ; Pursiheimo c. Finlandia (déc.), no 57795/00, 25 novembre 2003 ; Jussila, già citato, § 41 ; e Suhadolc c. Slovenia (déc.), no 57655/08, 17 maggio 2011, in cui la Corte ha ritenuto che l’assenza dell’udienza orale e pubblica non creava nessuna apparenza di violazione dell’articolo 6 della Convenzione in una causa riguardante il SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 44 superamento del limite di velocità e la guida in stato di ebrezza in cui gli elementi a carico dell’accusato erano stati ottenuti grazie ad apparecchi tecnici). 120. Anche se le esigenze del processo equo non sono più ristrette in materia penale, la Corte non esclude che, nell’ambio di certi procedimenti penali, i tribunali a cui è stata sottoposta la causa possano, a seconda della natura delle domande che si fanno, decidere di non tenere un’udienza. Se bisogna tener presente che i procedimenti penali, che hanno come oggetto l’identificazione della responsabilità penale e il rilascio di provvedimenti a carattere repressivo e dissuasivo, presentano una certa gravità, è dato per scontato che alcuni di questi procedimenti non comportano nessun carattere infamante per gli imputati e che le “accuse in materia penale” non hanno tutte lo stesso peso (Jussila, già citato, § 43). 121. Conviene anche sottolineare che l’importanza notevole che questo procedimento può avere per la situazione personale di un ricorrente non è decisiva per la questione di sapere se un’udienza è necessaria (Pirinen c. Finlandia (déc.), no 32447/02, 16 maggio 2006). Ciò nonostante, il rigetto di una domanda che tende alla tenuta di un’udienza non può essere giustificata se non molto raramente (Miller c. Svezia , no 55853/00, § 29, 8 febbraio 2005, e Jussila, già citato, § 42). 122. Per quanto riguarda la presente causa, agli occhi della Corte, un’udienza pubblica, orale e accessibile ai ricorrenti era necessaria. In questo senso, la Corte osserva che è presente una controversia sui fatti, in particolare per quanto riguarda lo stato di avanzamento delle negoziazioni con Merrill Lynch International Ltd, e che, aldilà della loro gravità da un punto di vista finanziario, le sanzioni in cui rischiavano di incorrere alcuni ricorrenti presentavano, come notato prima (paragrafi 74, 97 e 98 sopra) un carattere infamante, essendo suscettibili di pregiudicare l’onorabilità professionale e la reputazione delle persone coinvolte. SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 45 123. Alla luce di quanto detto prima, la Corte considera che il procedimento davanti alla CONSOB non soddisfa pienamente le esigenze dell’articolo 6 della Convenzione, in particolare per quanto riguarda il principio dell’uguaglianza delle armi tra accusa e difesa e la tenuta di un’udienza pubblica che permetta un confronto orale. 2. Sulla questione se la CONSOB era un tribunale indipendente e imparziale a) Argomenti delle parti i) I ricorrenti 124. I ricorrenti lamentano il fatto che, data la struttura e i poteri del suo predisente, la CONSOB non era un “tribunale indipendente e imparziale” ai sensi dell’articolo 6 § 1 della Convenzione. 125. I ricorrenti sottolineano che la fase istruttoria della loro pratica è stata condotta dall’ufficio IT e dalla direzione delle sanzioni amministrative. Mentre al presidente della CONSOB spetta la supervisione di questa fase prima di presidiare la commissione vera e propria, ossia l’organo incaricato di pronunciare le sanzioni. Non ci sarebbe quindi separazione chiara tra la fase di indagine e la fase decisionale e questa posizione dualista del presidente farebbe sorgere dei dubbi obiettivamente giustificati sulla sua imparzialità. Sarebbe lo stesso anche per gli altri membri della commissione, che avrebbero conoscenza dei fatti soltanto tramite il presidente e sulla base dell’unica versione presentata dalla direzione, alla quale non sarebbero state aggiunte le difese presentate dagli imputati. Infine, gli organi incaricati dell’indagine non sarebbero indipendenti rispetto all’alta gerarchia della CONSOB. 126. In virtù della risoluzione della CONSOB n° 15087 del 21 giugno 2005, il presidente è stato posto al vertice della commissione: egli applica le sanzioni, sorveglia l’indagine preliminare e autorizza l’esercizio dei poteri SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA di inchiesta. 46 Può ordinare ispezioni o altri atti d’istruzione, fatto che impedisce di considerarlo un giudice “terzo” e imparziale. ii. Il Governo 127. Il Governo rileva che la CONSOB è composta da un presidente e da quattro membri, scelti tra le personalità indipendenti con competenze specifiche e godendo di qualità morali appropriate. All’epoca dei fatti, i suoi membri erano stati scelti per cinque anni e il loro mandato era rinnovabile soltanto una volta. Durante il loro mandato, questi membri non potevano esercitare nessun’altra attività professionale o commerciale né occupare altri incarichi pubblici. 128. La CONSOB è indipendente rispetto a qualsiasi altro potere e in particolare rispetto al potere esecutivo. Può disporre in modo autonomo del suo budget e adottare le risoluzioni riguardanti la gli incarichi e le condizioni di assunzione del suo personale. L’organo decisionale (la commissione) è separata dagli organi di inchiesta (l’ufficio e la direzione). 129. Anche se è incaricata con il controllo di vari uffici e ha alcuni poteri d’iniziativa durante l’indagine (in particolare, può autorizzare ispezioni e richiedere la produzione di atti di istruzione, quali l’acquisizione di dati relativi al traffico telefonico e il sequestro di beni), il presidente della CONSOB non può mai interferire con le indagini riguardanti una data causa, che sono condotte dall’ufficio competente e dalla direzione. L’ufficio e la direzione invece, non hanno nessun ruolo nell’adozione della decisione finale. Il presidente della CONSOB è responsabile della supervisione dei criteri generali che gli uffici devono seguire nella conduzione delle indagini. Non può intervenire nella valutazione sul merito degli elementi acquisiti né condizionare i risultati delle indagini. La sua funzione è paragonabile a quella di un presidente di un tribunale. SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 47 130. il potere di avviare un procedimento per reato e di formulare le accuse appartengono esclusivamente al capo della divisione competente, che agisce in completa indipendenza e autonomia di giudizio. Per quanto riguarda le ispezioni, si tratta di atti di indagine che hanno lo scopo di acquisire informazioni. Queste sono successivamente valutate dagli uffici competenti. Nella fattispecie, il presidente della CONSOB non ha autorizzato le ispezioni e non ha richiesto il compimento di atti di istruzione. La decisione finale su un sequestro– non ordinato nella fattispecie – appartiene alla commissione previa parere favorevole del pubblico ministero rilasciata su richiesta del presidente della CONSOB. Si tratta ad ogni modo di una misura provvisoria che ha lo scopo di garantire la solvibilità degli accusati o a privarli dei beni utilizzati per commettere il reato. La decisione sulla causa sottoposta non pregiudica in alcun modo la decisione sul merito delle accuse e delle sanzioni. Anche nell’ambito di un procedimento giudiziario, è ammesso che una decisione procedurale che non implica nessun giudizio in merito alla colpevolezza o l’innocenza del sospettato (come ad esempio una ordinanza di detenzione provvisoria) non costituisca una ragione per dubitare in seguito dell’imparzialità del giudice che l’ha adottata. 131. Il Governo fa presente infine che nella fattispecie, non esisteva nessun conflitto di interessi tra il personale della CONSOB, i membri della sua commissione e i ricorrenti. b) La valutazione della Corte 132. La Corte ribadisce la sua giurisprudenza stabilita ai sensi della quale, per determinare se un “tribunale” può essere considerato “indipendente”, è necessario prendere in considerazione in particolare il modo in cui sono stati nominati i suoi membri e la durata dei loro mandati, l’esistenza di una protezione contro le pressioni esterne e la questione di sapere se esiste o meno apparenza di indipendenza (Kleyn e altri c. Paesi Bassi [GC], nos 39343/98, 39651/98, 43147/98 e 46664/99, § 190, CEDH 2003-VI). SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 48 133. Tenendo conto delle modalità e delle condizioni di nomina dei membri della CONSOB, e in assenza di qualsiasi elemento che permettesse di dire che la garanzie contro eventuali pressioni esterne non sono sufficienti o adeguate, la Corte ritiene che non è possibile dubitare dell’indipendenza della CONSOB rispetto a qualsiasi altro potere o autorità, e in particolare rispetto al potere esecutivo. In questo senso, la Corte condivide le osservazioni del Governo sull’autonomia della CONSOB e sulle garanzie circa la nomina dei suoi membri (paragrafi 127 e 128 sopra). 134. La Corte ribadisce in seguito i principi generici sui passi necessari per valutare l’imparzialità di un “tribunale”, che sono stati esposti anche nelle seguenti sentenze: Padovani c. Italia, 26 febbraio 1993,§ 20, serie A no 257-B ; Thomann c. Suisse, 10 giugno 1996, § 30, Recueil des arrêts et décisions 1996-III ; Ferrantelli e Santangelo c. Italia, 7 agosto 1996, § 58, Recueil 1996-III ; Castillo Algar c. Spagna, 28 ottobre 1998, § 45, Recueil 1998-VIII ; Wettstein c. Svizzera, no 33958/96, § 44, CEDH 2000-XII ; Morel c. Francia, no 34130/96, § 42, CEDH 2000-VI ; e Cianetti c. Italia, no 55634/00, § 37, 22 aprile 2004. 135. Per quanto riguarda l’aspetto soggettivo dell’imparzialità della CONSOB, la Corte nota che nessun elemento indica nella fattispecie la presenza di alcun pregiudizio o partito preso da parte dei suoi membri. Il fatto che avessero preso decisioni sfavorevoli ai ricorrenti non è sufficiente da solo per mettere in dubbio la loro imparzialità (vedi, mutatis mutandis, Previti c. Italia (déc.), no 1845/08, § 53, 12 febbraio 2013). La Corte non può dunque non presumere l’imparzialità personale dei membri della CONSOB, compresa quella del suo presidente. 136. Per quanto riguarda l’imparzialità oggettiva, la Corte nota che il regolamento della CONSOB prevede una certa separazione tra gli organi incaricati con le indagini e l’organo competente per decidere sulla presenza di un reato e per applicare le sanzioni. In particolare, l’accusa è formulata SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 49 dall’ufficio IT, che conduce anche le indagini, i cui risultati sono riassunti nel rapporto della direzione che contiene le conclusioni e le proposte in merito alle sanzioni da applicare. La decisione finale in merito all’inflizione delle sanzioni spetta soltanto alla commissione. 137. Ciò nonostante, l’ufficio IT, la direzione e la commissione non sono che reparti dello stesso organo amministrativo, che agiscono sotto l’autorità e la supervisione dello stesso presidente. Agli occhi della Corte, questo fa che siano esercitate in modo consecutivo funzioni di indagine e di giudizio all’interno della stessa istituzione; mentre in materia penale questo cumulo non è compatibile con l’esigenza d’imparzialità richiesta dall’articolo 6 § 1 della Convenzione (vedi mutatis mutandis, Piersack c. Belgio, 1 ottobre 1982, §§ 30-32, serie A no 53, e De Cubber c. Belgio, 26 ottobre 1984, §§ 24-30, serie A no 86, dove la Corte ha concluso che sussisteva una mancanza d’imparzialità oggettiva del “tribunale”, nella prima causa, perché una corte d’assise era presidiata da un consigliere che prima aveva diretto la sezione del parquet di Bruxelles a cui era stato sottoposta la causa dell’interessato; e, nel secondo caso, dall’esercizio successivo delle funzioni di giudice istruttore e di giudice di merito dallo stesso magistrato nella stessa causa). 3. Sulla questione di sapere se i ricorrenti hanno avuto accesso ad un tribunale dotato di pieni poteri giurisdizionali 138. Quanto affermato prima in relazione alla mancanza di imparzialità oggettiva della CONSOB e della non-conformità del procedimento davanti alla CONSOB con i principi del processo equo, non basta pertanto per accertare la violazione dell’articolo 6 nella fattispecie. In questo senso, la Corte osserva che le sanzioni incriminate dai ricorrenti non sono state inflitte da un giudice al termine di un procedimento giudiziario contraddittorio, ma da un’autorità amministrativa, la CONSOB. Se conferire a tale autorità il potere di perseguire e reprimere le contravvenzioni non è SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 50 incompatibile con la Convenzione, occorre comunque sottolineare che i ricorrenti devono poter sottoporre qualsiasi decisione così presa nei loro confronti davanti ad un tribunale che offra le garanzie dell’articolo 6 (Kadubec c. Slovacchia, 2 settembre 1998, § 57, Recueil 1998-VI ; Čanády c. Slovacchia, no 53371/99, § 31, 16 novembre 2004 ; e Menarini Diagnostics S.r.l., già citato, § 58). 139. Il rispetto dell’articolo 6 della Convenzione non esclude quindi il fatto che in un procedimento di natura amministrativa, una “pena” sia imposta inizialmente da un’autorità amministrativa. L’articolo presuppone però che la decisione di un’autorità amministrativa che non adempie le condizioni dell’articolo 6 subisca il controllo ulteriore di un organo giudiziario dotato di pieni poteri di giurisdizione (Schmautzer, Umlauft, Gradinger,Pramstaller, Palaoro e Pfarrmeier c. Austria sentenze del 23 ottobre 1995, rispettivamente §§ 34, 37, 42 et 39, 41 et 38, serie A nos 328 A-C e 329 A-C). Tra le caratteristiche di un organo giudiziario di pieni poteri di giurisdizione si trova il potere di modificare, in tutti i suoi punti, in fatto come in diritto, la decisione resa dall’organo inferiore. Deve avere in particolare la competenza per poter pronunciarsi su tutte le questioni di fatto e di diritto pertinenti per la causa che gli è sottoposta (Chevrol c. Francia, no 49636/99, § 77, CEDH 2003-III ; Silvester’s Horeca Service c. Belgio, nº 47650/99, § 27, 4 marzo 2004 ; e Menarini Diagnostics S.r.l., già citato,§ 59). 140. Nella fattispecie, i ricorrenti hanno avuto la possibilità, di cui si sono avvalsi, di contestare le sanzioni inflitte dalla CONSOB davanti alla corte di appello di Torino e di presentare ricorso in cassazione contro le sentenze di quest’ultima. Resta da stabilire se queste due giurisdizioni erano “organi giudiziari dotati di piena giurisdizione” ai sensi della giurisprudenza della Corte. SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 51 a) Argomenti delle parti i) I ricorrenti 141. Secondo i ricorrenti, i procedimenti ulteriori davanti alla corte di appello di Torino e alla Corte di cassazione non hanno posto rimedio alle carenze del procedimento davanti alla CONSOB. Anche se la corte di appello può essere considerata un organo di piena giurisdizione, rimane il fatto che non ha tenuto le udienze in pubblico. Una deroga al principio della pubblicità della udienze non può giustificarsi se non in circostanze eccezionali (vedi in particolare Vernes c. Francia, no 30183/06, § 30, 20 gennaio 2011). 142. I ricorrenti affermano in particolare che il procedimento davanti alla corte di appello non è stato un procedimento ordinario, ma un procedimento speciale in cui l’udienza si è tenuta in camera di consiglio. Per sostenere la loro affermazione hanno prodotto dichiarazioni sottoscritte dal direttore amministrativo della cancelleria della prima sezione civile della corte di appello di Torino che certificano che le udienze del relativo procedimento si sono svolte in camera di consiglio. Durante le udienze, erano presenti soltanto i difensori degli imputati; i ricorrenti non hanno ricevuto nessuna convocazione, e la corte di appello non ha esaminato né gli imputati, né i testimoni. La corte di appello non avrebbe effettuato nessuna indagine e si sarebbe limitata a confermare gli elementi raccolti dalla CONSOB. E’ vero che il Governo ha prodotto dichiarazioni del presidente della prima sezione della corte di appello che affermavano che le rispettive udienze in realtà sono state pubbliche (paragrafo 145 sotto). Ciò nonostante, le dichiarazioni non possono contraddire il contenuto degli atti pubblici, quali le sentenze della corte di appello, che indicano che le parti sono state convocate in camera di consiglio e che fanno fede fino a querela di falso. Il Governo però non ha avviato un procedimento per falso e in ogni modo il presidente della prima sezione della corte di appello si è limitato a riferire il contenuto delle SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 52 affermazioni altrui senza certificare nessun fatto di cui abbia avuto conoscenza diretta. 143. E’ vero che un’udienza pubblica stata convocata davanti la Corte di cassazione. Tuttavia, quest’ultima non è un organo di piena giurisdizione, perché non conosce del merito della causa e non è chiamata a giudicare la fondatezza dell’accusa o la pertinenza e la forza degli elementi di prova. La Corte di cassazione ha rigettato quindi tutti gli argomenti dei ricorrenti atti a contestare la valutazione delle prove fatta dalla CONSOB o dalla corte d’appello. ii. Il Governo 144. Il Governo fa notare che i ricorrenti hanno avuto accesso a un procedimento orale e pubblico davanti la corte di appello di Torino, che ha riesaminato in merito tutte le prove e le informazioni raccolte dalla CONSOB sulle circostanze particolari del comportamento incriminato, fatto che le ha consentito di verificare la proporzionalità delle sanzioni. La corte di appello aveva dei poteri molto estesi in materia di amministrazione delle prove, anche d’officio, e poteva annullare o modificare la decisione della CONSOB. I ricorrenti avrebbero potuto sollecitare l’esame dei testimoni oppure richiedere di essere sentiti personalmente; invece, non hanno presentato nessuna richiesta in questo senso. Al termine del procedimento giudiziario, la corte di appello ha modificato la valutazione della CONSOB, riducendo le sanzioni inflitte per tre su cinque ricorrenti. 145. Il Governo sostiene che l’affermazione dei ricorrenti secondo la quale non ci sarebbe stata nessuna udienza pubblica davanti la corte di appello di Torino è falsa. Ai sensi dell’articolo 23 della legge 689 del 1981, tutte le udienze tenute davanti a questa giurisdizione erano aperte al pubblico. In merito alle dichiarazioni sottoscritte dal direttore amministrativo della cancelleria della prima sezione della corte di appello, prodotte dai ricorrenti SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 53 (paragrafo 142 sopra), il Governo sostiene che esse non rappresentano la realtà dei fatti. Per contraddirle, il Governo produce cinque dichiarazioni sottoscritte dal presidente della prima sezione della corte di appello di Torino e dal direttore amministrativo della stessa sezione, specificando che, nei cinque procedimenti riguardanti i ricorrenti e aventi come oggetto la contestazione delle sanzioni inflitte dalla CONSOB, soltanto le udienze sulle misure di urgenza (sub procedimento cautelare) sono state convocate in camera di consiglio, mentre tutte le altre udienze sono state pubbliche. In queste dichiarazioni, datate 6 settembre 2013, il presidente della prima sezione della corte di appello indica che all’epoca dei fatti non faceva parte dell’organo in causa (ha preso il suo incarico dal 1 marzo 2013), però ha avuto modo di ricostituire l’andamento dei fatti esaminando i registri e le pratiche e sulla base di informazioni direttamente fornite dal personale della cancelleria e dai magistrati che si erano occupati delle relative cause. In particolare, i casi dei ricorrenti erano stati iscritti al ruolo della giurisdizione non contenziosa (registro volontaria giurisdizione). In seguito, la legge n° 62 del 18 aprile 2005 aveva indicato che i procedimenti relativi all’articolo 187 del decreto legislativo n° 58 del 1998 dovevano svolgersi con le forme previste dall’articolo 23 della legge n° 689 del 1981 (che non prevede la convocazione di un’udienza in camera di consiglio). Anche se le cause dei ricorrenti erano rimaste iscritte al ruolo della giurisdizione non contenziosa, il procedimento seguito è stato quello richiesto dalla legge n° 62 del 2005. 146. Sulla base di queste dichiarazioni, il Governo afferma che il 6 marzo 2007, i ricorrenti hanno richiesto la sospensione dell’esecuzione della sentenza della CONSOB (aticolo 187 septies § 5 del decreto legislativo n° 58 del 1998). Nell’ambito di questo sotto-procedimento per i provvedimenti sull’esecuzione provvisoria, una udienza si è tenuta il 28 marzo 2007: quest’udienza è stata convocata in camera di consiglio come previsto dagli articoli 283 e 351 del codice di procedura civile. In seguito, un’udienza sul SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 54 merito si è tenuta l’11 luglio 2007; ai sensi dell’articolo 23 della legge n° 689 del 1981, quest’udienza è stata pubblica. Inoltre, altre due sentenze della corte di appello (in particolare quelle nei confronti del Sig. Marrone e della società Giovanni Agnelli S.a.s.) fanno riferimento all’”udienza pubblica” fissata per l’11 luglio 2007. Infine, le udienze successive vertendo sul merito delle cause (ossia quelle del 7 novembre e del 5 dicembre 2007) sono state pubbliche. 147. Il Governo sottolinea anche il fatto che i ricorrenti hanno avuto la possibilità di presentare ricorso in cassazione e che il caso è stato affidato alle sezioni unite. Davanti alle sezioni, il procedimento è stato orale e pubblico nel rispetto del diritto della difesa, e ha riguardato sia l’interpretazione e l’applicazione della legge sostanziale o procedurale (errores in indicando et in procedendo) che la coerenza e la sufficienza delle motivazioni presentate dalla corte di appello. Il Governo fa riferimento, in particolare, alla causa Menarini Diagnostics S.r.l., sentenza già citata, in cui la Corte ha concluso che l’articolo 6 § 1 della Convenzione non è stato violato osservando che la sanzione amministrativa oggetto di giudizio era stato oggetto di un controllo di piena giurisdizione, da parte del tribunale amministrativo e del Consiglio di Stato. Secondo l’opinione del Governo, la stessa conclusione dovrebbe imporsi a fortiori nella fattispecie, dove i poteri della corte di appello erano più estesi di quelli dei tribunali amministrativi e del Consiglio di Stato. b) La Valutazione della Corte 148. La Corte fa presente innanzitutto che nella fattispecie, non è possibile dubitare dell’indipendenza della corte di appello di Torino. D’altronde neanche i ricorrenti la contestano. 149. La Corte osserva inoltre che la corte di appello era competente per giudicare in merito alla presenza, sia in fatto che in diritto, del reato definito SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 55 all’articolo 187 ter del decreto legislativo n° 58 del 1998, e aveva il potere di annullare la decisione della CONSOB. La corte era stata chiamata a pronunciarsi anche sulla proporzionalità delle sanzioni inflitte rispetto alla gravità del comportamento incriminato. Di fatto, la corte ha ridotto l’ammontare delle ammende e la durata dell’interdizione pronunciata per alcuni dei ricorrenti (paragrafi 30 e 31 sopra) e si è pronunciata sulle diverse affermazioni di ordine fattuale o giuridico (paragrafi 32-36 sopra). La sua competenza non si è limitata quindi ad un semplice controllo della legalità. 150. E’ vero che i ricorrenti lamentano il fatto che la corte di appello non ha esaminato i testimoni (paragrafo 142 sopra). Tuttavia, i ricorrenti non indicano nessuna regola procedurale che avrebbe impedito tale esame. Inoltre, la richiesta di sentire i testimoni formulata dal Sig. Grande Stevens nella sua memoria del 25 settembre 2007 non indicava né i nomi delle persone che l’interessato desiderava citare, né le circostanze sulle quali avrebbero dovuto testimoniare. Questa richiesta era stata inoltre formulata in modo puramente eventuale ed era da esaminare solo nel caso in cui la corte di appello avrebbe ritenuto insufficienti o inutilizzabili i documenti già presenti nella pratica. E’ lo stesso per la richiesta formulata dal Sig. Marrone, che presentava la possibilità di esaminare i testimoni le cui dichiarazioni citava soltanto “se necessario” (paragrafo 29 sopra). In ogni caso, davanti la Corte i ricorrenti non hanno indicato chiaramente i testimoni il cui esame era stato rifiutato dalla corte di appello e le ragioni per cui la loro testimonianza sarebbe stata decisiva per la risoluzione della causa. Di conseguenza non hanno sostenuto la loro pretesa basata sull’articolo 6 § 3 della Convenzione. 151. Alla luce di quanto esposto, la Corte considera che la corte di appello di Torino era un “organo di piena giurisdizione” ai sensi della giurisprudenza della Corte (vedi mutatis mutandis, Menarini Diagnostics SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 56 S.r.l., già citato, §§ 60-67). I ricorrenti stessi non sembrano contestarlo (paragrafo 141 sopra). 152. E’ necessario ancora determinare se le udienze sul merito tenute davanti alla corte di appello di Torino sono state pubbliche, questione di fatto sulla quale le affermazioni delle parti sono divergenti (paragrafi 142 e 145-146 sopra). In questo senso, la Corte può solo ribadire le sue conclusioni relative alla necessità, nella fattispecie, di un’udienza pubblica (paragrafo 122 sopra). 153. La Corte nota che le parti hanno prodotto documenti contraddittori in merito alle modalità con le quali si sarebbero svolte le udienze; secondo le dichiarazioni scritte del direttore amministrativo della cancelleria della corte di appello di Torino, prodotte dai ricorrenti, queste udienze si sarebbero tenute in camera di consiglio, mentre secondo le dichiarazioni scritte del presidente della corte di appello, prodotte dal Governo, soltanto le udienze in merito a misure cautelari si sarebbero tenute in camera di consiglio, tutte le altre udienze essendo pubbliche. La Corte non è in misura di stabilire quale delle due versioni sia vera. Ad ogni modo, di fronte alle due versioni, entrambe plausibili e provenienti da fonti qualificate, ma opposte, la Corte ritiene che sia il caso di tener conto degli atti ufficiali del procedimento. Come i ricorrenti hanno giustamente sottolineato (paragrafo 142 sopra), le sentenze della corte di appello indicano che la corte si era riunita in camera di consiglio o che le parti erano state convocate in camera di consiglio (paragrafo 30 in fine). 154. Facendo fede a queste indicazioni, la Corte arriva alla conclusione che nessuna udienza pubblica si è svolta davanti alla corte di appello di Torino. 155. E’ vero comunque che un’udienza pubblica si è tenuta davanti alla Corte di cassazione. Tuttavia, è vero che quest’ultima non ha le competenze per conoscere il merito della causa, per stabilire i fatti e per valutare gli SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 57 elementi di prova. Il Governo d’altronde non lo contesta. La cassazione non poteva quindi essere ritenuta un organo di piena giurisdizione ai sensi della giurisprudenza della Corte. 4. Sulle altre allegazioni dei ricorrenti 156. I ricorrenti affermano che i comunicati stampa del 24 agosto 2005 contenevano informazioni corrette e che la loro condanna nonostante le prove a discolpa contenute nella pratica è stata ritenuta come una “presunzione di colpevolezza” nei loro confronti. Secondo la loro opinione, non avevano nessun obbligo di riportare nei comunicati stampa progetti o accordi ipotetici non ancora conclusi. Per il resto, nelle istruzioni pubblicate dalla CONSOB si specificava che le informazioni che potevano essere diffuse al pubblico dovevano essere collegate a circostanze reali o a un evento sicuro, e non a semplici ipotesi su azioni future ed eventuali, che non presentavano interesse per il mercato. Alla data della diffusione dei comunicati stampa, nessuna iniziativa concreta non era stata intrapresa dalle società ricorrenti in relazione alla scadenza del prestito convertibile. All’epoca, l’ipotesi pianificata restava incerta perché subordinata all’approvazione di Merrill Lynch International Ltd e all’eventuale assenza dell’obbligo di lanciare una OPA. Un funzionario della CONSOB aveva partecipato alla redazione di uno dei comunicati, e il suo testo aveva ricevuto l’accordo preliminare della CONSOB. 157. Nonostante ciò, stimano i ricorrenti, la CONSOB avrebbe formulato le sue accuse partendo dalla presunzione arbitraria che l’accordo che modificava l’equity swap sarebbe stato concluso prima del 24 agosto 2005, e questo malgrado l’assenza di qualsiasi prova scritta od orale che confermi questa presunzione. Secondo l’opinione dei ricorrenti, la loro condanna è stata pronunciata senza nessuna prova in questo senso. SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 58 158. La Corte ribadisce che non è di sua competenza riconoscere gli errori di fatto o di diritto possibilmente commessi da una giurisdizione interna, se non quando e nella misura in cui detti errori rappresentano una violazione dei diritti e delle libertà tutelati dalla Convenzione (Khan c. Regno Unito no 35394/97, § 34, CEDH 2000-V), e che in principio spetta alle giurisdizioni nazionali di valutare i fatti e di interpretare e applicare il diritto interno (Pacifico c. Italia (déc.), no 17995/08, § 62, 20 novembre 2012). La Corte ha esaminato le decisioni interne criticate dai ricorrenti senza riscontrare segni di arbitrarietà in grado di rivelare un diniego di giustizia o un abuso palese (vedi, a contrario, De Moor c. Belgio, 23 giugno 1994, § 55 in fine, serie A no 292-A, e Barać e altri c. Monténégro, no 47974/06, § 32, 13 dicembre 2011). 159. La Corte ribadisce inoltre che il principio della presunzione di innocenza richiede, tra l’altro, che nell’espletamento della loro funzione i membri del tribunale non partano dall’idea preconcetta che l’imputato ha commesso l’atto incriminato; il dovere della prova pesa sull’accusa e il dubbio è a vantaggio dell’accusato. Inoltre, spetta all’autorità responsabile del procedimento di indicare all’interessato i capi di accusa – ai fini di fornirgli l’occasione di preparare e di presentare la sua difesa in conformità – e di offrire prove sufficienti per giustificare una dichiarazione di colpevolezza (vedi principalmente, Barberà, Messegué e Jabardo c. Spagna, 6 dicembre 1988, § 77, serie A no 146 ; John Murray c. Regno Unito 8 febbraio 1996, § 54, Recueil 1996-I ; e Telfner c. Austria, no 33501/96, § 15, 20 marzo 2001). 160. Nella fattispecie, la condanna degli interessati è stata pronunciata sulla base di una serie di indizi giudicati precisi, gravi e concludenti prodotti dall’ufficio IT e che lasciano pensare che all’epoca della diffusione dei comunicati stampa del 24 agosto 2005, l’accordo che modificava l’equity swap era già stato concluso o era sul punto di esserlo. In tali circostanze, SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 59 nessuna violazione del principio di presunzione di innocenza non può essere accertata (vedi, mutatis mutandis, Previti c. Italia (déc.), no 45291/06, § 250, 8 dicembre 2009). 6. Conclusione 161. Alla luce di quanto esposto, la Corte ritiene che, anche se il procedimento davanti alla CONSOB non ha soddisfatto le esigenze di equità e di imparzialità oggettiva richieste dall’articolo 6 della Convenzione, i ricorrenti hanno beneficiato di un ulteriore controllo di un organo indipendente e imparziale di piena giurisdizione, nell’occorrenza la corte di appello di Torino. Tuttavia, quest’ultima non ha tenuto udienze pubbliche, fatto che, nella fattispecie, ha costituito una violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione. III. SULLA PRESUNTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 3 a) E c) DELLA CONVENZIONE 162. Invocando l’articolo 6 § 3 a) e c) della Convenzione, il Sig. Grande Stevens lamenta un cambiamento a sua insaputa dell’accusa nei sui confronti. 163. Il Governo contesta questa tesi. 164. La Corte rileva che questo motivo di ricorso è collegato a quanto esaminato sopra e deve essere quindi dichiarata ricevibile. A. Argomenti delle parti 1. Il Sig. Grande Stevens 165. Ribadendo che in un primo momento è stato accusato e condannato dalla CONSOB in qualità di amministratore di Exor e che la corte di appello di Torino ha ammesso in seguito che egli non possedeva questa qualità (paragrafo 36 sopra), il Sig. Grande Stevens lamenta il fatto che la corte di SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 60 appello abbia comunque stimato che egli poteva essere punito lo stesso, visto il parere che aveva espresso in qualità di avvocato su richiesta delle società ricorrenti. Vi sarebbe stato quindi un cambiamento dell’accusa senza che il Sig. Grande Stevens abbia avuto la possibilità di difendersi rispetto al nuovo “fatto” ritenuto dalla corte di appello come elemento materiale del reato. 2. Il Governo 166. Il governo osserva che davanti alla CONSOB, il Sig. Grande Stevens è stato accusato di aver partecipato alla decisione che ha condotto alla redazione dei comunicati stampa. La menzione secondo la quale egli era il direttore di Exor serviva soltanto a indicare che faceva parte del top management della società e che di conseguenza il suo comportamento poteva essere imputato alla società. E' dunque legittimo che la corte di appello di Torino abbia stimato che questo riferimento sbagliato non aveva nessuna incidenza sulla regolarità della sanzione, rilevando che la qualità attribuita al Sig. Grande Stevens era senza importanza da un punto di vista legale nella misura in cui il reato di cui era incriminato poteva essere commesso da “chiunque”. La corte di appello di Torino non avrebbe dunque trasformato l’accusa nei suoi confronti. B. La valutazione della Corte 167. La Corte ribadisce che le disposizioni dell’articolo 6 § 3 a) della Convenzione traducono la necessità notificare con estrema cura l’ “accusa” all’interessato. L’atto di accusa ha un ruolo determinante nei procedimenti penali: a partire dal momento in cui l’accusa è resa nota, la persona in causa è ufficialmente avvisata per iscritto della base giuridica e fattuale dell’accusa formulata nei suoi confronti (Kamasinski c. Austria, 19 dicembre 1989, § 79, serie A no 168). Inoltre, l’articolo 6 § 3 a) riconosce all’accusato il diritto di essere informato non soltanto sulla causa dell’ SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 61 accusa, ossia sui fatti materiali che sono messi a suo carico e sui quali si fonda l’accusa, ma anche, in un modo dettagliato, sulla qualifica giuridica di tali fatti (Pélissier et Sassi c. Francia [GC], no 25444/94, § 51, CEDH 1999-II). 168. La portata di questa disposizione deve in particolare essere valutata alla luce del diritto più generico ad un processo equo che garantisce il paragrafo 1 dell’articolo 6 della Convenzione (Sadak e altri c. Turchia (no 1), nos 29900/96, 29901/96, 29902/96 e 29903/96, § 49, CEDH 2001-VIII). La Corte stima che in materia penale una notifica precisa e completa all’accusato delle accuse mosse nei suoi confronti – compresa la qualificazione giuridica che la giurisdizione potrebbe ritenere nei suoi confronti – è una condizione essenziale della qualità della procedura (Pélissier e Sassi, già citato, § 52). 169. Esiste inoltre un legame tra i punti a) e b) dell’articolo 6 § 3 e il diritto di essere informato sulla natura e le cause dell’accusa deve essere previsto alla luce del diritto dell’accusato di preparare la sua difesa (Pélissier e Sassi, già citato, § 54). 170. Nella fattispecie, la Corte rileva che le argomentazioni del Sig. Grande Stevens riguardano il fatto che la CONSOB aveva indicato che egli aveva agito in qualità di amministratore di Exor e che la corte di appello di Torino, pur ammettendo che egli non possedeva tale qualità, ha comunque confermato la sua condanna (paragrafi 29 e 36 sopra). 171. La Corte osserva che la qualità di amministratore di una società quotata in borsa non compare tra gli elementi che costituiscono il reato di cui è stato incriminato il Sig. Grande Stevens, di cui all’articolo 187 ter del decreto legislativo n° 58 del 1998 e che punisce “qualunque persona” che diffonde informazioni false o fuorvianti in merito a strumenti finanziari (paragrafo 20 sopra). La corte di appello di Torino lo ha giustamente sottolineato, SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 62 ritenendo che la questione su cui si doveva pronunciare non era quella di sapere se l’interessato era o meno uno degli amministratori di Exor, ma di determinare se egli aveva partecipato al processo decisionale che aveva portato alla pubblicazione del comunicato stampa incriminato (paragrafo 36 sopra). 172. Di conseguenza, la qualità di amministratore di Exor non faceva parte dell’ “accusa” notificata al Sig. Grande Stevens e non rappresentava neanche un “elemento intrinseco dell’accusa iniziale” che l’accusato avrebbe dovuto conoscere sin dall’inizio del procedimento (vedi, a contrario, De Salvador Torres c. Spagna, 24 ottobre 1996, § 33, Recueil 1996-V). 173. D’altronde, nella misura in cui possiamo stimare che la qualità di amministratore di Exor era uno degli elementi utilizzati dalle autorità interne per valutare se il Sig. Grande Stevens si era reso colpevole del reato di cui era stato accusato, conviene notare che l’interessato ha avuto conoscenza in tempo utile del fatto che tale qualità gli era stata attribuita e ha avuto modo di presentare gli argomenti di fatto e di diritto su questo punto sia davanti alla CONSOB che davanti alla corte di appello (paragrafo 29 sopra, vedi, mutas mutandis, D.C. c. Italia (déc.), no 55990/00, 28 febbraio 2002, e Dallos c. Ungheria, no 29082/95, §§ 49-53, 1 marzo 2001). E quest’ultima ha riconosciuto alla fine che il Sig. Grande Stevens non possedeva la qualità in causa (paragrafo 36 sopra). 174. Di conseguenza, la Corte non identifica nessuna violazione al diritto garantito al ricorrente dall’articolo 6 § 3 a) e b) della Convenzione, di essere informato sulla natura e la causa dell’accusa mossa nei suoi confronti e di disporre del tempo e delle facilità necessarie per preparare la sua difesa. 175. Infine, nella misura in cui il Sig. Grande Stevens invoca l’allineato c) del terzo paragrafo dell’articolo 6, la Corte non può stimare in quale modo SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 63 l’interessato avrebbe potuto essere privato del suo diritto di difendere se stesso o di ricevere l’assistenza di un difensore di sua scelta. IV. SULLA PRESUNTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N° 1 176. I ricorrenti lamentano una violazione del loro diritto al rispetto della proprietà, come sancito dall’articolo 1 del Protocollo n° 1. Questa disposizione recita: “Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale. Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.” 177. Il Governo contesta la tesi dei ricorrenti. 178. La Corte rileva che questo motivo di ricorso è collegato a quanto esaminato sopra e deve essere quindi dichiarata ricevibile. A. Argomenti delle parti 1. I ricorrenti 179. I ricorrenti considerano che le violazioni della “legalità convenzionale” che hanno denunciato in riferimento all’articolo 6 della Convenzione hanno influito sulla legalità delle sanzioni a loro inflitte, e dunque dei provvedimenti che hanno violato il loro diritto al rispetto della proprietà. I ricorrenti ribadiscono che la giurisprudenza della Corte conosce numerosi SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 64 esempi che mostrano che una violazione dell’articolo 1 del Protocollo n° 1 può decorrere dalla violazione di altre disposizioni della Convenzione (vedi in particolare Luordo c. Italia, no 32190/96, 17 luglio 2003 ; Sud Fondi S.r.l. e altri c. Italia, no 75909/01, 20 gennaio 2009 ; e Centro Europa 7 S.r.l. e Di Stefano c. Italia [GC], no 38433/09, 7 giugno 2012). 180. Le sanzioni di cui si discute non avendo una base legale sufficiente, vi sarebbe inoltre anche mancanza del giusto equilibrio che deve essere garantito in materia di regolamentazione dell’uso dei beni. In questo senso, i ricorrenti fanno notare che secondo le istruzioni della stessa CONSOB, non esisteva l’obbligo di informare il pubblico circa accordi ipotetici non ancora conclusi. 2. Il Governo 181. Il Governo sostiene che i ricorrenti non sono stati sanzionati per un’omissione e che le sanzioni inflitte erano previste da una legge – ossia dall’articolo 187 ter del decreto legislativo n° 58 del 1998 – accessibile e di applicazione prevedibile. I ricorrenti, operatori economici professionali, erano pienamente consapevoli della natura falsa e fuorviante dei comunicati stampa incriminati; non sarebbe ragionevole pensare che potevano ignorare le iniziative adottate per permettere ad Exor di rimanere l’azionista che detiene il controllo sulla FIAT. Inoltre, queste sanzioni erano proporzionali alla gravità del reato, hanno mantenuto un giusto equilibrio tra interessi pubblici e privati, e sono state inflitte al termine di un lungo procedimento amministrativo e giudiziario che offre sufficienti garanzie contro l’arbitrarietà. La CONSOB e gli organo giudiziari hanno valutato con attenzione la natura del comportamento incriminato, i pregiudizi causati e i profitti conseguiti, nonché la posizione, il grado di coinvolgimento e le intenzioni dei ricorrenti. SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 65 182. Il Governo sottolinea che il comportamento dei ricorrenti ha colpito seriamente l’integrità dei mercati finanziari e la fiducia del pubblico nella sicurezza delle transazioni. Inoltre, il reato è stato commesso nell’ambito di un’operazione finanziaria straordinaria e di notevole importanza, che è costata più di 500 000 000 EUR e che riguardava il controllo di uno dei più grandi costruttori di automobili a livello mondiale. B. La valutazione della Corte 1. Sull’esistenza di un’ingerenza e sulla normativa applicabile 183. La Corte osserva che i ricorrenti sono stati condannati dalla CONSOB e dalla corte di appello di Torino al pagamento di ammende importanti, che vanno da 500 000 a 3 000 000 EUR (paragrafi 25 e 30 sopra), che costituisce un’ingerenza nel diritto degli interessati al rispetto dei loro beni. D’altronde, questo non è contestato dal Governo. 184. La Corte ribadisce che l’articolo 1 del Protocollo n° 1 contiene tre norme distinte: la prima, espressa nella prima frase del primo comma e di carattere generale, enuncia il principio del rispetto della proprietà; la seconda, espressa nella seconda frase del primo comma, riguarda la privazione della proprietà e la subordina a certe condizioni; la terza, espressa nel secondo comma, riconosce agli Stati contraenti il potere di disciplinare l’uso dei beni, in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende (vedi anche National & Provincial Building Society, Leeds Permanent Building Society et Yorkshire Building Society c. Royaume-Uni, 23 octobre 1997, § 78, Recueil 1997-VII). 185. La Corte ritiene che le ammende inflitte ai ricorrenti si collegano al secondo comma dell’articolo 1 e in particolare al potere dello Stato di disciplinare l’uso dei beni per assicurare il pagamento delle ammende. SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 66 2. Sulla legalità dell’ingerenza 186. La Corte ribadisce che l’articolo 1 del Protocollo n° 1 richiede innanzitutto e soprattutto che un’ingerenza dell’autorità pubblica nella possibilità di godere del diritto al rispetto della proprietà sia legale (Varesi e altri c. Italia (déc.), no 49407/08, § 36, 12 marzo 2013): la seconda frase del primo comma dell’articolo autorizza una privazione della proprietà soltanto “nelle condizioni previste dalla legge”; il secondo comma riconosce agli Stati il diritto di disciplinare l’uso dei beni tramite apposite “leggi” (OAO Neftyanaya Kompaniya Yukos c. Russia, no 14902/04, § 559, 20 settembre 2011). Inoltre, la preminenza del diritto, uno dei principi fondamentali di una società democratica, è ereditato dall’insieme degli articolo della Convenzione (Iatridis c. Grecia [GC], no 31107/96, § 58, CEDH 1999-II, e Capital Bank AD c. Bulgaria, no 49429/99, § 133, ECHR 2005-XII (estratti)). 187. Per rispondere a questa esigenza di legalità, il diritto interno deve offrire una certa protezione contro violazioni arbitrarie dei poteri pubblici del diritto al rispetto della proprietà (Capital Bank AD, già citato, § 134 ;Zlínsat, spol. s r.o. c. Bulgaria, no 57785/00, § 98, 15 giugno 2006 ; Družstevní Záložna Pria e altri c. Repubblica ceca, no 72034/01, § 89, 31 luglio 2008 ; e Forminster Enterprises Limited c. Repubblica ceca, no 38238/04, § 69, 9 ottobre 2008). 188. Nonostante il silenzio dell’articolo 1 del Protocollo n° 1 in materia di esigenze procedurali, i procedimenti applicabili nella fattispecie devono offrire all’interessato un’occasione adeguata per esporre la sua causa alle competenti autorità ai fini di contestare effettivamente i provvedimenti che colpiscono i diritti garanti da questa disposizione (Sovtransavto Holding c. Ucraina, no 48553/99, § 96, CEDH 2002-VII ; Anheuser-Busch Inc.c. Portogallo [GC], no 73049/01, § 83, CEDH 2007-I ; J.A. Pye (Oxford) Ltd e J.A. Pye (Oxford) Land Ltd c. Regno Unito [GC], no 44302/02, § 57, SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 67 CEDH 2007-III ; Ukraine-Tyumen c. Ucraina, no 22603/02, § 51, 22 novembre 2007 ; Zehentner c. Austria, no 20082/02, § 75, 16 luglio 2009 ; e Shesti Mai Engineering OOD e altri c. Bulgaria, no 17854/04, § 79, 20 settembre 2011 ; vedi anche, mutatis mutandis, Al-Nashif c. Bulgaria, no 50963/99, § 123, 20 giugno 2002). Per garantire il rispetto di questa condizione, occorre considerare i procedimenti applicabili da un punto di vista generico (vedi Jokela c. Finlandia, no 28856/95, § 45, CEDH 2002IV, e Družstevní Záložna Pria e altri, già citato, § 89). 189. La Corte osserva che le parti ammettono entrambe che le ammende inflitte ai ricorrenti avevano una base legale sufficientemente chiara e accessibile nel diritto italiano, ossia l’articolo 187 ter del decreto legislativo n° 58 del 24 febbraio 1998 (paragrafo 20 sopra). Questa disposizione sanzione, tra l’altro, qualsiasi persona che diffonde informazioni false o fuorvianti in merito a strumenti finanziari. Secondo le autorità interne, i ricorrenti hanno manifestato un comportamento di questo tipo tramite i comunicati stampa descritti ai paragrafi 13 e 14. 190. La Corte fa notare inoltre che le ammende in causa sono state inflitte dalla CONSOB al termine di un procedimento durante il quale i ricorrenti hanno avuto modo di presentare le loro difese. Anche se il procedimento davanti alla CONSOB non ha soddisfatto tutte le esigenze dell’articolo 6 della Convenzione, come osservato prima (paragrafo 151 sopra), i ricorrenti hanno potuto accedere in seguito ad un organo giudiziario con piena giurisdizione, nell’occorrenza la corte di appello di Torino, competente per esaminare tutte le questioni di fatto e di diritto pertinenti per l’esito della causa. Inoltre, i ricorrenti hanno avuto la possibilità di presentare ricorso in cassazione contro le sentenze della corte di appello (paragrafo 37 sopra), e hanno beneficiato in questo modo di un controllo supplementare della legalità. SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 68 191. In queste condizioni, la Corte non può concludere che i ricorrenti non hanno goduto delle garanzie procedurali adeguate contro l’arbitrarietà o che non hanno avuto la possibilità di contestare i provvedimenti che hanno colpito il loro diritto di rispetto della proprietà. 192. E’ vero che la Corte ha appena segnalato che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione visto il fatto che le udienze davanti la corte di appello di Torino non sono state pubbliche (paragrafo 161 sopra). Tuttavia, questa circostanza non è in grado di compromettere, da sola, la legalità delle misure di cui si discute o di costituire una mancanza agli obblighi positivi dello Stato che risultano dall’articolo 1 del Protocollo n° 1. 193. Occorre ancora stabilire se l’ingerenza era conforme all’interesse generale e proporzionale agli obiettivi legittimi perseguiti. 3. Sulla questione di sapere se l’ingerenza era conforme all’interesse generale 194. La Corte nota che l’interdizione di diffondere informazioni false o fuorvianti in merito a strumenti finanziari ha lo scopo di garantire l’integrità dei mercati finanziari e di mantenere la fiducia del pubblico nella sicurezza delle transazioni. 195. La Corte non ha dubbi che si tatti di un obiettivo di interesse generale. La Corte è consapevole dell’importanza che riveste per gli Stati membri la lotta contro gli abusi di mercato e osserva che le norme comunitarie (nello specifico la direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2003 – paragrafo 60 sopra) hanno lo scopo di instaurare dispositivi efficaci contro l’abuso di informazioni privilegiate e la manipolazione del mercato. 4. Sulla proporzionalità dell’ingerenza SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 69 196. Occorre ancora stabilire se le autorità hanno mantenuto nella fattispecie un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e l’obiettivo perseguito, e quindi un “giusto equilibrio” tra le esigenze dell’interesse generale della collettività e quelle della protezione dei diritti fondamentali dell’individuo (Beyeler c. Italia [GC], no 33202/96, § 107, CEDH 2000-I, e Air Canada c. Regno Unito, 5 maggio 1995, § 36, serie A no 316-A). Questo giusto equilibrio viene a meno se la persona coinvolta deve subire sanzioni eccessive e insostenibili. (Sporrong e Lönnroth c. Svezia, 23 settembre 1982, §§ 69-74, serie A no 52, e Maggio e altri c. Italia, nos 46286/09, 52851/08, 53727/08, 54486/08 et 56001/08, § 57, 31 maggio 2011). 197. Nella fattispecie, avvalendosi del loro diritto di stabilire i fatti, le autorità interne hanno stimato che il 24 agosto 2005, data dei comunicati stampa incriminati, il progetto atto alla rinegoziazione del contratto di equity swap con Merrill Lynch International Ltd esistesse già e fosse in corso di applicazione, e che i ricorrenti hanno omesso deliberatamente di indicare questa circostanza, offrendo in questo modo una falsa rappresentazione della situazione all’epoca (paragrafi 27 e 35 sopra). 198. La Corte osserva che in seguito alla conclusione dell’accordo che modifica il contratto di equity swap, Exor ha mantenuto la sua partecipazione del 30% al capitale della FIAT (paragrafo 19 sopra), uno dei più importanti costruttori di automobili del mondo. In questo modo, la prospettiva di un’acquisizione del 28% del capitale sociale da parte delle banche è stata eliminata, e insieme ad essa, anche tutte le conseguenze che una tale acquisizione avrebbe potuto avere sul controllo di FIAT (paragrafo 7 sopra). Agli occhi della Corte, si trattava di questioni che erano all’epoca di interesse primordiale per gli investitori, e la circostanza che informazioni false o fuorvianti fossero state diffuse in merito presenta una notevole gravità. SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 70 199. Di conseguenza, le ammende inflitte ai ricorrenti, anche se severe, non risultano sproporzionate rispetto al comportamento incriminato. In questo senso, la Corte osserva che per stabilire l’ammontare delle sanzioni, la CONSOB ha preso in considerazione la posizione occupata dalle persone coinvolte e l’esistenza di un dolo (paragrafo 27 sopra) e che la corte di appello ha ridotto le ammende inflitte a tre dei ricorrenti (paragrafo 30 sopra). Di conseguenza, non è possibile ritenere che le autorità interne abbiano applicato le sanzioni senza tener conto delle circostanze particolari della causa o che i ricorrenti siano stati costretti a sopportare sanzioni eccessive o insostenibili. 5. Conclusione 200. Alla luce di quanto esposto, la Corte ritiene che le sanzioni inflitte ai ricorrenti siano “legali” ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n° 1 e che rappresentino le misure necessarie per assicurare il pagamento delle ammende. 201. In conclusione, non vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n° 1. V. SULLA PRESUNTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 4 DEL PROTOCOLLO N° 7 202. I ricorrenti si ritengono vittime di una violazione del principio ne bis in idem, sancito dall’articolo 4 del Protocollo n° 7. Questa disposizione recita: “1. Nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato. SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 71 2. Le disposizioni del paragrafo precedente non impediscono la riapertura del processo, conformemente alla legge e alla procedura penale dello Stato interessato, se fatti sopravvenuti o nuove rivelazioni o un vizio fondamentale nella procedura antecedente sono in grado di inficiare la sentenza intervenuta. 3. Non è autorizzata alcuna deroga al presente articolo ai sensi dell’articolo 15 della Convenzione.” 203. Il Governo contesta questa tesi. A. Sulla ricevibilità 1. La riserva dell’Italia relativa all’articolo 4 del Protocollo n° 7 204. Il Governo osserva che l’Italia ha reso una dichiarazione secondo la quale gli articoli 2-4 del Protocollo n° 7 si applicano esclusivamente ai reati, alle procedure a alle sentenze qualificati come penali dalla legge italiana. La legge italiana però non qualifica come penali i reati sanzionati dalla CONSOB. Inoltre, la dichiarazione dell’Italia sarebbe simile a quella resa da altri Stati (in particolare la Germania, la Francia e il Portogallo). 205. I ricorrenti sottolineano che l’articolo 4 del Protocollo n° 7, al quale nessuna deroga è autorizzata ai sensi dell’articolo 15 della Convenzione, riguarda un diritto rilevante di ordine pubblico europeo. Secondo loro, la dichiarazione resa dall’Italia durante il deposito dello strumento di ratifica del Protocollo n° 7 non avrebbe la portata di una riserva ai sensi dell’articolo 57 della Convenzione, che non autorizza le riserve di carattere generale. Inoltre, la dichiarazione controversa non si appoggia ad una “legge” in vigore al momento della sua formulazione e non comprende un “breve esposizione” di questa legge. La dichiarazione in causa non inciderebbe quindi sugli obblighi assunti dall’Italia. SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 72 206. La Corte fa notare che il Governo afferma di aver indicato una riserva in merito all’applicazione degli articoli 2-4 del Protocollo n° 7 (paragrafo 204 sopra). Indipendentemente dalla questione di applicabilità di tale riserva, la Corte deve esaminare la sua validità: in altri termini, deve stabilire se la riserva soddisfa le esigenze dell’articolo 57 della Convenzione (Eisenstecken c. Austria, no 29477/95, § 28, CEDH 2000-X). Questa disposizione recita: “1. Ogni Stato, al momento della firma della presente Convenzione o del deposito del suo strumento di ratifica, può formulare una riserva riguardo a una determinata disposizione della Convenzione, nella misura in cui una legge in quel momento in vigore sul suo territorio non sia conforme a tale disposizione. Le riserve di carattere generale non sono autorizzate ai sensi del presente articolo. 2. Ogni riserva emessa in conformità al presente articolo comporta una breve esposizione della legge in questione.” 207. La Corte ribadisce che, per essere valida, una riserva deve rispondere alle seguenti condizioni: 1) deve essere espressa al momento della firma o della ratifica della Convenzione o dei suoi Protocolli; 2) deve far riferimento a determinate leggi in vigore al momento della ratifica; 3) non deve avere un carattere generale; 4) deve comportare una breve esposizione della legge in questione (Põder e altri c. Estonia (déc.), no 67723/01, CEDH 2005-VIII, e Liepājnieks c. Lettonia (déc.), no 37586/06, § 45, 2 novembre 2010). 208. La Corte ha avuto l’occasione di indicare che l’articolo 57 § 1 della Convenzione richiede da parte degli Stati contraenti “precisione e chiarezza” e che, richiedendo loro di includere una breve esposizione della legge in questione, questa disposizione non espone solo una “semplice esigenza formale”, ma fornisce una “condizione di merito” che costituisce SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 73 “allo stesso tempo un elemento di prova e un fattore di sicurezza giuridica” (Belilos c. Svizzera, 29 aprile 1988, §§ 55 e 59, serie A no 132 ; Weber c. Svizzera, 22 maggio 1990, § 38, serie A no 177 ; e Eisenstecken, già citato, § 24). 209. Per “riserva di carattere generale”, l’articolo 57 intende in particolare una riserva formulata in termini poco chiari o troppo generici perché si possano valutare il senso e il campo di applicazione esatti. La formulazione della dichiarazione deve permettere di misurare correttamente la portata dell’impegno dello Stato contraente, in particolare per quanto riguarda le categorie di cause prese in considerazione, e non deve consentire interpretazioni diverse (Belilos, già citato, § 55). 210. Nella fattispecie, la Corte nota l’assenza nella riserva in questione di una “breve esposizione” della legge o delle leggi presumibilmente incompatibili con l’articolo 4 del Protocollo n° 7. E’ possibile dedurre dalla formulazione della riserva che l’Italia intendeva escludere dal campo dell’applicazione di questa disposizione tutti i reati e i procedimenti che non erano qualificati come “penali” dalla legge italiana. Ciò nonostante, una riserva che non invoca né include le disposizioni specifiche dell’ordine giuridico italiano che escludono i reati o i procedimenti dal campo di applicazione dell’articolo 4 del Protocollo n° 7, non offre sufficienti garanzie sul fatto che non superi le disposizioni esplicitamente escluse dallo Stato contraente (vedi, mutatis mutandis, Chorherr c. Austria, 25 agosto 1993, § 20, serie A no 266-B ; Gradinger c. Austria, 23 ottobre 1995, § 51, serie A no 328-C ; e Eisenstecken, già citato, § 29 ; vedi anche, a contrario, Kozlova e Smirnova c. Lettonia (déc.), no 57381/00, CEDH 2001-XI). In questo senso, la Corte ribadisce che persino difficoltà pratiche importanti nell’indicazione e nella descrizione di tutte le disposizioni che riguardano la riserva non possono giustificare il mancato rispetto delle condizioni dettate dall’articolo 57 della Convenzione (Liepājnieks, sentenza già citata, § 54). SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 74 211. Di conseguenza, la riserva invocata dall’Italia non soddisfa le esigenze dell’articolo 57 § 2 della Convenzione. Questa conclusione è sufficiente come fondamento dell’invalidità della riserva, senza che sia necessario di stabilire se altre condizioni formulati nell’articolo 57 siano state adempite (vedi, mutatis mutandis, Eisenstecken, già citato, § 30). 2. Altri motivi di irricevibilità 212. La Corte constata che il presente motivo di ricorso non è palesemente infondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione. La Corte sottolinea inoltre che non incontra nessun altro motivo di irricevibilità e decide dunque di dichiarala ricevibile. B. Sul merito 1. Argomenti delle parti a) I ricorrenti 213. I ricorrenti fanno notare che hanno subito una sanzione penale in seguito al procedimento davanti alla CONSOB e che sono stati sottoposti a un procedimento penale per gli stessi fatti. 214. Per quanto riguarda la questione di sapere se il procedimento davanti alla CONSOB e il procedimento penale erano collegati allo stesso “reato”, i ricorrenti ribadiscono i principi sanciti dalla Grande Camera nella causa Sergueï Zolotoukhine c. Russia ([GC], no 14939/03, 10 febbraio 2009), in cui la Corte ha concluso che è vietato perseguire una persona per un secondo “reato” quando quest’ultimo scaturisce da fatti identici o che sono in sostanza gli stessi. Secondo l’opinione dei ricorrenti, nella fattispecie si verificava esattamente questa situazione. In questo senso, i ricorrenti ribadiscono che la CJUE ha senz’altro precisato che l’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali non era contrario al fatto che uno Stato membro imponesse successivamente, per un unico e SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 75 stesso insieme di fatti di mancato rispetto agli obblighi dichiarativi nell’ambito dell’imposta sul valore aggiunto, una sanzione fiscale e una sanzione penale, è a condizione che la prima sanzione non abbia un carattere penale (vedi Åklagaren c. Hans Åkerberg Fransson, sentenza già citata, punto 1 del dispositivo); mentre invece, secondo loro, questa condizione non è presente nella fattispecie, in quanto nonostante la loro qualificazione formale nel diritto italiano, le sanzioni pronunciate dalla CONSOB avevano un carattere penale ai sensi della giurisprudenza della Corte. b) Il Governo 215. Facendo riferimento agli argomenti sviluppati in riferimento all’articolo 6 della Convenzione, il Governo sostiene innanzitutto che il procedimento davanti alla CONSOB non riguardava un’ “accusa in ambito penale” e che la sentenza della CONSOB non era di natura “penale”. 216. D’altronde, il diritto dell’Unione europea ha autorizzato espressamente il ricorso a una doppia sanzione (amministrativa e penale) nell’ambito della lotta contro i comportamenti abusivi sui mercati finanziari. Tale ricorso costituirebbe una tradizione costituzionale comune agli Stati membri, in particolare negli ambiti quali la tassazione, le politiche ambientali e la sicurezza pubblica. Tenendo conto di quanto espresso prima e del fatto che alcuni Stati non hanno ratificato il Protocollo n° 7 o hanno rilasciato dichiarazioni in questo senso, sarebbe consentito considerare che la Convenzione non garantisce il principio ne bis in idem nello stesso modo in cui lo fa per gli altri principi fondamentali. Di conseguenza, non sarebbe il caso di ritenere che l’inflizione di una sanzione amministrativa definitiva debba impedire l’avvio di un procedimento penale. Il Governo fa riferimento, su questo punto, all’opinione espressa davanti la CJUE dall’avvocato generale nelle sue conclusioni del 12 giugno 2012 sulla causa Åklagaren c. Hans Åkerberg Fransson, già citata. SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 76 217. Ad ogni modo, il procedimento penale in corso contro i ricorrenti non riguarderebbe lo stesso reato di quello sanzionato dalla CONSOB. In effetti, ci sarebbe una differenza precisa tra i reati previsti rispettivamente dagli articolo 187 ter e 185 del decreto legislativo n° 58 del 1998, perché soltanto nel secondo caso è richiesta la presenza di dolo (la semplice negligenza non sarebbe sufficiente) e della capacità delle informazioni false e fuorvianti diffuse di produrre un’alterazione significativa dei mercati finanziari. Inoltre, soltanto il procedimento penale è suscettibile di condurre all’inflizione di sanzioni che comportano la privazione della libertà. Il Governo fa riferimento alla causa R.T. c. Svizzera ((déc.), no 31982/96, 30 maggio 2000), in cui la Corte ha specificato che l’inflizione delle sanzioni da due autorità distinte (una amministrativa, l’altra penale) non è incompatibile con l’articolo 4 del Protocollo n° 7. In questo senso, la circostanza che uno stesso comportamento possa violare contemporaneamente l’articolo 187 ter e l’articolo 185 del decreto legislativo n° 58 del 1998 non sarebbe pertinente, perché si tratterebbe di un caso tipico di concorso ideale di reati, caratterizzato dalla circostanza che un fatto penale unico si scompone in due reati distinti (vedi Oliveira c. Svizzera, no 25711/94, § 26, 30 luglio 1998 ; Goktan c. Francia no 33402/96, § 50, 2 luglio 2002 ; Gauthier c. Francia (déc.), no 61178/00, 24 giugno 2003 ; e Ongun c. Turchia (déc.),no 15737/02, 10 ottobre 2006). 218. Conviene infine notare che per garantire la proporzionalità tra la pena e i fatti incriminati, il giudice penale può tener conto della sanzione amministrativa già inflitta e decidere di ridurre la sanzione penale. In particolare, l’ammontare dell’ammenda amministrativa è dedotto dalla sanzione pecuniaria penale (articolo 187 terdecies del decreto legislativo n° 58 del 1998) e i beni già sequestrati nell’ambito del procedimento amministrativo non potranno più essere confiscati. 2. La valutazione della Corte SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 77 219. La Corte ribadisce che nella causa Sergueï Zolotoukhine (già citata, § 82), la Grande Camera ha specificato che l’articolo 4 del Protocollo n° 7 deve essere inteso come il divieto di perseguire o giudicare una persona per un secondo “reato” quando quest’ultimo scaturisce da fatti che sono in sostanza gli stessi. 220. La garanzia sancita dall’articolo 4 del Protocollo n° 7 può essere invocata quando un nuovo procedimento è avviato e la sentenza anteriore di assunzione o condanna è già passata in giudicato. A questo punto, gli elementi della pratica conterranno per forza anche la sentenza che rappresenta l’esito del primo “procedimento penale” e l’elenco delle accuse mosse contro il ricorrente nel nuovo procedimento. Normalmente, questi documenti conterranno un’esposizione dei fatti riguardanti il reato per il quale il ricorrente è già stato giudicato e un’altra esposizione sul secondo reato di cui è accusato. Queste esposizioni costituiscono un utile punto di partenza per l’esame da parte della Corte sulla questione di sapere se i fatti dei due procedimenti sono identici o sostanzialmente gli stessi. Poco importa quali punti di queste nuove accuse siano ritenuti o scartati alla fine nel procedimento ulteriore, perché l’articolo 4 del Protocollo n° 7 sancisce una garanzia contro un nuovo procedimento o il rischio di un nuovo procedimento, e non il divieto di una seconda condanna o di una seconda assunzione (Sergueï Zolotoukhine, già citato, § 83). 221. La Corte deve quindi svolgere il suo esame sui fatti descritti in queste esposizioni, che costituiscono un insieme di circostanze fattuali concrete che implicano lo stesso contravventore e che sono collegate in modo indissociabile tra di loro nel tempo e nello spazio, la presenza di queste circostanze dovendo essere accertata affinché possa essere pronunciata una condanna o che possa essere avviato il procedimento penale (Sergueï Zolotoukhine, già citato, § 84). SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 78 222. Applicando questi principi nella fattispecie, la Corte nota innanzitutto che ha appena deciso, in merito all’articolo 6 della Convenzione, che era possibile considerare che il procedimento davanti alla CONSOB riguardava un’ “accusa in materia penale” contro i ricorrenti (paragrafo 101 sopra) e osserva inoltre che le sanzioni inflitte dalla CONSOB e parzialmente ridotte dalla corte di appello sono passate in giudizio il 23 giugno 2009, quando sono state pronunciate le sentenze della Corte di cassazione (paragrafo 38 sopra). A partire da quel momento, i ricorrenti dovevano essere quindi considerati come “già condannati per un reato a seguito di una sentenza definitiva” ai sensi dell’articolo 4 del Protocollo n° 7. 223. Nonostante ciò, il nuovo procedimento penale che era stato avviato nel frattempo nei loro confronti (paragrafi 39-40 sopra) non sono stati fermati e hanno portato alla pronuncia di decisioni di prima e di seconda istanza. 224. Occorre stabilire se questo nuovo procedimento ha all’origine fatti che sono sostanzialmente gli stessi di quelli che costituivano l’oggetto della condanna definitiva. In questo senso, la Corte fa notare che, contrariamente a quanto sembra affermare il Governo (paragrafo 217 sopra), dai principi enunciati nella causa Sergueï Zolotoukhine précitée risulta che la questione sulla quale è necessario pronunciarsi non è quella di sapere se gli elementi costitutivi dei reati previsti dagli articoli 187 ter e 185 § 1 del decreto legislativo n° 58 del 1998 sono identici o meno, ma quella di stabilire se i fatti incriminati ai ricorrenti davanti alla CONSOB e davanti alle giurisdizioni penali facevano riferimento allo stesso comportamento. 225. Davanti alla CONSOB, i ricorrenti erano accusati essenzialmente di non aver menzionato nei comunicati stampa del 24 agosto 2005 il progetto atto alla rinegoziazione del contratto di equity swap con Merrill Lynch International Ltd quando questo progetto esisteva già e si trovava in uno SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 79 stadio avanzato (paragrafi 20 e 21 sopra).In seguito i ricorrenti sono stati condannati per questo dalla CONSOB e dalla corte di appello di Torino (paragrafi 27 e 35 sopra). 226. Davanti alle giurisdizioni penali, gli interessati sono stati accusati di aver dichiarato, negli stessi comunicati, che Exor non aveva né avviato, né studiato iniziative relative alla scadenza del contratto di finanziamento, mentre in realtà l’accordo che modificava l’equity swap era già stato esaminato e concluso, informazione che sarebbe stata nascosta ai fini di evitare un probabile calo del prezzo delle azioni FIAT (paragrafo 40 sopra). 227. Agli occhi della Corte, si tratta chiaramente di un unico e stesso comportamento da parte delle stesse persone alla stessa data. Inoltre, la corte di appello di Torino stessa, nella sentenza del 23 gennaio 2008 ha ammesso che gli articoli 187 ter e 185 § 1 del decreto legislativo n° 58 del 1998 avevano come oggetto lo stesso comportamento, ossia la diffusione di false informazioni (paragrafo 34 sopra). Di conseguenza il nuovo procedimento riguardava un secondo “reato” che ha all’origine fatti che sono sostanzialmente identici a quelli che costituivano l’oggetto della condanna definitiva. 228. Questa costatazione è sufficiente per concludere che è stato violato l’articolo 4 del Protocollo n° 7. 229. Inoltre, nella misura in cui il Governo afferma che il diritto dell’Unione europea avrebbe autorizzato espressamente il ricorso a una doppia sanzione (amministrativa e penale) nell’ambito della lotta contro i comportamenti abusivi sui mercati finanziari (paragrafo 216 sopra), la Corte, specificando che il suo dovere non è quello di interpretare la giurisprudenza della CJUE, osserva che nella sua sentenza del 23 dicembre 2009 nella causa Spector Photo Group, già citata, la CJUE ha indicato che l’articolo 14 della direttiva 2003/6 non impone agli Stati membri di prevedere sanzioni penali nei SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 80 confronti degli autori di abusi di informazioni privilegiate, ma si limita a enunciare che gli Stati sono tenuti a vigilare affinché le sanzioni amministrative siano applicate nei confronti delle persone responsabili di una violazione delle disposizioni adottate per l’applicazione di questa direttiva. La CJUE ha inoltre avvertito gli Stati che tali sanzioni amministrative erano suscettibili, ai fini dell’applicazione della Convenzione, di essere qualificate come sanzioni penali (paragrafo 61 sopra). Inoltre, nella sua sentenza Åklagaren c. Hans Åkerberg Fransson, già citata, relativa all’ambito dell’imposta sul valore aggiunto, la CJUE ha precisato che in base al principio ne bis in idem, uno Stato non poteva infliggere una doppia sanzione (fiscale e penale) per gli stessi fatti, se non a condizione che la prima sanzione non sia di carattere penale (paragrafo 92 sopra). VI. SULL’APPLICAZIONE DEGLI ARTICOLI 41 E 46 DELLA CONVENZIONE 230. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione, “Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.” 231. Nelle sue parti pertinenti, l’articolo 46 della Convenzione è così formulato: “1. Le Alte Parti contraenti si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte sulle controversie nelle quali sono parti. 2. La sentenza definitiva della Corte è trasmessa al Comitato dei Ministri che ne controlla l’esecuzione. (…)” SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 81 A. Indicazione delle misure generali e individuali 1. Principi generali 232. Qualsiasi sentenza relativa ad una violazione comporta per lo Stato convenuto l’obbligo giuridico nei confronti dell’articolo 46 della Convenzioni di porre fine a tale violazione e di rimuoverne le conseguenze, in modo da ristabilire per quanto possibile la situazione precedente alla violazione. Se, al contrario, il diritto interno non consente o consente solo in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze della violazione, l’articolo 41 abilita la Corte ad accordare alla parte lesa, se del caso, la soddisfazione che ritiene appropriata. Ne consegue in particolare che lo Stato difensore ritenuto responsabile di una violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli è chiamato non solo à versare agli interessati le somme allocate a titolo di equa soddisfazione, ma anche a scegliere, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, le misure generali e/o, se necessario, individuali da adottare nell’ordine giuridico interno (Maestri c. Italie [GC], no 39748/98, § 47, CEDH 2004-I ;Assanidzé c. Georgia [GC], no 71503/01, § 198, CEDH 2004-II ; et Ilaşcu e altri c. Moldova e Russia [GC], no 48787/99, § 487, CEDH 2004-VII). 233. La Corte ribadisce che le sue sentenze hanno un carattere essenzialmente dichiarativo e che in generale spetta per primo allo Stato in causa di scegliere, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, i mezzi da utilizzare nel suo ordinamento giuridico interno per adempiere al suo obbligo nei confronti dell’articolo 46 della Convenzione, nella misura in cui questi mezzi sono compatibili con le conclusioni contenute nella sentenza della Corte (vedi anche Scozzari e Giunta c. Italia [GC], nos 39221/98 e 41963/98, § 249, CEDH 2000-VIII ; Brumărescu c. Roumania (equa soddisfazione) [GC], no 28342/95, § 20, CEDH 2001-I ; e Öcalan c. SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 82 Turchia [GC], no 46221/99, § 210, CEDH 2005-IV). Questo potere di valutazione delle modalità di applicazione di una sentenza riflette la liberta di scelta associata all’obbligo primordiale imposto dalla Convenzione agli Stati contraenti: assicurare il rispetto dei diritti e delle libertà garantite (Papamichalopoulos e altri c. Grecia (Articolo 50), 31 ottobre 1995, § 34, serie A no 330-B). 234. Tuttavia, a titolo eccezionale, per aiutare lo Stato convenuto ad adempiere ai suoi obblighi ai sensi dell’articolo 46, la Corte prova a indicare il tipo di misure da adottare per porre fine alla situazione strutturale che constata. In questo contesto, la Corte può formulare più opzioni la cui scelta e adempimento spettano allo Stato coinvolto (vedi, ad esempio Broniowski c. Polonia [GC], no 31443/96, § 194, CEDH 2004-V). In certi casi, è possibile che la natura stessa della violazione constatata non offra in realtà la possibilità di una scelta fra i diversi tipi di misure in grado di rimediarla, caso nel quale la Corte può decidere di indicare un’unica misura di questo tipo (vedi ad esempio, Assanidzé, già citato, §§ 202 e 203; Alexanian c. Russia, no 46468/06, § 240, 22 dicembre 2008 ; Fatullayev c. Azerbaidjan, no 40984/07, §§ 176 e 177, 22 aprile 2010 ; e Oleksandr Volkov c. Ucraina, no 21722/11, § 208, 9 gennaio 2013). 2. Applicazione di questi principi nella fattispecie 235. Nelle circostanze particolari della presente causa, la Corte non ritiene necessario indicare le misure generali che lo Stato dovrebbe adottare per l’esecuzione della presente sentenza. 236. Per quanto riguarda invece le misure individuali, la Corte ritiene che nella fattispecie, la natura stessa della violazione accertata non offre realmente la possibilità di una scelta fra i diversi tipi di misure in grado di rimediarla. SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 83 237. In queste condizioni, viste le circostanze particolari della causa e la necessità urgente di porre fine alla violazione dell’articolo 4 del Protocollo n° 7 (paragrafo 228 sopra), la Corte ritiene che incombe allo Stato convenuto di vigilare affinché il nuovo procedimento penale avviato contro i ricorrenti in violazione di questa disposizione e ancora in corso nei confronti dei Sigg. Gabetti e Grande Stevens alla data delle ultime informazioni ricevute, sia chiuso nei tempi più brevi possibili e senza conseguenze lesive per i ricorrenti (vedi, mutatis mutandis, Assanidzé, già citato, § 203, e Oleksandr Volkov, già citato, § 208). B. Danni 238. A titolo di danni materiali subiti, i ricorrenti richiedono la restituzione delle somme pagate alla CONSOB a titolo di sanzioni pecuniarie (per un totale di 16 000 000 EUR), più interessi legali. I ricorrenti richiedono inoltre un risarcimento per il danno morale – per il quale richiedono alla Corte di fissare l’ammontare procedendo con equo apprezzamento – sottolineando la loro volontà di ristabilire la loro onorabilità professionale, gravemente colpita secondo loro dalla pubblicazione della loro condanna sul bollettino della CONSOB e dalla copertura mediatica della vicenda. 239. Il Governo non presenta nessuna osservazione in merito. 240. La Corte nota che ha appena concluso che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione a causa dell’assenza di un’udienza pubblica davanti alla corte di appello di Torino e dell’articolo 4 del Protocollo n° 7 per il fatto che un nuovo procedimento penale è stato avviato dopo la condanna definitiva dei ricorrenti. Queste conclusioni non implicano che le sanzioni inflitte dalla CONSOB erano di per sé contrarie alla Convenzione o ai suoi Protocolli. In questo senso, la Corte osserva che ha ritenuto che non vi era stata violazione del diritto al rispetto della proprietà dei ricorrenti, sancito dall’articolo 1 del Protocollo n° 1 (paragrafo SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 84 201 sopra). In queste circostanze, la Corte non identifica un nesso causale tra le violazioni accertate e i danni materiali invocati e respinge la relativa richiesta. 241. Per quanto riguarda il danno morale legato all’assenza di un’udienza pubblica davanti la corte di appello di Torino e all’avvio di un nuovo procedimento nei confronti dei ricorrenti, la Corte, delibera secondo equità e decide di assegnare 10 000 EUR a ciascuno dei ricorrenti a questo titolo. C. Spese 242. Appoggiandosi sulle note spese dei loro avvocati, i ricorrenti richiedono inoltre la somma totale di 20 638 980,69 EUR per le spese sostenute davanti alle giurisdizioni interne e alla Corte. 243. Il Governo non ha fatto nessun commento in merito. 244. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente non può ottenere il rimborso delle spese se non nella misura in cui sia accertata la loro realtà, la loro necessità e il carattere ragionevole del loro ammontare. Nella fattispecie, tenendo conto dei documenti in suo possesso, della sua giurisprudenza e del fatto che i ricorrenti sono stati costretti a difendersi durante un procedimento penale avviato e proseguito in violazione dell’articolo 4 del Protocollo n° 7, la Corte ritiene equa per tutte le spese complessive la somma di 40 000 EUR, che sarà accordata congiuntamente ai ricorrenti. D. Interessi di mora 245. La Corte giudica appropriato calcolare il tasso di interesse di mora in base al tasso di interesse per le operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuali. PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 85 1. Dichiara, all’unanimità, il resto delle richieste ricevibile; 2. Statuisce, à l’unanimità, che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione; 3. Statuisce, con tre voti contro uno che non vi è stata violazione dell’articolo 6 § 3 a) e c) nei confronti del Sig. Grande Stevens; 4. Statuisce, con cinque voti contro due, che non vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n° 1; 5. Statuisce, all’unanimità, che vi è stata violazione dell’articolo 4 del Protocollo n° 7; 6. Statuisce, all’unanimità, che lo Stato convenuto deve vigilare affinché il nuovo procedimento penale avviato contro i ricorrenti in violazione dell’articolo 4 del Protocollo n° 7 e ancora in corso nei confronti dei Sigg. Gabetti e Grande Stevens, alla data delle ultime informazioni ricevute, sia chiuso nei tempi più brevi possibili (paragrafo 237 sopra); 7. Statuisce, all’unanimità, a) che lo Stato convenuto deve versare, entro tre mesi a partire dal giorno in cui la sentenza sarà resa definitiva ai sensi dell’articolo 44 § 2 della Convenzione, gli importi seguenti: i) 10 000 EUR (diecimila euro), più quanto dovuto a titolo di imposta, a ciascun ricorrente per il danno morale; ii) 40 000 EUR (quarantamila euro), più quanto dovuto a titolo di imposta dai ricorrenti, ai ricorrenti congiuntamente per le spese; b) Che a partire dalla scadenza del detto termine e sino al versamento, a questi importi si aggiungeranno gli interessi semplici a un tasso pari SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 86 a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile in questo periodo, aumentato di tre punti percentuali; 8. Respinge, con cinque voti contro due, la domanda di equa riparazione per il surplus. Fatto in francese, comunicato in seguito per iscritto il 4 marzo 2014, ai sensi dell’articolo 77 §§ 2 e 3 e del regolamento. Stanley Naismith Işıl Karakaş Cancelliere Presidente Alla presente decisione si trova allegato, conformemente agli articoli 45 §2 della Convenzione e 74§2 del Regolamento, l’esposizione dell’opinione comune in parte dissenziente dei giudici Albuquerque A.I.K. S.H.N Karakaş e Pinto de SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 1 OPINIONE IN PARTE CONCORDANTE E IN PARTE DISSENZIENTE DEI GUDICI KARAKAŞ E PINTO DE ALBUQUERQUE 1. Nella causa Grande Stevens e altri, la Corte si confronta nuovamente con il problema importante del controllo giurisdizionale delle sanzioni amministrative pecuniarie e non pecuniarie inflitte dalle autorità amministrative italiane1. L’importanza della causa consiste non soltanto nella complessità dei diversi vizi di procedura che si sono manifestati sia nel procedimento amministrativo, che nel procedimento giudiziario, con l’effetto di sanzioni amministrative chiaramente sproporzionate, ma anche nel fatto che in seguito, alcuni dei ricorrenti sono stati ancora perseguiti e sanzionati nell’ambito di un nuovo procedimento, penale, per gli stessi fatti sui quali si fondava il procedimento amministrativo. Tenendo conto del fatto che numerosi altre giurisdizioni europee si sono confrontate con problemi similari, si può affermare che le ripercussioni di questa causa superano senz’altro i limiti del sistema giuridico italiano. 2. Siamo d’accordo con la maggioranza per decidere che l’articolo 6 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo (la Convenzione) nel suo aspetto penale è applicabile al procedimento amministrativo e al procedimento giudiziario previsti dall’articolo 187 septis del TUF (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, testo unico delle disposizioni relative all’intermediazione 1 Vedi Menarini Diagnostics SRL c. Italia, no 43509/08, 27 settembre 2011, sulle pene applicate dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 2 finanziaria) e dall’articolo 23 della legge n° 689 del 24 novembre 1981, nonché alle sanzioni imposte successivamente ai sensi dell’articolo 187 ter del TUF; che il procedimento amministrativo davanti alla CONSOB (Commissione Nazionale per le Società e la Borsa) non è stato equo; e che la procedura davanti alla corte di appello e alla Corte di cassazione non ha rimediato a questa mancanza di equità. In cambio, diversamente dalla maggioranza, riteniamo che la conclusione secondo la quale i ricorrenti non hanno beneficiato di alcun ricorso effettivo davanti alle giurisdizioni interne non deriva solo dal fatto che la corte di appello non ha tenuto udienze pubbliche. Riteniamo invece che l’essenza della violazione dell’articolo 6 risiede nel fatto che non è stato eseguito un esame contraddittorio delle testimonianze contestate e che i ricorrenti e che i ricorrenti non sono stati sentiti in un’udienza tenuta davanti al tribunale. 3. Non condividiamo neanche l’avviso della maggioranza in merito alla legalità e alla proporzionalità delle sanzioni inflitte dalla corte di appello e confermate dalla Corte di cassazione e all’ammontare dell’equa soddisfazione stabilito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (la Corte). Infine, il giudice Pinto de Albuquerque trova che la modifica dell’accusa da parte della corte di appello non è compatibile con la Convenzione. Il carattere non equo del procedimento davanti alla CONSOB 4. I ricorrenti sono stati giudicati colpevoli del reato amministrativo di manipolazione del mercato. Questo reato è disciplinato dall’articolo 187 ter del TUF ed è passibile di sanzioni fissate in base ad un procedimento definito agli articoli 187 septis del TUF e 23 della legge n° 689 del 24 novembre 1981. Il procedimento davanti alla CONSOB SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 3 non equo in riferimento alle norme imposte dall’articolo 6 della Convenzione2. 5. Secondo l’articolo 2 della decisione n° 15086 della CONSOB del 21 giugno 2005, il procedimento repressivo inizia con la comunicazione ufficiale all’interessato del reato di cui è sospettato (la formale contestazione degli addebiti) sulla base di elementi risultanti dall’attività di controllo dell’istituzione. Sia ex officio sia in seguito ad una segnalazione effettuata da un’autorità pubblica nazionale o straniera o a una denuncia di un privato, la CONSOB può avviare un procedimento segreto di pre-indagine (fase pre-istruttoria), durante la quale la persona controllata può essere sottoposta ai poteri enunciati dall’articolo 187 octies del TUF. Dato che questa fase pre-istruttoria non ha limiti di tempo, nessun confine preciso non è stabilito tra la funzione generale di controllo della CONSOB e la sua funzione repressiva, il rischio essendo che questo flou tra le sue varie funzioni non sia strumentalizzato con lo scopo di trarre vantaggio dagli obblighi giuridici di informazione, di comunicazione dei documenti e di cooperazione con la CONSOB in qualità di organo di controllo del mercato, obblighi che incombono alla persona controllata. Durante il procedimento repressivo, è presente una separazione formale e organica tra l’Ufficio Insider Trading (ufficio di repressione dei delitti di abuso di informazioni privilegiate), nelle cui competenze rientrano l’avvio dei procedimenti contro la persona sospettata e la valutazione dei documenti scritti che presenta per la sua difesa, l’Ufficio Sanzioni Amministrative, nelle cui competenze rientrano le indagini e il rapporto finale che stabilisce l’accusa formale e propone un ammontare per le sanzioni da infliggere, e la CONSOB in qualità di commissione, nelle 2 L’applicabilità dell’articolo 6 al procedimento amministrativo davanti alla CONSOB e alle sanzioni pronunciate al termine del procedimento è già stata spiegata in modo convincente dalla maggioranza. SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 4 cui competenze rientrano la decisione amministrativa definitiva. Tuttavia, questa separazione formale e organica non garantisce la separazione effettiva tra le funzioni di inchiesta e le funzioni di giudizio richiesta dall’articolo 187 septies n° 2 del TUF stesso, e questo per quattro ragioni. In primo luogo, il presidente della CONSOB è incaricato della supervisione dell’indagine preliminare e di dare istruzioni sul funzionamento degli uffici e direttive per il loro coordinamento3. In secondo luogo, il presidente partecipa direttamente all’esercizio dei più importanti poteri d’ispezione e di altri poteri di inchiesta conferiti alla CONSOB dagli articoli 115 e 187 octies del TUF, su proposta delle direzioni competenti4. In terzo luogo, la CONSOB in qualità di commissione può esercitare poteri di inchiesta estremamente invasivi, come ad esempio il sequestro di beni5. In quarto luogo, la decisione della CONSOB può essere motivata per relationem, in riferimento agli atti precedenti di procedura6, e può anche essere presa per consenso tacito dai membri della commissione7. Considerando quanto esposto, la CONSOB in qualità di commissione è molto lontana dall’essere un organo imparziale indipendente dai servizi di inchiesta e di procedimento dell’ufficio di repressione dei delitti di abuso di informazioni privilegiate e dall’ufficio delle sanzioni amministrative. A questa mancanza sistematica fondamentale del 3 Articolo 1 §§ 6 e 18 della legge n° 216 del 7 giugno 1974 e articolo 5 § 1 b) e e) della risoluzione n° 8674 della CONSOB del 17 novembre 1994. 4 Risoluzione n° 15087 del 21 giugno 2005. 5 Risoluzioni della CONSOB n° 15086 del 21 giugno 2005, 15131 del 5 agosto 2005 e 16483 del 20 maggio 2008. Nelle osservazioni del 7 giugno 2013, il Governo ha ammesso questo, ma ha sostenuto che nella fattispecie il presidente della CONSOB non aveva “esercitato nessuno di questi poteri” durante la fase di inchiesta. Questo argomento non è pertinente. Il semplice fatto che il presidente di un organo che decide sulla causa possa intervenire nella fase precedente al giudizio mette in pericolo l’imparzialità e l’indipendenza oggettiva di questo organo. 6 Sentenze della Corte di cassazione né10757 del 24 aprile 2008 e 389 dell’11 gennaio 2006. 7 Articolo 18 della risoluzione n° 8674/1994 della CONSOB del 17 novembre 1994. SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 5 procedimento amministrativo si aggiunge una grave disuguaglianza tra le parti. 6. E’ vero che l’ufficio di repressione dei delitti di abuso di informazioni privilegiate ha espresso il suo parere in un rapporto (relazione istruttoria) del 13 settembre 2006 e in una nota complementare del 19 ottobre 2006 che sono stati entrambi comunicati ai ricorrenti e che il termine di 30 giorni a disposizione per presentare una risposta alla nota complementare era ragionevole. Il fatto però è che non vi è stato contro-esame dei testimoni che l’ufficio ha sentito. Inoltre, ad eccezione del Sig. Stevens, i ricorrenti non sono stati interrogati. L’ufficio di sanzioni amministrative ha adottato l’atto finale di accusa il 19 gennaio 2007, ma l’atto non è stato notificato ai ricorrenti8. La CONSOB ha adottato la sua decisione il 9 febbraio 2007. I ricorrenti erano stati senz’altro avvertiti delle sue delibere, ma non avevano avuto modo di presentarle i loro argomenti. Inoltre, la decisione è stata adottata al termine di una riunione che non è stata pubblica, ma alla quale hanno partecipato solo un funzionario dell’ufficio delle sanzioni amministrative, riunione alla quale i ricorrenti non hanno potuto assistere e della quale non hanno potuto ottenere il verbale. Solo l’accusa ha avuto il diritto alla parola davanti alla CONSOB, i ricorrenti non hanno potuto esprimersi davanti alla commissione9. 7. La motivazione del carattere inquisitorio e ineguale di questo procedimento è la seguente: secondo la Corte di cassazione, gli articoli 24 (diritto di difesa) e 111 (giusto processo) della costituzione italiana 8 Questa mancata notifica è stata giudicata contraria al principio del contraddittorio, in particolare per quanto riguarda la quantificazione della sanzione, che si appoggia generalmente su fatti non comunicati alla persona sospettata (sentenza n° 51 della corte di appello di Genova, 24 gennaio e 21 febbraio 2008) 9 Questo fatto è già stato giudicato inammissibile alla luce del principio di imparzialità (sentenza n° 3070 del tribunale amministrativo del Lazio (TAR Lazio), Roma, 10 aprile 2002). SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 6 non si applicano alla fase amministrativa del procedimento repressivo e il “diritto di dibattito durante il procedimento non si applica alla sanzione né ai criteri di qualificazione”10. Questo consente alle risoluzioni della CONSOB n° 12697 del 2 agosto 2000 e n° 15086 del 21 giugno 2005 di non rispettare questi diritti costituzionali, in particolare quelli che impongono la presenza di un contro-esame dei testimoni a carico davanti al tribunale e la comparsa dei testimoni della difesa nelle stesse condizioni riservate ai testimoni dell’accusa. Infatti, l’intenzione lodevole del legislatore italiano quando ha adottato la nuova versione dell’articolo 187 septies n° 2 del TUF nel 2005 è stata ribaltata in pratica sia dalla giurisprudenza che dalle decisioni amministrative. La successione di due fasi di comunicazione degli atti scritti per la difesa, davanti all’ufficio di repressione dei delitti di abuso di informazioni privilegiate, poi davanti all’ufficio delle sanzioni amministrative, non porta alcun valore aggiunto effettivo al procedimento e non compensa il fatto che la presentazione e l’esame degli elementi di prova non sono in realtà in contraddittorio ed è presente una disuguaglianza delle armi tra le parti. La mancanza di controllo giurisdizionale effettivo della decisione della CONSOB 8. Il controllo giurisdizionale delle decisioni che hanno lo scopo di infliggere sanzioni amministrative adottate dalla CONSOB passava prima da un ricorso presentato davanti alla corte di appello ai sensi dell’articolo 187 septies n° 6 del TUF e dell’articolo 23 della legge 689/1981 e da un ricorso presentato davanti alla Corte di cassazione ai sensi dell’articolo 360 del codice di procedura civile (CPC). Questi articoli sono stati abrogati in seguito dal nuovo CPA (Codice 10 Vedi l’esempio della sentenza del 23 giugno 2009 della Corte di cassazione, pagina 38. Questa giusrisprudenza è stata contestata (ad esempio, il Consiglio di Stato ha difeso la tesi opposta nella sua opinione n° 485 del 13 aprile 1999). SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 7 del Processo Amministrativo) approvato dal decreto legislativo n° 104 del 2 luglio 2010. Il nuovo articolo 133 § 1 l) del CPA conferiva al giudice amministrativo una competenza esclusiva (giurisdizione esclusiva) per quanto riguarda i procedimenti repressivi (provvedimenti sanzionatori) della CONSOB, e il nuovo articolo 134 § 1 c) dello stesso codice includeva le liti relative alle sanzioni pecuniarie tra queste competenze esclusive, l’esame estendendosi al merito (cognizione estesa al merito), cioè in vertù di queste disposizioni, il giudice amministrativo non controllava solo la regolarità dell’azione amministrativa, ma anche la sua opportunità, la sua convenienza, la sua utilità e la sua equità. Nella sua sentenza n° 162 del 27 giugno 2012, la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionali queste disposizioni del decreto legislativo 104/2010 e la competenza del giudice ordinario, cioè della corte di appello, è stata ristabilita per i procedimenti repressivi della CONSOB11. 9. Ai sensi dell’articolo 187 septies n° 6 del TUF insieme all’articolo 23 della legge 689/1981, che erano applicabili nella fattispecie, la corte d’appello può, anche di propria iniziativa, determinare gli elementi di prova che stima necessari e citare testimoni, annullare in tutto o in parte la decisione contestata o riformarla, anche solo in riferimento all’ammontare delle sanzioni, e sentire l’appellante in persona all’udienza. In termini più chiari, questo significa che ha il potere non solo di controllare la decisione contestata, ma anche di riesaminare la causa tota re perspecta, cioè di riesaminare tutta la 11 Vedi in questo senso, ad esempio, la sentenza n° 6211 della prima sezione del tribunale amministrativo regionale del Lazio (Roma) del 20 giugno 2013. Questa causa è di interesse anche nella misura in cui mostra che le disposizioni applicabili alla presente causa sono ancora in vigore. SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 8 questione alla luce dei punti di diritto e di fatto sollevati dagli appellanti12. 10. Nell’esercizio dei poteri di controllo che gli conferisce l’articolo 187 septies n° 6 del TUF e l’articolo 23 della legge 689/1981, la corte di appello conosce un unico limite: l’interdizione della reformatio in pejus13. D’altronde, le sanzioni amministrative pecuniarie e di altro tipo pronunciate dalla CONSOB dovevano far riferimento alla “gravità della violazione” e tener conto di una “eventuale rediciva” dell’autore della violazione, cioè sono legate a criteri che non possiamo considerare come l’espressione di un potere amministrativo discrezionale14. Questi stessi criteri sono vincolanti per la giurisdizione d’appello quando controlla le decisioni riguardanti l’imposizione di sanzioni amministrative prese dalla CONSOB. 11. La questione è che la corte di appello ha rinunciato nella fattispecie a esercitare i suoi poteri di riesame. Questo risulta chiaramente da una lettura attenta della pratica e in particolare delle cinque sentenze che ha reso nella causa. Infatti, la corte di appello a respinto i ricorsi sulla base degli elementi della pratica di accusa riuniti da un organo amministrativo, mentre questi elementi erano stati raccolti in segreto e in assenza di confronto contraddittorio dei testimoni e la loro pertinenza oggettiva e soggettiva erano contestate. La corte si è dichiarata soddisfatta dalle dichiarazioni scritte degli appellanti e 12 Questo controllo giurisdizionale è dunque diverso dal controllo giurisdizionale “debole” (sindacato giurisdizionale «debole») delle sanzioni amministrative imposte dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato che esercitava il giudice amministrativo prima dell’entrata in vigore del nuovo CPA (vedi l’opinione del giudice Pinto de Albuquerque nella causa Menarini Diagnostics). 13 Vedi le sentenze della Corte di cassazione n° 23930 del 9 novembre 2006 e 1761 del 27 gennaio 2006. 14 Vedi le sentenze della Corte di cassazione n° 13703 del 22 luglio 2004, 1992 dell’11 febbraio 2003 e 9383 dell’11 luglio 2001. SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 9 degli elementi scritti dell’accusa. E questo è stato tutto! Non ha sentito i testimoni, non ha interrogato nessun ricorrente, non ha sollecitato perizie. Invece ha utilizzato come principali prove per fondare la condanna dei ricorrenti le disposizioni dei testimoni Claudio Salini, responsabile dell’ufficio di controllo dei mercati, e di Antonio Rosati, direttore generale della CONSOB, deposizioni che ha persino ritrascritto nelle sue sentenze quasi interamente15. Per riferirla utilizzando il linguaggio giuridico, la corte di appello non ha fatto altro che una semplice reformatio (riforma) della coerenza logica della decisione contestata, evitando di procedere a un reale revisio (riesame) della causa. 12. Pertanto, gli appellanti avevano richiesto che la loro causa fosse pienamente riesaminata e i Sigg. Stevens e Marrone avevano richiesto persino che la corte di appello sentisse sui fatti della causa dei testimoni specifici16. E’ evidente che i fatti sui quali desideravano sentire i testimoni fossero quelli indicati nelle deposizioni scritte che questi avevano precedentemente firmato durante la fase non giudiziaria del procedimento. E’ ancora più evidente che si aspettassero che la corte di appello stessa 15 Vedi le pagine 27, 32, 33, 38 e 39 della sentenza della corte di appello del 5 dicembre 2007 per il ricorso del Sig. Stevens (depositato in cancelleria il 23 gennaio 2008). Si trovano otto riferimenti alle deposizioni di questi due testimoni, a volte accompagnate da lunghe citazioni. Lo stesso vale per le pagine 28, 29, 38, 40 e 41 della sentenza del Sig. Gabetti e alle pagine 38, 47, 48 e 49 della sentenza di IFIL Investments spa. Le altre due sentenze ripetono in sostanza gli stessi argomenti. Infatti, le cinque sentenze sono state rese da formazioni in cui due o tre giudici erano sempre gli stessi. 16 Osservazioni davanti alla corte di appello il 25 settembre 2007: pagine 81 e 82 delle osservazioni del Sig. Stevens e pagine 64 e 65 delle osservazioni del Sig. Marrone. Il Sig. Stevens richiedeva che la corte di appello esaminasse i testimoni “sui fatti riferiti dai documenti medesimi”. Inoltrava l’elenco dei seguenti testimoni: Enrico Chiapparoli, Maurizio Tamagnini, John Winteler, Virgilio Marrone, Alistair Featherstone, Stephen Woodhead, Michael O’Donnell, Sergio Marchionne, Lupo Rattazi, Teodorani Fabbri, Antonio Marroco, Claudio Salini e Antonio Rosati. Il Sig. Marrone era stato anche egli preciso. Richiedeva che i testimoni Andrea Griva e John Winteler fossero sentiti sui fatti che avevano descritto nelle loro deposizioni scritte e si riservava il diritto di richiedere altri elementi di prova alla luce delle prove che avrebbe comunicato la CONSOB ulteriormente (riserva di ulteriore istanze istruttorie). SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 10 raccogliesse le testimonianze, come poteva farlo nell’esercizio dei poteri che le conferiva la legge, sia su richiesta degli appellanti, sia di propria iniziativa, e senza specificare quali erano gli elementi da provare. Il fatto che gli appellanti hanno pregato la corte di appello di sentire i testimoni “ove occorresse” o per “eventuale insufficienza o inutilizzabilità dei documenti” non modifica evidentemente la loro intenzione né la natura della loro richiesta. Infatti, hanno semplicemente ripreso nelle loro richieste di istanze istruttorie i termini della legge stessa, secondo la quale spettava al giudice di determinare le prove che giudicava “necessarie” ai fini di decidere sulla causa e di provare la versione dei fatti esposta dagli appellanti17. 13. E’ essenziale procedere a un contro-esame dei testimoni davanti al tribunale, perché le loro rispettive versioni sul modo in cui i fatti erano cambiati tra aprile e agosto 2005 presentavano gravi contraddizioni. Era altrettanto importante che i ricorrenti fossero esaminati da un giudice, tenendo conto del fatto che si discuteva della loro intenzione di ingannare18. In altri termini, era di un’importanza capitale determinare se la CONSOB era a conoscenza della soluzione giuridica elaborata dal Sig. Stevens e non aveva ritenuto necessario renderla pubblica vista la sua natura embrionale, 17 Articolo 23 § 6 della legge n° 689/1981. E’ incomprensibile il fatto che la corte di appello abbia deciso sulla questione generale di dolus malus del Sig. Stevens e in particolare sull’affermazione secondo la quale avrebbe fatto un errore di diritto a causa della CONSOB senza nemmeno interrogare l’interessato e sulla base esclusiva delle deposizioni dei testimoni dell’accusa, i Sigg. Salini e Rosati (pagine 38 e 39 della sentenza della corte di appello). Era di massima importanza che fossero confrontati i testimoni con il Sig. Stevens ai fini di valutare il suo mens rea, e insieme ai rappresentanti di Merryl Linch, i Sigg. Enrico Chiapparoli e Maurizio Tamagnini, ai fini di verificare la presenza di false infromazioni (vedi anche le testimonianze di Lupo Ratazzi, Pio Fabbri e Antonio Marocco, che contraddicono la tesi della CONSOB). E’ dunque inammissibile dire, come lo ha fatto il Governo nelle sue osservazioni del 7 giugno 2013 (pagine 58 e 59) che “la natura e il livello di sofisticazione di certi reati di abuso di mercato non si prestano ad un procedimento orale”. 18 SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 11 incerta e condizionata e ai fini di evitare un impatto artificiale su un mercato già instabile. Se questa versione dei fatti fosse stata confermata, sarebbe apparso che il comportamento della CONSOB aveva creato le circostanze della commissione del reato da sola e che la commissione aveva incastrato i ricorrenti e poi li aveva sanzionati per quello che sapeva essere ancora una pura intenzione al momento dei fatti (cogitatio poenam nemo patitur). Non è solo, come sembra affermare la maggioranza, il fatto che una formalità (la tenuta di un’udienza pubblica) non è stata rispettata che colpisce in questa causa. E’ molto più di questo. Quello che è veramente urtante, è l’assenza totale di esame contradditorio durante un’udienza davanti un tribunale degli elementi di prova contestati, che riguardavano fatti importantissimi. La corte di appello ha accettato e riferito senza riserva le testimonianze raccolte dall’organo di accusa sena lasciare ai ricorrenti la possibilità di procedere ad un vero contro-esame dei testimoni sui fatti della causa19. Anche se queste mancanze sono state segnalate davanti la Corte di cassazione, questa non ha rimediato, respingendo i reclami sugli errori procedurali perché tardivi e dichiarando che ad ogni modo l’insieme della procedura sanzionata dalla risoluzione n° 15608 della CONSOB era del tutto conforme per assicurare il rispetto dei principi di un processo equo. 14. L’importanza di sottoporre i testimoni a un contro-esame davanti a un tribunale non può essere e non avrebbe dovuto essere sottostimato in un procedimento sanzionatorio che si può concludere con l’inflizione di ammende di milioni di euro e di sanzioni non pecuniarie suscettibili di nuocere per sempre alla carriera dei 19 E’ esattamente la pretesa formulata dai ricorrenti più volte davanti la Corte, nelle loro richieste e in seguito nelle osservazioni. L’ultima frase del paragrafo 150 della sentenza è quindi del tutto sbagliata e anche contraddittoria con le affermazioni fatte ai paragrafi 110 e 117 in fine della sentenza. SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 12 condannati, o addirittura di ditruggerli definitivamente. La Corte stessa ha sottolineato in casi molto meno gravi la necessità per le giurisdizioni di seconda istanza di provare la solidità delle testimonianze dell’accusa e della difesa in un dibattito pubblico davanti al giudice20. Questo vale a fortiori per l’esame degli appellanti, in particolare quando è in causa l’elemento soggettivo della violazione21. Nella fattispecie, le giurisdizioni interne non hanno rispettato queste norme enunciate dalla Corte. La modifica dell’accusa da parte della corte di appello a scapito dell’appellante22 15. Il Sig. Stevens lamenta che la corte di appello abbia modificato l’accusa nei suoi confronti. Giustamente. Per accusare una persona di aver commesso il reato previsto dall’articolo 187 ter del TUF (reato amministrativo di manipolazione del mercato), non è sufficiente dire in termini generici che ha partecipato alla diffusione di false notizie. Questo significherebbe solo ripetere la formulazione 20 La sentenza che sancisce il principio è Ekbatani c. Svezia (plénière), no 10563/83, 26 maggio 1988. Ai paragrafi 32 e 33 della sentenza, la Corte conclude che vi è stata violazione dell’articolo 6 a causa dell’assenza dell’interrogazione del ricorrente e del resistente in una causa in cui si chiedeva il riesame da parte della giurisdizione di seconda istanza dei punti di diritto e dei punti di fatto. E’ necessario sottolineare che la Corte ha concluso che vi è stata violazione anche se la giurisdizione di primo grado aveva deciso sulle accuse penali mosse contro il ricorrente al termine di un’udienza pubblica alla quale l’interessato era comparso, era stato sentito e aveva esposto i suoi argomenti per la difesa. Nella causa presente, la corte di appello ha agito in qualità di giurisdizione di prima istanza, fatto che rendeva ancora più necessario procedere a un contro-esame dei testimoni e all’interrogazione degli appellanti davanti al tribunale in seduta pubblica. 21 Nella causa Tierce e altri c. Saint-Marin (nos 24954/94, 24971/94 et 24972/94, 25 luglio 2000), i ricorrenti non avevano potuto assistere in appello in persona a un’udienza pubblica. Come il Sig, Stevens, il sig. Tierce affermava che l’elemento soggettivo della violazione (l’intenzione di ingannare) era assente. In un’altra causa, la Corte è andata ancora più lontano e ha concluso che persino la presenza di informazioni confidenziali in una pratica non implicavano automaticamente la necessità di tenere le sedute a porte chiuse senza mettere in bilancia pubblicità e interessi della sicurezza nazionale (Belashev c. Russia, no 28617/03, 4 dicembre 2008). 22 Il giudice Karakas non è in disaccordo con la maggioranza in merito alla regolarità delle modifiche dell’accusa dalla corte di appello SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 13 della disposizione di legge. L’accusa deve specificare quali sono stati i fatti che giustificano tale qualificazione. Per dirlo in termini tecnici, deve descrivere, con il grado di specificità necessario, come, quando, dove e con quali mezzi l’accusato ha partecipato al reato. Nella fattispecie, la CONSOB aveva accusato il Sig. Stevens di aver partecipato alla decisione di diffondere informazioni presumibilmente false in qualità di “amministratore di IFIL”, cosa che si è dimostrata falsa. Per evitare di dover pronunciare un’assunzione, la corte di appello ha modificato l’oggetto dell’accusa, imputando all’appellante un fatto diverso: avrebbe partecipato alla commissione del reato in qualità di avvocato nell’ambito della sua attività di consulenza. Questa modifica dell’accusa dalla corte di appello a scapito dell’appellante è inammissibile. 16. Secondo l’articolo 23 della legge 689/1981, la corte di appello ha il potere di modificare la decisione contestata sia nei punti di diritto che nei punti di fatto. Questo potere ha però dei limiti intrinseci. Ai sensi del principio dell’interdizione della reformatio in pejus, il controllo giurisdizionale non può modificare la decisione contestata se non a favore dell’appellante; la decisione non può essere modificata a scapito dell’appellante. Inoltre, se i principi generali della “corrispondenza tra contestazione e condanna”23 e della separazione delle funzioni istruttorie e di giudizio24 sono applicabili ai procedimenti amministrativi, lo sono a fortiori per un procedimento giudiziario davanti la corte di appello. La corte di 23 Secondo l’articolo 14 della legge n° 689/1981, la persona sospettata non può essere riconosciuta colpevole di fatti che non le sono mai stati imputati nella notifica della violazione (sentenza della Corte di cassazione n° 10145 del 2 maggio 2006 e n° 9528 dell’8 settembre 1999). 24 Articolo 187 septies n° 2 del TUF. SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 14 appello assume il ruolo d’organo istruttorio se introduce nell’accusa nuovi fatti a scapito dell’appellante. Ed è esattamente quello che ha fatto la corte di appello di Torino nella fattispecie. 17. Un ultimo contro-argomento deve essere esposto. Il ragionamento secondo il quale il fatto nuovo è “una qualità giuridica senza pertinenza” e che può essere quindi aggiunto all’accusa è errato e può essere respinto per tre ragioni. In primo luogo, nella sua decisione, la CONSOB aveva aggravato la sanzione del Sig. Stevens perché aveva stimato che facesse parte degli amministratori d’IFIL Investments s.p.a.25 Nel secondo luogo, la qualità giuridica in cui il Sig. Stevens agiva è essenziale, in quanto determina se era l’autore principale del reato, che aveva il potere di prendere la decisione di diffondere le informazioni in causa, oppure era un semplice complice, che aveva solo il potere di dare un consiglio giuridico a coloro che erano responsabili della decisione. Modificando questa qualità, la corte di appello ha modificato un elemento essenziale dell’accusa, chiaramente pertinente per la valutazione della colpevolezza oggettiva e soggettiva del Sig. Stevens, e questo senza il consenso dell’interessato26. In terzo luogo, questo nuovo fatto era pertinente anche da un punto di vista della responsabilità delle società coinvolte nel procedimento, dato che se il Sig. Stevens era uno degli amministratori d’IFIL Investments s.p.a., la responsabilità dell’impresa nei confronti dell’articolo 187 quinquies del TUF era presente. 25 Vedi la pagina 137 della decisione della CONSOB del 9 febbraio 2007. Quest’affermazione vale anche per le violazioni che non sono illecito proprio, ossia che possono essere commesse solo da certe categorie di persone: il fatto che un reato amministrativo di manipolazione del mercato previsto dall’articolo 187 ter del TUF non sia illecito proprio non esonera l’organo di inchiesta dell’obbligo di descrivere nell’accusa le principali caratteristiche del comportamento dell’autore della violazione pertinenti per l’imputazione, e un fatto relativo alla natura della partecipazione dell’accusato al reato è senz’altro una caratteristica principale che deve essere esposta dall’accusa. 26 SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 15 Il carattere illegale e sproporzionato delle ammende e delle sanzioni non pecuniarie inflitte ai ricorrenti 18. I ricorrenti sostengono che le sanzioni pecuniarie e non pecuniarie a loro inflitte non erano né legali né proporzionali. Ai sensi dell’articolo 187 ter del TUF, le sanzioni pecuniarie applicabili al reato amministrativo di manipolazione di mercato possono andare fino a cinque milioni di euro27 ed essere portate a tre o addirittura venti volte l’ammontare del prodotto o del profitto del reato, tenendo conto della situazione personale della persona riconosciuta colpevole, dell’importanza del prodotto o del profitto, o degli effetti prodotti sul mercato. Se il fatto che la sanzione inflitta per un reato amministrativo debba seguire l’ammontare del prodotto o del profitto del reato senza che alcuna soglia sia fissata per l’ammontare dell’ammenda pone già di per sé un problema nei confronti del principio nulla poena sine legge stricta consacrato dall’articolo 7 della Convenzione, le proporzioni estremamente importanti nelle quali l’articolo 187 ter n° 5 del TUF consente di aumentare l’ammenda sono ancora più problematiche28. Ad ogni modo, le sanzioni imposte concretamente nella fattispecie non erano né legali né proporzionali. 19. Le sanzioni inflitte ai ricorrenti non erano regolari perché i procedimenti amministrativi e giudiziari che avevano portato a tali sanzioni erano caratterizzati da gravi mancanze. Pretendere che 27 L’articolo 39 § 3 della legge n° 262 del 28 dicembre 2005 ha portato questa somma a 25 milioni di euro. 28 Questa regola va ben oltre quella enunciata all’articolo 17 § 4 della legge tedesca sui reati amministrativi (Ordnungswidrigkeitengesetz, OWiG), che consente di infliggere una sanzione pecuniaria equivalente all’ammontare del profitto del reato, anche se questo è superiore alla soglia legale della pena, e di quella fissata all’articolo 18 § 2 della legge portoghese sui reati amministrativi (Regime Geral das Contra-Ordenações, RGCO), che pone la stessa regole con il limite che l’ammontare dell’ammenda è portato all’ammontare del profitto del reato, ma non può superare di più di un terzo la soglia legale della pena. SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 16 queste mancanze non abbiano colpito ab imo l’esercizio da parte dei ricorrenti dei diritti alla difesa e supporre che nessun vizio procedurale non avrebbe potuto incidere sulla decisione in merito alle sanzioni, nella misura in cui questa decisione era una conseguenza necessaria dell’accertamento della violazione, è una grave petizione di principio, fondata sulla presunzione inammissibile che un procedimento equo non avrebbe portato a un risultato diverso e che la colpevolezza di un individuo può essere determinata da un procedimento inquisitorio e ineguale. 20. Inoltre le sanzioni pecuniarie imposte dalla corte di appello sono sproporzionate: il Sig. Gabetti, che era il presidente delle aziende commerciali IFIL Investments s.p.a. e Giovanni Agnelli & C. e che aveva preso la decisione di diffondere i comunicati stampa, ha ricevuto una sanzione inferiore rispetto a quella inflitta al Sig. Stevens, avvocato che non aveva nessun potere di decisione, ma che aveva agito solo come consulente29. La corte di appello ha condannato l’amministratore che aveva preso la decisione al pagamento di un’ammenda di un milione duecentomila euro (un milione per il comportamento in qualità di rappresentante d’IFIL s.p.a. e 200 000 euro per il suo comportamento in qualità di rappresentante di Govanni Agnelli & C), e l’avvocato che aveva 29 Come l’articolo 14 dell’OWiG in Germania e l’articolo 16 della RGCO in Portogallo, che propongono entrambe la “nozione unificata dell’autore del reato” (Einheitstäter begriff), l’articolo 5 della legge italiana n° 689/1981 non distingue formalmente gli autori dai loro complici e non prevede soglie diverse per le sanzioni imposte rispettivamente agli autori principali e ai complici in caso di violazione commessa da più persone. Tuttavia, la pena di ciascuno dei partecipanti alla commissione dello stesso reato deve essere proporzionale alla gravità oggettiva del proprio comportamento e alla sua propria colpevolezza soggettiva personale (vedi ad esempio larticolo 187 ter n° 5 del TUF, che specifica la “situazione personale della persona ritenuta colpevole” e l’articolo 187 quarter n° 3 del TUF che specifica la “gravità della violazione” e il “grado di colpevolezza”). Come dimostrato nella nota 14, la Corte di cassazione è sensibile nella sua giurisprudenza alla necessità di valutare con cura questi diversi elementi durante la fissazione delle sanzioni amministrative. E’ esattamente quello che non è stato fatto nella fattispecie. SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 17 avuto solo un ruolo di consulente, e la cui opinione poteva essere scartata dall’amministratore, a più del doppio, ossia tre milioni di euro. In altri termini, la sanzione pecuniaria inflitta al complice era molto più pesante di quella inflitta al suo autore principale! 21. La stessa critica si applica anche alle sanzioni non pecuniarie. Il Sig. Stevens è stato colpito da quattro mesi di interdizione di esercitare, come il Sig. Gabetti. In questo modo il complice che ha fornito un avviso non vincolante all’autore principale che ha preso la decisione sono stati condannati alle stesse sanzioni non pecuniarie, come se le loro responsabilità professionali avessero avuto lo stesso livello! 22. Il carattere sproporzionato delle sanzioni inflitte dalla corte di appello rispettivamente al Sig. Gabetti e al Sig. Stevens non è solamente flagrante quando si paragonano le pene tra di loro. Lo stesso risulta anche dal fatto, incomprensibile, che la corte di appello ha inflitto al Sig. Stevens la sessa sanzione di tre milioni di euro come quella pronunciata dalla CONSOB, quando la commissione aveva considerato l’interessato come amministratore d’IFIL Ivestments s.p.a., mentre la corte di appello ha riconosciuto che si trattava solo di un avvocato che non esercitava poteri direzionali. Quindi, anche se la corte di appello ha riconosciuto al Sig. Stevens una responsabilità di livello inferiore, facendolo passare da autore principale del reato alla qualità di complice, ha mantenuto la stessa sanzione uguale a quella inflitta dalla CONSOB. In sostanza, la corte ha proceduto ad una forma mascherata di reformatio in pejus a scapito dell’appellante. Non è stata esposta nessuna ragione plausibile che appoggiasse questa severità. 23. Le sanzioni inflitte al Sig. Marrone erano anche esse infondate, perché, come ha stabilito la Corte di cassazione in una sentenza SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 18 definitiva del 20 giugno 2012, non aveva nemmeno partecipato al processo incriminato di diffusione di notizie presumibilmente false. 24. Infine, IFIL Investments è stata condannata al pagamento di un’ammenda di un milione di euro per il reato commesso dal Sig. Gabetti, e Giovanni Agnelli & C. ad un’ammenda di 600 000 euro per i reati commessi dal Sig. Gabetti e dal Sig. Marrone. Ai sensi dell’articolo 187 quiquies del TUF, la responsabilità amministrativa delle società non è limitata, perché dipende dal numero di persone fisiche che hanno commesso il reato in nome della persona giuridica. E’ difficile allora comprendere che una sanzione per la diffusione di informazioni presumibilmente false da parte di una sola persona fisica possa valere più del doppio della sanzione la diffusione delle stesse informazioni da parte della stessa persona con la partecipazione di un’altra persona fisica. Inoltre, la CONSOB ha ordinato anche, e il fatto è stato confermato dalla corte di appello, che le due aziende sono assolte dalle sanzioni inflitte alle persone che dipendono da esse, a titolo della loro responsabilità solidale ai sensi dell’articolo 6 § 3 della legge 689/1981. Secondo la giurisprudenza costante della Corte di cassazione, l’articolo 187 quiquies del TUF e l’articolo 6 della legge 689/1981 possono essere applicati alla stessa società per gli stessi fatti, perché il primo riguarda la “responsabilità amministrativa diretta della società” mentre il secondo è un “caso speciale di debito senza responsabilità (debt without responsibility), l’entità essendo responsabile della violazione commessa da uno dei suoi organi interni e direttamente responsabile in qualità di adiectus solutionis causa”. Inoltre, le due società sono state accusate anche di un reato “amministrativo” supplementare ai sensi dell’articolo 25 sixies del decreto legislativo n 231 dell’8 giugno 2001. In termini pratici, le società avrebbero SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 19 potuto dover pagare per gli stessi fatti tre ammende diverse di un ammontare collossale. Nella sua stessa struttura concettuale, questo sistema di sanzioni mette in questione nei confronti delle società i diritti garantiti dagli articoli 1 del Protocollo 1 e 7 della Convenzione. Nell’ambito della presente opinione, ci osserviamo solo che IFIL Investmens s.p.a. e Giovanni Agnelli & C sono stati assolti con la sentenza della corte di appello del 28 febbraio 2013 e che questa sentenza è definitiva su questo punto. I giudici hanno concluso che non poteva essere imputato a queste società commerciali alcun comportamento illegale, e ancora meno un reato “amministrativo”. Alla luce dell’articolo 187 quinquies n 4 del TUF, i mezzi di difesa d’IFIL Investments s.p.a. e di Giovanni Agnelli & C., che sono stati sufficienti per convincere i giudici dell’assenza della loro responsabilità “amministrativa” nei confronti dell’articolo 6 del decreto legislativo n° 231 dell’8 giugno 2001, avrebbero dovuto essere considerati sufficienti anche per escludere la responsabilità “amministrativa” delle stesse società nei confronti dell’articolo 187 quinquies del TUF. Il carattere limitato dell’effetto ne bis in idem di una condanna definitiva a una sanzione amministrativa 24. La direttiva 2003/6/CE sull’abuso di mercato ha stabilito un quadro completo dei divieti e delle sanzioni in materia di abuso di informazioni privilegiate e pratiche di manipolazione del mercato. La direttiva impone agli Stati membri di prevedere sanzioni amministrative importanti, senza pregiudicare il loro diritto di imporre sanzioni penali supplementari30. 30 Questa interpretazione è confermata dal paragrafo 77 della sentenza Spector Photo Group NV della CJUE del 23 dicembre 2009 (caso c-45/08).Visto che il livello delle sanzioni amministrative varia a seconda dello Stato membro, le divergenze tra i regimi SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 20 25. Questa direttiva è stata recepita in Italia con le disposizioni contenute al Titolo I bis del capitolo V del TUF. Gli articoli 185, 187 ter e 187 duodecies del TUF stabiliscono un “sistema a doppio binario” per la sanzione delle persone fisiche ai sensi del quale sono portati avanti in parallelo un procedimento penale e un procedimento amministrativo, per “gli stessi fatti”. Le sanzioni amministrative sono fissate “fatte salve le sanzioni penali applicabili quando il fatto costituisce reato”. Inoltre, il procedimento amministrativo e il procedimento di controllo giurisdizionale di questa procedura non sono sospesi quando un procedimento penale è in corso “avente ad oggetto i medesimi fatti o fatti dal cui accertamento dipende la relativa definizione”. Questo “sistema a doppio binario” si applica anche alle società, che possono essere sottoposte a sanzioni amministrative per gli stessi fatti ai sensi degli articoli 187 quiquies Del TUF e 25 sexies del decreto legislativo n° 231 dell’8 giugno 200131. Questo sistema di sanzioni a doppio binario viola il principio ne bis in idem, sia nella sua concezione dogmatica, che nella sua attuale applicazione32. amministrativi delle sanzioni esistenti favorivano l’arbitraggio regolamentare. Inoltre, quattro Stati membri non avevano incriminato la manipolazione di mercato e la definizione di questo reato penale e delle sanzioni applicabili variava considerevolmente tra quelli che lo avevano fatto. L’approvazione recente da parte del Parlamento europeo di una nuova direttiva sulle sanzioni penali in caso di abuso di mercato e di accordo politico relativo a una futura normativa sulle misure amministrative contro l’abuso di mercato cambierà la situazione nell’Unione europea. Gli Stati membri devono fare in modo che l’imposizione delle sanzioni penali sulla base dei reati previsti dalla nuova direttiva e di sanzioni amministrative basate su una normativa futura non conducano alla violazione del principio ne bis in idem. 31 La Corte di cassazione lo ha riconosciuto espressamente in una sentenza resa il 30 settembre 2009. Il Governo ammette nelle sue osservazioni del 7 giugno 2013, alla pagina 23, che la responsabilità ai sensi dell’articolo 25 sexies del decreto n° 231/2001 “possiede tutte le caratteristiche della responsabilità “penale””. 32 E’ incontestabile che la riserva espressa dall’Italia nei confronti dell’articolo 4 del Protocollo n° 7 non è conforme alle norme stabilite nella giurisprudenza della Corte: è di una portata troppo ampia. Questa riserva non potendo essere applicata, la disposizione in questione è vincolante per lo Stato convenuto. SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 21 26. Secondo la Corte di cassazione, l’articolo 185 riguarda un “illecito di mera condotta”, qualificato tramite una valutazione ex ante delle conseguenze che la diffusione di informazioni vere avrebbe potuto avere sul mercato, e non di un “illecito di evento”, qualificato sulla base di una valutazione ex post della situazione reale del mercato dopo la diffusione dei comunicati stampa33. Il governo ha spinto più avanti questo ragionamento della Corte di cassazione, aggiungendo che il reato penale previsto dall’articolo 185 del TUF era un “reato di pericolo concreto” – il che significa che occorre stabilire che la diffusione di false informazioni ha provocato un rischio reale che il prezzo di uno strumento finanziario sia modificato, anche se nessun impatto reale sul prezzo di questo strumento finanziario non è richiesto perché il reato sia costituito – mentre il reato amministrativo previsto dall’articolo 187 ter del TUF era un “reato di pericolo astratto”, che includeva quindi qualsiasi comportamento che poteva aver influito in teoria sulle scelte degli investitori, indipendentemente dalla questione di sapere se le informazioni false o fuorvianti avevano effettivamente influito su scelte di investimenti che altrimenti non sarebbero state fatte in questo senso. 27. Affinché lo stesso fatto illecito non sia punito due volte (bis in idem), il sistema italiano offre due garanzie: il “principio di specialità” previsto dall’articolo 9 della legge 689/198134, e il principio di detrazione della pena amministrativa dalla pena penale, previsto dall’articolo 187 terdecies del TUF. Queste due garanzie non sono tuttavia sufficienti, come lo dimostra la presente causa. Nonostante il procedimento penale e il procedimento amministrativo 33 Sentenza n° 40393 della Corte di cassazione, 15 ottobre 2012. Secondo le osservazioni del Governo del 7 giugno 2013 (pagina 8), il principio di specialità si applica quando due reati condividono gli stessi elementi costitutivi fondamentali, ma uno dei due è di portata più ridotta a causa di una specificità o dell’aggiunta ai fatti del reato, caso in cui il reato specifico prevale. 34 SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 22 riguardassero esattamente la stessa situazione, la Corte di cassazione e la corte di appello di Torino hanno dichiarato, in modo ripetuto ma poco convincente, che il principio di specialità non si applicava in questo caso. Il reato penale previsto dall’articolo 185 e il reato amministrativo previsto dall’articolo 187 ter sono entrambi reati che scaturiscono da un comportamento, che proteggono lo stesso “bene giuridico”, ossia la trasparenza del mercato. La differenza tra l’uno e l’altro è che il primo è un “reato di pericolo reale” e il secondo un “reato di pericolo astratto”. E’ dunque evidente che il principio di specialità si applicava: la disposizione relativa a un pericolo reale essendo una disposizione speciale rispetto a quella che riguardava un pericolo astratto di danno arrecato allo stesso “bene giuridico”, il procedimento penale doveva prevalere sul procedimento amministrativo, escludendolo. Non solo l’accumulo materiale di sanzioni penali e amministrative sovraccarica lo Stato tramite due inchieste autonome, con il rischio che le conclusioni riguardanti gli stessi fatti siano diverse, ma vi è anche violazione chiara del principio di specialità. 28. Anche supponendo, per necessità di discutere la causa, che il principio di specialità non fosse stato applicabile, resta il fatto che il sistema italiano del doppio binario non vieta l’avvio di un procedimento penale in idem dopo l’adozione di una decisione definitiva di condanna per reati amministrativi da parte della giurisdizione di controllo competente. L’articolo 2 del Protocollo n° 7 vieta anche il “doppio perseguimento” per gli stessi fatti. Un procedimento penale non può dunque essere avviato per gli stessi fatti per cui è stata confermata una decisione amministrativa definitiva dal tribunale, che acquista in questo modo forza di cosa SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 23 giudicata. Il sistema italiano non offre alcuna garanzia in diritto e non l’ha applicata in pratica nel caso concreto dei ricorrenti35. Il carattere insufficiente dell’equa riparazione concessa dalla Corte 29. Le grave mancanze nel procedimento amministrativo e giudiziario di cui sopra e il carattere di conseguenza illegale e sproporzionato delle sanzioni applicate ai ricorrenti richiedono un risarcimento completo e immediato. Come è possibile mantenere ammende colossali di milioni di euro, nonostante la presenza di violazioni così gravi dei diritti procedurali e materiali dei ricorrenti? Sarebbe necessario un nuovo processo, conforme all’articolo 23 della legge 689/1981, qualora i reati amministrativi non si fossero già prescritti. 30. Inoltre, la giustizia richiede in questa causa un risarcimento per i ricorrenti. Hanno subito danni notevoli, sia finanziari che morali: hanno già pagato ammende colossali e gli è stato impedito di svolgere la loro attività professionale per molto tempo. L’ammontare del risarcimento fissato dalla Corte nella fattispecie risulta chiaramente insufficiente per compensare i danni. Come minimo, occorreva ordinare il rimborso ai ricorrenti delle somme versate a titolo di ammenda. 31.D’altronde, i procedimenti penali ancora in corso dovrebbero essere chiudi immediatamente, e gli accusati – i Sigg. Gabetti e Stevens – assolti da ogni responsabilità penale. Nelle circostanze particolari della causa, nessun’altra misura è in grado di compensare l’ingiustizia subita dai ricorrenti con l’avvio del procedimento penale oltre l’inflizione di una sanzione amministrativa ingiusta ed eccessiva. 35 Non è presente nel sistema giuridico italiano una disposizione equivalente all’articolo 84 dell’OWiG tedesco o dell’articolo 79 della RGCO portoghese. SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 24 Conclusione 32. Gli Stati europei si confrontano con un dilemma. Per assicurare l’integrità dei mercati europei e rilanciare la fiducia degli investitori nei mercati, hanno creato reati amministrativi di portata molto ampia basati sul comportamento, che puniscono il pericolo astratto di pregiudizio al mercato con sanzioni pecuniarie severe e indeterminate qualificate come sanzioni amministrative, imposte da autorità amministrative “indipendenti” durante procedimenti inquisitori, ineguali ed espeditivi. Queste autorità cumulano poteri di sanzione e poteri di inchiesta con ampi poteri di controllo su un settore particolare del mercato, esercitando il potere di controllo con lo scopo di facilitare l’esercizio degli altri due poteri e imponendo a volte alla persona controllata/sospettata un obbligo ci cooperare con i suoi propri accusatori. La successione di tre o addirittura quattro fasi di comunicazione di atti scritti per la difesa (due davanti all’autorità amministrativa, uno davanti alla corte di appello ed eventualmente un altro davanti alla Corte di cassazione) rappresenta un garanzia illusoria che non compensa il carattere intrinsecamente ingiusto della procedura. E’ chiaro che la tentazione è stata di delegare a questi “nuovi” procedimenti amministrativi la repressione di comportamenti che non possono essere trattati con gli strumenti classici del diritto penale e del procedimento penale. Tuttavia, la pressione dei mercati non può prevalere sugli obblighi internazionali di rispetto dei diritti dell’uomo che incombono agli Stati vincolati dalla Convenzione. Non è possibile eludere la natura repressiva dei reati e la severità della pena, che richiedono chiaramente la possibilità di beneficiare della tutela portata dalle garanzie procedurali e sostanziali sancite dagli articoli 6 e 7 della Convenzione. SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 25 33. Riteniamo che i ricorrenti siano stati trattati ingiustamente dalla CONSOB e dalle giurisdizioni interne e che la nostra Corte ha reso loro giustizia solo a metà. E’ la ragione per la quale sottoscriviamo solo in parte al ragionamento della maggioranza. Speriamo che la presente sentenza rappresenti uno strumento che permetta alle giurisdizioni interne di rendere pienamente giustizia ai ricorrenti, e che induca il legislatore italiano a rimediare alle mancanze strutturali del procedimento amministrativo e giudiziario di applicazione e di controllo delle sanzioni amministrative della CONSOB. Se riesce ad affrontare questa sfida, la sentenza potrebbe fornire un esempio e una fonte di ispirazione agli altri legislatori che si confrontano con un problema similare del sistema. SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA 26 ALLEGATO N° Ricorso n° Presentato il Ricorrente Data di nascita Luogo di nascita Franzo GRANDE STEVENS 13/09/1928 Torino 1 18640/10 27/03/2010 2 18647/10 27/03/2010 Gianluigi GABETTI 29/08/1924 Torino 3 18663/10 27/03/2010 Virgilio MARRONE 02/08/1946 Torino 4 18668/10 27/03/2010 EXOR S.P.A. Società per azioni con sede a Torino 5 18698/10 27/03/2010 GIOVANNI AGNELLI & C. S.a.a. Società in accomandita per azioni cons ede in Torino Rappresentato da Aldo BOZZI, avvocato del Foro di Milano, Giuseppe BOZZI, avvocato del Foro di Roma, e Natalino IRTI, avvocato del Foro di Milano Aldo BOZZI, avvocato del Foro di Milano e Giuseppe BOZZI, avvocato del Foro di Roma Aldo BOZZI, avvocato del Foro di Milano e Giuseppe BOZZI, avvocato del Foro di Roma Aldo BOZZI, avvocato del Foro di Milano e Giuseppe BOZZI, avvocato del Foro di Roma Aldo BOZZI, avvocato del Foro di Milano e Giuseppe BOZZI, avvocato del Foro di Roma