Wallace Stevens. Nota a due traduzioni
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Wallace Stevens. Nota a due traduzioni
Memorabilità del dettato, peso specifico del verso, un’intelligenza quasi sensuale e un’impersonalità che in realtà ci trascende e sussume: questo è Stevens per me, indebitamente riassunto in una breve lista di attributi che mi prometto di espandere un poco in questa nota, anche in relazione alle due traduzioni che ho tentato. Difficile da approssimare, in sede traduttiva, è l’equilibrio tra un’architettura testuale severa e ineccepibile e il fluire quasi omogeneo, o giocato su piccole significative variazioni ritmiche, del verso. Resterebbe deluso chi cercasse in Stevens gli strappi e le frantumazioni di tanta altra poesia modernista: in consapevole ritardo rispetto al suo stesso passato, ma tuttora in anticipo rispetto al nostro presente, l’opera di Stevens aspira alla sintesi come risposta difensiva e propositiva alla disgregazione novecentesca che altri poeti (Pound, Eliot) vollero rappresentare direttamente. Oggi conta relativamente poco il fatto che in Stevens la spinta alla trascendenza sia debitrice di Emerson (ma chi non lo è tra gli americani?), o che il desiderio inappagato (“pure avresti brama, urgenza di più”) sia una componente della filosofia idealista: per quanto si vorrebbe storicizzare un poeta, la realtà è che gli uomini rispondono a una poesia se questa intercetta bisogni profondi che al più si modificano nei tempi lunghi dell’evoluzione biologica, non in quelli brevi della storia. Nella prima poesia, il “clima” del titolo altisonante sembrerebbe alludere a un momento storico; poi però, con ironia quasi impercettibile, “clima” passa a designare un fattore atmosferico e, di riflesso, una disposizione interiore sospesa tra misticismo (“se questa completa semplicità / ci spogliasse dei tormenti”) e ancoraggio agli oggetti che si fanno prossimi all’allegoria senza perdere un grammo della loro datità (“un vaso di bianco, / di freddo, in ceramica, tondo e basso”). Vita comune, più concettuale, sembra realizzare il discorso di Poesie del nostro clima in quanto la semplificazione là auspicata qui si concretizza in un disegno (“linea nera su aria piatta”) che verte verso l’astratto. La descrizione non si propone come verosimile (nessun effetto imagista): non l’Hopper di un William Carlos Williams, qui al più si può rinvenire De Chirico (“I volumi come rovine in marmo”), in un riferimento forse scaturito dalla grecità della poesia (“fregio”, “Euclide”) e funzionale al discorso filosofico influenzato dalla scienza: “In questa luce l’uomo è un risultato, / una dimostrazione”. Tra parentesi, si confrontino questi versi con il De Angelis di Somiglianze: “nel luogo incerto / dove tutto è meno meschino / di noi dimostrati”. Il passaggio di testimone è dal positivismo all’irrazionalismo, da una scienza ancora intesa come scoperta che nobilita a una scienza odiata perché sentita come riduttiva. Cosa rimane, di tutto questo, nella traduzione? Non spetta a me dirlo; traducendo, ho anzitutto tentato di mantenere la struttura della frase originale, dato che in Stevens il dettato è spesso vicino alla proposizione filosofica semplice, alla frase con un contenuto di verità a cui l’espressività di superficie è sempre subordinata. Sono frasi relazionali (“L’imperfetto è il paradiso nostro”, “Gli uomini non hanno ombre”) e come tali non ha senso renderle diversamente che con un calco sintattico, costringendo la flessibilità dell’italiano nell’austerità dell’inglese (il contrario di ciò che fece Milton, trasponendo l’inglese in una sintassi latina). L’altra cosa che ho cercato di riprodurre è il rimo, e quindi il suono (per contro, credo che la traduzione di un pur ottimo anglista come Massimo Bacigalupo perda molto in termini di ritmo, configurandosi come troppo prosastica). Soprattutto nella prima delle poesie, ho cercato di mantenere una versificazione classica, con endecasillabi a mimare il blank verse originale; e poi ho cercato di non tralasciare il ricco impianto fonetico, perché contribuisce in maniera determinante alla componente più sensuale della poesia di Stevens, che si fonde a quella intellettuale in un equilibrio invidiabile e di modello per tutti noi. Marzo 2014 © Davide Castiglione