SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA

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SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
SEZIONE SECONDA
CASO GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
(Ricorsi n° 18640/10, 18647/10, 18663/10,
18668/10 et 18698/10)
SENTENZA
STRASBURGO
4 marzo 2014
Questa decisione diventerà definitiva alle condizioni di cui all'articolo 44 §2
della Convenzione. Questa sentenza può subire modifiche nella forma.
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Nel caso Grande Stevens e altri. c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in una
camera composta da:
Işıl Karakaş, presidente,
Guido Raimondi,
Peer Lorenzen,
Dragoljub Popović,
András Sajó,
Paulo Pinto de Albuquerque,
Helen Keller, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 28 gennaio 2013,
Pronuncia la seguente sentenza adottata in tale ultima data:
PROCEDURA
1. All’origine della causa vi sono cinque ricorsi (n° 18640/10,
18647/10, 18663/10, 18668/10 et 18698/10) contro la Repubblica
italiana in cui tre cittadini e due società di questo Stato, i Sigg. Franzo
Grande Stevens, Gianluigi Gabetti e Virgilio Marrone, nonché Exor
S.p.a. e Giovanni Agnelli & C. S.a.s. (“i ricorrenti”), hanno adito la
Corte il 27 marzo 2010 ai sensi dell'art. 34 della Convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali ("la
Convenzione").
2. I ricorrenti sono rappresentati da A. e G. Bozzi, avvocati
rispettivamente del Foro di Milano e Roma. Il Sig. Grande Stevens è
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rappresentato anche da N. Irti, avvocato del Foro di Milano. Il governo
italiano ("Governo") è rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e dal
suo co-agente, P. Accardo.
3. I ricorrenti lamentano in particolare che i procedimenti giudiziari
intrapresi nei loro confronti non sono stati equi e non si sono svolti
davanti a un “tribunale” indipendente e imparziale, che hanno subito la
violazione del diritto al rispetto della loro proprietà e che sono state
vittime di una violazione del principio ne bis in idem.
4. Il 15 gennaio 2013, i ricorsi sono stati dichiarati in parte irricevibili e
i motivi di ricorso espressi ai sensi dell’articolo 6 della Convenzione,
nonché dell’articolo 1 del Protocollo n° 1 e 4 del Protocollo n° 7 sono
state comunicate al Governo. Come consentito dall’articolo 29 § 1 della
Convenzione, è stato altresì deciso che la camera si pronuncerà
contemporaneamente sull’ammissibilità e sul merito.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO
5. L’elenco delle parti ricorrenti si trova in allegato.
A. Il contesto del caso
6. All’epoca dei fatti, il Sig. Gianluigi Gabetti era il presidente delle
due società ricorrenti e il Sig. Virgilio Marrone era il procuratore della
società Giovanni Agnelli & C. s.a.a.
7. Il 26 luglio 2002, la società per azioni FIAT (Fabbrica Italiana
Automobili Torino) firmò un contratto di finanziamento (prestito
convertendo) con otto banche. Il contratto scadeva il 20 settembre 2005
e prevedeva che, in caso di mancato rimborso del prestito da parte della
FIAT, le banche potessero recuperare il credito tramite la sottoscrizione
di un aumento del capitale sociale. In questo modo, le banche avrebbero
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acquisito il 28% del capitale sociale della FIAT, mentre la
partecipazione della società per azioni IFIL Investments (diventata in
seguito, il 20 febbraio 2009, Exor s.p.a., denominazione che sarà
utilizzata di seguito nel presente documento) sarebbe passata dal
30,06% al 22% circa.
8. Il Sig. Gabetti desiderò richiedere una consulenza giuridica per
ricercare una modalità per consentire ad Exor di rimanere l’azionista di
controllo della FIAT, e si rivolse in quest’ottica a un avvocato
specializzato in diritto societario, il Sig. Grande Stevens. Quest’ultimo
stimò che era possibile ottenere tale risultato rinegoziando un contratto
di equity swap (ossia un contratto che permetteva lo scambio della
performance di un’azione contro un tasso di interesse senza anticipo in
denaro) in data 26 aprile 2005 per circa 90 milioni di azioni FIAT che
Exor aveva concluso con una banca d’affari inglese, Merrill Lynch
International Ltd, e la cui scadenza era fissata al 26 dicembre 2006.
Secondo l’opinione del Sig. Grande Stevens, questo contratto
rappresentava una via per evitare il lancio di un’offerta pubblica di
acquisto (O.P.A.) sulle azioni FIAT.
9. Senza nominare Merrill Lynch International Ltd, ai fini di non
violare i suoi doveri di riservatezza, il 12 agosto 2005 il Sig. Grande
Stevens domandò alla Commissione Nazionale per le Società e la Borsa
– la “CONSOB”, che nel sistema giuridico italiano ha lo scopo, tra altre
funzioni, di garantire la protezione degli investitori e l’efficacia, la
trasparenza e lo sviluppo dei mercati azionari – se, nell’ipotesi
contemplata, un’OPA poteva essere evitata. Allo stesso tempo, il Sig.
Grande Stevens cominciò ad informarsi presso Merrill Lynch
International Ltd circa la possibilità di apportare modifiche al contratto
di equity swap.
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10.
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Il 23 agosto 2005, la CONSOB domandò alle società Exor e
Giovanni Agnelli di diffondere un comunicato stampa per segnalare
tutte le iniziative adottate in merito alla scadenza del contratto di
finanziamento con le banche, tutte le novità riguardanti la società FIAT
e ogni elemento utile per spiegare le fluttuazioni delle azioni FIAT sul
mercato.
11.
Il sig. Marrone riferisce che in tale data si trovava in ferie.
Aveva informato il Sig. Grande Stevens sulla richiesta della CONSOB,
trasmettendogli una copia. Il Sig. Marrone sostiene di non aver
partecipato alla redazione dei comunicati stampa di cui ai paragrafi 13 e
14.
12.
Il Sig. Gabetti riferisce che il 23 agosto 2005 si trovava
ricoverato in ospedale negli Stati Uniti. Aveva ricevuto un progetto di
comunicato stampa e aveva contattato per telefono il Sig. Grande
Stevens, che gli aveva confermato che, visti i numerosi dati rimasti
incerti, l’ipotesi di un rinegoziazione del contratto di equity swap non
poteva essere ritenuta un’opzione concreta e attuale. In queste
circostanze, il Sig. Gabetti approvò il progetto del comunicato.
13.
Il comunicato stampa rilasciato come risposta, approvato dal
Sig. Grande Stevens, si limitava a indicare che Exor non aveva “né
avviato, né studiato iniziative riguardanti la scadenza del contratto di
finanziamento” e che desiderava “rimanere l’azionista di riferimento
della FIAT”. Non vi è stata fatta alcuna osservazione circa l’eventuale
rinegoziazione del contratto di equity swap con Merrill Lynch
International Ltd, considerata dai ricorrenti una semplice ipotesi futura
in mancanza di un chiaro fondamento di fatto e di diritto.
14.
di Exor.
La società Giovanni Agnelli confermò il comunicato stampa
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15.
5
Dal 30 agosto al 15 settembre 2005, il Sig. Grande Stevens
proseguì le sue trattative con Merrill Lynch International Ltd per
esaminare la possibilità di apportare delle modifiche al contratto di
equity swap.
16.
Il 14 settembre 2005, durante una riunione della famiglia
Agnelli, è stato deciso che il progetto esaminato dal Sig. Grande
Stevens doveva essere sottoposto all’approvazione del consiglio di
amministrazione di Exor. Lo stesso giorno, la CONSOB ricevette una
copia del contratto di equity swap e fu informata sulle trattative in corso
ai fini di utilizzarlo per consentire ad Exor di acquisire azioni FIAT.
17.
Il 15 settembre 2005, in applicazione delle delibere dei
rispettivi consigli di amministrazione, Exor e Merrill Lynch
International Ltd conclusero l’accordo sulla modifica del contratto di
equity swap.
18.
Il 17 settembre 2005, in risposta alla domanda fattale dal Sig.
Grande Stevens il 12 agosto 2005 (paragrafo 9 sopra), la CONSOB
indicò che nell’ipotesi contemplata non sussisteva l’obbligo di lanciare
un’OPA.
19.
Il 20 settembre 2005, FIAT aumentò il suo capitale sociale; le
nuove azioni emesse furono acquisite da otto banche per recuperare i
crediti vantati. Lo stesso giorno, l’accordo che modificava il contratto
di equity swap entrò in vigore. Di conseguenza, Exor mantenne la sua
partecipazione del 30% al capitale della FIAT.
B. Il procedimento davanti alla CONSOB
20.
Il 20 febbraio 2006, la Divisione mercati e consulenza
economica – ufficio Insider Trading – di seguito “l’ufficio IT” della
CONSOB accusò i ricorrenti della violazione dell’articolo 187 ter § 1
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del Decreto Legislativo n° 58 del 24 febbraio 1998. Ai sensi
dell’articolo di cui sopra, intitolato “manipolazione del mercato”,
“Salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato, è punito
con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro ventimila a euro
ventcinque milioni chiunque, tramite mezzi di informazione,
compreso Internet o ogni altro mezzo, diffonde informazioni, voci o
notizie false o fuorvianti che forniscano o siano suscettibili di
fornire indicazioni false ovvero fuorvianti in merito agli strumenti
finanziari.”1
21.
Secondo la tesi dell’ufficio IT, l’accordo che modificava
l’equity swap era stato concluso o era sul punto di essere concluso
prima della diffusione dei comunicati stampa del 24 agosto 2005, e
quindi non era normale che detti comunicati non lo segnalassero in
alcun modo. I ricorrenti furono invitati a presentare la loro difesa.
22.
La pratica fu trasmessa in seguito dall’ufficio IT all’ufficio
sanzioni amministrative – di seguito “la direzione” della CONSOB,
accompagnato da un rapporto (relazione istruttoria) del 13 settembre
2006, che segnalava gli elementi a carico e gli argomenti degli imputati.
Secondo questo rapporto, la difesa presentata dai ricorrenti non
consentiva di archiviare il caso.
23.
La direzione comunicò questo rapporto ai ricorrenti e li invitò
a presentare per iscritto, entro e non oltre 30 giorni con scadenza il 23
ottobre 2006, le argomentazioni che stimavano necessarie per la loro
difesa. Nel frattempo l’ufficio IT continuò ad esaminare il caso dei
ricorrenti, ottenendo informazioni per via orale e tramite l’analisi dei
documenti ricevuti il 7 luglio 2006 da Merrill Lynch International Ltd.
1
L’ammontare di questa sanzione è stato moltiplicato per cinque dall’articolo 39 § 3 della
legge n° 262 del 28 settembre 2005, entrata in vigore dopo la diffusione dei comunicati
stampa incriminati.
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Il 19 ottobre 2006, l’ufficio trasmise alla direzione una “nota
complementare” in cui affermava che i nuovi documenti esaminati non
erano in grado di modificare le sue conclusioni. Il 26 ottobre 2006, i
ricorrenti ricevettero una copia della nota complementare del 19 ottobre
2006 e dei suoi allegati; una nuova scadenza di trenta giorni fu concessa
per presentare eventuali osservazioni.
24.
Senza comunicarlo ai ricorrenti, la direzione presentò il suo
rapporto (datato 19 gennaio 2007 e contenente le sue conclusioni) alla
commissione – la CONSOB vera e propria – ossia l’organo incaricato
con l’adozione della decisione su eventuali sanzioni. All’epoca dei fatti,
la commissione era composta da un presidente e quattro membri,
nominati dal presidente della Repubblica su proposta del presidente del
Consiglio dei ministri. Il loro mandato durava cinque anni e poteva
essere rinnovato un’unica volta.
25.
Con la decisione n° 15760 del 9 febbraio 2007, la CONSOB
infliggeva ai ricorrenti le seguenti sanzioni amministrative:
- 5 000 000 EUR al Sig. Gabetti,
- 3 000 000 EUR al Sig. Grande Stevens,
- 500 000 EUR al Sig.Marrone,
- 4 500 000 EUR alla società Exor,
- 3 000 000 EUR alla società Giovanni Agnelli.
26. I Sigg. Gabetti, Grande Stevens e Marrone furono colpiti da
un’interdizione di amministrare, di dirigere o di controllare società
quotate in borsa, per una durata di, rispettivamente, sei, quattro e due
mesi.
27. La CONSOB stimò soprattutto che dalla pratica risultava che il 24
agosto 2005, data dei comunicati stampa incriminati, il progetto atto
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alla conservazione di una partecipazione del 30% al capitale della FIAT
sulla base della rinegoziazione del contratto di equity swap sottoscritto
con Merrill Lynch International Ltd, era già stato studiato ed era in
corso di applicazione. Di conseguenza i comunicati stampa costituivano
una rappresentazione falsa della situazione all’epoca. La CONSOB
sottolineava anche la posizione occupata dalle persone coinvolte, la
“gravità oggettiva” dell’infrazione e l’esistenza del dolo.
C. L’opposizione davanti alla Corte d’Appello
28. I ricorrenti presentarono opposizione alla sanzione di cui sopra
davanti la corte di appello di Torino. I ricorrenti lamentarono, tra le
altre cose, il fatto che il regolamento della CONSOB fosse illegale
perché, contrariamente a quanto richiesto dall’articolo 187 septies del
decreto legislativo n° 58 del 1998 (paragrafo 57 di seguito), non
rispettava il principio di un esame in contraddittorio del caso.
29. Il Sig. Grande Stevens fece notare inoltre che la CONSOB lo aveva
accusato e condannato per non aver partecipato alla pubblicazione del
comunicato stampa del 24 agosto 2005 in qualità di amministratore di
Exor. Davanti alla CONSOB, l’interessato aveva eccepito senza
successo che non possedeva tale qualità e che era semplicemente
l’avvocato e il consulente del gruppo Agnelli. Davanti alla corte di
appello, il Sig. Grande Stevens ribadì che, non essendo amministratore,
non poteva aver partecipato alla decisione di pubblicare il comunicato
stampa incriminato. In una memoria del 25 settembre 2007, il Sig.
Grande Stevens indicò che nel caso in cui la corte d’appello avesse
stimato insufficienti o inutilizzabili i documenti allegati alla pratica,
egli richiedeva la convocazione e l’esame di testimoni “sui fatti riferiti
nei documenti sopra citati”. Non indicò chiaramente nella memoria né i
nomi di questi testimoni né le circostanze sulle quali essi avrebbero
dovuto testimoniare. In una memoria dello stesso giorno, il Sig.
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Marrone citò due testimoni, le cui dichiarazioni avrebbero provato che
egli non aveva partecipato alla redazione dei comunicati stampa e
specificò che la corte di appello avrebbe potuto esaminarli “ove
occorresse”.
30. Con le sentenze depositate presso la cancelleria il 23 gennaio 2008,
la corte di appello di Torino ridusse per alcuni dei ricorrenti
l’ammontare delle sanzioni amministrative inflitte dalla CONSOB,
come segue:
- 600 000 EUR per Giovanni Agnelli s.a.a. ;
- 1 000 000 EUR per Exor s.p.a. ;
- 1 200 000 EUR per il Sig. Gabetti.
Nell’intestazione delle sentenze emesse contro i Sigg. Gabetti e
Marrone e contro Exor S.p.a. era indicato che la corte di appello si era
“riunita in camera di consiglio”. La parte “procedimento” delle
sentenze emesse contro il Sig. Grande Stevens e Giovanni Agnelli & C
S.a.s. indicava che era stata “disposta la comparizione delle parti in
camera di consiglio”.
31.La durata dell’interdizione di assumere incarichi di amministrazione,
di direzione o di controllo di società quotate in borsa inflitta al Sig.
Gabetti fu ridotta da sei a quattro mesi.
32. La corte di appello rigettò tutte le altre istanze degli interessati. La
corte fece notare tra altre cose che, anche dopo la trasmissione della
pratica alla direzione, all’ufficio IT spettava il diritto di proseguire le
sue attività di indagine, dato che il termine di 210 giorni previsto per la
delibera della CONSOB non era vincolante. Inoltre, il principio del
contraddittorio era rispettato dal momento che, come nella fattispecie,
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gli imputati erano stati informati sui nuovi elementi raccolti dall’ufficio
IT e avevano avuto la possibilità di presentare le loro repliche.
33. La corte di appello osservò altresì che era vero che la CONSOB da
una parte aveva inflitto le sanzioni previste dall’articolo 187 ter del
decreto legislativo n° 58 del 1998, e dall’altra parte aveva denunciato al
pubblico ministero la commissione del reato penale di cui all’articolo
185 § 1 dello stesso decreto. Ai sensi di questo articolo,
“ Chiunque diffonde notizie false o pone in essere operazioni
simulate o altri artifizi concretamente idonei a provocare una
sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari, è punito con
la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro ventimila a
euro cinque milioni.”
34. Secondo la corte di appello, le due disposizioni avevano come
oggetto lo stesso comportamento (la “diffusione di informazioni false”)
e perseguivano lo stesso scopo (evitare manipolazioni del mercato),
però si distinguevano per quanto riguarda la situazione di pericolo che
deve aver generato tale comportamento: per l’articolo 187 ter, era
sufficiente il fatto di aver fornito indicazioni false o fuorvianti sugli
strumenti finanziari, mentre l’articolo 185 richiedeva inoltre che queste
informazioni fossero state in grado di provocare un’alterazione
sensibile del prezzo degli strumenti in causa. Come aveva indicato la
Corte costituzionale nella sua ordinanza n° 409 del 12 novembre 1991,
il legislatore aveva la facoltà di punire un comportamento illegale
contemporaneamente con una sanzione amministrativa e una sanzione
penale. Inoltre, l’articolo 12 della direttiva 2003/6/CE (paragrafo 60 di
seguito), che invitava gli Stati membri dell’Unione europea ad applicare
sanzioni amministrative nei confronti delle persone responsabili di una
manipolazione del mercato, conteneva esso stesso l’osservazione “fatto
salvo il loro diritto d’infliggere sanzioni penali”.
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35. Sul merito, la corte d’appello osservò che dalla pratica risultava che
la rinegoziazione dell’equity swap era stata esaminata, all’epoca della
controversia, nei minimi dettagli e che la conclusione alla quale era
arrivata la CONSOB (ossia che questo progetto esisteva già un mese
prima del 24 agosto 2005) era ragionevole alla luce dei fatti stabiliti e
del comportamento delle persone coinvolte.
36. Per quanto riguarda il Sig. Grande Stevens, era vero che egli non
era l’amministratore di Exor s.p.a. Ciò nonostante, l’infrazione
amministrativa punita dall’articolo 187 ter del decreto legislativo n° 58
del 1998 poteva essere commessa da “chiunque”, quindi in qualsiasi
qualità; e il Sig. Grande Stevens aveva partecipato al processo
decisionale che aveva portato alla pubblicazione del comunicato stampa
in qualità di avvocato consultato dalle società ricorrenti.
D. Ricorso in cassazione
37. I ricorrenti presentarono ricorso in cassazione. Nel terzo e nel
quarto motivo del loro ricorso, lamentarono soprattutto una violazione
dei principi del processo equo sanciti dall’articolo 111 della
Costituzione,
per
le
seguenti
cause:
l’assenza
del
carattere
contraddittorio della fase istruttoria davanti alla CONSOB; la mancata
comunicazione agli accusati del rapporto della direzione; l’impossibilità
secondo loro di depositare memorie o documenti e di essere sentiti
personalmente dalla commissione; il fatto che l’ufficio IT ha proseguito
la sua indagine e trasmesso una nota complementare dopo la scadenza
fissata a tale scopo.
38. Con le sentenze del 23 giugno 2009, il cui testo fu depositato presso
la cancelleria il 30 settembre 2009, la Corte di cassazione rigettò il
ricorso. La Corte stimò che il principio di un esame in contraddittorio
della causa era stato rispettato nel procedimento davanti alla CONSOB,
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rilevando che essa aveva indicato agli interessati il comportamento per
il quale erano stati accusati e aveva tenuto conto delle rispettive difese.
L’omissione di sentire i ricorrenti e di trasmettere loro le conclusioni
della direzione non violava questo principio, in quanto le disposizioni
costituzionali in materia di processo equo e di diritto alla difesa erano
applicabili soltanto ai procedimenti giudiziari, e non al procedimento
per l’inflizione di sanzioni amministrative.
E. Le azioni penali contro i ricorrenti
39. Ai sensi del decreto legislativo n° 58 del 1998, il comportamento in
causa dei ricorrenti poteva essere oggetto non solo di una sanzione
amministrativa inflitta dalla CONSOB, ma anche di sanzioni penali
previste dall’articolo 185 § 1, citato sopra al paragrafo 33.
40. Il 7 novembre 2008, i ricorrenti furono rinviati a giudizio davanti al
tribunale di Torino. I ricorrenti erano accusati di aver dichiarato, nei
comunicati stampa del 24 agosto 2005, che Exor desiderava rimanere
l’azionista di riferimento della FIAT e che la società non aveva né
avviato, né studiato iniziative riguardanti la scadenza del contratto di
finanziamento, mentre l’accordo che modificava l’equity swap era già
stato esaminato e concluso, informazione che sarebbe stata nascosta ai
fini di evitare un probabile calo del prezzo delle azioni FIAT.
41. La CONSOB si costituì parte civile, ai sensi dell’articolo 187
undecies del decreto legislativo n° 58 del 1998.
42. Dopo il 30 settembre 2009, data in cui fu depositata presso la
cancelleria l’ordinanza che rigetta il ricorso in cassazione dei ricorrenti
contro la condanna inflitta dalla CONSOB (paragrafo 38 sopra), gli
interessati richiesero la rinuncia all’azione penale nei loro confronti ai
sensi del principio ne bis in idem. Nello specifico, durante l’udienza del
7 gennaio 2010, i ricorrenti eccepirono l’incostituzionalità delle
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disposizioni pertinenti del decreto legislativo n° 58 del 1998 e
dell’articolo 649 del codice di procedura penale (il “CPP” – vedi
paragrafo 59), data la loro incompatibilità secondo loro con l’articolo 4
del Protocollo n° 7).
43. Il rappresentante del pubblico ministero presentò un’opposizione a
questa eccezione, dichiarando che il “doppio giudizio” (amministrativo
e penale) era imposto dall’articolo 14 della direttiva 2003/6/CE del 28
gennaio 2003 (paragrafo 60), che il legislatore italiano aveva recepito
introducendo gli articoli 185 e 187 ter del decreto legislativo n° 58 del
1998.
44. Il tribunale di Torino non si pronunciò immediatamente sulla
questione relativa alla costituzionalità sollevata dalla difesa. Il tribunale
ordinò una perizia per determinare le fluttuazioni delle azioni FIAT tra
dicembre 2004 e aprile 2005 e per valutare gli effetti dei comunicati
stampa del 24 agosto 2005 e delle informazioni rese note il 15
settembre 2005.
45. Con una decisione del 21 dicembre 2010, il cui testo fu depositato
presso la cancelleria il 18 marzo 2011, il tribunale di Torino assolse il
Sig. Marrone, con il motivo che non aveva contribuito alla
pubblicazione dei comunicati stampa, e assolse anche gli altri ricorrenti
con il motivo che non era stato provato che il loro comportamento era
stato in grado di provocare un’alterazione significativa del mercato
finanziario. Il tribunale osservò che il fatto che i comunicati stampa
contenevano informazioni false era già stato sanzionato dall’autorità
amministrativa. Secondo l’opinione del tribunale, il comportamento
incriminato
degli
interessati
aveva
lo
scopo
di
nascondere,
probabilmente, alla CONSOB la rinegoziazione del contratto di equity
swap, e non di far aumentare il prezzo delle azioni FIAT.
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46. Il tribunale dichiarò chiaramente infondata la questione relativa alla
costituzionalità sollevata dai ricorrenti. Il tribunale fece notare che la
legge italiana (articolo 9 della legge n° 689 del 1981) vietava un
“doppio giudizio”, penale e amministrativo, su uno “stesso fatto”.
Orbene, gli articoli 185 e 187 ter del decreto legislativo n° 58 del 1998
non sanzionavano lo stesso fatto: soltanto la disposizione penale
(l’articolo 185) richiedeva che il comportamento fosse stato in grado di
provocare un’alterazione importante del valore degli strumenti
finanziari (vedi Corte di cassazione, sezione sesta, sentenza del 16
marzo 2006, n° 15199). Inoltre, l’applicazione della disposizione penale
presupponeva l’esistenza di un dolo, mentre la disposizione
amministrativa si applicava in presenza di un semplice comportamento
errato. D’altronde, l’azione penale che ha seguito l’inflizione della
sanzione pecuniaria prevista dall’articolo 187 ter del decreto legislativo
n° 58 del 1998 era autorizzata dall’articolo 14 della direttiva
2003/6/CE.
47. Per quanto riguarda invece la giurisprudenza della Corte citata dai
ricorrenti (Gradinger c. Austria (23 ottobre 1995, serie A n° 328-C),
Sergueï Zolotoukhine c. Russia ([GC], n°14939/03, CEDH 2009-...),
Maresti c. Croazia (n° 55759/07, 25 giugno 2009), e Ruotsalainen c.
Finlandia (n° 13079/03, 16 giugno 2009)), non è pertinente nella
fattispecie, perché fa riferimento a casi in cui uno stesso fatto è stato
punito con sanzioni penali e amministrative e in cui quest’ultime
avevano un carattere punitivo e potevano comportare la privazione
della libertà oppure (affare Ruotsalainen) avevano un ammontare
superiore all’ammenda penale.
48. Il pubblico ministero presentò ricorso in cassazione, lamentando
che il reato di cui sono accusati i ricorrenti era un “reato di pericolo” e
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non “reato di danno”. Il reato poteva dunque essere costituito anche in
assenza di danni per gli azionisti.
49. Il 20 giugno 2012, la Corte di cassazione accolse in parte il ricorso
del pubblico ministero e annullò l’assoluzione delle società Giovanni
Agnelli ed Exor, nonché dei Sigg. Grande Stevens e Gabetti. Confermò
in cambio l’assoluzione del Sig. Marrone, dato che non aveva
partecipato al comportamento incriminato.
50. Con una sentenza del 28 febbraio 2013, la corte di appello di Torino
condannò i Sigg. Gabetti e Grande Stevens per il reato previsto
all’articolo 185 § 1 del decreto legislativo n° 58 del 1998, stimando che
era molto probabile che, in assenza delle informazioni false incluse nel
comunicato stampa rilasciato il 24 agosto 2005, il valore delle azioni
FIAT fosse calato in modo molto più significativo. La Corte assolse
invece le società Exor e Giovanni Agnelli, stimando che non esistevano
reati che potessero essere imputati alle società in causa.
51. La corte di appello escluse ogni violazione del principio ne bis in
idem, confermando, essenzialmente, il ragionamento seguito dal
tribunale di Torino.
52. Secondo le informazioni fornite dal Governo il 7 luglio 2013, i
Sigg. Gabetti e Grande Stevens hanno presentato ricorso in cassazione
contro questa sentenza, e il procedimento è ancora in corso alla data
odierna. Nei loro ricorsi, questi due ricorrenti hanno invocato la
violazione del principio ne bis in idem e richiesto di sollevare una
questione relativa alla costituzionalità per quanto riguarda l’articolo 649
CPP.
II. IL DIRITTO E LE PRASSI INTERNI ED EUROPEI PERTINENTI
IN MATERIA
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A. Il diritto interno
1. Il decreto legislativo n° 58 del 24 febbraio 1998
53. Come indicato prima (paragrafo 20), l’articolo 187 ter § 1 del
decreto prevede sanzioni amministrative per le persone responsabili di
una manipolazione del mercato. Ai sensi del paragrafo 5 della stessa
disposizione, quando il loro ammontare normale risulta inadeguato
rapportato alla gravità del comportamento in causa, dette sanzioni
possono essere aumentate fino a tre volte il loro ammontare massimo
normale o fino a dieci volte il prodotto o il profitto conseguito dal
comportamento illecito. La CONSOB deve indicare gli elementi e le
circostanze che prende in considerazione per valutare i comportamenti
che costituiscono manipolazione del mercato ai sensi della direttiva
2003/6/CE (paragrafo 60 di sotto) e delle disposizioni di attuazione.
54. L’articolo 187 quater precisa che l’inflizione delle sanzioni
amministrative pecuniarie di cui sopra causa anche la perdita
temporanea dei requisiti di onorabilità per i rappresentanti delle società
coinvolte. Se la società è quotata in borsa, i suoi rappresentanti sono
colpiti
da
incapacità
temporanea
di
assumere
incarichi
di
amministrazione, gestione o controllo delle società quotate. Queste
sanzioni accessorie hanno una durata che va da due mesi a tre anni.
Tenendo conto della gravità della violazione del grado della colpa, la
CONSOB può anche interdire alle società quotate, alle società di
gestione e alle società di revisione di avvalersi della collaborazione
dell’autore dell’infrazione, per una durata massima di tre anni. La
CONSOB può anche richiedere agli ordini professionali la sospensione
temporanea
professionale.
dell’interessato
dall’esercizio
della
sua
attività
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
17
55. Ai sensi dell’articolo 187 quinquies, quando le infrazioni commesse
nel suo interesse o a suo vantaggio da amministratori, dirigenti o
manager di una società commerciale hanno causato l’applicazione di
una sanzione amministrativa, la società in causa è tenuta al pagamento
di una somma pari all’ammontare della sanzione inflitta alle persone di
cui sopra. Qualora queste infrazioni avessero generato un prodotto o un
profitto importante, la sanzione applicata alla società è aumentata fino a
dieci volte il prodotto o il profitto conseguito. Tuttavia, la responsabilità
della società è esclusa se prova che i suoi amministratori, dirigenti o
manager hanno agito esclusivamente nel loro interesse o a favore di
terzi.
56. Ai sensi dell’articolo 187 sexies, l’applicazione delle sanzioni
amministrative pecuniarie in questione importa sempre la la confisca
del prodotto o del profitto dell'illecito e dei beni utilizzati per
commetterlo. Ai sensi dell’articolo 187 septies, provvedimento di
applicazione delle sanzioni è pubblicato per estratto nel Bollettino della
CONSOB, che può richiedere, a spese dell’autore dell’infrazione,
ulteriori forme di pubblicità.
57. L’articolo 187 septies descrive la procedura di applicazione delle
sanzioni da parte della CONSOB. Nello specifico, il comportamento
illecito di cui si è accusati deve essere notificato agli interessati entro
180 giorni dal suo accertamento, gli interessati possono richiedere di
essere sentiti e il procedimento è retto dai principi del contraddittorio,
della conoscenza degli atti istruttori, della verbalizzazione nonché della
distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie.
58. Ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo n° 58 del 1998, la
CONSOB è autorizzata a fissare le scadenze e le procedure per
l’adozione degli atti che rientrano nelle sue competenze.
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
18
2. Il CPP
59. L’articolo 649 del CPP recita:
“1. L'imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale
divenuti irrevocabili non può essere di nuovo sottoposto a
procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo viene
diversamente considerato per il titolo, per il grado per le circostanze
(..).
2. Se ciò nonostante viene di nuovo iniziato procedimento penale, il
giudice in ogni stato e grado del processo pronuncia sentenza di
proscioglimento di non luogo a procedere, enunciandone la causa nel
dispositivo.”
B. Il diritto e la prassi europea
60. L’articolo 14 della direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e
del Consiglio del 28 febbraio 2003 relativa all'abuso di informazioni
privilegiate e alla manipolazione del mercato (abusi di mercato –
Gazzetta Ufficiale n° L 096 del 12/04/2003 p. 0016-0025) dispone:
“1. Fatto salvo il diritto degli Stati membri di imporre sanzioni penali,
gli Stati membri sono tenuti a garantire, conformemente al loro
ordinamento nazionale, che possano essere adottate le opportune misure
amministrative o irrogate le opportune sanzioni amministrative a carico
delle persone responsabili del mancato rispetto delle disposizioni
adottate in attuazione della presente direttiva. Gli Stati membri sono
tenuti a garantire che tali misure siano efficaci, proporzionate e
dissuasive.
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
19
2. La Commissione stila, in conformità della procedura di cui
all'articolo 17, paragrafo 2, un elenco indicativo delle misure e delle
sanzioni amministrative di cui al paragrafo 1.
3. Gli Stati membri fissano le sanzioni da applicare per l'omessa
collaborazione alle indagini di cui all'articolo 12.
4. Gli Stati membri provvedono affinché l’autorità competente possa
divulgare al pubblico le misure o sanzioni applicate per il mancato
rispetto delle disposizioni adottate in attuazione della presente direttiva,
salvo il caso in cui la divulgazione possa mettere gravemente a rischio i
mercati finanziari o possa arrecare un danno sproporzionato alle parti
coinvolte.”
61. Nella causa Spector Photo Group NV e Chris Van Raemdonckc/
Commissie voor het Bank-, Financie- en Assurantiewezen (CBFA)
(procedimento C-45/08) del 23 dicembre 2009, la Corte di Giustizia
dell’Unione europea (CJUE) si è espressa come segue:
“40. Al riguardo va ricordato che, secondo la giurisprudenza costante, i
diritti fondamentali fanno parte integrante dei principi generali del
diritto dei quali la Corte garantisce l’osservanza (sentenza 3 settembre
2008, cause riunite C‑402/05 P e C‑415/05 P, Kadi e Al Barakaat
International Foundation/Consiglio e Commissione, Racc. pag. I‑6351,
punto 283).
41. Emerge altresì dalla giurisprudenza della Corte che il rispetto dei
diritti dell’uomo rappresenta una condizione di legittimità degli atti
comunitari e che nella Comunità non possono essere consentite misure
incompatibili con il rispetto di questi ultimi (citata sentenza Kadi e Al
Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione, punto
284).
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
20
42. È vero che l’art. 14, n. 1, della direttiva 2003/6 non impone agli
Stati membri di prevedere sanzioni penali nei confronti degli autori di
abusi di informazioni privilegiate, ma si limita ad affermare che tali
Stati sono tenuti a garantire che «possano essere adottate le opportune
misure amministrative o irrogate le opportune sanzioni amministrative a
carico delle persone responsabili del mancato rispetto delle disposizioni
adottate in attuazione di [tale] direttiva», essendo gli Stati membri,
inoltre, tenuti a garantire che queste misure siano «efficaci,
proporzionate e dissuasive». Tuttavia, considerata la natura delle
violazioni di cui trattasi, nonché dato il grado di severità delle sanzioni
che esse possono comportare, siffatte sanzioni, ai fini dell’applicazione
della CEDU, possono essere qualificate come sanzioni penali (v., per
analogia,
sentenza
8
luglio
1999,
causa
C-199/92
P,
Hüls/Commissione, Racc. pag. I-4287, punto 150, nonché sentenze
della Corte europea dei diritti dell’uomo 8 giugno 1976, Engel e altri c.
Paesi Bassi, serie A n. 22, par. 82; 21 febbraio 1984, Öztürk c.
Germania, serie A n. 73, par. 53, e 25 agosto 1987, Lutz c. Germania,
serie A n. 123, par. 54).
43. Secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo,
ogni sistema giuridico contempla presunzioni di fatto o di diritto e
la CEDU certamente non vi pone ostacolo in linea di principio, ma, in
materia penale, essa obbliga gli Stati contraenti a non oltrepassare al
riguardo una determinata soglia. Pertanto, il principio della presunzione
d’innocenza sancito all’art. 6, n. 2, della CEDU non si disinteressa delle
presunzioni di fatto o di diritto che si riscontrano nelle leggi penali.
Esso ordina agli Stati di contenerle in limiti ragionevoli che tengano
conto della gravità dell’offesa e che rispettino i diritti della difesa (v.
sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo 7 ottobre 1988,
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
21
Salabiaku c. Francia, serie A n. 141-A, par. 28, e 25 settembre 1992,
Pham Hoang c. Francia, serie A n. 243, par. 33).
44. Occorre considerare che il principio della presunzione d’innocenza
non osta alla presunzione prevista dall’art. 2, n. 1, della direttiva
2003/6, con la quale l’intenzione dell’autore di un abuso di
informazioni privilegiate si deduce implicitamente dagli elementi
materiali costitutivi di tale violazione, dato che questa presunzione è
confutabile e i diritti della difesa sono garantiti.
45. L’introduzione di un sistema efficiente e uniforme di prevenzione e
di sanzione degli abusi di informazioni privilegiate con il legittimo
scopo di tutelare l’integrità dei mercati finanziari ha quindi potuto
indurre il legislatore comunitario a prendere in considerazione una
definizione oggettiva degli elementi costitutivi di un abuso vietato di
informazioni privilegiate. Il fatto che l’art. 2, n. 1, della direttiva 2003/6
non preveda espressamente alcun elemento psicologico non significa
per questo che sia necessario interpretare tale disposizione nel senso
che qualunque insider primario in possesso di informazioni privilegiate
che effettua un’operazione di mercato rientra automaticamente
nell’ambito del divieto degli abusi di informazioni privilegiate.”
62. Per un più ampio panorama del diritto dell’Unione europea in ambito
azionario, vedi anche Soros c. Francia, n° 50425/06, §§ 38-41, 6 ottobre
2011.
IN DIRITTO
I. LE ECCEZIONI PRELIMINARI DEL GOVERNO
A. L’eccezione del Governo basata sulla natura abusiva del ricorso
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
22
1. L’eccezione del Governo
63. Il Governo eccepisce innanzitutto la natura a suo parere abusiva del
ricorso, facendo presente che alcune informazioni riportate dai ricorrenti
non sono vere o quantomeno necessitano di chiarimenti. Il ricorso sarebbe
stato presentato in modo da indurre la Corte in errore. Il Governo fa
riferimento in modo particolare alle seguenti circostanze:
a) i ricorrenti affermano che non vi sia stata un’udienza pubblica davanti
alla corte di appello di Torino; mentre, ai sensi dell’articolo 23 della legge
689 del 1981, tutte le udienze tenute davanti a questa giurisdizione erano
aperte al pubblico; la loro affermazione è dunque falsa.
b) l’ufficio IT della CONSOB ha allegato al suo rapporto tutti i documenti
dell’inchiesta e quindi anche le difese presentate dai ricorrenti;
c) la lettera della CONSOB che accerta la violazione dell’articolo 187 ter §
1 del decreto legislativo n° 58 del 1998 non era firmata dal presidente della
CONSOB, ma dal capo della divisione mercati e consulenza economica e
dal direttore generale delle attività istituzionali della CONSOB; inoltre, il
presidente della CONSOB non ha avuto alcun ruolo nella fase che ha
preceduto la decisione sull’applicazione delle sanzioni;
d) un termine di trenta giorni è stato concesso ai ricorrenti per presentare
eventuali osservazioni alla nota complementare dell’ufficio IT del 19
ottobre 2006, e i ricorrenti hanno presentato dette osservazioni il 24
novembre 2006 senza lamentare il tempo limitato di cui disponevano;
e) i ricorrenti non hanno mai richiesto la citazione e l’esame di testimoni;
f) davanti alla CONSOB, il Sig. Grande Stevens è stato accusato di aver
partecipato alla decisione che ha condotto alla redazione del comunicato
stampa; l’indicazione del suo incarico come direttore di Exor serviva
soltanto per indicare che faceva parte del top management della società e
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
23
che quindi il suo comportamento poteva essere imputato a tale qualifica; la
corte di appello di Torino non avrebbe trasformato l’accusa nei suoi
confronti;
g) i ricorrenti non sono stati condannati per un’omissione.
64. Secondo l’opinione del Governo, facendo uso di tali imprecisioni i
ricorrenti hanno provato a dare l’impressione sbagliata che la decisione
della CONSOB fosse stata adottata in segreto e senza rispettare i
procedimenti legali e i diritti della difesa.
2. La replica dei ricorrenti
65. I ricorrenti contestano le tesi del Governo e fanno notare che gli
elementi di fatto sui quali riposano i motivi di ricorso fondati sull’articolo 6
della Convenzione fanno riferimento a circostanze specifiche che hanno
influito sull’andamento del procedimento contenzioso, fatto che è collegato
al merito della causa.
3. La valutazione della Corte
66. La Corte fa notare che ai sensi dell’articolo 47 § 6 del suo regolamento,
i ricorrenti hanno il dovere di informarla in merito a qualsiasi fatto
pertinente per l’esame del loro ricorso. La Corte ribadisce che un ricorso
può essere respinto come abusivo se è stato deliberatamente fondato su fatti
falsi (Řehàk c. Repubblica ceca (dic.), n° 67208/01, 18 maggio 2004, e
Keretchashvili c. Giorgia (dic.), n° 5667/02, 2 maggio 2006) o se il
ricorrente ha passato sotto silenzio informazioni essenziali riguardanti i fatti
della causa ai fini di indurre la Corte in errore (vedi, tra altri, Hüttner c.
Germania (déc.), N° 23130/04, 19 giugno 2006, e Basileo e altri c. Italia
(dic.), n° 11303/02, 23 agosto 2011).
67. La Corte ha già affermato, inoltre, che “qualsiasi comportamento del
ricorrente palesemente contrario alla vocazione del diritto di ricorso e che
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
24
ostacola il buon funzionamento della Corte o lo svolgimento adeguato della
procedura davanti alla Corte, può [in principio] essere qualificato come
abusivo” (Miroļubovs e altri c. Lettonia, no 798/05, § 65, 15 settembre
2009); la nozione di abuso, ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della
Convenzione, è da intendersi nel suo senso comune ritenuto dalla teoria
generale del diritto – ossia il fatto, per il titolare di un diritto, di esercitarlo
oltre le sue finalità in una modalità lesiva (Miroļubovs e altri, già citato, §
62 ;Petrović c. Serbia (dic.), nos 56551/11 et dieci altri, 18 ottobre 2011).
68. Nella fattispecie, il Governo accusa i ricorrenti di aver omesso di
specificare chiaramente alcuni fatti pertinenti per l’esame della loro causa
(elencati al paragrafo 63 b) – g) sopra) e di aver falsamente sostenuto che
non vi fosse stata un’udienza pubblica davanti alla corte di appello di Torino
(paragrafo 63 a) sopra).
69. La Corte osserva innanzitutto che quest’ultima circostanza è un punto di
fatto controverso tra le parti e che i ricorrenti hanno prodotto documenti per
sostenere la loro affermazione secondo la quale l’udienza in questione si è
tenuta in camera di consiglio (paragrafo 142 sotto). Per quanto riguarda
invece gli altri fatti elencati dal Governo, la Corte considera che si tratti
essenzialmente di elementi che possono essere utilizzati nel dibattito sul
merito dei i motivi di ricorso dei ricorrenti, che il Governo avrà la
possibilità di sviluppare nelle sue osservazioni. Date le circostanze, la Corte
non può concludere che l’omissione, da parte dei ricorrenti, di indicare
esplicitamente questi elementi renda abusivo il ricorso o che esso sia
deliberatamente fondato su fatti falsi.
70. Di conseguenza l’eccezione del Governo basata sulla natura abusiva del
ricorso deve essere respinta.
B. L’eccezione del Governo basata sull’assenza di pregiudizio notevole
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
25
1. L’eccezione del Governo
71. Il Governo eccepisce anche l’irricevibilità del ricorso in quanto i
ricorrenti non avrebbero subito un pregiudizio notevole ai sensi dell’articolo
35 § 3 b) della Convenzione. I motivi di ricorso dei ricorrenti non
riguarderebbero una effettiva violazione dei loro interessi protetti dalla
Convenzione, ma semplicemente questioni teoriche senza alcun rapporto
con il pregiudizio effettivamente subito. Questo fatto sarebbe stato
giustamente notato dalla Corte di cassazione, e i ricorrenti avrebbero avuto
la possibilità di presentare tutte le difese che ritenevano necessarie.
2. La replica dei ricorrenti
72. I ricorrenti contestano le tesi del Governo e fanno notare che al termine
del procedimento contenzioso sono stati condannati al pagamento di ingenti
somme di denaro e che sono stati sottoposti a sanzioni che colpiscono il loro
onore e la loro reputazione. Per quanto riguarda il carattere presumibilmente
troppo generico dei loro motivi di ricorso, sottolineano che la Corte di
cassazione, nelle sue sentenze molto elaborate, ha presentato risposte
circostanziate a pretese specifiche.
3.La valutazione della Corte
73. Secondo la giurisprudenza della Corte, l’elemento principale per il
criterio di ricevibilità previsto dall’articolo 35 § 3 b) della Convenzione
consiste nel sapere se il ricorrente non ha subito alcun “pregiudizio
notevole” (Adrian Mihai Ionescu c. Romania (dic.), no 36659/04, § 32, 1
giugno 2010). La nozione di “pregiudizio notevole”, basata sul principio de
minimis non curat praetor, fa riferimento all’idea che la violazione di un
diritto deve raggiungere una soglia minima di gravità per giustificare
l’esame da parte di una giurisdizione internazionale. La valutazione di detta
soglia è, per sua natura, soggettiva e dipende dalle circostanze della causa
(Korolev c. Russia (déc.), no 25551/05, 1 luglio 2010). Questa valutazione
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
26
deve tener conto della percezione soggettiva del ricorrente, nonché
dell’importanza della controversia. La valutazione utilizzerà quindi criteri
quali l’impatto economico della controversia o l’importanza della causa per
il ricorrente (Adrian Mihai Ionescu, già citato, § 34).
74. La Corte osserva innanzitutto che la causa presenta un impatto
finanziario notevole. I ricorrenti sono stati condannati dalla CONSOB e
dalla corte d’appello di Torino al pagamento di sanzioni che vanno da 500
000 a 3 000 000 EUR (paragrafi 25 e 30 sopra) e i Sigg. Gabetti e Grande
Stevens rischiano di incorrere, davanti alle giurisdizioni penali, in sanzioni
che prevedono una misura privativa della libertà e un’ammenda da 20 000 a
5 000 000 EUR (paragrafo 33 sopra). Inoltre, l’importanza soggettiva della
questione è evidente per i Sigg. Gabetti, Grande Stevens e Marrone (vedi, a
contrario, Shefer c. Russia (déc.), no 45175/04, 13 marzo 2012). Questi
ultimi sono stati effettivamente colpiti da un’interdizione di amministrare,
di dirigere o di controllare società quotate in borsa per un periodo di,
rispettivamente, sei, quattro e due mesi (paragrafi 26 e 31 sopra), fatto che
potrebbe essere considerato come compromettente per la loro reputazione
professionale (vedi, mutas mutandis, Eon c. Francia, no 26118/10, § 34, 14
marzo 2013).
75. Di conseguenza, la Corte stima che la prima condizione dell’articolo 35
§ 3 b) della Convenzione, riguardate l’assenza di pregiudizio notevole per i
ricorrenti, non è stata adempita e quindi l’eccezione del Governo deve
essere respinta.
76. Ad abundantiam, la Corte specifica che il proseguimento dell’esame
della causa si impone anche per rispetto dei diritti dell’uomo (vedi, mutas
mutandis, Nicoleta Gheorghe c. Romania, no 23470/05, § 24, 3 aprile 2012,
ed Eon, già citato, § 35). In questo senso, la Corte sottolinea che il ricorso
solleva soprattutto la questione della natura e dell’equità della procedura
davanti alla CONSOB e la possibilità di iniziare una causa penale per fatti
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
27
già sanzionati da quest’ultima. Si tratta della prima causa di questo tipo che
la Corte è chiamata ad esaminare per quanto riguarda l’Italia e una decisione
della Corte su questo principio rappresenterebbe una guida per le
giurisdizioni nazionali.
C. L’eccezione del Governo basata sul mancato esperimento delle vie
di ricorso interne
1. L’eccezione del Governo
77. Il Governo eccepisce il mancato esperimento delle vie di ricorso interne
e osserva che nel loro ricorso in cassazione contro le sentenze della corte di
appello di Torino del 23 gennaio 2008, i Sigg. Grande Stevens, Marrone e
Gabetti non hanno invocato la violazione del principio ne bis in idem.
Inoltre, alcuna decisione definitiva non è stata adottata per quanto riguarda
l’inflizione delle sanzioni penali previste dall’articolo 185 del decreto
legislativo n° 58 del 1998, il procedimento essendo ancora in corso in
cassazione. Davanti alla Corte di Cassazione italiana, i Sigg. Gabetti e
Grande Stevens hanno invocato il principio ne bis in idem e richiesto di
sollevare una questione relativa alla costituzionalità per quanto riguarda
l’articolo 649 CPP. Quando una tale questione è sollevata, la pratica è
trasmessa alla Corte costituzionale che può dichiarare le disposizioni in
causa incostituzionali e annullarle di conseguenza.
78. Inoltre, i ricorrenti non hanno richiesto alla corte di appello di Torino
un’udienza pubblica e non hanno fatto valere davanti alla Corte di
cassazione la pretesa assenza di tale udienza. Non hanno neanche presentato
a livello interno i loro motivi di ricorso riguardanti la pretesa assenza di
imparzialità del presidente della CONSOB. Le pretese riguardanti l’iniquità
della procedura davanti alla CONSOB sono state presentate per la prima
volta in cassazione, e quindi tardivamente.
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
28
2. La replica dei ricorrenti
79. Nella misura in cui il Governo lamenta che le loro pretese non fossero
state presentate alla Corte di cassazione rispettando le condizioni previste
dalla legge, i ricorrenti osservano innanzitutto che l’alta giurisdizione
italiana ha esaminato i loro i motivi di ricorso nel merito e non li ha
dichiarati irricevibili. I motivi di ricorso presentati a Strasburgo sono
essenzialmente quelli contenuti nel terzo e nel quarto motivo del loro
ricorso, dove è stato invocato l’articolo 111 della Costituzione (diritto ad un
processo equo) e dove è stato indicato che il procedimento davanti alla
CONSOB non era contraddittorio e che gli imputati non erano stati sentiti
personalmente.
80. Per quanto riguarda il fatto che il procedimento penale interno è ancora
in corso, i ricorrenti ricordano che l’articolo 4 del Protocollo n° 7 non vieta
soltanto la “doppia condanna”, ma anche “i casi di doppio processo”. I
ricorrenti invece hanno presentato davanti alle giurisdizioni interne la
questione del ne bis in idem alla luce della giurisprudenza di Strasburgo.
Infine, nel sistema giuridico italiano, gli individui non godono di un accesso
diretto alla Corte costituzionale per invitarla a verificare la costituzionalità
di una legge: il solo ad avere la facoltà di sottoporre la questione alla Corte
costituzionale è il giudice davanti al quale il caso pende nel merito.
3. La valutazione della Corte
81. La Corte ribadisce che ai sensi dell’articolo 35 § 1 della Convenzione le
cause possono essere sottoposte alla Corte soltanto dopo l’esperimento delle
vie di ricorso interne. La finalità di tale regola è di offrire agli Stati
contrattanti l’occasione di prevenire o sistemare le violazioni lamentate nei
loro confronti prima che la causa sia sottoposta alla Corte (vedi, tra altri,
Mifsud c. Francia (déc.) [GC], no 57220/00, § 15, CEDH 2002-VIII, e
Simons c. Belgio (déc.), no 71407/10, § 23, 28 agosto 2012).
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
29
82. I principi generali relativi alla regola dell’esperimento delle vie di
ricorso interne si trovano esposti nella sentenza Sejdovic c. Italia ([GC],no
56581/00, §§ 43-46, CEDH 2006-II). La Corte ribadisce che l’articolo 35 §
1 della Convenzione prescrive solo l’esperimento dei ricorsi relativi
contemporaneamente alle violazioni incriminate, accessibili ed adeguati. Un
ricorso è effettivo quando è accessibile sia in teoria che in pratica all’epoca
dei fatti, cioè quando è accessibile, suscettibile di offrire al ricorrente la
riparazione del pregiudizio e di presentare prospettive ragionevoli di
successo. In questo senso, il semplice fatto di avere dei dubbi sulle
prospettive di successo di un ricorso che non è in modo del tutto evidente
destinato al fallimento non costituisce una ragione valida per giustificare il
mancato esperimento dei ricorsi interni (Brusco c. Italia (déc.), no
69789/01,CEDH 2001-IX ; Sardinas Albo c. Italia (déc.), no 56271/00,
CEDH 2004-I ; e Alberto Eugénio da Conceicao c. Portogallo (déc.), no
74044/11, 29 maggio 2012).
83. Nella fattispecie, nella loro opposizione davanti alla corte di appello di
Torino, i ricorrenti hanno eccepito la violazione, da parte della CONSOB,
del principio del contraddittorio (paragrafo 28 sopra). Hanno reiterato le
loro accuse in questo senso davanti alla Corte di cassazione, invocando i
principi del processo equo, garantito dall’articolo 111 della Costituzione
(paragrafo 37 sopra). Hanno dunque esaurito, in questo senso, le vie di
ricorso disponibili nella giurisdizione italiana. Per quanto riguarda le
questioni relative ai poteri del presidente della CONSOB e all’assenza di
un’udienza pubblica alla corte di appello di Torino, si trattava, secondo i
ricorrenti, dell’applicazione di regole riportate nelle disposizioni legislative
interne. Inoltre, qualsiasi eccezione dei ricorrenti in questo senso sarebbe
stata sprovvista di ogni prospettiva di successo, tenendo conto soprattutto
del fatto che la Corte di cassazione ha stimato che le disposizioni
costituzionali in materia di processo equo e di diritto alla difesa non erano
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
30
applicabili al procedimento per l’inflizione di sanzioni amministrative
(paragrafo 38 sopra).
84. La Corte sottolinea inoltre che dopo la conferma, da parte della Corte di
cassazione, della condanna inflitta dalla CONSOB, i ricorrenti hanno
invocato, nel procedimento penale, il principio ne bis in idem e hanno
eccepito, senza successo, l’incostituzionalità delle disposizioni pertinenti del
decreto legislativo n° 58 del 1998 e dell’articolo 649 del CPP, vista la loro
incompatibilità con l’articolo 4 del Protocollo n° 7 (paragrafo 42 sopra).
85. Per quanto riguarda infine la circostanza che il procedimento penale era,
alla data delle ultime informazioni ricevute dalla Corte (7 giugno 2013 –
paragrafo 52 sopra), ancora in corso in cassazione nei confronti dei Sigg.
Gabetti e Grande Stevens, basta osservare che i ricorrenti lamentavano il “di
essere stati perseguiti penalmente” per un’infrazione per la quale erano già
stati condannati con sentenza definitiva. In queste circostanze, non
possiamo considerare prematuro il loro motivo di ricorso basata sull’articolo
4 del Protocollo n° 7.
86.
Di conseguenza, l’eccezione del Governo basata sul mancato
esperimento delle vie di ricorso interne non può essere ritenuta.
II. SULLA PRESUNTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 DELLA
CONVENZIONE
87. I ricorrenti lamentano che il procedimento davanti alla CONSOB non è
stato equo e denunciano la mancanza di imparzialità e d’indipendenza di
questo organo.
I ricorrenti invocano l’articolo 6 della Convenzione che, nelle parti
pertinenti, recita:
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
31
“1. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente
[e] pubblicamente (…) da un tribunale indipendente e imparziale (…),
il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e
doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale
formulata nei suoi confronti. La sentenza deve essere resa
pubblicamente, ma l’accesso alla sala d’udienza può essere vietato alla
stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell’interesse
della morale, dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una
società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la
protezione della vita privata delle parti in causa, o, nella misura
giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze
speciali la pubblicità possa portare pregiudizio agli interessi della
giustizia.
2. Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando
la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata.
3. In particolare, ogni accusato ha diritto di:
(a) essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui
comprensibile e in modo dettagliato, della
natura e dei motivi
dell’accusa formulata a suo carico;
(b) disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua
difesa;
(c) difendersi personalmente o avere l’assistenza di un difensore di sua
scelta e, se non ha i mezzi per retribuire un difensore, poter essere
assistito gratuitamente da un avvocato d’ufficio, quando lo esigono gli
interessi della giustizia;
(d) esaminare o far esaminare i testimoni a carico e ottenere la
convocazione e l’esame dei testimoni a discarico nelle
condizioni dei testimoni a carico;
stesse
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
32
(…)”
88. Il Governo contesta la tesi dei ricorrenti.
A. Sulla ricevibilità
1. Sulla questione di sapere se l’articolo 6 della Convenzione si applica
per l’aspetto penale
a) Argomenti delle parti
i. Il Governo
89. Il Governo afferma che il procedimento davanti alla CONSOB non
riguardava una “accusa in materia penale” contro i ricorrenti. Osserva che il
reato previsto dall’articolo 187 ter del decreto legislativo n° 58 del 1998 è
chiaramente classificato come “amministrativo” sia in diritto interno, che in
diritto europeo; l’accusa può essere inflitta da un organo amministrativo al
termine di un procedimento amministrativo.
90. Per quanto riguarda la natura del reato, questo riguarda qualsiasi
comportamento, anche per semplice negligenza, suscettibile di produrre
segnali o informazioni errate per gli investitori, senza che sia necessario che
un’alterazione significativa dei mercati finanziari sia in grado di prodursi. In
questo modo gli investitori sono protetti contro qualsiasi rischio potenziale
che possa influire sulle loro scelte e di conseguenza anche contro gli
interessi diversi da quelli normalmente tutelati dal diritto penale. Infine, le
sanzioni che possono essere inflitte non colpiscono il patrimonio della
persona coinvolta e/o la sua capacità di esercitare funzioni manageriali, e
non possono in alcun modo condurre alla privazione della libertà, neanche
in caso di mancato pagamento. Le sanzioni non sono riportate nel casellario
giudiziale e colpiscono normalmente gli operatori professionali del sistema
finanziario, escludendo gli altri cittadini.
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
33
91. Inoltre, l’ammontare delle ammende sarà proporzionale alle risorse e al
potere finanziario del colpevole; nella fattispecie, si trattava di
un’operazione finanziaria atta ad ottenere il controllo di uno dei più grandi
produttori di automobili del mondo e che aveva costato oltre 500 000 000
EUR. Inoltre, l’ammenda, l’eventuale confisca dei beni utilizzati per
commettere il reato e l’interdizione di esercitare funzioni manageriali hanno
lo scopo essenzialmente di ristabilire la fiducia dei mercati e degli
investitori, colpendo gli elementi che hanno consentito di commettere il
reato amministrativo (vedi anche, su questo punto, gli obiettivi della
direttiva 2003/6/CE). Questi provvedimenti hanno lo scopo di risanare e
compensare un pregiudizio di natura finanziaria e di evitare che il colpevole
possa trarne profitto per le sue attività illecite. D’altronde, nella causa
Spector Photo Group, già citata (paragrafo 61 sopra), la CJUE ha ammesso
la coesistenza, in questo settore, delle sanzioni amministrative e penali.
ii. I ricorrenti
92. I ricorrenti considerano che le sanzioni inflitte dalla CONSOB,
nonostante classificate come “amministrative” nel diritto interno, debbano
essere considerate “penali”, nel senso autonomo che questa nozione
acquisisce nella giurisprudenza della Corte. La sentenza della CJUE nella
causa Spector Photo Group, citata dal Governo, non afferma il contrario, ma
si limita a dire che uno Stato membro ha previsto la possibilità di infliggere
una sanzione pecuniaria di natura penale, il livello di questa sanzione non
deve essere preso in considerazione per valutare il carattere effettivo,
proporzionale e dissuasivo della sanzione amministrativa. Inoltre, nella sua
sentenza del 26 febbraio 2013 nel caso C-617/10 (Åklagaren c. Hans
Åkerberg Fransson), la CJUE ha affermato i seguenti principi: a)
l’applicabilità del diritto dell’Unione implica anche l’applicabilità dei diritti
fondamentali garantiti dalla Carta; b) l’articolo 50 di quest’ultima (che
garantisce il principio ne bis in idem) implica il fatto che le misure adottate
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
34
contro un imputato rivestono un carattere penale; c) per valutare la natura
penale delle sanzioni fiscali, è necessario tener conto della classifica della
sanzione nel diritto interno, della natura del reato e della gravità della
sanzione che rischia di subire l’interessato.
93. Nella fattispecie, la gravità delle sanzioni era evidente, il massimo
previsto essendo pari a 5 000 000 EUR. A questa sanzione principale si
aggiungono le sanzioni accessorie, quali la perdita temporanea (potendo
arrivare fino a tre anni) della capacità di occupare incarichi di
amministrazione, di direzione o di controllo di società quotate in borsa, la
sospensione temporanea (fino a tre anni) dall’ordine professionale, e la
confisca del prodotto del reato e dei beni utilizzati per commetterlo.
Facendo riferimento alla giurisprudenza della Corte in materia (vedi in
particolare Dubus S.A.c. Francia, no 5242/04, 11 giugno 2009 ; Messier c.
Francia, no 25041/07, 30 giugno 2001 ; e Menarini Diagnostics S.r.l. c.
Italia, no 43509/08, 27 settembre 2011), i ricorrenti concludono che
l’articolo 6 trova applicazione nella fattispecie per l’aspetto penale.
b) La valutazione della Corte
94. La Corte ribadisce la sua giurisprudenza costante secondo la quale per
determinare l’esistenza di una “accusa in materia penale”, è necessario
tenere in considerazione tre criteri: la qualifica giuridica della misura di cui
si discute nel diritto interno, la natura stessa di quest’ultima, e la natura e la
gravità della “sanzione” (Engel e altri c. Paesi Bassi, 8 giugno 1976, § 82,
série A no 22). Questi criteri sono inoltre alternativi e non cumulativi:
affinché si applichi l’articolo 6 § 1 per le parole “accusa in materia penale”,
è sufficiente che il reato in causa sia, per natura, “penale” per la
Convenzione, o che abbia esposto l’interessato ad una sanzione che, per sua
natura e gravità, è collegata in generale alla “materia penale”. Questo non
impedisce la scelta di un approccio cumulativo qualora l’analisi separata di
ciascun criterio non permettesse di trarre una conclusione chiara in merito
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
35
all’esistenza di una “accusa in materia pernale” (Jussila c. Finlandia [GC],
no 73053/01, §§ 30 e 31, CEDH 2006-XIII, e Zaicevs c. Lettonia, no
65022/01, § 31, CEDH 2007-IX (estratti)).
95. Nella fattispecie, la Corte constata innanzitutto che i manipolazioni del
mercato imputate ai ricorrenti non costituiscono un reato penale nel diritto
italiano. Questi comportamenti vi sono in effetti sanzionati tramite una
sanzione classificata come “amministrativa” dall’articolo 187 ter § 1 del
decreto legislativo n° 58 del 1998 (paragrafo 20 sopra). Ciò nonostante,
questo non è stato decisivo ai fini dell’applicabilità dell’articolo 6 della
Convenzione per l’aspetto penale, in quanto le indicazioni fornite dal diritto
interno hanno soltanto un valore relativo (Öztürk c. Germania, 21 febbraio
1984, § 52, serie A nº 73, e Menarini Diagnostics S.r.l., già citato, § 39).
96. Per quanto riguarda la natura del reato, appare che le disposizioni la cui
violazione è stata imputata ai ricorrenti erano atte a garantire l’integrità dei
mercati finanziari e a mantenere la fiducia del pubblico nella sicurezza delle
transazioni. La Corte ribadisce che la CONSOB, autorità amministrativa
indipendente, ha lo scopo di garantire la protezione degli investitori e
l’efficacia, la trasparenza e lo sviluppo dei mercati azionari (paragrafo 9
sopra). Si tratta qui di interessi generali della società normalmente tutelati
dal diritto penale (vedi, mutas mutandis, Menarini Diagnostics S.r.l., già
citato, § 40 ; vedi anche Société Stenuit c. Francia, rapporto della
Commissione europea dei diritti dell’uomo del 30 maggio 1991, § 62, serie
A no 232-A). Inoltre, la Corte ritiene che le ammende inflitte avevano lo
scopo di punire essenzialmente per prevenire la recidiva. Erano dunque
fondate su normative che perseguivano uno scopo allo stesso tempo
preventivo, cioè dissuadere gli interessati a ricominciare, e repressivo, in
quanto sanzionavano un’irregolarità (vedi, mutas mutandis, Jussila, già
citato, § 38). Tali sanzioni non avevano quindi soltanto lo scopo di risanare
un pregiudizio di natura finanziaria, come pretende il Governo (paragrafo
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
36
91 sopra). In questo senso, conviene notare che le sanzioni erano inflitte
dalla CONSOB in funzione della gravità del comportamento incriminato e
non del pregiudizio provocato agli investitori.
97. Per quanto riguarda la natura e la gravità della sanzione “suscettibile di
essere inflitta” ai ricorrenti (Ezeh et Connors c. Royaume-Uni [GC], nos
39665/98 et 40086/98, § 120, CEDH 2003-X), la Corte nota insieme al
Governo (paragrafo 90 sopra) che le ammende in causa non potevano essere
sostituite da una misura privativa della libertà in caso di mancato pagamento
(vedi, a contrario, Anghel c. Romania, nº 28183/03, § 52, 4 ottobre 2007).
Tuttavia, l’ammenda che poteva essere inflitta dalla CONSOB poteva
arrivare a 5 000 000 EUR (paragrafo 20 sopra), questa soglia ordinaria
potendo essere in alcune circostanze triplicata o portata a dieci volte il
valore del prodotto o del profitto conseguito dal comportamento illecito
(pragrafo 53 sopra). L’inflizione delle sanzioni amministrative pecuniarie di
cui sopra comporta anche la perdita temporanea della loro onorabilità per i
rappresentanti delle società coinvolte, e, se queste ultime sono quotate in
borsa, i loro rappresentanti sono colpiti da un’incapacità temporanea di
amministrare, di dirigere o di controllare società quotate in borsa per una
durata da due mesi a tre anni. La CONSOB può anche interdire alle società
quotate, alle società di gestione e alle società di revisione di avvalersi della
collaborazione dell’autore dell’infrazione, per una durata massima di tre
anni e richiedere agli ordini professionali la sospensione temporanea
dell’interessato dall’esercizio della sua attività professionale (paragrafo 54
sopra). Infine, l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie
comporta anche la confisca del prodotto o del profitto dell'illecito e dei beni
utilizzati per commetterlo (paragrafo 56 sopra).
98. E’ vero che nella fattispecie, le sanzioni non sono state applicate con
l’ammontare massimo, in quanto la corte di appello di Torino ha ridotto
alcune ammende inflitte dalla CONSOB (paragrafo 30 sopra), e nessuna
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
37
confisca non è stata ordinata. Tuttavia, l’aspetto penale di una istanza è
subordinato alla gravità della sanzione che può essere inflitta a priori alla
persona interessata (Engel e altri, già citato, § 82), e non alla gravitò della
sanzione inflitta alla fine (Dubus S.A., già citato, § 37). Inoltre, nella
fattispecie, i ricorrenti sono stati sanzionati alla fine con ammende comprese
tra 500 000 e 3 000 000 EUR, e i Sigg. Gabetti, Grande Stevens e Marrone
sono stati colpiti
da un’interdizione di amministrare, di dirigere o di
controllare società quotate in borsa, per un durata da due a quattro mesi
(paragrafi 25-26 e 30-31 sopra). Quest’ultima sanzione era di natura a
colpire la reputazione delle persone coinvolte (vedi, mutatis mutandis,
Dubus S.A., loc. ult. cit.), e le ammende erano, per il loro ammontare, di una
gravità notevole, comportando per gli interessati conseguenze patrimoniali
significative.
99. Alla luce di quanto detto prima e tenendo conto dell’ammontare delle
ammende inflitte, nonché dell’ammontare delle sanzioni a cui i ricorrenti
andavano incontro, la Corte stima che le sanzioni in causa sono
caratteristiche, per la loro natura, alla materia penale (vedi mutatis
mutandis, Öztürk, già citato, § 54, e, a contrario, Inocêncio c. Portogallo
(déc.), no 43862/98, CEDH 2001-I).
100. Per il resto, la Corte ribadisce che per quanto riguarda alcune autorità
francesi competenti in diritto economico e finanziario e che dispongono di
poteri di sanzione, ritiene che l’articolo 6, per l’aspetto penale, si applica
nello specifico per la causa della Corte di disciplina del bilancio e
finanziaria (Guisset c. Francia, no 33933/96, § 59,CEDH 2000-IX), del
Consiglio dei mercati finaziari (Didier c. Francia (déc.), no 58188/00, 27
agosto 2002), del Consiglio della concorrenza (Lilly France S.A. c. Francia
(déc.), no 53892/00, 3 dicembre 2002), della commissione delle sanzioni
dell’Autorità dei mercati finanziari (Messier c. Francia (déc.), no 25041/07,
19 maggio 2009), e della Commissione bancaria (Dubus S.A., già citato, §
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
38
38). Vale lo stesso per l’autorità italiana per la regolarizzazione della
concorrenza e del mercato (l’AGCM – Autorità Garante della Concorrenza
e del Mercato ; vedi Menarini Diagnostics S.r.l., già citato, § 44).
101. Tenendo conto dei vari aspetti della causa, debitamente considerati, la
Corte stima che le ammende inflitte ai ricorrenti hanno un carattere penale e
di conseguenza l’articolo 6 § 1 trova applicazione, nell’occorrenza, sotto il
suo aspetto penale (vedi mutatis mutandis, Menarini Diagnostics S.r.l., loc.
ult. cit.).
2. Altri motivi di irricevibilità
102. Il Governo stima che il ricorso debba essere dichiarato irricevibile per
mancanza palese di fondatezza, in quanto essenzialmente di competenza del
quarto grado di giudizio, dato che le questioni relative alla qualifica
giuridica dei fatti imputati ai ricorrenti e l’esistenza degli elementi
costitutivi dei reati rientrano nelle competenze esclusive delle giurisdizioni
nazionali.
103. In ogni caso, le sanzioni inflitte dalla CONSOB sono di natura
amministrativa, la CONSOB è un organo indipendente e imparziale che
giudica seguendo un procedimento rispettoso nei confronti della difesa e le
sue decisioni possono essere impugnate davanti agli organi giurisdizionali
(corte d’appello e Corte di cassazione).
104. I ricorrenti ritengono che le loro pretese non possono essere
considerate di competenza del “quarto grado”. In effetti, essi richiedono il
rispetto delle garanzie previste dall’articolo 6 della Convenzione – fatto che
rientra nella competenza contenziosa della Corte e ha avuto ripercussioni
sulla legalità delle sanzioni che sono state inflitte.
105. La Corte ritiene che questa pretesa non sia palesemente infondata ai
sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione. La Corte rileva anche il fatto
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
39
che non è presente nessun altro motivo di irricevibilità. Conviene dunque di
dichiarare il ricorso ricevibile.
B. Sul merito
1. Sulla questione di sapere se il procedimento davanti alla
CONSOB è stato equo
a) Argomenti delle parti
i. I ricorrenti
106. I ricorrenti lamentano il fatto che il procedimento davanti alla
CONSOB era essenzialmente scritto, che nessun’udienza pubblica è stata
prevista e che i diritti della difesa non sono stati rispettati. La Corte di
cassazione stessa ha riconosciuto che le garanzie del processo equo e della
protezione dei diritti della difesa (articoli 111 e 24 della Costituzione) non si
applicano al procedimento amministrativo (paragrafo 38 sopra).
107. I ricorrenti sostengono che la decisioni della CONSOB n° 12697 del 2
agosto 2000 e 15086 del 21 giugno 2005 hanno de facto eliminato il
principio del contraddittorio, enunciato invece all’articolo 187 septies del
decreto legislativo n° 58 del 1998 (paragrafo 57 sopra). Queste decisioni
permettono, come nella fattispecie, di non trasmettere agli imputati le
conclusioni della direzione, che costituiscono in seguito la base della
decisione della commissione – la quale, da parte sua, non riceve le memorie
degli imputati riguardanti la fase istruttoria. Inoltre, la commissione decide
senza sentire gli imputati e senza un’udienza pubblica, fatto che nella
fattispecie ha impedito i ricorrenti di dialogare direttamente con la
commissione e di difendersi dinanzi ad essa in base alle conclusioni della
direzione. Dette conclusioni costituivano un elemento importante e la loro
conoscenza avrebbe permesso ai ricorrenti di identificare le incoerenze
nell’indagine o di accedere a informazioni utili per la loro difesa. Un’unica
riunione interna è stata tenuta dalla commissione, durante la quale non è
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
40
stato sentito nessuno tranne un funzionario dell’ufficio IT (ossia l’organo
incaricato dell’”accusa”). I ricorrenti non vi erano stati citati e non hanno
potuto ottenere neanche una copia del verbale della riunione.
108. I ricorrenti affermano inoltre che non sono stati avvisati
tempestivamente sui nuovi documenti su cui si fondava la nota
complementare dell’ufficio IT (paragrafo 23 sopra) e non hanno avuto il
tempo e le facilità necessarie per difendersi rispetto a questa nota. Questi
documenti gli sarebbero stati comunicati tardivamente.
109. I ricorrenti ritengono che il procedimento davanti alla CONSOB non
assicuri una vera separazione tra la fase istruttoria e la fase decisionale, fatto
che secondo loro costituisce una violazione del principio di uguaglianza
delle armi. La fase istruttoria è in effetti sottoposta al potere direzionale del
presidente della CONSOB, con competenze per un numero importante di
atti di istruzione, compresa la formulazione del capo o dei capi di accusa.
110. Nella fattispecie, secondo i ricorrenti, l’attività d’istruzione è stata
unilaterale e fondata su deposizioni di testimoni realizzate nell’assenza degli
imputati o dei loro difensori, che non hanno avuto modo di presentare le
loro domande ai testimoni o di assistere al compimento dei vari atti di
istruzione. I ricorrenti hanno potuto presentare le rispettive difese solo per
iscritto.
ii. Il Governo
111. Il Governo sostiene che l’ufficio IT della CONSOB ha allegato al suo
rapporto tutti i documenti dell’indagine e dunque anche le difese presentate
dai ricorrenti. Sottolinea anche che un termine di trenta giorni è stato
concesso ai ricorrenti per presentare eventuali osservazioni alla nota
complementare dell’ufficio IT del 19 ottobre 2006, e i ricorrenti hanno
presentato dette osservazioni il 24 novembre 2006 senza lamentare il tempo
limitato di cui disponevano. Gli interessati non hanno mai richiesto la
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
41
citazione e l’esame di testimoni, la cui presenza è normalmente inutile nel
procedimento davanti la CONSOB, basata sull’acquisizione di informazioni
e di dati a carattere tecnico. La natura tecnica dei reati giustifica la scelta di
un procedimento essenzialmente scritto.
112. Tenendo conto della natura “amministrativa” del procedimento davanti
alla CONSOB, il suo carattere equo non può essere messo in causa, secondo
l’opinione del Governo, per il solo fatto che detto procedimento si è svolto
completamente per iscritto. Dato che i procedimenti amministrativi non
sono citati nell’articolo 6 della Convenzione, i principi del processo equo
non sarebbero da applicare se non mutas mutandis. Il procedimento
incriminato è stato in realtà ispirato dalla cura per garantire il rispetto dei
diritti della difesa, del principio del contraddittorio e del principio della
corrispondenza tra il fatto addebitato e il fatto sanzionato. I ricorrenti hanno
avuto accesso alla pratica d’indagine e vi è stata separazione tra l’indagine e
la decisione – la prima fase è stata di competenza dell’ufficio IT e della
direzione delle sanzioni amministrative, mentre la seconda è stata affidata
alla commissione della CONSOB.
113. In questo senso, il Governo sottolinea che la lettera che accerta la
violazione dell’articolo 187 ter § 1 del decreto legislativo n° 58 del 1998
non era firmata dal presidente della CONSOB, ma dal capo della divisione
mercati e consulenza economica e dal direttore generale delle attività
istituzionali della CONSOB.
114. Una volta aperto il procedimento per l’infrazione, le persone coinvolte
possono esercitare il loro diritto alla difesa presentando commenti scritti o
richiedendo di essere sentiti, prima dall’ufficio competente, poi dalla
direzione delle sanzioni amministrative. In questo modo, come nella
fattispecie, gli interessati hanno la possibilità di formulare osservazioni
sugli elementi costitutivi del reato e su ogni altra circostanza pertinente per
l’esame della loro causa. L’indagine si articola in due tappe (una davanti
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
42
all’ufficio IT e l’altra davanti alla direzione), e il rapporto dell’ufficio è
trasmesso non solo alla direzione, ma anche agli accusati, che possono
quindi difendersi in riferimento al contenuto di detto rapporto davanti alla
direzione. Il fatto che le conclusioni di quest’ultima non siano state
trasmesse agli imputati e che essi non siano stati sentiti personalmente dalla
commissione non comprometterebbe in alcun modo il carattere equo del
procedimento.
115. Il Governo fa notare che anche nei procedimenti giudiziari, l’accusato
non ha la facoltà di discutere la sanzione durante la fase decisionale. Inoltre,
il quantum massimo di queste sanzioni era fissato dalla legge, che indicava
anche i criteri da seguire per assicurare la loro proporzionalità alla gravità
dei fatti commessi. Infine, come ammesso dalle sezioni riunite della Corte
di cassazione nella sentenza n° 20935 del 2009, l’articolo 187 septies del
decreto legislativo n° 58 del 1998 (relativo ai diritti della difesa nell’ambito
di un procedimento davanti alla CONSOB) è stato introdotto nel sistema
giuridico italiano proprio ai fini di garantire il rispetto delle esigenze della
Convenzione.
b) La valutazione della Corte
116. La Corte è pronta ad ammettere che, come sottolineato dal Governo, il
procedimento davanti alla CONSOB ha consentito agli accusati di
presentare gli elementi per la loro difesa. In effetti, l’accusa formulata
dall’ufficio IT è stata comunicata ai ricorrenti, che sono stati invitati a
difendersi (paragrafi 20 e 21 sopra). Sono stati portati a conoscenza dei
ricorrenti anche il rapporto e la nota complementare dell’ufficio IT ed è
stato disposto un termine di trenta giorni per presentare eventuali obiezioni
in merito a quest’ultimo documento (pragrafo 23 sopra). Questo termine
non appare chiaramente insufficiente e i ricorrenti non hanno richiesto una
proroga.
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
43
117. Ciò nonostante, come ammesso dal Governo (paragrafo 114 sopra), il
rapporto contenente le conclusioni della direzione, che in seguito sarebbe
servito come base per la decisione della commissione, non è stato
comunicato ai ricorrenti, che dunque non hanno avuto la possibilità di
difendersi rispetto al documento sottoposto nella fase finale dagli organi
d’inchiesta della CONSOB all’organo incaricato di decidere sulla
fondatezza delle accuse. Inoltre, gli interessati non hanno avuto la
possibilità di esaminare o far esaminare le persone eventualmente sentite
dall’ufficio IT.
118. La Corte ha rilevato anche il fatto che il procedimento davanti alla
CONSOB era essenzialmente in forma scritta e che i ricorrenti non hanno
avuto la possibilità di partecipare all’unica riunione tenuta dalla
commissione, dalla quale sono stati esclusi. Questo non è contestato dal
Governo. In questo senso, la Corte ricorda che l’esistenza di un’udienza
pubblica costituisce il principio fondamentale sancito dall’articolo 6 § 1
(Jussila, già citato, § 40).
119. Pertanto, è vero che l’obbligo di tenere un’udienza pubblica non è
assoluto (Håkansson e Sturesson c. Svezia, 21 febbraio 1990, § 66, serie A
no 171-A) e che l’articolo 6 non richiede necessariamente la tenuta di
un’udienza in tutti i procedimenti. E’ il caso soprattutto di cause che non
sollevano questioni di credibilità o che non suscitano controversie sui fatti
rendendo necessario un confronto orale, e per le quali i tribunali possono
pronunciarsi in modo equo e ragionevole sulla base delle conclusioni scritte
delle parti e del resto del dossier (vedi ad esempio Döry c. Svezia, no
28394/95, § 37, 12 novembre 2002 ; Pursiheimo c. Finlandia (déc.), no
57795/00, 25 novembre 2003 ; Jussila, già citato, § 41 ; e Suhadolc c.
Slovenia (déc.), no 57655/08, 17 maggio 2011, in cui la Corte ha ritenuto
che l’assenza dell’udienza orale e pubblica non creava nessuna apparenza di
violazione dell’articolo 6 della Convenzione in una causa riguardante il
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
44
superamento del limite di velocità e la guida in stato di ebrezza in cui gli
elementi a carico dell’accusato erano stati ottenuti grazie ad apparecchi
tecnici).
120. Anche se le esigenze del processo equo non sono più ristrette in
materia penale, la Corte non esclude che, nell’ambio di certi procedimenti
penali, i tribunali a cui è stata sottoposta la causa possano, a seconda della
natura delle domande che si fanno, decidere di non tenere un’udienza. Se
bisogna tener presente che i procedimenti penali, che hanno come oggetto
l’identificazione della responsabilità penale e il rilascio di provvedimenti a
carattere repressivo e dissuasivo, presentano una certa gravità, è dato per
scontato che alcuni di questi procedimenti non comportano nessun carattere
infamante per gli imputati e che le “accuse in materia penale” non hanno
tutte lo stesso peso (Jussila, già citato, § 43).
121. Conviene anche sottolineare che l’importanza notevole che questo
procedimento può avere per la situazione personale di un ricorrente non è
decisiva per la questione di sapere se un’udienza è necessaria (Pirinen c.
Finlandia (déc.), no 32447/02, 16 maggio 2006). Ciò nonostante, il rigetto
di una domanda che tende alla tenuta di un’udienza non può essere
giustificata se non molto raramente (Miller c. Svezia , no 55853/00, § 29, 8
febbraio 2005, e Jussila, già citato, § 42).
122. Per quanto riguarda la presente causa, agli occhi della Corte,
un’udienza pubblica, orale e accessibile ai ricorrenti era necessaria. In
questo senso, la Corte osserva che è presente una controversia sui fatti, in
particolare per quanto riguarda lo stato di avanzamento delle negoziazioni
con Merrill Lynch International Ltd, e che, aldilà della loro gravità da un
punto di vista finanziario, le sanzioni in cui rischiavano di incorrere alcuni
ricorrenti presentavano, come notato prima (paragrafi 74, 97 e 98 sopra) un
carattere infamante, essendo suscettibili di pregiudicare l’onorabilità
professionale e la reputazione delle persone coinvolte.
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
45
123. Alla luce di quanto detto prima, la Corte considera che il procedimento
davanti alla CONSOB non soddisfa pienamente le esigenze dell’articolo 6
della Convenzione, in particolare per quanto riguarda il principio
dell’uguaglianza delle armi tra accusa e difesa e la tenuta di un’udienza
pubblica che permetta un confronto orale.
2. Sulla questione se la CONSOB era un tribunale indipendente e
imparziale
a) Argomenti delle parti
i) I ricorrenti
124. I ricorrenti lamentano il fatto che, data la struttura e i poteri del suo
predisente, la CONSOB non era un “tribunale indipendente e imparziale” ai
sensi dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
125. I ricorrenti sottolineano che la fase istruttoria della loro pratica è stata
condotta dall’ufficio IT e dalla direzione delle sanzioni amministrative.
Mentre al presidente della CONSOB spetta la supervisione di questa fase
prima di presidiare la commissione vera e propria, ossia l’organo incaricato
di pronunciare le sanzioni. Non ci sarebbe quindi separazione chiara tra la
fase di indagine e la fase decisionale e questa posizione dualista del
presidente farebbe sorgere dei dubbi obiettivamente giustificati sulla sua
imparzialità. Sarebbe lo stesso anche per gli altri membri della
commissione, che avrebbero conoscenza dei fatti soltanto tramite il
presidente e sulla base dell’unica versione presentata dalla direzione, alla
quale non sarebbero state aggiunte le difese presentate dagli imputati.
Infine, gli organi incaricati dell’indagine non sarebbero indipendenti rispetto
all’alta gerarchia della CONSOB.
126. In virtù della risoluzione della CONSOB n° 15087 del 21 giugno 2005,
il presidente è stato posto al vertice della commissione: egli applica le
sanzioni, sorveglia l’indagine preliminare e autorizza l’esercizio dei poteri
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
di inchiesta.
46
Può ordinare ispezioni o altri atti d’istruzione, fatto che
impedisce di considerarlo un giudice “terzo” e imparziale.
ii. Il Governo
127. Il Governo rileva che la CONSOB è composta da un presidente e da
quattro membri, scelti tra le personalità indipendenti con competenze
specifiche e godendo di qualità morali appropriate. All’epoca dei fatti, i suoi
membri erano stati scelti per cinque anni e il loro mandato era rinnovabile
soltanto una volta. Durante il loro mandato, questi membri non potevano
esercitare nessun’altra attività professionale o commerciale né occupare altri
incarichi pubblici.
128. La CONSOB è indipendente rispetto a qualsiasi altro potere e in
particolare rispetto al potere esecutivo. Può disporre in modo autonomo del
suo budget e adottare le risoluzioni riguardanti la gli incarichi e le
condizioni di assunzione del suo personale. L’organo decisionale (la
commissione) è separata dagli organi di inchiesta (l’ufficio e la direzione).
129. Anche se è incaricata con il controllo di vari uffici e ha alcuni poteri
d’iniziativa durante l’indagine (in particolare, può autorizzare ispezioni e
richiedere la produzione di atti di istruzione, quali l’acquisizione di dati
relativi al traffico telefonico e il sequestro di beni), il presidente della
CONSOB non può mai interferire con le indagini riguardanti una data
causa, che sono condotte dall’ufficio competente e dalla direzione. L’ufficio
e la direzione invece, non hanno nessun ruolo nell’adozione della decisione
finale. Il presidente della CONSOB è responsabile della supervisione dei
criteri generali che gli uffici devono seguire nella conduzione delle indagini.
Non può intervenire nella valutazione sul merito degli elementi acquisiti né
condizionare i risultati delle indagini. La sua funzione è paragonabile a
quella di un presidente di un tribunale.
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
47
130. il potere di avviare un procedimento per reato e di formulare le accuse
appartengono esclusivamente al capo della divisione competente, che agisce
in completa indipendenza e autonomia di giudizio. Per quanto riguarda le
ispezioni, si tratta di atti di indagine che hanno lo scopo di acquisire
informazioni. Queste sono successivamente valutate dagli uffici competenti.
Nella fattispecie, il presidente della CONSOB non ha autorizzato le
ispezioni e non ha richiesto il compimento di atti di istruzione. La decisione
finale su un sequestro– non ordinato nella fattispecie – appartiene alla
commissione previa parere favorevole del pubblico ministero rilasciata su
richiesta del presidente della CONSOB. Si tratta ad ogni modo di una
misura provvisoria che ha lo scopo di garantire la solvibilità degli accusati o
a privarli dei beni utilizzati per commettere il reato. La decisione sulla causa
sottoposta non pregiudica in alcun modo la decisione sul merito delle accuse
e delle sanzioni. Anche nell’ambito di un procedimento giudiziario, è
ammesso che una decisione procedurale che non implica nessun giudizio in
merito alla colpevolezza o l’innocenza del sospettato (come ad esempio una
ordinanza di detenzione provvisoria) non costituisca una ragione per
dubitare in seguito dell’imparzialità del giudice che l’ha adottata.
131. Il Governo fa presente infine che nella fattispecie, non esisteva nessun
conflitto di interessi tra il personale della CONSOB, i membri della sua
commissione e i ricorrenti.
b) La valutazione della Corte
132. La Corte ribadisce la sua giurisprudenza stabilita ai sensi della quale,
per determinare se un “tribunale” può essere considerato “indipendente”, è
necessario prendere in considerazione in particolare il modo in cui sono stati
nominati i suoi membri e la durata dei loro mandati, l’esistenza di una
protezione contro le pressioni esterne e la questione di sapere se esiste o
meno apparenza di indipendenza (Kleyn e altri c. Paesi Bassi [GC], nos
39343/98, 39651/98, 43147/98 e 46664/99, § 190, CEDH 2003-VI).
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
48
133. Tenendo conto delle modalità e delle condizioni di nomina dei membri
della CONSOB, e in assenza di qualsiasi elemento che permettesse di dire
che la garanzie contro eventuali pressioni esterne non sono sufficienti o
adeguate, la Corte ritiene che non è possibile dubitare dell’indipendenza
della CONSOB rispetto a qualsiasi altro potere o autorità, e in particolare
rispetto al potere esecutivo. In questo senso, la Corte condivide le
osservazioni del Governo sull’autonomia della CONSOB e sulle garanzie
circa la nomina dei suoi membri (paragrafi 127 e 128 sopra).
134. La Corte ribadisce in seguito i principi generici sui passi necessari per
valutare l’imparzialità di un “tribunale”, che sono stati esposti anche nelle
seguenti sentenze: Padovani c. Italia, 26 febbraio 1993,§ 20, serie A no
257-B ; Thomann c. Suisse, 10 giugno 1996, § 30, Recueil des arrêts et
décisions 1996-III ; Ferrantelli e Santangelo c. Italia, 7 agosto 1996, § 58,
Recueil 1996-III ; Castillo Algar c. Spagna, 28 ottobre 1998, § 45, Recueil
1998-VIII ; Wettstein c. Svizzera, no 33958/96, § 44, CEDH 2000-XII ;
Morel c. Francia, no 34130/96, § 42, CEDH 2000-VI ; e Cianetti c. Italia,
no 55634/00, § 37, 22 aprile 2004.
135. Per quanto riguarda l’aspetto soggettivo dell’imparzialità della
CONSOB, la Corte nota che nessun elemento indica nella fattispecie la
presenza di alcun pregiudizio o partito preso da parte dei suoi membri. Il
fatto che avessero preso decisioni sfavorevoli ai ricorrenti non è sufficiente
da solo per mettere in dubbio la loro imparzialità (vedi, mutatis mutandis,
Previti c. Italia (déc.), no 1845/08, § 53, 12 febbraio 2013). La Corte non
può dunque non presumere l’imparzialità personale dei membri della
CONSOB, compresa quella del suo presidente.
136. Per quanto riguarda l’imparzialità oggettiva, la Corte nota che il
regolamento della CONSOB prevede una certa separazione tra gli organi
incaricati con le indagini e l’organo competente per decidere sulla presenza
di un reato e per applicare le sanzioni. In particolare, l’accusa è formulata
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
49
dall’ufficio IT, che conduce anche le indagini, i cui risultati sono riassunti
nel rapporto della direzione che contiene le conclusioni e le proposte in
merito alle sanzioni da applicare. La decisione finale in merito all’inflizione
delle sanzioni spetta soltanto alla commissione.
137. Ciò nonostante, l’ufficio IT, la direzione e la commissione non sono
che reparti dello stesso organo amministrativo, che agiscono sotto l’autorità
e la supervisione dello stesso presidente. Agli occhi della Corte, questo fa
che siano esercitate in modo consecutivo funzioni di indagine e di giudizio
all’interno della stessa istituzione; mentre in materia penale questo cumulo
non è compatibile con l’esigenza d’imparzialità richiesta dall’articolo 6 § 1
della Convenzione (vedi mutatis mutandis, Piersack c. Belgio, 1 ottobre
1982, §§ 30-32, serie A no 53, e De Cubber c. Belgio, 26 ottobre 1984, §§
24-30, serie A no 86, dove la Corte ha concluso che sussisteva una
mancanza d’imparzialità oggettiva del “tribunale”, nella prima causa, perché
una corte d’assise era presidiata da un consigliere che prima aveva diretto la
sezione del parquet di Bruxelles a cui era stato sottoposta la causa
dell’interessato; e, nel secondo caso, dall’esercizio successivo delle funzioni
di giudice istruttore e di giudice di merito dallo stesso magistrato nella
stessa causa).
3. Sulla questione di sapere se i ricorrenti hanno avuto accesso ad
un tribunale dotato di pieni poteri giurisdizionali
138. Quanto affermato prima in relazione alla mancanza di imparzialità
oggettiva della CONSOB e della non-conformità del procedimento davanti
alla CONSOB con i principi del processo equo, non basta pertanto per
accertare la violazione dell’articolo 6 nella fattispecie. In questo senso, la
Corte osserva che le sanzioni incriminate dai ricorrenti non sono state
inflitte da un giudice al termine di un procedimento giudiziario
contraddittorio, ma da un’autorità amministrativa, la CONSOB. Se conferire
a tale autorità il potere di perseguire e reprimere le contravvenzioni non è
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
50
incompatibile con la Convenzione, occorre comunque sottolineare che i
ricorrenti devono poter sottoporre qualsiasi decisione così presa nei loro
confronti davanti ad un tribunale che offra le garanzie dell’articolo 6
(Kadubec c. Slovacchia, 2 settembre 1998, § 57, Recueil 1998-VI ; Čanády
c. Slovacchia, no 53371/99, § 31, 16 novembre 2004 ; e Menarini
Diagnostics S.r.l., già citato, § 58).
139. Il rispetto dell’articolo 6 della Convenzione non esclude quindi il fatto
che in un procedimento di natura amministrativa, una “pena” sia imposta
inizialmente da un’autorità amministrativa. L’articolo presuppone però che
la decisione di un’autorità amministrativa che non adempie le condizioni
dell’articolo 6 subisca il controllo ulteriore di un organo giudiziario dotato
di
pieni
poteri
di
giurisdizione
(Schmautzer,
Umlauft,
Gradinger,Pramstaller, Palaoro e Pfarrmeier c. Austria sentenze del 23
ottobre 1995, rispettivamente §§ 34, 37, 42 et 39, 41 et 38, serie A nos 328
A-C e 329 A-C). Tra le caratteristiche di un organo giudiziario di pieni
poteri di giurisdizione si trova il potere di modificare, in tutti i suoi punti, in
fatto come in diritto, la decisione resa dall’organo inferiore. Deve avere in
particolare la competenza per poter pronunciarsi su tutte le questioni di fatto
e di diritto pertinenti per la causa che gli è sottoposta (Chevrol c. Francia,
no 49636/99, § 77, CEDH 2003-III ; Silvester’s Horeca Service c. Belgio, nº
47650/99, § 27, 4 marzo 2004 ; e Menarini Diagnostics S.r.l., già citato,§
59).
140. Nella fattispecie, i ricorrenti hanno avuto la possibilità, di cui si sono
avvalsi, di contestare le sanzioni inflitte dalla CONSOB davanti alla corte di
appello di Torino e di presentare ricorso in cassazione contro le sentenze di
quest’ultima. Resta da stabilire se queste due giurisdizioni erano “organi
giudiziari dotati di piena giurisdizione” ai sensi della giurisprudenza della
Corte.
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
51
a) Argomenti delle parti
i) I ricorrenti
141. Secondo i ricorrenti, i procedimenti ulteriori davanti alla corte di
appello di Torino e alla Corte di cassazione non hanno posto rimedio alle
carenze del procedimento davanti alla CONSOB. Anche se la corte di
appello può essere considerata un organo di piena giurisdizione, rimane il
fatto che non ha tenuto le udienze in pubblico. Una deroga al principio della
pubblicità della udienze non può giustificarsi se non in circostanze
eccezionali (vedi in particolare Vernes c. Francia, no 30183/06, § 30, 20
gennaio 2011).
142. I ricorrenti affermano in particolare che il procedimento davanti alla
corte di appello non è stato un procedimento ordinario, ma un procedimento
speciale in cui l’udienza si è tenuta in camera di consiglio. Per sostenere la
loro affermazione hanno prodotto dichiarazioni sottoscritte dal direttore
amministrativo della cancelleria della prima sezione civile della corte di
appello di Torino che certificano che le udienze del relativo procedimento si
sono svolte in camera di consiglio. Durante le udienze, erano presenti
soltanto i difensori degli imputati; i ricorrenti non hanno ricevuto nessuna
convocazione, e la corte di appello non ha esaminato né gli imputati, né i
testimoni. La corte di appello non avrebbe effettuato nessuna indagine e si
sarebbe limitata a confermare gli elementi raccolti dalla CONSOB. E’ vero
che il Governo ha prodotto dichiarazioni del presidente della prima sezione
della corte di appello che affermavano che le rispettive udienze in realtà
sono state pubbliche (paragrafo 145 sotto). Ciò nonostante, le dichiarazioni
non possono contraddire il contenuto degli atti pubblici, quali le sentenze
della corte di appello, che indicano che le parti sono state convocate in
camera di consiglio e che fanno fede fino a querela di falso. Il Governo però
non ha avviato un procedimento per falso e in ogni modo il presidente della
prima sezione della corte di appello si è limitato a riferire il contenuto delle
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
52
affermazioni altrui senza certificare nessun fatto di cui abbia avuto
conoscenza diretta.
143. E’ vero che un’udienza pubblica stata convocata davanti la Corte di
cassazione. Tuttavia, quest’ultima non è un organo di piena giurisdizione,
perché non conosce del merito della causa e non è chiamata a giudicare la
fondatezza dell’accusa o la pertinenza e la forza degli elementi di prova. La
Corte di cassazione ha rigettato quindi tutti gli argomenti dei ricorrenti atti a
contestare la valutazione delle prove fatta dalla CONSOB o dalla corte
d’appello.
ii. Il Governo
144. Il Governo fa notare che i ricorrenti hanno avuto accesso a un
procedimento orale e pubblico davanti la corte di appello di Torino, che ha
riesaminato in merito tutte le prove e le informazioni raccolte dalla
CONSOB sulle circostanze particolari del comportamento incriminato, fatto
che le ha consentito di verificare la proporzionalità delle sanzioni. La corte
di appello aveva dei poteri molto estesi in materia di amministrazione delle
prove, anche d’officio, e poteva annullare o modificare la decisione della
CONSOB. I ricorrenti avrebbero potuto sollecitare l’esame dei testimoni
oppure richiedere di essere sentiti personalmente; invece, non hanno
presentato nessuna richiesta in questo senso. Al termine del procedimento
giudiziario, la corte di appello ha modificato la valutazione della CONSOB,
riducendo le sanzioni inflitte per tre su cinque ricorrenti.
145. Il Governo sostiene che l’affermazione dei ricorrenti secondo la quale
non ci sarebbe stata nessuna udienza pubblica davanti la corte di appello di
Torino è falsa. Ai sensi dell’articolo 23 della legge 689 del 1981, tutte le
udienze tenute davanti a questa giurisdizione erano aperte al pubblico. In
merito alle dichiarazioni sottoscritte dal direttore amministrativo della
cancelleria della prima sezione della corte di appello, prodotte dai ricorrenti
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
53
(paragrafo 142 sopra), il Governo sostiene che esse non rappresentano la
realtà dei fatti. Per contraddirle, il Governo produce cinque dichiarazioni
sottoscritte dal presidente della prima sezione della corte di appello di
Torino e dal direttore amministrativo della stessa sezione, specificando che,
nei cinque procedimenti riguardanti i ricorrenti e aventi come oggetto la
contestazione delle sanzioni inflitte dalla CONSOB, soltanto le udienze
sulle misure di urgenza (sub procedimento cautelare) sono state convocate
in camera di consiglio, mentre tutte le altre udienze sono state pubbliche. In
queste dichiarazioni, datate 6 settembre 2013, il presidente della prima
sezione della corte di appello indica che all’epoca dei fatti non faceva parte
dell’organo in causa (ha preso il suo incarico dal 1 marzo 2013), però ha
avuto modo di ricostituire l’andamento dei fatti esaminando i registri e le
pratiche e sulla base di informazioni direttamente fornite dal personale della
cancelleria e dai magistrati che si erano occupati delle relative cause. In
particolare, i casi dei ricorrenti erano stati iscritti al ruolo della giurisdizione
non contenziosa (registro volontaria giurisdizione). In seguito, la legge n°
62 del 18 aprile 2005 aveva indicato che i procedimenti relativi all’articolo
187 del decreto legislativo n° 58 del 1998 dovevano svolgersi con le forme
previste dall’articolo 23 della legge n° 689 del 1981 (che non prevede la
convocazione di un’udienza in camera di consiglio). Anche se le cause dei
ricorrenti erano rimaste iscritte al ruolo della giurisdizione non contenziosa,
il procedimento seguito è stato quello richiesto dalla legge n° 62 del 2005.
146. Sulla base di queste dichiarazioni, il Governo afferma che il 6 marzo
2007, i ricorrenti hanno richiesto la sospensione dell’esecuzione della
sentenza della CONSOB (aticolo 187 septies § 5 del decreto legislativo n°
58 del 1998). Nell’ambito di questo sotto-procedimento per i provvedimenti
sull’esecuzione provvisoria, una udienza si è tenuta il 28 marzo 2007:
quest’udienza è stata convocata in camera di consiglio come previsto dagli
articoli 283 e 351 del codice di procedura civile. In seguito, un’udienza sul
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
54
merito si è tenuta l’11 luglio 2007; ai sensi dell’articolo 23 della legge n°
689 del 1981, quest’udienza è stata pubblica. Inoltre, altre due sentenze
della corte di appello (in particolare quelle nei confronti del Sig. Marrone e
della società Giovanni Agnelli S.a.s.) fanno riferimento all’”udienza
pubblica” fissata per l’11 luglio 2007. Infine, le udienze successive vertendo
sul merito delle cause (ossia quelle del 7 novembre e del 5 dicembre 2007)
sono state pubbliche.
147. Il Governo sottolinea anche il fatto che i ricorrenti hanno avuto la
possibilità di presentare ricorso in cassazione e che il caso è stato affidato
alle sezioni unite. Davanti alle sezioni, il procedimento è stato orale e
pubblico nel rispetto del diritto della difesa, e ha riguardato sia
l’interpretazione e l’applicazione della legge sostanziale o procedurale
(errores in indicando et in procedendo) che la coerenza e la sufficienza
delle motivazioni presentate dalla corte di appello. Il Governo fa
riferimento, in particolare, alla causa Menarini Diagnostics S.r.l., sentenza
già citata, in cui la Corte ha concluso che l’articolo 6 § 1 della Convenzione
non è stato violato osservando che la sanzione amministrativa oggetto di
giudizio era stato oggetto di un controllo di piena giurisdizione, da parte del
tribunale amministrativo e del Consiglio di Stato. Secondo l’opinione del
Governo, la stessa conclusione dovrebbe imporsi a fortiori nella fattispecie,
dove i poteri della corte di appello erano più estesi di quelli dei tribunali
amministrativi e del Consiglio di Stato.
b) La Valutazione della Corte
148. La Corte fa presente innanzitutto che nella fattispecie, non è possibile
dubitare dell’indipendenza della corte di appello di Torino. D’altronde
neanche i ricorrenti la contestano.
149. La Corte osserva inoltre che la corte di appello era competente per
giudicare in merito alla presenza, sia in fatto che in diritto, del reato definito
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
55
all’articolo 187 ter del decreto legislativo n° 58 del 1998, e aveva il potere
di annullare la decisione della CONSOB. La corte era stata chiamata a
pronunciarsi anche sulla proporzionalità delle sanzioni inflitte rispetto alla
gravità del comportamento incriminato. Di fatto, la corte ha ridotto
l’ammontare delle ammende e la durata dell’interdizione pronunciata per
alcuni dei ricorrenti (paragrafi 30 e 31 sopra) e si è pronunciata sulle diverse
affermazioni di ordine fattuale o giuridico (paragrafi 32-36 sopra). La sua
competenza non si è limitata quindi ad un semplice controllo della legalità.
150. E’ vero che i ricorrenti lamentano il fatto che la corte di appello non ha
esaminato i testimoni (paragrafo 142 sopra). Tuttavia, i ricorrenti non
indicano nessuna regola procedurale che avrebbe impedito tale esame.
Inoltre, la richiesta di sentire i testimoni formulata dal Sig. Grande Stevens
nella sua memoria del 25 settembre 2007 non indicava né i nomi delle
persone che l’interessato desiderava citare, né le circostanze sulle quali
avrebbero dovuto testimoniare. Questa richiesta era stata inoltre formulata
in modo puramente eventuale ed era da esaminare solo nel caso in cui la
corte di appello avrebbe ritenuto insufficienti o inutilizzabili i documenti già
presenti nella pratica. E’ lo stesso per la richiesta formulata dal Sig.
Marrone, che presentava la possibilità di esaminare i testimoni le cui
dichiarazioni citava soltanto “se necessario” (paragrafo 29 sopra). In ogni
caso, davanti la Corte i ricorrenti non hanno indicato chiaramente i
testimoni il cui esame era stato rifiutato dalla corte di appello e le ragioni
per cui la loro testimonianza sarebbe stata decisiva per la risoluzione della
causa. Di conseguenza non hanno sostenuto la loro pretesa basata
sull’articolo 6 § 3 della Convenzione.
151. Alla luce di quanto esposto, la Corte considera che la corte di appello
di Torino era un “organo di piena giurisdizione” ai sensi della
giurisprudenza della Corte (vedi mutatis mutandis, Menarini Diagnostics
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
56
S.r.l., già citato, §§ 60-67). I ricorrenti stessi non sembrano contestarlo
(paragrafo 141 sopra).
152. E’ necessario ancora determinare se le udienze sul merito tenute
davanti alla corte di appello di Torino sono state pubbliche, questione di
fatto sulla quale le affermazioni delle parti sono divergenti (paragrafi 142 e
145-146 sopra). In questo senso, la Corte può solo ribadire le sue
conclusioni relative alla necessità, nella fattispecie, di un’udienza pubblica
(paragrafo 122 sopra).
153. La Corte nota che le parti hanno prodotto documenti contraddittori in
merito alle modalità con le quali si sarebbero svolte le udienze; secondo le
dichiarazioni scritte del direttore amministrativo della cancelleria della corte
di appello di Torino, prodotte dai ricorrenti, queste udienze si sarebbero
tenute in camera di consiglio, mentre secondo le dichiarazioni scritte del
presidente della corte di appello, prodotte dal Governo, soltanto le udienze
in merito a misure cautelari si sarebbero tenute in camera di consiglio, tutte
le altre udienze essendo pubbliche. La Corte non è in misura di stabilire
quale delle due versioni sia vera. Ad ogni modo, di fronte alle due versioni,
entrambe plausibili e provenienti da fonti qualificate, ma opposte, la Corte
ritiene che sia il caso di tener conto degli atti ufficiali del procedimento.
Come i ricorrenti hanno giustamente sottolineato (paragrafo 142 sopra), le
sentenze della corte di appello indicano che la corte si era riunita in camera
di consiglio o che le parti erano state convocate in camera di consiglio
(paragrafo 30 in fine).
154. Facendo fede a queste indicazioni, la Corte arriva alla conclusione che
nessuna udienza pubblica si è svolta davanti alla corte di appello di Torino.
155. E’ vero comunque che un’udienza pubblica si è tenuta davanti alla
Corte di cassazione. Tuttavia, è vero che quest’ultima non ha le competenze
per conoscere il merito della causa, per stabilire i fatti e per valutare gli
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
57
elementi di prova. Il Governo d’altronde non lo contesta. La cassazione non
poteva quindi essere ritenuta un organo di piena giurisdizione ai sensi della
giurisprudenza della Corte.
4. Sulle altre allegazioni dei ricorrenti
156. I ricorrenti affermano che i comunicati stampa del 24 agosto 2005
contenevano informazioni corrette e che la loro condanna nonostante le
prove a discolpa contenute nella pratica è stata ritenuta come una
“presunzione di colpevolezza” nei loro confronti. Secondo la loro opinione,
non avevano nessun obbligo di riportare nei comunicati stampa progetti o
accordi ipotetici non ancora conclusi. Per il resto, nelle istruzioni pubblicate
dalla CONSOB si specificava che le informazioni che potevano essere
diffuse al pubblico dovevano essere collegate a circostanze reali o a un
evento sicuro, e non a semplici ipotesi su azioni future ed eventuali, che non
presentavano interesse per il mercato. Alla data della diffusione dei
comunicati stampa, nessuna iniziativa concreta non era stata intrapresa dalle
società ricorrenti in relazione alla scadenza del prestito convertibile.
All’epoca,
l’ipotesi
pianificata
restava
incerta
perché
subordinata
all’approvazione di Merrill Lynch International Ltd e all’eventuale assenza
dell’obbligo di lanciare una OPA. Un funzionario della CONSOB aveva
partecipato alla redazione di uno dei comunicati, e il suo testo aveva
ricevuto l’accordo preliminare della CONSOB.
157. Nonostante ciò, stimano i ricorrenti, la CONSOB avrebbe formulato le
sue accuse partendo dalla presunzione arbitraria che l’accordo che
modificava l’equity swap sarebbe stato concluso prima del 24 agosto 2005,
e questo malgrado l’assenza di qualsiasi prova scritta od orale che confermi
questa presunzione. Secondo l’opinione dei ricorrenti, la loro condanna è
stata pronunciata senza nessuna prova in questo senso.
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
58
158. La Corte ribadisce che non è di sua competenza riconoscere gli errori
di fatto o di diritto possibilmente commessi da una giurisdizione interna, se
non quando e nella misura in cui detti errori rappresentano una violazione
dei diritti e delle libertà tutelati dalla Convenzione (Khan c. Regno Unito no
35394/97, § 34, CEDH 2000-V), e che in principio spetta alle giurisdizioni
nazionali di valutare i fatti e di interpretare e applicare il diritto interno
(Pacifico c. Italia (déc.), no 17995/08, § 62, 20 novembre 2012). La Corte
ha esaminato le decisioni interne criticate dai ricorrenti senza riscontrare
segni di arbitrarietà in grado di rivelare un diniego di giustizia o un abuso
palese (vedi, a contrario, De Moor c. Belgio, 23 giugno 1994, § 55 in fine,
serie A no 292-A, e Barać e altri c. Monténégro, no 47974/06, § 32, 13
dicembre 2011).
159. La Corte ribadisce inoltre che il principio della presunzione di
innocenza richiede, tra l’altro, che nell’espletamento della loro funzione i
membri del tribunale non partano dall’idea preconcetta che l’imputato ha
commesso l’atto incriminato; il dovere della prova pesa sull’accusa e il
dubbio è a vantaggio dell’accusato. Inoltre, spetta all’autorità responsabile
del procedimento di indicare all’interessato i capi di accusa – ai fini di
fornirgli l’occasione di preparare e di presentare la sua difesa in conformità
– e di offrire prove sufficienti per giustificare una dichiarazione di
colpevolezza (vedi principalmente, Barberà, Messegué e Jabardo c.
Spagna, 6 dicembre 1988, § 77, serie A no 146 ; John Murray c. Regno
Unito 8 febbraio 1996, § 54, Recueil 1996-I ; e Telfner c. Austria, no
33501/96, § 15, 20 marzo 2001).
160. Nella fattispecie, la condanna degli interessati è stata pronunciata sulla
base di una serie di indizi giudicati precisi, gravi e concludenti prodotti
dall’ufficio IT e che lasciano pensare che all’epoca della diffusione dei
comunicati stampa del 24 agosto 2005, l’accordo che modificava l’equity
swap era già stato concluso o era sul punto di esserlo. In tali circostanze,
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
59
nessuna violazione del principio di presunzione di innocenza non può essere
accertata (vedi, mutatis mutandis, Previti c. Italia (déc.), no 45291/06, §
250, 8 dicembre 2009).
6. Conclusione
161. Alla luce di quanto esposto, la Corte ritiene che, anche se il
procedimento davanti alla CONSOB non ha soddisfatto le esigenze di
equità e di imparzialità oggettiva richieste dall’articolo 6 della Convenzione,
i ricorrenti hanno beneficiato di un ulteriore controllo di un organo
indipendente e imparziale di piena giurisdizione, nell’occorrenza la corte di
appello di Torino. Tuttavia, quest’ultima non ha tenuto udienze pubbliche,
fatto che, nella fattispecie, ha costituito una violazione dell’articolo 6 § 1
della Convenzione.
III. SULLA PRESUNTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 3 a) E c)
DELLA CONVENZIONE
162. Invocando l’articolo 6 § 3 a) e c) della Convenzione, il Sig. Grande
Stevens lamenta un cambiamento a sua insaputa dell’accusa nei sui
confronti.
163. Il Governo contesta questa tesi.
164. La Corte rileva che questo motivo di ricorso è collegato a quanto
esaminato sopra e deve essere quindi dichiarata ricevibile.
A. Argomenti delle parti
1. Il Sig. Grande Stevens
165. Ribadendo che in un primo momento è stato accusato e condannato
dalla CONSOB in qualità di amministratore di Exor e che la corte di appello
di Torino ha ammesso in seguito che egli non possedeva questa qualità
(paragrafo 36 sopra), il Sig. Grande Stevens lamenta il fatto che la corte di
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60
appello abbia comunque stimato che egli poteva essere punito lo stesso,
visto il parere che aveva espresso in qualità di avvocato su richiesta delle
società ricorrenti. Vi sarebbe stato quindi un cambiamento dell’accusa senza
che il Sig. Grande Stevens abbia avuto la possibilità di difendersi rispetto al
nuovo “fatto” ritenuto dalla corte di appello come elemento materiale del
reato.
2. Il Governo
166. Il governo osserva che davanti alla CONSOB, il Sig. Grande Stevens è
stato accusato di aver partecipato alla decisione che ha condotto alla
redazione dei comunicati stampa. La menzione secondo la quale egli era il
direttore di Exor serviva soltanto a indicare che faceva parte del top
management della società e che di conseguenza il suo comportamento
poteva essere imputato alla società. E' dunque legittimo che la corte di
appello di Torino abbia stimato che questo riferimento sbagliato non aveva
nessuna incidenza sulla regolarità della sanzione, rilevando che la qualità
attribuita al Sig. Grande Stevens era senza importanza da un punto di vista
legale nella misura in cui il reato di cui era incriminato poteva essere
commesso da “chiunque”. La corte di appello di Torino non avrebbe dunque
trasformato l’accusa nei suoi confronti.
B. La valutazione della Corte
167. La Corte ribadisce che le disposizioni dell’articolo 6 § 3 a) della
Convenzione traducono la necessità notificare con estrema cura l’ “accusa”
all’interessato. L’atto di accusa ha un ruolo determinante nei procedimenti
penali: a partire dal momento in cui l’accusa è resa nota, la persona in causa
è ufficialmente avvisata per iscritto della base giuridica e fattuale
dell’accusa formulata nei suoi confronti (Kamasinski c. Austria, 19
dicembre 1989, § 79, serie A no 168). Inoltre, l’articolo 6 § 3 a) riconosce
all’accusato il diritto di essere informato non soltanto sulla causa dell’
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
61
accusa, ossia sui fatti materiali che sono messi a suo carico e sui quali si
fonda l’accusa, ma anche, in un modo dettagliato, sulla qualifica giuridica di
tali fatti (Pélissier et Sassi c. Francia [GC], no 25444/94, § 51, CEDH
1999-II).
168. La portata di questa disposizione deve in particolare essere valutata alla
luce del diritto più generico ad un processo equo che garantisce il paragrafo
1 dell’articolo 6 della Convenzione (Sadak e altri c. Turchia (no 1), nos
29900/96, 29901/96, 29902/96 e 29903/96, § 49, CEDH 2001-VIII). La
Corte stima che in materia penale una notifica precisa e completa
all’accusato delle accuse mosse nei suoi confronti – compresa la
qualificazione giuridica che la giurisdizione potrebbe ritenere nei suoi
confronti – è una condizione essenziale della qualità della procedura
(Pélissier e Sassi, già citato, § 52).
169. Esiste inoltre un legame tra i punti a) e b) dell’articolo 6 § 3 e il diritto
di essere informato sulla natura e le cause dell’accusa deve essere previsto
alla luce del diritto dell’accusato di preparare la sua difesa (Pélissier e Sassi,
già citato, § 54).
170. Nella fattispecie, la Corte rileva che le argomentazioni del Sig. Grande
Stevens riguardano il fatto che la CONSOB aveva indicato che egli aveva
agito in qualità di amministratore di Exor e che la corte di appello di Torino,
pur ammettendo che egli non possedeva tale qualità, ha comunque
confermato la sua condanna (paragrafi 29 e 36 sopra).
171. La Corte osserva che la qualità di amministratore di una società quotata
in borsa non compare tra gli elementi che costituiscono il reato di cui è stato
incriminato il Sig. Grande Stevens, di cui all’articolo 187 ter del decreto
legislativo n° 58 del 1998 e che punisce “qualunque persona” che diffonde
informazioni false o fuorvianti in merito a strumenti finanziari (paragrafo 20
sopra). La corte di appello di Torino lo ha giustamente sottolineato,
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
62
ritenendo che la questione su cui si doveva pronunciare non era quella di
sapere se l’interessato era o meno uno degli amministratori di Exor, ma di
determinare se egli aveva partecipato al processo decisionale che aveva
portato alla pubblicazione del comunicato stampa incriminato (paragrafo 36
sopra).
172. Di conseguenza, la qualità di amministratore di Exor non faceva parte
dell’ “accusa” notificata al Sig. Grande Stevens e non rappresentava
neanche un “elemento intrinseco dell’accusa iniziale” che l’accusato
avrebbe dovuto conoscere sin dall’inizio del procedimento (vedi, a
contrario, De Salvador Torres c. Spagna, 24 ottobre 1996, § 33, Recueil
1996-V).
173. D’altronde, nella misura in cui possiamo stimare che la qualità di
amministratore di Exor era uno degli elementi utilizzati dalle autorità
interne per valutare se il Sig. Grande Stevens si era reso colpevole del reato
di cui era stato accusato, conviene notare che l’interessato ha avuto
conoscenza in tempo utile del fatto che tale qualità gli era stata attribuita e
ha avuto modo di presentare gli argomenti di fatto e di diritto su questo
punto sia davanti alla CONSOB che davanti alla corte di appello (paragrafo
29 sopra, vedi, mutas mutandis, D.C. c. Italia (déc.), no 55990/00, 28
febbraio 2002, e Dallos c. Ungheria, no 29082/95, §§ 49-53, 1 marzo
2001). E quest’ultima ha riconosciuto alla fine che il Sig. Grande Stevens
non possedeva la qualità in causa (paragrafo 36 sopra).
174. Di conseguenza, la Corte non identifica nessuna violazione al diritto
garantito al ricorrente dall’articolo 6 § 3 a) e b) della Convenzione, di essere
informato sulla natura e la causa dell’accusa mossa nei suoi confronti e di
disporre del tempo e delle facilità necessarie per preparare la sua difesa.
175. Infine, nella misura in cui il Sig. Grande Stevens invoca l’allineato c)
del terzo paragrafo dell’articolo 6, la Corte non può stimare in quale modo
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
63
l’interessato avrebbe potuto essere privato del suo diritto di difendere se
stesso o di ricevere l’assistenza di un difensore di sua scelta.
IV. SULLA PRESUNTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 1 DEL
PROTOCOLLO N° 1
176. I ricorrenti lamentano una violazione del loro diritto al rispetto della
proprietà, come sancito dall’articolo 1 del Protocollo n° 1.
Questa disposizione recita:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno
può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e
nelle condizioni previste dalla legge e dai
principi generali del diritto
internazionale.
Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di
porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei
beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento
delle imposte o di altri contributi o delle ammende.”
177. Il Governo contesta la tesi dei ricorrenti.
178. La Corte rileva che questo motivo di ricorso è collegato a quanto
esaminato sopra e deve essere quindi dichiarata ricevibile.
A. Argomenti delle parti
1. I ricorrenti
179. I ricorrenti considerano che le violazioni della “legalità convenzionale”
che hanno denunciato in riferimento all’articolo 6 della Convenzione hanno
influito sulla legalità delle sanzioni a loro inflitte, e dunque dei
provvedimenti che hanno violato il loro diritto al rispetto della proprietà. I
ricorrenti ribadiscono che la giurisprudenza della Corte conosce numerosi
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
64
esempi che mostrano che una violazione dell’articolo 1 del Protocollo n° 1
può decorrere dalla violazione di altre disposizioni della Convenzione (vedi
in particolare Luordo c. Italia, no 32190/96, 17 luglio 2003 ; Sud Fondi
S.r.l. e altri c. Italia, no 75909/01, 20 gennaio 2009 ; e Centro Europa 7
S.r.l. e Di Stefano c. Italia [GC], no 38433/09, 7 giugno 2012).
180. Le sanzioni di cui si discute non avendo una base legale sufficiente, vi
sarebbe inoltre anche mancanza del giusto equilibrio che deve essere
garantito in materia di regolamentazione dell’uso dei beni. In questo senso, i
ricorrenti fanno notare che secondo le istruzioni della stessa CONSOB, non
esisteva l’obbligo di informare il pubblico circa accordi ipotetici non ancora
conclusi.
2. Il Governo
181. Il Governo sostiene che i ricorrenti non sono stati sanzionati per
un’omissione e che le sanzioni inflitte erano previste da una legge – ossia
dall’articolo 187 ter del decreto legislativo n° 58 del 1998 – accessibile e di
applicazione prevedibile. I ricorrenti, operatori economici professionali,
erano pienamente consapevoli della natura falsa e fuorviante dei comunicati
stampa incriminati; non sarebbe ragionevole pensare che potevano ignorare
le iniziative adottate per permettere ad Exor di rimanere l’azionista che
detiene il controllo sulla FIAT. Inoltre, queste sanzioni erano proporzionali
alla gravità del reato, hanno mantenuto un giusto equilibrio tra interessi
pubblici e privati, e sono state inflitte al termine di un lungo procedimento
amministrativo e giudiziario che offre sufficienti garanzie contro
l’arbitrarietà. La CONSOB e gli organo giudiziari hanno valutato con
attenzione la natura del comportamento incriminato, i pregiudizi causati e i
profitti conseguiti, nonché la posizione, il grado di coinvolgimento e le
intenzioni dei ricorrenti.
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
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182. Il Governo sottolinea che il comportamento dei ricorrenti ha colpito
seriamente l’integrità dei mercati finanziari e la fiducia del pubblico nella
sicurezza delle transazioni. Inoltre, il reato è stato commesso nell’ambito di
un’operazione finanziaria straordinaria e di notevole importanza, che è
costata più di 500 000 000 EUR e che riguardava il controllo di uno dei più
grandi costruttori di automobili a livello mondiale.
B. La valutazione della Corte
1. Sull’esistenza di un’ingerenza e sulla normativa applicabile
183. La Corte osserva che i ricorrenti sono stati condannati dalla CONSOB
e dalla corte di appello di Torino al pagamento di ammende importanti, che
vanno da 500 000 a 3 000 000 EUR (paragrafi 25 e 30 sopra), che
costituisce un’ingerenza nel diritto degli interessati al rispetto dei loro beni.
D’altronde, questo non è contestato dal Governo.
184. La Corte ribadisce che l’articolo 1 del Protocollo n° 1 contiene tre
norme distinte: la prima, espressa nella prima frase del primo comma e di
carattere generale, enuncia il principio del rispetto della proprietà; la
seconda, espressa nella seconda frase del primo comma, riguarda la
privazione della proprietà e la subordina a certe condizioni; la terza,
espressa nel secondo comma, riconosce agli Stati contraenti il potere di
disciplinare l’uso dei beni, in modo conforme all’interesse generale o per
assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende
(vedi anche National & Provincial Building Society, Leeds Permanent
Building Society et Yorkshire Building Society c. Royaume-Uni, 23 octobre
1997, § 78, Recueil 1997-VII).
185. La Corte ritiene che le ammende inflitte ai ricorrenti si collegano al
secondo comma dell’articolo 1 e in particolare al potere dello Stato di
disciplinare l’uso dei beni per assicurare il pagamento delle ammende.
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2. Sulla legalità dell’ingerenza
186. La Corte ribadisce che l’articolo 1 del Protocollo n° 1 richiede
innanzitutto e soprattutto che un’ingerenza dell’autorità pubblica nella
possibilità di godere del diritto al rispetto della proprietà sia legale (Varesi e
altri c. Italia (déc.), no 49407/08, § 36, 12 marzo 2013): la seconda frase del
primo comma dell’articolo autorizza una privazione della proprietà soltanto
“nelle condizioni previste dalla legge”; il secondo comma riconosce agli
Stati il diritto di disciplinare l’uso dei beni tramite apposite “leggi” (OAO
Neftyanaya Kompaniya Yukos c. Russia, no 14902/04, § 559, 20 settembre
2011). Inoltre, la preminenza del diritto, uno dei principi fondamentali di
una società democratica, è ereditato dall’insieme degli articolo della
Convenzione (Iatridis c. Grecia [GC], no 31107/96, § 58, CEDH 1999-II, e
Capital Bank AD c. Bulgaria, no 49429/99, § 133, ECHR 2005-XII
(estratti)).
187. Per rispondere a questa esigenza di legalità, il diritto interno deve
offrire una certa protezione contro violazioni arbitrarie dei poteri pubblici
del diritto al rispetto della proprietà (Capital Bank AD, già citato, § 134
;Zlínsat, spol. s r.o. c. Bulgaria, no 57785/00, § 98, 15 giugno 2006 ;
Družstevní Záložna Pria e altri c. Repubblica ceca, no 72034/01, § 89, 31
luglio 2008 ; e Forminster Enterprises Limited c. Repubblica ceca, no
38238/04, § 69, 9 ottobre 2008).
188. Nonostante il silenzio dell’articolo 1 del Protocollo n° 1 in materia di
esigenze procedurali, i procedimenti applicabili nella fattispecie devono
offrire all’interessato un’occasione adeguata per esporre la sua causa alle
competenti autorità ai fini di contestare effettivamente i provvedimenti che
colpiscono i diritti garanti da questa disposizione (Sovtransavto Holding c.
Ucraina, no 48553/99, § 96, CEDH 2002-VII ; Anheuser-Busch Inc.c.
Portogallo [GC], no 73049/01, § 83, CEDH 2007-I ; J.A. Pye (Oxford) Ltd
e J.A. Pye (Oxford) Land Ltd c. Regno Unito [GC], no 44302/02, § 57,
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67
CEDH 2007-III ; Ukraine-Tyumen c. Ucraina, no 22603/02, § 51, 22
novembre 2007 ; Zehentner c. Austria, no 20082/02, § 75, 16 luglio 2009 ; e
Shesti Mai Engineering OOD e altri c. Bulgaria, no 17854/04, § 79, 20
settembre 2011 ; vedi anche, mutatis mutandis, Al-Nashif c. Bulgaria, no
50963/99, § 123, 20 giugno 2002). Per garantire il rispetto di questa
condizione, occorre considerare i procedimenti applicabili da un punto di
vista generico (vedi Jokela c. Finlandia, no 28856/95, § 45, CEDH 2002IV, e Družstevní Záložna Pria e altri, già citato, § 89).
189. La Corte osserva che le parti ammettono entrambe che le ammende
inflitte ai ricorrenti avevano una base legale sufficientemente chiara e
accessibile nel diritto italiano, ossia l’articolo 187 ter del decreto legislativo
n° 58 del 24 febbraio 1998 (paragrafo 20 sopra). Questa disposizione
sanzione, tra l’altro, qualsiasi persona che diffonde informazioni false o
fuorvianti in merito a strumenti finanziari. Secondo le autorità interne, i
ricorrenti hanno manifestato un comportamento di questo tipo tramite i
comunicati stampa descritti ai paragrafi 13 e 14.
190. La Corte fa notare inoltre che le ammende in causa sono state inflitte
dalla CONSOB al termine di un procedimento durante il quale i ricorrenti
hanno avuto modo di presentare le loro difese. Anche se il procedimento
davanti alla CONSOB non ha soddisfatto tutte le esigenze dell’articolo 6
della Convenzione, come osservato prima (paragrafo 151 sopra), i ricorrenti
hanno potuto accedere in seguito ad un organo giudiziario con piena
giurisdizione, nell’occorrenza la corte di appello di Torino, competente per
esaminare tutte le questioni di fatto e di diritto pertinenti per l’esito della
causa. Inoltre, i ricorrenti hanno avuto la possibilità di presentare ricorso in
cassazione contro le sentenze della corte di appello (paragrafo 37 sopra), e
hanno beneficiato in questo modo di un controllo supplementare della
legalità.
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
68
191. In queste condizioni, la Corte non può concludere che i ricorrenti non
hanno goduto delle garanzie procedurali adeguate contro l’arbitrarietà o che
non hanno avuto la possibilità di contestare i provvedimenti che hanno
colpito il loro diritto di rispetto della proprietà.
192. E’ vero che la Corte ha appena segnalato che vi è stata violazione
dell’articolo 6 § 1 della Convenzione visto il fatto che le udienze davanti la
corte di appello di Torino non sono state pubbliche (paragrafo 161 sopra).
Tuttavia, questa circostanza non è in grado di compromettere, da sola, la
legalità delle misure di cui si discute o di costituire una mancanza agli
obblighi positivi dello Stato che risultano dall’articolo 1 del Protocollo n° 1.
193. Occorre ancora stabilire se l’ingerenza era conforme all’interesse
generale e proporzionale agli obiettivi legittimi perseguiti.
3. Sulla questione di sapere se l’ingerenza era conforme
all’interesse generale
194. La Corte nota che l’interdizione di diffondere informazioni false o
fuorvianti in merito a strumenti finanziari ha lo scopo di garantire l’integrità
dei mercati finanziari e di mantenere la fiducia del pubblico nella sicurezza
delle transazioni.
195. La Corte non ha dubbi che si tatti di un obiettivo di interesse generale.
La Corte è consapevole dell’importanza che riveste per gli Stati membri la
lotta contro gli abusi di mercato e osserva che le norme comunitarie (nello
specifico la direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del
28 gennaio 2003 – paragrafo 60 sopra) hanno lo scopo di instaurare
dispositivi efficaci contro l’abuso di informazioni privilegiate e la
manipolazione del mercato.
4. Sulla proporzionalità dell’ingerenza
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
69
196. Occorre ancora stabilire se le autorità hanno mantenuto nella
fattispecie un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e
l’obiettivo perseguito, e quindi un “giusto equilibrio” tra le esigenze
dell’interesse generale della collettività e quelle della protezione dei diritti
fondamentali dell’individuo (Beyeler c. Italia [GC], no 33202/96, § 107,
CEDH 2000-I, e Air Canada c. Regno Unito, 5 maggio 1995, § 36, serie A
no 316-A). Questo giusto equilibrio viene a meno se la persona coinvolta
deve subire sanzioni eccessive e insostenibili. (Sporrong e Lönnroth c.
Svezia, 23 settembre 1982, §§ 69-74, serie A no 52, e Maggio e altri c.
Italia, nos 46286/09, 52851/08, 53727/08, 54486/08 et 56001/08, § 57, 31
maggio 2011).
197. Nella fattispecie, avvalendosi del loro diritto di stabilire i fatti, le
autorità interne hanno stimato che il 24 agosto 2005, data dei comunicati
stampa incriminati, il progetto atto alla rinegoziazione del contratto di
equity swap con Merrill Lynch International Ltd esistesse già e fosse in
corso di applicazione, e che i ricorrenti hanno omesso deliberatamente di
indicare questa circostanza, offrendo in questo modo una falsa
rappresentazione della situazione all’epoca (paragrafi 27 e 35 sopra).
198. La Corte osserva che in seguito alla conclusione dell’accordo che
modifica il contratto di equity swap, Exor ha mantenuto la sua
partecipazione del 30% al capitale della FIAT (paragrafo 19 sopra), uno dei
più importanti costruttori di automobili del mondo. In questo modo, la
prospettiva di un’acquisizione del 28% del capitale sociale da parte delle
banche è stata eliminata, e insieme ad essa, anche tutte le conseguenze che
una tale acquisizione avrebbe potuto avere sul controllo di FIAT (paragrafo
7 sopra). Agli occhi della Corte, si trattava di questioni che erano all’epoca
di interesse primordiale per gli investitori, e la circostanza che informazioni
false o fuorvianti fossero state diffuse in merito presenta una notevole
gravità.
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
70
199. Di conseguenza, le ammende inflitte ai ricorrenti, anche se severe, non
risultano sproporzionate rispetto al comportamento incriminato. In questo
senso, la Corte osserva che per stabilire l’ammontare delle sanzioni, la
CONSOB ha preso in considerazione la posizione occupata dalle persone
coinvolte e l’esistenza di un dolo (paragrafo 27 sopra) e che la corte di
appello ha ridotto le ammende inflitte a tre dei ricorrenti (paragrafo 30
sopra). Di conseguenza, non è possibile ritenere che le autorità interne
abbiano applicato le sanzioni senza tener conto delle circostanze particolari
della causa o che i ricorrenti siano stati costretti a sopportare sanzioni
eccessive o insostenibili.
5. Conclusione
200. Alla luce di quanto esposto, la Corte ritiene che le sanzioni inflitte ai
ricorrenti siano “legali” ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n° 1 e che
rappresentino le misure necessarie per assicurare il pagamento delle
ammende.
201. In conclusione, non vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo
n° 1.
V. SULLA PRESUNTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 4 DEL
PROTOCOLLO N° 7
202. I ricorrenti si ritengono vittime di una violazione del principio ne bis in
idem, sancito dall’articolo 4 del Protocollo n° 7.
Questa disposizione recita:
“1. Nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla
giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o
condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e
alla procedura penale di tale Stato.
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
71
2. Le disposizioni del paragrafo precedente non impediscono la riapertura
del processo, conformemente alla legge e alla procedura penale dello Stato
interessato, se fatti sopravvenuti
o nuove rivelazioni o un vizio
fondamentale nella procedura antecedente sono in grado di inficiare la
sentenza intervenuta.
3. Non è autorizzata alcuna deroga al presente articolo ai sensi dell’articolo
15 della Convenzione.”
203. Il Governo contesta questa tesi.
A. Sulla ricevibilità
1. La riserva dell’Italia relativa all’articolo 4 del Protocollo n° 7
204. Il Governo osserva che l’Italia ha reso una dichiarazione secondo la
quale gli articoli 2-4 del Protocollo n° 7 si applicano esclusivamente ai reati,
alle procedure a alle sentenze qualificati come penali dalla legge italiana. La
legge italiana però non qualifica come penali i reati sanzionati dalla
CONSOB. Inoltre, la dichiarazione dell’Italia sarebbe simile a quella resa da
altri Stati (in particolare la Germania, la Francia e il Portogallo).
205. I ricorrenti sottolineano che l’articolo 4 del Protocollo n° 7, al quale
nessuna deroga è autorizzata ai sensi dell’articolo 15 della Convenzione,
riguarda un diritto rilevante di ordine pubblico europeo. Secondo loro, la
dichiarazione resa dall’Italia durante il deposito dello strumento di ratifica
del Protocollo n° 7 non avrebbe la portata di una riserva ai sensi
dell’articolo 57 della Convenzione, che non autorizza le riserve di carattere
generale. Inoltre, la dichiarazione controversa non si appoggia ad una
“legge” in vigore al momento della sua formulazione e non comprende un
“breve esposizione” di questa legge.
La dichiarazione in causa non inciderebbe quindi sugli obblighi assunti
dall’Italia.
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
72
206. La Corte fa notare che il Governo afferma di aver indicato una riserva
in merito all’applicazione degli articoli 2-4 del Protocollo n° 7 (paragrafo
204 sopra). Indipendentemente dalla questione di applicabilità di tale
riserva, la Corte deve esaminare la sua validità: in altri termini, deve
stabilire se la riserva soddisfa le esigenze dell’articolo 57 della Convenzione
(Eisenstecken c. Austria, no 29477/95, § 28, CEDH 2000-X).
Questa disposizione recita:
“1. Ogni Stato, al momento della firma della presente Convenzione o del
deposito del suo strumento di ratifica, può formulare una riserva riguardo a
una determinata disposizione della Convenzione, nella misura in cui una
legge in quel momento in vigore sul suo territorio non sia conforme a tale
disposizione. Le riserve di carattere generale non sono autorizzate ai sensi
del presente articolo.
2. Ogni riserva emessa in conformità al presente articolo comporta una
breve esposizione della legge in questione.”
207. La Corte ribadisce che, per essere valida, una riserva deve rispondere
alle seguenti condizioni: 1) deve essere espressa al momento della firma o
della ratifica della Convenzione o dei suoi Protocolli; 2) deve far
riferimento a determinate leggi in vigore al momento della ratifica; 3) non
deve avere un carattere generale; 4) deve comportare una breve esposizione
della legge in questione (Põder e altri c. Estonia (déc.), no 67723/01,
CEDH 2005-VIII, e Liepājnieks c. Lettonia (déc.), no 37586/06, § 45, 2
novembre 2010).
208. La Corte ha avuto l’occasione di indicare che l’articolo 57 § 1 della
Convenzione richiede da parte degli Stati contraenti “precisione e
chiarezza” e che, richiedendo loro di includere una breve esposizione della
legge in questione, questa disposizione non espone solo una “semplice
esigenza formale”, ma fornisce una “condizione di merito” che costituisce
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
73
“allo stesso tempo un elemento di prova e un fattore di sicurezza giuridica”
(Belilos c. Svizzera, 29 aprile 1988, §§ 55 e 59, serie A no 132 ; Weber c.
Svizzera, 22 maggio 1990, § 38, serie A no 177 ; e Eisenstecken, già citato,
§ 24).
209. Per “riserva di carattere generale”, l’articolo 57 intende in particolare
una riserva formulata in termini poco chiari o troppo generici perché si
possano valutare il senso e il campo di applicazione esatti. La formulazione
della dichiarazione deve permettere di misurare correttamente la portata
dell’impegno dello Stato contraente, in particolare per quanto riguarda le
categorie di cause prese in considerazione, e non deve consentire
interpretazioni diverse (Belilos, già citato, § 55).
210. Nella fattispecie, la Corte nota l’assenza nella riserva in questione di
una “breve esposizione” della legge o delle leggi presumibilmente
incompatibili con l’articolo 4 del Protocollo n° 7. E’ possibile dedurre dalla
formulazione della riserva che l’Italia intendeva escludere dal campo
dell’applicazione di questa disposizione tutti i reati e i procedimenti che non
erano qualificati come “penali” dalla legge italiana. Ciò nonostante, una
riserva che non invoca né include le disposizioni specifiche dell’ordine
giuridico italiano che escludono i reati o i procedimenti dal campo di
applicazione dell’articolo 4 del Protocollo n° 7, non offre sufficienti
garanzie sul fatto che non superi le disposizioni esplicitamente escluse dallo
Stato contraente (vedi, mutatis mutandis, Chorherr c. Austria, 25 agosto
1993, § 20, serie A no 266-B ; Gradinger c. Austria, 23 ottobre 1995, § 51,
serie A no 328-C ; e Eisenstecken, già citato, § 29 ; vedi anche, a contrario,
Kozlova e Smirnova c. Lettonia (déc.), no 57381/00, CEDH 2001-XI). In
questo senso, la Corte ribadisce che persino difficoltà pratiche importanti
nell’indicazione e nella descrizione di tutte le disposizioni che riguardano la
riserva non possono giustificare il mancato rispetto delle condizioni dettate
dall’articolo 57 della Convenzione (Liepājnieks, sentenza già citata, § 54).
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
74
211. Di conseguenza, la riserva invocata dall’Italia non soddisfa le esigenze
dell’articolo 57 § 2 della Convenzione. Questa conclusione è sufficiente
come fondamento dell’invalidità della riserva, senza che sia necessario di
stabilire se altre condizioni formulati nell’articolo 57 siano state adempite
(vedi, mutatis mutandis, Eisenstecken, già citato, § 30).
2. Altri motivi di irricevibilità
212. La Corte constata che il presente motivo di ricorso non è palesemente
infondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione. La Corte
sottolinea inoltre che non incontra nessun altro motivo di irricevibilità e
decide dunque di dichiarala ricevibile.
B. Sul merito
1. Argomenti delle parti
a) I ricorrenti
213. I ricorrenti fanno notare che hanno subito una sanzione penale in
seguito al procedimento davanti alla CONSOB e che sono stati sottoposti a
un procedimento penale per gli stessi fatti.
214. Per quanto riguarda la questione di sapere se il procedimento davanti
alla CONSOB e il procedimento penale erano collegati allo stesso “reato”, i
ricorrenti ribadiscono i principi sanciti dalla Grande Camera nella causa
Sergueï Zolotoukhine c. Russia ([GC], no 14939/03, 10 febbraio 2009), in
cui la Corte ha concluso che è vietato perseguire una persona per un
secondo “reato” quando quest’ultimo scaturisce da fatti identici o che sono
in sostanza gli stessi. Secondo l’opinione dei ricorrenti, nella fattispecie si
verificava esattamente questa situazione.
In questo senso, i ricorrenti ribadiscono che la CJUE ha senz’altro precisato
che l’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali non era contrario al
fatto che uno Stato membro imponesse successivamente, per un unico e
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
75
stesso insieme di fatti di mancato rispetto agli obblighi dichiarativi
nell’ambito dell’imposta sul valore aggiunto, una sanzione fiscale e una
sanzione penale, è a condizione che la prima sanzione non abbia un
carattere penale (vedi Åklagaren c. Hans Åkerberg Fransson, sentenza già
citata, punto 1 del dispositivo); mentre invece, secondo loro, questa
condizione non è presente nella fattispecie, in quanto nonostante la loro
qualificazione formale nel diritto italiano, le sanzioni pronunciate dalla
CONSOB avevano un carattere penale ai sensi della giurisprudenza della
Corte.
b) Il Governo
215. Facendo riferimento agli argomenti sviluppati in riferimento
all’articolo 6 della Convenzione, il Governo sostiene innanzitutto che il
procedimento davanti alla CONSOB non riguardava un’ “accusa in ambito
penale” e che la sentenza della CONSOB non era di natura “penale”.
216. D’altronde, il diritto dell’Unione europea ha autorizzato espressamente
il ricorso a una doppia sanzione (amministrativa e penale) nell’ambito della
lotta contro i comportamenti abusivi sui mercati finanziari. Tale ricorso
costituirebbe una tradizione costituzionale comune agli Stati membri, in
particolare negli ambiti quali la tassazione, le politiche ambientali e la
sicurezza pubblica. Tenendo conto di quanto espresso prima e del fatto che
alcuni Stati non hanno ratificato il Protocollo n° 7 o hanno rilasciato
dichiarazioni in questo senso, sarebbe consentito considerare che la
Convenzione non garantisce il principio ne bis in idem nello stesso modo in
cui lo fa per gli altri principi fondamentali. Di conseguenza, non sarebbe il
caso di ritenere che l’inflizione di una sanzione amministrativa definitiva
debba impedire l’avvio di un procedimento penale. Il Governo fa
riferimento, su questo punto, all’opinione espressa davanti la CJUE
dall’avvocato generale nelle sue conclusioni del 12 giugno 2012 sulla causa
Åklagaren c. Hans Åkerberg Fransson, già citata.
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
76
217. Ad ogni modo, il procedimento penale in corso contro i ricorrenti non
riguarderebbe lo stesso reato di quello sanzionato dalla CONSOB. In effetti,
ci sarebbe una differenza precisa tra i reati previsti rispettivamente dagli
articolo 187 ter e 185 del decreto legislativo n° 58 del 1998, perché soltanto
nel secondo caso è richiesta la presenza di dolo (la semplice negligenza non
sarebbe sufficiente) e della capacità delle informazioni false e fuorvianti
diffuse di produrre un’alterazione significativa dei mercati finanziari.
Inoltre, soltanto il procedimento penale è suscettibile di condurre
all’inflizione di sanzioni che comportano la privazione della libertà. Il
Governo fa riferimento alla causa R.T. c. Svizzera ((déc.), no 31982/96, 30
maggio 2000), in cui la Corte ha specificato che l’inflizione delle sanzioni
da due autorità distinte (una amministrativa, l’altra penale) non è
incompatibile con l’articolo 4 del Protocollo n° 7. In questo senso, la
circostanza
che
uno
stesso
comportamento
possa
violare
contemporaneamente l’articolo 187 ter e l’articolo 185 del decreto
legislativo n° 58 del 1998 non sarebbe pertinente, perché si tratterebbe di un
caso tipico di concorso ideale di reati, caratterizzato dalla circostanza che un
fatto penale unico si scompone in due reati distinti (vedi Oliveira c.
Svizzera, no 25711/94, § 26, 30 luglio 1998 ; Goktan c. Francia no
33402/96, § 50, 2 luglio 2002 ; Gauthier c. Francia (déc.), no 61178/00, 24
giugno 2003 ; e Ongun c. Turchia (déc.),no 15737/02, 10 ottobre 2006).
218. Conviene infine notare che per garantire la proporzionalità tra la pena e
i fatti incriminati, il giudice penale può tener conto della sanzione
amministrativa già inflitta e decidere di ridurre la sanzione penale. In
particolare, l’ammontare dell’ammenda amministrativa è dedotto dalla
sanzione pecuniaria penale (articolo 187 terdecies del decreto legislativo n°
58 del 1998) e i beni già sequestrati nell’ambito del procedimento
amministrativo non potranno più essere confiscati.
2. La valutazione della Corte
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
77
219. La Corte ribadisce che nella causa Sergueï Zolotoukhine (già citata, §
82), la Grande Camera ha specificato che l’articolo 4 del Protocollo n° 7
deve essere inteso come il divieto di perseguire o giudicare una persona per
un secondo “reato” quando quest’ultimo scaturisce da fatti che sono in
sostanza gli stessi.
220. La garanzia sancita dall’articolo 4 del Protocollo n° 7 può essere
invocata quando un nuovo procedimento è avviato e la sentenza anteriore di
assunzione o condanna è già passata in giudicato. A questo punto, gli
elementi della pratica conterranno per forza anche la sentenza che
rappresenta l’esito del primo “procedimento penale” e l’elenco delle accuse
mosse contro il ricorrente nel nuovo procedimento. Normalmente, questi
documenti conterranno un’esposizione dei fatti riguardanti il reato per il
quale il ricorrente è già stato giudicato e un’altra esposizione sul secondo
reato di cui è accusato. Queste esposizioni costituiscono un utile punto di
partenza per l’esame da parte della Corte sulla questione di sapere se i fatti
dei due procedimenti sono identici o sostanzialmente gli stessi.
Poco importa quali punti di queste nuove accuse siano ritenuti o scartati alla
fine nel procedimento ulteriore, perché l’articolo 4 del Protocollo n° 7
sancisce una garanzia contro un nuovo procedimento o il rischio di un
nuovo procedimento, e non il divieto di una seconda condanna o di una
seconda assunzione (Sergueï Zolotoukhine, già citato, § 83).
221. La Corte deve quindi svolgere il suo esame sui fatti descritti in queste
esposizioni, che costituiscono un insieme di circostanze fattuali concrete che
implicano lo stesso contravventore e che sono collegate in modo
indissociabile tra di loro nel tempo e nello spazio, la presenza di queste
circostanze dovendo essere accertata affinché possa essere pronunciata una
condanna o che possa essere avviato il procedimento penale (Sergueï
Zolotoukhine, già citato, § 84).
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
78
222. Applicando questi principi nella fattispecie, la Corte nota innanzitutto
che ha appena deciso, in merito all’articolo 6 della Convenzione, che era
possibile considerare che il procedimento davanti alla CONSOB riguardava
un’ “accusa in materia penale” contro i ricorrenti (paragrafo 101 sopra) e
osserva inoltre che le sanzioni inflitte dalla CONSOB e parzialmente ridotte
dalla corte di appello sono passate in giudizio il 23 giugno 2009, quando
sono state pronunciate le sentenze della Corte di cassazione (paragrafo 38
sopra).
A partire da quel momento, i ricorrenti dovevano essere quindi considerati
come “già condannati per un reato a seguito di una sentenza definitiva” ai
sensi dell’articolo 4 del Protocollo n° 7.
223. Nonostante ciò, il nuovo procedimento penale che era stato avviato nel
frattempo nei loro confronti (paragrafi 39-40 sopra) non sono stati fermati e
hanno portato alla pronuncia di decisioni di prima e di seconda istanza.
224. Occorre stabilire se questo nuovo procedimento ha all’origine fatti che
sono sostanzialmente gli stessi di quelli che costituivano l’oggetto della
condanna definitiva. In questo senso, la Corte fa notare che, contrariamente
a quanto sembra affermare il Governo (paragrafo 217 sopra), dai principi
enunciati nella causa Sergueï Zolotoukhine précitée risulta che la questione
sulla quale è necessario pronunciarsi non è quella di sapere se gli elementi
costitutivi dei reati previsti dagli articoli 187 ter e 185 § 1 del decreto
legislativo n° 58 del 1998 sono identici o meno, ma quella di stabilire se i
fatti incriminati ai ricorrenti davanti alla CONSOB e davanti alle
giurisdizioni penali facevano riferimento allo stesso comportamento.
225. Davanti alla CONSOB, i ricorrenti erano accusati essenzialmente di
non aver menzionato nei comunicati stampa del 24 agosto 2005 il progetto
atto alla rinegoziazione del contratto di equity swap con Merrill Lynch
International Ltd quando questo progetto esisteva già e si trovava in uno
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
79
stadio avanzato (paragrafi 20 e 21 sopra).In seguito i ricorrenti sono stati
condannati per questo dalla CONSOB e dalla corte di appello di Torino
(paragrafi 27 e 35 sopra).
226. Davanti alle giurisdizioni penali, gli interessati sono stati accusati di
aver dichiarato, negli stessi comunicati, che Exor non aveva né avviato, né
studiato iniziative relative alla scadenza del contratto di finanziamento,
mentre in realtà l’accordo che modificava l’equity swap era già stato
esaminato e concluso, informazione che sarebbe stata nascosta ai fini di
evitare un probabile calo del prezzo delle azioni FIAT (paragrafo 40 sopra).
227. Agli occhi della Corte, si tratta chiaramente di un unico e stesso
comportamento da parte delle stesse persone alla stessa data. Inoltre, la
corte di appello di Torino stessa, nella sentenza del 23 gennaio 2008 ha
ammesso che gli articoli 187 ter e 185 § 1 del decreto legislativo n° 58 del
1998 avevano come oggetto lo stesso comportamento, ossia la diffusione di
false informazioni (paragrafo 34 sopra). Di conseguenza il nuovo
procedimento riguardava un secondo “reato” che ha all’origine fatti che
sono sostanzialmente identici a quelli che costituivano l’oggetto della
condanna definitiva.
228. Questa costatazione è sufficiente per concludere che è stato violato
l’articolo 4 del Protocollo n° 7.
229. Inoltre, nella misura in cui il Governo afferma che il diritto dell’Unione
europea avrebbe autorizzato espressamente il ricorso a una doppia sanzione
(amministrativa e penale) nell’ambito della lotta contro i comportamenti
abusivi sui mercati finanziari (paragrafo 216 sopra), la Corte, specificando
che il suo dovere non è quello di interpretare la giurisprudenza della CJUE,
osserva che nella sua sentenza del 23 dicembre 2009 nella causa Spector
Photo Group, già citata, la CJUE ha indicato che l’articolo 14 della direttiva
2003/6 non impone agli Stati membri di prevedere sanzioni penali nei
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
80
confronti degli autori di abusi di informazioni privilegiate, ma si limita a
enunciare che gli Stati sono tenuti a vigilare affinché le sanzioni
amministrative siano applicate nei confronti delle persone responsabili di
una violazione delle disposizioni adottate per l’applicazione di questa
direttiva. La CJUE ha inoltre avvertito gli Stati che tali sanzioni
amministrative
erano
suscettibili,
ai
fini
dell’applicazione
della
Convenzione, di essere qualificate come sanzioni penali (paragrafo 61
sopra). Inoltre, nella sua sentenza Åklagaren c. Hans Åkerberg Fransson,
già citata, relativa all’ambito dell’imposta sul valore aggiunto, la CJUE ha
precisato che in base al principio ne bis in idem, uno Stato non poteva
infliggere una doppia sanzione (fiscale e penale) per gli stessi fatti, se non a
condizione che la prima sanzione non sia di carattere penale (paragrafo 92
sopra).
VI. SULL’APPLICAZIONE DEGLI ARTICOLI 41 E 46 DELLA
CONVENZIONE
230. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi
Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se
non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la
Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.”
231. Nelle sue parti pertinenti, l’articolo 46 della Convenzione è così
formulato:
“1. Le Alte Parti contraenti si impegnano a conformarsi alle sentenze
definitive della Corte sulle controversie nelle quali sono parti.
2. La sentenza definitiva della Corte è trasmessa al Comitato dei Ministri
che ne controlla l’esecuzione. (…)”
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
81
A. Indicazione delle misure generali e individuali
1. Principi generali
232. Qualsiasi sentenza relativa ad una violazione comporta per lo Stato
convenuto l’obbligo giuridico nei confronti dell’articolo 46 della
Convenzioni di porre fine a tale violazione e di rimuoverne le conseguenze,
in modo da ristabilire per quanto possibile la situazione precedente alla
violazione. Se, al contrario, il diritto interno non consente o consente solo in
modo imperfetto di rimuovere le conseguenze della violazione, l’articolo 41
abilita la Corte ad accordare alla parte lesa, se del caso, la soddisfazione che
ritiene appropriata. Ne consegue in particolare che lo Stato difensore
ritenuto responsabile di una violazione della Convenzione o dei suoi
Protocolli è chiamato non solo à versare agli interessati le somme allocate a
titolo di equa soddisfazione, ma anche a scegliere, sotto il controllo del
Comitato dei Ministri, le misure generali e/o, se necessario, individuali da
adottare nell’ordine giuridico interno (Maestri c. Italie [GC], no 39748/98, §
47, CEDH 2004-I ;Assanidzé c. Georgia [GC], no 71503/01, § 198, CEDH
2004-II ; et Ilaşcu e altri c. Moldova e Russia [GC], no 48787/99, § 487,
CEDH 2004-VII).
233. La Corte ribadisce che le sue sentenze hanno un carattere
essenzialmente dichiarativo e che in generale spetta per primo allo Stato in
causa di scegliere, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, i mezzi da
utilizzare nel suo ordinamento giuridico interno per adempiere al suo
obbligo nei confronti dell’articolo 46 della Convenzione, nella misura in cui
questi mezzi sono compatibili con le conclusioni contenute nella sentenza
della Corte (vedi anche Scozzari e Giunta c. Italia [GC], nos 39221/98 e
41963/98, § 249, CEDH 2000-VIII ; Brumărescu c. Roumania (equa
soddisfazione) [GC], no 28342/95, § 20, CEDH 2001-I ; e Öcalan c.
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
82
Turchia [GC], no 46221/99, § 210, CEDH 2005-IV). Questo potere di
valutazione delle modalità di applicazione di una sentenza riflette la liberta
di scelta associata all’obbligo primordiale imposto dalla Convenzione agli
Stati contraenti: assicurare il rispetto dei diritti e delle libertà garantite
(Papamichalopoulos e altri c. Grecia (Articolo 50), 31 ottobre 1995, § 34,
serie A no 330-B).
234. Tuttavia, a titolo eccezionale, per aiutare lo Stato convenuto ad
adempiere ai suoi obblighi ai sensi dell’articolo 46, la Corte prova a indicare
il tipo di misure da adottare per porre fine alla situazione strutturale che
constata. In questo contesto, la Corte può formulare più opzioni la cui scelta
e adempimento spettano allo Stato coinvolto (vedi, ad esempio Broniowski
c. Polonia [GC], no 31443/96, § 194, CEDH 2004-V). In certi casi, è
possibile che la natura stessa della violazione constatata non offra in realtà
la possibilità di una scelta fra i diversi tipi di misure in grado di rimediarla,
caso nel quale la Corte può decidere di indicare un’unica misura di questo
tipo (vedi ad esempio, Assanidzé, già citato, §§ 202 e 203; Alexanian c.
Russia, no 46468/06, § 240, 22 dicembre 2008 ; Fatullayev c. Azerbaidjan,
no 40984/07, §§ 176 e 177, 22 aprile 2010 ; e Oleksandr Volkov c. Ucraina,
no 21722/11, § 208, 9 gennaio 2013).
2. Applicazione di questi principi nella fattispecie
235. Nelle circostanze particolari della presente causa, la Corte non ritiene
necessario indicare le misure generali che lo Stato dovrebbe adottare per
l’esecuzione della presente sentenza.
236. Per quanto riguarda invece le misure individuali, la Corte ritiene che
nella fattispecie, la natura stessa della violazione accertata non offre
realmente la possibilità di una scelta fra i diversi tipi di misure in grado di
rimediarla.
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
83
237. In queste condizioni, viste le circostanze particolari della causa e la
necessità urgente di porre fine alla violazione dell’articolo 4 del Protocollo
n° 7 (paragrafo 228 sopra), la Corte ritiene che incombe allo Stato
convenuto di vigilare affinché il nuovo procedimento penale avviato contro
i ricorrenti in violazione di questa disposizione e ancora in corso nei
confronti dei Sigg. Gabetti e Grande Stevens alla data delle ultime
informazioni ricevute, sia chiuso nei tempi più brevi possibili e senza
conseguenze lesive per i ricorrenti (vedi, mutatis mutandis, Assanidzé, già
citato, § 203, e Oleksandr Volkov, già citato, § 208).
B. Danni
238. A titolo di danni materiali subiti, i ricorrenti richiedono la restituzione
delle somme pagate alla CONSOB a titolo di sanzioni pecuniarie (per un
totale di 16 000 000 EUR), più interessi legali. I ricorrenti richiedono inoltre
un risarcimento per il danno morale – per il quale richiedono alla Corte di
fissare l’ammontare procedendo con equo apprezzamento – sottolineando la
loro volontà di ristabilire la loro onorabilità professionale, gravemente
colpita secondo loro dalla pubblicazione della loro condanna sul bollettino
della CONSOB e dalla copertura mediatica della vicenda.
239. Il Governo non presenta nessuna osservazione in merito.
240. La Corte nota che ha appena concluso che vi è stata violazione
dell’articolo 6 § 1 della Convenzione a causa dell’assenza di un’udienza
pubblica davanti alla corte di appello di Torino e dell’articolo 4 del
Protocollo n° 7 per il fatto che un nuovo procedimento penale è stato
avviato dopo la condanna definitiva dei ricorrenti. Queste conclusioni non
implicano che le sanzioni inflitte dalla CONSOB erano di per sé contrarie
alla Convenzione o ai suoi Protocolli. In questo senso, la Corte osserva che
ha ritenuto che non vi era stata violazione del diritto al rispetto della
proprietà dei ricorrenti, sancito dall’articolo 1 del Protocollo n° 1 (paragrafo
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
84
201 sopra). In queste circostanze, la Corte non identifica un nesso causale
tra le violazioni accertate e i danni materiali invocati e respinge la relativa
richiesta.
241. Per quanto riguarda il danno morale legato all’assenza di un’udienza
pubblica davanti la corte di appello di Torino e all’avvio di un nuovo
procedimento nei confronti dei ricorrenti, la Corte, delibera secondo equità e
decide di assegnare 10 000 EUR a ciascuno dei ricorrenti a questo titolo.
C. Spese
242. Appoggiandosi sulle note spese dei loro avvocati, i ricorrenti
richiedono inoltre la somma totale di 20 638 980,69 EUR per le spese
sostenute davanti alle giurisdizioni interne e alla Corte.
243. Il Governo non ha fatto nessun commento in merito.
244. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente non può ottenere
il rimborso delle spese se non nella misura in cui sia accertata la loro realtà,
la loro necessità e il carattere ragionevole del loro ammontare. Nella
fattispecie, tenendo conto dei documenti in suo possesso, della sua
giurisprudenza e del fatto che i ricorrenti sono stati costretti a difendersi
durante un procedimento penale avviato e proseguito in violazione
dell’articolo 4 del Protocollo n° 7, la Corte ritiene equa per tutte le spese
complessive la somma di 40 000 EUR, che sarà accordata congiuntamente
ai ricorrenti.
D. Interessi di mora
245. La Corte giudica appropriato calcolare il tasso di interesse di mora in
base al tasso di interesse per le operazioni di rifinanziamento marginale
della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuali.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
85
1. Dichiara, all’unanimità, il resto delle richieste ricevibile;
2. Statuisce, à l’unanimità, che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1
della Convenzione;
3. Statuisce, con tre voti contro uno che non vi è stata violazione
dell’articolo 6 § 3 a) e c) nei confronti del Sig. Grande Stevens;
4. Statuisce, con cinque voti contro due, che non vi è stata violazione
dell’articolo 1 del Protocollo n° 1;
5. Statuisce, all’unanimità, che vi è stata violazione dell’articolo 4 del
Protocollo n° 7;
6. Statuisce, all’unanimità, che lo Stato convenuto deve vigilare affinché il
nuovo procedimento penale avviato contro i ricorrenti in violazione
dell’articolo 4 del Protocollo n° 7 e ancora in corso nei confronti dei
Sigg. Gabetti e Grande Stevens, alla data delle ultime informazioni
ricevute, sia chiuso nei tempi più brevi possibili (paragrafo 237 sopra);
7. Statuisce, all’unanimità,
a) che lo Stato convenuto deve versare, entro tre mesi a partire dal
giorno in cui la sentenza sarà resa definitiva ai sensi dell’articolo 44
§ 2 della Convenzione, gli importi seguenti:
i)
10 000 EUR (diecimila euro), più quanto dovuto a titolo di
imposta, a ciascun ricorrente per il danno morale;
ii)
40 000 EUR (quarantamila euro), più quanto dovuto a titolo
di imposta dai ricorrenti, ai ricorrenti congiuntamente per le
spese;
b) Che a partire dalla scadenza del detto termine e sino al versamento, a
questi importi si aggiungeranno gli interessi semplici a un tasso pari
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
86
a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca
centrale europea applicabile in questo periodo, aumentato di tre
punti percentuali;
8. Respinge, con cinque voti contro due, la domanda di equa
riparazione per il surplus.
Fatto in francese, comunicato in seguito per iscritto il 4 marzo 2014, ai sensi
dell’articolo 77 §§ 2 e 3 e del regolamento.
Stanley Naismith
Işıl Karakaş
Cancelliere
Presidente
Alla presente decisione si trova allegato, conformemente agli articoli 45 §2
della Convenzione e 74§2 del Regolamento, l’esposizione dell’opinione
comune in parte dissenziente dei giudici
Albuquerque
A.I.K.
S.H.N
Karakaş
e
Pinto
de
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
1
OPINIONE IN PARTE CONCORDANTE E IN PARTE
DISSENZIENTE DEI GUDICI KARAKAŞ E
PINTO DE ALBUQUERQUE
1. Nella causa Grande Stevens e altri, la Corte si confronta nuovamente
con il problema importante del controllo giurisdizionale delle sanzioni
amministrative pecuniarie e non pecuniarie inflitte dalle autorità
amministrative italiane1. L’importanza della causa consiste non soltanto
nella complessità dei diversi vizi di procedura che si sono manifestati
sia nel procedimento amministrativo, che nel procedimento giudiziario,
con l’effetto di sanzioni amministrative chiaramente sproporzionate, ma
anche nel fatto che in seguito, alcuni dei ricorrenti sono stati ancora
perseguiti e sanzionati nell’ambito di un nuovo procedimento, penale,
per gli stessi fatti sui quali si fondava il procedimento amministrativo.
Tenendo conto del fatto che numerosi altre giurisdizioni europee si
sono confrontate con problemi similari, si può affermare che le
ripercussioni di questa causa superano senz’altro i limiti del sistema
giuridico italiano.
2. Siamo d’accordo con la maggioranza per decidere che l’articolo 6 della
Convenzione europea sui diritti dell’uomo (la Convenzione) nel suo
aspetto penale è applicabile al procedimento amministrativo e al
procedimento giudiziario previsti dall’articolo 187 septis del TUF
(Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione
finanziaria, testo unico delle disposizioni relative all’intermediazione
1
Vedi Menarini Diagnostics SRL c. Italia, no 43509/08, 27 settembre 2011, sulle pene
applicate dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
2
finanziaria) e dall’articolo 23 della legge n° 689 del 24 novembre 1981,
nonché alle sanzioni imposte successivamente ai sensi dell’articolo 187
ter del TUF; che il procedimento amministrativo davanti alla CONSOB
(Commissione Nazionale per le Società e la Borsa) non è stato equo; e
che la procedura davanti alla corte di appello e alla Corte di cassazione
non ha rimediato a questa mancanza di equità. In cambio, diversamente
dalla maggioranza, riteniamo che la conclusione secondo la quale i
ricorrenti non hanno beneficiato di alcun ricorso effettivo davanti alle
giurisdizioni interne non deriva solo dal fatto che la corte di appello non
ha tenuto udienze pubbliche. Riteniamo invece che l’essenza della
violazione dell’articolo 6 risiede nel fatto che non è stato eseguito un
esame contraddittorio delle testimonianze contestate e che i ricorrenti e
che i ricorrenti non sono stati sentiti in un’udienza tenuta davanti al
tribunale.
3. Non condividiamo neanche l’avviso della maggioranza in merito alla
legalità e alla proporzionalità delle sanzioni inflitte dalla corte di
appello e confermate dalla Corte di cassazione e all’ammontare
dell’equa soddisfazione stabilito dalla Corte europea dei diritti
dell’uomo (la Corte). Infine, il giudice Pinto de Albuquerque trova che
la modifica dell’accusa da parte della corte di appello non è compatibile
con la Convenzione.
Il carattere non equo del procedimento davanti alla CONSOB
4. I ricorrenti sono stati giudicati colpevoli del reato amministrativo di
manipolazione del mercato. Questo reato è disciplinato dall’articolo
187 ter del TUF ed è passibile di sanzioni fissate in base ad un
procedimento definito agli articoli 187 septis del TUF e 23 della legge
n° 689 del 24 novembre 1981. Il procedimento davanti alla CONSOB
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
3
non equo in riferimento alle norme imposte dall’articolo 6 della
Convenzione2.
5. Secondo l’articolo 2 della decisione n° 15086 della CONSOB del 21
giugno 2005, il procedimento repressivo inizia con la comunicazione
ufficiale all’interessato del reato di cui è sospettato (la formale
contestazione degli addebiti) sulla base di elementi risultanti
dall’attività di controllo dell’istituzione. Sia ex officio sia in seguito ad
una segnalazione effettuata da un’autorità pubblica nazionale o
straniera o a una denuncia di un privato, la CONSOB può avviare un
procedimento segreto di pre-indagine (fase pre-istruttoria), durante la
quale la persona controllata può essere sottoposta ai poteri enunciati
dall’articolo 187 octies del TUF. Dato che questa fase pre-istruttoria
non ha limiti di tempo, nessun confine preciso non è stabilito tra la
funzione generale di controllo della CONSOB e la sua funzione
repressiva, il rischio essendo che questo flou tra le sue varie funzioni
non sia strumentalizzato con lo scopo di trarre vantaggio dagli obblighi
giuridici di informazione, di comunicazione dei documenti e di
cooperazione con la CONSOB in qualità di organo di controllo del
mercato, obblighi che incombono alla persona controllata. Durante il
procedimento repressivo, è presente una separazione formale e organica
tra l’Ufficio Insider Trading (ufficio di repressione dei delitti di abuso
di informazioni privilegiate), nelle cui competenze rientrano l’avvio dei
procedimenti contro la persona sospettata e la valutazione dei
documenti scritti che presenta per la sua difesa, l’Ufficio Sanzioni
Amministrative, nelle cui competenze rientrano le indagini e il rapporto
finale che stabilisce l’accusa formale e propone un ammontare per le
sanzioni da infliggere, e la CONSOB in qualità di commissione, nelle
2
L’applicabilità dell’articolo 6 al procedimento amministrativo davanti alla CONSOB e
alle sanzioni pronunciate al termine del procedimento è già stata spiegata in modo
convincente dalla maggioranza.
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
4
cui competenze rientrano la decisione amministrativa definitiva.
Tuttavia, questa separazione formale e organica non garantisce la
separazione effettiva tra le funzioni di inchiesta e le funzioni di giudizio
richiesta dall’articolo 187 septies n° 2 del TUF stesso, e questo per
quattro ragioni. In primo luogo, il presidente della CONSOB è
incaricato della supervisione dell’indagine preliminare e di dare
istruzioni sul funzionamento degli uffici e direttive per il loro
coordinamento3. In secondo luogo, il presidente partecipa direttamente
all’esercizio dei più importanti poteri d’ispezione e di altri poteri di
inchiesta conferiti alla CONSOB dagli articoli 115 e 187 octies del
TUF, su proposta delle direzioni competenti4. In terzo luogo, la
CONSOB in qualità di commissione può esercitare poteri di inchiesta
estremamente invasivi, come ad esempio il sequestro di beni5. In quarto
luogo, la decisione della CONSOB può essere motivata per relationem,
in riferimento agli atti precedenti di procedura6, e può anche essere
presa
per
consenso
tacito
dai
membri
della
commissione7.
Considerando quanto esposto, la CONSOB in qualità di commissione è
molto lontana dall’essere un organo imparziale indipendente dai servizi
di inchiesta e di procedimento dell’ufficio di repressione dei delitti di
abuso di informazioni privilegiate e dall’ufficio delle sanzioni
amministrative. A questa mancanza sistematica fondamentale del
3
Articolo 1 §§ 6 e 18 della legge n° 216 del 7 giugno 1974 e articolo 5 § 1 b) e e) della
risoluzione n° 8674 della CONSOB del 17 novembre 1994.
4
Risoluzione n° 15087 del 21 giugno 2005.
5
Risoluzioni della CONSOB n° 15086 del 21 giugno 2005, 15131 del 5 agosto 2005 e
16483 del 20 maggio 2008. Nelle osservazioni del 7 giugno 2013, il Governo ha ammesso
questo, ma ha sostenuto che nella fattispecie il presidente della CONSOB non aveva
“esercitato nessuno di questi poteri” durante la fase di inchiesta. Questo argomento non è
pertinente. Il semplice fatto che il presidente di un organo che decide sulla causa possa
intervenire nella fase precedente al giudizio mette in pericolo l’imparzialità e
l’indipendenza oggettiva di questo organo.
6
Sentenze della Corte di cassazione né10757 del 24 aprile 2008 e 389 dell’11 gennaio
2006.
7
Articolo 18 della risoluzione n° 8674/1994 della CONSOB del 17 novembre 1994.
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
5
procedimento amministrativo si aggiunge una grave disuguaglianza tra
le parti.
6. E’ vero che l’ufficio di repressione dei delitti di abuso di informazioni
privilegiate ha espresso il suo parere in un rapporto (relazione
istruttoria) del 13 settembre 2006 e in una nota complementare del 19
ottobre 2006 che sono stati entrambi comunicati ai ricorrenti e che il
termine di 30 giorni a disposizione per presentare una risposta alla nota
complementare era ragionevole. Il fatto però è che non vi è stato
contro-esame dei testimoni che l’ufficio ha sentito. Inoltre, ad
eccezione del Sig. Stevens, i ricorrenti non sono stati interrogati.
L’ufficio di sanzioni amministrative ha adottato l’atto finale di accusa il
19 gennaio 2007, ma l’atto non è stato notificato ai ricorrenti8. La
CONSOB ha adottato la sua decisione il 9 febbraio 2007. I ricorrenti
erano stati senz’altro avvertiti delle sue delibere, ma non avevano avuto
modo di presentarle i loro argomenti. Inoltre, la decisione è stata
adottata al termine di una riunione che non è stata pubblica, ma alla
quale hanno partecipato solo un funzionario dell’ufficio delle sanzioni
amministrative, riunione alla quale i ricorrenti non hanno potuto
assistere e della quale non hanno potuto ottenere il verbale. Solo
l’accusa ha avuto il diritto alla parola davanti alla CONSOB, i ricorrenti
non hanno potuto esprimersi davanti alla commissione9.
7. La motivazione del carattere inquisitorio e ineguale di questo
procedimento è la seguente: secondo la Corte di cassazione, gli articoli
24 (diritto di difesa) e 111 (giusto processo) della costituzione italiana
8
Questa mancata notifica è stata giudicata contraria al principio del contraddittorio, in
particolare per quanto riguarda la quantificazione della sanzione, che si appoggia
generalmente su fatti non comunicati alla persona sospettata (sentenza n° 51 della corte di
appello di Genova, 24 gennaio e 21 febbraio 2008)
9
Questo fatto è già stato giudicato inammissibile alla luce del principio di imparzialità
(sentenza n° 3070 del tribunale amministrativo del Lazio (TAR Lazio), Roma, 10 aprile
2002).
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
6
non si applicano alla fase amministrativa del procedimento repressivo e
il “diritto di dibattito durante il procedimento non si applica alla
sanzione né ai criteri di qualificazione”10. Questo consente alle
risoluzioni della CONSOB n° 12697 del 2 agosto 2000 e n° 15086 del
21 giugno 2005 di non rispettare questi diritti costituzionali, in
particolare quelli che impongono la presenza di un contro-esame dei
testimoni a carico davanti al tribunale e la comparsa dei testimoni della
difesa nelle stesse condizioni riservate ai testimoni dell’accusa. Infatti,
l’intenzione lodevole del legislatore italiano quando ha adottato la
nuova versione dell’articolo 187 septies n° 2 del TUF nel 2005 è stata
ribaltata in pratica sia dalla
giurisprudenza che dalle decisioni
amministrative. La successione di due fasi di comunicazione degli atti
scritti per la difesa, davanti all’ufficio di repressione dei delitti di abuso
di informazioni privilegiate, poi davanti all’ufficio delle sanzioni
amministrative, non porta alcun valore aggiunto effettivo al
procedimento e non compensa il fatto che la presentazione e l’esame
degli elementi di prova non sono in realtà in contraddittorio ed è
presente una disuguaglianza delle armi tra le parti.
La mancanza di controllo giurisdizionale effettivo della decisione della
CONSOB
8. Il controllo giurisdizionale delle decisioni che hanno lo scopo di
infliggere sanzioni amministrative adottate dalla CONSOB passava
prima da un ricorso presentato davanti alla corte di appello ai sensi
dell’articolo 187 septies n° 6 del TUF e dell’articolo 23 della legge
689/1981 e da un ricorso presentato davanti alla Corte di cassazione
ai sensi dell’articolo 360 del codice di procedura civile (CPC).
Questi articoli sono stati abrogati in seguito dal nuovo CPA (Codice
10
Vedi l’esempio della sentenza del 23 giugno 2009 della Corte di cassazione, pagina 38.
Questa giusrisprudenza è stata contestata (ad esempio, il Consiglio di Stato ha difeso la tesi
opposta nella sua opinione n° 485 del 13 aprile 1999).
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
7
del Processo Amministrativo) approvato dal decreto legislativo n°
104 del 2 luglio 2010. Il nuovo articolo 133 § 1 l) del CPA conferiva
al giudice amministrativo una competenza esclusiva (giurisdizione
esclusiva)
per
quanto
riguarda
i
procedimenti
repressivi
(provvedimenti sanzionatori) della CONSOB, e il nuovo articolo
134 § 1 c) dello stesso codice includeva le liti relative alle sanzioni
pecuniarie tra queste competenze esclusive, l’esame estendendosi al
merito (cognizione estesa al merito), cioè in vertù di queste
disposizioni, il giudice amministrativo non controllava solo la
regolarità dell’azione amministrativa, ma anche la sua opportunità,
la sua convenienza, la sua utilità e la sua equità. Nella sua sentenza
n° 162 del 27 giugno 2012, la Corte costituzionale ha dichiarato
incostituzionali queste disposizioni del decreto legislativo 104/2010
e la competenza del giudice ordinario, cioè della corte di appello, è
stata ristabilita per i procedimenti repressivi della CONSOB11.
9. Ai sensi dell’articolo 187 septies n° 6 del TUF insieme all’articolo
23 della legge 689/1981, che erano applicabili nella fattispecie, la
corte d’appello può, anche di propria iniziativa, determinare gli
elementi di prova che stima necessari e citare testimoni, annullare in
tutto o in parte la decisione contestata o riformarla, anche solo in
riferimento all’ammontare delle sanzioni, e sentire l’appellante in
persona all’udienza. In termini più chiari, questo significa che ha il
potere non solo di controllare la decisione contestata, ma anche di
riesaminare la causa tota re perspecta, cioè di riesaminare tutta la
11
Vedi in questo senso, ad esempio, la sentenza n° 6211 della prima sezione del tribunale
amministrativo regionale del Lazio (Roma) del 20 giugno 2013. Questa causa è di interesse
anche nella misura in cui mostra che le disposizioni applicabili alla presente causa sono
ancora in vigore.
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
8
questione alla luce dei punti di diritto e di fatto sollevati dagli
appellanti12.
10. Nell’esercizio dei poteri di controllo che gli conferisce l’articolo 187
septies n° 6 del TUF e l’articolo 23 della legge 689/1981, la corte di
appello conosce un unico limite: l’interdizione della reformatio in
pejus13. D’altronde, le sanzioni amministrative pecuniarie e di altro
tipo pronunciate dalla CONSOB dovevano far riferimento alla
“gravità della violazione” e tener conto di una “eventuale rediciva”
dell’autore della violazione, cioè sono legate a criteri che non
possiamo
considerare
come
l’espressione
di
un
potere
amministrativo discrezionale14. Questi stessi criteri sono vincolanti
per la giurisdizione d’appello quando controlla le decisioni
riguardanti l’imposizione di sanzioni amministrative prese dalla
CONSOB.
11. La questione è che la corte di appello ha rinunciato nella fattispecie a
esercitare i suoi poteri di riesame. Questo risulta chiaramente da una
lettura attenta della pratica e in particolare delle cinque sentenze che
ha reso nella causa. Infatti, la corte di appello a respinto i ricorsi
sulla base degli elementi della pratica di accusa riuniti da un organo
amministrativo, mentre questi elementi erano stati raccolti in segreto
e in assenza di confronto contraddittorio dei testimoni e la loro
pertinenza oggettiva e soggettiva erano contestate. La corte si è
dichiarata soddisfatta dalle dichiarazioni scritte degli appellanti e
12
Questo controllo giurisdizionale è dunque diverso dal controllo giurisdizionale “debole”
(sindacato giurisdizionale «debole») delle sanzioni amministrative imposte dall’Autorità
Garante della Concorrenza e del Mercato che esercitava il giudice amministrativo prima
dell’entrata in vigore del nuovo CPA (vedi l’opinione del giudice Pinto de Albuquerque
nella causa Menarini Diagnostics).
13
Vedi le sentenze della Corte di cassazione n° 23930 del 9 novembre 2006 e 1761 del 27
gennaio 2006.
14
Vedi le sentenze della Corte di cassazione n° 13703 del 22 luglio 2004, 1992 dell’11
febbraio 2003 e 9383 dell’11 luglio 2001.
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
9
degli elementi scritti dell’accusa. E questo è stato tutto! Non ha
sentito i testimoni, non ha interrogato nessun ricorrente, non ha
sollecitato perizie. Invece ha utilizzato come principali prove per
fondare la condanna dei ricorrenti le disposizioni dei testimoni
Claudio Salini, responsabile dell’ufficio di controllo dei mercati, e di
Antonio Rosati, direttore generale della CONSOB, deposizioni che
ha persino ritrascritto nelle sue sentenze quasi interamente15. Per
riferirla utilizzando il linguaggio giuridico, la corte di appello non ha
fatto altro che una semplice reformatio (riforma) della coerenza
logica della decisione contestata, evitando di procedere a un reale
revisio (riesame) della causa.
12. Pertanto, gli appellanti avevano richiesto che la loro causa fosse
pienamente riesaminata e i Sigg. Stevens e Marrone avevano
richiesto persino che la corte di appello sentisse sui fatti della causa
dei testimoni specifici16. E’ evidente che i fatti sui quali
desideravano sentire i testimoni fossero quelli indicati nelle
deposizioni scritte che questi avevano precedentemente firmato
durante la fase non giudiziaria del procedimento. E’ ancora più
evidente che si aspettassero che la corte di appello stessa
15
Vedi le pagine 27, 32, 33, 38 e 39 della sentenza della corte di appello del 5 dicembre
2007 per il ricorso del Sig. Stevens (depositato in cancelleria il 23 gennaio 2008). Si
trovano otto riferimenti alle deposizioni di questi due testimoni, a volte accompagnate da
lunghe citazioni. Lo stesso vale per le pagine 28, 29, 38, 40 e 41 della sentenza del Sig.
Gabetti e alle pagine 38, 47, 48 e 49 della sentenza di IFIL Investments spa. Le altre due
sentenze ripetono in sostanza gli stessi argomenti. Infatti, le cinque sentenze sono state rese
da formazioni in cui due o tre giudici erano sempre gli stessi.
16
Osservazioni davanti alla corte di appello il 25 settembre 2007: pagine 81 e 82 delle
osservazioni del Sig. Stevens e pagine 64 e 65 delle osservazioni del Sig. Marrone. Il Sig.
Stevens richiedeva che la corte di appello esaminasse i testimoni “sui fatti riferiti dai
documenti medesimi”. Inoltrava l’elenco dei seguenti testimoni: Enrico Chiapparoli,
Maurizio Tamagnini, John Winteler, Virgilio Marrone, Alistair Featherstone, Stephen
Woodhead, Michael O’Donnell, Sergio Marchionne, Lupo Rattazi, Teodorani Fabbri,
Antonio Marroco, Claudio Salini e Antonio Rosati. Il Sig. Marrone era stato anche egli
preciso. Richiedeva che i testimoni Andrea Griva e John Winteler fossero sentiti sui fatti
che avevano descritto nelle loro deposizioni scritte e si riservava il diritto di richiedere altri
elementi di prova alla luce delle prove che avrebbe comunicato la CONSOB ulteriormente
(riserva di ulteriore istanze istruttorie).
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
10
raccogliesse le testimonianze, come poteva farlo nell’esercizio dei
poteri che le conferiva la legge, sia su richiesta degli appellanti, sia
di propria iniziativa, e senza specificare quali erano gli elementi da
provare. Il fatto che gli appellanti hanno pregato la corte di appello
di sentire i testimoni “ove occorresse” o per “eventuale insufficienza
o inutilizzabilità dei documenti” non modifica evidentemente la loro
intenzione né la natura della loro richiesta. Infatti, hanno
semplicemente ripreso nelle loro richieste di istanze istruttorie i
termini della legge stessa, secondo la quale spettava al giudice di
determinare le prove che giudicava “necessarie” ai fini di decidere
sulla causa e di provare la versione dei fatti esposta dagli
appellanti17.
13. E’ essenziale procedere a un contro-esame dei testimoni davanti al
tribunale, perché le loro rispettive versioni sul modo in cui i fatti
erano cambiati tra aprile e agosto 2005 presentavano gravi
contraddizioni. Era altrettanto importante che i ricorrenti fossero
esaminati da un giudice, tenendo conto del fatto che si discuteva
della loro intenzione di ingannare18. In altri termini, era di
un’importanza capitale determinare se la CONSOB era a conoscenza
della soluzione giuridica elaborata dal Sig. Stevens e non aveva
ritenuto necessario renderla pubblica vista la sua natura embrionale,
17
Articolo 23 § 6 della legge n° 689/1981.
E’ incomprensibile il fatto che la corte di appello abbia deciso sulla questione generale di
dolus malus del Sig. Stevens e in particolare sull’affermazione secondo la quale avrebbe
fatto un errore di diritto a causa della CONSOB senza nemmeno interrogare l’interessato e
sulla base esclusiva delle deposizioni dei testimoni dell’accusa, i Sigg. Salini e Rosati
(pagine 38 e 39 della sentenza della corte di appello). Era di massima importanza che
fossero confrontati i testimoni con il Sig. Stevens ai fini di valutare il suo mens rea, e
insieme ai rappresentanti di Merryl Linch, i Sigg. Enrico Chiapparoli e Maurizio
Tamagnini, ai fini di verificare la presenza di false infromazioni (vedi anche le
testimonianze di Lupo Ratazzi, Pio Fabbri e Antonio Marocco, che contraddicono la tesi
della CONSOB). E’ dunque inammissibile dire, come lo ha fatto il Governo nelle sue
osservazioni del 7 giugno 2013 (pagine 58 e 59) che “la natura e il livello di sofisticazione
di certi reati di abuso di mercato non si prestano ad un procedimento orale”.
18
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
11
incerta e condizionata e ai fini di evitare un impatto artificiale su un
mercato già instabile. Se questa versione dei fatti fosse stata
confermata, sarebbe apparso che il comportamento della CONSOB
aveva creato le circostanze della commissione del reato da sola e che
la commissione aveva incastrato i ricorrenti e poi li aveva sanzionati
per quello che sapeva essere ancora una pura intenzione al momento
dei fatti (cogitatio poenam nemo patitur). Non è solo, come sembra
affermare la maggioranza, il fatto che una formalità (la tenuta di
un’udienza pubblica) non è stata rispettata che colpisce in questa
causa. E’ molto più di questo. Quello che è veramente urtante, è
l’assenza totale di esame contradditorio durante un’udienza davanti
un tribunale degli elementi di prova contestati, che riguardavano fatti
importantissimi. La corte di appello ha accettato e riferito senza
riserva le testimonianze raccolte dall’organo di accusa sena lasciare
ai ricorrenti la possibilità di procedere ad un vero contro-esame dei
testimoni sui fatti della causa19. Anche se queste mancanze sono
state segnalate davanti la Corte di cassazione, questa non ha
rimediato, respingendo i reclami sugli errori procedurali perché
tardivi e dichiarando che ad ogni modo l’insieme della procedura
sanzionata dalla risoluzione n° 15608 della CONSOB era del tutto
conforme per assicurare il rispetto dei principi di un processo equo.
14. L’importanza di sottoporre i testimoni a un contro-esame davanti a
un tribunale non può essere e non avrebbe dovuto essere
sottostimato in un procedimento sanzionatorio che si può concludere
con l’inflizione di ammende di milioni di euro e di sanzioni non
pecuniarie suscettibili di nuocere per sempre alla carriera dei
19
E’ esattamente la pretesa formulata dai ricorrenti più volte davanti la Corte, nelle loro
richieste e in seguito nelle osservazioni. L’ultima frase del paragrafo 150 della sentenza è
quindi del tutto sbagliata e anche contraddittoria con le affermazioni fatte ai paragrafi 110 e
117 in fine della sentenza.
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
12
condannati, o addirittura di ditruggerli definitivamente. La Corte
stessa ha sottolineato in casi molto meno gravi la necessità per le
giurisdizioni di seconda istanza di provare la solidità delle
testimonianze dell’accusa e della difesa in un dibattito pubblico
davanti al giudice20. Questo vale a fortiori per l’esame degli
appellanti, in particolare quando è in causa l’elemento soggettivo
della violazione21. Nella fattispecie, le giurisdizioni interne non
hanno rispettato queste norme enunciate dalla Corte.
La modifica dell’accusa da parte della corte di appello a scapito
dell’appellante22
15. Il Sig. Stevens lamenta che la corte di appello abbia modificato
l’accusa nei suoi confronti. Giustamente. Per accusare una persona
di aver commesso il reato previsto dall’articolo 187 ter del TUF
(reato amministrativo di manipolazione del mercato), non è
sufficiente dire in termini generici che ha partecipato alla diffusione
di false notizie. Questo significherebbe solo ripetere la formulazione
20
La sentenza che sancisce il principio è Ekbatani c. Svezia (plénière), no 10563/83, 26
maggio 1988. Ai paragrafi 32 e 33 della sentenza, la Corte conclude che vi è stata
violazione dell’articolo 6 a causa dell’assenza dell’interrogazione del ricorrente e del
resistente in una causa in cui si chiedeva il riesame da parte della giurisdizione di seconda
istanza dei punti di diritto e dei punti di fatto. E’ necessario sottolineare che la Corte ha
concluso che vi è stata violazione anche se la giurisdizione di primo grado aveva deciso
sulle accuse penali mosse contro il ricorrente al termine di un’udienza pubblica alla quale
l’interessato era comparso, era stato sentito e aveva esposto i suoi argomenti per la difesa.
Nella causa presente, la corte di appello ha agito in qualità di giurisdizione di prima istanza,
fatto che rendeva ancora più necessario procedere a un contro-esame dei testimoni e
all’interrogazione degli appellanti davanti al tribunale in seduta pubblica.
21
Nella causa Tierce e altri c. Saint-Marin (nos 24954/94, 24971/94 et 24972/94, 25
luglio 2000), i ricorrenti non avevano potuto assistere in appello in persona a un’udienza
pubblica. Come il Sig, Stevens, il sig. Tierce affermava che l’elemento soggettivo della
violazione (l’intenzione di ingannare) era assente. In un’altra causa, la Corte è andata
ancora più lontano e ha concluso che persino la presenza di informazioni confidenziali in
una pratica non implicavano automaticamente la necessità di tenere le sedute a porte
chiuse senza mettere in bilancia pubblicità e interessi della sicurezza nazionale (Belashev c.
Russia, no 28617/03, 4 dicembre 2008).
22
Il giudice Karakas non è in disaccordo con la maggioranza in merito alla regolarità delle
modifiche dell’accusa dalla corte di appello
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
13
della disposizione di legge. L’accusa deve specificare quali sono
stati i fatti che giustificano tale qualificazione. Per dirlo in termini
tecnici, deve descrivere, con il grado di specificità necessario, come,
quando, dove e con quali mezzi l’accusato ha partecipato al reato.
Nella fattispecie, la CONSOB aveva accusato il Sig. Stevens di aver
partecipato
alla
decisione
di
diffondere
informazioni
presumibilmente false in qualità di “amministratore di IFIL”, cosa
che si è dimostrata falsa. Per evitare di dover pronunciare
un’assunzione, la corte di appello ha modificato l’oggetto
dell’accusa, imputando all’appellante un fatto diverso: avrebbe
partecipato alla commissione del reato in qualità di avvocato
nell’ambito della sua attività di consulenza. Questa modifica
dell’accusa dalla corte di appello a scapito dell’appellante è
inammissibile.
16. Secondo l’articolo 23 della legge 689/1981, la corte di appello ha il
potere di modificare la decisione contestata sia nei punti di diritto
che nei punti di fatto. Questo potere ha però dei limiti intrinseci.
Ai sensi del principio dell’interdizione della reformatio in pejus, il
controllo giurisdizionale non può modificare la decisione contestata
se non a favore dell’appellante; la decisione non può essere
modificata a scapito dell’appellante. Inoltre, se i principi generali
della “corrispondenza tra contestazione e condanna”23 e della
separazione delle funzioni istruttorie e di giudizio24 sono applicabili
ai procedimenti amministrativi, lo sono a fortiori per un
procedimento giudiziario davanti la corte di appello. La corte di
23
Secondo l’articolo 14 della legge n° 689/1981, la persona sospettata non può essere
riconosciuta colpevole di fatti che non le sono mai stati imputati nella notifica della
violazione (sentenza della Corte di cassazione n° 10145 del 2 maggio 2006 e n° 9528 dell’8
settembre 1999).
24
Articolo 187 septies n° 2 del TUF.
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
14
appello assume il ruolo d’organo istruttorio se introduce nell’accusa
nuovi fatti a scapito dell’appellante. Ed è esattamente quello che ha
fatto la corte di appello di Torino nella fattispecie.
17. Un ultimo contro-argomento deve essere esposto. Il ragionamento
secondo il quale il fatto nuovo è “una qualità giuridica senza
pertinenza” e che può essere quindi aggiunto all’accusa è errato e
può essere respinto per tre ragioni. In primo luogo, nella sua
decisione, la CONSOB aveva aggravato la sanzione del Sig. Stevens
perché aveva stimato che facesse parte degli amministratori d’IFIL
Investments s.p.a.25 Nel secondo luogo, la qualità giuridica in cui il
Sig. Stevens agiva è essenziale, in quanto determina se era l’autore
principale del reato, che aveva il potere di prendere la decisione di
diffondere le informazioni in causa, oppure era un semplice
complice, che aveva solo il potere di dare un consiglio giuridico a
coloro che erano responsabili della decisione. Modificando questa
qualità, la corte di appello ha modificato un elemento essenziale
dell’accusa, chiaramente pertinente per la valutazione della
colpevolezza oggettiva e soggettiva del Sig. Stevens, e questo senza
il consenso dell’interessato26. In terzo luogo, questo nuovo fatto era
pertinente anche da un punto di vista della responsabilità delle
società coinvolte nel procedimento, dato che se il Sig. Stevens era
uno degli amministratori d’IFIL Investments s.p.a., la responsabilità
dell’impresa nei confronti dell’articolo 187 quinquies del TUF era
presente.
25
Vedi la pagina 137 della decisione della CONSOB del 9 febbraio 2007.
Quest’affermazione vale anche per le violazioni che non sono illecito proprio, ossia che
possono essere commesse solo da certe categorie di persone: il fatto che un reato
amministrativo di manipolazione del mercato previsto dall’articolo 187 ter del TUF non sia
illecito proprio non esonera l’organo di inchiesta dell’obbligo di descrivere nell’accusa le
principali caratteristiche del comportamento dell’autore della violazione pertinenti per
l’imputazione, e un fatto relativo alla natura della partecipazione dell’accusato al reato è
senz’altro una caratteristica principale che deve essere esposta dall’accusa.
26
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
15
Il carattere illegale e sproporzionato delle ammende e delle sanzioni
non pecuniarie inflitte ai ricorrenti
18. I ricorrenti sostengono che le sanzioni pecuniarie e non pecuniarie a
loro inflitte non erano né legali né proporzionali. Ai sensi
dell’articolo 187 ter del TUF, le sanzioni pecuniarie applicabili al
reato amministrativo di manipolazione di mercato possono andare
fino a cinque milioni di euro27 ed essere portate a tre o addirittura
venti volte l’ammontare del prodotto o del profitto del reato, tenendo
conto della situazione personale della persona riconosciuta
colpevole, dell’importanza del prodotto o del profitto, o degli effetti
prodotti sul mercato. Se il fatto che la sanzione inflitta per un reato
amministrativo debba seguire l’ammontare del prodotto o del
profitto del reato senza che alcuna soglia sia fissata per l’ammontare
dell’ammenda pone già di per sé un problema nei confronti del
principio nulla poena sine legge stricta consacrato dall’articolo 7
della Convenzione, le proporzioni estremamente importanti nelle
quali l’articolo 187 ter n° 5 del TUF consente di aumentare
l’ammenda sono ancora più problematiche28. Ad ogni modo, le
sanzioni imposte concretamente nella fattispecie non erano né legali
né proporzionali.
19. Le sanzioni inflitte ai ricorrenti non erano regolari perché i
procedimenti amministrativi e giudiziari che avevano portato a tali
sanzioni erano caratterizzati da gravi mancanze. Pretendere che
27
L’articolo 39 § 3 della legge n° 262 del 28 dicembre 2005 ha portato questa somma a 25
milioni di euro.
28
Questa regola va ben oltre quella enunciata all’articolo 17 § 4 della legge tedesca sui
reati amministrativi (Ordnungswidrigkeitengesetz, OWiG), che consente di infliggere una
sanzione pecuniaria equivalente all’ammontare del profitto del reato, anche se questo è
superiore alla soglia legale della pena, e di quella fissata all’articolo 18 § 2 della legge
portoghese sui reati amministrativi (Regime Geral das Contra-Ordenações, RGCO), che
pone la stessa regole con il limite che l’ammontare dell’ammenda è portato all’ammontare
del profitto del reato, ma non può superare di più di un terzo la soglia legale della pena.
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
16
queste mancanze non abbiano colpito ab imo l’esercizio da parte dei
ricorrenti dei diritti alla difesa e supporre che nessun vizio
procedurale non avrebbe potuto incidere sulla decisione in merito
alle sanzioni, nella misura in cui questa decisione era una
conseguenza necessaria dell’accertamento della violazione, è una
grave petizione di principio, fondata sulla presunzione inammissibile
che un procedimento equo non avrebbe portato a un risultato diverso
e che la colpevolezza di un individuo può essere determinata da un
procedimento inquisitorio e ineguale.
20. Inoltre le sanzioni pecuniarie imposte dalla corte di appello sono
sproporzionate: il Sig. Gabetti, che era il presidente delle aziende
commerciali IFIL Investments s.p.a. e Giovanni Agnelli & C. e che
aveva preso la decisione di diffondere i comunicati stampa, ha
ricevuto una sanzione inferiore rispetto a quella inflitta al Sig.
Stevens, avvocato che non aveva nessun potere di decisione, ma che
aveva agito solo come consulente29. La corte di appello ha
condannato l’amministratore che aveva preso la decisione al
pagamento di un’ammenda di un milione duecentomila euro (un
milione per il comportamento in qualità di rappresentante d’IFIL
s.p.a. e 200 000 euro per il suo comportamento in qualità di
rappresentante di Govanni Agnelli & C), e l’avvocato che aveva
29
Come l’articolo 14 dell’OWiG in Germania e l’articolo 16 della RGCO in Portogallo,
che propongono entrambe la “nozione unificata dell’autore del reato” (Einheitstäter
begriff), l’articolo 5 della legge italiana n° 689/1981 non distingue formalmente gli autori
dai loro complici e non prevede soglie diverse per le sanzioni imposte rispettivamente agli
autori principali e ai complici in caso di violazione commessa da più persone. Tuttavia, la
pena di ciascuno dei partecipanti alla commissione dello stesso reato deve essere
proporzionale alla gravità oggettiva del proprio comportamento e alla sua propria
colpevolezza soggettiva personale (vedi ad esempio larticolo 187 ter n° 5 del TUF, che
specifica la “situazione personale della persona ritenuta colpevole” e l’articolo 187 quarter
n° 3 del TUF che specifica la “gravità della violazione” e il “grado di colpevolezza”).
Come dimostrato nella nota 14, la Corte di cassazione è sensibile nella sua giurisprudenza
alla necessità di valutare con cura questi diversi elementi durante la fissazione delle
sanzioni amministrative. E’ esattamente quello che non è stato fatto nella fattispecie.
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
17
avuto solo un ruolo di consulente, e la cui opinione poteva essere
scartata dall’amministratore, a più del doppio, ossia tre milioni di
euro. In altri termini, la sanzione pecuniaria inflitta al complice era
molto più pesante di quella inflitta al suo autore principale!
21. La stessa critica si applica anche alle sanzioni non pecuniarie. Il Sig.
Stevens è stato colpito da quattro mesi di interdizione di esercitare,
come il Sig. Gabetti. In questo modo il complice che ha fornito un
avviso non vincolante all’autore principale che ha preso la decisione
sono stati condannati alle stesse sanzioni non pecuniarie, come se le
loro responsabilità professionali avessero avuto lo stesso livello!
22. Il carattere sproporzionato delle sanzioni inflitte dalla corte di
appello rispettivamente al Sig. Gabetti e al Sig. Stevens non è
solamente flagrante quando si paragonano le pene tra di loro. Lo
stesso risulta anche dal fatto, incomprensibile, che la corte di appello
ha inflitto al Sig. Stevens la sessa sanzione di tre milioni di euro
come quella pronunciata dalla CONSOB, quando la commissione
aveva considerato l’interessato come amministratore d’IFIL
Ivestments s.p.a., mentre la corte di appello ha riconosciuto che si
trattava solo di un avvocato che non esercitava poteri direzionali.
Quindi, anche se la corte di appello ha riconosciuto al Sig. Stevens
una responsabilità di livello inferiore, facendolo passare da autore
principale del reato alla qualità di complice, ha mantenuto la stessa
sanzione uguale a quella inflitta dalla CONSOB. In sostanza, la
corte ha proceduto ad una forma mascherata di reformatio in pejus a
scapito dell’appellante. Non è stata esposta nessuna ragione
plausibile che appoggiasse questa severità.
23. Le sanzioni inflitte al Sig. Marrone erano anche esse infondate,
perché, come ha stabilito la Corte di cassazione in una sentenza
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
18
definitiva del 20 giugno 2012, non aveva nemmeno partecipato al
processo incriminato di diffusione di notizie presumibilmente false.
24. Infine, IFIL Investments è stata condannata al pagamento di
un’ammenda di un milione di euro per il reato commesso dal Sig.
Gabetti, e Giovanni Agnelli & C. ad un’ammenda di 600 000 euro
per i reati commessi dal Sig. Gabetti e dal Sig. Marrone. Ai sensi
dell’articolo 187 quiquies del TUF, la responsabilità amministrativa
delle società non è limitata, perché dipende dal numero di persone
fisiche che hanno commesso il reato in nome della persona giuridica.
E’ difficile allora comprendere che una sanzione per la diffusione di
informazioni presumibilmente false da parte di una sola persona
fisica possa valere più del doppio della sanzione la diffusione delle
stesse informazioni da parte della stessa persona con la
partecipazione di un’altra persona fisica. Inoltre, la CONSOB ha
ordinato anche, e il fatto è stato confermato dalla corte di appello,
che le due aziende sono assolte dalle sanzioni inflitte alle persone
che dipendono da esse, a titolo della loro responsabilità solidale ai
sensi dell’articolo 6 § 3 della legge 689/1981. Secondo la
giurisprudenza costante della Corte di cassazione, l’articolo 187
quiquies del TUF e l’articolo 6 della legge 689/1981 possono essere
applicati alla stessa società per gli stessi fatti, perché il primo
riguarda la “responsabilità amministrativa diretta della società”
mentre il secondo è un “caso speciale di debito senza responsabilità
(debt without responsibility), l’entità essendo responsabile della
violazione commessa da uno dei suoi organi interni e direttamente
responsabile in qualità di adiectus solutionis causa”. Inoltre, le due
società sono state accusate anche di un reato “amministrativo”
supplementare ai sensi dell’articolo 25 sixies del decreto legislativo
n 231 dell’8 giugno 2001. In termini pratici, le società avrebbero
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
19
potuto dover pagare per gli stessi fatti tre ammende diverse di un
ammontare collossale. Nella sua stessa struttura concettuale, questo
sistema di sanzioni mette in questione nei confronti delle società i
diritti garantiti dagli articoli 1 del Protocollo 1
e 7 della
Convenzione. Nell’ambito della presente opinione, ci osserviamo
solo che IFIL Investmens s.p.a. e Giovanni Agnelli & C sono stati
assolti con la sentenza della corte di appello del 28 febbraio 2013 e
che questa sentenza è definitiva su questo punto. I giudici hanno
concluso che non poteva essere imputato a queste società
commerciali alcun comportamento illegale, e ancora meno un reato
“amministrativo”. Alla luce dell’articolo 187 quinquies n 4 del TUF,
i mezzi di difesa d’IFIL Investments s.p.a. e di Giovanni Agnelli &
C., che sono stati sufficienti per convincere i giudici dell’assenza
della loro responsabilità “amministrativa” nei confronti dell’articolo
6 del decreto legislativo n° 231 dell’8 giugno 2001, avrebbero
dovuto essere considerati sufficienti anche per escludere la
responsabilità “amministrativa” delle stesse società nei confronti
dell’articolo 187 quinquies del TUF.
Il carattere limitato dell’effetto ne bis in idem di una condanna
definitiva a una sanzione amministrativa
24. La direttiva 2003/6/CE sull’abuso di mercato ha stabilito un quadro
completo dei divieti e delle sanzioni in materia di abuso di
informazioni privilegiate e pratiche di manipolazione del mercato.
La direttiva impone agli Stati membri di prevedere sanzioni
amministrative importanti, senza pregiudicare il loro diritto di
imporre sanzioni penali supplementari30.
30
Questa interpretazione è confermata dal paragrafo 77 della sentenza Spector Photo Group
NV della CJUE del 23 dicembre 2009 (caso c-45/08).Visto che il livello delle sanzioni
amministrative varia a seconda dello Stato membro, le divergenze tra i regimi
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
20
25. Questa direttiva è stata recepita in Italia con le disposizioni
contenute al Titolo I bis del capitolo V del TUF. Gli articoli 185, 187
ter e 187 duodecies del TUF stabiliscono un “sistema a doppio
binario” per la sanzione delle persone fisiche ai sensi del quale sono
portati avanti in parallelo un procedimento penale e un procedimento
amministrativo, per “gli stessi fatti”. Le sanzioni amministrative
sono fissate “fatte salve le sanzioni penali applicabili quando il fatto
costituisce reato”. Inoltre, il procedimento amministrativo e il
procedimento di controllo giurisdizionale di questa procedura non
sono sospesi quando un procedimento penale è in corso “avente ad
oggetto i medesimi fatti o fatti dal cui accertamento dipende la
relativa definizione”. Questo “sistema a doppio binario” si applica
anche alle società, che possono essere sottoposte a sanzioni
amministrative per gli stessi fatti ai sensi degli articoli 187 quiquies
Del TUF e 25 sexies del decreto legislativo n° 231 dell’8 giugno
200131. Questo sistema di sanzioni a doppio binario viola il principio
ne bis in idem, sia nella sua concezione dogmatica, che nella sua
attuale applicazione32.
amministrativi delle sanzioni esistenti favorivano l’arbitraggio regolamentare. Inoltre,
quattro Stati membri non avevano incriminato la manipolazione di mercato e la definizione
di questo reato penale e delle sanzioni applicabili variava considerevolmente tra quelli che
lo avevano fatto. L’approvazione recente da parte del Parlamento europeo di una nuova
direttiva sulle sanzioni penali in caso di abuso di mercato e di accordo politico relativo a
una futura normativa sulle misure amministrative contro l’abuso di mercato cambierà la
situazione nell’Unione europea. Gli Stati membri devono fare in modo che l’imposizione
delle sanzioni penali sulla base dei reati previsti dalla nuova direttiva e di sanzioni
amministrative basate su una normativa futura non conducano alla violazione del principio
ne bis in idem.
31
La Corte di cassazione lo ha riconosciuto espressamente in una sentenza resa il 30
settembre 2009. Il Governo ammette nelle sue osservazioni del 7 giugno 2013, alla pagina
23, che la responsabilità ai sensi dell’articolo 25 sexies del decreto n° 231/2001 “possiede
tutte le caratteristiche della responsabilità “penale””.
32
E’ incontestabile che la riserva espressa dall’Italia nei confronti dell’articolo 4 del
Protocollo n° 7 non è conforme alle norme stabilite nella giurisprudenza della Corte: è di
una portata troppo ampia. Questa riserva non potendo essere applicata, la disposizione in
questione è vincolante per lo Stato convenuto.
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
21
26. Secondo la Corte di cassazione, l’articolo 185 riguarda un “illecito
di mera condotta”, qualificato tramite una valutazione ex ante delle
conseguenze che la diffusione di informazioni vere avrebbe potuto
avere sul mercato, e non di un “illecito di evento”, qualificato sulla
base di una valutazione ex post della situazione reale del mercato
dopo la diffusione dei comunicati stampa33. Il governo ha spinto più
avanti questo ragionamento della Corte di cassazione, aggiungendo
che il reato penale previsto dall’articolo 185 del TUF era un “reato
di pericolo concreto” – il che significa che occorre stabilire che la
diffusione di false informazioni ha provocato un rischio reale che il
prezzo di uno strumento finanziario sia modificato, anche se nessun
impatto reale sul prezzo di questo strumento finanziario non è
richiesto perché il reato sia costituito – mentre il reato
amministrativo previsto dall’articolo 187 ter del TUF era un “reato
di pericolo astratto”, che includeva quindi qualsiasi comportamento
che poteva aver influito in teoria sulle scelte degli investitori,
indipendentemente dalla questione di sapere se le informazioni false
o fuorvianti avevano effettivamente influito su scelte di investimenti
che altrimenti non sarebbero state fatte in questo senso.
27. Affinché lo stesso fatto illecito non sia punito due volte (bis in
idem), il sistema italiano offre due garanzie: il “principio di
specialità” previsto dall’articolo 9 della legge 689/198134, e il
principio di detrazione della pena amministrativa dalla pena penale,
previsto dall’articolo 187 terdecies del TUF. Queste due garanzie
non sono tuttavia sufficienti, come lo dimostra la presente causa.
Nonostante il procedimento penale e il procedimento amministrativo
33
Sentenza n° 40393 della Corte di cassazione, 15 ottobre 2012.
Secondo le osservazioni del Governo del 7 giugno 2013 (pagina 8), il principio di
specialità si applica quando due reati condividono gli stessi elementi costitutivi
fondamentali, ma uno dei due è di portata più ridotta a causa di una specificità o
dell’aggiunta ai fatti del reato, caso in cui il reato specifico prevale.
34
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
22
riguardassero esattamente la stessa situazione, la Corte di cassazione
e la corte di appello di Torino hanno dichiarato, in modo ripetuto ma
poco convincente, che il principio di specialità non si applicava in
questo caso. Il reato penale previsto dall’articolo 185 e il reato
amministrativo previsto dall’articolo 187 ter sono entrambi reati che
scaturiscono da un comportamento, che proteggono lo stesso “bene
giuridico”, ossia la trasparenza del mercato. La differenza tra l’uno e
l’altro è che il primo è un “reato di pericolo reale” e il secondo un
“reato di pericolo astratto”. E’ dunque evidente che il principio di
specialità si applicava: la disposizione relativa a un pericolo reale
essendo una disposizione speciale rispetto a quella che riguardava un
pericolo astratto di danno arrecato allo stesso “bene giuridico”, il
procedimento
penale
doveva
prevalere
sul
procedimento
amministrativo, escludendolo. Non solo l’accumulo materiale di
sanzioni penali e amministrative sovraccarica lo Stato tramite due
inchieste autonome, con il rischio che le conclusioni riguardanti gli
stessi fatti siano diverse, ma vi è anche violazione chiara del
principio di specialità.
28. Anche supponendo, per necessità di discutere la causa, che il
principio di specialità non fosse stato applicabile, resta il fatto che il
sistema italiano del doppio binario non vieta l’avvio di un
procedimento penale in idem dopo l’adozione di una decisione
definitiva di condanna per reati amministrativi da parte della
giurisdizione di controllo competente. L’articolo 2 del Protocollo n°
7 vieta anche il “doppio perseguimento” per gli stessi fatti. Un
procedimento penale non può dunque essere avviato per gli stessi
fatti per cui è stata confermata una decisione amministrativa
definitiva dal tribunale, che acquista in questo modo forza di cosa
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
23
giudicata. Il sistema italiano non offre alcuna garanzia in diritto e
non l’ha applicata in pratica nel caso concreto dei ricorrenti35.
Il carattere insufficiente dell’equa riparazione concessa dalla Corte
29. Le grave mancanze nel procedimento amministrativo e giudiziario
di cui sopra e il carattere di conseguenza illegale e sproporzionato
delle sanzioni applicate ai ricorrenti richiedono un risarcimento
completo e immediato. Come è possibile mantenere ammende
colossali di milioni di euro, nonostante la presenza di violazioni così
gravi dei diritti procedurali e materiali dei ricorrenti? Sarebbe
necessario un nuovo processo, conforme all’articolo 23 della legge
689/1981, qualora i reati amministrativi non si fossero già prescritti.
30. Inoltre, la giustizia richiede in questa causa un risarcimento per i
ricorrenti. Hanno subito danni notevoli, sia finanziari che morali:
hanno già pagato ammende colossali e gli è stato impedito di
svolgere la loro attività professionale per molto tempo. L’ammontare
del risarcimento fissato dalla Corte nella fattispecie risulta
chiaramente insufficiente per compensare i danni. Come minimo,
occorreva ordinare il rimborso ai ricorrenti delle somme versate a
titolo di ammenda.
31.D’altronde, i procedimenti penali ancora in corso dovrebbero essere
chiudi immediatamente, e gli accusati – i Sigg. Gabetti e Stevens –
assolti da ogni responsabilità penale. Nelle circostanze particolari
della causa, nessun’altra misura è in grado di compensare
l’ingiustizia subita dai ricorrenti con l’avvio del procedimento
penale oltre l’inflizione di una sanzione amministrativa ingiusta ed
eccessiva.
35
Non è presente nel sistema giuridico italiano una disposizione equivalente all’articolo 84
dell’OWiG tedesco o dell’articolo 79 della RGCO portoghese.
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
24
Conclusione
32. Gli Stati europei si confrontano con un dilemma. Per assicurare
l’integrità dei mercati europei e rilanciare la fiducia degli investitori
nei mercati, hanno creato reati amministrativi di portata molto ampia
basati sul comportamento, che puniscono il pericolo astratto di
pregiudizio
al
mercato
con
sanzioni
pecuniarie
severe
e
indeterminate qualificate come sanzioni amministrative, imposte da
autorità
amministrative
“indipendenti”
durante
procedimenti
inquisitori, ineguali ed espeditivi. Queste autorità cumulano poteri di
sanzione e poteri di inchiesta con ampi poteri di controllo su un
settore particolare del mercato, esercitando il potere di controllo con
lo scopo di facilitare l’esercizio degli altri due poteri e imponendo a
volte alla persona controllata/sospettata un obbligo ci cooperare con
i suoi propri accusatori. La successione di tre o addirittura quattro
fasi di comunicazione di atti scritti per la difesa (due davanti
all’autorità amministrativa, uno davanti alla corte di appello ed
eventualmente un altro davanti alla Corte di cassazione) rappresenta
un garanzia illusoria che non compensa il carattere intrinsecamente
ingiusto della procedura. E’ chiaro che la tentazione è stata di
delegare a questi “nuovi” procedimenti amministrativi la repressione
di comportamenti che non possono essere trattati con gli strumenti
classici del diritto penale e del procedimento penale. Tuttavia, la
pressione dei mercati non può prevalere sugli obblighi internazionali
di rispetto dei diritti dell’uomo che incombono agli Stati vincolati
dalla Convenzione. Non è possibile eludere la natura repressiva dei
reati e la severità della pena, che richiedono chiaramente la
possibilità di beneficiare della tutela portata dalle garanzie
procedurali e sostanziali sancite dagli articoli 6 e 7 della
Convenzione.
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
25
33. Riteniamo che i ricorrenti siano stati trattati ingiustamente dalla
CONSOB e dalle giurisdizioni interne e che la nostra Corte ha reso
loro giustizia solo a metà. E’ la ragione per la quale sottoscriviamo
solo in parte al ragionamento della maggioranza. Speriamo che la
presente sentenza rappresenti uno strumento che permetta alle
giurisdizioni interne di rendere pienamente giustizia ai ricorrenti, e
che induca il legislatore italiano a rimediare alle mancanze strutturali
del procedimento amministrativo e giudiziario di applicazione e di
controllo delle sanzioni amministrative della CONSOB. Se riesce ad
affrontare questa sfida, la sentenza potrebbe fornire un esempio e
una fonte di ispirazione agli altri legislatori che si confrontano con
un problema similare del sistema.
SENTENZA GRANDE STEVENS E ALTRI c. ITALIA
26
ALLEGATO
N° Ricorso n°
Presentato
il
Ricorrente
Data di nascita
Luogo di nascita
Franzo
GRANDE
STEVENS
13/09/1928
Torino
1
18640/10
27/03/2010
2
18647/10
27/03/2010
Gianluigi
GABETTI
29/08/1924
Torino
3
18663/10
27/03/2010
Virgilio
MARRONE
02/08/1946
Torino
4
18668/10
27/03/2010
EXOR S.P.A.
Società per
azioni con sede
a Torino
5
18698/10
27/03/2010
GIOVANNI
AGNELLI &
C. S.a.a.
Società in
accomandita per
azioni cons ede
in Torino
Rappresentato da
Aldo BOZZI,
avvocato del
Foro di Milano,
Giuseppe
BOZZI,
avvocato del
Foro di Roma, e
Natalino IRTI,
avvocato
del
Foro di Milano
Aldo BOZZI,
avvocato del
Foro di Milano e
Giuseppe
BOZZI,
avvocato
del
Foro di Roma
Aldo BOZZI,
avvocato del
Foro di Milano e
Giuseppe
BOZZI,
avvocato
del
Foro di Roma
Aldo BOZZI,
avvocato del
Foro di Milano e
Giuseppe
BOZZI,
avvocato
del
Foro di Roma
Aldo BOZZI,
avvocato del
Foro di Milano e
Giuseppe
BOZZI,
avvocato del
Foro di Roma