Rapporto di sintesi generale
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Rapporto di sintesi generale
RAPPORTO DI SINTESI GENERALE INTRODUZIONE............................................................................................................. 2 PRIMA PARTE – GLI OBBLIGHI PROCEDURALI NELLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO TEMI PRINCIPALI.... 5 I. Le condizioni materiali di detenzione e il sovraffollamento carcerario................ 5 II. L’articolo 6-1 della Convenzione EDU e il diritto applicabile al sistema carcerario ..................................................................................................................... 34 III. Il diritto alla tutela della salute garantito dall’articolo 3 della Convenzione EDU .............................................................................................................................. 66 SECONDA PARTE – RAPPORTO COMPARATO .................................................. 84 CONCLUSIONE........................................................................................................... 154 ELENCO DELLE SENTENZE E DELLE DECISIONI .......................................... 160 ELENCO DELLE PUBBLICAZIONI CITATE ....................................................... 168 This publication has been produced with the financial support of the Criminal Justice Programme of the European Union. The contents of this publication are the sole responsibility of the University of Florence and can in no way be taken to reflect the views of the European Commission. European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission INTRODUZIONE 1. Fino ad oggi in letteratura è stata dedicata scarsa attenzione all’evoluzione del diritto dei detenuti a contestare la gestione e le decisioni a cui sono soggetti, in connessione col progressivo riconoscimento dei diritti sostanziali e procedurali in Europa. 2. In particolare, lo sviluppo del diritto penitenziario europeo, il suo impatto sui rimedi nazionali a disposizione dei detenuti e le sfide (legate ai problemi ricorrenti) all’autorità della Corte europea dei diritti dell’uomo e al suo meccanismo sono stati trascurati dalla letteratura. 3. La ricerca sul carcere si è concentrata soprattutto sul disuguale riconoscimento dei diritti dei detenuti in Europa nei diversi periodi storici (gli anni settanta per alcuni autori, gli anni duemila per altri), sui meccanismi di garanzia (giurisprudenza / legislazione) e sulla corrispondenza fra il rifiuto della teoria dei poteri impliciti e la promozione dei diritti dei detenuti. 4. Sotto questo aspetto, la creazione di una tutela specifica per i detenuti da parte della giurisprudenza della Corte di Strasburgo, in particolare nel primo decennio degli anni duemila, è stata ampiamente descritta. In particolare è stato descritto specificamente (Belda, 2010) il ventaglio di tecniche interpretative utilizzate dalla Corte per espandere in modo singolare il contenuto e la portata dei diritti garantiti ai detenuti dalla legislazione e così ottenere lo scopo, implicito nella legislazione, di proteggere la dignità umana. 5. Meno attenzione è stata prestata ai requisiti derivati dalla giurisprudenza europea per garantire l’effettività dei diritti così riconosciuti e, soprattutto, ai loro effetti sul diritto nazionale. Tuttavia, un insieme di diritti sostanziali per i detenuti è stato creato (vedi i capitoli della prima sezione) quando la giurisprudenza sperimentava un fenomeno di “proceduralizzazione dei diritti” a partire dalla metà degli anni novanta (Dubout, 2007). Ciò avrebbe avuto delle ripercussioni nel campo che si è aperto allora. 6. La proceduralizzazione è “il processo attraverso cui la giurisprudenza impone alle autorità nazionali un obbligo procedurale diretto a rafforzare la protezione nazionale dei diritti garantiti dalla Convenzione” (Dubout, 2007). L’inosservanza di un obbligo procedurale diventa quindi una violazione della Convenzione anche se non è provato che il diritto sostanziale protetto sia stato leso. Questo movimento copre al tempo stesso l’effettività dei diritti, un concetto che “si riferisce al problema generale di trasformare ciò che deve essere in realtà o, in altri termini, di passare dalla dichiarazione di un principio giuridico alla sua applicazione effettiva o attuazione nel mondo” (ChampeilDesplat & Lochak, 2008). Il carcere si presta bene agli obblighi procedurali, perché il fatto che i detenuti siano così dipendenti dalle autorità e non possano essere visti dal pubblico generale rende concreto il rischio che i diritti siano solo formali. Perciò la Corte 2 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission e i ricorrenti hanno fatto molto riferimento ai requisiti procedurali. La recezione degli obblighi procedurali nel diritto interno, da un lato, e i rapporti dei detenuti con i rimedi così riconosciuti, dall’altro, sono perciò parametri essenziali per misurare la portata del processo europeo di riconoscimento dei diritti in carcere. 7. Per capire come la Corte si è rapportata al problema del carcere bisogna capire la sfida che esso rappresenta. 8. Secondo le ultime statistiche pubblicate per il progetto SPACE1, al 1 settembre 2014 negli Stati del Consiglio d’Europa erano detenute 1.600.324 persone; le carceri europee erano al massimo della capienza con 91 detenuti per 100 posti (la mediana era ancora più alta: 93), e il 27,5% delle amministrazioni penitenziarie aveva problemi di sovraffollamento. Dal 2009 la densità carceraria europea rimane vicino al massimo. 9. D’altra parte la Corte europea si è trovata di fronte a un grave problema di saturazione che ne minaccia la stessa esistenza. Il contesto è cambiato quando la Corte è uscita dalla sua precedente situazione di congestione. All’apertura dell’anno giudiziario, il 29 gennaio 2015, il Presidente della Corte fu lieto di annunciare “una situazione statistica abbastanza soddisfacente”. Il numero di cause pendenti si era ridotto a 69.900 alla fine del 2014, con un calo del 30% in un anno. Tuttavia i ricorsi ripetitivi in materia carceraria impongono un grosso onere alla gestione della Corte e, soprattutto, la mancanza di effetti durevoli delle sue sentenze pone gravi dubbi sulla sua autorità. 10. La Corte ha accertato in molti casi che c’è un problema strutturale relativo alle cattive condizioni di detenzione o al sovraffollamento carcerario e ha iniziato a pronunciare delle sentenze pilota o quasi pilota in alcuni casi di violazioni gravi e ripetitive della Convenzione. In una sentenza pilota il compito della Corte non è solo decidere su una violazione in un caso specifico ma anche identificare l’eventuale problema sistemico e dare allo Stato indicazioni chiare del tipo di provvedimenti correttivi necessari a risolverlo. Anche le sentenze quasi pilota rilevano l’esistenza di un problema sistemico o strutturale, ma a differenza delle sentenze pilota si astengono dal prescrivere dei provvedimenti generali per sradicarlo. Le sentenze pilota e quasi pilota sono oggetto di monitoraggio assiduo da parte del Comitato dei Ministri, responsabile di controllare l’attuazione di tutte le sentenze (articolo 46 della Convenzione EDU). 11. Sotto questo aspetto vorremmo dedicare maggiore attenzione a una breve analisi storica dello sviluppo del diritto penitenziario europeo, all’importanza del principio di sussidiarietà, alla competenza degli Stati nazionali nei ricorsi e alle funzioni del diritto effettivo di proporre ricorso per la soluzione dei problemi strutturali, dando speciale rilievo alle sentenze pilota e quasi pilota. 1 http://wp.unil.ch/space/files/2016/05/SPACE-I-2014-Report_final.1.pdf 3 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission 12. Attraverso la ricerca teorica ed empirica (costituita soprattutto da interviste a giudici, direttori di carcere e personale penitenziario, detenuti, avvocati e membri di ONG), svolta in 10 paesi europei compresi Stati oggetto di monitoraggio speciale da parte della Corte di Strasburgo e destinatari di sentenze pilota e quasi pilota (Italia, Belgio, Romania, Bulgaria e Regno Unito), ci proponiamo di analizzare gli effetti e i limiti della giurisprudenza della CEDU e del contenzioso davanti alla Corte nello sviluppo dei rimedi interni e delle realtà carcerarie nazionali. 13. Questi effetti possono essere analizzati in primo luogo attraverso i criteri stabiliti dalla Corte di Strasburgo per valutare i sistemi di ricorso interni e la loro idoneità a prevenite e risarcire le violazioni dei diritti umani specialmente nel campo delle condizioni di detenzione e dell’assistenza sanitaria: effettività, prontezza e velocità, indipendenza, contraddittorio, accesso e accertamento dei fatti, onere della prova, poteri del giudice e le sue decisioni. 14. Analizzeremo quindi uno dopo l’altro le caratteristiche istituzionali degli organi di controllo, la portata delle loro indagini, i loro poteri di correggere le violazioni osservate in carcere e l’adeguatezza del procedimento rispetto alla situazione reale dei detenuti. 15. Sarà allora il momento di misurare la capacità delle disposizioni procedurali in vigore di garantire l’effettività dei diritti riconosciuti in particolare dalla Convenzione EDU. Questo approccio richiede in particolare un’analisi delle condizioni in cui i detenuti, gli operatori giuridici e le ONG usano questi mezzi giuridici (interni ed europei) per promuovere la causa dei detenuti. 4 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission PRIMA PARTE – GLI OBBLIGHI PROCEDURALI NELLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO TEMI PRINCIPALI I. LE CONDIZIONI MATERIALI DI DETENZIONE E IL SOVRAFFOLLAMENTO CARCERARIO Inizialmente esaminate sotto il profilo della protezione definita “indiretta”2 – già nel 1962 la Commissione europea dei diritti dell’uomo affermava che l’articolo 3 si può applicare a questa materia3 – dal 20004 le condizioni di detenzione rientrano direttamente nell’ambito della protezione della Convenzione5. Perciò, come ha osservato B. PastreBelda, la protezione del benessere fisico e morale di un detenuto ha fatto nel corso di mezzo secolo un “grande salto di qualità”: i giudici europei non sono più obbligati “a esaminare se la violazione allegata leda un diritto garantito dalla Convenzione, [essendo] il diritto a condizioni dignitose di detenzione [incluso] espressamente nell’articolo 3, attraverso l’interpretazione dinamica della Corte europea”6. Sotto questo aspetto il diritto a condizioni fisiche di detenzione umane è la manifestazione più evidente della protezione per categorie enunciata dalla Corte, sulla base del rispetto della dignità. F. Sudre ha quindi dimostrato che “mentre l’articolo 3 si applica a qualunque uomo, percepito come unità nella sua interezza […] la giurisprudenza europea ha favorito la nascita di una protezione per categorie che, prima di un approccio analitico, introduce la divisione degli uomini e tiene conto di particolari categorie di individui. Fondata sul meccanismo della protezione indiretta, attraverso una transizione graduale la protezione per categorie diventa una protezione specifica”7. Nello stesso arco di tempo la Corte ha organizzato la garanzia procedurale del diritto fisico così consacrato. Lo ha fatto quasi esclusivamente nell’ambito dell’articolo 13 della Convenzione, molto marginalmente in quello dell’articolo 6, e mai sotto il profilo procedurale dell’articolo 3. Gli obblighi procedurali della Convenzione figurano anche 2 Una tecnica che consiste nell’estendere l’applicabilità della Convenzione EDU ad aree che non sono incluse espressamente nel testo della Convenzione. La Convenzione, a differenza di altri strumenti di protezione dei diritti umani (come ad esempio l’articolo 10 del Patto internazionale delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici del 1966) non si riferisce espressamente ai detenuti e a fortiori alle condizioni di detenzione. L’articolo 3 della Convenzione EDU dispone perciò che “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”. 3 Commissione europea dei diritti dell'uomo, 8 marzo 1962, dec. Ilse Koch v. FRG, Ann. 5, p. 127. Sempre in questo senso, Commissione europea dei diritti dell'uomo, 9 maggio 1977, dec. X v. Switzerland, DR 11, p. 216. 4 Dalla sentenza Kudła v. Poland [GC], 26 ottobre 2000, n. 30210/96. 5 Sulla questione della natura diretta di questa protezione v. B. Ecochard, "L’émergence d’un droit à des conditions de détention décentes garanti par l’article 3 de la Convention EDH", RFDA, 2003, pp. 99-108. 6 B. Belda, Les droits de l'homme des personnes privées de liberté, Contribution à l'étude du pouvoir normatif de la Cour européenne des droits de l'homme, Bruylant/LGDJ, 2010. 7 F. Sudre, "L’économie générale de l’article 3 CEDH", in C.-A. Chassin (dir.), La portée de l’article 3 de la Convention EDH, coll. "Rencontres européennes", Bruylant, Brussels, 2006, pp. 7-19, spec. pp. 16-17. 5 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission nelle considerazioni citate nel verificare se i ricorrenti avessero rispettato la norma dell’esaurimento dei mezzi di ricorso interni, disposta dall’articolo 35 § 3 b). Infatti la logica dietro questa norma si basa, secondo la Corte, “sull’ipotesi, riflessa nell’articolo 13, che l’ordinamento interno preveda un rimedio effettivo contro le violazioni dei diritti definiti dalla Convenzione. Questo è un aspetto importante della natura sussidiaria del meccanismo stabilito dalla Convenzione”. I requisiti di un rimedio effettivo in materia di condizioni fisiche di detenzione fanno parte della struttura più generale delineata dalla Corte ai sensi dell’articolo 13, dato che la giurisprudenza precisa che, essendo questo dovere di garanzia relativo a diritti specifici, può essere adempiuto in modi diversi a seconda del diritto che lo Stato deve garantire e della situazione specifica in questione8, avendo le autorità nazionali uno spazio di manovra considerevole in quest’area. Ciononostante la Corte si è trovata a precisare come deve operare la protezione in materia di condizioni di detenzione. Si può già indicare che gli obblighi in quest’area sono strutturati in due parti a seconda dello scopo del rimedio: i rimedi detti “preventivi”, diretti a produrre un miglioramento delle condizioni fisiche di detenzione, e i rimedi compensatori, diretti a ottenere il risarcimento del danno causato da queste ultime9. Nonostante che la Corte usi una formulazione non interamente aggressiva10, con cui attribuisce il “valore più alto” [al] rimedio “in grado di porre fine alla violazione continuata dell’articolo 3”, questa è in realtà la caratteristica richiesta imperativamente dalla giurisprudenza relativamente a un meccanismo nazionale che deve essere messo a disposizione di chi sta soffrendo per il trattamento incriminato11. Dopo che l’interessato ha lasciato l’istituto in questione, deve avere accesso a un meccanismo che dia riparazione a questa violazione e logicamente un rimedio compensatorio sarebbe sufficiente12. Rispetto agli sforzi della Corte di trovare un’interpretazione che garantisca il diritto al rispetto della dignità umana – che è un principio essenziale della protezione sancita dall’articolo 3 della Convenzione – l’analisi dei mezzi procedurali applicati dalla giurisprudenza13 per assicurare l’attuazione pratica degli obblighi della Convenzione concernenti la sistemazione dei detenuti è un indicatore particolarmente appropriato del posto e della funzione del diritto a un rimedio effettivo nella costruzione del diritto penitenziario europeo. Al di là dei problemi relativi alla ratio interna della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in tema di carcerazione, delle considerazioni sistemiche concernenti i metodi applicati dalla Corte per risolvere il problema strutturale 8 Cfr. ad esempio Boudaïeva and others v. Russia, 20 marzo 2003, n. 15339/02. Cfr. Roman Karasev v. Russia, no. 30251/03, § 79, 25 novembre 2010, e Benediktov v. Russia, n. 106/02, 10 maggio 2007, §29. 10 Ananyev and others. v. Russia, 10 gennaio 2012, n. 42525/07; 60800/08. 11 Cfr. Canali v. France, 25 aprile 2013, n. 40119/09. 12 Cfr. Lienhardt v. France (dec.), 13 settembre 2011, n. 12139/10. 13 Che come vedremo sono cercati quasi esclusivamente nell’ambito dell’articolo 13. 9 6 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission delle condizioni di detenzione deplorevoli in tutto il continente14, che mette in gioco direttamente la sua autorità, e più prosaicamente per affrontare l’ondata di ricorsi che chiedono un esame serio degli obblighi procedurali concepiti dalla Corte. L’articolazione delle esigenze di politica penitenziaria con il diritto processuale e la politica giurisprudenziale generale seguita dalla Corte per rinviare alle autorità nazionali l’onere del contenzioso penitenziario saranno analizzate nelle sezioni dedicate, da un lato, agli obiettivi riduzionisti nel contesto dell’articolo 5 della Convenzione, e dall’altro alle sentenze pilota. Per parte loro, le considerazioni che seguono – tenendo conto solo dei requisiti procedurali contenuti nelle sentenze – cercano di tenere conto del modo in cui la Corte intende creare dei meccanismi di rimedio nazionali e di cogliere la relazione fra obblighi procedurali e diritto sostanziale rispetto al diritto a condizioni di detenzione dignitose. Per comprendere il contenuto e la portata degli obblighi procedurali in questione, è necessario in primo luogo richiamare le condizioni dell’emergere del diritto a condizioni di detenzione dignitose (1°). Si esamineranno poi i requisiti procedurali europei analizzando il diverso funzionamento dei meccanismi interni diretti ad attuare il diritto garantito dall’articolo 3 (2°). 1. Portata del diritto a condizioni di detenzione dignitose, oggetto della protezione procedurale 1.1. Genesi del diritto a condizioni di detenzione rispettose della dignità umana La Corte è passata dalla “fase di ignoranza delle condizioni generali di detenzione a quella del riconoscimento del diritto di ogni detenuto a condizioni rispettose della dignità umana”15. A partire da questa evoluzione, il decennio 2000-2010 ha visto sotto questo aspetto un indubbio aumento del contenzioso penitenziario a Strasburgo. Certo, la Commissione europea dei diritti dell’uomo ha ammesso che le condizioni fisiche di detenzione possono costituire un trattamento disumano o degradante. Nel “caso greco” è pervenuto a tale conclusione in relazione al sovraffollamento e alle carenze del riscaldamento, dei servizi sanitari, della biancheria da letto, dell’alimentazione, della ricreazione e dei contatti con il mondo esterno16. F. Sudre ricorda tuttavia che la Commissione ha condannato le condizioni di detenzione solo se ricorrevano due circostanze: un ambiente oggettivamente degradante e l’intenzione di umiliare il 14 Il sovraffollamento costituisce, agli occhi della Corte, un problema strutturale o endemico in molti paesi europei, come la Russia (Ananyev v. Russia), la Romania (Florea v. Romania, n. 37186/03, 14 settembre 2010), la Moldova (Ciorap v. Moldova, n. 12066/02, 19 giugno 2007), l’Ucraina (Malenko v. Ukraine, n. 18660/03, 19 febbraio 2009, Visloguzov v. Ukraine, n. 32362/02, 20 maggio 2010), la Bulgaria (Neshkov v. Bulgaria), l’Italia (Torreggiani v. Italy), l’Ungheria, il Belgio (Vasilescu v. Belgium); la Polonia (Orchowski v. Poland, n. 17885/04, 22 ottobre 2009). 15 F. Tulkens, "Droits de l’homme en prison", in J.-P. Céré (dir), Panorama européen de la prison, L’Haramattan, coll. "sciences criminelles", 2002, p. 39. 16 Reclami nn. 3321/67 e altri, rapporto della Commissione del 5 novembre 1969, annuario 12. 7 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission detenuto17. In definitiva “il rifiuto da parte della Commissione di tenere conto nel suo esame delle regole minime europee in materia lasciava a lui il compito di fissare la soglia in funzione dei dati specifici in questione”, e tale soglia era messa a un livello molto alto18. Il diritto a condizioni di detenzione umane è stato sancito veramente grazie a una sentenza concernente il diritto alla salute in carcere. Coma nota F. Tulkens19 questi due diritti, il diritto alla tutela della salute e quello a condizioni dignitose, trovano la loro “matrice comune” nella sentenza Kudła v. Poland del 26 ottobre 2000 (citata prima), in cui la Grande Camera ha riassunto così gli obblighi dello Stato: “l’articolo 3 impone allo Stato l’obbligo di garantire che una persona sia detenuta in condizioni compatibili col rispetto della dignità umana, che il modo e il metodo di eseguire il provvedimento non la sottopongano a un’angoscia o a un dolore di intensità superiore al livello inevitabile di sofferenza inerente alla detenzione, e che, date le esigenze pratiche della carcerazione, la sua salute e il suo benessere siano garantiti adeguatamente, anche col prestarle la dovuta assistenza medica”. In rapida successione due sentenze del 2001 pronunciate nel campo delle condizioni materiali riconobbero che esse possono essere esaminate in quanto tali, abbandonando quindi l’elemento intenzionale come condizione necessaria di un trattamento contrario all’articolo 3. Nel caso Peers v. Greece del 19 aprile 2001, la Corte concluse all’unanimità per una violazione dell’articolo 3 della Convenzione a causa delle condizioni materiali di detenzione del ricorrente. Questi era stato rinchiuso in una cella male illuminata, munita di una sola finestra chiusa nel soffitto, senza ventilazione e senza una toilette separata, e occupata da due detenuti. Nel caso Dougoz v. Greece le condizioni di detenzione sono state qualificate dalla Corte europea come un trattamento degradante (violazione dell’art. 3), in particolare a causa del grave sovraffollamento e della mancanza di biancheria da letto, uniti alla durata eccessiva della detenzione in tali condizioni (circa 17 mesi in tutto). Inoltre l’abbandono dell’elemento intenzionale come componente necessaria del trattamento vietato è la traduzione pratica dell’abbassamento della soglia di gravità che fa scattare la protezione dell’articolo 3. 17 F. Sudre, "L’article 3bis de la Convention européenne des droits de l’Homme : le droit à des conditions de détention conformes au respect de la dignité humaine", Prev. art., p. 1508. Per sostenere questa affermazione l’autore fa riferimento alla decisione della Commissione europea dei diritti dell’uomo 15 maggio 1980, McFeeley and others v. United Kingdom, n. 8317/78, p. 54. 18 B. Ecochard, L'émergence d'un droit à des conditions de détention décentes garanti par l'article 3 de la Convention européenne des droits de l'homme, RFDA 2003, p. 99. 19 F. Tulkens, Les prisons en Europe. Les développements récents de la jurisprudence de la Cour européenne des droits de l’homme, Déviance et Société 2014/4 (Vol. 38). 8 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission 1.2. Base e valore legale dell’obbligo di assicurare condizioni dignitose di detenzione L’evoluzione appena descritta è parte dell’origine di un approccio evolutivo più ampio e generale che tende a valutare in maniera più rigorosa le violazioni dei diritti fondamentali. B. Belda20 ha mostrato che, in questo contesto, l’abbassamento della soglia di gravità procede di pari passo con una ridefinizione dei concetti contenuti nell’articolo 3 attraverso la nozione di dignità della persona umana. Il principio del rispetto della dignità umana costituirebbe l’obiettivo fondamentale perseguito dalla Corte europea quando applica, e dunque interpreta, la Convenzione EDU alle persone private della libertà. Secondo Belda il giudice europeo adotta un approccio interpretativo particolare quando applica i diritti convenzionali ai detenuti, al fine di accordare a questi ultimi una tutela privilegiata dei loro diritti a causa della complessità del loro status. Ponendosi nell’ambito dell’articolo 3, che non prevede alcuna eccezione alla proibizione dei trattamenti disumani e degradanti, la Corte sancisce un diritto intangibile a delle condizioni di detenzione dignitose. Di conseguenza la Corte afferma che spetta allo Stato rispondente “organizzare il suo sistema carcerario in modo che sia assicurato il rispetto della dignità dei detenuti, quali che siano le difficoltà finanziarie o logistiche”21. Questo approccio interpretativo, con il quale la Corte si è impegnata ad aggiornare le potenzialità del testo per costruire una protezione per categorie delle persone detenute, si è accompagnato a una incorporazione della dottrina di altri organi del Consiglio d’Europa, in primo luogo il soft law giurisprudenziale scaturito dall’attività del CPT. Questo approccio si iscrive in una tendenza più generale a tenere conto delle fonti esterne nella giurisprudenza europea. Come rileva B. Belda, in tal modo si costruisce progressivamente un diritto comune europeo della detenzione il cui capomastro è il giudice europeo che utilizza come “strumenti fondamentali”22, poi assimilati al diritto convenzionale, fonti normative di diversa forza. È il caso, in particolare, dei requisiti relativi alla superficie di cui devono disporre i detenuti rinchiusi in celle collettive. Nella sentenza Kalashnikov v. Russia del 200223, per valutare se la dimensione della cella del ricorrente, che misurava 17m² ed era occupata da un numero di detenuti variante fra 18 e 24, ponga problemi ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione, la Corte “ricorda che il CPT ha fissato a 7m² a persona la superficie minima approssimativa auspicabile per una cella di reclusione (si veda il secondo rapporto generale – CPT/Inf (92) 3, §43), cioè 56m² per otto detenuti” (§97). La Corte, dopo aver precisato che “un sovraffollamento grave è sempre stato la regola nella cella”, conclude pertanto che “questo stato di cose pone in sé un problema grave nella prospettiva dell’articolo 3 della Convenzione” (§97). 20 Tesi citata supra. Cfr. ad esempio, Varga and others. v. Hungary, 10 marzo 2015, n. 14097/12. 22 A differenza degli "strumenti metodologici" rappresentati dai metodi di interpretazione. 23 Corte europea dei diritti dell’uomo, 15 luglio 2002, Kalashnikov v. Russia. 21 9 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission 1.3. Ambito del diritto a condizioni dignitose Nella sentenza Dougoz v. Greece, prima citata24, dopo aver ricordato “che le condizioni di detenzione possono talvolta costituire un trattamento disumano o degradante”, la Corte europea precisa gli elementi di cui tenere conto per valutare il livello minimo di gravità. Precisa i due elementi che determinano l’applicabilità dell’articolo 3, cioè “nel valutare le condizioni di detenzione, si deve tenere conto dei loro effetti cumulativi oltre che delle allegazioni specifiche del ricorrente” (§46)25. Nella specie la Corte conclude per un “trattamento degradante” a causa delle condizioni materiali di detenzione inaccettabili (sovraffollamento e assenza di letti o biancheria da letto) “unite alla durata eccessiva della sua detenzione in tali condizioni” (§48). Tuttavia, come la Corte ha avuto più volte occasione di ricordare, quando il sovraffollamento di un istituto è tale da privare le persone detenute di uno spazio vitale sufficiente, questo elemento può costituire in quanto tale un trattamento contrario all’articolo 3: “La Corte rileva che quando si è trovata di fronte a dei casi di sovraffollamento flagrante, ha ritenuto che tale elemento da solo potesse bastare a concludere per la violazione dell’articolo 3 della Convenzione”26. A questo riguardo il Comitato europeo per la prevenzione della tortura (CPT) ha affermato molto presto che un maltrattamento può “non essere deliberato ma risultare da deficienze organizzative o da mezzi insufficienti”27. La Corte si appoggia ormai sempre di più ai rapporti del CPT28 secondo il quale ogni persona detenuta deve poter disporre di uno spazio vitale di almeno 4m² in una cella collettiva e di 7m² in una cella singola, con la precisazione che i servizi sanitari sono esclusi dal calcolo29. Per parte sua, la Corte ha riscontrato un trattamento disumano e degradante ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione quando “lo spazio personale concesso al ricorrente era inferiore a 3m²”30. Va altresì precisato che, se del caso, la Corte tiene conto del fatto che “lo spazio nelle celle era ridotto dalla presenza di mobili”31. Nel complesso, come riassume la Corte nelle sue sentenze32, essa “deve tener conto dei tre elementi seguenti: 24 Corte europea dei diritti dell’uomo, 6 marzo 2001, Dougoz v. Greece. Nello stesso senso cfr. Corte europea dei diritti dell’uomo, 4 maggio 2006, Kadikis v. Latvia (no. 2), §49. 26 20 ottobre 2011, Mandić and Jović v. Slovenia, nn. 5774/10 e 5985/10, §77; Corte europea dei diritti dell’uomo, 21 giugno 2007, Kantyrev v. Russia, n. 37213/02, §50-51; Corte europea dei diritti dell’uomo, 29 marzo 2007, Andrey Frolov v. Russia, n. 205/02, §47-49. 27 Secondo rapporto generale sulle attività del CPT nel periodo dal 1 gennaio al 31 dicembre 1991. 28 Cfr. Larralde J-M, 29 V. fra gli altri CPT/Inf (2012) [Moldavia], §57; CPT/Inf (2009) 22 [Lituania], § 35; CPT/Inf (2009) 1 [Serbia], §49. 30 Mandic and Jovic v. Slovenia, cit. supra, §77; Kantyrev v. Russia, cit. supra, §50-51; Andrey Frolov v. Russia, cit. supra, §47-49; 15 luglio 2012, Kalashnikov v. Russia, n. 47095/00, §97. 31 Torreggiani and others v. Italy, cit. supra, § 75. 32 Corte europea dei diritti dell’uomo, 10 gennaio 2012, Ananyev v. Russia, n. 42525/07, §146 a 148. 25 10 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission (a) ciascun detenuto deve avere un posto letto individuale nella cella; (b) ciascun detenuto deve avere a disposizione almeno 3m2 di spazio calpestabile; (c) la superficie complessiva della cella deve essere tale da permettere ai detenuti di muoversi liberamente fra gli elementi del mobilio. L’assenza di uno degli elementi di cui sopra determina di per sé una forte presunzione che le condizioni di detenzione costituiscano un trattamento degradante in violazione dell’articolo 3". Peraltro, “il periodo in cui un individuo è detenuto nelle condizioni incriminate costituisce un fattore importante da considerare”33. In effetti la Corte affronta la questione se le eventuali cattive condizioni siano compensate dalla possibilità riconosciuta agli interessati di uscire dalla cella durante il giorno34. Così nella sentenza Valasinas è la possibilità di circolare liberamente nella sezione dalle 6.30 fino alle 22 e l’esistenza di toilette e bagni separati dal luogo per dormire che porta a respingere la censura di violazione dell’articolo 3 (§§103-107). Viceversa nella sentenza Mandić and Jović v. Slovenia35 del 20 ottobre 2011 (nn. 5774/10 e 5985/10), concernente la reclusione per sette mesi di due detenuti in celle dove non disponevano che di 3m², la Corte osserva la circostanza che gli interessati fossero tenuti in cella 21 ore e mezza al giorno in attesa di giudizio, nonostante il fatto che l’istituto fosse idoneo dal punto di vista sanitario e che la cella avesse una toilette separata e chiusa (§§79-80). Al di là di questo problema spaziale, la Corte ricorda regolarmente che “laddove il sovraffollamento non era così grave da porre un problema ai sensi dell’articolo 3 (…) altri aspetti delle condizioni di detenzione (sono) da prendere in esame per valutare il rispetto di questa disposizione”36. Essa fa quindi particolare attenzione alle condizioni materiali e sanitarie nell’esaminare “fattori come la possibilità del ricorrente di beneficiare di un accesso alle toilette in condizioni rispettose dalla sua intimità, la ventilazione, l’accesso alla luce naturale, lo stato degli apparecchi di riscaldamento oltre che la conformità alle norme igieniche”37. Perciò anche nei casi in cui il ricorrente aveva una cella con uno spazio vitale personale superiore a 3m², la Corte ha ugualmente concluso per una violazione dell’articolo 3 tenendo conto dell’esiguità della cella unita alla mancanza di ventilazione e di luce, 33 Torreggiani and others v. Italy, cit. supra, §66; 8 novembre 2005, Alver v. Estonia, n. 64812/01, §56; 15 luglio 2002, Kalashnikov v. Russia, n. 47095/99, §102. 34 Valasinas v. Lithuania, 24 luglio 2001, n. 44558/98, §107; Nurmagomedov v. Russia, 16 settembre 2004, n. 30138/02, decisione sull’ammissibilità. 35 Cit. supra. 36 Torreggiani and others v. Italy, cit. supra, § 69. 37 26 gennaio 2011, Cucolas v. Romania, n. 17044/03, §87; 20 gennaio 2011, Nisotis v. Greece, n. 34704/08, §39. 11 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission caratterizzata in particolare dalla necessità di tenere accesa la luce artificiale tutto il giorno38, e che può essere peggiorata dalla presenza di sbarre di metallo sulla finestra39, dall’accesso limitato agli spazi all’aria aperta40 o dalla mancanza totale di intimità nelle celle a causa dell’assenza di chiusura dell’area sanitaria e della sua prossimità con lo spazio vitale41. La Corte tiene anche conto dell’insalubrità dei locali42 o dell’infestazione delle celle da parte dei parassiti43 che, come ha già sottolineato, impone all’amministrazione di porre in essere delle misure di disinfestazione e dei controlli regolari delle celle44. Ritiene parimenti inaccettabile che chiunque possa essere detenuto in condizioni che implicano l’assenza di protezione adeguata contro le precipitazioni e le temperature estreme45. A partire dal 2005 la Corte è stata chiamata regolarmente a controllare le condizioni di trasporto dei detenuti durante i trasferimenti. Essendo una questione nuova, si è fondata sulle conclusioni del CPT a proposito della dimensione dei compartimenti utilizzati per il trasporto. La questione è stata sollevata principalmente nelle cause contro la Russia e l’Ucraina. La Corte ha constatato una violazione in molti di questi casi, a causa delle condizioni affollate del trasporto, del numero e della frequenza dei trasporti in tali condizioni46 e dell’uso di un cellulare normale per trasportare un paziente in stato postoperatorio da un ospedale all’altro47. 2. Campo di applicazione e contenuto degli obblighi procedurali: le condizioni generali dell’effettività del rimedio Secondo la Corte, per valutare l’effettività di un sistema di tutele giuridiche occorre tenere conto in modo realistico non soltanto dei rimedi disponibili in teoria nell’ordinamento interno ma altresì del contesto giuridico e politico generale in cui 38 9 ottobre 2008, Moisseiev v. Russia, n. 62936/00, §125; 18 ottobre 2007, Babouchkine v. Russia, n. 67253/01, §44; 19 luglio 2007, Trepachkine v. Russia, n. 36898/03, §94 Peers v. Greece, cit. supra, §§7072. 39 10 agosto 2007, Modarca v. Moldavia, n. 14437/05. 40 Corte europea dei diritti dell’uomo, 17 gennaio 2012, István Gábor Kovács v. Hungary, n. 15707/10, §26. 41 1 marzo 2007, Belevitskiy v. Russia, n. 72967/01, §§73-79; 2 giugno 2005, Novoselov v. Russia, n. 66460/01, §§32 e 40-43; Peers v. Greece, cit. supra, §73; Ananyev and others versus Russia, cit. supra, §165; Moiseyev v. Russia, cit. supra, §124. 42 20 gennaio 2011, Payet v. France, n. 19606/08, §§80-84; 25 aprile 2013, Canali v. France, n. 40119/09, §52. 43 Kalashnikov v. Russia, cit. supra, §98; Modarca v. Moldavia, cit. supra. 44 Ananyev and others versus Russia, cit. supra, §159. 45 Mathew v. Netherlands: cella fatiscente in cui l’occupante era esposto al calore del sole. 46 Cfr. Khudoyorov v Russia, n. 6847/02, 8 novembre 2005, ECHR 2005-X.; Yakovenko v Ukraine, n. 15825/06, 25 ottobre 2007; Vlasov v Russia, n. 78146/01, 12 giugno 2008; Starokadomskiy v Russia, n. 42239/02, 31 luglio 2008; Moiseyev v Russia, n. 62936/00, 9 ottobre 2008. 47 Tararieva v. Russia, n. 4353/03, 14 dicembre 2006. 12 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission operano48. La Corte è stata chiamata a precisare le caratteristiche necessarie degli organi interni chiamati a conoscere dei ricorsi in tema di sovraffollamento carcerario e di condizioni materiali di detenzione. In particolare l’ha fatto in modo fortemente pedagogico nelle considerazioni che ha dedicato, sulla base dell’articolo 46, ai provvedimenti a cui sono tenuti gli Stati in seguito a una sentenza pilota o quasi pilota. 2.1. Natura dell’organo competente sui reclami In maniera costante, nella prospettiva dell’articolo 13 la Corte ritiene che l’“istanza nazionale” a cui si riferisce questa disposizione non deve essere necessariamente un organo giurisdizionale. Se non lo è, si terrà conto dei suoi poteri e delle sue garanzie per valutare l’effettività del rimedio che si esercita per suo tramite49. Dato il ruolo riconosciuto tradizionalmente negli ordinamenti nazionali ai ricorsi interni all’amministrazione penitenziaria, la questione principale che si pone da questo punto di vista è se tale sistema risponde ai requisiti dell’articolo 13. A questo riguardo, l’accettazione ai fini di questo articolo di meccanismi non giurisdizionali porta talvolta a delle formulazioni ambigue in materia di condizioni materiali di detenzione, che lasciano intendere che il ricorso a un livello superiore dell’amministrazione penitenziaria potrebbe essere considerato sufficiente. Inoltre in una sentenza del 1988 la Corte ha ritenuto che un reclamo al direttore del carcere concernente la violazione delle norme sul controllo della corrispondenza dei detenuti costituisca un rimedio conforme ai requisiti dell’articolo 1350. Più vicino a noi, nelle sentenze quasi pilota Orchowski e Norbert Sikorski v. Poland, la Corte dichiara che essa “preferisce incoraggiare lo Stato a istituire un sistema efficiente di ricorsi alle autorità carcerarie e alle autorità incaricate di sorvegliare l’esecuzione delle pene, che sono in posizione migliore dei tribunali per prendere rapidamente dei provvedimenti idonei, in particolare ordinare il trasferimento di un detenuto per collocarlo stabilmente in una cella conforme alle norme della Convenzione” (Sikorski, §41). Nella sentenza pilota Neshkov and others. v. Bulgaria, la Corte dichiara che la soluzione di un ricorso a un’autorità amministrativa può essere accettata, ma ricorda subito dopo che i poteri e le garanzie procedurali di tale autorità sono elementi di cui tenere conto per stabilire se il rimedio in questione è efficace (§182). In realtà la motivazione della sentenza Neshkov sembra rinviare in modo un po’ frettoloso alla soluzione delle sentenze quasi pilota polacche51, che per parte loro delineavano uno schema a due livelli, reclamo all’amministrazione e ricorso al giudice dell’esecuzione penale, in modo da facilitare un intervento rapido idoneo a far cessare il trattamento 48 Akdivar and others v. Turkey, [GC], 16 settembre 1996, n. 21893/93, §§68-69; A.B. v. Netherlands, 29 gennaio 2002, n. 37328/97, §73. 49 Cfr. Kudła v. Poland, cit. supra, §157. 50 Boyle and Rice v. United Kingdom, 27 aprile 1988, n. 9659/82 e 9658/82. 51 Norbert Sikorski v. Poland e Orchowski v. Poland. 13 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission incriminato. Anche la menzione nella sentenza Neshkov della sola autorità amministrativa, senza fare riferimento al giudice, appare criticabile e non sembra rendere conto fedelmente della situazione giuridica. In definitiva, l’analisi del contenuto degli obblighi enunciati nella giurisprudenza, in particolare in termini di indipendenza, non lascia spazio a dubbi sull’insufficienza, ai fini dell’articolo 13, di un sistema di ricorsi interni all’amministrazione penitenziaria. La giurisprudenza della Corte ritiene così che un ricorso gerarchico che lascia all’autorità adita la facoltà di coinvolgere nel procedimento l’amministrazione convenuta senza prevedere il contraddittorio non costituisca un rimedio effettivo52. Nella sentenza Sławomir Musiał v. Poland del 20 gennaio 200953, la Corte ricorda nella prospettiva della norma sull’esaurimento dei ricorsi interni che “un detenuto che desidera contestare le sue condizioni di detenzione può (…) essere tenuto in linea di principio ad adire il giudice dell’esecuzione penale”. Nel caso Radkov v. Bulgaria (n. 2)54, allo Stato convenuto che faceva valere la possibilità aperta al detenuto di ricorrere all’amministrazione del carcere, di cui il ricorrente si era avvalso nel caso in questione, la Corte risponde che, a parte il fatto che il ricorso presentato nella specie non aveva sortito alcun effetto, “il governo non ha citato delle possibilità specifiche del ricorrente di avviare dei procedimenti e ottenere, in quanto il ricorso fosse fondato, un miglioramento concreto delle condizioni di detenzione” (§55). Più fondamentalmente, a parte il fatto che le esigenze di indipendenza e di imparzialità dell’articolo 6§1 possono entrare in gioco55, l’obbligo procedurale risultante dagli articoli 3 e 13 implica che le persone chiamate a conoscere delle allegazioni di maltrattamento siano indipendenti da quelle implicate nei fatti incriminati, il che presuppone l’assenza di qualsiasi legame gerarchico o istituzionale e un’indipendenza pratica56. Lo stesso vale per le condizioni materiali di detenzione. Così la sentenza pilota Ananyev and others v. Russia57, dichiara categoricamente che “la Corte non ritiene che le autorità carcerarie [direttore del carcere e autorità gerarchiche regionali] abbiano un punto di vista abbastanza indipendente da rispondere ai requisiti dell’articolo 13: dovendo conoscere di un reclamo concernente le condizioni di detenzione di cui sono responsabili, sarebbero in realtà in una situazione di giudici in causa propria” (§101). Quanto alla possibilità di prevedere un ricorso obbligatorio all’amministrazione prima di adire qualunque organo di reclamo esterno, tale dispositivo può condurre a una violazione dell’articolo 13 se ha come conseguenza di ostacolare l’intervento rapido e in 52 Horvat v. Croatia, n. 51585/99, § 47. 28300/06. 54 Radkov v. Bulgaria (no 2), n. 18382/05, 10 febbraio 2011. 55 Cfr. anche la sezione sull’articolo 6. 56 Cfr. tra molte Kelly and others v. United Kingdom, 4 maggio 2001, n. 30054/96, §114. 57 Ananyev and others v. Russia, 10 gennaio 2012, n. 42525/07; 60800/08. 53 14 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission tempo utile della decisione dell’organo conforme ai canoni convenzionali58. A parte questa dimensione temporale, tale sistema appare problematico in sé. Nella decisione di ammissibilità nel caso Valasinas v. Lithuania59, la Corte respinge il meccanismo di ricorso preventivo obbligatorio all’amministrazione, ritenendo che un ricorso sulle condizioni di detenzione all’autorità carceraria o a un’altra autorità governativa sarebbe stato esaminato sulla base di considerazioni economiche e politiche più generali, e che pertanto un reclamo al potere esecutivo non avrebbe potuto rispondere correttamente ai reclami personali del ricorrente sotto questo aspetto. In definitiva, malgrado le ambiguità risultanti dalla redazione di certe sentenze, i requisiti convenzionali impediscono chiaramente di considerare i ricorsi al’amministrazione penitenziaria come rimedi effettivi. Anche se gli Stati sono liberi di scegliere la natura e la configurazione dei rimedi da istituire, ciò non impedisce alla Corte di promuovere dei modelli ben precisi. Così nel caso Ananyev v. Russia la Corte prospetta la costituzione ex nihilo di un meccanismo implicante eventualmente delle personalità esterne, non necessariamente professionisti della giustizia, citando il modello delle commissioni sui reclami olandesi e dei Boards of Visitors britannici60. Questa posizione è reiterata nella sentenza pilota bulgara (§282). La Corte sembra quindi circospetta riguardo all’attitudine dei giudici ordinari a farsi carico adeguatamente dei reclami delle persone detenute, senza esplicitare le considerazioni che la portano a questa conclusione. Tuttavia non sembra realmente informata sui sistemi che promuove. Così la sentenza Ananyev v. Russia fa riferimento ai Boards of Visitors, quando hanno cambiato nome quasi dieci anni prima e, soprattutto, non sono dotati dei poteri richiesti dalla sentenza stessa, mettendo in dubbio la natura informata di questa valutazione, peraltro ripresa nella sentenza pilota bulgara. Allo stesso modo, la preferenza accordata al giudice dell’esecuzione penale rispetto ai giudici con competenza generale compare per la prima volta nelle sentenze quasi pilota polacche61, nello stesso momento in cui la Corte europea constata l’ineffettività dei rimedi interni. Con riferimento all’ordinamento italiano, la Corte interviene quando non ha avuto ancora la possibilità di controllare l’effettività delle riforme realizzate dalle autorità in seguito alla sentenza pilota Torreggiani. Prudentemente la sentenza pilota ungherese62 non orienta lo Stato convenuto verso un sistema in particolare. 58 Cfr. ad esempio Payet v. France, Plathey v. France, n. 48337/09, 10 novembre 2011, cfr. anche Ananyev, §101. 59 Valasinas v. Lithuania, n. 44558/98, 14 marzo 2000. 60 Quest’ultimo riferimento è il risultato di un errore in quanto questo meccanismo, che non era già più in vigore, non rispondeva ai requisiti enunciati dalla stessa Corte. 61 Orchowski v. Poland, n. 17885/04; Norbert Sikorski v. Poland, n. 17599/05, 22 ottobre 2009. 62 Varga and others v. Hungary, cit. supra. 15 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission Peraltro, può capitare che la Corte stessa imponga l’intervento di un organo giurisdizionale. Così nel caso di detenuti collocati in locali disciplinari non abitabili63, la Corte prevede espressamente, considerata l’importanza delle ripercussioni di una detenzione in cella disciplinare, la necessità di una “istanza giurisdizionale” che esamini la forma oltre che il merito di tale provvedimento. Tale soluzione può tuttavia essere ritenuta come un’estensione dell’esigenza dell’intervento di un giudice, sancita nel campo affine dell’isolamento per motivi di ordine e sicurezza (che può durare molti anni). Più in generale, le prerogative che la Corte esige dall’organo (vedi infra), in particolare la forza vincolante delle decisioni, hanno chiaramente la natura di quelle solitamente attribuite al potere giurisdizionale. 2.2 Caratteristiche del procedimento 2.2.1 Accessibilità dell’organo competente Anche se la Corte rifugge dal proporre un modello del sistema di ricorsi più adatto a soddisfare i requisiti dell’articolo 3, la preferenza accordata a delle autorità indipendenti o a un giudice specializzato attesta un’attenzione particolare alla reattività del meccanismo e alla sua conoscenza dell’ambiente carcerario, ma altresì alla sua accessibilità alle persone detenute. Diversi aspetti sono presi in esame a questo titolo, in misura variabile: il costo del procedimento, il grado di complessità delle norme e dei passaggi procedurali, la protezione contro le ritorsioni, etc. Nella sentenza Ananyev la Corte si compiace del fatto che il procedimento di ricorso preventivo previsto dal diritto interno non abbia costi per il ricorrente (§109). Per quel che riguarda il rimedio compensatorio da istituire in attuazione della sentenza, la Corte afferma che non deve comportare un regime di spese di giustizia che gravi in modo eccessivo su chi presenta un ricorso fondato (§228). Sulla base dell’articolo 6 la giurisprudenza ritiene in generale che la capacità del ricorrente di pagare le spese di giustizia e la fase del procedimento in cui queste spese vanno pagate sono altrettanti elementi di cui tener conto per stabilire se l’accesso al giudice è stato ostacolato. Delle restrizioni di natura puramente finanziaria, totalmente disconnesse dalle prospettive di successo del ricorso, devono essere oggetto di un esame particolarmente rigoroso. La Corte si mostra assai severa al riguardo di meccanismi che comportano una tassazione del ricorso al giudice in materia di condizioni di detenzione64. 63 Nel caso Payet le celle della sezione disciplinare non erano dotate di finestre ma di un lucernario opaco sul soffitto. Le condotte d’areazione erano infestate dai volatili e le aree aperte erano spesso inondate dall’acqua piovana. Il ricorrente vi era rimasto per 45 giorni. Nella seconda sentenza il ricorrente era stato messo in una cella che era stata devastata da un incendio dove regnava un odore soffocante. 64 Articolo 70.4 delle Regole penitenziarie europee del 2006. 16 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission Per quel che riguarda l’accesso all’assistenza legale, la giurisprudenza si mostra assai scarsa. Nella prospettiva dell’equo processo, tiene conto della mancanza di assistenza legale ma solo per rafforzare il suo ragionamento, non sulla base del diritto di accesso al giudice, nel cui quadro esamina di solito la questione del gratuito patrocinio, ma sotto il profilo della mancata comparizione personale davanti all’organo giudicante65. È da notare però che nella sentenza Aden Ahmat v. Malta del 23 luglio 201366, vertente sulla materia degli stranieri irregolari, affine a quella delle condizioni materiali di detenzione, e il cui ragionamento dunque può essere portato nel campo del contenzioso penitenziario, la Corte ha affermato espressamente che l’assenza di un sistema strutturato di assistenza legale poneva in sé un problema di accessibilità del rimedio, quale che ne sia il merito (§66). Tuttavia non sembra che a tutt’oggi tale posizione abbia preso piede nel campo del contenzioso penitenziario, quando un paese come la Russia, che è stato oggetto di un procedimento di sentenza pilota, non prevede il gratuito patrocinio in questo campo. In realtà la Corte insiste piuttosto sull’accesso agli organi competenti da parte dei detenuti in persona, sottolineando la semplicità dei passaggi procedurali67 o esigendo un adattamento delle norme sull’accertamento dei fatti (vedi infra). Quando la situazione incriminata concerne delle persone con problemi mentali le autorità devono usare delle cautele specifiche, che impongono loro di agire d’ufficio per controllare la situazione degli interessati. Così nella sentenza Sławomir Musiał v. Poland la Corte ritiene che, essendo il ricorrente affetto da problemi psichiatrici che ne diminuivano le facoltà mentali, “non dovesse pretendersi né attendersi che egli utilizzasse in modo assolutamente accurato tutti i rimedi concessi dal codice dell’esecuzione penale” (§73). Per respingere l’eccezione sollevata dal governo convenuto del mancato esaurimento dei rimedi, la Corte sostiene che le autorità carcerarie fossero la causa della sua situazione, che era descritta nelle richieste di scarcerazione e nei reclami al Mediatore (§74). Perciò nel contesto particolare dei detenuti incapaci di agire da soli, tenuto conto del loro stato psichico, l’obbligo procedurale positivo imposto in tal modo – valutare la fondatezza dei reclami nonostante l’assenza di un’istanza presentata regolarmente – obbliga le autorità amministrative e giudiziarie a una grande vigilanza per poter ignorare le norme procedurali vigenti quando ciò è richiesto dalla condizione del ricorrente68. Alcuni casi riguardanti dei detenuti che 65 Vasilyev v. Russia, 10 gennaio 2012, n. 28370/05; Beresnev v. Russia, 24 dicembre 2013, n. 37975/02. Cfr. a questo riguardo il rapporto sull’articolo 6. 66 N. 55352/12. 67 Neshkov, cit. supra, §191; mutatis mutandis, Marin Kostov v. Bulgaria, n. 13801/07, §§ 47-48, 24 luglio 2012. 68 Tale prescrizione è simile a quella applicata alle persone con tendenze suicide condotte nella sezione disciplinare (cfr. Keenan v. UK). 17 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission non presentano tali problemi indicano un’esigenza di agire d’ufficio69, ma tale obbligo non appare sistematizzato in giurisprudenza come nell’ipotesi precedente. L’ostacolo maggiore all’esercizio dei rimedi in carcere, cioè la paura di ritorsioni, sembra ormai preso in considerazione dalla Corte. Nella sentenza Neshkov and others v. Bulgaria la Corte ha cura di precisare che i detenuti devono essere in grado di esperire i rimedi senza timore di punizioni o altre conseguenze pregiudizievoli (§191), grazie all’appoggio delle Regole penitenziarie europee. La Corte si basa mutatis mutandis sulla soluzione scelta in un caso in cui il ricorrente era stato messo in isolamento a causa dei suoi reclami al procuratore70. Questa innovazione non è ancora sfociata in una prescrizione “operativa” che imporrebbe un meccanismo specifico di tutela del ricorrente. 2.2.2 Un processo regolamentato che garantisce la partecipazione del ricorrente Per soddisfare i requisiti dell’articolo 13 l’esame dei reclami dei detenuti deve seguire un procedimento definito dalla legge che garantisce la partecipazione degli interessati. Si tratta sia di permettere l’accertamento dei fatti in contraddittorio che di evitare che i reclami dei detenuti rimangano lettera morta. Da una parte, gli interessati devono essere messi in grado di rispondere alle memorie difensive dell’amministrazione, perché le loro allegazioni non siano annullate dalle affermazioni contrarie dell’amministrazione penitenziaria. Dall’altra, l’organo deve essere obbligato dalle norme procedurali a decidere effettivamente sui reclami che gli sono stati sottoposti. A questo riguardo, autorità come il Pubblico ministero, che in certi Stati dell’Europa centrale e orientale ha il compito di controllare la legalità degli atti dell’amministrazione, sono state ritenute insufficienti ai fini dell’articolo 13, se i detenuti non sono messi in grado di seguire il corso del procedimento e di contestare le affermazioni dell’amministrazione. La Corte ha analizzato il sistema vigente in Russia, nel quale la procura può effettuare delle visite a sorpresa negli istituti di detenzione, indagare e avviare una procedura d’infrazione in caso di mancanze, alla quale le autorità carcerarie sono legalmente tenute a rispondere entro un mese, sotto forma di un rapporto attestante i provvedimenti presi per correggerle. Nonostante il carattere coercitivo della procedura, la Corte ritiene che questo sistema non possa essere considerato un rimedio effettivo perché la procura non ha l’obbligo di ascoltare il reclamante e quest’ultimo non ha alcun diritto di ottenere informazioni sul modo in cui l’organo di vigilanza ha esaminato il ricorso, dato che il procedimento si svolge tra la procura e l’organismo controllato71. La stessa valutazione è stata data riguardo al sistema bulgaro72. È da notare che sono le stesse 69 Cfr. ad esempio Kalashnikov v. Russia (dec.), 18 settembre 2001, n. 47095/99. Il riferimento è all’articolo 70.4 delle Regole penitenziarie europee del 2006, e, mutatis mutandis, Marin Kostov v. Bulgaria, n. 13801/07, §§ 47-48, 24 luglio 2012. 71 Pavlenko, n. 42371/02, §§88-89, 1 aprile 2010; Aleksandr Makarov, n. 15217/07, §86, e Ananyev, cit. supra, §99. 72 Neshkov and others v. Bulgaria, cit. supra, §212. 70 18 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission considerazioni, oltre a quelle relative all’assenza di poteri vincolanti, che portano la Corte a rifiutare di considerare il Garante e istituzioni simili come rimedi effettivi ai sensi dell’articolo 1373. È da notare che il controllo operato dalla Corte sul terreno dell’articolo 6-1 nel contenzioso risarcitorio relativo alle condizioni di detenzione si manifesta essenzialmente attraverso la questione della partecipazione dei ricorrenti alle udienze, trattandosi di situazioni in cui la loro testimonianza è giudicata cruciale per la definizione del contenzioso74. 2.2.3 Celerità dell’intervento del giudice L’esigenza di celerità permea la giurisprudenza relativa ai “rimedi preventivi”, la cui funzione è far cessare rapidamente un trattamento contrario all’articolo 3 (cfr. per esempio Varga and others v. Hungary75, §49). Secondo il principio generale enunciato dalla Corte, infatti, “l’effettività dei rimedi richiesti dall’articolo 13 presuppone che possano impedire l’esecuzione di provvedimenti contrari alla Convenzione le cui conseguenze sono potenzialmente irreversibili (...)"76. Anche se gli Stati godono in materia di un certo margine di discrezionalità77, il procedimento in questione deve poter condurre a una decisione dell’organo competente in tempi brevi. Questa esigenza di celerità copre anche la fase esecutiva del provvedimento ordinato dal giudice, come ricorda la decisione Stella v. Italy78. In altre parole, la Corte verifica che l’amministrazione si trovi costretta dal meccanismo interno ad attuare rapidamente i provvedimenti prescritti dal giudice. La giurisprudenza non indica scadenze temporali precise, poiché il grado di rapidità richiesto per il procedimento dipende in linea di principio dalla natura della violazione allegata e dalle circostanze79. Tuttavia alcune sentenze, come quella pronunciata nel caso Ananyev and others v. Russia (citato supra), danno delle indicazioni sulle aspettative della Corte. Dopo aver ricordato che il meccanismo deve permettere un esame “pronto e accurato” dei ricorsi (§214), la sentenza ritiene soddisfacente il termine di dieci giorni impartito al giudice interno per decidere (§109). La condizione temporale è precisata meglio quando il trattamento incriminato ha una durata predefinita per legge, perché qui trova applicazione il principio generale secondo cui un rimedio che non può essere applicato in tempo utile non è né adeguato né effettivo. 73 Cfr. ad esempio Ananyev and others, cit. supra, §§105-106. Cfr. il capitolo sull’articolo 6. 75 10 marzo 2015, n. 14097/12, 45135/12, 73712/12. 76 Cfr. ad esempio Payet v. France, n. 19606/08, cit. supra, §127. 77 Ibid. 78 Stella and others v. Italy, dec. 16 settembre 2014, n. 49169/09, 54908/09, 55156/09, §48. 79 Čuprakovs v. Latvia, 18 dicembre 2012, n. 8543/04, §50. 74 19 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission Così nel caso Kadikis v. Latvia (n. 2)80 la Corte condanna lo Stato convenuto per l’impossibilità in cui si era trovato il ricorrente di iniziare un ricorso suscettibile di porre rimedio alle sue condizioni di detenzione entro il termine della sua carcerazione, che era di 15 giorni. Un altro esempio è il contenzioso sui provvedimenti disciplinari subiti in condizioni materiali deplorevoli. La Corte ha avuto occasione di affermare che un rimedio insuscettibile di essere applicato prima della fine dell’esecuzione di una sanzione subita in un locale disciplinare insalubre non risponde ai requisiti dell’articolo 13. La Corte ha deciso così in due cause contro la Francia concernenti delle sanzioni disciplinari della durata di 45 giorni. Nel caso Payet v. France il detenuto era stato messo in una cella esigua, buia e senza ventilazione. Nell’altro caso il ricorrente era stato messo in una cella calcinata con un’atmosfera soffocante. Nei due casi la Corte censura l’impossibilità di adire un giudice prima della fine della sanzione a causa dell’obbligo, previsto dal diritto interno, di ricorrere preliminarmente all’amministrazione. Essa afferma che “tenuto conto dell’importanza delle ripercussioni di una detenzione in cella disciplinare, un ricorso effettivo che consenta al detenuto di contestare non solo il merito ma la forma, e dunque i motivi, di tale provvedimento davanti a un’istanza giurisdizionale è indispensabile” (Payet, §133). Anche se in queste sentenze la Corte si riferisce alla sua giurisprudenza in tema di provvedimenti di allontanamento degli stranieri, che in certe circostanze esige che il rimedio abbia effetto sospensivo81, non specifica se tale caratteristica è richiesta in materia di sanzioni disciplinari. Infine, anche i procedimenti risarcitori per il cosiddetto rimedio compensatorio devono essere “rapidi” (Stella cit. supra, §61), anche se si comprende che la posta in gioco qui è minore poiché non si tratta di mettere fine a un trattamento in corso. L’esigenza sembra piuttosto quella di un termine ragionevole di cui all’articolo 6-1, a cui del resto si riferisce in materia la sentenza Ananyev (§228). 2.3 I metodi applicati dal giudice 2.3.1 Amministrazione della prova Secondo i giudici europei, “affinché un rimedio interno in materia di condizioni di detenzione possa ritenersi effettivo, l’autorità o l’organo giurisdizionale competente a conoscerne deve deciderlo in conformità ai principi pertinenti enunciati dalla giurisprudenza della Corte”82. Questa esigenza concerne in primo luogo la cognizione dei fatti e, di conseguenza, l’amministrazione della prova, che deve equivalere a quella in vigore a Strasburgo. In materia, nel silenzio della Convenzione o del Regolamento della Corte, la giurisprudenza ha stabilito un criterio generale che è quello, molto rigoroso, 80 N. 62393/00, 4 maggio 2006. Conka v. Belgium, n. 51564/99. 82 Neshkov and others v. Bulgaria, 27 gennaio 2015, n. 36925/10, §187. 81 20 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission della prova “al di là di ogni ragionevole dubbio”83. Come ha osservato Béatrice PastreBelda, “si tratta di conseguenza di un principio per lo meno rigoroso e che, di primo acchito, pone l’onere della prova interamente a carico di chi allega una violazione della Convenzione”84. Tuttavia, nel timore che il regime della prova indebolisca la protezione convenzionale, la Corte ha fortemente attenuato il rigore di questo principio sottolineando che i procedimenti davanti ad essa non presuppongono sempre il principio secondo cui chi afferma qualcosa deve provare la verità delle sue allegazioni85. Questa attenuazione è particolarmente evidente nel campo penitenziario86. Infatti, come osserva Pastre-Belda, “poiché l’accertamento della verità dei fatti allegati condiziona l’applicabilità delle disposizioni convenzionali intangibili, è fondamentale per il ricorrente, privato della libertà di movimento, che l’onere della prova non incomba esclusivamente su di lui, tanto più quando si tratta di allegazioni gravi”87. La Corte tiene conto del contesto interpretativo degli obblighi convenzionali, cioè la completa dipendenza del ricorrente dall’amministrazione che rende impossibile l’accertamento dei fatti allegati nelle condizioni ordinarie. Quasi tutti gli elementi suscettibili di provare la verità delle allegazioni si trova nelle mani dell’amministrazione convenuta, che controlla l’accesso ai locali interessati e tiene concretamente il ricorrente in una situazione di soggezione. Perciò la Corte afferma che “incombe alle autorità nazionali l’onere di raccogliere i dati suscettibili di dimostrare che una situazione denunciata dal ricorrente a Strasburgo è conforme alla Convenzione”88. Lo stesso principio vale per il contenzioso sulle condizioni di detenzione. La Corte afferma costantemente che il procedimento previsto dalla Convenzione non si presta a un’applicazione rigorosa del principio affirmanti incumbit probatio perché, “inevitabilmente, il governo convenuto è talvolta il solo ad avere accesso alle informazioni suscettibili di confermare o confutare le affermazioni del ricorrente”; “il semplice fatto che la versione del governo contraddice quella fornita dal ricorrente, in mancanza di documenti o spiegazioni pertinenti da parte del governo, non potrebbe da 83 Ireland v. United Kingdom, che precisa peraltro che il sistema è quello di una valutazione libera delle prove: “la Corte, padrona della sua procedura e del suo regolamento (…) valuta in piena libertà non soltanto l’ammissibilità e la rilevanza ma anche la forza probatoria di ciascun elemento del fascicolo” (§617). 84 Tesi, cit. supra, p. 85 Il principio affirmanti incubit probatio. 86 Cfr. anche la sezione sulla violenza fra detenuti e da parte del personale penitenziario, nonché quello sulla protezione del diritto alla vita. 87 Tesi, p. 88 Wegera v. Poland, 19 gennaio 2010, n. 141/07, §69, a proposito della privazione del diritto di visita di un detenuto. 21 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission solo portare la Corte a respingere delle allegazioni dell’interessato perché non dimostrate”89. In virtù dell’equivalenza attesa della protezione assicurata dal giudice interno, giudice di diritto comune della Convenzione EDU, la Corte prescrive a quest’ultimo di osservare un regime probatorio simile se non identico. Così la sentenza pilota Ananyev and others v. Russia ricorda in modo molto esplicito (§228) che nel meccanismo di ricorso atteso dalle autorità russe l’onere gravante sul ricorrente deve essere assolto da un semplice principio di prova del maltrattamento. Si deve solo pretendere dall’interessato che produca degli elementi a lui facilmente accessibili, come una descrizione dettagliata delle sue condizioni di detenzione, delle testimonianze o delle risposte degli organi di controllo (garante, commissione di sorveglianza, etc.); spetterà poi alle autorità confutare queste allegazioni producendo i documenti che dimostrano come le condizioni di detenzione non violino l’articolo 3 della Convenzione. Questo sistema di protezione risponde alla volontà di far funzionare i meccanismi di ricorso nonostante gli ostacoli che si frappongono all’esercizio dei diritti nella detenzione, che attengono alla disuguaglianza strutturale radicale che caratterizza la situazione delle parti processuali. Esso opera in due tempi. Una prima fase è segnata da un adattamento dell’oggetto e del metodo della prova, che è tale che il ricorrente sia tenuto dalla procedura solo ad un “onere dell’allegazione”, ossia l’obbligo di suffragare il reclamo per dargli una consistenza sufficiente che permette poi l’apertura della seconda fase dell’esame. Quest’obbligo si traduce in un meccanismo probatorio negativo che impone all’amministrazione l’onere di smentire le affermazioni dell’avversario producendo elementi per confutarle. Perciò la Corte ha operato in una logica di semplificazione dei meccanismi procedurali al fine di mettere la protezione dell’articolo 13 alla portata delle persone detenute. Questa logica consente di affrontare i mali più diffusi nei sistemi penitenziari europei: promiscuità legata al sovraffollamento, insalubrità, edifici inadatti a ospitare delle persone, etc. Detto altrimenti, gli oggetti del contendere si prestano a delle descrizioni e a delle discussioni sulle prove in termini assai semplici. La giurisprudenza non sembra aver realmente affrontato la questione dei mezzi istruttori, in particolare le perizie, per avere un professionista che chiarisca al giudice delle questioni tecniche90. Non è detto che il dispositivo delineato dalla giurisprudenza attuale possa permettere di trattare adeguatamente delle dispute vertenti su questioni complesse. Questo tipo di dispute è destinato a presentarsi sempre più spesso, dati i vasti programmi di modernizzazione e di 89 Brânduşe v. Romania, n. 6586/03, §48, 7 aprile 2009; Ananyev and others v. Russia, cit. supra, §123; Torreggiani v. Italy, cit. supra, §72. 90 Per un esempio concernente l’esigenza di una perizia per l’accertamento dei fatti in un altro contenzioso (colpa medica) nella prospettiva dell’ambito procedurale dell’articolo 8, cfr. S.B. v. Romania (n. 24453/04). 22 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission costruzione in tutto il continente, e considerando la proliferazione di dispositivi elaborati di sicurezza passiva nell’architettura carceraria. 2.3.2 Condizioni per l’utilizzo delle qualificazioni giuridiche Nella prospettiva dell’articolo 13, la Corte esige che i giudici nazionali adottino dei metodi di identificazione dei trattamenti contrari a questo articolo uguali a quelli elaborati dalla sua giurisprudenza e descritti in precedenza. In primo luogo, il divieto di tali trattamenti non deve essere influenzato dall’applicazione di qualificazioni del diritto interno. È pertanto contrario all’articolo 13 un sistema in cui il ricorso alla protezione (in questo caso un risarcimento) a causa delle cattive condizioni di detenzione è condizionato dalla dimostrazione della colpa personale dei responsabili penitenziari91. Lo stesso vale quando gli organi nazionali cercano soltanto una violazione formale delle norme interne od omettono di tenere conto degli effetti cumulativi dei diversi aspetti delle cattive condizioni di detenzione92. Così nel caso Neshkov and others v. Bulgaria la Corte osserva che, anche se il diritto interno sulla responsabilità extracontrattuale dello Stato consente di ottenere un risarcimento in caso di trattamento disumano e degradante, chiunque desideri avvalersi di questo rimedio deve provare l’“illegalità”, nel senso del diritto bulgaro, dei provvedimenti presi dalle autorità carcerarie invece di cercare di provare che ha subito tale trattamento. Quando sono investite di un reclamo concernente le cattive condizioni di detenzione, la Corte osserva che il più delle volte i giudici bulgari tengono conto solo delle disposizioni legislative e regolamentari interne e non del divieto generale di trattamenti disumani e degradanti posto dalla Convenzione. Il diritto a un ordine di trasferire un detenuto in un altro istituto come rimedio preventivo è ugualmente ostacolato dal fatto che i giudici amministrativi non prendono tale provvedimento se non ricorrono le condizioni rigorose dell’“illegalità”. Viceversa, uno statuto giuridico del detenuto definito in termini troppo vaghi per permettere al giudice di operare un controllo di legalità costituisce un aspetto di cui tenere conto per accertare la mancanza di effettività del rimedio93. La Corte ha inoltre dovuto precisare che in una causa per risarcimento, in cui è necessario provare il danno, la persona non deve essere assoggettata a delle dimostrazioni complesse del danno morale causato dal trattamento disumano o degradante risultante dalle cattive 91 Cfr. Aleksandr Makarov, cit. supra, §§77 e 87-89; Benediktov, §§ 29 e 30. Aleksandr Makarov v. Russia, cit. supra, §§98-100; Iacov Stanciu v. Romania. 93 Yaroshonen v. Turkey, n. 72710/11. 92 23 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission condizioni di detenzione94. Il diritto interno deve sancire una forte presunzione legale in materia95. 3. I poteri del giudice Come si è detto, l’ambito procedurale della tutela dei detenuti contro le cattive condizioni materiali di detenzione si suddivide in due branche. Da una parte, le garanzie destinate a proteggere gli interessati contro l’occorrenza o la continuazione di un trattamento contrario all’articolo 3 (rimedio cosiddetto “preventivo”); dall’altra quelle destinate ad assicurare il risarcimento dei danni già fatti e già finiti. La Corte precisa che questi due rimedi devono coesistere. In altre parole, il detenuto che lamenta le sue attuali condizioni di detenzione deve poter ottenere riparazione del danno subito. 3.1 Rimedi preventivi atti a far cessare il trattamento incriminato La questione decisiva è se la persona interessata può ottenere dal giudice interno un rimedio diretto e appropriato e non semplicemente una protezione indiretta dei diritti garantiti dall’articolo 3 della Convenzione96. Pertanto un rimedio esclusivamente compensatorio non sarebbe ritenuto sufficiente in quanto non ha un effetto “preventivo”, non potendo impedire la continuazione della violazione allegata né permettere ai detenuti di ottenere un miglioramento delle loro condizioni materiali di detenzione97. L’attitudine che deve avere il meccanismo di apportare dei cambiamenti nelle condizioni di vita degli interessati ha diverse implicazioni giuridiche e fattuali. 3.1.1 Provvedimenti obbligatori e sufficientemente determinati Per essere ritenute un rimedio preventivo effettivo le decisioni dell’organo competente devono essere “vincolanti ed esecutive” (Ananyev, §216), cioè dotate in se stesse di forza vincolante per l’amministrazione convenuta. Quest’ultima deve giuridicamente obbligata a prendere dei provvedimenti o a tenere un certo comportamento in conseguenza di esse. Questo aspetto è particolarmente importante perché in numerosi Stati europei sono incerti lo statuto e la portata delle decisioni prese dall’istituzione del giudice dell’esecuzione penale, organo con vocazione ad essere l’istanza di controllo. La forza vincolante delle decisioni in questione può essere incerta nel diritto interno, nel qual caso la Corte deve cercare nei fatti quali sono le implicazioni concrete. Nella sentenza pilota Torreggiani and others v. Italy si poneva la questione se il ricorso al Magistrato di sorveglianza (MS) costituisse un prerequisito per poter adire il giudice 94 Neshkov and others v. Bulgaria, 27 gennaio 2015, §128. Ananyev v. Russia, §228. 96 Cfr., fra altre, Mandić and Jović v. Slovenia, nn. 5774/10 e 5985/10, §107, 20 ottobre 2011. 97 Fra molte altre, Cenbauer v. Croatia (dec.), n. 73786/01, 5 febbraio 2004; Norbert Sikorski v. Poland, n. 17599/05, § 116, 22 ottobre 2009; Mandić and Jović v. Slovenia, cit. supra, §116; Parascineti v. Romania, n. 32060/05, § 38, 13 marzo 2012. 95 24 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission europeo, come voleva il governo. La legge prevedeva in particolare che il magistrato ha il “potere di disporre i provvedimenti necessari a eliminare le eventuali violazioni dei diritti” degli interessati, con ordinanza. A questo riguardo la natura controversa della decisione del MS, giurisdizionale o amministrativa, “non è determinante” agli occhi dei giudici europei. Tuttavia l’eccezione opposta dallo Stato si scontra con l’incertezza che circonda la portata delle ordinanze del MS, poiché la Corte osserva che la mancata esecuzione per molti mesi della decisione a favore di uno dei ricorrenti indebolisce la tesi governativa che tali decisioni siano vincolanti per l’amministrazione (§54). In ogni caso il requisito dell’effettività è incompatibile col fatto che “un detenuto che ha ottenuto una decisione favorevole moltiplichi i ricorsi al fine di ottenere il riconoscimento dei suoi diritti fondamentali al livello dell’amministrazione penitenziaria”. Nella decisione Stella v. Italy, che ha concluso la procedura di sentenza pilota contro questo Stato, la Corte rileva “con interesse che il nuovo rimedio precisa adesso la forza vincolante delle decisioni (…). Tali decisioni sono prese nel rispetto del principio del contraddittorio fra le parti e sono vincolanti per le autorità amministrative competenti. Queste ultime devono attivarsi entro un termine stabilito dal giudice – il che in via di principio soddisfa il criterio della celerità delle procedure – scaduto il quale si può procedere a un’esecuzione forzata” (§49). La mancanza di effetti del rimedio può derivare dall’indifferenza dell’amministrazione verso delle decisioni prese nel quadro di un meccanismo ritenuto altrimenti effettivo. Questa vigilanza si è manifestata molto presto. Così, decidendo sull’ammissibilità del caso A.B. v. Netherlands del 5 settembre 200098, la Corte rileva che il ricorso civile che non è stato esperito dal ricorrente era in sé di grande valore. Tuttavia, “nel valutare questo rimedio alla luce degli accertamenti del CPT (…) la Corte dubita che un procedimento ingiuntivo avrebbe potuto porre rimedio alle violazioni allegate dal ricorrente. Di più, nelle sue brevi osservazioni su queste procedure il governo non ha minimamente dimostrato che il ricorso avrebbe costituito un rimedio effettivo nella specie”. Nella decisione sul merito99 la Corte, per respingere l’eccezione di inammissibilità e concludere per la violazione dell’articolo 13, si dice colpita “dalle considerazioni del tribunale (…), da cui risulta chiaramente che le autorità (…) sono rimaste totalmente passive per più di un anno senza ottemperare alle sei ingiunzioni di correggere le gravi mancanze strutturali in materia di igiene elementare e di carattere umanitario” (§73). La Corte ha visto nell’imprecisione delle prerogative del giudice un ostacolo concreto all’autorità delle sue decisioni. Ritiene anche che egli debba disporre di un ampio ventaglio di mezzi giuridici in grado di sradicare la violazione che accerta (Ananyev, 98 99 N. 37328/97. 29 gennaio 2002. 25 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission §214). Una delle aspettative della Corte in materia è la capacità del dispositivo di utilizzare dei provvedimenti destinati a fronteggiare temporaneamente una situazione di sovraffollamento, in modo che non raggiunga la soglia di gravità del trattamento contrario all’articolo 3 (Ananyev, §208). I giudici del Palazzo dei diritti dell’uomo sembrano sedotti dal dispositivo attuato dalle autorità polacche in seguito a una decisione della Corte costituzionale del 26 maggio 2008, secondo cui il fenomeno del sovraffollamento carcerario nel paese per la sua natura grave e cronica era da solo suscettibile di essere qualificato come trattamento disumano e degradante e che pertanto le disposizioni legislative che consentivano all’amministrazione di prendere dei provvedimenti per ridurre la superficie per detenuto a meno di 3m² erano incostituzionali (vedi Norbert Sikorski, §§75-88). Il diritto risultante dalla riforma legislativa prevede che il giudice possa sospendere l’esecuzione di una condanna, per una durata massima di sei mesi, quando il numero dei detenuti su scala nazionale eccede la capacità globale del sistema penitenziario. Inoltre la legge prevede adesso che, all’infuori di circostanze eccezionali, il direttore dell’istituto possa mettere un detenuto in una cella in cui dispone di una superficie inferiore a 3m², ma superiore a 2m², per non più di 14 giorni. Il provvedimento può essere prorogato solo con l’autorizzazione del giudice e per una durata totale di 28 giorni. Può essere reiterato nei confronti dell’interessato solo dopo un periodo di 180 giorni. Nella decisione Latak v. Poland100, che conclude le procedure di sentenza pilota Norbert Sikorski e Orchowski, la Corte, pur dichiarando di non volere pregiudicare la sua posizione sull’effettività del rimedio introdotto dalla riforma, ha cura di sottolineare che “la legge non specifica soltanto le circostanze in cui le norme di legge sullo spazio minimo possono essere derogate e la durata massima del provvedimento, ma riconosce al detenuto nuove possibilità di contestare la decisione dell’amministrazione di ridurre il suo spazio in cella” (§87). Parimenti, la Polonia serve chiaramente d’esempio nella sentenza Ananyev (vedi in part. §§61-65, e §207). 3.1.2 Provvedimenti che tengono conto, se del caso, del problema strutturale del sovraffollamento La giurisprudenza della Corte, e in particolare le sentenze pilota e quasi pilota concernenti il sovraffollamento carcerario, affermano che per essere effettivo il ricorso preventivo deve permettere al giudice di agire sulle circostanze all’origine della violazione. Così nella sentenza Ananyev la Corte afferma sul terreno dell’articolo 46 (esecuzione della sentenza) che “tenuto conto della natura onnipresente e strutturale del problema del sovraffollamento, conviene pensare a dotare i giudici russi di strumenti giuridici che permettano loro di esaminare il problema sottostante al ricorso individuale e affrontare efficacemente le situazioni di violazione massiccia e simultanea dei diritti dei 100 (dec.) n. 52070/08, 12 ottobre 2010. 26 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission detenuti nei centri di custodia cautelare” (§219; si veda anche in questo senso Norbert Sikorski, §160). Questo ragionamento, secondo cui “le disfunzioni dei rimedi ‘preventivi’ in situazioni di sovraffollamento dipendono in gran parte dalla natura strutturale del fenomeno”, porta la Corte a ritenere, nella sentenza pilota Torreggiani v. Italy, che il meccanismo di ricorso di fronte al giudice non sia in pratica effettivo. Infatti la Corte dichiara di “capire facilmente che le autorità carcerarie italiane non sono in grado di eseguire le decisioni dei magistrati di sorveglianza e di garantire ai detenuti delle condizioni di detenzione conformi alla Convenzione” (§54). La Corte aveva già fatto queste considerazioni nelle sentenze pilota contro la Polonia, dove ritiene che “è improbabile che la decisione di un giudice civile dia una soluzione globale al problema delle condizioni di detenzione inadeguate, dato che essa non può agire sulle circostanze sottostanti” (Norbert Sikorski v. Poland, citata supra, §160). La sentenza Ananyev v. Russia esplicita la preoccupazione soggiacente a questa esigenza, cioè che il provvedimento che l’organo di reclamo è chiamato a prendere per correggere una carenza accertata nel caso di specie non aggravi la sorte degli altri detenuti provocando di conseguenza altre violazioni della Convenzione (Ananyev, §§111-112). Ne deriva, implicitamente ma necessariamente, che il solo potere dato al giudice di ordinare il cambio di cella del ricorrente, che avrebbe l’effetto di aggravare le conseguenze del sovraffollamento per gli altri detenuti dell’istituto, è insufficiente. Più specificamente la Corte respinge, nella prospettiva del requisito dell’effettività, i sistemi di reclamo in cui l’organo competente non può rimediare alle carenze accertate senza aggravare la sorte degli altri detenuti dello stesso istituto (Ananyev, §§111-112). In queste condizioni il solo potere dato al giudice di ordinare il cambio di cella del ricorrente è insufficiente. Perciò gli organi di reclamo devono essere in grado di agire sul flusso di detenuti negli istituti interessati. Nella sentenza Strucl and others v. Slovenia101, la Corte invita le autorità a istituire un meccanismo che permetta ai ricorrenti di ottenere una “reazione rapida ai reclami”, consistente, se del caso, nel trasferimento in un istituto non sovraffollato (§141). La sentenza Orchowski v. Poland sottolinea che dei trasferimenti incessanti possono tradire gli obblighi convenzionali, il che suona come un avvertimento contro la tentazione di gestire il sovraffollamento con lo spostamento continuo dei detenuti in sovrannumero. Trattandosi di problemi spesso endemici che affliggono tutto o una parte del territorio nazionale, l’ordine di trasferire il detenuto può rivelarsi insufficiente quando il sistema nel suo insieme è sovraffollato. Perciò l’organo di ricorso può trovarsi nella stessa situazione dei servizi penitenziari, essere nell’impossibilità di dare alla controversia una soluzione individuale che non vada a detrimento degli altri detenuti, anch’essi di fronte al 101 20 ottobre 2011, n. 5903/10, 6003/10, 6544/10. 27 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission sovraffollamento102. Nonostante il carattere lancinante del problema su scala continentale e la gravità della posta in gioco per lei stessa103, la Corte si è astenuta dal portare il ragionamento fino in fondo, e dall’esigere esplicitamente che l’organo di reclamo abbia il potere di impedire la reclusione nell’istituto o di ordinare delle scarcerazioni. La sentenza Ananyev and others v. Russia si mostra però favorevole a dei dispositivi di questo tipo, ma senza collegarli formalmente al diritto a un rimedio effettivo. Infatti nel contesto dei provvedimenti proposti per affrontare il problema del sovraffollamento nelle carceri cautelari (parte della sentenza distinta da quella dedicata al sistema di ricorsi da istituire), la sentenza prende posizione a favore di norme sulla capacità massima e la capacità operativa (§205), della possibilità data al direttore del carcere di rifiutare nuovi ingressi (§206), di meccanismi per governare i provvedimenti di gestione del sovraffollamento (§207). Nella decisione Stella v. Italy (che chiude la procedura della sentenza pilota italiana) non analizza gli strumenti a disposizione del giudice nel quadro del nuovo rimedio preventivo ma prende in esame i provvedimenti di politica penale generale adottati e il miglioramento sensibile delle statistiche penitenziarie per concludere che “la situazione attuale del sistema penitenziario italiano sembra offrire alle autorità amministrative competenti un contesto più favorevole all’utilizzo effettivo delle decisioni giudiziarie. Si tratta secondo la Corte di un aspetto cruciale di cui bisogna tener conto nel valutare l’effettività in pratica del rimedio in questione” (§50). E questo nel momento in cui il sistema penitenziario rimane saturo, mettendo in dubbio la capacità del giudice di sottrarre gli interessati alla situazione che lamentano. Così la Corte concede apertamente al governo italiano un premio di incoraggiamento per la direzione data alla politica penale e la riforma rapidamente applicata al sistema dei rimedi, a costo di indebolire i requisiti procedurali. A beneficio di questo, il controllo delle prerogative del giudice sembra essere sospeso in particolare104. 3.2 I cosiddetti rimedi “compensatori” Secondo la Corte, dopo aver lasciato l’istituto nel quale ha subito le condizioni inadeguate il detenuto deve avere un diritto azionabile a un indennizzo per la violazione che è già avvenuta105. Si tratta del ricorso compensatorio menzionato supra. L’indennizzo può avere due forme: un risarcimento o una riduzione della pena da scontare in ragione del pregiudizio subito. A questo riguardo la Corte ritiene che una decisione o un provvedimento favorevole al ricorrente è sufficiente a non qualificarlo più come una 102 Cfr. ad esempio Kalashnikov v. Russia (dec.), 18 settembre 2001, n. 47095/99. Cfr. la sezione sulle sentenze pilota. 104 La Corte lo specifica. 105 Cfr. Sergey Babushkin, cit. supra, § 40. 103 28 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission “vittima” solo se le autorità nazionali hanno riconosciuto, esplicitamente o in sostanza, e poi riparato la violazione della Convenzione106. 3.2.1 Il rimedio pecuniario La Corte ritiene che l’ammontare del risarcimento accordato non costituisce soltanto una questione di valutazione del danno, che verterebbe unicamente su una questione di fatto: rappresenta anche un elemento costitutivo del rimedio effettivo ai sensi dell’articolo 13 della Convenzione e quindi la sua insufficienza può costituire in sé una violazione della norma giuridica prevista da questa disposizione107. A questo riguardo, il livello del risarcimento concesso per il danno morale non deve essere irragionevole in relazione alle decisioni prese dalla Corte in casi simili; il diritto di non subire trattamenti disumani o degradanti è “così fondamentale e centrale nel sistema di protezione dei diritti dell’uomo che l’autorità nazionale o il tribunale che trattano la questione dovranno addurre delle ragioni stringenti ed eccezionalmente gravi per giustificare la decisione di concedere meno o nessun risarcimento a titolo di danno morale”108. Nel caso Shilbergs v. Russia la Corte ha ricordato in modo particolarmente esemplare gli obblighi in materia che gravano sui tribunali nazionali. Ha messo in causa il versamento di un risarcimento di 50 euro per una detenzione subita, in particolare, in una cella estremamente fredda e umida, senza illuminazione adeguata. Si è dichiarata inoltre preoccupata dal ragionamento del tribunale russo che aveva valutato l’ammontare del risarcimento facendo riferimento in particolare al “grado di responsabilità della direzione e alla sua mancanza di mezzi finanziari”. La Corte ha ammesso che nell’applicare il principio del risarcimento i giudici nazionali possono tenere conto della condotta dell’interessato e delle circostanze. Ricorda però che le difficoltà finanziarie o logistiche, oltre che l’assenza di una vera intenzione di umiliare o degradare il ricorrente, non potevano essere addotte dalle autorità nazionali per esimersi dall’obbligo di organizzare il sistema penitenziario in modo da assicurare il rispetto della dignità dei detenuti109. La Corte ha ritenuto anormale che i tribunali nazionali riducano l’ammontare del risarcimento da versare al ricorrente per una colpa dello Stato facendo riferimento alla mancanza di fondi di quest’ultimo. Ha ritenuto che l’esiguità dei mezzi a disposizione dello Stato non doveva valere come un’attenuante della colpa ed era quindi irrilevante per valutare i danni ai sensi del criterio compensatorio. Inoltre la Corte ha sottolineato che i giudici interni, come custodi dei diritti e delle libertà individuali, avevano il dovere di dimostrare la loro disapprovazione 106 Torreggiani, §38 Rhazali and others v. France, (dec.), n. 37568/09. 108 Ananyev, cit. supra, §230. 109 Mamedova v. Russia, n. 7064/05, §63, 1 giugno 2006. 107 29 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission del comportamento illecito dello Stato attraverso l’attribuzione di una somma adeguata e sufficiente a titolo di risarcimento e interessi, tenendo conto dell’importanza fondamentale del diritto di cui avevano constatato la violazione, pur ritenendolo accidentale. Questo avrebbe trasmesso il messaggio che lo Stato non poteva ridurre a niente i diritti e le libertà individuali o aggirarli impunemente (Shilbergs, citato supra, §§71-79). Data la solennità con cui la Corte richiama la funzione del rimedio compensatorio110, suona strana la soluzione adottata nel caso Stella v. Italy (che chiude la procedura di sentenza pilota), consistente in qualche modo in un premio finanziario dato allo Stato che ottempera rapidamente agli obblighi della sentenza pilota. O, detto altrimenti, nel tenere conto ai fini della valutazione del danno subito di parametri totalmente estranei alle circostanze della causa. La Corte era chiamata a pronunciarsi, in particolare, su un criterio che prevedeva un risarcimento di 8 euro per ogni giorno passato in condizioni ritenute contrarie alla Convenzione. Per dare la sua benedizione a dei livelli di risarcimento così bassi, la Corte afferma che “quando uno Stato ha fatto un passo importante istituendo un rimedio risarcitorio per riparare a una violazione della Convenzione, si deve concedergli un margine di apprezzamento maggiore perché possa organizzare questo rimedio interno in modo coerente col suo ordinamento giuridico e le sue tradizioni, in conformità al livello di vista del paese (si veda, fra gli altri, il caso Cocchiarella [GC], citato supra, § 80). Perciò la Corte può perfettamente accettare che uno Stato dotatosi di rimedi diversi e le cui decisioni conformi alla tradizione giuridica e al livello di vita del paese sono rapide, motivate ed eseguite con celerità, riconosca delle somme che, pur essendo inferiori a quelle stabilite dalla Corte, non sono irragionevoli” (ibid., §96). 3.2.2 Il rimedio sotto forma di sconto di pena Nella sentenza Ananyev v. Russia la Corte afferma, a proposito di un sistema di rimedi poggiante sulla concessione di uno sconto di pena, che i tribunali devono riconoscere la violazione dell’articolo 3 in modo sufficientemente chiaro e accordare il risarcimento riducendo la pena in modo espresso e misurabile. Se le decisioni dei giudici interni non danno una spiegazione specifica della misura in cui la constatazione e il riconoscimento di una violazione dell’articolo 3 ha determinato una riduzione di pena, la Corte ritiene che tale riduzione non privi di per sé l’individuo leso dello status di vittima. Questa esigenza di misurabilità presuppone la possibilità giuridica di una valutazione individualizzata dell’effetto della violazione sui diritti della Convenzione e del risarcimento specifico che deve essere accordato alla persona lesa. Uno sconto automatico calcolato in base a coefficienti di riduzione predefiniti può difficilmente essere compatibile con questa esigenza di valutazione individualizzata. Inoltre la Corte è 110 Posizione reiterata nella sentenza pilota Ananyev, cit. supra. 30 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission del parere che una riduzione automatica di pena ai criminali condannati che sono stati reclusi in strutture insalubri può nuocere all’interesse pubblico alla sanzione penale111. Nel caso Stella v. Italy, citato supra, la Corte era chiamata ancora una volta a pronunciarsi su un sistema di riparazione ai sensi del quale le persone detenute che dovevano ancora finire di scontare la pena potevano vedersi riconoscere uno sconto di pena pari a un giorno per ogni dieci di detenzione incompatibile con la Convenzione. La Corte afferma questa volta che una riduzione di pena, a certe condizioni, può costituire una riparazione soddisfacente delle violazioni della Convenzione in materia penale, quando le autorità nazionali hanno, esplicitamente o nella sostanza, riconosciuto e poi risarcito la violazione della Convenzione (§59). Affermando di non essersi dovuta pronunciare su tale sistema nel quadro dell’articolo 3, ricorda di aver già ritenuto soddisfacente la concessione di uno sconto di pena in modo espresso e misurabile nel caso di mancato rispetto dell’obbligo di un “termine ragionevole” di cui all’articolo 6 §1 della Convenzione, o quando le autorità nazionali non abbiano trattato il caso di una persona sottoposta a custodia cautelare con la diligenza richiesta dall’articolo 5 §3 della Convenzione. Nel caso di specie la Corte approva il meccanismo in quanto, da un lato, lo sconto è concesso esplicitamente per risarcire la violazione dell’articolo 3 della Convenzione e, dall’altro, il suo impatto sul quantum di pena dell’interessato è misurabile. Di più, ritiene che “questa forma di risarcimento presenti il vantaggio innegabile di contribuire a risolvere il problema del sovraffollamento accelerando la scarcerazione delle persone detenute”. 3.3 Il diritto a un rimedio effettivo e i cambiamenti del diritto penale Il disconoscimento su larga scala del diritto a delle condizioni dignitose è descritto come una circostanza che giustifica la limitazione del potere dello Stato di definire discrezionalmente la sua politica penale. Per citare la sentenza pilota Varga and others v. Hungary, “quando uno Stato non è in grado di garantire a ogni detenuto delle condizioni di detenzione compatibili con l’articolo 3 della Convenzione, la posizione costante della Corte e di tutti gli organi del Consiglio d’Europa è stata quella di ritenere che la soluzione più appropriata del problema del sovraffollamento sarebbe la riduzione del numero dei detenuti con l’utilizzo più frequente delle misure punitive non privative della libertà (si veda Norbert Sikorski, citato supra, §158) e con la limitazione del ricorso alla carcerazione preventiva (si veda Ananyev and Others, citato supra, §197)” (§104). Tuttavia questa posizione non è vista dalla Corte come un’autorizzazione a intervenire liberamente nel campo delle politiche penali, come fanno alcuni corti costituzionali. In quanto giudice internazionale, ritiene che la sua funzione non sia quella di operare 111 La Corte si riferisce alla sentenza Dimitrov and Hamanov v. Bulgaria, n. 48059/06 e 2708/09, §129, 10 maggio 2011. 31 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission direttamente su tali politiche. Tuttavia vede nel principio un’autorizzazione ad agire sul terreno dei rimedi nazionali. di sussidiarietà La sentenza Ananyev and others v. Russia afferma chiaramente questa posizione. In essa la Corte spiega, a proposito delle azioni da compiere per risolvere il problema del sovraffollamento, che “il ruolo della Corte non è quello di dare consigli al governo convenuto su un tale processo di riforme complesse, tanto meno di raccomandare un modo particolare di organizzare il suo sistema penale e penitenziario (…). Il Comitato dei Ministri ha una posizione e mezzi migliori per controllare i provvedimenti che la Russia deve prendere per assicurare delle condizioni adeguate di custodia cautelare in conformità alla Convenzione” (§194). Questo vincolo non si applica al sistema dei rimedi interni, perché “la situazione non è però la stessa per quel che riguarda la violazione dell’articolo 13 (…) in conformità all’articolo 46 della Convenzione, le conclusioni della Corte in virtù di questa disposizione necessitano di cambiamenti chiari e precisi dell’ordinamento giuridico nazionale (…)” (§212). In queste condizioni la Corte intende utilizzare il rimedio effettivo davanti ai giudici interni come una leva per agire indirettamente sulle politiche e le prassi penali. Le sentenze pilota che, secondo il Regolamento, danno luogo all’identificazione di un problema strutturale e alla designazione dei provvedimenti da prendere per risolverlo112, traducono molto chiaramente la rottura logica fra la constatazione di una violazione e i provvedimenti correttivi enunciati. Dopo aver descritto e analizzato il problema sistemico conseguente alle politiche e alle prassi penali, queste sentenze prendono poi la strada di enunciare delle trasformazioni da operare nei meccanismi di ricorso. Detto questo, la Corte può mostrarsi più o meno insistente riguardo al riorientamento della politica penale dello Stato convenuto. Certe sentenze si mostrano precise nell’indicare le riforme attese. È il caso in particolare della sentenza Ananyev che, come si è detto, non esita a suggerire delle azioni e dei meccanismi precisi per limitare la popolazione detenuta, come il numero chiuso. Altre si limitano a osservazioni molto generali. Così il timido richiamo, nella sentenza pilota Torreggiani v. Italy113, alla dottrina riduzionista del Consiglio d’Europa nasconde a malapena una presa di distanza rispetto al metodo volontarista impiegato nella sentenza Ananyev. 112 L’articolo 61.3 del Regolamento della Corte dispone che "La Corte deve indicare nella sentenza pilota da essa adottata la natura del problema strutturale o sistemico o della disfunzione da essa constatata e il tipo di misure riparatorie che la Parte contraente interessata deve prendere a livello interno in applicazione del dispositivo della sentenza". 113 La Corte “desidera ricordare in questo contesto le raccomandazioni (…) che invitano gli Stati a incoraggiare i procuratori e i giudici a ricorrere il più possibile alle misure alternative alla detenzione e a riorientare la loro politica penale verso un minor ricorso all’incarcerazione allo scopo, fra l’altro, di risolvere il problema della crescita della popolazione carceraria (si vedano in particolare le raccomandazioni del Comitato dei Ministri Rec(99)22 e Rec(2006)13)". 32 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission La giurisprudenza è quindi segnata da una forte tensione fra, da un lato, l’imperativo di garantire l’effettività del diritto a delle condizioni di detenzione conformi al diritto al rispetto della dignità, tanto più presente perché questo diritto è intangibile, e dall’altro la preoccupazione di far valere il principio di sussidiarietà e di mettere i giudici interni in prima linea nel trattamento di questo contenzioso di massa. Da questo punto di vista, l’opzione scelta in definitiva dalla Corte di spostare sulla popolazione detenuta l’onere di avviare delle procedure suscettibili da ultimo di smuovere i decisori pubblici e i giudici lascia dubbiosi, tanto sono numerosi gli ostacoli concreti all’esercizio dei diritti in carcere e versatili gli orientamenti di politica penale seguiti nel continente. In questo contesto la decisione Stella and others v. Italy traduce un entusiasmo ben comprensibile di fronte ai risultati della procedura della sentenza pilota Torreggiani che tale decisione conclude: “la Corte non può che compiacersi dell’impegno dello Stato convenuto. Apprezza i risultati significativi ottenuti finora grazie agli sforzi considerevoli fatti dalle autorità italiane a vari livelli, e constata che il problema del sovraffollamento carcerario in Italia, benché persistente, presenta oggi delle proporzioni meno drammatiche” (§54). Anche se è contrassegnata dal realismo dal punto di vista dei rapporti fra la Corte e gli Stati membri, tale strategia giurisprudenziale sembra un’arma molto debole contro i processi di strumentalizzazione politica del diritto penale che operano in numerosi contesti interni e che disattivano le garanzie giuridiche di categorie sempre maggiori di individui, scalzando così i fondamenti stessi della protezione dell’“umano irriducibile” stabiliti progressivamente dagli organi della Convenzione. 33 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission II. L’ARTICOLO 6-1 DELLA CONVENZIONE EDU E IL DIRITTO APPLICABILE AL SISTEMA CARCERARIO Mentre la giudiziarizzazione114 segnala l’uscita dallo Stato amministrativo e la ricerca di una nuova forma democratica115, interrogare il ruolo delle disposizioni dell’articolo 6 che garantiscono il diritto a un processo equo116 nelle dispute che sorgono nella detenzione torna a rendere conto del grado di integrazione del carcere nello spazio comune, dal di là dell’affermazione di principio che le persone incarcerate conservano i loro diritti fondamentali a eccezione della libertà di movimento. Da questo punto di vista questo standard europeo è un indicatore particolarmente affidabile per tre motivi. Primo, è a priori immune dall’inerzia storica che affligge gli apparati normativi penitenziari117, in quanto opera largamente secondo categorie giuridiche proprie, distinte dalle qualificazioni dei diritti nazionali. Infatti, per evitare che uno Stato si nasconda dietro le definizioni proprie del suo diritto interno per sottrarsi agli obblighi convenzionali e per superare la diversità degli ordinamenti giuridici nazionali, la Corte ha fatto ricorso a delle “nozioni autonome”, cioè delle “nozioni che il giudice separa dal contesto giuridico nazionale per dotarle di un senso ‘europeo’ valido per tutti gli Stati contraenti” 118. Poi, l’articolo 6 ha ampiamente dimostrato la sua attitudine a produrre delle innovazioni giuridiche importanti, avendo operato delle trasformazioni 114 Un movimento che è descritto come comprendente tre fenomeni: la tendenza a fare del giudice l’arbitro indispensabile di questioni precedentemente autonome (lavoro parlamentare, politica estera, etc.), l’aumento di volume del contenzioso che tende a trasformare la giustizia in un bene di consumo comune, e la penetrazione della forma giurisdizionale nelle sfere governative o internazionali; cfr. A. Garapon (dir.), La prudence et l’autorité : l’office du juge au XXIe siècle, IHEJ Paris 2013. 115 Ibid. 116 1. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti. La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l’accesso alla sala d’udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell’interesse della morale, dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o, nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità possa portare pregiudizio agli interessi della giustizia. 2. Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata. 3. In particolare, ogni accusato ha diritto di: (a) essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa formulata a suo carico; (b) disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa; (c) difendersi personalmente o avere l’assistenza di un difensore di sua scelta e, se non ha i mezzi per retribuire un difensore, poter essere assistito gratuitamente da un avvocato d’ufficio, quando lo esigono gli interessi della giustizia; (d) esaminare o far esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico; (e) farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata in udienza. 117 Gilles Chantraine e Dan Kaminski, « La politique des droits en prison », Champ pénal/Penal field [online], Séminaire Innovations Pénales, pubblicato online il 27 settembre 2007, consultato il 20 gennaio 2015. URL: http://champpenal.revues.org/2581; DOI: 10.4000/champpenal.2581. 118 L. Maulino, « Convention européenne des droits de l’homme, obligations procédurales et pluralisme » in Pluralisme et juges européens des droits de l’homme, M. Levinet (dir.), Bruylant 2010. 34 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission profonde in tutti i campi del diritto, al punto da costituire sicuramente lo strumento di armonizzazione più potente119. Infine il suo utilizzo è ampiamente padroneggiato dai cittadini europei, dato che le violazioni accertate su questa base rappresentavano da sole il 24,14% delle sentenze pronunciate dalla Corte nel 2015120. Data la lettera dell’articolo 6§1, si è posta in primo luogo la questione dell’inclusione del carcere nel suo campo di applicazione. In realtà la Corte l’ha posta molto presto: “l’articolo 6§1 si applica soltanto all’esame di ‘contestazioni su diritti e obblighi di carattere civile’ e della ‘fondatezza di ogni accusa in materia penale’. Di conseguenza ci sono ‘cause’ che sfuggono alla sua disciplina perché non ricadono in alcuna di queste categorie”121. Da questo punto di vista la Commissione dei diritti dell’uomo122 riteneva che le contestazioni relative al regime penitenziario appartenessero in via di principio al diritto pubblico, sfuggendo pertanto sia all’ambito penale che a quello civile dell’articolo 6§1. Questo valeva “riguardo alla situazione di subordinazione del detenuto rispetto all’amministrazione penitenziaria e tenuto conto del fatto che tutti i privilegi delle persone incarcerate concessi a fini di interesse generale nel quadro degli obblighi dello Stato al buon andamento dell’esecuzione penale”123. Tuttavia questa concezione è stata messa alla prova dall’utilizzo da parte della Corte di nozioni autonome nell’interpretare la portata dell’articolo 6. La Corte ha intrapreso rapidamente una decostruzione casuistica degli ambiti inizialmente esclusi dall’articolo 6-1124, ritenendo che la nozione civile non fosse riducibile alle sole controversie di diritto privato, sicché il contenzioso di diritto pubblico non poteva essere tenuto totalmente fuori dalla garanzia del processo equo. L’ambito civile dell’articolo 6 si è progressivamente esteso. Ritenendo che questa disposizione procedurale attuasse la tutela giurisdizionale degli altri diritti e libertà, la Corte ha affermato l’autonomia anche della “materia penale” fin dal 1976 con la sentenza Engel v. The Netherlands (§ 98). 119 Si veda il bilancio dell’incidenza delle sentenze nel documento Survey, forty years of activity 19591998, http://echr.coe.int/Documents/Survey_19591998_BIL.pdf. 120 Fatti e cifre 2015. 121 Le Compte, Van Leuven and De Meyere v. Belgique, § 41. I riferimenti completi alle sentenze sono disponibili alla fine del documento. 122 La Commissione europea dei diritti dell’uomo, l’organo incaricato di vagliare preliminarmente i ricorsi, è stata abolita con l’entrata in vigore nel 1998 del Protocollo n. 11 alla Convenzione. Da allora tutte le decisioni provengono dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU). Da allora in poi le decisioni citate sono sentenze o decisioni della CEDU, salvo diversa indicazione. 123 X. v. Germany (dec.), che concerne i procedimenti relativi alle condizioni di lavoro in carcere e alla proibizione fatta al ricorrente di inviare denaro all’esterno. 124 Van Drooghenbroeck v. Belgium. 35 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission Poiché la dottrina dei limiti impliciti125 era stata scartata dalla Corte126, il carcere non poteva restare ermetico alle evoluzioni in atto negli altri ambiti, civile e penale, di questa disposizione. Con la sentenza Golder v. The United Kingdom, concernente il rifiuto dell’amministrazione di autorizzare un detenuto a consultare un avvocato in vista di un’azione per diffamazione contro un agente di custodia che l’aveva chiamato in causa in un episodio di violenza, la Corte riconosceva l’applicabilità dell’articolo 6§1 a una “azione progettata [che] avrebbe riguardato un incidente relativo alla vita in carcere” (§40). Alcuni anni dopo la Corte afferma solennemente nella sentenza Campbell and Fell v. The United Kingdom che “la giustizia non può arrestarsi alla porta delle prigioni e niente, nei casi appropriati, permette di privare i detenuti della protezione dell’articolo 6”. Tuttavia questa entrata in scena dell’articolo 6 si scontra frontalmente con le logiche del carcere: il principio della parità di armi, che mette le parti rigorosamente sullo stesso piano, nega l’asimmetria costitutiva della relazione carceraria; i principi del contraddittorio e della pubblicità sono in contrasto col segreto che circonda l’esercizio del potere dietro le mura; l’esigenza di un processo entro un termine ragionevole ignora il controllo sovrano del tempo da parte dell’amministrazione, etc. Inoltre, una volta riconosciuta l’applicabilità dell’articolo 6, sorge inevitabilmente la questione delle condizioni effettive della sua applicazione. Perciò l’analisi dell’uso dell’articolo 6 nel contenzioso sui diritti dei detenuti richiede in primo luogo di determinare quali sono i “casi appropriati” che esigono la sua applicazione o, in altre parole, della portata di questa disposizione nell’ambito penitenziario. Deve poi rendere conto dell’uso che fa la giurisprudenza delle garanzie che sancisce nelle controversie che coinvolgono i detenuti. 1. La portata della protezione: l’articolo 6§1 “non può arrestarsi alla porta delle prigioni” 1.1. L’aspetto penale: un intervento limitato alla repressione disciplinare 1.1.1 Affermazione del principio dell’applicabilità del diritto comune i. Riconoscimento precoce di una tutela procedurale in materia disciplinare Gli organi della Convenzione ritengono costantemente che l’articolo 6 non sia applicabile ai procedimenti relativi a questioni concernenti l’esecuzione penale127. In altre parole, se 125 A metà degli anni sessanta la Commissione ha adottato la teoria secondo cui il rapporto di soggezione in cui si trovano le persone detenute di fronte all’amministrazione giustificava automaticamente dei limiti a certi diritti peraltro riconosciuti dalla Convenzione. 126 De Wilde, Ooms and Versyp v. Belgium. 127 N. 20872/92, decisione della Commissione del 22 febbraio 1995, Decisions and reports (DR) 80, p. 66. Pronunciata sulla base dell’articolo 7, la sentenza della Grande Camera Rio del Prada v. Spain sfuoca il 36 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission questa disposizione si applica a tutto il procedimento diretto ad accertare la fondatezza di ogni “accusa128 in materia penale”, la sua portata non va al di là della fase di determinazione della pena, se distinta dall’accertamento della colpevolezza129. Perciò questa disposizione non si applica all’esame di una domanda di grazia130, o dei provvedimenti diretti al reinserimento sociale, come ad esempio la liberazione condizionale131 o il permesso di uscire per ottenere un lavoro esterno132. Non si applica neppure alle procedure concernenti un regime di alta sicurezza strettamente legato alle qualificazioni penali decise dalle autorità giudiziarie133. Tuttavia si è posta molto presto la questione se una “accusa” formulata nel corso dell’esecuzione penale fosse soggetta alle garanzie del processo equo, anche quando fosse giudicata dagli organi disciplinari invece che dal giudice penale. Nella sentenza Engel and others v. The Netherlands, relativa a sanzioni detentive inflitte a dei militari, la Corte si è in effetti dichiarata in dovere di assicurarsi che “l’ambito disciplinare non si sovrapponesse indebitamente a quello penale” (§81), per impedire che le garanzie dell’articolo 6 siano neutralizzate dalle qualificazioni del diritto interno. Per definire un confine fra i due la Corte ha elaborato tre serie di criteri, precisando di farlo “limitatamente all’ambito del servizio militare”: 1) la qualificazione del diritto interno; 2) la natura dell’infrazione; 3) la gravità della pena inflitta all’interessato (§§82-83). La Commissione europea dei diritti dell’uomo, nel caso Kiss v. The United Kingdom, si è rapidamente pronunciato a favore dell’applicazione dei criteri della sentenza Engel and others v. The Netherlands al contenzioso disciplinare penitenziario, confortato in ciò dalla Corte alcuni anni dopo. Nella sentenza Campbell and Fell v. The United Kingdom la Corte ammette con il governo “che nel contesto carcerario ci sono ragioni pratiche e politiche a favore di un regime disciplinare speciale, per esempio considerazioni di sicurezza, l’interesse dell’ordine, la necessità di reprimere la cattiva condotta dei detenuti con la maggior prontezza possibile, l’esistenza di sanzioni ‘su misura’ di cui i giudici di diritto comune possono non disporre e il desiderio delle autorità carcerarie di conservare il controllo della disciplina all’interno dei loro istituti” (§69). Pertanto, appoggiandosi al principio generale dell’applicabilità dell’articolo 6 al contenzioso confine fra “sentenza” ed “esecuzione della sentenza”. La sentenza Antonio Messina v. Italy in definitiva va nella stessa direzione perché accetta di controllare nella prospettiva dell’articolo 5§1(a) la mancata concessione di uno sconto di pena. 128 L’“accusa” segna il punto di partenza dell’istanza ai fini dell’articolo 6§1 (penale). La nozione di “accusa” riveste un carattere autonomo in rapporto al diritto interno, essendo analizzata nella sua accezione sostanziale e non formale. Di conseguenza si definisce come: la comunicazione ufficiale, proveniente dall’autorità competente, del rimprovero di aver commesso un reato, o un atto che ha ripercussioni importanti sulla situazione del sospetto. 129 Cfr. i casi T. & V. v. The United Kingdom [GC]; Dementyev v. Russia, §§24-25. 130 Asociación de Aviadores v. Spain; Montcornet de Caumont v. France (dec.). 131 Aldrian v. Austria. 132 Boulois v. Luxembourg [GC]. 133 Enea v. Italy [GC]. 37 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission penitenziario stabilito nella sentenza Golder v. The United Kingdom e a quello della preminenza del diritto, ritiene che i criteri elaborati nella sentenza Engel and others v. The Netherlands valgano mutatis mutandis in materia penitenziaria, ed è in questo quadro che si iscriveranno le sentenze successive concernenti le punizioni inflitte ai detenuti. ii. Criteri di demarcazione fra “disciplina pura” e “materia penale” Stando alla giurisprudenza, il primo “criterio Engel”, relativo alla qualificazione – disciplinare o penale – utilizzata nel diritto interno è indicativo e serve solo come punto di partenza dell’analisi. Più decisivo134 è il secondo criterio, che verte sulla natura dell’infrazione, potendo entrare in gioco diverse considerazioni. Occorre esaminare la portata della norma giuridica in questione, se è rivolta esclusivamente a un gruppo specifico o riguarda tutti per natura. Nella sentenza Campbell and Fell v. The United Kingdom la Corte dà questa spiegazione: “la cattiva condotta di un detenuto può rivestire forme diverse: alcune infrazioni riguardano palesemente la sola disciplina interna, ma non si potrebbe dire lo stesso per tutte. Alcune, per cominciare, possono rivelarsi più riprovevoli di altre (…). Di più: l’illegalità di questo o quell’atto può non dipendere dalla circostanza che sia stato commesso in carcere; un comportamento contrario al regolamento penitenziario costituisce a volte anche un reato. Così delle violenze gravi sulla persona di un agente possono corrispondere ai reati di percosse e lesioni personali; se l’insubordinazione e l’incitamento all’insubordinazione non ricadono nel campo del diritto penale generale, i fatti sottostanti possono fondare un’accusa di associazione a delinquere” (§71). Occorre quindi considerare che i fatti disciplinari contestati possono corrispondere a un’infrazione suscettibile, “almeno in teoria”, di repressione sul terreno del diritto penale ordinario135. Si tiene conto di altri parametri sulla base di questo secondo criterio, come la circostanza che l’atto di inizio della procedura rientra nei poteri legali di esecuzione di un’autorità pubblica136, la funzione della norma giuridica, repressiva o dissuasiva137, o ancora la subordinazione della condanna a un accertamento di colpevolezza138. L’ultimo “criterio Engel” riguarda la natura e la gravità della sanzione, cioè la pena massima prevista dalla norma applicabile. La giurisprudenza afferma che una privazione della libertà suscettibile di essere inflitta a titolo repressivo appartenga in generale al 134 Jussila v. Finland [GC], § 38. Ezeh and Connors v. The United Kingdom, § 104. 136 Benham v. The United Kingdom [GC], § 56. 137 Nel caso Balsyte–Lideikiene v. Lithuania relativo a un’infrazione amministrativa di diffusione di scritti razzisti, la Corte “attribuisce un’importanza particolare all’articolo 20 del Codice sulle infrazioni di diritto amministrativo, che dispone che il fine della sanzione amministrativa è punire i colpevoli e dissuaderli dal recidivare. La Corte ricorda che un carattere punitivo è il consueto tratto distintivo di una sanzione penale” (§58). 138 Benham v. The United Kingdom [GC], § 56. 135 38 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission diritto penale: “in una società legata alla preminenza del diritto, ricadono nella ‘materia penale’ le privazioni della libertà che possono essere inflitte a titolo repressivo, tranne quelle che per loro natura, durata o modalità di esecuzione non possono causare un danno importante. Così vogliono la gravità della posta in gioco, le tradizioni degli Stati contraenti e il valore che la Convenzione attribuisce al rispetto della libertà fisica della persona”139. Inoltre la Corte ha stabilito il principio secondo cui si deve presumere che una privazione della libertà appartenga alla “materia penale”. Questa presunzione non può essere superata “che a titolo puramente eccezionale e solo se è impossibile ritenere che queste privazioni della libertà implichino un ‘danno importante’ per loro natura, durata o modalità di esecuzione”140. Benché il principio si riferisca implicitamente alla pena comminata, “posta in gioco principale” del processo, la Corte non perde di vista la pena effettivamente inflitta, e a volte si basa solo su di essa141, il che è difficile da giustificare dato che tale ragionamento torna a far dipendere le garanzie procedurali applicabili in tutto il procedimento da un evento che ne costituisce il punto di arrivo. Inoltre, alla luce del criterio della natura e della gravità della pena, la collocazione in un locale disciplinare non è di per sé sufficiente142. Per quel che riguarda l’articolazione dei criteri Engel, la Corte ritiene in generale che il secondo e il terzo siano alternativi e non necessariamente cumulativi: perché trovi applicazione l’articolo 6 può bastare che l’infrazione in questione sia, per natura, ritenuta “penale” ai sensi della Convenzione o che essa renda la persona passibile di una sanzione che, per natura e gravità, è considerata appartenere alla sfera “penale”143. Nei casi Black v. The United Kingdom e Young v. The United Kingdom la Corte ritiene che, sebbene il fatto rimproverato ai due ricorrenti detenuti di disobbedire a un ordine legale rivesta, nel diritto interno come per natura, un carattere disciplinare, nella specie si trattasse di un’accusa penale ai fini dell’articolo 6§1 a causa della natura e della gravità della perdita dello sconto di pena comminata ed effettivamente inflitta144. Tuttavia si può adottare un approccio cumulativo quando un’analisi distinta di ciascun criterio non consente di pervenire a una conclusione univoca145. In un periodo successivo la Corte ha optato per attenuare l’importanza del terzo criterio del caso Engel rispetto al secondo. Nella sentenza della Grande Camera Jussila v. Finland [GC], concernente un procedimento di regolarizzazione tributaria, la Corte ha affermato anche che non esiste nella sua giurisprudenza “un precedente autorevole che 139 Engel and others v. The Netherlands, § 82. Ezeh and Connors v. The United Kingdom [GC], § 126. 141 See e.g. Payet v. France; Plathey v. France; Cocaign v. France. 142 Payet v. France; Plathey v. France; Štitić v. Croatia. 143 Ezeh and Connors v. The United Kingdom [GC], § 126 144 42 days, and 3 and 5 days respectively, pronounced. 145 Ibid. 140 39 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission ritenga la tenuità della sanzione, in materia fiscale o altrove, un fattore decisivo per escludere dal campo di applicazione dell’articolo 6 un’infrazione che riveste altrimenti un carattere penale” (§35). Nel caso di specie, pur rilevando la “tenuità della sanzione” (§38), la Corte dichiara applicabile l’articolo 6 al procedimento tributario esclusivamente in ragione della “natura dell’infrazione”, criterio che è a suo parere “il più importante” (§38). iii. Criterio decisivo in definitiva: l’aumento della durata della detenzione da scontare in concreto In materia penitenziaria il terzo criterio “Engel” – relativo alla gravità e alla natura della sanzione comminata – appare preponderante, e anche decisivo, anche dopo la risistemazione operata dalla sentenza Jussila v. Finland [GC] che dà la priorità al criterio della natura dell’infrazione. È la perdita dello sconto di pena, sotto qualunque forma, che si deve considerare in carcere. La privazione aggiuntiva della libertà costituisce dunque l’elemento che fa scattare la “penalizzazione” dell’azione disciplinare penitenziaria. La sentenza Campbell and Fell v. United Kingdom, che nello stesso tempo inaugura la giurisprudenza in materia e ne fissa il quadro generale, fa dipendere la qualificazione dalla sola perdita di sconto di pena a cui era esposto il ricorrente in conseguenza del procedimento disciplinare (§72). Ricordando che una privazione della libertà suscettibile di essere inflitta a titolo repressivo rientra in generale nella “materia penale”, la Corte osserva come la circostanza che il diritto interno consideri i provvedimenti in questione come privilegi più che diritti non sia realmente importante. L’importante sono le conseguenze pratiche per l’interessato, e se uno sconto di pena può far nascere nell’interessato delle speranze serie di essere scarcerato in una data più prossima di quella risultante dalla condanna. Parimenti non è decisiva la considerazione che anche dopo la decisione disciplinare la base legale della detenzione resta la sentenza di condanna alla quale giuridicamente nulla si aggiunge. L’assimilazione a una pena si impone quando “prolungando la detenzione ben al di là di quel che sarebbe avvenuto senza di essa, la sanzione si avvicina a una privazione della libertà anche se giuridicamente non lo è; l’oggetto e lo scopo della Convenzione esigono di attribuire le garanzie dell’articolo 6 all’applicazione di un provvedimento così grave”. Nonostante la forte opposizione del governo convenuto, lo stesso ragionamento si imporrà nella sentenza della Grande Camera sul caso Ezeh and Connors v. The United Kingdom, poiché la Corte ritiene suo dovere “al di là delle apparenze e del linguaggio usato, guardare alla realtà della situazione” (§123). Una volta risolta la questione della natura da attribuire, ai fini dell’articolo 6§1, a una perdita di sconto di pena, si è posta quella di definire la nozione di “danno importante”, ovvero la gravità richiesta per cambiare la qualificazione del provvedimento. Per quel che riguarda la Commissione europea dei diritti dell’uomo, anche se si allinea ai criteri 40 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission elaborati dalla Corte, colloca la soglia critica dell’articolo 6§1 – il numero di giorni di detenzione aggiuntiva – a un livello elevato, aggiungendovi una considerazione supplementare relativa alla proporzionalità della “pena”, comminata e inflitta, all’infrazione in questione. Perciò nel caso P. v. France la Commissione afferma che “non può ritenersi che la perdita eventuale di 18 giorni di sconto di pena sia una sanzione di una natura e di una gravità tali da rendere l’infrazione sanzionata rilevante per la materia penale”. D’altra parte la Corte non darà prova della medesima cautela. Nella sentenza della Grande Camera Ezeh and Connors v. The United Kingdom, già citata, la Corte sostiene che le perdite di sconto di pena previste per i ricorrenti (42 giorni) e realmente inflitte (rispettivamente 40 e 7 giorni) non potevano essere viste come “sufficientemente trascurabili o accessorie da vincere la presunzione della natura penale delle accuse contro di loro” (§§127-129). In modo ancora più significativo nel caso Young v. The United Kingdom, che concerneva un fatto qualificato come avente natura puramente disciplinare (disobbedienza all’ordine di una guardia), la Corte afferma l’applicabilità dell’articolo 6§1 a causa della natura e della gravità della pena detentiva comminata, cioè 42 giorni, e della pena inflitta, tre giorni. Tuttavia, in mancanza del prolungamento della pena effettivamente subita, il procedimento disciplinare rimane fuori della portata dell’ambito penale dell’articolo 6§1. È stato così in tre casi concernenti la Francia, Payet, Plathey e Cogaign, nei quali i ricorrenti avevano tutti subito la durata massima della collocazione nella sezione disciplinare (all’epoca 45 giorni) ma non allegavano alcun rifiuto effettivo di riduzione di pena146. I tre detenuti erano perseguiti per delle infrazioni a carattere misto (disciplinare e penale) e severamente punite dal codice penale147. La Corte è giunta alla stessa conclusione nel caso Štitić v. Croatia, tenendo conto tuttavia, oltre che dell’assenza di allungamento della durata della detenzione, del fatto che nel caso di specie la punizione di sette giorni di sezione disciplinare era sospesa (§56). 1.1.2 Un’interpretazione evolutiva della sentenza? La particolare applicazione del metodo interpretativo cosiddetto delle “nozioni autonome” alla nozione di “materia penale” è stata descritta da M. Delmas-Marty come un esempio di “fuzzy logic” invece che di logica razionale, formale o binaria. In effetti si tratta “di un ragionamento che non tende verso una qualificazione in senso formale (non penale o penale, ossia simbolicamente 0 o 1), ma pare situarsi nell’intervallo compreso 146 Nel secondo caso il ricorrente aveva fatto pervenire tardivamente il documento attestante la perdita di 40 giorni di riduzione di pena. Il presidente della Sezione ha decisio di non inserirlo nel fascicolo in applicazione dell’articolo 38§1 del Regolamento (lettera della cancelleria datata 11 giugno 2011). 147 In questi due casi la Corte condanna lo Stato convenuto sul terreno dell’articolo 13 in collegamento con l’articolo 3 della Convenzione. 41 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission fra le categorie di non penale e penale (ossia simbolicamente l’intervallo compreso fra 0 e 1). L’opera dell’interprete consiste allora nel situare le prassi nazionali da qualche parte entro questo intervallo”148. Agli inizi il contenzioso penitenziario ha costituito uno dei vettori privilegiati di questo approccio flessibile. La sentenza Campbell and Fell v. The United Kingdom e, in misura minore, la sentenza Ezeh and Connors v. The United Kingdom hanno rappresentato dei leading cases in materia disciplinare. Questo passaggio volontarista appare tanto più singolare perché interviene in una fase dell’edificazione del corpus giurisprudenziale europeo che lascia poco spazio ai diritti dei detenuti149 e perché d’altra parte va a scontrarsi con delle tradizioni giuridiche nazionali ben radicate, e pertanto la Corte non poteva fondare la sua interpretazione evolutiva su un movimento convergente dei diritti nazionali. La Corte lo fa in considerazione “di un oggetto e di uno scopo concepiti come obiettivi da conseguire, e dunque suscettibili di progresso e di estensione”150. La Corte aveva già chiaramente affermato, nella sentenza Delcourt v. Belgium, che “in una società democratica nel senso della Convenzione il diritto a una buona amministrazione della giustizia occupa un posto così eminente che un’interpretazione restrittiva dell’articolo 6§1 non corrisponderebbe allo scopo e all’oggetto di questa disposizione” (§25). L’importanza che ricopre l’articolo 6 nel sistema della Convenzione – la “preminenza del diritto” non è concepibile senza l’accesso alla giustizia e senza concedere alle parti delle garanzie procedurali – ha convinto il giudice europeo ad applicare i criteri della giurisprudenza Engel al contenzioso carcerario con la sentenza Campbell and Fell v. The United Kingdom. Come mostra Béatrice Belda151, il giudice combina interpretazione teleologica e interpretazione autonoma al fine di “superare i vincoli intrinseci del contesto funzionale dell’interpretazione (contesto caratterizzato dalla privazione della libertà di movimento), e precisamente al fine di superare le apparenze o ‘false sembianze’ dei procedimenti disciplinari penitenziari”. Perciò, “essendo l’ambiente penitenziario soggetto in generale a un regime giuridico derogatorio, giustificato dalla natura specifica della missione svolta dalle autorità carcerarie, la tecnica interpretativa delle ‘nozioni autonome’ permette non solo di contrastare queste specificità, oltre che 148 M. Delmas-Marty (dir.), “ La ‘matière pénale’ au sens de la Convention EDH, flou du droit pénal ”, Revue de science criminelle et de droit pénal comparé, 1987, pp. 819-854, spec. pp. 826-827, citato in B. Belda, cit. supra. 149 Benché fosse stato affermato molto presto che “anche se un ricorrente si trova detenuto in esecuzione di una condanna che gli è stata inflitta a causa di crimini perpetrati contro i diritti più elementari della persona umana, questa circostanza non lo priva affatto della garanzia dei diritti e delle libertà definiti nella Convenzione” (Koch v. Germany). 150 F. Ost, “Originalité des méthodes d’interprétation de la Cour EDH”, in M. Delmas-Marty (dir.), Raisonner la raison d’Etat, P.U.F., 1989, pp. 405-463, spec. p. 424. F. Ost precisa a questo riguardo che la Convenzione appare agli occhi della Corte europea dei diritti dell’uomo un punto di partenza per raggiungere uno scopo più che il punto d’arrivo degli sforzi passati degli Stati membri del Consiglio d’Europa. 151 B. Belda, Les droits de l'Homme des personnes privées de liberté, Contribution à l'étude du pouvoir normatif de la Cour européenne des droits de l'homme (tesi), Bruylant, 2010. 42 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission più in generale i particolarismi nazionali, ma anche successivamente di estendere l’applicabilità delle garanzie convenzionali a un numero maggiore di soggetti”. L’approccio autonomo e materiale così sviluppato ha permesso nello stesso tempo di tenere conto delle specificità nazionali e delle “strutture complesse poco abituate a essere soggette al diritto” e si è da allora dimostrato una tecnica particolarmente adatta a introdurre una logica di diritto comune dietro le mura. Come si è detto, una volta acquisita l’applicabilità dei criteri Engel alla disciplina carceraria, l’oggetto del contenzioso è diventata la definizione della clausola del “danno poco importante”, relativa alla presunzione della natura penale delle sanzioni che comportano, in una maniera o in un’altra, una privazione aggiuntiva della libertà. L’evoluzione è consistita nel far ricadere nell’ambito dell’articolo 6 delle sanzioni (inflitte) poco gravi. La Corte sembra essersi lasciata chiudere in un approccio binario che opera per categorie di provvedimenti (i provvedimenti privativi della libertà e gli altri), che presenta certamente l’immenso merito della chiarezza e della prevedibilità dei provvedimenti attesi dalle autorità nazionali ma che in questo caso va a scapito della coerenza della giurisprudenza e, soprattutto, crea dei punti ciechi molto grandi nella tutela dei diritti fondamentali. Osservando attentamente la giurisprudenza in materia penitenziaria, il secondo criterio Engel, sebbene descritto come predominante dalla sentenza della Grande Camera Jussila v. Finland [GC], in definitiva è preso in considerazione solo per confortare l’analisi sul terreno del terzo criterio. La funzione punitiva dell’azione disciplinare penitenziaria non richiama l’attenzione della Corte, nonostante che obbedisca a delle esigenze di “legalità” dei capi d’accusa e di graduazione delle pene152, a dei riti processuali, etc. che sono ricalcati su quelli della repressione penale. Inoltre l’uso del terzo criterio è sovradeterminato dal contesto penitenziario. Perciò il carattere afflittivo della punizione in sezione disciplinare, forma radicale di carcerazione, non è rileva sotto questo aspetto. Parimenti la prova indotta da questo provvedimento non è esaminata in concreto dalla Corte153, sebbene in altri contesti giustifichi l’accertamento di una violazione154. E tuttavia sappiamo che, secondo una delle direttive elaborate dalla Corte, la Convenzione deve “leggersi come un tutto e interpretarsi in modo da promuovere la sua coerenza interna e l’armonia fra le sue diverse disposizioni”155. L’approccio restrittivo adottato sul terreno penale è però compensato, in parte, dal subentro dell’ambito civile dell’articolo 6§1 che invece conosce oggi una dinamica interpretativa chiaramente favorevole ai diritti delle persone detenute. 152 Cfr. Campbell and Fell, §71. Si veda tuttavia il caso Štitić v. Croatia. 154 Cfr. ad esempio Renolde v. France, §106-109; Keenan v. The United Kingdom. 155 Stec and others v. The United Kingdom (dec.) [GC], § 48. 153 43 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission 1.2 L’aspetto civile: un campo d’applicazione esteso 1.2.1 Criteri esaustivi L’evoluzione del campo del contenzioso civile nella sfera del diritto pubblico ha portato inevitabilmente a porre la questione dell’entrata in scena dell’articolo 6§1 relativamente all’esercizio da parte del potere pubblico della sua autorità nei riguardi delle persone detenute. Da questo punto di vista, riferendosi al principio della sentenza Golder v. The United Kingdom, la Corte ha affermato che la griglia d’analisi elaborata in materia dalla sua giurisprudenza trova applicazione nelle condizioni del diritto comune. La Corte prende in esame tre parametri per affrontare la questione dell’applicabilità dell’articolo 6-1 nel suo aspetto civile156: quello dell’esistenza di una “contestazione su un diritto”, quello dell’esistenza di un diritto di cui si può dire in maniera difendibile che è riconosciuto nell’ordinamento interno, e infine quello del “carattere civile” o no di questo diritto. Questi diversi aspetti sono enunciati come condizioni distinte e cumulative, ma la giurisprudenza li fa apparire piuttosto come anelli fortemente legati dell’operazione di qualificazione ai fini dell’articolo 6§1, poiché certe caratteristiche possono essere prese in esame a titolo dell’una o dell’altra sequenza di ragionamento secondo il caso. Perciò il trittico appena descritto risponde a uno scrupolo pedagogico più che costituire una descrizione formale delle differenti tappe del ragionamento della Corte. i. Una contestazione reale e seria Per quel che riguarda il primo aspetto, l’articolo 6§1 si applica solo se la “contestazione”, che può riguardare sia l’esistenza stessa di un diritto che la sua estensione o le sue modalità di esercizio, è “reale e seria”, nel senso che l’esito della procedura deve essere direttamente determinante per il diritto in questione, “poiché all’articolo 6§1 non bastano, per entrare in gioco, un legame tenue né delle ripercussioni lontane”. In altre parole, un aspetto periferico della disputa non può essere preso in esame artificiosamente nell’operazione di qualificazione del diritto. Nella sentenza della Grande Camera Enea v. Italy [GC] la Corte precisa che è necessario tenere conto delle restrizioni che toccano i diritti di carattere civile dell’individuo, sia “in ragione della natura delle restrizioni (per esempio, la proibizione di beneficiare di un numero dato di visite mensili dei membri della famiglia o il controllo continuo della corrispondenza epistolare e telefonica, etc.) (…) che per le ripercussioni che tali restrizioni possono avere (per esempio, difficoltà a mantenere i legami familiari o i rapporti con i terzi, l’esclusione delle attività all’aperto)” (§106). 156 La Corte non è sempre costante nel modo in cui decostruisce le condizioni di applicabilità dell’articolo 6§1 e le articola insieme (cfr. Enea v. Italy [GC]). 44 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission Inoltre, se si deve presumere che la domanda a un tribunale sia reale e seria157, non è così se delle indicazioni chiare dimostrano che la domanda è frivola o priva di qualunque fondamento. In un ricorso civile contro l’amministrazione penitenziaria motivato dalla semplice presenza in carcere di detenuti contagiati dall’HIV, la Corte ha ritenuto che il danno richiesto dal diritto interno per concedere un risarcimento in denaro fosse impossibile da caratterizzare sulla base delle allegazioni del ricorrente158. La stessa soluzione si è imposta riguardo a un’azione di risarcimento del danno causato dalla mancata proiezione di film in carcere159. ii. Un “diritto” sancito nell’ordinamento interno Il secondo aspetto implica che il diritto in causa nella contestazione sia riconosciuto nell’ordinamento giuridico nazionale. Infatti “la Corte non può creare, per via di interpretazione dell’articolo 6§1, un diritto materiale privo di qualsiasi base giuridica nello Stato interessato”. Per valutare lo statuto giuridico delle pretese del ricorrente nel diritto interno la Corte prende come punto di partenza le disposizioni del diritto nazionale pertinente e l’interpretazione che ne danno i giudici interni160. Da questo punto di vista la Corte afferma che deve avere dei motivi molto seri per contraddire i tribunali nazionali superiori statuendo, contrariamente a loro, che la persona interessata poteva pretendere in modo difendibile di possedere un diritto riconosciuto dalla legislazione interna161. Tuttavia l’autonomia del quadro analitico ai fini dell’articolo 6§1 opera anche qui e la Corte deve esaminare la densità giuridica degli interessi rivendicati dal ricorrente. In questa valutazione si deve infatti “al di là delle apparenze e del linguaggio usato, guardare alla realtà della situazione”162. Per valutare ai fini dell’articolo 6-1 il “diritto”, il carattere discrezionale del potere delle autorità nell’esercizio delle loro prerogative può essere preso in esame, o anche rivelarsi determinante. Tuttavia la sola presenza di un elemento discrezionale nella lettera di una disposizione legale non esclude in sé l’esistenza di un diritto163. Nella causa della Grande Camera Enea v. Italy [GC] il governo convenuto adduceva che la scelta dell’istituto in cui scontare la pena appartiene esclusivamente ai poteri discrezionali dell’amministrazione e si fondava su “considerazioni appartenenti interamente alla sfera del diritto pubblico”: per esempio, l’ordine e la sicurezza, la necessità di prevenire 157 Benthem v. The Netherlands, § 32 e Rolf Gustafson v. Sweden. Nel caso Shishkov v. Russia, nonostante il comportamento giudicato “erratico” del ricorrente, che aveva moltiplicato i ricorsi concernenti le sue condizioni di detenzione davanti a diversi tribunali e su basi diverse, la Corte afferma che le azioni dell’interessato non possano essere ritenute abusive o vessatorie (§ 113). 158 Skorobogatykh v. Russia (dec.). 159 Artyomov v. Russia. 160 Masson and Van Zon v. The Netherlands, § 49. 161 Ibid. 162 Van Droogenbroeck v. Belgium, § 38, § 121. 163 Camps v. France (dec.), e Ellès and others v. Switzerland, § 16. 45 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission eventuali atti di violenza o dei tentativi di fuga dei detenuti. Il governo italiano spiegava che “di fronte a un potere di tale ampiezza, la situazione soggettiva del detenuto, le sue aspirazioni, le sue pretese, sono oggetto di una protezione puramente residuale che non può ricevere nell’ordinamento giuridico una protezione paragonabile a quella dei ‘diritti’” (§90). La Grande Camera obietta che “ogni restrizione che toccai diritti di carattere civile dell’individuo deve poter essere contestata nel quadro di un procedimento giudiziario (…). È per questa via che può realizzarsi il giusto equilibrio fa, da una parte, la considerazione dei vincoli del mondo carcerario ai quali deve far fronte lo Stato e, d’altra parte, la protezione dei diritti del detenuto” (§106). In altre parole, il bilanciamento fra gli imperativi dell’ordine e della sicurezza e la protezione degli interessi dei detenuti è materia per il giudice, perché i primi non possono costituire per principio un ostacolo al controllo giurisdizionale. La sequenza che segue dall’analisi dello statuto giuridico del “diritto” in questione porta la Corte a ricercare, secondo il criterio elaborato nella sentenza della Grande Camera Vilho Eskelinen and others v. Finland [GC]164, se i tribunali interni in situazioni simili accettano di esaminare il fondamento della domanda di un ricorrente165. È il cosiddetto criterio della “giudiziarizzazione benevola”166. Riguardo a questi diversi parametri, e tenendo conto se del caso degli obblighi derivanti dal diritto internazionale, la Corte valuta se il diritto abbia una base legale nell’ordinamento interno. Così è la considerazione dell’assenza di un tale “diritto” ai permessi carcerari nell’ordinamento giuridico lussemburghese che porta la Corte a ritenere che le disposizioni dell’articolo 6-1 non si applichino alle richieste di permesso temporaneo di uscire dall’istituto penitenziario presentate dal ricorrente nella causa della Grande Camera Boulois v. Luxembourg [GC]. Più precisamente in questa causa la Corte fonda il suo ragionamento sulla circostanza che nel disciplinare il regime dei permessi carcerari il legislatore lussemburghese aveva “chiaramente l’intenzione di istituire un privilegio non protetto da mezzi di impugnazione” (§98). Essa osserva peraltro che il ricorrente non era stato in grado di produrre alcuna decisione, giudiziaria o amministrativa, relativa a ricorsi esercitati contro il respingimento della richiesta di permesso carcerario di un detenuto (§100). La Corte ritiene infine che in materia il diritto convenzionale non sancisca alcun diritto soggettivo né vi sia una convergenza dei diritti 164 Vilho Eskelinen and others v. Finland [GC], § 41, che concerne il contenzioso della funzione pubblica. Si veda la sentenza Ganci v. Italy, che cita in particolare il riconoscimento da parte della Corte costituzionale di diritti a beneficio delle persone detenute. 166 Cfr. Oršuš and others v. Croatia, §105; “quando lo Stato conferisce dei diritti che si prestano a un ricorso giurisdizionale, in linea di principio essi possono essere considerati diritti di carattere civile ai sensi dell’articolo 6§1”. 165 46 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission nazionali. Ne conclude che questa causa è diversa da quella della sentenza Enea v. Italy [GC]. In quest’ultima causa la Grande Camera dapprima prende in esame la posizione della Corte costituzionale italiana che ha censurato delle disposizioni dell’ordinamento penitenziario in quanto non prevedevano un ricorso giurisdizionale contro una decisione suscettibile di incidere sui diritti di un detenuto (§100 e §39). Successivamente fonda il suo ragionamento sul fatto che “la maggior parte delle restrizioni che il ricorrente allega di aver subito riguardano un insieme di diritti che il Consiglio d’Europa ha riconosciuto ai detenuti per mezzo delle Regole penitenziarie europee, adottate dal Comitato dei Ministri nel 1987 e precisate in una raccomandazione del 11 gennaio 2006 (Rec(2006)2). Benché questa raccomandazione non sia giuridicamente vincolante per gli Stati membri, la grande maggioranza di questi ultimi riconosce ai detenuti la maggior parte dei diritti ai quali essa si riferisce e prevede dei mezzi di impugnazione contro i provvedimenti che li limitano” (§101). iii. Carattere civile del diritto Indipendentemente dalla qualificazione giuridica usata nel diritto interno la Corte tiene conto, come si è detto, del contenuto materiale del “diritto” e degli effetti che gli conferisce il diritto interno dello Stato in causa per determinare se è di “carattere civile”. In questa prospettiva le procedure che nel diritto interno rilevano per il “diritto pubblico”, perché mettono in gioco le prerogative del potere pubblico, rilevano in linea di principio per l’ambito civile dell’articolo 6§1 quando il loro esito è determinante per diritti e obblighi di carattere privato. Rientrano chiaramente in questa categoria le contestazioni aventi una ricaduta patrimoniale. Lo stesso vale per le azioni di risarcimento intentate da detenuti per ottenere un risarcimento in relazione alle violenze inflitte da funzionari dello Stato167, all’alimentazione forzata durante uno sciopero della fame168, a cattive condizioni di detenzione169 o ad assistenza sanitaria inadeguata170. Vale anche per le restrizioni al diritto di un detenuto di ricevere denaro dall’esterno171. Analogamente la Corte non ha difficoltà a decidere che ricadono nell’ambito dei diritti di carattere privato le restrizioni ai diritti familiari, sia che si tratti di limitazioni dell’accesso 167 Aksoy v. Turkey, §92; Tomasi v. France, §121-122. Ciorap v. Moldova. 169 Beresnev v. Russia. 170 Vasiliev v. Russia. 171 Enea v. Italy [GC] 168 47 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission alla sala visite172 o di misure di sicurezza intorno alle visite dei parenti, come il ricorso a un dispositivo di separazione173. Al di là di questo nocciolo duro dei diritti di carattere privato, la concezione della Corte di ciò che ricade nella “sfera dei diritti personali”, ed è dunque di “natura civile”, è esaustiva e potenzialmente copre una grande varietà di situazioni che accadono dietro le sbarre. La Corte ad esempio ha preso in esame, oltre alle restrizioni all’esercizio del diritto di visita, le limitazioni dell’accesso al cortile dell’ora d’aria derivanti dall’applicazione di un regime di alta sicurezza174. Nel caso Musumeci v. Italy la Corte si riferisce, senza ulteriori precisazioni, ai limiti imposti alla “libertà personale” del detenuto e associati a un sistema di sorveglianza rafforzata, riecheggiando il fondamento della giurisprudenza pertinente della Corte costituzionale italiana. Nel caso Enea v. Italy [GC], che riguarda lo stesso provvedimento, la Grande Camera concentra la sua valutazione sulle dimensioni più classiche di impatto sui legami familiari e le ricadute patrimoniali (§103). Senza dilungarsi sugli aspetti delle restrizioni ai diritti dell’interessato presi in esame, nel caso Razvyazkin v. Russia la Corte fa riferimento alle soluzioni delle sentenze Ganci, Musumeci, Enea v. Italy e Gülmez v. Turkey per sostenere che la collocazione di un detenuto nella sezione disciplinare rientra nell’aspetto civile dell’articolo 6§1 (§133). In questo contesto resta in sospeso una questione centrale, l’applicazione della garanzie del processo equo ai procedimenti di riduzione della pena. Si tratta di portare la Corte ad applicare al contenzioso penitenziario la posizione che prende nel campo del ricovero coattivo in ospedale psichiatrico, nel quale attribuisce un carattere civile al diritto alla libertà175 e di conseguenza ritiene applicabile l’ambito civile dell’articolo 6§1 quando si tratta di procedimenti concernenti la legalità di una privazione di libertà. Nel caso Bogusław Krawczak v. Poland la IV sezione della Corte ha dichiarato di non avere la necessità di pronunciarsi sull’applicabilità delle disposizioni dell’articolo 6§1 al procedimento di liberazione condizionale (liberazione anticipata dei condannati), perché le garanzie del procedimento seguito nel caso di specie erano ritenute soddisfacenti (§99). Senza evocare la questione dell’applicabilità ratione materiae del ricorso, questa stessa sezione nel caso Rokosz v. Poland ha dichiarato inammissibile un ricorso che adduceva la violazione dell’articolo 6§1 in un procedimento di sospensione della pena per motivi medici, ma per ragioni di merito. La Corte ha osservato che, a differenza del ramo penale, il ramo civile non esige per principio la concessione dell’assistenza legale, il che ha portato a respingere il ricorso per manifesta infondatezza. 172 Gülmez v. Turkey; Enea v. Italy [GC]. Stegarescu and Bahrin v. Portugal, § 35-39. 174 Ibid. 175 Aerts v. Belgium; Vermeersch v. France (dec.); e Laidin v. France (n. 2), §73-76. 173 48 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission La soluzione data dalla II sezione della Corte nella sentenza Vasilescu v. Belgium è sicuramente più netta; la Corte dichiara che “per giurisprudenza costante, essa ritiene che l’articolo 6 non sia applicabile all’esame delle domande di libertà provvisoria o alle questioni relative alle modalità di esecuzione di una pena privativa della libertà” (§121). Ma questa sentenza non sembra in grado di chiudere il dibattito, tanto pare fragile il fondamento ritenuto dalla II sezione, derivante dalla posizione della Grande Camera nella sentenza Boulois v. Luxembourg [GC]: lungi dal sancire un principio di esclusione della materia penitenziaria dal campo dell’articolo 6, la soluzione di quest’ultima causa dipende soltanto da considerazioni tratte dal diritto interno lussemburghese (vedi infra). La sentenza Boulois testimonia peraltro le evoluzioni giurisprudenziali che hanno segnato la materia, di modo che è difficile vedervi un rallentamento della dinamica interpretativa favorevole alle persone detenute. Resta il fatto che, allo stato, la giurisprudenza è lungi dal formare un insieme coerente. 1.2.2 Distorsioni nella protezione garantita dal ramo “civile” È assai notevole che il contenzioso penitenziario non è compreso fra i campi esclusi per principio dall’articolo 6§1176. Essendo provvedimenti particolarmente sensibili dal punto di vista dei diritti fondamentali, la giurisprudenza europea ha permesso di adire la Corte quando gli Stati intendevano giustificare in nome delle esigenze di sicurezza e del mantenimento dell’ordine interno, l’esistenza di uno spazio soggetto alla completa discrezionalità dell’amministrazione. L’articolo 6§1 è subentrato all’articolo 13177, rafforzando gli obblighi imposti agli stati (vedi infra). Tuttavia la giurisprudenza è segnata da una certa incoerenza quando si tratta di interpretare quali sono i diritti spettanti alla persona detenuta, e questo ha gravi ripercussioni sulla coerenza della protezione garantita dall’ambito civile dell’articolo 6§1. Due aspetti della giurisprudenza richiamano l’attenzione in particolare, in quanto testimoniano la riluttanza della Corte a trarre le conseguenze del quadro analitico che lei stessa ha elaborato: l’inapplicabilità dell’articolo 6 ai provvedimenti di riduzione della pena e il peso variabile che hanno le norme di soft law e il diritto comparato nel ragionamento sull’applicabilità. In primo luogo, appaiono difficili da comprendere i parametri del ragionamento della Corte per quel che riguarda i procedimenti di riduzione della pena, in particolare riguardo all’importanza che hanno per la popolazione detenuta, specialmente in confronto ad altri 176 Contenzioso in materia di ingresso e soggiorno degli stranieri, tassazione ed elezioni, cfr. Vilho Eskelinen v. Finland, §61. 177 Cfr. Ganci v. Italy. A questo riguardo bisogna notare da una parte che la Corte è padrona della qualificazione giuridica dei fatti della causa (Gatt v. Malta, §19; Jusic v. Switzerland, §99) e dall’altra che all’interno del quadro tracciato dalla decisione di ammissibilità del ricorso, la Corte può trattare ogni questione di fatto o di diritto che nasce durante il procedimento di fronte a lei (Guerra and others v. Italy, §44, Chahal v. The United Kingdom, §86 e Ahmed v. Austria, §43). 49 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission aspetti della vita del detenuto che invece godono della protezione dell’articolo 6. Come si è detto, l’atteggiamento della Corte in materia è nel migliore dei casi circospetto, dato che la quarta sezione si è astenuta dal prendere posizione mentre la seconda ha ritenuto che la liberazione condizionale sia fuori dalla portata dell’articolo 6, facendo riferimento alla posizione tradizionale della Corte178, peraltro rimessa in questione dalla sentenza Enea v. Italy [GC], e soprattutto superata dal riconoscimento del cosiddetto criterio della “giudiziarizzazione benevola” (vedi supra). In verità, la soluzione inversa si impone da diversi punti di vista, almeno per gli Stati che hanno giurisdizionalizzato il campo dell’esecuzione penale. Il diritto alla libertà, centrale in questo tipo di contenzioso, è stato qualificato come diritto di carattere civile da lungo tempo. La Corte lo ritiene tale in modo costante quando si tratta di provvedimenti di internamento dei malati di mente179. Così pure l’autonomia personale, presa in esame dalla Corte a titolo dell’articolo 6§1, potrebbe giustificare la garanzia del processo equo in materia, tanto appare fortemente in gioco nel procedimento di liberazione anticipata. La Corte per esempio ha ritenuto che un procedimento il cui esito era importante per il ricorrente perché, essendo diretto a privarlo della capacità giuridica, aveva delle conseguenze per la sua autonomia personale in quasi tutti gli aspetti della vita e comportava delle restrizioni potenziali della libertà, attenesse a dei diritti di carattere civile180. Nella sentenza Boulois v. Luxembourg [GC] (annullata dalla Grande Camera per altri motivi181), la Corte ha ritenuto che i procedimenti di autorizzazione temporanea a uscire dal carcere avessero degli effetti indiretti ma certi sulla vita privata dell’interessato, e più esattamente sulla “vita privata sociale”, poiché erano diretti a “riorganizzare la sua vita professionale e sociale all’uscita dal carcere” (frequenza di corsi di diploma, diverse formalità amministrative), “al fine di essere in grado di avere un reddito da lavoro, di saldare i suoi diversi debiti e di evitare di costituire un peso per la società”. Ritiene che “tenuto conto dell’importanza dell’interesse del ricorrente a ritrovare un posto nella società”, una “risocializzazione fosse di importanza capitale per proteggere il diritto del ricorrente a condurre una ‘vita privata sociale’ e a sviluppare la sua identità sociale” (§64). Tutte considerazioni che non sono state rimesse in causa dalla sentenza della Grande Camera su questo caso, e di cui tuttavia le decisioni successive non hanno tenuto conto. Si potrebbe obiettare che secondo la Corte l’ambito civile dell’articolo 6§1 non è applicabile alle decisioni in materia di custodia cautelare, anche se mettono direttamente in gioco la libertà individuale. Tuttavia la posizione della Corte è coerente con la 178 La sentenza Vasilescu v. Belgium rinvia ai riferimenti della sentenza Boulois v. Luxembourg [GC] (Neumeisteri v. Austria, §§22 e 23; Lorsé and others v. The Netherlands (dec.); e Montcornet de Caumont v. France (dec.)). 179 Aerts v. Belgium; Laidin v. France (n. 2). 180 Shtukaturov v. Russia, §71. 181 L’opposizione del legislatore nazionale a ogni forma di ricorso. 50 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission protezione garantita in materia dall’articolo 5§4, considerato lex specialis in relazione all’articolo 6§1182. Ora, allo stato della giurisprudenza, nel contesto esecutivo le disposizioni dell’articolo 5§4 operano solo in situazioni molto limitate se non residuali183, cosicché la mancata considerazione dell’articolo 6 porta all’assenza di protezione convenzionale, sebbene il diritto alla libertà occupi un posto di assoluto rilievo nella Convenzione184. Senza il concorso dell’argomento sistematico, la messa da parte – per ora – dell’articolo 6§1 apparirebbe veramente assiomatica e difficilmente giustificabile. In definitiva è come se la Corte temesse di fare dell’articolo 6§1 una leva da usare nelle politiche e le prassi penali in materia di liberazione anticipata. La giurisprudenza più recente sembra suonare la campana a morto per questa posizione conservatrice, che appariva insostenibile rispetto alla giurisprudenza sull’accesso degli ergastolani alla libertà condizionale. Come sottolinea il giudice Pinto de Albuquerque nell’opinione parzialmente concorrente con cui spiega le implicazioni della sentenza della Grande Camera Murray v. The Netherlands del 26 aprile 2016, “la decisione di non scarcerare un detenuto o di incarceralo nuovamente deve essere presa con tutte le garanzie procedurali di equità, come la garanzia di una decisione motivata. La conclusione implicita che può trarsi da questa forte dichiarazione di principio da parte della Corte è che il meccanismo della libertà condizionale deve prevedere anche l’audizione del detenuto e l’accesso adeguato alla sua documentazione (…)”. Come segnala il giudice portoghese, l’obbligo sostanziale relativo al reinserimento sociale a cui si riferisce questo requisito si applica a “tutti i detenuti, compresi quelli condannati all’ergastolo”. Pertanto l’equità dei procedimenti di scarcerazione costituisce uno degli elementi esaminati per valutare, nella prospettiva dell’articolo 3, la compressibilità dell’ergastolo. La questione si iscrive in un insieme di requisiti di carattere immateriale che gli Stati sono tenuti dal diritto internazionale a rispettare. Questa intensità giuridica è difficile da conciliare con una logica binaria in cui i diritti procedurali sono garantiti con maggior fermezza a certi detenuti – gli ergastolani – e totalmente ignorati quando si tratta degli altri, compresi quelli che si trovano in una situazione simile ai primi dovendo scontare delle pene molto lunghe. Inoltre, come osserva Pinto de Albuquerque, le esigenze del reinserimento sociale da cui discendono gli obblighi procedurali si applicano necessariamente non solo agli ergastolani ma come minimo ai detenuti condannati a pene lunghe, cioè oltre i cinque anni secondo le raccomandazioni del Consiglio d’Europa. I provvedimenti di riduzione della pena si trovano già in un ambiente giuridico molto 182 Reinprecht v. Austria, §51-55. Si veda il rapporto sulle pene lunghe. Nella generalità dei casi la Corte giudica che il controllo di legalità della detenzione sia incorporato nella sentenza di condanna. 184 Cfr. ad esempio Medvedev v. France [GC], §76. 183 51 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission denso, che influenza inevitabilmente l’analisi della loro disciplina giuridica nell’ordinamento interno. In secondo luogo, l’uso nel ragionamento della Corte185 delle norme di soft law e dell’argomento tratto dal diritto comparato non risponde a un metodo rigoroso. Nella sentenza della Grande Camera Enea v. Italy [GC] queste due considerazioni si combinano per giustificare l’interpretazione evolutiva data (§101). Per respingere, questa volta, un’evoluzione giurisprudenziale, la Grande Camera si rifugia nel caso Boulois v. Luxembourg [GC] dietro la divergenza delle prassi nazionali sullo “statuto e le modalità di concessione dei permessi carcerari”, mentre di solito non subordina la constatazione di una convergenza delle legislazioni nazionali degli Stati membri a un esame così puntiglioso186. Soprattutto, le sentenze posteriori alla sentenza Boulois omettono di integrare l’evoluzione che ha caratterizzato la giurisprudenza riguardo alla considerazione dell’obiettivo del reinserimento, in particolare con la sentenza Vinter and others v. The United Kingdom [GC]187. In questa sentenza la Corte si riferisce a delle considerazioni, tratte dal diritto comparato e dal soft law del Consiglio d’Europa, ben più generali di quelle analizzate nella sentenza Boulois v. Luxembourg [GC]. L’uso che viene fatto dei riferimenti extraconvenzionali nell’interpretazione del “diritto” appare quindi perfettamente discrezionale nella giurisprudenza penitenziaria. 2. Il processo equo in carcere: delle garanzie molto puntuali 2.1 Le garanzie dell’articolo 6 nella giurisprudenza europea 2.1.1 Oggetto e distribuzione delle garanzie dell’articolo 6 L’articolo 6 si presenta prima facie come un articolo che offre risorse multiple al ricorrente detenuto, particolarmente adatte alla situazione perché di natura tale da contrastare la propensione dell’amministrazione a governare discrezionalmente tutti gli aspetti della vita quotidiana. Il “tribunale” dell’articolo 6 deve soddisfare una serie di condizioni – indipendenza, specialmente rispetto all’esecutivo, imparzialità, durata del mandato dei componenti, garanzie offerte dalla procedura – molte delle quali figurano nel testo stesso dell’articolo 6§1. In realtà la Corte ha considerevolmente arricchito questo testo, apportando una definizione di questi elementi ma anche deducendo delle garanzie “implicite”, nella forma di una costruzione a castello, alcune delle quali hanno dato origine a molti diritti o principi, definiti e delimitati dalla giurisprudenza, da rispettare nei 185 La questione del criterio relativo alla protezione del diritto nell’ordinamento interno. Sul ruolo della convergenza nella giurisprudenza della Corte si veda H. Surrel, Pluralisme et recours au consensus dans la jurisprudence de la Cour européenne des droits de l’homme, RTDH. 187 Cfr. Nicolas Hervieu, “Les peines perpétuelles au prisme européen de la dignité et de la réinsertion sociale des détenus” [PDF] in Lettre “Actualités Droits-Libertés”, CREDOF, 18 luglio 2013; cfr. anche la sentenza James, Wells and Lee v. The United Kingdom. 186 52 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission procedimenti interni188. I dettagli di questi ultimi superano i limiti del presente studio, che avrebbe molte difficoltà ad avvicinare la chiarezza e il carattere sintetico dei rapporti loro dedicati dall’ufficio studi della Corte189. In questa sede si tratterà semplicemente di passare in rassegna molto rapidamente i requisiti del processo equo in modo da mettere in prospettiva la loro applicazione nel contenzioso penitenziario. L’articolo 6 è strutturato in due paragrafi. Il primo enuncia le garanzie di cui gode ogni individuo nel quadro di un procedimento di natura civile o penale, il secondo stabilisce le garanzie speciali di cui gode ogni persona perseguita penalmente. È importante notare però che le garanzie dell’articolo 6§2 e, almeno per alcune, dell’articolo 6§3190 valgono mutatis mutandis per quei procedimenti disciplinari che il primo paragrafo disciplina allo stesso modo che nel caso di una persona accusata di un reato. Per quel che riguarda l’articolo 6§1, la Corte ha rapidamente precisato, in relazione a un caso avvenuto in carcere, che “il diritto di accesso costituisce un elemento intrinseco al diritto enunciato dall’articolo 6§1” che “garantisce a ognuno il diritto a che un tribunale conosca di tutte le contestazioni relative ai suoi diritti e doveri di carattere civile. Sancisce una sorta di ‘diritto al tribunale’ di cui il diritto di accesso, cioè il diritto ad adire il tribunale in materia civile, non è che un aspetto”191. In questa prospettiva la Corte ritiene, in materia civile, che l’articolo 6§1 possa talvolta obbligare lo Stato a garantire l’assistenza di un difensore quando si rivela indispensabile per l’accesso effettivo al giudice, sia perché la legge prescrive la rappresentanza di un avvocato sia per la complessità del procedimento o della causa (in materia penale il gratuito patrocinio è previsto espressamente dall’articolo 6§3 (c), “quando è necessario nell’interesse della giustizia”). Il termine “equo” ha dato origine a molti principi, una sorta di “garanzie procedurali ‘implicite’ nell’articolo 6”. In primo luogo il principio della parità di armi, secondo cui “ogni parte di un procedimento [civile o penale] deve avere una possibilità ragionevole di esporre le sue ragioni al tribunale in condizioni che non la mettano in uno svantaggio rilevante rispetto alla parte avversa”. La Corte può essere condotta a esaminare molto concretamente le rispettive situazioni delle parti192. 188 J. Meunier, La notion de procès équitable devant la Cour européenne des droits de l’homme, 2003. Guide on Article 6, Right to a fair trial, civil limb, and Guide on Article 6, Right to a fair trial, criminal limb, Council of Europe/European Court of Human Rights, rispettivamente 2013 e 2014. 190 Article 6-3-a, Article 6-3-b, Article 6-3-d: cfr. Albert and Le Compte v. Belgium. 191 Golder v. The United Kingdom, § 36. 192 La Corte ha perciò statuito che non assicurava alle parti gli stessi mezzi per far valere le loro ragioni il procedimento in cui “da un lato i giudici di merito hanno permesso all’amministrazione di limitarsi a motivare la decisione di esercitare il diritto di prelazione qualificando come ‘insufficiente il prezzo di cessione dichiarato nell’atto’, motivazione troppo sommaria e generale per permettere [al ricorrente] di presentare una contestazione motivata di questa valutazione; dall’altro i giudici di merito non hanno voluto 189 53 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission Il principio del contraddittorio impone al giudice di vigilare affinché tutti gli elementi della causa siano oggetto di discussione fra le parti, ed è definito dalla Corte “una delle principali garanzie di un procedimento giudiziario”. Dal processo equo discende infine il principio di lealtà nel produrre le prove: le regole probatorie (onere, forza probatoria, ammissibilità, etc.) rientrano in linea di principio nella discrezionalità degli Stati, ma la Corte ritiene di “dover ugualmente accertare se gli elementi di prova relativi ai procedimenti contro i ricorrenti siano stati raccolti in modo tale da garantire un processo equo”193. La Corte esige che il “tribunale” decida sulla base di prove “degne di fede”, il che implica, da un lato, che l’interessato abbia la possibilità “di contestarne l’autenticità e di opporsi al loro utilizzo” e, dall’altro, che il giudice “prenda in considerazione la qualità della prova, in particolare se le circostanze in cui è stata ottenuta ne mettano in dubbio l’affidabilità o l’esattezza”194. Implica anche necessariamente che il giudice faccia in modo che le prove in mano a una delle parti siano prodotte davanti a tutte per essere discusse195. Tuttavia la Corte si rifiuta di agire come un quarto grado di giudizio196, il che rende delicata la preparazione di un ricorso concernente le prove. Deve ancora menzionarsi il diritto a comparire di persona il quale, sebbene riguardi in modo particolare il processo penale, vale anche in materia civile quando il carattere o il comportamento di una delle parti contribuisce fortemente a formare l’opinione del tribunale (vedi infra). Infine bisogna ancora menzionare l’obbligo di motivazione delle decisioni giudiziarie197. Altre garanzie procedurali sono invece enunciate espressamente. La pubblicità del procedimento, sia dell’udienza che della pronuncia della decisione del giudice, è descritta dalla Corte come una garanzia delle parti contro una “giustizia segreta che sfugge al controllo del pubblico” e costituisce anche “uno dei mezzi per contribuire a salvare la fiducia nelle corti e nei tribunali”. L’articolo 6 esige ancora che il processo si svolga in un tempo ragionevole, carattere da valutare in funzione della complessità della causa, del comportamento del ricorrente e dell’atteggiamento delle autorità pubbliche. Poi il permettere al ricorrente di dimostrare che il prezzo convenuto fra le parti corrispondeva al valore venale reale del bene” (Hentrich v. France, § 56). 193 Sul principio del contraddittorio si vedano Cottin v. Belgium, §30 e Schenk v. Switzerland, §46. 194 Lisica v. Croatia, §49. 195 Laska and Lika v. Albania, §§70-71. 196 La Corte non è competente a conoscere degli errori di fatto o di diritto eventualmente commessi da un giudice interno, salvo che e in quanto questi errori possano aver leso i diritti e le libertà salvaguardati dalla Convenzione. Non può valutare gli elementi di fatto o di diritto che hanno condotto un giudice nazionale a prendere una decisione invece di un’altra, altrimenti si erigerebbe a giudice di terzo o quarto grado e ignorerebbe i limiti della sua missione (si veda la guida all’ammissibilità sul sito della CEDU). 197 A proposito del quale la Corte sottolinea che “l’articolo 6§1 obbliga i tribunali a motivare le loro decisioni ma non può essere interpretato nel senso di esigere una risposta dettagliata a ogni argomento. Parimenti la Corte europea non è chiamata a verificare se gli argomenti siano stati adeguatamente trattati”. 54 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission “tribunale” deve essere indipendente: l’indipendenza si valuta in relazione al potere esecutivo e rispetto alle parti in causa198. Deve essere anche imparziale. L’imparzialità soggettiva o personale corrisponde a quello che può pensare il giudice nel suo foro interiore e si presume. L’imparzialità oggettiva o funzionale porta a interrogarsi sugli indicatori oggettivi che fanno pensare che il giudice abbia un pregiudizio sulla disputa che deve decidere. Si valuta caso per caso, ma in maniera quasi costante attraverso il prisma dell’apparenza di imparzialità. L’articolo 6, ai paragrafi 2 e 3, precisa poi le garanzie di cui gode “ogni persona accusata” (§2) o “ogni accusato” (§3). La presunzione d’innocenza, articolo 6§2, implica che l’onere della prova gravi sull’accusa. Il diritto di essere informato il prima possibile sulla natura e i motivi dell’accusa è garantito dall’articolo 6§3 (a). Il diritto di disporre del tempo e dei mezzi necessari alla difesa, articolo 6§3 (b), implica un diritto di accesso al fascicolo tramite un avvocato o direttamente da parte dell’accusato se ha scelto di difendersi da solo. Il diritto di difendersi, da soli o con l’assistenza di un avvocato di fiducia, è oggetto dell’articolo 6§3 (c). Il diritto ai testimoni, articolo 6§3 (d), è il diritto di convocare, interrogare o fare interrogare i testimoni a carico o a discarico. Il diritto a un interprete è previsto al §3 (e). Infine, la Corte ritiene che il diritto di non contribuire alla propria incriminazione sia il cuore della nozione di processo equo sancita dall’articolo 6. 2.1.2 Portata dei requisiti dell’articolo 6§1 in materia civile o penale Così come il ricorso alle nozioni autonome di “accusa in materia penale” e di “contestazione di carattere civile”, è favorevole alla condizione giuridica dei detenuti, generalmente soggetti a delle modalità amministrative di trattazione delle dispute, il “momento” in cui entrano in gioco le garanzie dell’articolo 6 che è disconnesso dalle categorie giuridiche nazionali. Infatti quando un’istanza deve essere ritenuta relativa a dei “diritti e doveri di carattere civile” o ad un’“accusa in materia penale”, l’interessato ha diritto all’esame della sua causa o dell’accusa di cui è oggetto da parte di “un tribunale” che soddisfa le condizioni dell’articolo 6§1199. Tuttavia, ai fini di questa disposizione, un tribunale non deve essere necessariamente un organo giurisdizionale di tipo classico, integrato nelle strutture giudiziarie ordinarie. L’importante per assicurare il rispetto dell’articolo 6§1 sono le garanzie previste, sia sostanziali che procedurali. Perciò un “tribunale” si caratterizza in senso sostanziale per il suo ruolo giurisdizionale: decidere tutte le questioni rilevanti di sua competenza sulla base di norme giuridiche e alla fine di un procedimento organizzato. Perciò anche da questo punto di vista il campo del processo equo non è rinchiuso nei limiti ristretti definiti a priori dagli Stati. Un organo che non 198 “Per stabilire se un organo possa essere considerato ‘indipendente’ occorre esaminare, in particolare, il metodo di designazione e la durata del mandato dei suoi membri, l’esistenza di una protezione contro le pressioni esterne e se c’è un’apparenza di indipendenza”. 199 Le Compte, Van Leuven and De Meyere v. Belgium, §50. 55 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission risponde secondo il diritto interno alla qualifica di giurisdizione potrebbe trovarsi soggetto ai requisiti dell’articolo 6. L’effetto di questa logica estensiva è però attenuato dall’approccio globale che presiede all’analisi ai fini dell’articolo 6, che contribuisce certamente al fatto che le sentenze di condanna pronunciate su questo terreno in materia penitenziaria siano in definitiva assai poche. L’esame nella prospettiva di questa disposizione implica infatti una valutazione della procedura nel suo insieme. Un vizio che comporta una mancanza di equità può, a certe condizioni, essere corretto in una fase ulteriore del procedimento davanti all’autorità o al tribunale in questione, o altrimenti da un tribunale superiore. Questo può avvenire solo se la decisione criticata è sottoposta al controllo di un organo giudiziario indipendente, che ha piena giurisdizione e dà le garanzie richieste dall’articolo 6§1. Fra le caratteristiche di un organo giudiziario con piena giurisdizione figura il potere di riformare in tutti punti, di fatto e di diritto, la decisione dell’organo inferiore. In particolare, deve essere competente a conoscere di tutte le questioni di fatto e di diritto pertinenti alla disputa di cui è investito. È importante l’ampiezza del controllo così operato, che è esaminata alla luce delle circostanze del caso200. In particolare, anche se non è contrario alla Convenzione affidare a delle autorità amministrative il compito di perseguire e reprimere dei comportamenti, l’interessato deve poter portare tutte le decisioni di questo tipo che lo riguardano davanti a un tribunale che offre le garanzie dell’articolo 6. La Convenzione non esclude quindi che in un procedimento di natura amministrativa una “pena” sia inflitta inizialmente da un’autorità amministrativa. Richiede però che la decisione di un’autorità che non soddisfa in sé le condizioni dell’articolo 6§1 sia soggetta al controllo ulteriore di un organo giudiziario con piena giurisdizione201. Inoltre conviene tenere a mente che certi diritti garantiti dall’articolo 6 possono avere dei limiti, come ad esempio il diritto di accesso a un tribunale, la pubblicità, la comunicazione delle prove, etc. Questi limiti sono conformi alla Convenzione se sono legittimi, proporzionati all’obbiettivo perseguito e se “non mettono in causa la sostanza del diritto garantito”. In questo quadro la Corte potrà tener conto di considerazioni attinenti alla salvaguardia dell’ordine pubblico o delle difficoltà logistiche incontrate dall’amministrazione penitenziaria (vedi infra). Infine, in ipotesi fortunatamente rare, la giurisprudenza ritiene che la possibilità del detenuto di contestare le diverse implicazioni di un regime detentivo esoneri lo Stato dall’organizzare un rimedio che permetta di mettere in causa l’utilizzo di questo regime 200 Si veda la giurisprudenza citata in Guide on Article 6, Right to a fair trial, civil limb, Council of Europe/European Court of Human Rights, 2013, in particolare §§177-185. 201 Cfr. ad esempio la sentenza A. Menarini Diagnostics S.R.L. v. Italy, §§57-61 e i riferimenti in essa contenuti. 56 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission in quanto tale. Nel caso Enea v. Italy [GC] (§§118-120), la Grande Camera ha ritenuto che l’impossibilità di contestare il trasferimento in una sezione ad alta sicurezza non costituisca una violazione dell’articolo 6§1 della Convenzione, a condizione che ogni limitazione di un diritto di “carattere civile” derivante da tale trasferimento possa essere oggetto di ricorso giurisdizionale. Tuttavia tale soluzione sembra marginale perché la Corte ritiene in generale che il detenuto ricorrente non debba essere costretto a moltiplicare i passaggi procedurali per far valere il suo diritto202. 2.2 Attuazione concreta della tutela nel campo penitenziario 2.2.1 Contenzioso civile i. Accesso a un tribunale Il diritto di accesso a un tribunale è stato sancito in quanto tale dalla Corte nel celebre caso Golder v. The United Kingdom [GC], concernente il rifiuto opposto dal direttore del carcere a un detenuto che reclamava il diritto di consultare un avvocato per iniziare un’azione di diffamazione contro una guardia che l’aveva accusato di aggressione203. Anche se il provvedimento non implicava in sé l’impossibilità di adire il tribunale, la consultazione di un avvocato è vista come un prerequisito indispensabile dell’azione progettata, a causa in particolare della detenzione. La Corte sottolinea a questo riguardo che “un ostacolo di fatto può violare la Convenzione tanto quanto un ostacolo giuridico” (§26). Parimenti la possibilità che il ricorrente avrebbe avuto di intentare un procedimento alla fine della detenzione è ritenuta insufficiente, secondo la Corte, perché “un ostacolo all’esercizio effettivo di un diritto può ledere questo diritto anche se riveste un carattere temporaneo” (ibid.). Inoltre questa sentenza fondamentale dà conto dell’importanza attribuita all’effettività del diritto di accesso a un tribunale. Questo imperativo porta la Corte a esigere in modo costante che l’interessato “goda di una possibilità chiara e concreta di contestare un atto che costituisce un’ingerenza nei suoi diritti”. In modo molto esemplare la Corte ha 202 Cfr. ad esempio Shishkov v. Russia, §135. La Corte afferma che “l’articolo 6-1 non riconosce espressamente un diritto di accesso ai tribunali. Enuncia dei diritti distinti derivanti dalla stessa idea fondamentale e che, riuniti, costituiscono un diritto unico di cui non di dà una definizione precisa, nel senso stretto di queste parole” (§28). Perciò la Corte ha dovuto cercare per via di interpretazione quali siano gli elementi o aspetti di questo diritto. La Corte si riferisce al principio della preminenza del diritto che figura nel Preambolo della Convenzione, che in materia civile “non è concepibile senza la possibilità di accedere ai tribunali”. La Corte ha notato nel caso Golder v. The United Kingdom [GC] che l’articolo 6-1 doveva leggersi tenendo conto che quello “secondo cui una contestazione civile deve poter essere portata davanti a un giudice è uno dei principi di diritto fondamentali universalmente riconosciuti; lo stesso vale per il principio di diritto internazionale che vieta il diniego di giustizia” (§35). La Corte ammette che il diritto di accesso ai tribunali non è assoluto. “Poiché è un diritto che la Convenzione riconosce (cfr. gli articoli 13, 14, 17 e 25) senza definirlo nel senso stretto della parola, c’è spazio, al di fuori dei limiti che circoscrivono il contenuto stesso di ogni diritto, per dei limiti impliciti” (§38). 203 57 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission giudicato che questa possibilità non era stata data ai ricorrenti del caso Stegarescu and Bahrein v. Portugal, concernente l’isolamento di detenuti accusati di preparare un’evasione armata. La Corte condanna la circostanza che i ricorrenti non avessero mai avuto il testo delle decisioni amministrative che ne avevano ordinato la collocazione in cella di sicurezza e che fossero stati informati solo del fatto che tale provvedimento era stato preso a causa dell’esistenza di indizi di progetti di evasione in corso. Agli occhi dei giudici europei un tal modo di procedere non consentiva agli interessati di contestare efficacemente il provvedimento controverso. Questa esigenza sembra particolarmente pertinente, e potrebbe in seguito servire da appoggio per sviluppare una giurisprudenza coerente, nel contenzioso sulle misure di sicurezza nelle quali l’amministrazione penitenziaria è rapida a invocare l’ordine pubblico per rifiutarsi di dare spiegazioni agli interessati sulle decisioni prese nei loro confronti. La stessa preoccupazione di assicurare un accesso al giudice realmente praticabile è all’opera nelle cause in cui la Corte afferma che dei vincoli procedurali eccessivi, come dover fornire l’elenco di tutte le persone interessate dal procedimento, violano il diritto di accesso al tribunale204, e così pure delle scadenze procedurali troppo brevi205. Il diritto di accesso al tribunale è violato in sostanza anche quando il giudice non decide sul merito del ricorso perché è venuto meno il suo oggetto col passare del tempo. Fra i molti casi italiani, la sentenza Enea v. Italy [GC] riguarda il procedimento intentato da un detenuto sottoposto a un regime speciale di detenzione. Il tribunale, che aveva dieci giorni per decidere, ha respinto uno dei ricorsi del ricorrente più di quattro mesi dopo la sua introduzione perché la decisione contestata era decaduta. Qui l’assenza di una decisione sul merito ha vanificato il controllo esercitato dal giudice. La Corte afferma che il termine impartito a quest’ultimo era stato fissato a 10 giorni a causa, da un lato, della gravità degli effetti del regime speciale sui diritti del detenuto e, dall’altro, della validità limitata nel tempo della decisione impugnata. Nel caso Musumeci v. Italy, diverso in quanto i giudici avevano semplicemente deciso fuori termine, la Corte tiene conto anche del fatto che l’amministrazione non era vincolata da un’eventuale sentenza di revoca di tutte o alcune delle restrizioni imposte e può quindi prendere, immediatamente dopo la scadenza del termine di validità di questi provvedimenti, una nuova decisione che reintroduce le restrizioni annullate dal tribunale206. Non è sorprendente che nel contenzioso penitenziario la questione dell’accesso al tribunale si ponga regolarmente nella sua dimensione finanziaria. È il caso, in primo luogo, delle spese di giustizia eventualmente previste dal diritto nazionale. La giurisprudenza ritiene in via generale che la capacità del ricorrente di pagare le spese di 204 Shishkov v. Russia. Ibid. 206 In precedenza la Corte si era mossa sul terreno dell’articolo 13 per pervenire a questa stessa conclusione sulla base delle medesime considerazioni: cfr. Messina v. Italy (n. 2). 205 58 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission giustizia e la fase processuale in cui diventano esigibili sono altrettanti elementi di cui tenere conto per accertare se l’accesso al giudice è stato ostacolato. Delle restrizioni di natura puramente finanziaria, totalmente slegate dalle prospettive di successo della domanda, devono essere oggetto di un esame particolarmente rigoroso. Nel caso Cirop v. Moldova il ricorrente si era visto privare dell’accesso a un tribunale perché la Corte suprema aveva rifiutato, a causa del mancato pagamento delle spese processuali, di esaminare il suo ricorso relativo all’alimentazione forzata che aveva subito. Secondo la Corte l’interessato avrebbe dovuto essere dispensato dal pagamento delle spese, indipendentemente dalla sua capacità di pagarle, tenuto conto non solo delle deroghe previste dal diritto interno ma anche della gravità dei fatti allegati (tortura). Per quel che riguarda il gratuito patrocinio, la giurisprudenza ritiene che, a differenza della regola prevalente in materia penale, l’articolo 6§1 non imponga allo Stato di garantire il gratuito patrocinio in ogni controversia vertente su un “diritto di carattere civile”. Può però non essere così quando il patrocinio si rivela indispensabile per un accesso effettivo al giudice, a causa delle circostanze particolari del caso, e in particolare della gravità della posta in gioco per il ricorrente, della complessità del diritto o della procedura applicabile, della capacità della parte di perorare effettivamente la sua causa da solo. In materia penitenziaria la Corte sembra assai poco incline a muoversi su questo terreno. In molte sentenze tiene conto della mancanza di assistenza legale, ma per rafforzare un ragionamento svolto a partire non dal diritto di accesso al giudice ma dalla mancata comparizione personale davanti all’organo giudiziario207. L’uso ripetuto di questo approccio riguardo al medesimo Stato convenuto è emblematico di una reale riluttanza della Corte a prendere posizione sulla questione del gratuito patrocinio. Il caso Rokosz v. Poland, che riguardava una richiesta di sospensione della pena per motivi medici in una situazione che costituiva una violazione dell’articolo 3, rende conto dell’estrema severità dell’esame della Corte su questa base. La Corte ritiene infatti che “sebbene il procedimento avesse grande importanza per il ricorrente, non presentava però una complessità tale da rendere indispensabile l’assistenza di un giurista di professione per garantire al ricorrente un esame effettivo del ricorso. La Corte osserva peraltro che l’insieme degli argomenti esposti dal ricorrente è stato esaminato dal giudice d’appello”. In definitiva, la giurisprudenza europea testimonia una volontà assai debole per quel che riguarda l’esigenza di un accesso effettivo al tribunale nel contenzioso penitenziario. Gli ostacoli concreti incontrati dai detenuti, risultanti dalla loro situazione di completa dipendenza di fronte all’amministrazione penitenziaria, dalla loro situazione socioeconomica e dall’indisponibilità degli strumenti di accesso al diritto organizzati all’esterno, sono presi in esame solo in modo molto incidentale dalla Corte sul terreno 207 Larin v. Russia; Vasilyev v. Russia; Beresnev v. Russia. 59 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission dell’articolo 6. In altri contesti questa realtà economica appare più pregnante nell’analisi che fa la Corte dell’effettività dell’intervento dell’organo di reclamo208. ii. Comparizione personale e udienza pubblica Tenuto conto della tendenza degli Stati ad affrancarsi dai vincoli logistici derivanti dal trasferimento dei detenuti al palazzo di giustizia, la mancata comparizione personale davanti al tribunale e l’assenza di udienza pubblica costituiscono dei terreni privilegiati per accertare una violazione dell’articolo 6§1. Queste violazioni, che possono andare di pari passo, sono generalmente esaminate tenendo conto di altre caratteristiche del procedimento al fine di valutare l’equità di quest’ultimo nel suo insieme, rispetto ai principi della parità di armi e del contraddittorio. Così come sintetizzato dalla Corte nella sentenza Larin v. Russia, l’articolo 6 non garantisce il diritto a comparire personalmente davanti a un tribunale civile ma un diritto più generale a far valere efficacemente le proprie ragioni nel rispetto della parità di armi con la parte avversa. Lo Stato conserva la scelta dei mezzi da utilizzare per garantire questi diritti. Per quel che riguarda il requisito di un’udienza209, non si applica sistematicamente nei casi in cui lo scambio di memorie scritte può essere più appropriato in funzione delle circostanze, ad esempio in assenza di questioni di fatto o di diritto che non possano risolversi in modo adeguato sulla base del fascicolo e delle osservazioni scritte delle parti. La comparizione personale, la forma orale o scritta del procedimento, la rappresentanza legale, etc., sono tutte questioni da analizzare nel contesto più ampio della garanzia “processo equo”: occorre verificare se al richiedente – parte del procedimento civile – è stata offerta una possibilità ragionevole di commentare le osservazioni fatte o gli elementi di prova prodotti dall’altra parte e di esporre le sue ragioni in condizioni che non lo mettano in una situazione svantaggiosa rispetto al suo avversario. In generale, la Corte condanna quando i giudici interni hanno omesso di tenere un’udienza o di permettere al detenuto di comparire di persona, quando il dibattimento davanti al giudice comporta una discussione dei fatti o una valutazione della personalità dell’interessato. L’elemento chiave risiede dunque nell’oggetto della discussione davanti al giudice. L’intervento di un rappresentante non è sufficiente quando il ricorrente deve essere sentito come testimone della sua causa210, cioè quando l’esposizione dei fatti che è chiamato a fare costituisce un aspetto determinante del processo. 208 Aden Ahmat v. Malta. La Corte rammenta che la tenuta di udienze pubbliche costituisce un principio fondamentale sancito dall’articolo 6§1. Questo carattere pubblico protegge le parti contro una giustizia segreta che sfugge al controllo del pubblico; è anche uno dei mezzi per mantenere la fiducia nei tribunali. Rendendo trasparente l’amministrazione della giustizia, la pubblicità contribuisce a realizzare l’obiettivo dell’articolo 6§1, cioè un processo equo, la cui garanzia è uno dei principi fondamentali di ogni società democratica nel senso della Convenzione. 210 Skorobogatykh v. Russia; Kovalev v. Russia, §37; e Sokur v. Russia, § 35. 209 60 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission Nel caso Gülmez v. Turkey la Corte riscontra una violazione sistemica dell’articolo 6§1 nella legislazione interna, secondo la quale il ricorso di un detenuto contro una sanzione disciplinare era esaminato alla luce del fascicolo senza udienza pubblica. Nel caso particolare, ha constatato che i mezzi di difesa del ricorrente erano stati esaminati solo prima che la commissione disciplinare infliggesse le diverse sanzioni e che il ricorrente non aveva beneficiato dell’assistenza di un avvocato per difendersi davanti ai tribunali interni che avevano esaminato i sui ricorsi contro le sanzioni. In base all’articolo 46 della Convenzione la Corte invita lo Stato convenuto a conformare il suo diritto interno ai requisiti dell’articolo 6 tenendo conto delle regole penitenziarie europee. Viceversa, in un caso in cui il giudice interno doveva decidere se l’amministrazione penitenziaria fosse autorizzata dal diritto interno a regolare la lingua utilizzata nelle conversazioni telefoniche, la Corte ritiene che non si ponesse alcuna questione di credibilità tale da richiedere una discussione sugli elementi di prova o l’audizione in contraddittorio dei testimoni. Inoltre la questione controversa poteva essere esaminata sulla base delle memorie scritte delle parti211. Nell’esame delle garanzie previste a favore dei detenuti la Corte tiene conto del contesto penitenziario e verifica se il giudice ha preso provvedimenti specifici per assicurare la partecipazione effettiva degli interessati, il che può essere fatto con un’analisi costi/benefici delle scelte operate dal giudice interno. In un caso concernente la contestazione di una sanzione disciplinare212, la Corte ritiene che nella specie i giudici abbiano preso in considerazione delle soluzioni alternative per garantire la comparizione personale dell’interessato, perché hanno tenuto udienza nell’istituto penitenziario. La Corte riconosce che questa circostanza costituisce un ostacolo di fatto all’accesso del pubblico e dei media all’aula di giustizia. Tuttavia, per ragioni pratiche, non si poteva pretendere che un dibattimento tenuto nell’istituto penitenziario abbia un pubblico equivalente a quello dei dibattimenti che si svolgono in un palazzo di giustizia. Gli inconvenienti di una tale udienza in termini di pubblicità sono compensati dal beneficio che ne trae l’interessato in termini di partecipazione personale. Nel caso di un contenzioso sulla qualità delle cure prestate in carcere213, la Corte critica i giudici interni che, davanti alla difficoltà di garantire la presenza del detenuto, non hanno cercato di organizzare un collegamento video o un’udienza nel luogo di detenzione. Inoltre, dopo aver respinto la richiesta del detenuto di comparire di persona, i giudici interni non hanno cercato un modo di garantire la partecipazione effettiva dell’interessato al procedimento chiedendogli se aveva un amico o un parente disposto a rappresentarlo né se aveva la possibilità di contattarli e di autorizzarli ad agire in suo nome. Dato che la testimonianza 211 Nusret Kaya and others v. Turkey. Razvyazkin v. Russia, §§142-143. 213 Vasilyev v. Russia. 212 61 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission del ricorrente avrebbe costituito un elemento indispensabile per la difesa delle sue ragioni, la Corte constata una violazione dell’articolo 6. 2.2.2 Contenzioso penale I casi penali esaminati dalla Corte relativi allo statuto giuridico interno del detenuto sono molto pochi. Riguardano il Regno Unito e hanno portato all’accertamento di violazioni per due motivi: da una parte, la mancanza di indipendenza e di imparzialità oggettiva nel procedimento disciplinare, dovuta al cumulo delle funzioni di indagine, di accusa e di giudizio nelle mani dell’amministrazione; dall’altra la mancanza di assistenza legale. Nel caso Whitfield and others v. The United Kingdom, concernente dei procedimenti disciplinari, la Corte esamina congiuntamente i ricorsi relativi all’imparzialità oggettiva e all’indipendenza strutturale dell’organo che aveva deciso i loro casi (il direttore del carcere e il controller214). La Corte osserva che delle persone dipendenti dal Ministero dell’interno, che si tratti dell’agente di custodia, del direttore o del controllore, hanno redatto e sostenuto le accuse contro i ricorrenti, condotto le indagini e deciso sulla colpevolezza e le pene inflitte. Non c’era quindi indipendenza strutturale fra le funzioni di accusa e di giudizio (§45), in violazione dell’articolo 6§1. La Corte perviene alla stessa soluzione nelle sentenze Black v. The United Kingdom e Young v. The United Kingdom del 16 gennaio 2007. Nel caso Black la Corte scarta (senza controbatterlo) l’argomento del governo215, il quale adduceva in particolare che la decisione disciplinare era suscettibile di ricorso davanti al Garante e di una procedura di judicial review davanti alla High Court. Il ricorrente spiegava da parte sua che il judicial review (che aveva intentato nel caso di specie) non era l’equivalente di un’impugnazione, la quale era possibile solo a livello dell’amministrazione centrale, ossia in delle condizioni non rispondenti ai requisiti dell’articolo 6§1. Nel caso Ezeh and Connors v. The United Kingdom [GC] la Grande Camera afferma che il rifiuto da parte del direttore del carcere di autorizzare i ricorrenti a farsi rappresentare da un avvocato ha comportato una violazione dell’articolo 6§3 (c). Perciò non era necessario esaminare il motivo di ricorso subordinato secondo cui nell’interesse della giustizia era necessario concedere ai ricorrenti il gratuito patrocinio ai fini del procedimento davanti al direttore. Si può osservare che nel caso Riepan v. Austria, concernente un processo penale tenuto fra le mura di una prigione (un caso che a rigore non riguardava lo statuto giuridico interno del detenuto), la Corte ha concluso per una violazione dell’articolo 6§1. Mentre il ricorrente stava scontando una pena detentiva era stato iniziato un procedimento penale contro di lui per minacce gravi a un sorvegliante. Era stato poi condannato dal tribunale 214 215 Funzionario incaricato di sovrintendere alle prigioni gestite da società private. Si veda la decisione sull’ammissibilità del 27 settembre 2005. 62 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission regionale seduto nel carcere stesso. In appello aveva addotto che l’udienza non era stata pubblica perché si era tenuta nella “sezione chiusa” del carcere, a cui i visitatori non possono accedere senza un’autorizzazione speciale, e in uno spazio troppo piccolo per accogliere un eventuale pubblico. Dopo un’udienza pubblica tenutasi, questa volta, nei locali della stessa Corte d’appello, quest’ultima aveva respinto il ricorso affermando che tutte le persone interessate erano state autorizzate ad assistere al processo. La Corte di Strasburgo ricorda che il semplice fatto che il processo abbia avuto luogo nei locali della prigione non deve necessariamente far concludere per un’assenza di pubblicità. Parimenti, il fatto che gli spettatori potenziali avrebbero dovuto subire certi controlli di identità ed eventualmente di sicurezza non priva in sé il processo del suo carattere pubblico. Tuttavia tale situazione costituisce un ostacolo serio alla pubblicità del dibattimento. In tal caso lo Stato ha l’obbligo di prendere dei provvedimenti compensativi per garantire che il pubblico e i media siano debitamente informati del luogo del processo e possano effettivamente accedervi. Nel caso di specie la Corte ritiene che il tribunale regionale aveva omesso di prendere dei provvedimenti adeguati per compensare l’inconveniente che presentava dal punto di vista della pubblicità la tenuta del processo nella sezione chiusa del carcere. La Corte ritiene peraltro che il controllo effettuato dalla Corte d’appello non avesse la portata necessaria a correggere i vizi del procedimento precedente. Quest’ultima aveva certo il potere di riesaminare il caso in fatto e in diritto e di modificare la pena inflitta. Resta il fatto che, a parte l’audizione del ricorrente, non ha raccolto alcuna prova e si è astenuta in particolare dal procedere a una nuova audizione dei testimoni. Poco importa a questo riguardo per la Corte di Strasburgo che il ricorrente non sia stato invitato a questa udienza. In primo luogo, in virtù delle norme processuali pertinenti, la Corte d’appello avrebbe potuto accogliere tale richiesta solo se avesse ritenuto che il modo in cui il tribunale di primo grado aveva raccolto le prove era incompleto o viziato. In secondo luogo, è compito dei tribunali vegliare sul rispetto del diritto dell’accusato a vedere le prove prodotte in udienza pubblica. Conclusione La giurisprudenza sull’articolo 6 in materia penitenziaria è caratterizzata da un doppio paradosso. In primo luogo, la Corte di Strasburgo ha sancito molto rapidamente il principio dell’applicabilità delle garanzie procedurali alle persone incarcerate, in un’epoca in cui il diritto dei detenuti non era tenuto in gran conto dagli organi di controllo della Convenzione. E tuttavia, e nonostante la banalizzazione dell’invocazione dell’articolo 6 a Strasburgo nel contenzioso generale, il numero di sentenze che chiamano in causa i servizi penitenziari per questo motivo è limitato. 63 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission In materia penale, la giurisprudenza si è limitata a una manciata di sentenze pronunciate contro il Regno Unito, circoscritte al contenzioso disciplinare sulla revoca degli sconti di pena. Non solo l’interpretazione della Convenzione non si è evoluta per esaminare da questa prospettiva la sanzione del “carcere dentro il carcere”, ma la Corte si è astenuta dall’applicare i precedenti britannici nelle cause che ponevano tuttavia problemi molto simili. Dopo aver proclamato la sottoposizione del carcere a un principio di diritto comune in materia di processo equo, la Corte si è poi sottratta alle linee direttrici della sua giurisprudenza per adottare un approccio binario che censura solo le situazioni in cui è palesemente in gioco un prolungamento della durata effettiva della detenzione dei ricorrenti. In questo contesto l’ambito civile è sembrato, all’inizio degli anni 2000, un vettore potenziale del riconoscimento dei diritti procedurali alla popolazione detenuta. Attraverso passaggi incrementali la Corte ha riconosciuto l’applicabilità di questo testo a diverse categorie di provvedimenti, in particolare quelli presi in base al regime di alta sicurezza, in cui erano visti in gioco i diritti personali dei detenuti, poi nel campo disciplinare, e poi infine nel contenzioso risarcitorio, riguardo ai servizi carcerari o agli interessi dei detenuti all’esterno. I progressi realizzati, a poco a poco, sono rimasti timidi. A questo riguardo, la mancata applicazione delle garanzie del processo equo al campo dei provvedimenti di riduzione della pena rappresenta una vera lacuna nella protezione convenzionale dei diritti dei detenuti. Tanto più che il timore di ripercussioni sui procedimenti di liberazione anticipata costituisce un ostacolo ricorrente all’esercizio dei diritti in carcere. La consacrazione solenne di un approccio di principio in materia penitenziaria che faccia rientrare nell’articolo 6 delle categorie di provvedimenti in quanto tali, in riferimento ai diritti personali che mettono in gioco, invece dell’approccio casuistico seguito finora, appare il solo modo di garantire una maggiore coerenza della giurisprudenza. Il secondo paradosso è che la natura della protezione assicurata ai sensi dell’articolo 6 concerne in definitiva una gamma di reclami molto limitata, mentre i principi del processo equo appaiono prima facie come degli strumenti formidabili per la salvaguardia dei diritti fondamentali nel mondo chiuso delle carceri. La giurisprudenza si concentra essenzialmente sul diritto di accesso al tribunale nella prospettiva dell’assenza di ricorsi in materia di misure di sicurezza e sulle carenze del diritto a comparire di persona o a un’udienza pubblica nel contenzioso disciplinare o risarcitorio. Il contenzioso penale ha toccato sporadicamente l’imparzialità e l’indipendenza dell’organo disciplinare e il diritto all’assistenza legale. Dal punto di vista dell’interpretazione delle garanzie previste dall’articolo 6, i vincoli logistici e di sicurezza legati al contesto della detenzione sono presi in considerazione per attenuare gli obblighi processuali, ma la Corte si sforza di controllare concretamente che i provvedimenti in questione non abbiano l’effetto di ledere sostanzialmente il diritto garantito. Più che di un’alterazione dei principi del 64 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission processo equo si tratta di adattamenti puntuali delle loro implicazioni all’ambiente carcerario, che in ogni caso non paiono di natura tale da screditare la protezione garantita dall’articolo 6. In prospettiva i principi del giusto processo (contraddittorio, parità di armi, lealtà nel produrre le prove) appaiono pieni di potenzialità per i ricorrenti incarcerati, e possibilmente in grado di rafforzare sostanzialmente la protezione convenzionale che al giorno d’oggi è assicurata in prevalenza sulla base dell’articolo 13 o dell’ambito procedurale delle disposizioni normative della Convenzione. La penuria di risorse procedurali in ambiente carcerario contribuisce certamente alla ripetitività dei ricorsi e a una minore elaborazione delle richieste. Si può anche ipotizzare che la debole considerazione ai sensi dell’articolo 6 degli ostacoli finanziari che si presentano in carcere nell’accesso al giudice indebolisca l’intero edificio del “processo equo carcerario”. L’evoluzione della giurisprudenza in materia appare certamente una delle questioni più importanti del contenzioso penitenziario attuale. L’accesso a una giustizia di qualità costituisce sicuramente una delle chiavi di successo della politica giurisprudenziale mirante a fare dell’effettività dei rimedi interni una leva privilegiata per sradicare il malfunzionamento dei sistemi penitenziari nazionali. 65 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission III. IL DIRITTO ALLA TUTELA DELLA SALUTE GARANTITO DALL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE EDU La Convenzione non contiene disposizioni specifiche sulla tutela della salute, specialmente per quel che riguarda i detenuti. La Commissione ha creato per queste persone una tutela fondata sulla convenzione, quando ha stabilito nel 1978 che la detenzione prolungata di una persona anziana malata potrebbe porre dei problemi ai sensi dell’articolo 3216. Due anni dopo la Commissione ha dichiarato che le autorità hanno l’obbligo di assicurare la tutela della salute e del ben essere dei detenuti, compresi quelli coinvolti in un atto di protesta contro l’amministrazione217. Più esplicitamente, nel rapporto del 1993 sul caso Hurtado v. Switzerland, ha affermato che “ai sensi dell’art. 3 lo Stato ha l’obbligo specifico positivo […] di proteggere l’integrità fisica delle persone private della libertà. L’assenza di cure mediche adeguate in tale situazione deve essere qualificata come un trattamento disumano”. Quest’obbligo di agire che incombe sulle autorità è stato riconosciuto dalla Corte nel 2000, per esempio nella fondamentale sentenza Kudła v. Poland, pronunciata dalla Grande Camera, secondo cui “ai sensi di questa disposizione lo Stato deve garantire che una persona sia detenuta in condizioni compatibili col rispetto della dignità umana, che il modo e il metodo di eseguire il provvedimento non la sottopongano a un’angoscia o a un dolore di intensità superiore al livello inevitabile di sofferenza inerente alla detenzione, e che, date le esigenze pratiche della carcerazione, la sua salute e il suo benessere siano garantiti adeguatamente, anche col prestarle la dovuta assistenza medica” (§94). Questo quadro del carcere come luogo che non pregiudica l’essere umano si integra perciò completamente con la definizione di salute dell’OMS: “La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non consiste semplicemente nell’assenza di malattie o infermità”. È quindi sulla base dell’idea “matrice” di dignità, rientrante nell’ambito dell’articolo 3218, che è stato stabilito l’obbligo positivo di tutelare la salute fisica e mentale dei detenuti, mentre nel caso delle persone non detenute questa tutela è garantita dal diritto al rispetto della vita privata di cui all’art. 8. Il fatto che quest’obbligo sia stato desunto da un diritto intangibile ha contribuito certamente alla sua ascesa e la sentenza Kudła ha originato un’ampia e ricca giurisprudenza. Il contributo di quest’ultima è stato sistematizzato dieci anni dopo nella sentenza Xiros v. Greece, che organizza i doveri delle autorità intorno a tre grandi principi: “il dovere di curare la persona malata durante la detenzione impone allo Stato gli obblighi specifici di assicurare che il detenuto sia in grado di scontare la 216 Bonnechaux v. Switzerland, Report of the Commission, n. 8224/78, 5 dicembre 1979. N. 8317/78, Dec. 15.5.80, D.R. 20, pp. 44, 138. 218 “[…] il principio del rispetto della dignità umana […] è una interpretazione fondante quando la Corte applica i diritti sanciti dalla Convenzione […] a persone private della libertà” (Belda, §198). 217 66 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission pena, di prestare le cure mediche necessarie e di adattare, se necessario, le condizioni generali di detenzione alla situazione particolare del suo stato di salute” (§73). A testimonianza del fatto che la questione medica si è rapidamente affermata come problema centrale nel campo del contenzioso penitenziario di fronte alla Corte, la prima sentenza quasi pilota nel campo carcerario è stata pronunciata nel 2005 per ovviare al problema sistemico, osservabile in Turchia, del ritorno in carcere di persone il cui stato di salute era stato precedentemente ritenuto incompatibile con la detenzione (Tekin Yeldis v. Turkey, n. 22913/04, 10/11/2005). Analogamente, a testimonianza del fatto che la Corte considera i provvedimenti procedurali interni parte essenziale della garanzia degli obblighi statali, i giudici hanno preso posizione rispetto alle procedure da introdurre per evitare i ritorni in carcere ingiustificati, allo scopo di sradicare questo problema sistemico219. Di fatto, per attuare in pratica gli obblighi materiali di tutela della salute così generati la giurisprudenza vi ha aggiunto altri obblighi procedurali che impongono allo Stato di garantire una tutela giuridica predisponendo delle procedure effettive. Nel 2001 con la sentenza Keenan v. the United Kingdom, la Corte ha riscontrato una violazione dell’art. 13 dovuta alla mancanza nel diritto interno di un rimedio per sospendere tempestivamente un provvedimento disciplinare che potrebbe peggiorare la condizione psichiatrica dell’interessato. La Corte ha recepito con uguale rapidità le considerazioni procedurali sotto il suo esame relative alla compatibilità della detenzione continuata di soggetti malati o disabili con il divieto di trattamenti disumani o degradanti, sottolineando l’importanza all’interno della tutela contro i maltrattamenti di un procedimento giurisdizionale per la liberazione per motivi medici (Mouisel v. France, §44), o esaminando le precauzioni prese dal giudice durante la detenzione (Price v. the United Kingdom, §25). In seguito la Corte ha generato obblighi procedurali per vari motivi, più spesso l’art. 13 e più raramente gli artt. 5220 e 6221. Questi obblighi sono stati inclusi talvolta nell’argomentazione ex art. 3222. Per comprendere la portata di questi obblighi è utile una panoramica preliminare223 degli obblighi sostanziali generati dalla Corte su questa materia, che si tratti di salute fisica o mentale (1). La struttura e il comportamento attesi dagli organi responsabili di accertare le violazioni del diritto alla tutela della salute in carcere saranno esaminati in una fase successiva (2). 219 Questo problema ha dato luogo a una seconda sentenza quasi pilota nel 2013: Gülay Çetin v. Turkey. Tekin Yeldis, cit. supra. 221 Si veda il capitolo dedicato a questo articolo. 222 Quando i fatti giustificano un’indagine (vedi sotto) o, come nel caso Aharon Schwartz v. Romania, quando degli aspetti procedurali determinano un controllo di conformità all’art. 3. 223 Inevitabilmente parziale in uno studio degli obblighi procedurali, se non altro per la mole di giurisprudenza in materia. 220 67 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission 1. Portata dell’obbligo positivo sostanziale di tutelare la salute 1.1. Obblighi generali dello Stato i. L’adeguatezza delle cure: un principio incerto Si è posta e si pone la questione se sia obbligatoria una qualità delle cure equivalente a quella disponibile al di fuori del sistema carcerario o, in altre parole, la questione della soglia di gravità che fa scattare l’art. 3. L’equivalenza delle cure è invocata sia dalle Regole penitenziarie europee (n. 40.5) e dal CPT (CPT / Inf (93)12, §38). La Corte ha una posizione meno categorica, sottolineando che la natura “adeguata” delle cure mediche è “l’elemento più difficile da stabilire” (Blokhin v. Russia [GC], §137). Inoltre la Corte precisa che il diritto protetto dall’art. 3 non implica che a tutti i detenuti sia garantito lo stesso livello di cure delle migliori strutture sanitarie fuori dalla prigione (Cara-Damiani v. Italy, n. 2447/05, §66, 7 febbraio 2012). Una linea di pensiero giuridico arriva ad ammettere che “i mezzi delle strutture mediche dentro l’ordinamento carcerario sono limitati in confronto a quelli delle cliniche civili” (Grishin v. Russia, §76, Sergey Antonov v. Russia, §74), senza condannare la situazione esistente, a condizione che questa differenza non abbia causato un degrado dello stato di salute del ricorrente. Un’altra linea indica invece la posizione consolidata all’interno dell’analisi ex art. 3, cioè che la mancanza di mezzi, quale che ne sia la ragione, o la situazione economica generale del paese non può giustificare condizioni di detenzione contrarie al divieto assoluto contenuto in questo articolo (Dykebu v. Albania, §33; Kuznetsov v. Ukraine 2003, §128, Poghossian v. Georgia, §48, Elefteriadis v. Romania). Senza chiudere questa discussione, la Grande Camera nella sentenza Blokhin v. Russia afferma che “la Corte si riserva sufficiente flessibilità nel definire il livello minimo di assistenza sanitaria, decidendo caso per caso. Il livello deve essere ‘compatibile con la dignità umana’ del detenuto, ma deve anche tenere conto delle ‘esigenze pratiche della carcerazione’” (§138). Tuttavia la Corte richiama la sua giurisprudenza secondo cui “le cure mediche prestate nelle strutture del carcere devono essere appropriate, cioè di livello comparabile a quello che le autorità statali si sono impegnate a prestare a tutta la popolazione” (§137). La mancanza di riferimento alle sentenze che segnalano una tolleranza verso cure di qualità peggiore nel sistema carcerario segnala apparentemente l’intenzione della Grande Camera di impedire l’affermarsi di un doppio criterio in questa materia. ii. L’esistenza di requisiti ben definiti Tuttavia la giurisprudenza individua well-framed requirements rispetto alla qualità delle cure. Il diritto garantito dall’art. 3 impone la prestazione di “trattamenti medici rilevanti alla persona malata e di cure mediche adeguate alla situazione specifica dell’interessato” (Cătălin Eugen Micu v. Romania, §55). Secondo una giurisprudenza 68 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission consolidata il semplice fatto che un detenuto sia stato esaminato da un dottore e gli sia stato prescritto questo o quel trattamento non implica automaticamente che le cure siano di natura adeguata (Hummatov v. Azerbaijan, § 116). Una persona malata deve poter consultare del personale qualificato: la visita di un medico generico deve perciò essere seguita dall’esame di uno specialista (Soysal v. Turkey, §50). Inoltre quando la malattia di cui soffre è tale che il paziente ha bisogno di controlli regolari e sistematici collegati a una strategia terapeutica globale diretta a risolvere i suoi problemi di salute o a impedirne l’aggravamento piuttosto che a curarne i sintomi (Popov, citato sopra, §211, Hummatov, §§109 e 114, e Amirov v. Russia, n. 51857/13, §93, 27 novembre 2014). Le autorità devono prestare le cure rapidamente e seguire le prescrizioni del personale medico (Hummatov, §§116-117; Vladimir Vasilyev v. Russia, §§65 e s.; Raffray Taddei v. France). In generale, “la diligenza e la frequenza con cui vengono somministrate le cure mediche sono due elementi di cui tener conto per valutare la compatibilità del trattamento con gli obblighi di cui all’art. 3 della Convenzione” (Cătălin Eugen Micu, §55). iii. La prestazione delle cure in conformità all’etica medica La Corte controlla, entro certi limiti, l’osservanza degli imperativi etici che governano il campo delle cure mediche. Controlla la proporzionalità dell’uso di manette e ceppi durante il trattamento medico. Perciò la Corte ha ritenuto nella sentenza Mouisel v. France che la “debolezza fisica” del ricorrente e “l’assenza di comportamenti passati o altri elementi che fornissero gravi motivi di temere un pericolo significativo di fuga o di violenza” indicassero che “l’uso delle manette fosse sproporzionato alle esigenze di sicurezza” (§47; vedi anche Hénaf v. France, §51 e Herczegfalvy v. Austria, §83). Un’altra dimensione delle cure mediche regolarmente ignorata in carcere ma che interessa la Corte è la riservatezza. Perciò nella sentenza Duval v. France la Corte ha condannato la presenza di guardie durante un esame medico “che era in parte di natura intima” (§50) e ha ricordato come il CPT raccomandi “di eseguire l’esame o visita o cura medica del detenuto in privato e, se non richiesto altrimenti dal medico in un caso particolare, fuori dalla vista del personale di scorta” (§51). La Corte ha avuto anche occasione di stabilire, ai sensi dell’art. 8, che l’apertura da parte del medico del carcere della corrispondenza di un detenuto gravemente malato diretta a uno specialista esterno era sproporzionata (Szuluk v. the United Kingdom). 69 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission La causa Sokolow v. Germany (n. 11642/11, ricorso dell’8 marzo 2016) darà modo alla Corte di decidere sulle condizioni a cui i detenuti esercitano il diritto di accesso alla cartella medica224. 1.2 Obblighi specifici: protezione per categorizzazione in situazioni sanitarie diverse La Corte ha precisato la sua giurisprudenza esaminando delle situazioni mediche specifiche a cui ha applicato il principio generale – insieme alle sue tre varianti – stabilito nella sentenza Xiros. Così facendo ha categorizzato le principali situazioni mediche che si verificano in carcere. Di seguito ne saranno esaminate le caratteristiche più salienti. i. Provvedimenti preventivi: le malattie contagiose e il fumo passivo Le autorità hanno l’obbligo di prendere dei provvedimenti preventivi per garantire la salute dei detenuti. Secondo la Corte prevenire la trasmissione di malattie contagiose e in particolare di tubercolosi, epatite e HIV/AIDS deve essere una priorità della sanità pubblica, in primo luogo nel sistema carcerario (Cătălin Eugen Micu, §56). Da ciò segue l’obbligo dell’amministrazione di eseguire, con il consenso dei detenuti, uno screening delle principali malattie contagiose “in un tempo ragionevole” (ibid.). Perciò il ritardo di tre anni con cui l’amministrazione aveva eseguito uno screening per epatite C dopo la comparsa del primo sintomo e in un ambiente molto esposto all’epidemia è stato ritenuto eccessivo (Jeladze v. Géorgie, §44). Analogamente questo implica l’obbligo di prestare le cure necessarie. Perciò nella sentenza Kushnir v. Ukraine, la condanna è stata motivata fra l’altro col fatto che la tubercolosi del ricorrente era ricomparsa in carcere per la mancanza di cure preventive che avrebbero consentito di bloccare la progressione del contagio (§§143 e s.; cfr. anche Poghosyan v. Georgia). Per quel che riguarda l’HIV, la Corte esamina la qualità delle cure prestate in conformità alle raccomandazioni dell’OMS sui retrovirus (Kozhokar v. Russia, §109). Inoltre la Corte ritiene che lo Stato abbia l’obbligo di prendere i provvedimenti diretti a proteggere un detenuto dagli effetti dannosi del fumo passivo quando è richiesto dal suo stato di salute, sulla base degli esami medici e delle raccomandazioni dei medici curanti (Elefteriadis v. Romania, §48). La posta in gioco è separare l’interessato dai detenuti che fumano. Il sovraffollamento carcerario non esime le autorità dall’obbligo di tutelare la salute dell’interessato (ibid. §50). Nel caso Elefteriadis la Corte tiene conto del fatto che dopo un periodo di detenzione in cella insieme ai fumatori, i certificati medici rilasciati 224 Nel caso Alexander Zheludkov v. Ukraine (Communication No. 726/1996, U.N. Doc. CCPR/C/76/D/726/1996 (2002)), il Comitato della Nazioni Unite per i diritti dell’uomo ha ritenuto che il rifiuto persistente e immotivato da parte delle autorità di dare al detenuto ricorrente la sua cartella clinica violi le disposizioni dell’art. 10§1 del Patto internazionale sui diritti civili e politici. 70 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission da vari dottori avevano segnalato un deterioramento delle condizioni respiratorie del ricorrente e l’insorgere di un’ulteriore malattia. ii. Le protesi dentarie e oculari e la cura La mancata fornitura di scarpe ortopediche per vari anni, dopo che la loro necessità era stata dichiarata dai servizi medici, è una violazione dell’art. 3 (Vladimir Vasilyev v. Russia, §§67-69). Lo stesso vale per il rifiuto di fornire le protesi dentarie a un detenuto indigente e senza denti che non era in grado di comprarle con i propri mezzi (V.D. v. Romania). Nel caso Slyusarev v. Russia, la Corte ha parimenti ritenuto che la confisca degli occhiali del ricorrente per cinque mesi costituisse un trattamento contrario all’art. 3. iii. Lo sciopero della fame e le cure obbligatorie Indipendentemente dal danno che il ricorrente può essersi inflitto scegliendo di iniziare un lungo sciopero della fame, ciò non esonera il alcun modo lo Stato dai suoi obblighi rispetto all’art. 3 (cfr. Nevmerzhitsky v. Ukraine, sentenza del 5 aprile 2005 n. 54825/00, §§82-106; Tekin Yıldız v. Turkey, §82). Nel caso dell’alimentazione forzata la Corte ricorda che un provvedimento necessario a scopi terapeutici non può essere ritenuto disumano o degradante a condizione “che la necessità medica sia stata dimostrata in modo convincente e che le garanzie procedurali che devono accompagnare la decisione di procedere a una misura del genere esistano e siano osservate” (Herczegfalvy v. Austria, §82; Bogumil v. Portugal, §90), e che “il modo in cui il ricorrente è nutrito a forza durante lo sciopero della fame non rappresenti un trattamento eccedente la soglia di gravità minima richiesta dall’articolo 3” (Rappaz v. Switzerland, §65). Inoltre la decisione di ordinare di nuovo la carcerazione di una persona che ha fatto uno sciopero della fame può essere contraria all’art. 3 della Convenzione se tale persona soffre di danni a lungo termine come la sindrome di Wernicke-Korsakoff (Uyan v. Turkey, §§44-54; Balyemez v. Turkey, §§90-96). iv. La disabilità fisica e le situazioni di non autosufficienza Le persone disabili devono godere di condizioni di detenzione che consentano loro una certa indipendenza (Arutyunyan v. Russia, §75). Perciò nella sentenza Arutyunyan il fatto che il ricorrente, avente mobilità ridotta e afflitto da problemi di salute multipli, sia stato collocato al quinto piano di un edificio senza ascensore quando doveva raggiungere il pian terreno per essere curato o incontrare il suo avvocato, ha portato a dichiarare una violazione dell’art. 3 (§§73 e s.). Analogamente, nella sentenza D. G. v. Poland, la Corte ha condannato il fatto che un detenuto paraplegico afflitto da incontinenza non avesse avuto accesso quotidiano al personale medico (§44). Nel caso Vincent v. France, la Corte ha censurato il fatto che il ricorrente non potesse lasciare la cella da solo perché per accedere alla porta occorreva togliere una ruota dalla sedia. La giurisprudenza sembra 71 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission optare per l’adattamento delle condizioni di detenzione più che per l’obbligo di liberare gli interessati (Helhal v. France). La menomazione di un detenuto può imporre il ricorso a badanti per aiutarlo nelle attività quotidiane. La Corte ha condannato più volte l’uso di altri detenuti a tale scopo, non solo perché non sono necessariamente qualificati per questo compito e quindi non necessariamente preparati a tale condivisione dell’intimità (Farbtuhs v. Latvia, §60; Hüseyin Yıldırım v. Turkey, §81), ma anche perché una situazione del genere mette il ricorrente in una posizione di dipendenza da altri detenuti (Helhal v. France, §62). v. Compatibilità dello stato di salute con la detenzione Per quel che riguarda la compatibilità dello stato di salute con la detenzione, la Corte specifica che il “quadro clinico” di un detenuto è “uno dei criteri con cui valutare oggi la capacità di sopportare la detenzione sulla base dell’art. 3 negli Stati membri del Consiglio d’Europa. È divenuto una parte degli elementi di cui tenere conto nella scelta del modo di scontare la pena, specialmente rispetto a tenere in carcere persone affette da malattie mortali o da una malattia il cui stato è incompatibile con la vita in carcere nel lungo periodo” (Gülay Çetin v. Turkey, prec., §102). La verifica corrispondente implica un controllo triplice (alternativo o cumulativo): “a) la condizione del detenuto, b) la qualità del trattamento concesso e c) l’opportunità di tenere il ricorrente in detenzione alla luce del suo stato di salute” (ibid.). Il primo criterio riguarda le condizioni materiali di detenzione. Esse includono essenzialmente le caratteristiche della detenzione rispetto all’igiene e alla pulizia, ma possono includere altri aspetti come le condizioni dei prelievi medici e in particolare le precauzioni prese in tali occasioni (Mouisel v. France, §§46 e 47; Hénaf v. France, 27 novembre 2003, n. 65436/01, §§49 e s.). Per il secondo criterio, un indicatore importante è un forte deterioramento dello stato di salute in detenzione, che inevitabilmente genera dubbi sull’adeguatezza delle cure prestate (Khudobin v. Russia, n. 59696/00, §84; Salakhov et a. v. Ukraine, 14 marzo 2013, n. 28005/08). Nel caso Aharon Schwartz v. Romania la Corte ha censurato il fatto che l’interessato non avesse altre alternative che un intervento chirurgico nell’infermeria del carcere, la cui idoneità alla chirurgia è incerta (§106). Ma la questione importante non è solo accertare se l’interessato abbia ricevuto delle cure mediche prescritte da un dottore qualificato (Gorodnitchev v. Russia, n. 52058/99, §91, 24 maggio 2007), per es. se ha potuto accedere a visite specialistiche e agli strumenti tecnici necessari a curarlo. Questo secondo criterio richiede altresì di accertare se l’interessato abbia ricevuto cure più “periferiche” rispetto alla malattia, come l’assistenza nelle attività quotidiane e il sostegno psicologico. Da questo punto di vista l’attenzione va 72 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission ai compiti che implicano l’intervento di personale qualificato piuttosto che guardie o altri detenuti (Kaprykowski v. Poland, n. 23052/05, §74, 3 febbraio 2009, Gülay Çetin v. Turkey, 5 marzo 2013, n. 44084/10, §112). Il terzo e ultimo criterio, da valutare in connessione con il precedente, si riferisce globalmente alla “capacità di affrontare la detenzione”, tenuto conto del “quadro clinico del detenuto”. In realtà la Corte ha stabilito che in questa fase il prolungamento della detenzione, in sé e per sé e indipendentemente dalla qualità delle cure prestate (che possono non essere oggetto di esame, come nella sentenza Gülay Çetin v. Turkey, sopra, §109), si ripercuote necessariamente sull’individuo. Nel caso Gülay Çetin la Corte ha perciò ritenuto che le autorità avessero violato l’art. 3 continuando la detenzione quando “questo non era giustificato per proteggere la società, e una completa mancanza di diligenza da parte delle autorità sotto questo aspetto significava abbandonare il detenuto a se stesso, senza sostegno familiare e incapace di mantenere la sua dignità rispetto all’esito a cui la malattia lo conduceva fatalmente e inesorabilmente” (Gülay Çetin, sopra, §122). Parimenti, la Corte ha costantemente ritenuto che la nuova carcerazione di una persona liberata per motivi di salute è una violazione dell’art. 3, se non tiene conto dello stato di salute dell’interessato (Rokosz v. Poland; Tekin Yıldız v. Turkey). vi. I malati di mente Quando è chiamata a verificare la compatibilità delle condizioni di detenzione di un malato di mente con l’art. 3, la Corte “dapprima oggettivizza il suo approccio riconoscendo che la natura stessa dei disturbi mentali rende le persone interessate più vulnerabili in confronto agli altri detenuti, e che il mero fatto della loro detenzione obbliga la Corte a verificare se questa detenzione avviene in condizioni conformi alla dignità umana” (Tulkens & Dubois-Hamdi). La Corte ha espresso in modo molto chiaro questo punto di vista nella sentenza Dybeku v. Albania dove ha ritenuto che il fatto che il ricorrente fosse trattato come tutti gli altri detenuti sia sufficiente a concludere che lo Stato non ha rispettato i suoi obblighi internazionali (§48, cfr. anche la sentenza quasi pilota Sławomir Musiał v. Poland). Inoltre la Corte afferma che si dovrebbe “distinguere, all’interno della vasta categoria delle malattie mentali, fra quelle come le psicosi che comportano rischi altissimi per chi ne soffre” (Rivière v. France, §63). Ciò significa che l’impatto della detenzione sulla salute dell’interessato si presume (Tulkens & DuboisHamdi). Le condizioni di detenzione dei malati di mente devono adattarsi al loro disturbo225. Se tenere i malati “in strutture non adatte alla carcerazione dei malati di mente pone gravi problemi ai sensi della Convenzione” (Sławomir Musiał v. Poland, §94), allora la Corte 225 Per la detenzione in istituti penitenziari di soggetti perché considerati “stranieri” ai sensi del sottoparagrafo f) dell’art. 5 §1, si veda ad esempio Aerts v. Belgium (1998, § 46). 73 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission esige che “i detenuti afflitti da gravi disturbi mentali [siano] ricoverati e curati in un ospedale adeguatamente equipaggiato e dotato di personale qualificato” (Rivière v. France, §72). La questione di sapere se la detenzione degli interessati debba cessare o no resta problematica. Il giudice ad hoc Briede, nell’opinione dissenziente della sentenza Farbtuhs v. Latvia, deplora che la maggioranza non abbia “insistito sulle ‘condizioni’ ma sul ‘tenere’ il ricorrente in carcere” e sottolinea di accettare il principio di un’interpretazione dinamica diretta ad ampliare la portata dell’art. 3 della Convenzione, e che “questo principio va conciliato con quello della sussidiarietà della valutazione”. A suo parere il controllo della possibilità di continuare la detenzione rientra nell’ambito “della politica penale e carceraria di ciascuno Stato, sulla base di considerazioni sociologiche che vanno ben al di là dei limiti definiti dalla Convenzione”. Nel caso Rivière v. France il giudice Cabral Barreto ha invece criticato il fatto che la Corte non abbia preso una posizione chiara sulla questione se il ricorrente infermo di mente fosse in grado di essere detenuto, indipendentemente dalla qualità delle cure ricevute. Nella sentenza Sławomir Musiał v. Poland la Corte è del parere che il rifiuto di ricoverare l’interessato in un istituto psichiatrico adatto o in un carcere dotato di una sezione psichiatrica specializzata abbia messo inutilmente a rischio la salute del detenuto. La Corte prende una posizione più chiara nella sentenza G. v. France dove afferma che lo stato di salute del ricorrente era “incompatibile con la detenzione”, osservando che la detenzione aveva “ostacolato le cure mediche” e aveva violato l’art. 3. Va rilevato che nella sentenza Renolde v. France la Corte sulla base dell’art. 2 ha criticato il fatto che, nonostante un tentativo di suicidio e la diagnosi dello stato mentale del detenuto, non fosse stata esaminata la possibilità di trasferirlo in una struttura psichiatrica. Perciò gli osservatori autorizzati possono concludere che “la recente evoluzione giurisprudenziale delinea con chiarezza una tendenza verso la messa in questione dell’ambiente carcerario quando si tratta di detenuti malati” (Tulkens & Dubois-Hamdi). Le sentenze recenti sembrano mostrare che questa evoluzione stia accelerando. Nel caso Bamouhammad v. Belgium il ricorrente, afflitto da “psicosi carceraria”, sosteneva di essere stato sottoposto a misure di sicurezza estreme che ne avevano peggiorato la salute mentale. La necessità di un esame psicologico era stata sottolineata da tutti gli esami clinici che avevano confermato il peggioramento delle sue condizioni, ma i continui sforzi avevano impedito tale esame. Un direttore di carcere aveva ritenuto che “la detenzione del ricorrente sia stata un fallimento totale e metta in dubbio la sua capacità di sopportare la detenzione”. La Corte osserva il contrasto tra le conclusioni dei periti che “avevano ritenuto regolarmente dal 2011 che la detenzione del ricorrente, che durava quasi senza interruzione dal 1984, non rispondesse più ai suoi obiettivi legittimi ed erano favorevoli all’applicazione di misure alternative, e dall’altro lato la risposta delle autorità carceraria che avevano costantemente rifiutato di cambiare la situazione 74 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission del ricorrente nonostante il peggioramento del suo stato di salute” (§153). Conclude quindi che le misure di sicurezza applicate e “il rifiuto delle autorità di concepire un benché minimo adattamento della pena nonostante il peggioramento della sua salute, lo hanno sottoposto a un disagio di intensità superiore al livello di sofferenza inevitabile della detenzione” (§155). Nella sentenza Murray v. the Netherlands la Grande Camera ricorda che “[g]li obblighi imposti dall’articolo 3 possono arrivare a imporre allo Stato di trasferire i detenuti (compresi quelli infermi di mente) in strutture specializzate al fine di ricevere cure adeguate” (§105). Tuttavia nel caso di ergastolani afflitti da disturbi comportamentali o della personalità che rappresentano probabili fattori di recidiva si deve fare una diagnosi, anche senza richiesta dell’interessato, e si devono prestare cure psichiatriche o psicologiche che diano loro una possibilità di reinserimento e una prospettiva di liberazione (§109). Infine va rilevato che la fragilità delle persone afflitte da disturbi mentali esige una vigilanza speciale per i rischi di suicidio che corrono (Renolde v. France; Keenan v. the United Kingdom; si veda il capitolo di questo studio dedicato al capitolo 2). 1.3 La metodologia di controllo della Corte europea Per quel che riguarda la tutela della salute dei detenuti, la Corte adotta l’approccio classico applicato ai casi di violazione dell’art. 3 della Convenzione. i. L’accertamento dei fatti In primo luogo, l’accertamento dei fatti. Data la loro situazione, i detenuti possono avere difficoltà a produrre le prove dei fatti allegati. Per questo la Corte ha modificato l’onere della prova, dato che “solo lo Stato ha accesso alle informazioni in grado di corroborare o confutare le allegazioni” (Vladimir Vasilyev v. Russia, §54). Essa accetta pertanto che il ricorrente produca solo un principio di prova che sta allo Stato confutare. C’è allora un onere dell’allegazione, l’obbligo che il ricorrente fornisca una descrizione circostanziata della situazione. Questo è illustrato nel caso Amirov v. Russia: poiché il ricorrente ha prodotto dei documenti medici che corroborano le allegazioni, la Corte ritiene che l’onere della prova incomba adesso sullo Stato (§91). Inoltre, sebbene la Corte riconosca il problema di una perizia redatta da un esperto che non ha potuto visitare personalmente il ricorrente, ritiene che la circostanza sia irrilevante perché lo Stato non ha predisposto una perizia indipendente sull’interessato e non gli ha permesso di consultare un medico di sua fiducia (ibid.). Quando il problema riguarda dei malati di mente, si tiene dovuto conto della loro difficoltà a presentare un reclamo (Rivière v. France, §63). La Corte afferma che il problema di accertare se determinate condizioni di detenzione siano incompatibili con l’art. 3 deve tenere conto della vulnerabilità dell’interessato e in certi casi della sua 75 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission incapacità di preparare coerentemente un reclamo, o anche di fare una contestazione, contro il trattamento a cui è sottoposto e gli effetti su di lui (Murray v. the Netherlands (GC), §106). ii. La soglia di gravità del maltrattamento Per costituire una violazione dell’art. 3 il danno alla salute del ricorrente causato dall’azione o dall’inazione dello Stato deve oltrepassare una certa soglia di gravità da stabilire caso per caso. Come illustrato precedentemente, il livello delle cure prestate deve essere “compatibile con la dignità umana” e tener conto delle “esigenze pratiche della detenzione”, e implicitamente, anche se in maniera altalenante (vedi sopra), della qualità delle cure negli ospedali civili. Un indicatore importante a questi effetti è un marcato peggioramento dello stato di salute nella detenzione, che inevitabilmente mette in dubbio l’adeguatezza delle cure prestate in carcere. Al contrario, la Corte insiste sul fatto che un deterioramento dello stato di salute non è sufficiente a condannare uno Stato se tale deterioramento non è imputabile a una mancanza di quest’ultimo. La durata delle cure prestate al ricorrente, indipendentemente dalla gravità delle sue condizioni, può essere un fattore decisivo. Questo è illustrato dal caso Slyusarev v. Russia: il ricorrente, afflitto da grave miopia, era stato privato degli occhiali. Anche se “stare senza occhiali non ha avuto effetti permanenti sulla salute del ricorrente, questi deve averne sofferto”, “deve aver creato molto disagio nella sua vita quotidiana e dato origine a un sentimento di insicurezza e di impotenza” (§36). La Corte ha concluso che c’è stata una violazione dell’art. 3 “a causa della durata” della situazione denunciata (ibid.). Tuttavia la durata della mancanza da parte dello Stato non costituisce in sé e per sé una condizione necessaria per accertare una violazione. La Corte afferma chiaramente nella sentenza Ashot Harutyunyan v. Armenia che il semplice fatto che un detenuto avesse bisogno di assistenza e l’abbia chiesta inutilmente può costituire una violazione dell’art. 3 (§114). Perciò, secondo la Corte, anche la mancata prestazione di cure mediche che non causa un’emergenza medica o comunque un dolore grave e prolungato in detenzione può essere ritenuta incompatibile con l’art. 3. La Corte può tener conto del comportamento del ricorrente nell’analisi dei fatti. Perciò, con riferimento alla sentenza Gelfmann v. France in cui la Corte aveva asserito che il ricorrente “era ‘recalcitrante’ e non aveva accettato o aveva sospeso le cure in varie occasioni” (§56), ha potuto affermare nella sentenza Aleksanyan v. Russia che il rifiuto del ricorrente di ricevere delle cure può far ritenere che la sua situazione non sia grave come sostiene (§154). Tuttavia la Corte ha precisato la sua posizione: nel caso Aleksanyan il comportamento del ricorrente è definito “comprensibile” in quanto era stato nell’infermeria del carcere nonostante che i medici ne avessero chiesto il 76 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission trasferimento in una clinica specializzata (§154, cfr. anche nello stesso senso Aharon Schwartz v. Romania). Inoltre è inammissibile che i detenuti in sciopero della fame possano essere privati della protezione concessa dall’art. 3, come la Corte ha ricordato nella sentenza Tekin Yıldız v. Turkey (§82). Nel complesso è difficile ricostruire una metodologia precisa a partire da queste soluzioni, tale è il livello di “eterogeneità e frammentazione” all’interno della Corte (RANALLI). Di fatto, “a differenza del contenzioso legato alle condizioni di detenzione, che pone problemi strutturali, il concetto di adeguatezza delle cure è particolarmente casuistico e la giurisprudenza della Corte non permette di elaborare una cornice teorica di principi di tutela applicabili a ogni situazione” (SIMON, §416). 2. Gli obblighi procedurali degli Stati La Corte ha definito una serie di obblighi procedurali per permettere ai detenuti di garantirsi l’osservanza, nell’ordinamento interno, degli obblighi sostanziali che gravano sullo Stato. Da questo punto di vista i requisiti delineati sono simili, se non identici, a quelli identificati nell’ambito delle condizioni materiali di detenzione. Varie sentenze in materia sanitaria fanno riferimento alla giurisprudenza nel campo delle condizioni materiali per definire gli obblighi relativi alle cure mediche. 2.1 Strutturazione dei rimedi giuridici i. Rimedi preventivi, compensatori e supplementari Tutti i detenuti infermi le cui condizioni di assistenza sanitaria o di detenzione, in relazione al loro stato di salute, violano probabilmente la Convenzione devono avere a disposizione, se necessario, un mezzo di tutela appropriato. Come nel caso delle condizioni materiali di detenzione, gli interessati devono avere a disposizione dei rimedi preventivi e compensatori in modo supplementare. I rimedi preventivi devono essere in grado di far cessare immediatamente il trattamento contrario alla Convenzione a cui il detenuto è sottoposto (“tutela diretta e tempestiva”). Nel caso Reshetnyak v. Russia la Corte osserva esplicitamente come un semplice rimedio in sé e per sé sia insufficiente se non può mettere fine alla situazione in quanto il giudice non può ordinare in questo contesto la cessazione della violazione né imporre condizioni di detenzione o cure mediche adeguate ai bisogni dell’interessato, e neppure sanzionare le autorità per la violazione. I rimedi compensatori devono consentire una riparazione adeguata del danno causato dalla violazione. ii. Caratteri necessari del procedimento e dell’organo di controllo L’organo di controllo deve avere un certo numero di caratteristiche che sono generalmente specifiche della giurisdizione – la Corte fa esplicito riferimento ad esse in 77 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission certi casi (Reshetnyak v. Russia, §71). Per quel che riguarda tali caratteristiche la giurisprudenza si mostra allineata a quella sulle condizioni materiali di detenzione. In primo luogo deve essere un organo indipendente. Dato che sono le autorità carcerarie a organizzare le condizioni di detenzione – e quindi le cure mediche – dei detenuti, un rimedio amministrativo contro tali condizioni predisposto da queste stesse autorità, che sarebbero giudici di loro stesse, non dà sufficienti garanzie di indipendenza (Petrea v. Romania, §34 4792/03, 29/04/2008, Patranin v. Russia, §87, 12983/14 23/07/2015; Goginashvili v. Georgia, §55). Lo status dell’autorità di controllo nell’ordinamento interno deve garantirne l’indipendenza e l’imparzialità (Melnik v. Ukraine, §69, 72286/01, 28/03/2006). In secondo luogo, l’avvio del procedimento deve rendere obbligatorio il controllo. Il reclamo a un’autorità che può decidere discrezionalmente se procedere non soddisfa questo requisito. Non solo l’avvio del procedimento deve sempre condurre a un esame nel merito del reclamo, ma il detenuto deve essere coinvolto nel procedimento e informato del suo avanzamento. Perciò la possibilità prevista dal diritto russo di fare una richiesta al pubblico ministero è ritenuta insufficiente dalla Corte, che osserva come quest’ultimo non abbia l’obbligo di sentire il ricorrente o di informarlo sullo stato del procedimento – “che pertanto può rimanere noto solo al pubblico ministero e all’amministrazione penitenziaria”. Da questo punto di vista il sistema deve prevedere un procedimento organizzato e non semplicemente affidare il controllo a un’autorità, anche se si tratta di un organo giurisdizionale (Dermanovic v. Serbia, §41). In base all’art. 6-1 (ambito civile), la Corte esige il rispetto del contraddittorio e dell’uguaglianza fra le parti, che può implicare il diritto a comparire ed essere sentiti di persona per spiegare le condizioni delle cure mediche (Vladimir Vasilyev v. Russia). In terzo luogo, l’organo deve intervenire in modo tempestivo per far cessare “rapidamente” il trattamento oggetto del reclamo (Dirdizov v. Russia, §73). Un procedimento che si conclude in dieci giorni è ritenuto soddisfacente dalla Corte (ibid., §85). In quarto luogo, il procedimento deve condurre a una pronuncia dell’organo competente sull’adeguatezza delle cure o sulla compatibilità dello stato di salute con la detenzione, a seconda dei casi. Il giudice non può limitarsi a ordinare il ricovero in un ospedale civile per eseguire un intervento chirurgico senza decidere sul merito del ricorso (Yunusova and Yunusov v. Azerbaijan, §129). Infine, come si è detto, l’autorità competente deve avere il potere di far cessare la violazione mentre è ancora in atto. Perciò una decisione con effetti puramente dichiarativi è insufficiente (Reshetnyak v. Russia, §63). Analogamente, a prescindere dai suoi effetti 78 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission giuridici, la decisione deve avere degli effetti pratici in quanto deve essere possibile eseguirla. Sotto questo aspetto la Corte tiene conto della natura strutturale del problema in questione, che può compromettere in pratica la capacità dell’amministrazione di ottemperare alla decisione pronunciata contro di essa (Visloguzov v. Ukraine, § 64, n. 32362/02, 20/05/2010). 2.2 Procedimenti idonei a consentire la liberazione del detenuto gravemente malato o molto anziano La Corte ripete che non c’è un dovere generale di liberare o ricoverare in un ospedale civile gli imputati malati (nel caso della custodia cautelare, Hunvald v. Hungary, §41 n. 68435/10, 10/12/13). Tuttavia nel caso un cui un detenuto, tenuto conto dell’età o dello stato di salute, non è in grado di sopportare la detenzione lo Stato deve prevedere un procedimento legale per liberarlo (Mouisel v. France, §44), in conformità all’art. 13. I procedimenti di questo tipo devono essere disponibili indistintamente sia ai detenuti definitivi che a quelli in attesa di giudizio. La Corte ritiene che riservare il provvedimento di rilascio per motivi di salute solo ai condannati costituisca una discriminazione e violi pertanto l’art. 14 della Convenzione (Gülay Çetin v. Turkey, §126 e s.). Nel caso degli imputati la Corte si richiama per lo più agli artt. 5§3 e 4, lex specialis rispetto all’art. 13. Lo svolgimento del procedimento deve rispondere a vari requisiti, primo fra tutti quello della celerità che deve permettere a un detenuto con problemi di salute di ottenere rapidamente la liberazione per motivi “umanitari” (Raffray Taddei v. France, §102). Analogamente nel caso Gülay Çetin v. Turkey, fra gli altri “formalismi e ritardi”, il periodo di 20 giorni che occorre al Pubblico ministero per chiedere all’organo competente di decidere sulla sospensione della pena è stato ritenuto eccessivo, tenuto conto della situazione di emergenza (Gülay Çetin v. Turkey, §123). Con la stessa attenzione all’efficienza, nello stesso caso la Corte ha raccomandato alla Turchia di ripensare il procedimento in essere contrassegnato da un “approccio eccessivamente formale senza controllo pubblico”, oltre che il funzionamento dell’Istituto forense che aveva un ruolo “più amministrativo che scientifico” (§148). Nella sentenza Mouisel v. France la Corte si è pronunciata sul procedimento francese di sospensione della pena per motivi medici (introdotto dopo la registrazione del ricorso). Ha osservato i “nuovi rimedi di fronte al giudice responsabile dell’esecuzione della pena, che consentono ai detenuti con gravi problemi di salute di chiedere la liberazione in tempi rapidi; tali rimedi si aggiungono alla possibilità di chiedere la grazia per motivi medici, che può essere concessa solo dal Presidente della repubblica francese” (Mouisel v. France, §44). Sono evidenziati i criteri del carattere giurisdizionale (a differenza del meccanismo della grazia presidenziale) e della celerità del procedimento. 79 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission La decisione delle autorità sui problemi puramente medici deve essere corroborata da una perizia, come nel caso Xiros v. Greece in cui il giudice aveva ordinato una perizia ma se ne era successivamente discostato, probabilmente perché non soddisfatto del suo contenuto (la perizia concludeva per sospendere la detenzione del ricorrente). La Corte ha ritenuto che, “se il giudice nazionale non desiderava adottare le conclusioni [della perizia], sarebbe stato preferibile richiedere una perizia medica aggiuntiva su questo caso controverso, invece di decidere d’ufficio su un problema fondamentalmente medico, che costituiva il punto fondamentale nel prestare le cure al ricorrente” (§87). Inoltre la perizia deve essere irreprensibile dal punto di vista della completezza e dell’imparzialità (Khudobin v. Russia, §96). L’imparzialità si può ottenere consultando vari esperti medici, diversi sia per specializzazione che per i loro legami con le autorità o il ricorrente. Sotto questo aspetto, nel caso Aleksanyan v. Russia, la Corte ha richiesto la costituzione di una commissione medica “bipartisan” incaricata di decidere sul ricorrente. La Corte ha insistito, sulla base dell’art. 39 (provvedimenti d’urgenza), perché quest’ultimo non fosse privato della possibilità di avvalersi dei servizi del suo medico di fiducia. Dopo che è stata consegnata, la perizia deve essere esaminata dalle autorità. Su questo punto è illuminante il caso Contrada v. Italy (n. 2): nonostante la presentazione al giudice competente di una dozzina di referti e certificati medici che “attestavano costantemente e inequivocabilmente che lo stato di salute di Contrada era incompatibile col regime carcerario a cui era sottoposto” (§82), il ricorrente aveva ottenuto gli arresti domiciliari solo nove mesi dopo la prima richiesta e dopo nove tentativi (§§79-85; cfr. anche Makharadze and Sikharulidze v. Georgia, §86). Infine la sospensione della pena o la liberazione per motivi medici può essere revocata solo per motivi medici. È solo nel caso di un “evidente cambiamento dell’idoneità medica del ricorrente a sottostare a questo provvedimento” (Tekin Yıldız v. Turkey, §84; Gürbüz v. Turkey, §71), attestato da una nuova perizia, che il provvedimento umanitario di liberazione può essere revocato per motivi medici. Il malato deve allora potersi avvalere di una impugnazione con effetto sospensivo che gli consenta di contestare la perizia sfavorevole su cui si fonda la decisione di imprigionarlo nuovamente; tale decisione può essere eseguita solo dopo l’esaurimento di tutti i ricorsi (Tekin Yıldız v. Turkey, §95). 2.3 L’obbligo di svolgere un’indagine approfondita Tenuto conto del danno all’integrità fisica o psicologica derivante dall’insufficienza delle cure mediche durante la detenzione, un dovere di indagare, “l’ammiraglia degli obblighi procedurali” (AKANDJI-KOMBE), può applicarsi all’ambito procedurale ex art. 3. Senza entrare nei dettagli, l’indagine deve avere le stesse caratteristiche di quella da 80 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission svolgere in caso di violenza e di reati contro la vita226, cioè deve essere approfondita ed effettiva, portare all’identificazione e alla punizione dei responsabili e, se necessario, essere avviata d’ufficio dalle stesse autorità quando sono informate di un maltrattamento. La portata di quest’obbligo non coincide con quella degli obblighi materiali ex art. 3 nel campo della salute. Di fatto la Corte ritiene che, quando nulla indica che i medici abbiano agito in malafede con l’intenzione di maltrattare il ricorrente, l’obbligo positivo di istituire un sistema giurisdizionale effettivo non implichi necessariamente un rimedio penale. L’obbligo procedurale positivo può essere adempiuto anche se, per esempio, l’ordinamento giuridico prevede “un rimedio civile, da solo o insieme ai rimedi penali, diretto a stabilire la responsabilità dei dottori e, se necessario, a ottenere l’applicazione di sanzioni civili appropriati, come per esempio il risarcimento del danno e la pubblicazione della decisione” (Dvoracek v. Czech Republic, §111, 12927/13, 06/11/2014). L’opposto vale nelle situazioni in cui solo un procedimento penale sembra adatto a permettere la raccolta delle prove nelle condizioni richieste dalla Convenzione. Nel caso Mitkus v. Latvia, relativo a un’infezione forse contratta durante la detenzione a causa della mancata predisposizione e prestazione delle cure mediche, la Corte sostiene che le autorità avrebbero dovuto iniziare un procedimento penale sulla base del reclamo del ricorrente (§§76 e s.)227. La Corte sostiene da un lato che la circostanza che il ricorrente fosse in carcere limitava gravemente le sue possibilità di intraprendere le necessarie iniziative legali davanti al giudice civile, e dall’altro che, non potendo assistere all’udienza, l’interessato non poteva giovarsi di una discussione in contraddittorio del suo caso. La Corte ha riscontrato una violazione dell’art. 3, che si aggiunge all’accertamento di una violazione dell’art. 6-1 (ambito civile) a causa dell’assenza del ricorrente dall’udienza di appello. Si può ugualmente citare il caso Hénaf v. France, in cui la Corte critica il fatto che le autorità non abbiano aperto un procedimento d’ufficio sulla base delle allegazioni del ricorrente, che lamentava di essere stato legato al letto d’ospedale subito prima di un’operazione chirurgica. Tali allegazioni “erano abbastanza gravi, sia per i fatti allegati che per lo status delle persone coinvolte”, da giustificare un’indagine (§36). 2.4 Le garanzie nel campo delle cure obbligatorie Come si è detto, uno dei prerequisiti perché la prestazione delle cure mediche o l’alimentazione forzata non siano considerati sostanzialmente come un trattamento contrario all’art. 3 è l’esistenza di adeguate garanzie procedurali. 226 Per un’analisi più approfondita si vedano i capitoli rilevanti. La natura di quest’obbligo è relativa al contenuto del diritto nazionale. In questo caso la Corte ha fondato le sue considerazioni sul fatto che per il diritto lituano un “procedimento penale è superiore a un procedimento civile […] dal punto di vista dei mezzi di accertamento dei fatti e di raccolta delle prove” (§76). 227 81 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission Queste garanzie consistono in norme che enumerano precisamente abbastanza casi in cui si può ricorrere alle cure obbligatorie, oltre che nell’adozione di decisioni motivate riguardo ai procedimenti che coinvolgono l’interessato (Rappaz v. Switzerland, §79). Conclusione: gli obblighi procedurali al servizio dei diritti sostanziali A livello sostanziale, il diritto a delle condizioni di detenzione conformi alla dignità umana e il diritto alla tutela della salute hanno un punto di partenza comune, la sentenza della Grande Camera nel caso Kudła v. Poland, che interpreta in modo costruttivo l’art. 3 della Convenzione. Le garanzie procedurali associate all’uno o all’altro di questi diritti si sono evolute in maniera simile. Inoltre un forte scambio fra questi due campi ha prodotto una fusione virtuale dei requisiti della Convenzione in materia, così da formare un codice di procedura comune i cui principi fondamentali sono i seguenti: indipendenza degli organi di controllo, modifica delle norme procedurali allo scopo di tener conto della situazione di soggezione del detenuto e permetterne la partecipazione al contraddittorio, rapidità della tutela giurisdizionale, potere di far cessare la violazione accertata. Come nel campo delle condizioni materiali di detenzione, le garanzie mirano ad assicurare l’effettività del diritto sostanziale. Sotto questo aspetto la giurisprudenza non pare caratterizzata da uno spostamento dal sostanziale al procedurale. Al contrario, l’ambito procedurale ha rafforzato ed esteso gli obblighi dello Stato. Poiché la forza della logica umanitaria è verosimilmente più vivida quando si tratta della salute invece che delle condizioni di detenzione, in questo campo i requisiti procedurali sono più avanzati e si scontrano più direttamente con l’esercizio sovrano del diritto di punire. In realtà la Corte richiede di predisporre una serie di rimedi che garantiscano la scarcerazione di persone ritenute non in grado di essere detenute a causa del loro stato di salute. Perciò nel campo psichiatrico – ma l’accertamento si può fare anche in quello del trattamento somatico – “la Corte è oggi pienamente consapevole che il carcere è sempre un carcere e che, indipendentemente dai servizi e dalle infrastrutture, rimane un posto non adatto alla cura dei problemi mentali” (Tulkens & Dubois-Hamdi). Sotto questo aspetto l’obbligo di istituire procedure adeguate che consentano la scarcerazione di un detenuto gravemente malato o anziano, cioè l’obbligo procedurale in materia di salute dei detenuti, sta erodendo la tradizionale riluttanza della Corte a interferire con gli orientamenti e le decisioni penali delle autorità nazionali228. Una corrente dottrinale vede in questo orientamento un palese attacco al principio di sussidiarietà (BELDA, §198), nel senso che produrrebbe uno spostamento della valutazione della conformità delle condizioni di detenzione alla Convenzione verso l’opportunità di continuare la detenzione; ora, “sta […] principalmente allo Stato di 228 Sotto questo aspetto si veda Neshkov et al. v. Bulgaria: “Non è compito della Corte […] fare raccomandazioni specifiche allo Stato rispondente su come organizzare il suo sistema penale e penitenziario” (§274). 82 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission bilanciare i motivi per incarcerare una persona, perché tali ragioni sono di una certa gravità” (BELDA, ibid.). Si potrebbe obiettare a questo punto di vista che così facendo la Corte, che oggi è meglio informata delle reali condizioni in cui sono prestate le cure mediche in carcere e dell’impatto della condanna sul malato, non fa altro che proteggere “dei diritti che non sono teorici e illusori ma concreti ed effettivi”, secondo la sua linea di condotta più tradizionale229. Inoltre i meccanismi giuridici della liberazione anticipata previsti a livello nazionale mirano precisamente ad assicurare la sussidiarietà dell’intervento della Corte. Soprattutto, nonostante una dinamica che tende alla sua estensione, l’obbligo di scarcerare i malati gravi è ancora apparentemente limitato alle situazioni più estreme. Nella maggior parte dei casi il requisito della Corte ha a che fare meno con la decisione di continuare la detenzione che con le sue condizioni, tenuto conto dello stato di salute del detenuto. Il pericolo di questo approccio è la medicalizzazione della detenzione al fine di estendere il più possibile l’incarcerazione dei “casi limite”. Questa impostazione rischia di trasformare i medici in esecutori della pena. Sotto questo aspetto vale la pena di ricordare i principi dell’ONU sull’etica medica in carcere, secondo cui “[è] una violazione dell’etica medica che il personale sanitario, in particolare i medici […] [c]ertifichi o partecipi a certificare l’idoneità dei prigionieri e dei detenuti a qualsiasi forma di trattamento o di punizione che possa influire negativamente sulla loro salute fisica o mentale e che non sia conforme agli strumenti internazionali rilevanti, o partecipi in qualsiasi modo all’inflizione di un trattamento o di una punizione contrari agli strumenti internazionali rilevanti”230. E tuttavia l’aumento della durata delle pene osservato in numerosi Stati esacerba automaticamente il problema della grande dipendenza nella detenzione231. Tale situazione richiede una chiara affermazione dell’obbligo di scarcerare i detenuti molto malati o gravemente dipendenti per motivi di salute. 229 Corte europea dei diritti dell’uomo, Airey v. the United Kingdom, 9 ottobre 1979, §24. Principi di etica medica relativi al ruolo del personale sanitario, in particolare medici, nella protezione dei prigionieri e dei detenuti contro la tortura e gli altri trattamenti o punizioni crudeli, disumani o degradanti, approvati dall’Assemblea generale con la risoluzione 37/194 del 18 dicembre 1982. 231 Cfr. PACE, Recommendation 2082 (2015) e Resolution 2082 (2015) sul destino dei detenuti gravemente malati in Europa. 230 83 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission SECONDA PARTE – RAPPORTO COMPARATO 1. TIPOLOGIA ISTITUZIONALE: ORGANI SPECIALIZZATI / ORGANI ORDINARI 1. Essendo il prodotto delle tradizioni giuridiche nazionali, gli organi competenti a conoscere dei reclami dei detenuti, ai sensi dell’articolo 13 della Convenzione EDU, assumono forme diverse. 2. Per lo più i reclami dei detenuti rientrano in competenze diverse a seconda dell’oggetto (ad esempio porre fine a una violazione — un rimedio preventivo — o risarcirla – "rimedio compensatorio") o della condizione personale del ricorrente (per esempio detenuto condannato o in attesa di giudizio). 3. Possiamo però classificarli in base all’istituzione vista come l’organismo principale deputato a proteggere i diritti dei detenuti. Sotto questo aspetto i modelli sono essenzialmente due: organi specializzati (organo con altre funzioni o istituito appositamente per il contenzioso penitenziario) e organi ordinari (amministrativi o giudiziari). 1.1 Organi specializzati con competenza esclusiva o prevalente 4. Ci sono due tipi di organi specializzati. Il primo tipo ha competenza sui reclami dei detenuti oltre a svolgere altre funzioni, e generalmente è investito di questa funzione con l’individualizzazione della pena. Il secondo tipo è rappresentato da organismi istituiti appositamente per la salvaguardia dei diritti dei detenuti, che è il loro scopo essenziale. 1.1.1 Organi il cui compito principale è l’individualizzazione della pena Italia 5. Tradizionalmente l’unica autorità giudiziaria competente a proteggere i diritti dei detenuti era il Tribunale di Sorveglianza, istituito dalla legge del 26 luglio 1975. Questa legge escludeva la giurisdizione del giudice amministrativo sui reclami dei detenuti. Il giudice amministrativo ha il dovere generale di valutare la legalità delle decisioni amministrative e ha il potere di annullarle se viziate da incompetenza, violazione di legge o eccesso di potere. Il Tribunale di Sorveglianza non ha gli stessi poteri (vedi più sotto). 6. Il 23 dicembre 2013, sotto la pressione della CEDU, è stata approvata una legge diretta ad attuare il diritto dei detenuti di ricorrere al Tribunale di Sorveglianza, coprendo in particolare la questione del sovraffollamento carcerario. Il giudice competente a proteggere i diritti dei detenuti rimane il Tribunale di Sorveglianza, tranne che per i ricorsi di lavoro carcerario che devono essere indirizzati al giudice ordinario. 84 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission 7. Il Magistrato di sorveglianza (organo monocratico) ha il dovere di sorvegliare l’organizzazione del carcere e di dare pareri al Ministero della Giustizia e il potere di: decidere sull’applicazione delle misure di sicurezza per i condannati considerati socialmente pericolosi (soggetti non imputabili con disturbi mentali (detenzione in ospedale psichiatrico), espulsione degli stranieri condannati); controllare e approvare il programma di trattamento svolto dal personale penitenziario; controllare il rispetto dei diritti dei detenuti; applicare le misure alternative alla detenzione (come liberazione condizionale, arresti domiciliari, etc.); controllare la corretta applicazione delle sanzioni disciplinari ai detenuti; 8. Questa protezione include i detenuti condannati, gli internati negli ospedali psichiatrici e i detenuti in attesa di giudizio, perché l’art. 35 si riferisce genericamente a “detenuti” e “internati”. 9. Il Tribunale di sorveglianza non aveva ancora un rimedio risarcitorio generale per la violazione delle norme sul lavoro carcerario, e pertanto non poteva disporre un rimedio effettivo nel caso di asserita violazione delle norme, per esempio sulla retribuzione232. 10. Per quel che riguarda l’articolo 3 della Convenzione EDU, il procedimento è diverso a seconda delle possibile alternative. 1) I detenuti condannati possono ricorrere al Magistrato di sorveglianza, direttamente o tramite un avvocato. La decisione del Magistrato può essere impugnata davanti al Tribunale di sorveglianza, la cui decisione può essere a sua volta impugnata in Cassazione. 2) Gli ex detenuti e i detenuti in attesa di giudizio possono ricorrere al giudice civile, direttamente o tramite un avvocato. Il procedimento è disciplinato dal codice di procedura civile. Il giudice decide in camera di consiglio e la decisione può essere impugnata davanti al Tribunale civile entro 10 giorni. Spagna 11. L’autorità giudiziaria competente a proteggere i diritti dei detenuti è un giudice penitenziario (Juez de Vigilancia Penitenciaria), anche se su alcune questioni hanno 232 Questo è il motivo di ricorso dei detenuti più frequente in Italia (la retribuzione non è più stata aggiornata dal 1994). 85 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission poteri decisionali anche l’ultimo tribunale che ha condannato il detenuto e il giudice dell’esecuzione penale.233 12. Il Giudice di vigilanza penitenziaria ha funzioni giurisdizionali sull’esecuzione delle condanne a pena detentiva e delle misure di sicurezza. Esercita il controllo giurisdizionale sui poteri disciplinari delle autorità carceraria e ha competenza sulla tutela dei diritti e dei benefici dei reclusi, oltre ad altre funzioni previste dalla legge. È sempre un giudice monocratico. 13. Il Giudice centrale di vigilanza penitenziaria (“Juez Central de Vigilancia Penitenciaria”) svolge le stesse funzioni ma per i detenuti condannati dalla “Audiencia Nacional” (un tribunale con giurisdizione su alcuni specifici reati). Ha sede a Madrid. È sempre un giudice monocratico. 14. La Sezione penitenziaria del Tribunale provinciale in ogni provincia (“Audiencia Provincial”) decide sui ricorsi contro le decisioni del Giudice di vigilanza penitenziaria. Le cause sono trattate da un collegio di tre membri. 15. La Seconda camera della “Audiencia Nacional” decide sui ricorsi contro le decisioni del Giudice centrale di vigilanza penitenziaria. Ha sede a Madrid. Le cause sono trattate da un collegio di tre membri. 16. La Seconda camera del Tribunale supremo decide sui ricorsi contro le decisioni del Giudice di vigilanza penitenziaria che respingono una progressione di categoria o la libertà condizionale. Il Tribunale supremo ha anche il compito di assicurare un’interpretazione coerente e uniforme delle norme penitenziarie in alcuni casi. Le cause sono trattate da un collegio di tre membri. 17. Il Tribunale costituzionale decide sui ricorsi che denunciano la violazione dei Diritti fondamentali. È l’ultima istanza giurisdizionale nazionale prima di ricorrere alla CEDU nel caso di violazione dei diritti fondamentali. 18. Tutte queste autorità giudiziarie sono organi imparziali: l’articolo 117.1 della Costituzione afferma che: “Giudici e magistrati possono essere rimossi, sospesi dal servizio, trasferiti o destituiti per i motivi e con le garanzie previste dalla legge”. Germania 233 I detenuti in attesa di giudizio sono di competenza del giudice che ha deciso la custodia cautelare per quel che riguarda i permessi, la continuità in carcere, l’intercettazione delle comunicazioni fra detenuto e avvocato, etc. Per altre materie come reclami, richieste o sanzioni connesse alla vita in carcere i detenuti in attesa di giudizio sono di competenza del Giudice di vigilanza penitenziaria. Anche i detenuti condannati che non sono stati ancora classificati sono di competenza del giudice che ha pronunciato la condanna per quel che riguarda i permessi. Per quel che riguarda le sanzioni disciplinari, il Giudice di vigilanza penitenziaria è l’autorità competente in tutti i casi. 86 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission 19. La legge penitenziaria federale prevede la possibilità di ricorso giurisdizionale contro ogni provvedimento (o atto) che violi i diritti di un detenuto, come sancito per tutti i tipi di provvedimenti (o atti) amministrativi dall’articolo 19,4 della Legge fondamentale. L’autorità competente è il Tribunale per l’esecuzione delle pene detentive (tribunale penitenziario, Strafvollstreckungskammer) con sede presso il tribunale locale e l’appello è davanti alla sezione penale dell’Alta corte regionale (Oberlandesgerichte). 20. Il Tribunale per l’esecuzione delle pene detentive è composto da un solo giudice nella maggior parte dei casi, e da tre giudici per le decisioni riguardanti ergastolani o la detenzione psichiatrica. Anche se i tribunali hanno una competenza territoriale, c’è sempre la possibilità che il controllo giurisdizionale dei provvedimenti penitenziari sia delegato a un tribunale locale che ha esperienza e contatto con questioni penitenziarie. 21. L’idea di istituire tribunali vicini alle prigioni poggiava sull’assunto teorico che in questo modo i giudici sarebbero stati più familiari con la vita e i problemi del carcere. In pratica i giudici dei tribunali penitenziari si recano raramente in carcere, e la vicinanza fra giudici e direttori del carcere (che vengono da un percorso di studi simile) impedisce un esame imparziale e completo delle richieste dei detenuti. 22. Il tribunale penitenziario in composizione monocratica non quasi alcun contatto con i detenuti, cosicché le sue attività sono considerate puramente burocratiche, talvolta con gravi deficienze nella conoscenza dei problemi del carcere. 23. Inoltre i tribunali penitenziari hanno competenza sia sulle questioni disciplinari che sull’esecuzione delle condanne. Questa sovrapposizione di competenze pone un problema, perché il tribunale può essersi fatto un’idea negativa di un certo detenuto a causa della natura dei suoi reclami, e ciò può pregiudicare le sue opinioni quando deve decidere sulla liberazione. 24. In Germania le controversie concernenti la responsabilità dello Stato rientrano nella competenza dei giudici civili ma seguono regole di diritto pubblico che derogano alle norme generalmente applicabili. La protezione dei diritti dei detenuti in attesa di giudizio è di competenza del giudice che ha ordinato la custodia cautelare. 25. Negli ultimi decenni il controllo giurisdizionale sulle carceri è stato dominato dalla giurisprudenza nazionale. La Corte costituzionale federale tedesca (FCC) ha avuto un ruolo importante che ha influito sul diritto e sulla prassi penitenziari in molte materie. Austria 87 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission 26. Il direttore del carcere decide sui reclami contro un comportamento o un ordine di un membro del personale penitenziario. A decidere sui reclami contro una decisione, un ordine o un comportamento del direttore è il tribunale penitenziario (Vollzugsgericht) con sede presso il tribunale regionale. 27. Il tribunale penitenziario con sede in ognuna delle quattro Alte corti regionali è rappresentato da un “consiglio penitenziario” (Vollzugssenat) – una specie di Alta corte penitenziaria – costituito da due giudici togati e un giudice laico. Il giudice laico deve provenire dai ranghi dei direttori di carcere o del personale penitenziario esperto e dura in carica sei anni. Il collegio deve essere presieduto da un magistrato. Il consiglio penitenziario è competente a decidere sui reclami contro la decisione/ordine del direttore del carcere, contro la violazione di un diritto soggettivo a causa di un comportamento del direttore, e contro l’eccesso di potere decisionale del direttore. Le sue decisioni sono impugnabili davanti al Tribunale amministrativo. 28. Il consiglio penitenziario di Vienna ha un ruolo speciale: decide sui ricorsi presentati in tutta l’Austria contro le decisioni dei tribunali penitenziari locali e di altri consigli penitenziari, contro le decisioni del Ministero della giustizia e sui ricorsi contro l’eccesso di potere del Ministero della giustizia. Romania 29. Secondo la legge 254/2013 sull’esecuzione delle pene e dei provvedimenti privativi della libertà, un giudice di sorveglianza (ro. Judecatorul de supraveghere a privarii de libertate) è distaccato in ogni prigione con il compito di ‘sorvegliare e controllare la legalità dell’esecuzione delle pene detentive’. In linea con questo compito il giudice di sorveglianza risponde a i reclami dei detenuti concernenti i loro diritti, il regime carcerario e le sanzioni disciplinari. 30. Per ottenere un rimedio preventivo i detenuti possono ricorrere direttamente al giudice penitenziario e, contro la decisione di quest’ultimo, al tribunale penale ordinario. 31. Riguardo al rimedio compensatorio per violazione dell’articolo 3 della Convenzione EDU, i detenuti possono ricorrere al giudice civile. 1.1.2 Organi istituiti appositamente per salvaguardare i diritti dei detenuti Olanda 32. La competenza completa sui reclami dei detenuti spetta alla commissione ordinaria per i reclami sin dalla sua istituzione nel 1977. 88 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission 33. Ogni prigione è dotata di una Commissione di sorveglianza (Commissie van Toezicht - CvT) con la propria commissione per i reclami. La CvT è nominata dal Ministero della giustizia per ogni istituto penitenziario. È l’organismo principale a cui ricorrere. 34. La composizione della CvT – così come è stata concepita – è un riflesso della società e sono costituite da almeno 6 o più persone, a seconda del numero di membri deciso dal Ministero. Oggi la CvT non ha più il compito di amministrare l’istituto ma ne è indipendente. In ogni caso la CvT comprende un magistrato (in quanto cittadino indipendente), un medico, un avvocato e un esperto di lavoro sociale in comunità. Inoltre non tutti possono farne parte, soprattutto coloro la cui indipendenza è dubbia, per esempio a causa del posto che occupano nel sistema della giustizia. 35. I membri della CvT controllano il trattamento dei detenuti e possono avere contatti con loro a questo fine, oltre a dare consigli se necessario al direttore dell’istituto ed eventualmente pareri al Ministero della giustizia. Possono accedere in ogni momento a qualsiasi luogo dell’istituto penitenziario. Ogni mese un membro della CvT è nominato "Commissario del mese", che significa che almeno una volta al mese fa le sue ore di lavoro in ufficio, riceve i reclami scritti e prima cerca di risolverli mediando fra i reclusi e il personale penitenziario e poi ne informa il plenum della CvT, che si riunisce mensilmente con il direttore dell’istituto. 36. Il ricorso scritto contro le decisioni della CvT è sempre deciso da un collegio di tre membri. 37. Il giudice di prima istanza ha anche il compito di proteggere i diritti fondamentali dei detenuti. Belgio – Un tentativo abbandonato di recepire il modello olandese 38. Il legislatore belga ha tentato di copiare il sistema olandese istituendo un meccanismo di garanzia costituito da una commissione per i reclami in ogni carcere le cui decisioni avrebbero potuto essere impugnate davanti al Consiglio centrale di sorveglianza penitenziaria (Conseil central de surveillance pénitentiaire). 39. Le disposizioni della legge penitenziaria del 2005 sul diritto di reclamo e i suoi organi di garanzia non sono ancora entrate in vigore. Uno dei motivi dell’ineffettività di questo diritto è il fatto che vari decreti reali di attuazione della legge del 2005 non sono ancora entrati in vigore. Le autorità sembrano aver abbandonato ogni idea di adeguarsi alle prescrizioni e al piano d’azione disposti dal Consiglio d’Europa nel 2016 nel quadro 89 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission dell’adempimento della sentenza quasi pilota Vasilescu c. Belgio. Il governo belga rifiuta di istituire delle commissioni per i reclami, sebbene ciò sia stato votato dal Parlamento. 1.2 Competenze dei giudici ordinari Francia 40. Le controversie penitenziarie sono di competenza dei tribunali amministrativi se concernono il funzionamento del servizio penitenziario pubblico, cioè il rapporto fra i detenuti e l’amministrazione (di solito il carcere o i servizi sanitari). 41. I tribunali amministrativi di diritto comune (che comprendono i tribunali amministrativi, i tribunali amministrativi d’appello e, in cima alla scala, il “Conseil d’État”, il Consiglio di Stato francese, in sigla CE) sono quindi gli organi a cui è deputato essenzialmente di proteggere i diritti dei detenuti all’interno del carcere. Conoscono delle controversie sulle condizioni materiali di detenzione, sulle sanzioni disciplinari, sull’accesso all’assistenza sanitaria, i trasferimenti, etc. Negli anni 2000 la costruzione del diritto penitenziario è avvenuta in gran parte per via giurisprudenziale riassumendosi la legge penitenziaria del 24 novembre 2009, per quel che riguarda i diritti dei detenuti, in una codificazione di principi e diritti già riconosciuti dai giudici. 42. Per parte loro i tribunali ordinari hanno competenza sulle controversie relative “alla natura e ai limiti di una pena inflitta da un organo giudiziario e la cui esecuzione è affidata alla diligenza del pubblico ministero” o agli atti inerenti allo svolgimento di un procedimento giudiziario o che ne sono inseparabili. 43. Il giudice ordinario interviene in materia penitenziaria essenzialmente per concedere una riduzione di pena ai condannati. A ciò provvedono delle sezioni specializzate dei tribunali penali (in prima istanza, secondo il caso, giudice di applicazione delle pene o tribunale di applicazione delle pene; in appello, la sezione di applicazione delle pene della Corte d’appello; in Cassazione, solo per controllare l’esatta applicazione del diritto, la sezione penale della Corte di Cassazione). I procedimenti di sospensione della pena e di liberazione condizionale per motivi medici portano questi tribunali a conoscere delle condizioni di detenzione e dell’assistenza sanitaria prestata. 44. Per quel che riguarda gli accusati, il giudice ordinario può esaminare le condizioni di detenzione in relazione alla richiesta di scarcerazione se “sono allegati elementi concernenti la persona in questione, sufficientemente gravi da mettere in pericolo la sua salute fisica e mentale”. La portata di questo principio è incerta, in mancanza di applicazioni positive. Oltre a ciò, la legge prevede che il giudice possa rimettere in libertà un accusato in caso di patologia con pericolo la vita o di stato fisico o psichico incompatibile con la detenzione. 90 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission 45. In definitiva, i tribunali di applicazione delle pene hanno solo una competenza limitata o residuale in materia di controllo sull’amministrazione. Inoltre, in materia penitenziaria, la giurisprudenza della Corte di Cassazione è assai poco attenta al diritto europeo, in particolare a causa di un controllo limitato alla motivazione delle decisioni che le sono sottoposte. 46. Il Consiglio costituzionale può essere investito nel quadro di una questione prioritaria di costituzionalità (QPC). Tuttavia, sei anni dopo l’entrata in vigore della QPC, la giurisprudenza testimonia in gran parte un’assenza di tutela costituzionale dei diritti dei detenuti: il Consiglio si è pronunciato solo su due ricorsi, il primo relativo a una disposizione legislativa che non era già più in vigore, e il secondo a una disposizione in corso di modifica in Parlamento. Bulgaria I tribunali amministrativi 47. La giustizia amministrativa bulgara (28 tribunali amministrativi regionali e un Tribunale amministrativo supremo) ha competenza su tutti i ricorsi per ottenere un atto amministrativo ovvero la sua modifica, revoca o annullamento; un rimedio contro azioni od omissioni illegittime dell’amministrazione; il risarcimento dei danni causati da atti, azioni od omissioni illegali delle autorità amministrative, etc. 48. In materia di diritti dei detenuti, ai tribunali amministrativi arrivano per lo più ricorsi di detenuti che chiedono il risarcimento dei danni causati dalle cattive condizioni materiali di detenzione ai sensi della legge sulla responsabilità civile dello Stato e dei municipi del 1988 (SMRDA). 49. Nel 2015 una commissione congiunta di magistrati del Tribunale amministrativo supremo e della Corte suprema di Cassazione ha preso una decisione interpretativa per unificare la giurisprudenza contraddittoria sui conflitti di competenza nelle richieste di risarcimento danni. La decisione affronta questa domanda: qual è il tribunale competente a conoscere delle richieste di risarcimento dei danni da decisioni, atti od omissioni illegittimi dell’amministrazione penitenziaria, i tribunali ordinari o quelli amministrativi? I giudici supremi hanno deciso all’unanimità che è competente il tribunale amministrativo, affermando chiaramente che l’amministrazione penitenziaria è parte del potere esecutivo e, come tale, i suoi atti e decisioni hanno natura amministrativa. Ciononostante, anche dopo questa decisione interpretativa, il Tribunale amministrativo supremo ha continuato a sindacare decisioni e azioni dell’amministrazione penitenziaria che esulano dall’ambito del diritto amministrativo. I tribunali ordinari – sezioni civili 91 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission 50. I detenuti hanno un accesso molto limitato ai tribunali civili. Secondo la legge sull’esecuzione delle condanne e delle pene detentive (ESDA), la decisione del direttore di operare delle ritenute dalla retribuzione mensile di un detenuto a titolo di risarcimento danno è impugnabile davanti al tribunale distrettuale. Tuttavia non si trova giurisprudenza su questo tema. I tribunali ordinari – sezioni penali 51. In primo luogo, le sezioni penali dei tribunali ordinari intervengono nell’esecuzione delle condanne. Le decisioni che inaspriscono la condizione giuridica del detenuto o il regime di sicurezza sono prese dal tribunale regionale. Questo tribunale decide inoltre sulla libertà condizionale e sulla sostituzione dell’ergastolo con una pena detentiva temporanea. In secondo luogo le decisioni del direttore sull’isolamento a scopo preventivo o come sanzione disciplinare e sulla confisca dei beni dei detenuti sono impugnabili davanti al tribunale distrettuale competente per l’istituto penitenziario. Il Pubblico ministero 52. L’ufficio del Pubblico ministero controlla la legalità dell’esecuzione di ogni condanna, compresa la “privazione della libertà”. Il Pubblico ministero può ispezionare un carcere senza l’autorizzazione preventiva dell’amministrazione come pure controllare i documenti in base ai quali un individuo è detenuto; può parlare con i detenuti in privato, esaminare proposte, reclami e richieste relativi all’esecuzione della pena, etc. 53. Nella sentenza Neshkov la CEDU ha affermato chiaramente che i reclami al Pubblico ministero non sono un rimedio effettivo contro le violazioni dei diritti dei detenuti. La Corte evidenzia due gravi insufficienze del procedimento di reclamo: “il reclamo al Pubblico ministero non discende da un diritto soggettivo del reclamante ad avere giustizia e il Pubblico ministero non ha l’obbligo di esaminare tale reclamo con la partecipazione del detenuto o di garantire la sua partecipazione effettiva nel procedimento”. Belgio I tribunali amministrativi 54. In Belgio la competenza sulle controversie penitenziarie spetta al giudice amministrativo. Al vertice della giustizia amministrativa c’è il Consiglio di Stato, competente a giudicare e valutare la legalità delle decisioni e degli atti amministrativi del governo e delle amministrazioni. 92 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission 55. Il Consiglio di Stato si è dichiarato competente a conoscere dei ricorsi contro le sanzioni disciplinari perché non sono "semplici provvedimenti interni" ma hanno implicazioni per la condizione giuridica dei reclusi (11 marzo 2003). I tribunali civili 56. I detenuti hanno accesso anche ai tribunali civili (“tribunal de première instance” – tribunale di prima istanza) se possono sostenere di aver subito un danno diretto dalla violazione di un diritto soggettivo. Quando un detenuto chiede il risarcimento del danno causato da un provvedimento che lede un suo diritto soggettivo, un giudizio di merito davanti al giudice civile è perciò ipotizzabile. Ciononostante l’accesso ai tribunali civili è molto limitato e la giurisprudenza in materia è piuttosto scarsa: l’urgenza delle situazioni vissute spinge quasi sempre i detenuti a rivolgersi al Presidente del Tribunale di prima istanza per ottenere un provvedimento cautelare. In sede cautelare il giudice agisce per prevenire un danno e fare tutto il necessario per impedirlo, mentre nella composizione ordinaria il Tribunale agisce per concedere un rimedio. Inghilterra e Galles 57. Il Tribunale amministrativo è una sezione specializzata della Queen's Bench Division dell’Alta corte di giustizia di Inghilterra e Galles. Si occupa principalmente di questioni di diritto amministrativo e opera un sindacato giurisdizionale sulle corti e sui tribunali inferiori ed altri organismi pubblici (principalmente per mezzo del procedimento noto come "judicial review"). 58. Il Tribunale amministrativo può sedere in composizione monocratica o in sezione collegiale. Una sezione collegiale è formata di solito da un Lord Justice of Appeal e da un giudice dell’Alta corte. 59. Per quel che lo riguarda, anche se è disciplinato da norme procedurali specifiche, il Garante non ha poteri vincolanti nei confronti dell’amministrazione penitenziaria e perciò non può essere propriamente considerato un rimedio effettivo interno (si veda il report nazionale per una descrizione più completa). Irlanda 60. In Irlanda la competenza sulle controversie penitenziarie spetta ai giudici ordinari – l’Alta corte e la Corte d’appello (e la Corte suprema come ultima istanza). Come l’Inghilterra e il Galles, l’Irlanda ha un meccanismo di reclamo precisamente definito, 93 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission che tuttavia non costituisce uno strumento di ricorso conforme all’articolo 13 della Convenzione (si veda il report nazionale per una descrizione più completa). 2. TIPOLOGIA SOSTANZIALE: DECISIONI E AZIONI SOTTO CONTROLLO GIURISDIZIONALE 61. La consacrazione delle garanzie procedurali segna il declino delle costruzioni dottrinali che con vari nomi — "provvedimenti speciali", "poteri impliciti", "non ingerenza" — avevano in comune di ritenere i detenuti privati dei loro diritti a causa della carcerazione e delle esigenze di ordine e sicurezza dell’autorità. 62. Ancora oggi la difesa dei diritti fondamentali dei detenuti rimane indebolita, certo in misura diversa nei diversi Stati, dalla persistenza di fattori che risalgono a queste dottrine. Il loro peso si fa sentire nella portata dei controlli effettuati (alcuni provvedimenti o decisioni possono ancora essere privi di rimedi) o nella loro intensità (ampiezza dei poteri discrezionali dell’autorità). 63. Logicamente, ogni prima messa in questione di tali teorie nel diritto nazionale è chiaramente correlata all’estensione del controllo operato dai giudici. La messa in questione più o meno consapevole, e la conseguente apertura di possibili rimedi, può avvenire a seconda dei casi grazie al legislatore o grazie alle corti (a livello nazionale o a quello della Corte europea). 64. Germania, Francia e Italia sono esempi caratteristici dell’apertura di canali di ricorso a opera di decisioni giuridiche nazionali o della Corte europea dei diritti dell’uomo. 65. L’apertura può essere operata direttamente dal giudice, come in Francia dove, dall’inizio di questo secolo, il giudice amministrativo ha progressivamente accettato di aprire l’aula sotto la pressione della giurisprudenza europea. 66. Può avvenire direttamente, dove il legislatore non aveva altra scelta che iniziare un contenzioso, come è accaduto in Germania durante gli anni settanta. 67. L’Olanda è un caso a parte. L’apertura di canali è stata opera dell’esecutivo e del Parlamento che hanno messo all’ordine del giorno le riforme che hanno portato a questi sviluppi. Oltre per le sanzioni disciplinari, i detenuti possono reclamare per il rifiuto delle visite in carcere, i controlli sulla corrispondenza o qualsiasi altro provvedimento che violi i loro diritti soggettivi, o per il trasferimento in un particolare carcere. Ogni recluso ha diritto di ricorrere alla Commissione per i reclami contro le decisioni del direttore che lo riguardano. L’assenza di una decisione equivale a una decisione. 68. Scegliendo il termine ‘decisioni’, il legislatore intendeva escludere i reclami contro comportamenti puramente fattuali del personale, purché non fondati su una decisione del 94 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission direttore. Gli atti (od omissioni) del personale nell’adempimento del dovere possono essere visti in linea di principio come atti del direttore. 69. Per esempio, quando il personale usa violenza contro un detenuto per metterlo in isolamento, questo comportamento è visto come una decisione del direttore perché il personale mette un detenuto in isolamento su ordine del direttore. A volte non è chiaro se certi comportamenti del personale si fondino su istruzioni o sul consenso del direttore. In tal caso il detenuto può cercare di ottenere una decisione del direttore sul comportamento del personale. Questa decisione può essere reclamabile. 70. Il termine ‘decisione’ implica anche che non è possibile reclamare contro un parere del direttore, per esempio il parere dato al funzionario del Ministero della giustizia che decide sulla selezione e il trasferimento dei detenuti. 71. Infine l’applicazione del criterio della ‘decisione del direttore’ significa che i detenuti non possono contestare regole generali come il regolamento in vigore nell’istituto di pena. 72. Riguardo a questo ‘criterio della decisione’, si potrebbe obiettare che priva i detenuti della possibilità di reclamare specificamente contro le condizioni di detenzione. Per poter fare ricorso è necessario che l’oggetto sia una decisione del direttore. Questa è una limitazione importante, che tuttavia in pratica può essere più o meno ‘aggirata’. Per esempio, nel caso di un certo trattamento da parte di un agente di custodia il detenuto può rivolgersi al capoufficio del direttore per chiedergli un parere sulla faccenda. Questa è una decisione che si può impugnare. Questa tattica è chiamata ‘hink-stap sprong’ in olandese, ovvero ‘salto triplo’. 73. È possibile reclamare contro una norma generale solo in casi specifici, ovvero quando la norma è in contrasto con un’altra gerarchicamente superiore, ad esempio una regola codificata dalla CEDU, o quando la norma generale è stata pubblicata troppo tardi. In alcuni casi il giudice penitenziario ha deciso che il detenuto ricorrente contro una norma generale in realtà intendesse reclamare contro il modo in cui la regola era stata applicata al suo caso particolare. Si trattava per lo più di casi in cui il direttore non aveva dichiarato inammissibile il reclamo. 74. Quando un reclamo è dichiarato inammissibile nel procedimento penitenziario perché riguarda norme generali, è possibile invocare la tutela giuridica supplementare del giudice civile. 75. L’esempio belga è l’esatto opposto di quello olandese. Il sistema di rimedi creato dal legislatore sul modello olandese è stato bloccato dal rifiuto dell’esecutivo di emanare i decreti applicativi delle disposizioni legislative sui canali di ricorso per i detenuti. La legge del 2005 prevede espressamente la possibilità che un detenuto contesti una 95 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission decisione che lo riguarda. Di fatto il sistema è neutralizzato dal potere esecutivo che rifiuta di prendere i provvedimenti regolamentari attuativi della legge. D’altra parte il giudice amministrativo usa il fatto che la legge penitenziaria non è entrata in vigore come scusa per limitare il suo intervento ben oltre le questioni di competenza fra giudice amministrativo e giudice ordinario. 76. In effetti la giurisprudenza del Consiglio di Stato è estremamente restrittiva. Per esempio, ha respinto le istanze di annullamento della maggior parte dei regolamenti penitenziari. Per mettere a repentaglio il funzionamento del sistema carcerario e per non sovrapporsi alle prerogative e alle competenze del potere giudiziario, ha definito il suo ambito di intervento usando l’espressione 'provvedimenti interni’ come criterio del contenzioso amministrativo. Questa nozione è utilizzata per respingere ricorsi ritenuti inammissibili perché il provvedimento contestato è regolato esclusivamente dal funzionamento interno dell’amministrazione. Il supremo tribunale amministrativo ha infatti affermato, nella fondamentale sentenza De Smedt (2003), che un provvedimento preso per assicurare il buon funzionamento e l’ordine all’interno del carcere, ma che potrebbe causare disagi ai detenuti per il suo carattere disciplinare, non può essere oggetto di un’azione di annullamento. La sfera di competenza del Consiglio di Stato è molto ristretta e limitata. L’annullamento è possibile solo se il provvedimento disciplinare ha per oggetto la punizione di un detenuto che si è comportato male. In una decisione del 28 giugno 2012 il Consiglio di Stato ha ampliato il suo ambito di intervento, accettando di controllare la legalità di specifiche misure di sicurezza (proibizione di attività, controllo della corrispondenza, sorveglianza diurna e notturna, etc.) applicate al ricorrente, ritenendo che la decisione contestata fosse stata "presa per il comportamento passato e presente del ricorrente e non per una minaccia permanente alla sicurezza dell’istituto". Tuttavia la portata di questo progresso è incerta: nel dicembre 2012, nel caso Hilami, di natura simile, il Consiglio di Stato ha ritenuto che il ricorrente non avesse dimostrato che lo scopo unico o principale del provvedimento contestato fosse quello di punirlo e ha affermato che si trattava di un provvedimento di ordine interno. 77. La giurisprudenza molto restrittiva del Consiglio di Stato belga riflette principalmente il rifiuto di esercitare un controllo effettivo sulle carceri. Nella sentenza Hilami il Consiglio ha affermato che “se il ricorrente si ritiene vittima di abusi commessi dalle autorità carceraria, sta a lui denunciarli davanti ai tribunali che hanno competenza esclusiva su tali materie ai sensi dell’articolo 144 della Costituzione”, cioè il giudice ordinario – non il giudice amministrativo. 78. Il confine tra provvedimento interno e sanzione disciplinare è sottile e tenue, come mostra il problema delle “sanzioni dissimulate”. Alcuni avvocati ritengono che il controllo esercitato dal Consiglio di Stato sarebbe legittimo per quel che riguarda i 96 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission provvedimenti interni come minimo quando “hanno per effetto dei cambiamenti significativi nella situazione giuridica del detenuto”. 79. È in questo contesto che a partire dagli anni ottanta i tribunali civili hanno elaborato una limitata giurisprudenza sulle condizioni di detenzione in carcere e negli istituti di difesa sociale. Un certo numero di ricorsi in ambiti specifici sono stati considerati ammissibili in sede cautelare, concernenti la detenzione illegale, l’applicazione di speciali misure di sicurezza, il sistema individuale di sicurezza specifica, il trasferimento in un altro istituto, le perquisizioni, il rifiuto o la revoca della liberazione condizionale, il mancato trasferimento di un internato in un istituto di difesa sociale, l’isolamento per ragioni mediche (detenuti affetti da AIDS), il diritto all’informazione e l’imposizione di un trattamento inumano e degradante. In numerose decisioni recenti si può anche osservare il riferimento alla giurisprudenza della CEDU sull’articolo 3 della Convenzione, o ai rapporti del CPT, il che tende a sottolineare l’influenza crescente sui giudici belgi del controllo diretto o indiretto delle autorità europee. 80. Per parte sua la Germania è un caso unico, perché l’apertura delle possibilità di contestare gli atti delle autorità carcerarie è venuta molto presto, a opera degli stessi giudizi e all’inizio senza alcuna pressione dall’Europa. I giudici tedeschi oggi includono la giurisprudenza e la normativa non vincolante (soft law) del Consiglio d’Europa fra i principi di riferimento per l’incarcerazione. 81. In virtù di una tutela giurisdizionale garantita dalla Legge fondamentale, chiunque lamenti la violazione di un suo diritto fondamentale da parte delle pubbliche autorità ha diritto di portare la questione davanti a un giudice. Inoltre, come qualsiasi cittadino, i detenuti possono portare un caso davanti alla Corte costituzionale federale, a condizione che sia in gioco uno dei diritti umani fondamentali riconosciuti dalla Legge fondamentale (il rispetto della dignità, il diritto alla vita e all’integrità fisica, etc.) e che siano stati esperiti tutti gli altri mezzi di ricorso. 82. La dottrina della “relazione speciale di autorità” fu inequivocabilmente screditata da una decisione pionieristica della Corte costituzionale nel 1972. Va sottolineato che la legge penitenziaria del 1976 fu il risultato di decisioni della Corte costituzionale federale. Spinto da varie decisioni della Corte, il legislatore creò un quadro dei diritti e dei doveri dei detenuti e istituì un sistema di tribunali speciali (Strafvollstreckungsgerichte) per decidere sui reclami dei detenuti e sulla richiesta di libertà condizionale. 83. La legge penitenziaria federale contempla al § 109 la possibilità di un ricorso giurisdizionale se un provvedimento (o atto) qualsiasi viola un diritto del detenuto; ciò è garantito per tutti i tipi di provvedimenti (o atti) amministrativi dall’articolo 19.4 della Legge fondamentale. 97 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission 84. La Corte costituzionale ha richiesto fra l’altro l’approvazione di una legge penitenziaria per gli adulti nel 1977 di una legge penitenziaria speciale per i minori nel 2006. 85. La Corte ha sempre affermato che il principio dello Stato di diritto (Rechtsstaat), secondo cui i diritti fondamentali possono essere limitati solo dalla legge, vale per tutti i cittadini – compresi i detenuti. La Corte ha deciso nel 1973 che i detenuti devono essere riabilitati nel rispetto della loro dignità umana e degli altri principi costituzionali, garantendo con ciò sia i loro interessi che quelli della società. Pertanto questa decisione ha formalizzato un diritto alla riabilitazione di rango costituzionale. 86. La Corte ha affermato con chiarezza che i giudici devono tener conto dei principi internazionali, in particolare le Regole penitenziarie europee e i rapporti del CPT, nel valutare il trattamento dei detenuti (17 ottobre 2012, - 2 BvR 736/11). Nell’ottobre 2013 un caso deciso da un tribunale regionale (LG Augsburg) ebbe un po’ di notorietà nei mezzi di informazione. Il detenuto lamentava le conseguenze psicologiche di 15 mesi di isolamento. Trascorreva l’ora d’aria separato dagli altri detenuti e doveva togliersi i vestiti ogni volta che rientrava in cella. Durante i colloqui familiari era ammanettato e separato con un vetro dai visitatori. Anche se la nozione di “isolamento” non compare nella normativa penitenziaria, vi compare la nozione di “misure di sicurezza particolari” (§§ 88 ss. della Legge penitenziaria federale), fra cui la separazione dagli altri detenuti, senza limiti di tempo. 87. Quanto all’Inghilterra e al Galles, la possibilità di tutela giuridica dei diritti dei detenuti è stata riconosciuta dai giudici prima di essere potenziata dalla legge del 1998 che ha recepito la Convenzione EDU nell’ordinamento britannico. 88. Nel caso R v Board of Visitors of Hull Prison, Ex p St Germain (1979) la corte ha dichiarato che "nonostante la privazione della sua libertà generale, un detenuto resta titolare di diritti residui relativi alla natura e alla condotta del suo incarceramento . . . Una caratteristica essenziale dei diritti di un soggetto è il portare con sé il diritto di ricorrere a un giudice a meno che la legge stabilisca altrimenti." Il caso Raymond v. Honey (1983) ebbe inizio dall’atto di un direttore di prigione che impedì a un detenuto di ricorrere al giudice. La Camera dei Lord affermò, a p 10 della sentenza, che "nel diritto inglese un detenuto condannato, nonostante il suo incarceramento, conserva tutti i diritti civili di cui non sia privato espressamente o per conseguenza necessaria . . .". L’entrata in vigore dello Human Rights Act del 1998 ha ampliato significativamente la portata del controllo giurisdizionale. 89. I criteri del controllo giurisdizionale sono divenuti più stringenti con la Convenzione europea. Poiché i motivi per invocare la tutela giurisdizionale non sono diversi nel 98 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission contesto del diritto penitenziario che in ogni altra branca del diritto, le decisioni possono essere impugnate per illegalità, irregolarità procedurale, irrazionalità o, nel caso di diritti protetti dallo Human Rights Act del 1998, proporzionalità. 90. Oggi, secondo S. Creighton, un avvocato specializzato in diritto penitenziario, l’ordinamento giuridico “garantisce assistenza ai detenuti in quasi tutti gli aspetti della vita quotidiana in carcere "234, anche se con effetti pratici molto limitati (vedi più sotto). Le aree in cui i giudici nazionali si sono dimostrati più attivi sono il diritto all’assistenza legale e la liberazione condizionale. Qui, come sottolinea S. Creighton, "i giudici hanno progredito in tandem con la giurisprudenza della Corte europea". 91. Le decisioni concernenti i detenuti che possono essere oggetto di impugnativa ricadono generalmente nei poteri del Direttore del carcere, del Segretario di Stato, della Commissione sulla libertà condizionale e, nel caso delle sanzioni disciplinari, il giudice distrettuale che svolge l’inchiesta indipendente. 92. Anche altri Stati hanno fatto progressi per iniziativa dei giudici, anche se molto più tardi e spesso con meno coraggio. 93. In Francia, i possibili rimedi sono intervenuti molto tardi. I giudici qualificavano la maggior parte delle decisioni prese dall’amministrazione come provvedimenti interni non sindacabili. C’è stata un’evoluzione a partire dal 1995, con la possibilità di impugnare un isolamento disciplinare. Il controllo giurisdizionale si è ampliato significativamente verso la fine del 2007, quando il Consiglio di Stato ha stabilito che tutte le decisioni e i provvedimenti che toccano i diritti umani dei detenuti sono impugnabili. Tuttavia questa violazione è molto difficile da provare e dei provvedimenti gravi come un trasferimento di solito non sono impugnabili. 94. La ONG Observatoire international des prisons (OIP-SF) ha lavorato molto per limitare i provvedimenti di ordine interno non impugnabili, offrendo assistenza legale ai ricorrenti che, nella maggior parte dei casi, ha portato a progressi nella giurisprudenza su questo tema dal 2007 in poi. L’OIP-SF è all’origine di un centinaio di sentenze pronunciate dai tribunali nazionali e di una dozzina di sentenze di condanna della Francia da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo. 95. Per quel che riguarda il rimedio compensatorio, il Consiglio di Stato ha recentemente allargato le condizioni per chiamare in causa la responsabilità dell’amministrazione. Nel diritto francese coesistono tre regimi di responsabilità: 234 S. Creighton, " La défense des détenus en Grande-Bretagne ", in La défense en justice de la cause des détenus, OIP-CNCDH-CREDOF, 2012. 99 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission “responsabilità oggettiva”, “colpa semplice” e “colpa grave”. Abbandonando l’esigenza di una colpa grave, il Consiglio di Stato ha dapprima ritenuto che una colpa semplice è sufficiente per far valere la responsabilità dell’amministrazione in caso di suicidio di un detenuto (2003). Questo regime di responsabilità per colpa semplice è stato poi esteso ai casi di danni ai beni dei detenuti (2008) e all’ipotesi di morte accidentale di un detenuto per un incendio appiccato da un compagno di cella (2008). 96. In Italia, prima della sentenza Torreggiani, c’erano solo due casi in cui un detenuto poteva appellarsi al Tribunale di sorveglianza contro una decisione dell’autorità carceraria, la violazione delle norme in materia di sanzioni disciplinari o di lavoro carcerario (articolo 69 dell’ordinamento penitenziario). Una decisione della Corte costituzionale (2006) ha dichiarato l’incostituzionalità dell’articolo 69 e ha stabilito la competenza del giudice ordinario nel campo del lavoro carcerario. Questa decisione si fonda sul fatto che il procedimento davanti al Tribunale di sorveglianza non garantiva un processo equo perché non tutte le controparti avevano diritto di comparire davanti al giudice235. 97. In ogni altro caso i detenuti potevano solo iniziare un ricorso non giurisdizionale davanti al Tribunale: l’articolo 35 dell’ordinamento penitenziario disponeva che i detenuti potessero comunicare con il Magistrato con un reclamo orale o scritto. Questa lacuna era stata colmata dalla giurisprudenza nazionale che aveva progressivamente esteso l’ambito del ricorso giurisdizionale (art. 14-ter) a tutte le violazioni dei diritti dei detenuti. 98. Dapprima la Corte costituzionale ha riconosciuto nel 1997 che il reclamo generico previsto dall’articolo 35 doveva considerarsi un ricorso giurisdizionale. Successivamente la stessa Corte nel 1999 ha invitato il legislatore a estendere il ricorso giurisdizionale previsto nel campo dei provvedimenti disciplinari e del lavoro carcerario dagli articoli 69 e 14-ter a tutti i casi in cui un detenuto allega la violazione di un diritto. 99. In mancanza di innovazioni legislative, è solo con una decisione (2003) della Corte di Cassazione che il diritto dei detenuti a ricorrere contro ogni violazione dei loro diritti, secondo la procedura degli articoli 69 e 14-ter, ha trovato riconoscimento giudiziario. Il reclamo generico (articolo 35), integrato dalla procedura di agli articoli 69, 71 e 14-ter, è divenuto così un rimedio generale e una norma cardine del sistema, applicabile in tutti i casi di violazioni non dotate di un rimedio giuridico specifico. 235 Il diritto costituzionale di difesa non era garantito 1) riguardo al datore di lavoro che non era ammesso a comparire o a presentare memorie, 2) riguardo ai detenuti perché tutto il procedimento si basa principalmente su memorie scritte senza un pieno contraddittorio. 100 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission 100. La legge italiana del 2013, approvata dopo la sentenza Torreggiani, contiene un ampio ventaglio di norme, dirette in particolare a dare protezione effettiva ai diritti dei detenuti (l’istituzione di un Garante nazionale e di un nuovo procedimento giurisdizionale per ricorrere ai Tribunali di sorveglianza). 101. Il detenuto può ricorrere al Magistrato quando l’amministrazione viola una norma dell’ordinamento penitenziario o dei suoi regolamenti attuativi. Infatti la legge non afferma che il detenuto può ricorrere contro la violazione di qualsiasi diritto protetto dalla legge italiana, ma solo di quelli riconosciuti dall’ordinamento penitenziario il quale non contiene un elenco dei diritti dei detenuti. Contiene soltanto norme sul trattamento dei detenuti e sull’organizzazione delle istituzioni penitenziarie. Le principali norme che riconoscono indirettamente dei diritti sono quelle sul “diritto al trattamento” e sul principio di uguaglianza; sull’igiene personale, il cibo, l’esercizio fisico e lo sport, l’assistenza medica; sul trattamento dei detenuti condannati; sulle relazioni familiari, i colloqui e le telefonate; sull’istruzione; sul lavoro carcerario; sulla cura dei figli delle detenute madri; sulla libertà di religione; sul regime disciplinare; sul diritto a un ricorso giurisdizionale; sui limiti dei provvedimenti restrittivi; sul regime di alta sicurezza – sui limiti ai diritti dei detenuti condannati per reati di criminalità organizzata. 102. Va segnalato che, tradizionalmente, i Tribunali di sorveglianza hanno fatto molta resistenza ad assumersi il compito di proteggere i diritti dei detenuti e hanno concentrato la loro giurisprudenza principalmente sulle misure alternative e di sicurezza. Per lungo tempo hanno difeso la loro posizione argomentando che l’ordinamento penitenziario non conferiva loro alcun potere effettivo per proteggere i diritti dei detenuti contro le decisioni delle autorità carcerarie. Hanno rifiutato di adattarsi a questo compito anche quando nel 2009 la Corte costituzionale ha chiarito che le decisioni della Corte sono vincolanti per l’amministrazione penitenziaria. Questa sentenza è stata trascurata dalla maggior parte dei Magistrati di sorveglianza. Sulla situazione attuale si veda in seguito. 103. I giudici di altri Stati mostrano un atteggiamento ancora più timido. 104. In Austria, la legge penitenziaria federale prevede la possibilità di un rimedio giurisdizionale contro ogni provvedimento (o atto) che i violi i diritti di un detenuto. La legge penitenziaria distingue fra due tipi di reclami. 1) Reclamo per violazione dei diritti pubblici soggettivi (§§ 120 ss.). 101 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission 105. Un reclamo concernente una questione giuridica può essere presentato ogni volta che un detenuto è toccato da una decisione/ordine, se lamenta di aver subito una violazione dei suoi diritti soggettivi e chiede una decisione sull’oggetto del reclamo. Il reclamo può riguardare qualsiasi decisione, ordine o comportamento del personale penitenziario. È quindi ammissibile se si presume una violazione di un diritto pubblico soggettivo. La questione decisiva è se la disposizione legislativa pone soltanto un obbligo a carico dell’autorità esecutiva o riconosce al detenuto anche un diritto al suo adempimento. La questione va risolta interpretando ogni singola disposizione. Nel dubbio si deve assumere che le norme del diritto oggettivo riconoscano anche un diritto soggettivo. 106. Un diritto soggettivo può trovarsi in ogni articolo della legge penitenziaria, a seconda di come la si interpreta, per esempio nell’espressione “il detenuto ha diritto a…”. Un diritto pubblico soggettivo è ad esempio quello al tempo libero fuori dall’edificio e all’autorizzazione a svolgere attività sportiva, a incontrarsi con un ministro del culto, a scrivere lettere durante l’orario di lavoro, o ai colloqui. 107. Pertanto è possibile reclamare contro il rifiuto di un permesso; contro una sanzione disciplinare; contro l’uso della forza; contro il linguaggio umiliante del personale penitenziario che viola il principio del trattamento. 2) Reclamo per violazione delle norme regolatrici dell’autorità carceraria (§ 122). 108. I reclami di questo tipo sono diretti a contestare il potere di controllo delle autorità carcerarie. Non iniziano un procedimento formale e non conferiscono il diritto soggettivo a una decisione. La prassi comune è di informare per iscritto il detenuto sull’esito del reclamo. Un reclamo sul tipo di cure mediche è possibile solo in questa forma, non come reclamo a tutela di un diritto soggettivo. 109. Non c’è un obbligo di decidere. 110. In Irlanda, il funzionamento quotidiano delle prigioni è disciplinato dalle Regole penitenziarie del 2007 (Regole 2007) che delineano la base legislativa del trattamento dei detenuti. 110. Anche se è generalmente accettato che Regole 2007 siano azionabili in giudizio e che la loro violazione possa essere oggetto di controllo giurisdizionale, non è chiaro se tale violazione costituisca anche la violazione di un dovere legislativo. Inoltre le Regole lasciano un ampio potere discrezionale all’amministrazione e molte sono attuate solo ‘in quanto è possibile’, aprendo un varco a limitazioni fondate, ad esempio, sul buon ordine e la sicurezza delle prigioni. 102 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission 112. Anche se i tribunali irlandesi hanno sempre espressamente affermato che i detenuti conservano alcuni diritti costituzionali, ha sempre prevalso la dottrina delle limitazioni necessarie all’esercizio di molti diritti per il fatto dell’incarcerazione. È enunciata nella sentenza State (McDonagh) v Frawley in cui la corte argomenta che: 113. “… mentre … è detenuto legalmente, molti dei normali diritti costituzionali del ricorrente sono abrogati o sospesi. Deve accettare la disciplina penitenziaria e adattarsi all’organizzazione ragionevole della vita in carcere stabilita dalle norme penitenziarie”. 114. Tuttavia le corti riconoscono anche che qualunque limitazione deve essere proporzionata e che “i diritti che non è necessario comprimere devono continuare a essere rispettati”. Questo principio è stato enunciato nella sentenza Mulligan v Governor of Portlaoise Prison (2010) in cui la corte ha affermato che qualunque restrizione 115. “… deve essere proporzionata; un diritto non può essere sminuito al di sotto dei principi della ragionevole dignità umana e delle aspettative di una società matura. In quanto è possibile, l’autorità carceraria deve garantire i diritti soggettivi e la dignità di ogni detenuto.” 116. I giudici irlandesi hanno anche tradizionalmente riconosciuto un ampio margine discrezionale ai direttori delle prigioni, e in molti casi hanno subordinato la protezione dei diritti dei detenuti a quella della sicurezza e del buon ordine delle carceri. 117. Va aggiunto che la legge del 2003 dispone un recepimento interpretativo della Convenzione EDU a livello sub-costituzionale e impone numerosi obblighi alle corti (le quali devono interpretare e applicare qualunque legge o regola di diritto, in quanto è possibile, in maniera compatibile con la Convenzione; nell’applicare la Convenzione le corti devono tenere nel dovuto conto i principi formulati dalla giurisprudenza della CEDU). 118. La legge del 2003 istituisce due rimedi specifici: a. un’azione civile per violazione di un dovere legislativo da parte degli “organi dello Stato”, diretta a ottenere il risarcimento del danno o qualunque altro ristoro legale. Tale azione è possibile solo in mancanza di qualsiasi altro rimedio; b. una dichiarazione di incompatibilità (di una disposizione legislativa con la Convenzione) che può essere motivo per concedere un risarcimento danni ex gratia. 103 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission 119. In Bulgaria, per quel che riguarda i tribunali ordinari, il loro intervento nell’esecuzione della pena è limitato ai casi che toccano in modo significativo i diritti dei detenuti e perciò esigono maggiori garanzie procedurali. Tali casi sono stabiliti espressamente dalla legge. 120. In primo luogo, le decisioni su ogni forma di esecuzione della pena che aggiunge nuove restrizioni alla condizione giuridica o al regime di sicurezza del detenuto spettano al tribunale regionale. In secondo luogo, le decisioni sull’isolamento a scopo preventivo o come sanzione disciplinare e quelle del direttore del carcere sulla confisca dei beni del detenuto sono impugnabili davanti al tribunale distrettuale. Inoltre, la decisione del direttore di operare delle ritenute dalla retribuzione mensile di un detenuto a titolo di risarcimento danno è impugnabile davanti al tribunale distrettuale. Infine, il tribunale regionale è competente a decidere sulla libertà condizionale e sulla sostituzione dell’ergastolo con una pena detentiva temporanea. 121. Come si vede i tribunali ordinari, distrettuali o regionali, sono competenti a conoscere di vari tipi di controversie concernenti i diritti dei detenuti. Tuttavia hanno una competenza circoscritta dalla legge che non copre i reclami contro il trattamento disumano e degradante connesso al sovraffollamento, alle cattive condizioni materiali, alla mancanza di servizi igienici, all’accesso all’assistenza sanitaria. I tribunali amministrativi 122. L’evoluzione del diritto amministrativo in Bulgaria nel decennio scorso ha portato dei cambiamenti anche nel campo del diritto penitenziario. Essenzialmente, nuovi strumenti di tutela giurisdizionale contro atti, decisioni e omissioni illegittimi delle autorità amministrative sono stati introdotti con il Codice di procedura amministrativa del 2006. I detenuti hanno utilizzato questi strumenti, gli ordini preventivi e vincolanti contro gli atti amministrativi, per contestare alcuni aspetti delle condizioni di detenzione, comprese la qualità e l’accessibilità dell’assistenza sanitaria. Si dà di seguito una breve descrizione di questi procedimenti e un’analisi della loro effettività nel proteggere i diritti dei detenuti. 123. Si può dire che, in teoria e in pratica, i poteri delle autorità carcerarie continuano a essere interpretati come una speciale categoria di poteri, esercitati in un vuoto normativo non vincolato dai principi generali del diritto amministrativo e spesso non soggetti al controllo dei tribunali amministrativi. È generalmente accettato che, in mancanza di disposizione di legge contraria, la legalità degli atti delle autorità carcerarie non è soggetta al controllo giurisdizionale ma solo a quello amministrativo da parte di un’autorità amministrativa gerarchicamente superiore. 104 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission 3. TIPOLOGIA FUNZIONALE (IMPORTANZA DEL GIUDICE RISPETTO AI SUOI POTERI, IN PARTICOLARE NEL CAMPO DELLE CONDIZIONI CARCERARIE) 124. Gli organi generalmente più coinvolti nelle controversie amministrative hanno dei poteri rigorosamente definiti. Gli organi specializzati nel controllo carcerario hanno spesso una funzione generica di vigilanza sulle prigioni, senza avere necessariamente poteri specifici se non su questioni specifiche (sanzioni disciplinari, classificazione dei detenuti, etc.). 125. Sotto l’influenza della giurisprudenza europea i poteri dei giudici tendono palesemente ad accrescersi, rendendo possibile imporre alle autorità dei provvedimenti vincolanti per far cessare un trattamento illegittimo — ciò che la Corte europea dei diritti dell’uomo considera un "rimedio preventivo". In pratica, però, di fronte ai problemi di ordine strutturale posti da una condanna a pena detentiva, questi organi sembrano male equipaggiati. 126. L’attuazione dei rimedi compensatori (risarcire la violazione dei diritti fondamentali) può apparire tecnicamente meno problematica. Tuttavia l’uso di questi strumenti di ricorso è spesso reso difficile dal percorso burocratico dei reclami dei detenuti. 127. In Italia, la giurisprudenza dei Tribunali di sorveglianza si è fondata a lungo sul principio che le decisioni e gli ordini di tali tribunali non fossero vincolanti per le autorità carcerarie. Questa interpretazione frustrava la potenziale effettività di tali decisioni e scoraggiava i detenuti dal ricorrere contro le violazioni dei loro diritti. 128. Solo nel 2009 una sentenza della Corte costituzionale ha chiarito che le decisioni dei Tribunali di sorveglianza sono obbligatorie in quanto decisioni giurisdizionali e che le autorità carcerarie hanno il dovere di attuarle. Questa sentenza non ha però risolto il problema dell’effettività, perché i Tribunali di sorveglianza erano ancora privi del potere di annullare una decisione delle autorità carcerarie in violazione dei diritti di un detenuto, nonché del potere di nominare un commissario ad acta in tutti i casi in cui le autorità carcerarie omettevano di far cessare la violazione. 129. Secondo la nuova legge del 2013, il Magistrato può prendere dei provvedimenti speciali ogni volta che la violazione di un diritto è così grave da costituire una violazione dell’articolo 3 della Convenzione. Per guidare il giudice nazionale nell’interpretazione dell’articolo 3 la norma fa riferimento esplicito alla giurisprudenza della CEDU che è vincolante per i tribunali nazionali. Il rimedio preventivo (articolo 35-bis): 105 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission 130. Quando il Tribunale accerta la violazione di una norma relativa al sistema delle sanzioni disciplinari può annullare la decisione dell’autorità carceraria. In tutti gli altri casi la norma non conferisce esplicitamente al Tribunale di sorveglianza il potere di annullare una decisione amministrativa, ma stabilisce che il giudice, “accertate la sussistenza e l'attualità del pregiudizio, ordina all'amministrazione di porre rimedio entro il termine indicato”. La nuova norma supera i limiti di quella precedente che non prevedeva alcuno strumento specifico per attuare le decisioni del Magistrato. Quando le autorità carcerarie non ottemperano alla decisione del giudice è oggi possibile rivolgersi nuovamente al Magistrato di sorveglianza che adesso ha il potere di: a) dare all’autorità carceraria un piano di azione dettagliato per porre rimedio alla violazione; b) annullare le decisioni dell’autorità carceraria che violano la decisione del Tribunale; c) nominare un commissario ad acta. Il rimedio compensatorio (articolo 35-ter): 131. Il Magistrato di sorveglianza dispone di un altro rimedio per affrontare una grave violazione del diritto nazionale e della Convenzione: in pendenza dell’esecuzione della pena deve essere concessa una sua riduzione nella misura di 1 per ogni 10 trascorsi in condizioni che violano l’articolo 3 della Convenzione. La norma ha una ratio risarcitoria oltre che deflattiva, perché mira a ridurre il tasso di sovraffollamento carcerario. 132. Lo sconto di pena in misura del 10% non si applica nei seguenti casi: 1) detenuti in attesa di giudizio, perché uno sconto di pena può applicarsi solo in presenza di una sentenza definitiva; 2) ex detenuti; 3) reclusi tenuti per meno di 15 giorni in violazione dell’articolo 3 e detenuti che non hanno una pena residua da scontare sufficiente a beneficiare del risarcimento del 10%. 133. In tutti questi casi le norme prevedono un risarcimento monetario di €8,00 per ogni giorno trascorso in violazione dell’articolo 3. 134. Fino a oggi il rimedio compensatorio è stato variamente applicato e interpretato dalla dottrina e dalla giurisprudenza, compromettendone l’effettività potenziale. Infatti la nuova norma non prevede un procedimento speciale per il rimedio compensatorio ma 106 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission rimanda a quello previsto per il rimedio preventivo, e ciò ha dato luogo a errori interpretativi. 135. La norma che prevede il rimedio compensatorio (art. 35-ter) rimanda all’articolo 69 dell’ordinamento penitenziario (sulle competenze del Magistrato di Sorveglianza), il quale rimanda a sua volta per gli aspetti procedurali alla norma che disciplina il rimedio preventivo (art. 35-bis). Essendo quest’ultimo un rimedio preventivo, la norma stabilisce che il danno causato dalla violazione deve essere in atto al momento della decisione del magistrato. Secondo un parere tecnico del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM)236 questo requisito si applica anche al rimedio compensatorio, sicché il Tribunale di Sorveglianza potrebbe riconoscere lo sconto di pena giornaliero del 10% o l’indennizzo monetario solo nel caso in cui la violazione è ancora in atto al momento della decisione. Quindi il rimedio compensatorio non si applicherebbe alle violazioni passate della Convenzione ma solo a quelle ancora in corso. Secondo questa interpretazione tutti i ricorsi presentati da detenuti che non sono più in una situazione di sovraffollamento sarebbero da respingere. 136. [Un’interpretazione di questo tipo avrebbe effetti rilevanti su tutti i ricorsi pendenti per violazione da sovraffollamento. Grazie ai provvedimenti deflattivi presi dal governo, la popolazione detenuta è calata da 68.000 a 54.000 unità, e perciò la maggior parte dei detenuti non è più in una situazione di grave violazione dell’articolo 3 della Convenzione. Questa interpretazione è stata accolta da parte della dottrina e da una parte rilevante dei Tribunali di Sorveglianza, specialmente quelli dei distretti maggiori.] 137. Tuttavia questa interpretazione sembra impattare negativamente l’effettività del nuovo rimedio compensatorio e aggirare la decisione della CEDU sul caso Torreggiani. I Magistrati di Sorveglianza che aderiscono a questa linea interpretativa sembrano riluttanti ad assumere il nuovo ruolo attribuito loro dalla riforma. In realtà l’errata interpretazione del rimedio compensatorio e l’assenza di decisioni fondate sul rimedio preventivo confermano il tradizionale rifiuto del proprio ruolo da parte della Magistratura di Sorveglianza. 138. Una parte della dottrina e della giurisprudenza respinge questa linea interpretativa, sostenendo che è viziata da un’errata lettura testuale e che vanifica l’intento del legislatore. L’errore interpretativo è la conseguenza della non chiara distinzione fra i due rimedi. 139. La norma sul rimedio compensatorio (art. 35-ter) dà agli ex detenuti e ai detenuti in attesa di giudizio un termine di 6 mesi dalla fine della carcerazione per ricorrere al 236 Il CSM è l’organo di autogoverno della magistratura, competente a decidere sugli avanzamenti di carriera e sulle sanzioni disciplinari. La sua attività di orientamento interpretativo non ha autorità vincolante, ma può apparire ugualmente molto persuasiva alla comunità degli interpreti. 107 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission giudice. Sarebbe quindi del tutto irragionevole prevedere tale termine e allo stesso tempo pretendere che il danno sia in atto al momento del ricorso. 140. La Suprema Corte ha preso nello stesso giorno due decisioni schizofreniche che danno al problema soluzioni opposte. Nella sentenza 43722 del 11/6/2015 la Corte ha criticato la tecnica di redazione della norma e ne ha dato un’interpretazione sistematica secondo cui l’esistenza di una violazione in essere non può essere un requisito per accedere al rimedio. In un’altra sentenza dello stesso giorno (la 43727), la stessa Prima sezione della Corte ha affermato il contrario. È poi intervenuta una successiva decisione della Suprema Corte che ha confermato la prima interpretazione (violazione in atto non necessaria). È degno di nota, nondimeno, che anche questa decisione è stata presa da una sezione semplice e non dalle Sezioni Unite e pertanto non garantisce un cambiamento della linea interpretativa dominante. 141. Va sottolineato che il nuovo ricorso giurisdizionale è stato istituito per offrire un rimedio effettivo ai detenuti reclusi in violazione dell’articolo 3 della Convenzione EDU a causa del sovraffollamento. Tuttavia la norma si riferisce genericamente a violazioni dell’articolo 3 e alla giurisprudenza della CEDU, con due conseguenze: può essere considerata un rimedio compensatorio generale per tutti i casi di violazione dell’articolo 3, non solo per il sovraffollamento. In secondo luogo i giudici italiani devono adeguarsi a tutta la giurisprudenza della CEDU, non solo alle decisioni concernenti l’Italia ma a qualunque decisione in tema di violazione dell’articolo 3 a opera di qualsiasi Stato membro. 142. Inoltre, anche se il dibattito italiano dottrinale e giurisprudenziale si concentra attualmente solo sulle decisioni della CEDU in materia di sovraffollamento, in futuro potrebbe estendersi ad altri diritti dei detenuti come il diritto alla salute. 143. Il riferimento incrociato alla giurisprudenza della CEDU sta dando origine a un dibattito sui criteri per calcolare lo spazio vitale minimo da garantire (specialmente la questione se l’arredo della cella sia da includere nello spazio disponibile). 144. In Spagna i Giudici di vigilanza penitenziaria pronunciano decisioni vincolanti ed esecutive al pari di qualunque altra autorità giudiziaria. Prescrivono i provvedimenti che ritengono appropriati alle circostanze del caso: il trasferimento in un’altra prigione, l’autorizzazione alle comunicazioni, la concessione della libertà condizionale e dei permessi, ma anche un’operazione chirurgica di cataratta, etc. Purtroppo, data anche la lentezza della giustizia, alcuni provvedimenti sono già diventati inutili quando arriva finalmente la decisione del giudice (per esempio, può accadere che quando il GVP autorizza finalmente un colloquio il detenuto sia già stato rilasciato). 108 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission 145. Di regola le sentenze sono rispettate e applicate (direttamente e abbastanza rapidamente) perché la pubblica amministrazione è obbligata a eseguire le sentenze dei tribunali. Solo eccezionalmente è necessario un ricorso contro la mancata ottemperanza del carcere a un ordine del tribunale. 146. I rimedi preventivi Ci sono alcuni rimedi “puramente” preventivi che possono essere così riassunti. 1) La richiesta di un cambio di cella, di sezione o anche di istituto per timore di conflitti con altri reclusi. 2) La richiesta di essere messi in isolamento per proteggersi. 3) L’attivazione del Protocollo per la prevenzione dei suicidi (dipende dai criteri del personale medico e dalla Commissione trattamentale, se ritengono che un recluso sia incline a commettere atti di autolesionismo o a tentare il suicidio). 4) La richiesta di partecipare ai programmi di mediazione a disposizione dei detenuti (non disponibili in tutte le prigioni spagnole – sta al Direttore consentirne l’attuazione). 5) Impedire l’immediata esecuzione di una sanzione disciplinare (se il detenuto fa ricorso la sanzione non è eseguita fino alla decisione del giudice; tuttavia anche alcune sanzioni impugnate possono essere eseguite immediatamente senza attendere l’esito dell’appello). 147. Uno dei principali problemi strutturali delle carceri spagnole è la cella in comune, tipicamente fra due reclusi. In effetti le cosiddette macroprigioni sono già progettate e costruite con letti a castello in ogni cella in modo da accogliere più di un detenuto. Se sorgono problemi di coabitazione il Giudice di vigilanza penitenziaria li può affrontare individualmente applicando i rimedi summenzionati o anche con la concessione di un “terzo grado” (che corrisponde a un regime aperto o di detenzione domiciliare) se il detenuto in questione ne ha i requisiti. Tuttavia il Giudice di vigilanza penitenziaria non può impedire la costruzione di macroprigioni né alterare il progetto delle loro celle. In questo senso i poteri del Giudice di vigilanza penitenziaria possono affrontare i problemi individuali portati alla sua conoscenza da un particolare detenuto ricorrente, ma non possono risolvere i problemi strutturali del sistema carcerario spagnolo. 148. La Corte costituzionale e il Tribunale supremo possono tuttavia affrontare dei problemi strutturali in certe circostanze. I rimedi compensatori 149. In Spagna non c’è un rimedio risarcitorio specifico per i detenuti. Se un detenuto vuole chiedere allo Stato il risarcimento dei danni derivanti dal mal funzionamento della giustizia, deve prima fare ricorso al Segretario generale dell’amministrazione penitenziaria (un procedimento amministrativo). In questa fase non c’è bisogno di un avvocato. Ciò può essere tuttavia uno svantaggio per il detenuto, dati i tecnicismi di questo procedimento. 109 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission 150. Se questo ricorso è respinto o non ha seguito, il detenuto può allora rivolgersi al giudice amministrativo. In questa ha bisogno dell’assistenza di un avvocato e può accedere a tal fine al gratuito patrocinio. L’avvocato deve essere uno specialista del contenzioso amministrativo. (Gli ordini degli avvocati spagnoli distinguono gli avvocati e i loro turni in base alla specializzazione. Ciò significa che l’avvocato assegnato al detenuto per assisterlo nella richiesta di danni all’Amministrazione non è lo stesso che si occupa dei suoi problemi penitenziari.) 151. All’Amministrazione si applica una "responsabilità oggettiva". Il danno deve essere "personale", cioè il detenuto deve essere stato danneggiato individualmente e non può chiedere il risarcimento del danno dovuto a cause strutturali, come ad esempio il sovraffollamento (il detenuto dovrebbe essere stato danneggiato direttamente e individualmente dal sovraffollamento). 152. Il procedimento dura di solito più o meno un anno. La decisione finale può essere impugnata di fronte a un giudice superiore (sempre appartenente all’"ordine" amministrativo). L’ammontare del risarcimento è irrisorio e può accadere che il giudice non decida in favore del detenuto. 153. In Romania, la legge penitenziaria disciplina le soluzioni che possono essere adottate dal giudice, ovvero, quando il reclamo è accolto in tutto o in parte, ordinare l’annullamento o la modifica del provvedimento preso dall’amministrazione del carcere oppure ordinare alla stessa amministrazione di provvedere come richiesto. In caso di violazione di un obbligo relativo a un diritto delle persone private della libertà è possibile ordinare all’amministrazione del carcere di adempiere anche per porre fine alla violazione (per esempio, ordinare di prestare le cure mediche richieste). 154. Una serie di decisioni prese dai giudici nazionali fra il 2011 e il 2013 e favorevoli ai ricorrenti relativamente ai rimedi preventivi per questioni come le condizioni fisiche di detenzione, le cure mediche e l’alimentazione, sono riportate in un documento redatto dalle autorità nazionali e accessibile sul sito web del Consiglio d’Europa237. Tuttavia il Comitato dei Ministri e la Corte europea dei diritti dell’uomo ritengono che finora questo canale di ricorso non sia stato effettivo (si veda più sotto). 155. La CEDU ha già accertato che, data la natura specifica di questo tipo di reclamo, i provvedimenti giuridici suggeriti dal governo non costituiscono un rimedio effettivo (si veda ad es. Verdes v. Romania, 24/11/2015). 237 https://rm.coe.int/CoERMPublicCommonSearchServices/DisplayDCTMContent?documentId=0900001680 5922f8 110 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission 156. In Olanda, se la Commissione per i reclami decide a favore del detenuto può annullare la decisione del carcere, ordinare al Direttore di prenderne una nuova, respingere un reclamo o accordare un indennizzo. I detenuti possono quindi ottenere un indennizzo dalla Commissione per i reclami (vedi più sopra). Se un reclamo è giudicato fondato in tutto o in parte il direttore deve revocare la sua decisione. Se ciò non è più possibile, il presidente della Commissione può riconoscere un indennizzo al ricorrente. 157. L’indennizzo può essere in natura, ad esempio una telefonata o un colloquio in più, ma può anche essere in denaro. L’indennizzo non ha la natura di un risarcimento pieno vero e proprio ma ha un carattere simbolico. Per un risarcimento completo occorre rivolgersi al giudice civile. 158. In Bulgaria, il procedimento davanti ai tribunali amministrativi è il seguente. 159. Ordini di divieto alle autorità amministrative: chiunque sia legittimato può chiedere la cessazione di un’azione eseguita da un’autorità amministrativa senza fondamento nella legge o in una decisione amministrativa. 160. Ordini di obbligo alle autorità amministrative: una persona può avviare un procedimento per ordinare a un’autorità amministrativa di eseguire un atto prescritto da una disposizione di legge. Occorre presentare un ricorso entro 14 giorni dalla richiesta all’organo amministrativo di eseguire una certa azione. L’inazione di un’autorità amministrativa è impugnabile indefinitamente, applicando mutatis mutandis le disposizioni sulla contestazione di singoli atti amministrativi. Se il tribunale accoglie il reclamo, ordina all’autorità di eseguire l’azione e fissa un termine. 161. Alla luce della giurisprudenza nazionale, la Corte nei casi Neshkov e Harakchiev and Tolumov ha valutato nel complesso che il procedimento per ottenere un ordine del tribunale non possa ritenersi un rimedio preventivo effettivo del sovraffollamento e delle cattive condizioni di detenzione. Secondo la Corte, questi strumenti giurisdizionali di tutela “potrebbero essere modellati in modo da dare spazio ai reclami relativi alle condizioni di detenzione se tutti i punti poco chiari, come l’approccio dei tribunali a tali richieste, l’individuazione del convenuto, la durata degli ordini alle autorità e il modo esatto di eseguirli, compreso quando si tratta di sovraffollamento, fossero chiariti correttamente”. 162. Per parte loro, le sezioni penali dei tribunali ordinari decidono su ogni forma di esecuzione della pena che aggiunge nuove restrizioni alla condizione giuridica o al regime di sicurezza del detenuto, sulla libertà condizionale e sulla sostituzione dell’ergastolo con una pena detentiva temporanea. Possono anche annullare le decisioni 111 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission sull’isolamento a scopo preventivo o come sanzione disciplinare e quelle del direttore del carcere sulla confisca dei beni del detenuto. 163. Rispetto ai rimedi compensatori, la possibilità di chiedere un risarcimento danni ai sensi della SMRDA costituisce il solo rimedio compensatorio a disposizione delle vittime dei trattamenti disumani e degradanti dovuti alle condizioni di detenzione. Anche se la SMRDA è in vigore dal 1989, solo nel 2003 i tribunali hanno cominciato a riconoscere il risarcimento del danno causato dalle condizioni di detenzione. Attualmente la richiesta di risarcimento danni è un meccanismo compensatorio generale a disposizione di chiunque, compresi i detenuti e gli internati. 164. L’autorità competente a conoscere dei reclami contro decisioni, atti od omissioni illegittimi da parte di funzionari amministrativi è il tribunale amministrativo in composizione monocratica. Se il ricorso si riferisce a un atto o a un’omissione illegittimi, tale illegittimità deve essere accertata dalla corte investita della richiesta di risarcimento. 165. In Irlanda, a seconda del provvedimento richiesto nell’uno o nell’altro tipo di processo, la corte può scegliere di dare numerosi tipi di ordini pertinenti. a. Un ordine di certiorari annulla o cancella una decisione per violazione della legge o della costituzione. L’accoglimento della richiesta di un ordine di certiorari implica che qualsiasi decisione è dichiarata nulla e priva di effetti. La corte può anche emettere un ordine di prohibition che impedisce preventivamente di prendere una decisione. b. Un ordine di mandamus è un ordine della corte all’autorità pubblica di eseguire un atto specifico (o di astenersi dal fare qualcosa) per adempiere a un obbligo di legge. Quest’ordine è considerato un rimedio preventivo, diretto a migliorare le condizioni materiali di detenzione. I giudici irlandesi si sono tradizionalmente astenuti dall’interferire con le funzioni dell’esecutivo (separazione dei poteri) e, come accennato in precedenza, hanno concesso ai direttori un ampio margine di discrezionalità nel gestire le prigioni. Alla luce di ciò, “il mandamus è un rimedio difficile da ottenere nel contesto carcerario, ma può essere dato in circostanze appropriate” (Rogan, M., 2014).http://www.prisonlitigationnetwork.eu/?page_id=630 - _ftn97 Nel caso Mulligan (2010) la corte ha sostenuto che in circostanze appropriate è “[…] competente a ordinare miglioramenti delle condizioni carcerarie se necessario per proteggere un diritto costituzionale, e se tale protezione non è ristretta da vincoli come la praticabilità. […] Può essere necessario allora bilanciare la protezione e la tutela di questo diritto con altre norme costituzionali.” 112 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission Questa citazione mostra però che anche dove c’è la possibilità di ottenere un ordine del giudice, qualunque azione pretesa dall’amministrazione penitenziaria può essere giudicata contraria alle considerazioni pratiche di ciò che è possibile nel contesto carcerario. c. Nei procedimenti di controllo giurisdizionale la corte può anche accordare un risarcimento danni al ricorrente (un rimedio compensatorio) a condizione che quest’ultimo lo richieda nell’atto con cui propone il ricorso. I procedimenti di Habeas Corpus 166. I procedimenti di Habeas Corpus sono un rimedio non generale, accessibile solo ai soggetti in stato di detenzione. Nel ricorso di Habeas Corpus il ricorrente chiede di essere rilasciato sostenendo che le sue condizioni sono tali da mettere in pericolo la vita o la salute. 167. La questione in un procedimento di Habeas Corpus è “se le condizioni sono così gravi da autorizzare la liberazione immediata”. Ciò potrebbe accadere solo in circostanze del tutto eccezionali “in cui le condizioni in cui è tenuto un recluso possono invalidare una detenzione che è a prima vista legale e autorizzata da un mandato” (State (Richardson) v Governor of Mountjoy Prison [1980]). La corti irlandesi hanno costantemente sostenuto che normalmente i detenuti dovrebbero ricorrere ad altri strumenti processuali, come per esempio un ricorso di incostituzionalità in un procedimento plenario o in sede di controllo giurisdizionale. L’Habeas corpus, si sostiene, “è un rimedio speciale e importante, a cui si può ricorrere con celerità per permettere un’indagine sulla detenzione di una persona. Il rimedio cercato è la liberazione della persona. Non ha una portata più ampia. Non è un controllo giurisdizionale né un procedimento plenario” (W (a Minor) v The Health Service Executive [2014]). Come tale è un rimedio non solo eccezionale ma anche molto difficile da ottenere in situazioni in cui la persona è stata condannata per un reato ed è detenuta sulla base di un legittimo ordine di carcerazione. L’azione civile 168. Tale azione può essere intrapresa nei casi in cui è argomentabile che l’amministrazione penitenziaria o il singolo carcere abbiano il dovere di prendersi cura del detenuto, e che tale dovere è stato violato. Alcuni esempi di possibili strade sono i seguenti. a. Ricorsi ai sensi dello Occupiers’ Liability Act 1995: si può sostenere che l’amministrazione penitenziaria abbia il dovere di prendersi cura di un particolare 113 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission detenuto come ‘visitatore’ delle sue strutture (il carcere). Fattispecie rientranti in questa legge sono ad esempio il caso Power v Governor of Cork Prison (2005) in cui il giudice ha deciso a favore del ricorrente che era scivolato sul pavimento umido del bagno della prigione, ferendosi alla testa. Il giudice ha affermato che il carcere aveva il dovere di prendersi cura dei detenuti predisponendo un ambiente sicuro e ha concesso al ricorrente un risarcimento sostanziale. b. Ricorsi fondati sul dovere di proteggere i detenuti da aggressioni di altri detenuti: in tali casi può essere riconosciuta una responsabilità del carcere per “non essersi debitamente curato di impedire che i detenuti sotto la sua responsabilità fossero feriti da altri detenuti” (Binchy, W. (nd) Prisoners and the Law of Tort [on-line]). c. Ricorsi ai sensi del Safety, Health and Welfare at Work Act 2005, alcune disposizioni del quale si applicano alle carceri (compatibilmente con considerazioni di custodia, buon ordine e sicurezza). 169. In Germania, il paragrafo 109 § 1 della legge sull’esecuzione delle pene prevede la possibilità di un controllo giurisdizionale (da parte del Tribunale regionale) contro i provvedimenti concernenti le condizioni di detenzione. 170. Se il provvedimento è illegittimo e ha violato un diritto del ricorrente, il tribunale lo annulla. Se il provvedimento è già stato eseguito, il tribunale può anche ordinare che l’esecuzione sia annullata dall’autorità carceraria, e in che modo, posto che la materia sia matura per una decisione. 171. Se prima di ciò il provvedimento è divenuto inutile perché revocato o per qualche altro motivo, il tribunale può dichiarare a richiesta che era illegittimo se il ricorrente ha un interesse motivato a tale dichiarazione. 172. Se il rifiuto o l’omissione di un provvedimento sono illegittimi ed è stato violato un diritto del ricorrente, il tribunale dichiara che l’autorità carceraria è obbligata ad eseguire l’atto d’ufficio richiesto, posto che la materia sia matura per una decisione. Altrimenti il tribunale dichiara che l’autorità è obbligata ad avvertire il ricorrente, adeguandosi al punto di vista giuridico del tribunale. 173. Se l’autorità carceraria ha un potere discrezionale di agire, il tribunale esamina anche se il provvedimento o il rifiuto o l’omissione violano i limiti legislativi del potere discrezionale o se tale potere è stato esercitato in modo incompatibile con il suo scopo. 174. Un individuo ha diritto di essere risarcito dallo Stato per il danno derivante da una violazione dei doveri d’ufficio da parte di un funzionario. Tuttavia l’obbligo di riparazione non sussiste se la parte lesa ha volontariamente o colposamente omesso di evitare il danno con i mezzi legali disponibili. 114 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission 175. Nella sentenza del 27 febbraio 2002 (no. 2 BvR 553/01), la Corte costituzionale federale ha annullato la decisione presa dal tribunale penale in sede di controllo sulle condizioni di detenzione di un detenuto. Il ricorrente era stato tenuto ventitré ore al giorno per quattro giorni insieme a un’altra persona in una cella di 7,6 metri quadri. Il bagno era all’interno della cella senza alcuna separazione dal resto della stanza. La Corte ha ritenuto in particolare l’irrilevanza del fatto che forse il ricorrente non aveva contestato la collocazione temporanea in tale cella durante la detenzione, perché le autorità hanno il dovere di rispettare la sua dignità umana indipendentemente dal fatto che avesse contestato o no il suo trattamento. 176. In Inghilterra e Galles, se la richiesta di un controllo giurisdizionale è accolta i rimedi disponibili sono i seguenti: un ordine obbligatorio, cioè un ordine emesso da una corte superiore che obbliga o istruisce una corte inferiore o un funzionario statale ad eseguire correttamente i suoi doveri (noto prima come ordine di mandamus); un ordine di annullamento che annulla la decisione presa da un organo pubblico, emesso di solito quando l’organo ha agito ultra vires, cioè senza averne il potere (noto storicamente come ordine di certiorari); un ordine proibitivo che impedisce all’organo pubblico di fare qualcosa di illegittimo (noto in passato come ordine di prohibition); una dichiarazione, cioè una sentenza del Tribunale amministrativo che chiarisce i rispettivi diritti e doveri delle parti della causa senza emettere un ordine; un risarcimento danni, disponibile come rimedio in sede di controllo giurisdizionale solo in circostanze limitate, cioè non per il semplice fatto che un’autorità pubblica ha agito illegalmente ma specificamente in violazione del diritto europeo o dello Human Rights Act del 1998. 177. Il diritto al risarcimento danni deriva normalmente dall’accertamento di una violazione dei diritti protetti dalla Convenzione. Anche le cattive condizioni di detenzione possono potenzialmente fondare un risarcimento danni per violazione dei diritti della Convenzione EDU. 178. La richiesta di risarcimento danni deve soddisfare alcune condizioni: (1) che l’illegalità o possibile illegalità accertata sia una violazione o una possibile violazione di un diritto della Convenzione da parte di un’autorità pubblica; (2) che la corte abbia il potere di concedere un risarcimento danni, o il pagamento di un indennizzo, nel procedimento civile; (3) che la corte abbia accertato, tenuto conto di tutte le circostanza del caso, che il risarcimento danni sia necessario per dare giusta soddisfazione alla persona che ne beneficia; e (4) che la corte ritenga il risarcimento danni giusto e appropriato. La corte non può concedere il risarcimento se non è certa che sia necessario, ma una volta accertata tale necessità è difficile vedere come la corte lo possa ritenere se non giusto e appropriato. Nel decidere se concedere un risarcimento e di quale entità, la 115 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission corte non è vincolata rigidamente dai principi applicati dalla Corte europea nel riconoscere un risarcimento ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione, ma deve tenerne conto. È quindi a Strasburgo che i tribunali britannici devono guardare per orientarsi nel risarcimento danni (si veda R (Greenfield) v Secretary of State for the Home Department (2005). 179. Un punto critico è la portata del sindacato esercitato dai tribunali nazionali in sede di controllo giurisdizionale delle decisioni negative del Segretario di Stato sulla liberazione degli ergastolani. In teoria, le corti possono ordinare al Segretario di Stato di liberare l’ergastolano se l’ergastolo non è più giustificato da legittimi motivi penologici, ma questa non è la prassi effettiva delle corti di Inghilterra e Galles (si veda la causa Hutchinson pendente di fronte alla CEDU). Francia 180. Nei tribunali amministrativi i poteri del giudice sono diversi a seconda del tipo di rimedio. 181. Il caso più noto è un ricorso per “abuso di autorità” (o azione di annullamento), nel quale il giudice deve verificare la legalità di una decisione amministrativa e decidere se annullarla. I detenuti possono chiedere l’annullamento di un atto regolamentare, cioè un atto generale e astratto (decreto, regolamento interno, etc.), o di una decisione individuale che li riguarda personalmente. 182. In caso di urgenza si può chiedere un provvedimento cautelare per: 1) sospendere una decisione illegale (una sospensiva o “référé-suspension”); 2) fermare una violazione grave e manifesta di diritti e libertà fondamentali (“ricorso per la protezione di diritti e liberà fondamentali”, o “référé-liberté”); si applica solo in casi eccezionali, dato che la richiesta di sospensiva (“référé-suspension”) è spesso preferibile; un caso del genere, per esempio, è stato ravvisato nel contenzioso penitenziario per giustificare dei provvedimenti diretti a migliorare delle condizioni materiali di detenzione ritenute contrarie alla dignità umana (CE, 22 Dec. 2012, OIP, no. 364584); 3) porre rimedio a una situazione pregiudizievole per il detenuto (“procedimento cautelare tutelare” o “référé-mesures utiles”): il giudice può disporre tutti i “provvedimenti utili che non ostacolino l’esecuzione di alcuna decisione amministrativa”. Il giudice decide entro un mese. 183. Anche se elaborato, e con una notevole mole di giurisprudenza alle spalle, il sistema dei rimedi giuridici presenta dei chiari limiti per quel che riguarda in particolare le condizioni di detenzione. 116 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission 184. I detenuti possono chiedere il risarcimento del danno causato da un atto o da una decisione illecita dell’amministrazione penitenziaria in un procedimento cautelare (“provvisionale”) o in un procedimento di merito. 4. TIPOLOGIA PROCEDURALE: LE NORME PROCEDURALI CHE REGOLANO IL FUNZIONAMENTO DI QUESTE AUTORITÀ 4.1 L’accesso ai tribunali, compreso il gratuito patrocinio 185. Le norme che disciplinano il ricorso a organi specializzati rendono questi ultimi il più accessibili possibile rispetto alle formalità procedurali. Tuttavia le norme procedurali sono spesso in gran parte indeterminate, il che può avere un effetto negativo sulla qualità del contraddittorio e rendere difficile ai detenuti l’accesso agli elementi di chi hanno bisogno per sostenere la loro pretesa. Viceversa gli organi ordinari sono generalmente meglio attrezzati sotto l’aspetto del contraddittorio e della parità di armi, ma hanno spesso requisiti procedurali più stringenti. Quasi ovunque l’accesso o la portata del gratuito patrocinio appare un aspetto cruciale. 186. In Italia, un detenuto può ricorrere direttamente al Tribunale di sorveglianza competente, in qualsiasi momento e senza termini di decadenza, per denunciare la violazione di una norma dell’ordinamento penitenziario. Per quel che riguarda il rimedio preventivo (art. 35-bis), il danno causato dalla violazione deve essere in atto al momento del ricorso. Nel caso speciale di un ricorso contro un provvedimento disciplinare il detenuto deve presentarlo entro 10 dall’adozione dell’azione disciplinare. 187. Per quel che riguarda l’articolo 3 della Convenzione EDU, il procedimento è diverso a seconda delle possibili alternative. 1) I detenuti condannati possono rivolgersi, direttamente o tramite un avvocato, al Magistrato di sorveglianza. La Cassazione ha confermato in una sentenza recente238 che il procedimento per chiedere il rimedio risarcitorio ai sensi dell’articolo 35-ter deve essere lo stesso che per il rimedio preventivo di cui all’articolo 35-bis. 2) Gli ex detenuti e i detenuti in attesa di giudizio possono rivolgersi al giudice civile personalmente o tramite un avvocato. La procedura è quella prevista dal Codice di procedura civile. 238 Suprema Corte di Cassazione, decisione No. 315, 8 gennaio 2015 117 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission 188. L’accesso al gratuito patrocinio è un problema rilevante. I liberi professionisti disponibili per questo servizio fanno domanda all’Ordine di appartenenza e il loro nome è iscritto in un elenco. Numerosi ostacoli si frappongono all’accesso al gratuito patrocinio in carcere. 189. Mentre i detenuti comunitari possono fare domanda allegando un’autocertificazione del loro reddito, i detenuti extracomunitari devono allegare un certificato autenticato. La procedura per ottenerlo e farlo autenticare può richiedere parecchi mesi e molti di loro sono immigrati irregolari che dichiarano false generalità. 190. Molti carceri non forniscono l’elenco degli avvocati iscritti al gratuito patrocinio, e pertanto i detenuti hanno difficoltà a contattare un avvocato. Spesso gli avvocati rifiutano di prestare il gratuito patrocinio, costringendo i detenuti a contattarne diversi prima di trovarne uno disponibile. Il rimborso del gratuito patrocinio è pagato dallo Stato 2 o 3 anni dopo la richiesta, e per questo motivo qualche volta i legali rifiutano di prestarlo. Il Tribunale deve verificare che il richiedente abbia i requisiti e deve autorizzare il gratuito patrocinio. Talvolta l’avvocato del gratuito patrocinio chiede denaro al detenuto per il suo lavoro prima che arrivi l’autorizzazione del giudice. 191. In Romania occorre distinguere fra il rimedio chiesto al giudice di sorveglianza e quello richiesto al giudice civile. 192. Il primo, concepito come un rimedio preventivo, è più accessibile perché il giudice ha sede in carcere. Il ricorso può essere presentato al giudice di sorveglianza entro 10 giorni dalla data in cui la persona ha avuto conoscenza del provvedimento. La decisione provvisoria del giudice di sorveglianza deve essere notificata al condannato e all’amministrazione del carcere entro 3 giorni dalla pronuncia. Il detenuto e l’amministrazione del carcere possono impugnare la decisione del giudice di sorveglianza davanti al tribunale di prima istanza competente per territorio, entro 5 giorni dalla sua comunicazione. Il ricorso è presentato al tribunale insieme al fascicolo entro due giorni dalla loro ricezione. Il ricorso è discusso in udienza pubblica, il condannato e l’amministrazione del carcere sono convocati e hanno la facoltà di produrre osservazioni e conclusioni scritte. Il condannato è condotto di fronte al tribunale solo su richiesta di quest’ultimo e in tal caso deve essere sentito. L’assistenza legale non è obbligatoria. 193. Il recente regolamento di applicazione della legge 254/2013 statuisce espressamente che tutte le spese dovute dal detenuto in applicazione del suo diritto di petizione e corrispondenza sono a carico dell’amministrazione penitenziaria se il detenuto non ha avuto redditi negli ultimi 30 giorni. 118 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission 194. Per quel che riguarda il rimedio risarcitorio di diritto civile, il procedimento è in contraddittorio e si osservano tutte le norme applicabili della procedura civile (possibilità di assistenza legale, equo processo, doppio grado di giurisdizione, etc.). Questo ricorso deve essere presentato al giudice civile competente entro tre anni dal momento in cui il danneggiato ha avuto o potuto avere conoscenza del pregiudizio e del suo autore. Gli atti non sono soggetti a imposta di bollo. 195. L’accesso al gratuito patrocinio non è possibile nel caso del rimedio preventivo o compensatorio. Il detenuto deve perciò pagare un avvocato o farne a meno. 196. In alcuni casi speciali davanti al giudice civile, se il detenuto è povero può chiedere un avvocato d’ufficio o l’esenzione dal pagamento delle spese legali. Tuttavia l’assistenza di un avvocato d’ufficio nel contenzioso penitenziario non è prassi comune. 197. In Bulgaria le norme procedurali da seguire per richiedere un ordine del tribunale obbligatorio o proibitivo sono le seguenti. 198. Il ricorso va presentato al tribunale amministrativo competente per territorio. Il ricorrente deve pagare un diritto fisso di 10 lev (5 euro). Può anche chiedere al tribunale di essere esonerato dal pagamento del diritto perché privo di mezzi. L’accesso al patrocinio a spese dello Stato è possibile secondo le norme generali della legge sul gratuito patrocinio. La presenza del ricorrente alle udienze non è obbligatoria. 199. Il ricorso deve essere esaminato immediatamente da un giudice singolo, che può ordinare un’indagine della polizia o di un’altra autorità per stabilire se le azioni contestate sono ancora in atto, in nome di chi e a quale titolo. 200. Per quel che riguarda il rimedio compensatorio un diritto fisso di 10 lev per persona fisica (euro 5,12) è dovuto per presentare un ricorso ai sensi della SMRDA. Il tribunale può esonerare il ricorrente dal pagamento se dimostra di essere privo di mezzi. Il ricorrente deve pagare tutte le spese del giudizio solo in caso di soccombenza totale o se rinuncia completamente al ricorso. Se il tribunale accoglie il ricorso in tutto o in parte il convenuto è tenuto a pagare le spese del giudizio oltre che le spese legali del ricorrente. Di nuovo, il tribunale può ammettere il ricorrente al gratuito patrocinio se dimostra di essere privo di mezzi. L’avvocatura bulgara, tuttavia, non è organizzata per fornire assistenza specializzata nel contenzioso penitenziario. 201. La richiesta di risarcimento danni deve indicare esattamente il convenuto (Direttore generale dell’esecuzione penale). Tuttavia è frequente che i detenuti, a causa della mancanza di preparazione giuridica e di assistenza legale, facciano ricorso invece al Ministero della giustizia. I ricorsi contro il convenuto errato sono respinti dai tribunali. 119 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission 202. Nella sentenza pilota Neshkov la Corte ha ritenuto che la richiesta di risarcimento ai sensi della SMRDA non sia un rimedio compensatorio effettivo, tenuto conto fra l’altro del fatto che in qualche caso i tribunali esigono che i detenuti presentino ricorsi separati per i danni causati da ogni singolo problema che li riguarda e li esaminano separatamente, invece di adottare un approccio cumulativo alle condizioni di detenzione, e che i tribunali bulgari non ritengono che il danno causato al ricorrente dalle cattive condizioni materiali di detenzione sia da presumere. 203. In Germania, la richiesta di controllo giurisdizionale deve essere presentata dal detenuto entro due settimane dalla comunicazione scritta o implicita del provvedimento. Se il ricorrente non ha potuto osservare il termine senza sua colpa può chiederne la rimessione. 204. Se il ricorrente contesta l’omissione di un provvedimento, il ricorso non è esperibile prima di tre mesi dalla richiesta di provvedere, a meno che le circostanze del caso richiedano un ricorso anticipato al tribunale. 205. La Corte costituzionale federale ha stabilito il principio che fraintendere il significato chiaro di un ricorso con danno processuale del detenuto viola il diritto a una difesa legale equa ed effettiva nonché il divieto costituzionale di decisioni arbitrarie (BVerfG Beschl.(2001) NJW3770). 206. I due principali punti critici sono che il tribunale decide senza audizione del detenuto (anche se può chiedere di ascoltarlo se può servire a chiarire il caso), e che può esaminare la legalità del potere discrezionale (mal) esercitato dalle autorità carcerarie, ma non il merito del suo esercizio. 207. Il rimedio è accessibile (per chi sa leggere e scrivere) e il procedimento si svolge in tedesco. È interamente scritto. Il detenuto deve sostenere che i diritti conferiti dalla legge penitenziaria sono stati violati ma le possibilità di successo sono scarse. La decisione dell’istituto deve essere impugnata entro due settimane; l’appello deve essere presentato entro un mese dalla decisione e redatto da un avvocato o da un assistente del tribunale (che è richiesto di recarsi in carcere). 208. Il ricorrente riceve tutti documenti prodotti dall’altra parte (l’autorità carceraria convenuta). Il detenuto riceve una copia scritta della decisione del tribunale. 209. Per quel che riguarda il rimedio risarcitorio, si deve osservare che in base al codice civile “il risarcimento del danno non è dovuto se il danneggiato ha intenzionalmente o colposamente omesso di impedirlo ricorrendo ai mezzi legali”. La Corte di giustizia federale ritiene pertanto che il detenuto in situazione di sovraffollamento non possa chiedere i danni se a suo tempo non ha chiesto un rimedio preventivo per far cessare 120 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission l’abuso, anche se era palesemente improbabile che la direzione potesse trovare un’altra cella (11 March 2011). 210. In Spagna i detenuti possono presentare reclami e richieste al Direttore del carcere. Di fatto, anche se non è prevista da alcuna legge, si è affermata la prassi di presentare prima un reclamo o una richiesta alle autorità carcerarie e solo dopo passare alle vie giudiziarie. Se il reclamo o la richiesta sono respinti dall’amministrazione penitenziaria o se entro tre mesi dal loro ricevimento l’amministrazione penitenziaria non compie alcun atto, il detenuto può presentare un “ricorso di reclamo” (“recurso de queja”) al Giudice di vigilanza penitenziaria. 211. In Francia, le norme procedurali di fronte al giudice amministrativo non sono molto stringenti. L’assistenza di un avvocato è obbligatoria solo in alcuni procedimenti (responsabilità civile, processi in appello o in Cassazione). I ricorsi per annullamento devono includere il provvedimento richiesto (cioè l’annullamento di una decisione contestata ed eventualmente un ordine del tribunale), i fatti e i motivi di diritto. Il ricorrente deve dimostrare che l’atto impugnato è illegittimo, non solo che gli è sfavorevole. Occorre produrre tre copie del ricorso, il che di per sé pone il problema dell’accesso a una fotocopiatrice. In generale un ricorso non può essere dichiarato inammissibile se prima la cancelleria non ha chiesto al ricorrente di correggerlo. 212. Per quel che riguarda il “rimedio preventivo” (strumento volto a impedire o a far cessare un dato trattamento), la difficoltà tecnica, che può essere molto grave in certi casi, è in realtà soprattutto quella di identificare gli strumenti procedurali appropriati. 213. Coesistono vari di procedimento, in particolare quando il giudice deve agire in via di urgenza (procedimento cautelare). L’interazione fra i vari mezzi di tutela è molto complessa. Di fatto i mezzi di ricorso preventivi che mirano a far cessare delle condizioni di detenzione improprie e richiedono una gestione molto precisa del procedimento sono presi in carico o assistiti dall’Observatoire international des prisons (OIP), e non dai detenuti personalmente. 214. Per parte loro, i rimedi compensatori sono soggetti a requisiti più stringenti (necessità di chiedere prima un indennizzo in via amministrativa, obbligo di assistenza legale e di specificare il tipo di responsabilità – oggettiva o colposa). E tuttavia è soprattutto in questo campo che è sorto un contenzioso concernente le condizioni materiali di detenzione. Gli avvocati se ne sono fatti carico, grazie in particolare alla disponibilità di “guide del contenzioso”. 215. I ricorsi di competenza del giudice ordinario non sono soggette a particolari formalità e possono essere presentati all’ufficio della prigione. Gratuito patrocinio 121 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission 216. In pratica, i detenuti possono chiedere il gratuito patrocinio senza bisogno di dimostrare la mancanza di mezzi, presentando semplicemente un “certificato di presenza”. La richiesta è fatta su un formulario apposito. Questo documento di sette pagine pone problemi di scrittura e comprensione a numerosi detenuti. Inoltre i casi in cui è possibile chiedere il gratuito patrocinio non sono sempre conosciuti, né c’è la possibilità di addurre lo stato di detenzione per motivare la richiesta. 217. I beneficiari possono scegliersi un avvocato purché quest’ultimo accetti. Molti degli avvocati intervistati239 hanno sottolineato l’insufficienza delle somme pagate dallo Stato in confronto alla mole di lavoro richiesta da una difesa adeguata. In una sentenza del 30 dicembre 2015 il Consiglio di Stato francese (CE) ha ritenuto che lo Stato possa lasciare a carico dell’avvocato una parte dei costi del gratuito patrocinio. 218. In Olanda, le formalità procedurali sono poche. Un detenuto può rivolgersi alla Commissione per i reclami per contestare una decisione che lo riguarda presa dal Direttore o a suo nome (un’omissione o un rifiuto sono equiparati a una decisione). Il Direttore deve dare al detenuto che intende fare reclamo l’opportunità di farlo nel più breve tempo possibile. 219. Un organo amministrativo indipendente denominato la Commissione per il gratuito patrocinio (CGP) è incaricato di trattare tutte le questioni concernenti il sistema del gratuito patrocinio. Esse includono il confronto fra la disponibilità di esperti legali e la domanda di assistenza legale, oltre che la supervisone sui servizi effettivamente forniti e il controllo della loro qualità. 220. Secondo la Costituzione ogni cittadino ha diritto di rivolgersi al giudice, chiedere assistenza e rappresentanza legale e, se non ha mezzi sufficienti, ricevere assistenza legale a spese dello Stato. Il sistema del gratuito patrocinio fornisce assistenza legale alle persone con pochi mezzi. Chiunque abbia bisogno di assistenza legale professionale ma non possa sostenerne (tutto) il costo ha diritto di avvalersi delle norme della legge sul gratuito patrocinio. 221. Il modello olandese di gratuito patrocinio è fondamentalmente triplice. - Preliminarmente, la disponibilità di un’applicazione online offre un aiuto digitale. - Gli sportelli di assistenza legale operano come ‘portineria’ (orientamento preliminare). Spiegano ai clienti le questioni giuridiche e danno consigli e informazioni. I clienti 239 Le interviste si sono svolte per preparare una monografia su un carcere della regione di Parigi (compresi in particolare una etnografia di lunga durata e un numero significativo di interviste a detenuti e personale penitenziario), come parte di una tesi di dottorato in sociologia (Corentin Durand, “Production et traitement de doléances en milieu carcéral. Sociologie des communications critiques entre prisonniers et autorités”, EHESS - Paris –superv. Liora Israël e Nicolas Dodier). 122 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission possono essere indirizzati a un avvocato privato o a un mediatore, che operano come seconda linea di assistenza legale. I clienti possono anche chiedere aiuto direttamente a un avvocato o a un mediatore convenzionati. Se necessario i clienti possono anche essere indirizzati ad altri professionisti o servizi di assistenza. L’organizzazione ‘LSC’ ha 30 uffici in tutto il paese, che condividono un sito web e un call centre. - Gli avvocati e i mediatori privati offrono assistenza giuridica su questioni più lunghe e complicate previa richiesta di un certificato. Un avvocato (o mediatore) fa una richiesta alla CGP a nome del suo cliente. Il reddito del richiedente non deve eccedere € 25.600 (persona singola) o € 36.100 (persona coniugata/ singola con figli). Avvocati e mediatori sono retribuiti dalla CGP, in generale un compenso fisso secondo il tipo di controversia. Il detenuto ha diritto di cambiare avvocato in ogni momento, anche se quest’ultimo è retribuito dallo Stato. 222. In Irlanda, i procedimenti a tutela dei diritti costituzionali (che normalmente sarebbero connessi a un’allegata violazione delle Regole penitenziarie) possono anche essere istituiti per mezzo di procedimenti di citazione plenari (con allegazioni scritte e assunzione di prove orali) o di procedimenti di controllo giurisdizionale presso l’Alta corte. I procedimenti plenari hanno il vantaggio per il detenuto e i suoi rappresentanti legali di poter produrre prove e controinterrogare i testimoni, mentre il controllo giurisdizionale è normale un procedimento molto più sommario. I procedimenti plenari possono “dare più spazio all’esame delle questioni e sono spesso più adatti quando la causa del reclamo sono le condizioni carcerarie”. 223. Esiste anche un ricorso giudiziario informale. Ogni detenuto può scrivere all’Ufficio centrale dell’Alta corte per contestare il motivo o le condizioni della detenzione. Questi reclami sono di natura informale e non seguono specifiche norme della corte. Quando riceve un reclamo di questo genere la Corte conduce un’indagine, chiedendo eventualmente un rapporto al direttore del carcere. La decisione è presa in udienza pubblica e il procedimento 224. “[…] è un mezzo molto efficace di garantire che i detenuti non siano isolati e abbiano un’autorità finale a cui rivolgersi per questioni di diritto. L’informalità del sistema giova alla sua amministrazione. Nulla di questo procedimento informale pregiudica qualsiasi forma di controllo giurisdizionale […]. Né questo sistema può ledere il diritto delle parti interessate a ricorrere per habeas corpus a un giudice dell’Alta corte secondo il procedimento ordinario. Il procedimento si aggiunge agli atri diritti e garanzie procedurali. Consiste in un mezzo eccezionale di accesso all’Alta corte a beneficio dei detenuti.” 123 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission 225. Questo procedimento è a disposizione di qualunque detenuto, definitivo o in attesa di giudizio. Non si richiede che abbia rappresentanza legale. Non è chiaro quanto spesso sia utilizzato in pratica. 226. Nessuna norma del diritto irlandese obbliga i detenuti a farsi rappresentare nelle controversie giudiziarie relative al loro trattamento durante la detenzione. I detenuti possono agire personalmente e iniziare un procedimento di Habeas Corpus o di controllo giurisdizionale o plenario tramite una petizione diretta. La complessità della procedura, compresi i requisiti probatori, rende la rappresentanza importante se non necessaria. 227. L’Irlanda ha numerosi programmi di assistenza legale. È importante per i nostri fini il programma di Assistenza legale – questioni relative alla detenzione, un programma ex gratia che copre certi tipi di cause iniziate dai detenuti. Essi comprendono i ricorsi di Habeas Corpus, le proposte di cauzione dell’Alta corte e della Corte suprema, alcuni tipi di controllo giurisdizionale, le richieste di estradizione e del mandato di arresto europeo (MAE). I controlli giurisdizionali coperti dal programma sono quelli diretti a ottenere un ordine di Certiorari, Mandamus o Prohibition e che riguardano questioni penali o la libertà personale del ricorrente. Il programma è gestito dalla Commissione per il gratuito patrocinio, e i fondi gravano sul Ministero della giustizia. 228. Il ricorrente deve provare che non è in grado di assumere un avvocato con i propri mezzi. La richiesta di gratuito patrocinio va fatta all’inizio del procedimento. La Corte poi fa una richiesta al Programma se il ricorrente deve esservi ammesso e se ritiene che l’attribuzione di un legale è giustificata dalla natura del caso. L’assistenza a carico del Programma copre soltanto i procedimenti di sua competenza, sicché ad esempio se un detenuto vuole intraprendere un’azione civile (mentre è detenuto) insieme a un ricorso di Habeas Corpus, il Programma paga solo le spese di quest’ultimo. I procedimenti coperti dal Programma devono svolgersi davanti all’Alta corte o alla Corte suprema. 229. L’avvocato assegnato alla causa può servirsi di un interprete e farsi rimborsare la relativa spesa. Regole simili si applicano alle perizie, che possono essere rimborsate a condizione che siano essenziali alla preparazione e alla conduzione della causa. 230. Il gratuito patrocinio è disponibile anche nelle cause civili. È subordinato alla verifica della mancanza di mezzi, che tiene conto sia del reddito che del patrimonio. Il richiedente deve anche dimostrare che la causa giustifica un sostegno finanziario. In quasi tutti i casi il ricorrente deve partecipare alle spese.240 La Commissione per il gratuito patrocinio può recuperare i costi del patrocinio da ogni indennizzo concesso a conclusione della causa condotta con il suo aiuto. 240 Il contributo va da €30 a €150. 124 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission Non è previsto il gratuito patrocinio per i ricorsi ai sensi delle Regole penitenziarie del 2007 o delle Norme sui reclami dei detenuti del 2014. 231. In Inghilterra e Galles, un paragrafo delle Regole di procedura civile dal titolo PreAction Protocol for Judicial Review’ stabilisce i passaggi preliminari per iniziare un ricorso di controllo giurisdizionale. Il ricorrente deve esporre in una memoria preliminare ( ‘letter before claim’) la decisione che contesta, i motivi e i possibili rimedi. La risposta del decisore deve dichiarare quali aspetti della contestazione eventualmente accoglie e quali respinge. Se c’è una forma più immediata di impugnazione o di ricorso, va esperito prima di intraprendere qualsiasi iniziativa giudiziaria. La richiesta di controllo giurisdizionale deve essere presentata rapidamente e in ogni caso non oltre tre mesi dopo che i motivi del reclamo (la decisione) si sono verificati. Il giudice ha il potere di prorogare il termine se è provata una ‘giusta causa’, ad esempio se il ricorso appare verosimilmente fondato e non c’è pericolo di danni a terzi causati dal ritardo. 232. Il ricorrente deve dare al convenuto un Claim Form accompagnato dall’esposizione dei motivi del ricorso e dalle prove. Poi entro 21 giorni il convenuto deve mandare una memoria difensiva (Acknowledgement of Service). Questo termine può essere abbreviato dal giudice in caso di emergenza. 233. Il costo iniziale per chiedere l’autorizzazione a procedere è di £140. Un ricorrente non assistito che ha poco reddito e nessun risparmio è esonerato dal pagamento. 234. Il giudice può dare l’autorizzazione a iniziare il procedimento (dichiarando che il ricorso non è palesemente infondato), rifiutarla o concederla solo per certi motivi e a certe condizioni. 235. Se il giudice dichiara il ricorso completamente infondato il ricorrente non può procedere oltre. Negli altri casi in cui l’autorizzazione è negata il ricorrente può chiedere di essere sentito in udienza entro sette giorni (con un costo aggiuntivo di £350). Se l’autorizzazione è nuovamente negata può rivolgersi alla Corte d’appello. La tariffa da pagare dopo la concessione dell’autorizzazione è di £700 (o £350 se ha già pagato per un’udienza supplementare). Il convenuto deve dare una risposta completa entro 35 giorni producendo le prove. In questa fase (o in casi di urgenza come l’espulsione anche prima dell’udienza per l’autorizzazione) la Corte può prendere un provvedimento cautelare (‘interim relief’) come l’ordine di non eseguire la decisione del convenuto. 236. Una delle questioni principali del diritto penitenziario è se e quale gratuito patrocinio è disponibile. Nel dicembre 2013 l’accesso al gratuito patrocinio è stato abolito nella maggior parte delle aree del diritto penitenziario, specialmente nei casi seguenti: 1) procedimenti davanti alla Commissione per la libertà condizionale concernenti la progressione verso un regime aperto (noti anche come pre-tariff reviews) o il ritorno a un regime aperto; 2) selezione dei detenuti da assegnare a uno dei pochi posti 125 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission disponibili nelle sezioni per madri e bambini; 3) la separazione dei detenuti e la loro collocazione in centri di massima sorveglianza; 4) la classificazione in categoria A; 5) l’accesso ai corsi per comportamento deviante; 6) il reinserimento e le condizioni delle licenze; 7) i procedimenti disciplinari (quando non possono essere imposti giorni aggiuntivi). 237. L’effetto dei tagli è stato il venir meno anche per i detenuti più vulnerabili e svantaggiati della possibilità di accedere al gratuito patrocinio per questioni penitenziarie. Con l’entrata in vigore del Criminal Legal Aid Regulation nel 2013, il gratuito patrocinio è stato circoscritto a tre casi: 1) le udienze davanti alla Commissione per la libertà condizionale quando questa ha il potere di decidere (e non solo di proporre) la scarcerazione; 2) le udienze disciplinari in cui il detenuto rischia di vedersi aggiungere nuovi giorni di sanzione; 3) il calcolo della pena (compreso il controllo della lunghezza della “tariffa” imposta ai minori condannati per omicidio). 238. Il 28 luglio 2015 la Corte di appello ha accolto il ricorso della Howard League for Penal Reform and Prisoners' Advice Service per un controllo giurisdizionale della legalità dei cambiamenti introdotti dal Criminal Legal Aid Regulations del 2013. La Corte ha stabilito che l’associazione ha il diritto di contestare i tagli al gratuito patrocinio per i detenuti. 239. Nondimeno l’effettività del gratuito patrocinio nei meccanismi di ricorso è legata alla possibilità di accedere a fondi pubblici. 240. Il Criminal Defence Service Regulation del 2001 dispone che l’assistenza legale possa essere concessa a un individuo per questioni concernenti il suo trattamento o situazione disciplinare in carcere (non rispetto a un procedimento attuale o potenziale concernente lesioni personali, morte o danneggiamento), o quando è oggetto di un procedimento davanti alla Commissione per la libertà condizionale, se il suo reddito settimanale disponibile non supera £186 e il suo patrimonio disponibile non supera £3.000. Ogni richiesta di un ordine di rappresentazione deve essere fatta nelle forme previste dal CDSR. Lo Standard Crime Contract del 2010 disciplina la prestazione del servizio di gratuito patrocinio in materia penale. Il finanziamento pubblico dipende dal Financial Eligibility Test. L’assistenza legale non copre la rappresentazione, indipendentemente dalle circostanze del cliente o del caso. 4.3 Celerità e speditezza del procedimento 241. Negli ordinamenti dove l’amministrazione penitenziaria è autorizzata a prendere provvedimenti che limitano i diritti fondamentali senza un’autorizzazione legale preventiva, la celerità del rimedio preventivo è un aspetto cruciale dell’effettività, molto più che negli altri ordinamenti. Da questo punto di vista i meccanismi sono generalmente imperfetti, anche se in vario grado. 126 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission 242. I procedimenti osservati non hanno effetto sospensivo. La legge tiene spesso conto dell’esigenza di un’azione rapida, con i seguenti effetti (che possono essere combinati, ove appropriato): un termine perentorio per esaminare il ricorso; procedimenti urgenti nei casi in cui si allega una grave violazione; obbligo del giudice di dare priorità all’esame del ricorso nel contesto del procedimento ordinario. 243. In Olanda, la legge prevede che la Commissione per i reclami debba decidere nel più breve tempo possibile, e in ogni caso non oltre quattro settimane dal ricevimento del reclamo. Questo termine può essere prorogato di altre quattro settimane e nella pratica il procedimento finisce spesso dopo la scadenza. Non c’è un termine perentorio per la decisione d’appello, che deve essere presa ‘nel più breve tempo possibile’. Nella prassi l’appello richiede da due a quattro mesi. Se si tiene un’udienza, la decisione è presa solitamente entro le sei settimane seguenti. Quando esamina un ricorso il presidente della Commissione può sospendere la decisione del direttore o della Commissione per i reclami. Come descritto in precedenza, la trattazione di un reclamo o di un appello richiede tempo. Nel procedimento di reclamo il termine per decidere è quasi sempre oltrepassato. 244. In Romania, il Giudice di sorveglianza ha 15 giorni per decidere ma il rimedio non è ritenuto effettivo. 245. In Bulgaria, il Codice di procedura amministrativa prevede un termine di due mesi dal ricevimento per decidere sui reclami. La decisione deve essere comunicata al ricorrente entro sette giorni da quando è presa. 246. Il Codice prevede due tipi di ordini del tribunale – un ordine proibitivo contro le azioni delle autorità nazionali e un ordine obbligatorio contro il mancato adempimento dei propri doveri giuridici da parte delle autorità. Nel primo caso il giudice è tenuto a esaminare il ricorso immediatamente. Può ordinare alla polizia o a un’altra autorità di svolgere un’indagine per accertare se l’azione è ancora in essere, a nome di chi e a quale titolo. Nel secondo caso non ci sono disposizioni specifiche sulla celerità e la speditezza del procedimento. 247. Nella sentenza pilota Neshkov la CEDU ha ritenuto che siccome il procedimento per ottenere l’ordine del tribunale non si svolge sempre con rapidità, non è sempre idoneo a dare riparazione ai problemi che richiedono un’azione urgente (§ 209). 248. Per quel che riguarda il procedimento sui ricorsi ordinari, richieste e reclami devono essere inviati entro tre giorni alla persona od organizzazione destinataria. Non c’è un termine specifico per l’esame dei ricorsi dei detenuti. 249. In Francia, le azioni di annullamento non possono rispondere all’esigenza di celerità dato il tempo che trascorre generalmente tra la presentazione e l’esame (fra 7 e 30 127 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission mesi). I procedimenti cautelari possono condurre in breve tempo a un ordine o alla sospensione di una decisione. Nondimeno i tribunali amministrativi sono stati finora molto riluttanti a fare pieno uso dei procedimenti cautelari. Tuttavia nel 2000 sono stati esplicitamente invitati a farne uso da parte della commissione presieduta dal Primo presidente della Corte di Cassazione, oltre che dalla commissione d’inchiesta dell’Assemblea nazionale francese. 250. In realtà la natura urgente di questi casi esige che il ricorrente dimostri l’esistenza di un pregiudizio che danneggi i suoi interessi “con sufficiente gravità e immediatezza”. Concretamente, esige che il detenuto sia in grado di presentare un certificato medico attestante l’effetto sul suo stato di salute, la cui gravità deve essere valutata dal tribunale. Nella sentenza del 31 ottobre 2008 il Consiglio di Stato ha evidenziato che le misure di isolamento possono essere impugnate di fronte al tribunale amministrativo, “anche in sede cautelare”, con ciò sembrando voler invitare i tribunali inferiori ad ammorbidire le loro valutazioni. E tuttavia questa decisione di svolta non ha avuto seguito. Per esempio, poche settimane dopo il Tribunale amministrativo di Parigi ha respinto per mancanza di urgenza il ricorso di un detenuto sottoposto a condizioni di detenzione estreme, cioè l’isolamento sociale e sensoriale per oltre cinque anni. 251. Valutare l’urgenza in un procedimento cautelare richiede un’analisi degli effetti deleteri della decisione sulla salute fisica o mentale del detenuto. Il ricorso può essere dichiarato inammissibile senza entrare nel merito della legittimità del provvedimento. In altre parole, secondo la giurisprudenza, non è urgente sospendere un provvedimento applicato illecitamente a un detenuto se non ha palesi effetti deleteri sulla sua salute … 252. Per rispondere a questa critica, alcune decisioni recenti hanno cercato di elevare il ricorso a tutela dei diritti e delle libertà fondamentali (référé-liberté) a procedimento di diritto comune nelle situazioni di probabile violazione degli articoli 2 e 3 della Convenzione EDU (CE, dicembre 2012, OIP), al fine di rendere questo procedimento di uso comune. Tuttavia il tentativo di incanalare le controversie in questo procedimento rapido ha portato in una certa misura a un punto morto: nel termine perentorio di 48 ore i tribunali non possono valutare i provvedimenti da prendere per risolvere delle situazioni spesso molto intricate. Inoltre la giurisprudenza non ha cambiato posizione riguardo all’urgenza posta da provvedimenti come l’isolamento o le sanzioni disciplinari. 253. In Italia, uno degli aspetti più critici del rimedio preventivo sembra essere la lunghezza e la complessità del procedimento. I giudici non hanno un termine perentorio per decidere. Di fatto il procedimento dura da 3 a 6 mesi, mentre la sentenza d’appello può richiedere altri mesi. In ogni caso, se l’amministrazione penitenziaria ricorre in Cassazione contro la decisione del Tribunale, questo non può iniziare il procedimento di 128 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission ottemperanza e nominare il commissario ad acta. Di conseguenza il rimedio può essere totalmente inefficace: la sua ratio è proteggere i detenuti da una violazione in atto, ma la decisione finale del Tribunale può richiedere più di un anno. 254. Anche in Germania, la lunghezza del procedimento sembra uno degli aspetti più problematici, a dispetto della protezione che la Corte costituzionale intendeva offrire. Il ricorso giurisdizionale non ha effetti sospensivi. Il tribunale non ha un limite di tempo per prendere una decisione, che di solito richiede molti mesi. 255. Il tribunale può sospendere l’esecuzione del provvedimento impugnato se c’è il pericolo che l’esercizio di un diritto del ricorrente sia impedito o gravemente limitato, e se la sospensione non pregiudica un interesse superiore all’esecuzione immediata. Il tribunale può anche emettere un ordine cautelare. La decisione non è impugnabile; può essere cambiata o revocata dal tribunale in qualsiasi momento. Il ricorso per ottenere una decisione conforme al sottoparagrafo è ammissibile anche prima di ricorrere per ottenere una decisione giudiziale. 256. La ragionevolezza della durata del procedimento è da valutare secondo le particolari circostanze del caso (si veda BVerfGE 55, 349 <369>;. 60, 253 <269>). Secondo la giurisprudenza costituzionale la tutela giuridica ha il compito, se possibile, di impedire un atto risultante da una decisione che, anche se dichiarata illegittima, sarebbe comunque irreversibile (si veda BVerfGE 37, 150 <153>;. 65, 1 <70>). Come ricordava Liora Lazarus, è stato detto ai Tribunali penitenziari di esaminare i ricorsi dei detenuti il più rapidamente possibile e di non permettere che la mancanza di chiarezza o gli errori tecnici o di forma in un ricorso impediscano di riconoscere questa tutela; perciò devono chiarire tutti i punti oscuri del ricorso del detenuto, se necessario telefonando a lui o all’amministrazione del carcere per avere chiarimenti. In alcuni casi la Corte costituzionale ha ritenuto che si sarebbe dovuta accordare una tutela cautelare per fermare l’esecuzione di una sanzione prima che la Corte potesse esaminare dovutamente il ricorso (2 BvR 1675/05). 257. In pratica però questo potere è utilizzato raramente dai tribunali (Laubenthal, 2015). Purtroppo i tribunali tedeschi non offrono a questo riguardo quella tutela effettiva che potrebbero legalmente dare. 258. In Belgio, paradossalmente, poiché la legge non prevede meccanismi di rimedio sono stati sviluppati dei procedimenti di emergenza di una qualche rilevanza. Nelle questioni disciplinari il Consiglio di Stato accetta una richiesta di sospensiva a due condizioni: il ricorso deve avere buone probabilità di successo e il detenuto deve 129 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission dimostrare che l’esecuzione immediata della decisione gli causerebbe un danno grave o difficile da riparare. 259. Esistono dei procedimenti di estrema urgenza che rendono possibile ottenere dal Consiglio di Stato la sospensiva dell’atto in tempi molto rapidi. Un detenuto potrebbe teoricamente farne uso quando la decisione contestata può essere eseguita prima che il Consiglio di Stato possa deliberare sulla richiesta di sospensiva. Tuttavia il ricorso va presentato il prima possibile perché altrimenti potrebbe essere respinto. Il detenuto può chiedere al Consiglio di Stato di predisporre dei provvedimenti provvisori per proteggere i suoi interessi. Per far cessare delle misure di sicurezza come l’isolamento un detenuto, attraverso il procedimento cautelare, può chiedere un provvedimento di urgenza al presidente del tribunale di prima istanza. Il procedimento può concludersi con una decisione nel giro di poche settimane. 260. Nelle sentenze quasi pilota contro il Belgio (Vasilescu e Bamouhammad, concernenti rispettivamente il sovraffollamento e le misure di sicurezza), la Corte ha ritenuto che “questo rimedio appare in teoria sufficiente a correggere in modo immediato una situazione in contrasto con i diritti soggettivi del detenuto. In effetti la giurisprudenza mostra (…) che il giudice cautelare può ordinare di prendere uno specifico provvedimento per far cessare una situazione in contrasto con i diritti soggettivi del detenuto, per esempio riguardante i rapporti con gli altri detenuti o le misure di sicurezza”. Tuttavia questo rimedio non è stato ritenuto effettivo rispetto al sovraffollamento e la prassi di trasferire continuamente i detenuti è stata considerata pericolosa. 261. In Inghilterra e Galles, dopo che il procedimento è stato autorizzato, o in casi di urgenza anche prima dell’udienza per l’autorizzazione, la Corte può concedere un provvedimento di urgenza (interim relief) come l’ordine di non eseguire la decisione del convenuto prima che il caso sia stato deciso. Per quel che riguarda il rimedio compensatorio il ristoro deve essere ‘appropriato e sufficiente’, il che significa fra l’altro che il risarcimento deve essere pagato senza indugio (cioè entro sei mesi dalla data in cui la decisione che lo concede è divenuta esecutiva). 4.4 Contraddittorio e accertamento dei fatti 130 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission 262. Anche le regole probatorie e il contraddittorio sono aspetti molto delicati rispetto alla posizione dei detenuti nei confronti dell’autorità. Da questo punto di vista la tendenza degli ordinamenti giuridici nazionali a tenere conto della situazione dei detenuti, in particolare rispetto all’onere della prova, è in gran parte frustrata dalla prassi giurisprudenziale che tende ad attenersi alle prove prodotte dall’autorità. 263. In Italia, nel procedimento di fronte al Magistrato di sorveglianza si osservano le norme processuali generali e il detenuto può partecipare alla discussione. Anche l’amministrazione penitenziaria oggi può partecipare alla discussione o mandare memorie scritte. La Suprema Corte ha confermato in una recente sentenza (8/01/15) che il procedimento per ottenere il rimedio compensatorio ex art. 35-ter deve essere lo stesso seguito per il rimedio preventivo ex art. 35-bis. Grazie al riferimento esplicito alla giurisprudenza della CEDU l’onere della prova ricade sulle autorità carcerarie. 264. In Romania, nell’esame dei reclami il giudice di sorveglianza ha accesso a tutte le informazioni e può sentire le persone che possono contribuire all’accertamento dei fatti. Per quel che riguarda il rimedio compensatorio, l’effettività del procedimento è dubbia perché la responsabilità civile dello Stato può essere fatta valere soltanto se è provata la colpa di chi ha commesso il fatto. Inoltre la portata del rimedio appare limitata al controllo della conformità ai principi nazionali applicabili alle condizioni di detenzione e non copre tutti i criteri applicati dalla Corte europea o che possono essere in contrasto con quelli nazionali. 265. In Francia, il procedimento davanti al tribunale amministrativo è in contraddittorio. Il giudice non può fondare la decisione su elementi che non sono stati portati all’attenzione di entrambe le parti. In alcuni casi il tribunale ha tenuto conto di dichiarazioni dell’amministrazione non suffragate da documenti, perché l’amministrazione ha invocato motivi di sicurezza, ma queste decisioni restano isolate. I procedimenti cautelari davanti ai tribunali amministrativi danno grande importanza all’informazione orale. Quando l’informazione prodotta dall’amministrazione in udienza è contestata, il giudice generalmente prolunga l’indagine in modo che l’amministrazione possa produrre le prove appropriate. 266. Sia in sede cautelare che in un normale procedimento il detenuto non compare davanti al giudice se non in casi molto rari. Non è di uso comune nemmeno la videoconferenza, mentre è molto usata nel procedimento penale. Perciò il ricorrente non può descrivere la situazione in cui si trova né di ciò che ha subito. L’avvocato deve quindi fare da tramite. 267. Per quel che riguarda l’onere della prova, nel rimedio preventivo si applica il principio generale per cui spetta all’attore suffragare adeguatamente le sue allegazioni in 131 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission ogni causa. Un ricorso sufficientemente dettagliato rende quindi possibile avviare il giudizio contenzioso. L’amministrazione deve ribattere alle argomentazioni dell’avversario sulla base delle prove a favore. Inoltre i suoi poteri generali di indagine implicano che il giudice possa prendere “tutti i provvedimenti utili a fornirgli (…) gli elementi che lo assistano a formarsi un convincimento”, cioè richieste di documenti, spiegazioni o “risposte” al mezzo invocato. L’incidenza di queste regole probatorie è variabile e dipende dalla questione trattata. I tribunali sono stati relativamente protettivi rispetto alle misure di sicurezza, l’isolamento in particolare. 268. Per le azioni di responsabilità da suicidio o morte in carcere, sembra complicato agire di fronte al tribunale amministrativo senza aver svolto prima un’indagine penale, dove sono sentiti i protagonisti, è accertato lo svolgimento dei fatti, etc. Ciò comporta una mole di lavoro investigativo incompatibile con i mezzi a disposizione del giudice amministrativo. Per quel che riguarda il contenzioso in materia di condizioni di detenzione e carenza di assistenza sanitaria, la discussione è spesso chiarita da una o più perizie. 269. Il diritto offre al ricorrente numerose possibilità di suffragare le sue affermazioni con elementi tecnici fornite da specialisti. Un detenuto può usare vari procedimenti di emergenza a questo scopo. 270. Per quel che riguarda la situazione di fronte al giudice penale, in cui un detenuto richiede la liberazione anticipata perché le sue condizioni di detenzione hanno effetti negativi sul suo stato di salute, l’accertamento dei fatti è interamente nelle mani. 271. In Irlanda, nei procedimenti di habeas corpus l’onere della prova ricade sull’attore (il detenuto) ed è duplice: provare che le condizioni di detenzione sono tali da rendere illegittima la detenzione e che le autorità carcerarie non possono o non vogliono trovare un rimedio adeguato a tali condizioni. Il giudice può anche convertire un procedimento di controllo giurisdizionale in un’inchiesta ex articolo 40.4 (e viceversa) se ritiene che, nelle circostanze del caso, un procedimento di habeas corpus sarebbe più appropriato. 272. In Inghilterra e Galles il Freedom of Information Act del 2000 consente a chi contesta una decisione di un organismo pubblico di richiedere tutte le informazioni che ritiene rilevanti. Il codice di procedura civile dispone che ogni persona possa chiedere il permesso di produrre mezzi di prova all’udienza di un procedimento di controllo giurisdizionale, e che la Corte possa concludere il procedimento senza un’udienza solo con il consenso di tutte le parti. Prima dell’udienza tutte le parti devono preparare uno schema (‘skeleton’) dei loro argomenti a uso della corte. Le prove sono solitamente scritte ed è rara l’audizione di testimoni. 132 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission 5. COERENZA DEL SISTEMA DEI RIMEDI CON LA NATURA E IL TIPO DEI RECLAMI TRATTATI 5.1 Le sentenze pilota e quasi pilota e i loro effetti sulle politiche carcerarie nazionali 273. Molti Stati condannati da sentenze pilota o quasi pilota sono o riluttanti ad adeguarsi ai provvedimenti generali decisi della Corte (rifiutando di prenderli) o danno risposte solo parziali, come l’Italia. 274. Il Belgio è stato recentemente condannato per violazione dell’articolo 3 in una sentenza quasi pilota, Vasilescu v. Belgium241, a causa del trattamento degradante dovuto ai problemi strutturali di sovraffollamento. La Corte di Strasburgo ha ordinato al Belgio di prendere in considerazione l’adozione di provvedimenti generali che garantiscano condizioni di detenzione compatibili con l’articolo 3 della Convenzione, oltre che di un rimedio effettivo che metta fine alla violazione e migliori le condizioni di detenzione. 275. Il governo belga si è impegnato a sostituire le pene detentive brevi con sanzioni alternative e ad affrontare il nodo del sovraffollamento carcerario non solo aumentando la capienza delle prigioni ma anche in combinazione con altre misure. Sono stati presi vari provvedimenti per aumentare la capacità delle carceri, come la sostituzione di quelle fatiscenti e la promozione di misure alternative alla detenzione. In primo luogo, la capacità delle carceri è stata aumentata significativamente aprendo 3 nuove prigioni che aumentano la capienza di 936 posti (si veda il Piano d’azione 2016). 276. Si è assistito a un aumento dell’uso del monitoraggio elettronico (da 1012 reclusi il 1 settembre 2010 a 1695 il 15 maggio 2016). Le autorità belghe hanno anche aperto l’ospedale psichiatrico di Ghent che ha posto 260 internati fuori dall’infrastruttura carceraria. Infine le autorità belghe si sono anche adoperate per accelerare le espulsioni degli stranieri condannati che sono raddoppiate in meno di un anno. 277. Stando alla dichiarazione del governo, c’è statisticamente un netto declino dell’indice di sovraffollamento da quasi 25% nel giugno 2013 a -8% nel settembre 2015; anche la popolazione carceraria belga ha cominciato a calare, da 11.854 detenuti il 15 aprile 2014 a 10.649 il 7 luglio 2016 (-11,7%). L’ambizione del Belgio è di continuare a ridurre la popolazione carceraria fino a meno di 10.000 detenuti e al tempo stesso di aumentare ancora la capienza delle prigioni. 278. Negli anni a venire dovrebbero essere ancora costruite tre nuove prigioni (2.178 posti). Sono allo studio nuovi provvedimenti per ridurre ancora il numero degli internati nelle istituzioni penali. Fra questi si possono citare i seguenti provvedimenti che avranno un impatto strutturale diretto sulla popolazione detenuta. Sul fronte legislativo il 241 CEDU in Vasilescu v. Belgium, 25 novembre 2014, n. 64682/12. 133 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission monitoraggio elettronico, che non era possibile per i detenuti in attesa di giudizio ma che è stato esteso grazie alla legge approvata il 28 gennaio 2016. 279. Le autorità belghe si rifiutano di introdurre nuovi rimedi e intendono solo migliorare l’effettività di quelli esistenti. Riferiscono infatti di sviluppi recenti nell’uso dei provvedimenti cautelari (in materia di condizioni carcerarie cattive o scadenti) e del risarcimento danni242. 280. Un’altra sentenza quasi pilota è quella pronunciata nel caso Bamouhammad v. Belgium che riguardava il regime di alta sicurezza applicato a un detenuto e il conseguente peggioramento della sua salute mentale a causa di una “psicosi carceraria”. La Corte ha affermato ai sensi dell’articolo 46 (forza vincolante ed esecutività delle sentenze) che il Belgio deve introdurre un rimedio per dare ai detenuti la possibilità di contestare i trasferimenti e i provvedimenti speciali come quello applicato a Bamouhammad. 281. La Corte ha preso atto dell’introduzione nel diritto belga di uno specifico diritto dei detenuti a una commissione per i reclami annessa alla commissione di vigilanza di ogni carcere. Tuttavia le relative norme non sono ancora entrate in vigore in mancanza di un decreto reale di attuazione. Tenendo conto di questo la Corte ha raccomandato al Belgio di prendere dei provvedimenti generali: l’introduzione di un rimedio adatto alla situazione dei detenuti sottoposti a trasferimento e a provvedimenti speciali come quelli applicati al ricorrente. 282. Per quel che riguarda l’Italia, l’impatto durevole delle sentenze pilota che hanno condannato lo Stato per il sovraffollamento carcerario (Torreggiani v. Italy, 08/01/2013) è discutibile. Questa sentenza faceva seguito, estendendoli, agli accertamenti della Corte nella precedente sentenza Sulejmanovic v. Italy, divenuta definitiva nel 2009. Un primo insieme di provvedimenti era stato presentato nel piano d’azione del 29/06/2012, compresi mutamenti legislativi e un programma di costruzione di nuove carceri. Nonostante questo piano la situazione di sovraffollamento in Italia rimaneva un problema strutturale ed è stata riconosciuta come tale nella successiva sentenza Torreggiani. 283. La sentenza Torreggiani and Others v. Italy richiedeva alle autorità italiane di porre in essere una combinazione di rimedi per dare riparazione alle violazioni della Convenzione risultanti dal sovraffollamento carcerario. 284. Per contrastare il problema strutturale evidenziato dalla sentenza pilota Torreggiani, l’amministrazione penitenziaria italiana ha emesso un ordine di servizio che introduceva la sorveglianza “dinamica”. Questa è stata la sola strategia attuata dall’amministrazione penitenziaria. Non è stato introdotto alcun miglioramento concernente le attività 242 Ibid. 134 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission educative e lavorative. Di conseguenza, mentre prima di questo ordine i detenuti erano abbandonati all’ozio nelle celle, ora appaiono abbandonati all’ozio nei corridoi. 285. Interrogati sui possibili miglioramenti delle loro condizioni di vita nel contesto carcerario, tutti i detenuti hanno risposto che gli unici miglioramenti riguardavano la limitata riduzione del sovraffollamento (la popolazione del carcere fiorentino di Sollicciano è diminuita di circa il 30% fra il 2013 e il 2014, e il numero di detenuti per cella di 12m2 è passato da 3 a 2) e l’accesso a un regime più aperto. Dal maggio 2014 9 sezioni su 13 del carcere maschile godono di un regime semi-aperto all’interno della sezione per 8 ore al giorno. 286. Tuttavia, a causa dell’opposizione dei sindacati di polizia penitenziaria a questo nuovo regime, è stato emesso un nuovo ordine di servizio che ha limitato la portata di questo regime semi-aperto. La nuova decisione impone di classificare i detenuti secondo la loro potenziale pericolosità, dopo un periodo di osservazione di un mese, e di suddividerli poi tra sezioni a regime semi-aperto e a regime chiuso. 287. La legge italiana del 2013 conteneva un ampio ventaglio di norme, alcune dirette a dare una tutela effettiva ai diritti dei detenuti (l’istituzione di un Garante nazionale e di un nuovo rimedio giurisdizionale esperibile davanti ai Tribunali di sorveglianza), altre ad affrontare il sovraffollamento (riforma della legge sugli stupefacenti per diminuire le sanzioni e impedire la custodia cautelare per i reati minori, una temporanea estensione dei permessi giornalieri per la maggior parte dei reati). 288. In particolare, in seguito a una decisione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa (5 giugno 2014), che apprezzava il nuovo rimedio preventivo (art. 35-bis) ma chiedeva anche di proseguire il processo di riforma, una nuova legge ha introdotto un rimedio specifico (art. 35-ter) da esperire in caso di violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea. Sulla sua effettività si veda sotto. 289. Per quel che riguarda la Romania, anche gli effetti della sentenza quasi pilota e delle altre sentenze in tema di sovraffollamento carcerario e carenza di assistenza sanitaria devono essere messi in dubbio. In particolare, in seguito alla sentenza Stanciu Iacov (24/07/2012) e con riguardo ai problemi generali dell’assistenza sanitaria, del sovraffollamento e delle condizioni materiali di detenzione, nel settembre 2012 il governo ha stabilito un nuovo programma di azioni prioritarie per risolvere il problema sostanziale all’origine di queste sentenze e ha istituito un gruppo di lavoro incaricato di seguirne regolarmente l’attuazione. 135 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission 290. In una lettera del maggio 2014, la ONG Apador-CH informava il Comitato dei Ministri della situazione243. Secondo questa lettera i problemi specifici del sistema erano: tasso di sovraffollamento, igiene carente, assenza di programmi culturali ed educativi, il trattamento dei detenuti vulnerabili, mancanza di assistenza sanitaria idonea, problemi legislativi (la legge n. 254/2013). I riscontri si fondavano sulle visite a 17 carceri nel corso del 2013. Inoltre, secondo i dati ufficiali al 22 aprile 2014, la popolazione detenuta ammontava a 29.660 unità a fronte di una capienza degli istituti di pena, calcolando 4m2 per detenuti, di 17.772 posti, quindi poco più di 2m2 a persona. Apador-CH sottolinea che gli istituti di pena, comprese le prigioni costruite o ristrutturate nel 2012, continuano a essere gravemente sovraffollati e non offrono condizioni adeguate. Nel corso delle visite effettuate nel 2013 Apador-CH ha osservato, fra l’altro, situazioni in cui i detenuti dovevano condividere il letto (carcere di Ploiesti) Nei centri di detenzione di polizia visitati le condizioni materiali e sanitarie rimanevano precarie. 291. Una riforma legislativa entrata in vigore il 1 febbraio 2014 ha introdotto il nuovo Codice penale e il nuovo Codice di procedura penale, oltre a nuove leggi sulla liberazione condizionale e l’esecuzione delle pene e dei provvedimenti detentivi e non detentivi. La riforma introduce nuove alternative alla custodia cautelare, modifica le condizioni per applicare le misure alternative alla carcerazione e rafforza il ruolo del servizio di liberazione condizionale. Il nuovo quadro normativo mantiene il sistema della custodia cautelare nei centri di detenzione della polizia durante la fase istruttoria. Fra il marzo 2012 e il gennaio 2015 la capienza del sistema penitenziario, calcolata in ragione di 4m2 per detenuto, è aumentata da 17.367 a 18.986 posti e la popolazione carceraria è diminuita da 31.448 a 30.153 detenuti. 292. Per quel che riguarda l’effettività dei rimedi, la nuova legge del 2013 consente ai detenuti di impugnare davanti al giudice di sorveglianza ogni provvedimento che incida sull’esercizio dei diritti riconosciuti da tale legge. Le autorità hanno citato quindici decisioni giudiziarie rese fra il 2011 e il 2013 che hanno accolto reclami dei detenuti relativi all’inosservanza dei principi nazionali sullo spazio vitale minimo e, in alcuni casi, all’insufficiente dotazione delle celle. Per quel che riguarda l’aspetto compensatorio, le autorità hanno indicato che i detenuti possono ricorrere al giudice civile secondo le disposizioni generali della responsabilità civile per chiedere i danni del tempo trascorso in condizioni non conformi all’articolo 3 della Convenzione. 293. Secondo la dettagliata analisi dei provvedimenti legislativi resa nota dal Servizio di esecuzione della CEDU il 12 gennaio 2015, anche se la legge del 2013 consente al detenuto di ricorrere al giudice, limita l’oggetto alle violazioni della legge romena che 243 https://wcd.coe.int/com.instranet.InstraServlet?command=com.instranet.CmdBlobGet&InstranetImage=25 64695&SecMode=1&DocId=2150586&Usage=2 136 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission può essere significativamente diversa dai principi europei. La legge non consente un’analisi globale paragonabile a quella condotta dalla CEDU. Inoltre non ci sono informazioni sul seguito delle decisioni prese in questi casi, cioè se le condizioni di detenzione sono state realmente rese conformi ai principi. 294. Il Comitato dei Ministri ha preso nel marzo 2015 una decisione secondo cui “i provvedimenti legislativi presi (…) non appaiono di per sé idonei a condurre a una soluzione durevole di questo problema in un tempo ragionevole”, e che afferma “l’estrema urgenza con cui le autorità devono trovare un rimedio alle deficienze strutturali che affliggono queste strutture e, in attesa di raggiungere questo obiettivo, prendere dei provvedimenti diretti a ridurre al minimo la durata della detenzione in strutture non idonee”. Nella decisione si osserva anche “che le informazioni pervenute finora non consentono di concludere che i procedimenti esistenti siano dei rimedi adeguati ed effettivi ai ricorsi relativi al sovraffollamento e alle condizioni materiali di detenzione”. 295. Riguardo alla Bulgaria, il contenzioso sulle condizioni disumane e degradanti nelle istituzioni penitenziarie ha prodotto un notevole corpo di giurisprudenza della CEDU durante gli ultimi 20 anni. Questi casi riguardano il trattamento disumano e degradante dovuto alle cattive condizioni nelle carceri (sovraffollamento, cattive condizioni sanitarie e materiali; poche possibilità di attività fuori delle celle; applicazione prolungata di uno speciale regime penitenziario restrittivo unito agli effetti delle inadeguate condizioni materiali nelle carceri …). La situazione sempre peggiore e la mancanza di rimedi effettivi contro le cattive condizioni sono culminate nella sentenza pilota Neshkov and others v. Bulgaria (27/01/2015). La CEDU ha ritenuto unanimemente che le cattive condizioni di detenzione in vari istituti di pena bulgari e il sovraffollamento eccessivo violassero l’articolo 3 della Convenzione. Ha riscontrato poi una violazione dell’articolo 13 rispetto alla mancanza di rimedi effettivi per ottenere riparazione delle cattive condizioni e del sovraffollamento. La Corte ha motivato il procedimento di sentenza pilota con la natura sistematica, grave e persistente dei problemi identificati nel sistema carcerario bulgaro. 296. La simultaneità di una sentenza pilota (CEDU) e di una dichiarazione pubblica (CPT) contro la Bulgaria, entrambe concernenti problemi di trattamento disumano e degradante dei detenuti, ha accresciuto significativamente la pressione esterna sul sistema penitenziario bulgaro. Di conseguenza nel 2015 il Ministero della giustizia ha avviato delle riforme in varie aree cruciali del sistema penitenziario, compresi cambiamenti di gestione delle carceri, il miglioramento delle condizioni materiali, l’introduzione di un nuovo meccanismo per denunciare le violenze e gli abusi fisici nelle carceri e nei centri di detenzione cautelare. Alla fine del 2015 il Ministero della giustizia ha reso noto un pacchetto di progetti di legge di riforma del sistema penitenziario – principalmente 137 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission provvedimenti contro il sovraffollamento. Fra i provvedimenti più significativi proposti vi sono la nuova disciplina giuridica dell’assegnazione iniziale dei detenuti, dei trasferimenti e della liberazione condizionale, e il monitoraggio elettronico degli autori di reato. 297. Inoltre, in risposta alla sentenza pilota Neshkov, il Ministero ha proposto di istituire dei nuovi rimedi compensatori e preventivi rispetto alle condizioni di detenzione. Il progetto di legge contemplava un procedimento speciale diretto al risarcimento dei danni subiti a causa del trattamento disumano e degradante dei detenuti nelle carceri e nei centri di detenzione cautelare. Il rimedio dovrebbe essere introdotto sotto forma di una nuova sezione della SMRDA e di un nuovo corpo di norme procedurali, fra cui: inversione dell’onere della prova; valutazione congiunta da parte dei tribunali delle condizioni e degli altri aspetti della detenzione; conferimento ai tribunali del potere di convocare pubblici funzionari e altri individui le cui dichiarazioni possano contribuire alla giusta decisione della causa. 298. Riguardo al rimedio preventivo, il Ministero ha proposto l’introduzione di un nuovo reclamo speciale al giudice amministrativo. Il rimedio dovrebbe consentire ai detenuti di denunciare al giudice amministrativo le condizioni di detenzione che violano il divieto di tortura e di trattamenti crudeli, disumani e degradanti, compreso il sovraffollamento. Il tribunale amministrativo dovrebbe avere il potere di migliorare effettivamente la situazione del ricorrente, anche ordinando il trasferimento in un’altra cella o in un altro istituto. Il tribunale dovrebbe esaminare il caso entro sette giorni dalla presentazione del ricorso. La decisione del tribunale amministrativo dovrebbe essere impugnabile di fronte a un’altra sezione dello stesso tribunale. 299. Tuttavia, in seguito a cambiamenti nella direzione del Ministero della giustizia avvenuti nel dicembre 2015, nel 2016 il progetto di legge appena descritto è stato emendato. Alcune disposizioni chiave dirette a rafforzare la tutela dei diritti dei detenuti e a migliorare il procedimento della liberazione anticipata, l’accesso alla giustizia, il trasferimento dei detenuti e l’uso della forza sono state abbandonate, facendo apparire alquanto premature le alte aspettative delle organizzazioni internazionali e degli osservatori nazionali sulla volontà del governo bulgaro di attuare delle profonde riforme del sistema carcerario. 300. In Inghilterra e Galles, nonostante il ruolo rilevante del potere giudiziario in numerosi casi di altro profilo, il controllo giurisdizionale è un rimedio molto tecnico e difficile non facilmente accessibile alla maggioranza dei detenuti. I meccanismi di ricorso interni sono ampiamente screditati. 301. Secondo l’ultimo rapporto dell’Ispettorato penitenziario, i reclusi hanno molta poca fiducia nelle procedure di reclamo: solo il 29% dei ricorrenti si è sentito trattato con 138 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission equità. I detenuti hanno dichiarato di essersi spaventati quando hanno visto i modelli di reclamo raccolti dal personale e lasciati in cassetti non chiusi a chiave. Gli intervistati hanno anche affermato che i modelli di reclamo non erano liberamente disponibili, che ad alcuni reclami è stato risposto dalla persona oggetto del reclamo, e che molte risposte sono arrivate tardi. Come sottolineato da un rapporto dell’Ispettorato penitenziario (2014), i detenuti appartenenti a minoranze etniche hanno ancora una percezione più negativa dell’equità e dell’effettività del sistema dei reclami. Il 28% dei ricorrenti si è sentito trattato con equità (contro il 41% dei ricorrenti bianchi) e il 22% ha denunciato che gli è stato impedito di fare reclamo (contro il 15% dei ricorrenti bianchi). 302. Il rapporto del Garante delle carceri (marzo 2015) sottolinea che i motivi per cui i detenuti intervistati non hanno utilizzato il sistema dei reclami interni avevano a che fare principalmente con la paura di ritorsioni e la mancanza di fiducia nel sistema. C’erano una sfiducia diffusa verso il sistema dei reclami interni e la convinzione che i reclami formali fossero una perdita di tempo perché non sarebbero stati esaminati, o sarebbero stati manomessi dal personale. Alcune persone hanno riferito di aver avuto un buon sostegno da parte del personale penitenziario e di aver potuto rivolgersi ad esso in caso di problemi. Era quindi meno probabile che avessero bisogno del Garante se i loro reclami fossero stati accolti. La lunghezza del tempo impiegato dalle carceri per gestire i reclami era un deterrente. Le persone intervistate consideravano il sistema dei reclami un procedimento lento e macchinoso, che in definitiva non avrebbe risolto il loro problema. Come sottolinea il rapporto del Garante, un comune motivo di preoccupazione era la mancanza di dettagli nelle risposte ai reclami. Gli intervistati sentivano che i loro reclami non erano stati presi sul serio o erano stati ignorati. Un tema molto comune era la paura di ritorsioni che sembrava il motivo principale per non reclamare. Altri sostenevano che i funzionari trattavano in modo diverso i detenuti che reclamavano; queste differenze potevano consistere nel peggioramento del loro status di buona condotta, nel licenziamento dal lavoro o nella revoca di benefici. Le donne ritenevano che il reclamo sarebbe stato visto come un disturbo e avrebbe potuto influire sulla concessione della detenzione domiciliare o della libertà condizionale. 303. Un’indagine del Garante diretta a stabilire se i gruppi sottorappresentati nel carico di lavoro del Garante sono sufficientemente in grado di accedere al servizio ha mostrato che pochissime persone avevano reclamato. Alcuni partecipanti avevano fatto reclamo alla prigione ma pochissimi avevano impugnato la decisione o utilizzato la seconda fase del procedimento. Molti partecipanti avevano fatto dei reclami verbali o si erano arrangiati sa soli. Alcuni avevano sottoposto il loro problema all’Independent Monitoring Board (IMB) o al Barnardo’s. La maggior parte dei detenuti che avevano inviato un reclamo al Garante si era sentita dire che non era ammissibile, e se era stato esaminato non era stato accolto. Gli intervistati ritenevano che il Garante non spiegasse perché non apriva un’indagine sui loro reclami ed erano frustrati dalla mancanza di informazioni. 139 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission Specialmente fra i partecipanti donne c’era una mancanza di fiducia nell’indipendenza del Garante. Alcuni lo consideravano una parte dell’amministrazione penitenziaria. Ciò era causa di scetticismo sul valore dei reclami al Garante e consideravano quest’ultimo parte di un sistema non imparziale. 304. Molti degli intervistati dicevano di essersi rivolti all’IMB perché era più accessibile, dato che i suoi membri si trovavano nell’istituto e si poteva andare a parlare con loro. Questa interazione faccia a faccia era importante per alcuni partecipanti, in confronto all’invio di un pezzo di carta. I minori che avevano contattato il Barnardo’s nel loro istituto proponevano che il Garante fornisse un servizio simile sul posto. Ciò avrebbe eliminato la necessità di passare attraverso il personale penitenziario, di alcuni membri del quale non si fidavano. I detenuti intervistati erano anche favorevoli all’idea di poter discutere il loro reclamo con una persona con cui entrare in relazione, come potevano fare con l’avvocato. Proponevano che il Garante ampliasse il suo ambito di competenza in modo che fosse possibile rivolgersi a lui senza dover prima passare attraverso il sistema dei reclami interni. Agli intervistati piaceva il fatto di poter sottoporre il loro problema all’IMB e che l’aiuto dell’IMB non fosse subordinato a particolari condizioni. Il rapporto citato sopra sottolinea che la forma scritta del sistema dei reclami può essere considerata uno dei principali motivi per non reclamare. 305. Riguardo all’Irlanda, gli operatori pratici intervistati ritenevano che la domanda di contenzioso penitenziario sia notevole – come ha detto uno di loro, la domanda “supera di gran lunga le capacità dello studio”, e un altro ha aggiunto che dà “continuamente” lavoro da fare. Gli avvocati ricevono “moltissime richieste di assistenza dalle prigioni” (intervista 3), spesso settimanalmente. Una delle maggiori difficoltà di ottenere dei cambiamenti attraverso il contenzioso penitenziario è la tradizionale riluttanza dei giudici a intervenire nel funzionamento delle prigioni. La gestione quotidiana delle prigioni è vista come compito dei singoli direttori e sebbene in alcuni casi i giudici abbiano ordinato all’amministrazione penitenziaria di compiere o non compiere certi atti (si veda McDonnell v the Governor of Wheatfield Prison), la riluttanza a intervenire è ancora prevalente. Gli intervistati hanno anche espresso la preoccupazione che le cause possano essere compromesse da “questioni di credibilità” (intervista 2) e il fatto che quando si presentano due versioni della stessa vicenda, i giudici tendono a stare dalla parte delle autorità carcerarie. 306. Ad avviso di alcuni degli operatori giuridici che il sistema tenda a cercare di risolvere le cause penitenziarie con una mediazione o una transazione. In questi casi i cambiamenti delle circostanze personali del detenuto sono negoziati con l’amministrazione penitenziaria; alcuni casi non arrivano alla conclusione perché i detenuti sono rilasciati e non desiderano continuare con la causa (o viene meno la procedibilità della causa). In generale, sebbene ci siano molte richieste provenienti dai detenuti, “non molte cause hanno successo”. Un altro motivo di preoccupazione degli 140 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission avvocati e dei loro clienti era la considerazione dei mezzi umani e finanziari necessari a patrocinare una causa penitenziaria. Anche se il gratuito patrocinio è disponibile nella maggior parte delle controversie penitenziarie, il livello (ammontare) della sua disponibilità spesso è insufficiente a coprire i costi del contenzioso. L’impegno di tempo delle controversie penitenziarie è notevole, non solo per le questioni giuridiche spesso complesse ma anche per le considerazioni pratiche del tempo impiegato nella corrispondenza con le autorità carcerarie; nei colloqui legali con i clienti; nel reperimento delle prove; etc. È possibile recuperare i costi solo in caso di vittoria, e anche allora non sempre si recuperano tutti. Sebbene i professionisti del diritto “cerchino di patrocinare” le controversie penitenziarie, i limiti al gratuito patrocinio hanno una parte importante nel decidere se accettarle. 307. In alcuni casi può essere difficile anche solo impostare la causa o accedere alle prove necessarie. Uno dei professionisti ha citato i procedimenti disciplinari in carcere come esempio di controversie “difficili da scandagliare”. Anche se i processi disciplinari possono essere visti come “quasi tribunali”, i detenuti non hanno diritto alla rappresentanza legale in udienza. Può essere difficile ottenere le prove necessarie a contestare una decisione. I professionisti hanno anche manifestato la loro frustrazione per il modo in cui le carceri rispondono ai loro quesiti: a volte sono ignorati, oppure la risposta arriva in ritardo o è solo parziale. I professionisti ritenevano che l’effetto sistemico di una causa penitenziaria vinta sia relativamente minimo. Sebbene ci siano molte cause in corso, nonostante i problemi pratici appena descritti, c’è “penuria di sentenze pubblicate” (intervista 1) il che rende ancora più difficile valutare l’impatto sistematico del contenzioso. In generale, una volta risolta la situazione di un singolo detenuto – per esempio, la persona ottiene l’accesso a un particolare servizio, dopo aver avuto delle difficoltà – secondo i professionisti è improbabile che il problema venga affrontato a livello sistemico. Manifestavano un po’ di ottimismo, però, sul fatto che il sollevare i problemi e la minaccia del contenzioso contribuiscano indirettamente a promuovere dei cambiamenti più sistemici. 308. Per quel che riguarda i meccanismi interni, i detenuti appaiono riluttanti a servirsene. Nel 2014 l’Ispettorato penitenziario riassumeva così i motivi per cui i detenuti non vogliono reclamare: a. i detenuti non hanno fiducia nel sistema dei reclami; b. sono ‘incoraggiati’ a non reclamare; c. sono preoccupati delle conseguenze negative per la loro situazione in carcere se dovessero reclamare; d. i detenuti temono di essere trasferiti in un’altra prigione se reclamano; e. in caso di reclamo grave, temono per la loro sicurezza; f. temono di non essere protetti dalle conseguenze avverse se dovessero reclamare, e 141 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission g. temono di vedersi negati i permessi se dovessero fare reclamo. 309. I professionisti irlandesi intervistati hanno dichiarato che molti detenuti non conoscono ancora i meccanismi interni di reclamo. A parte la mancanza di consapevolezza, i detenuti trovano anche barriere pratiche a intraprendere il contenzioso, come problemi di alfabetizzazione e matematica elementare, oltre che il “fattore paura” come la preoccupazione per le ritorsioni del personale e le conseguenze di essere etichettato come detenuto ‘problematico’. Anche la recente introduzione del sistema dei ‘regimi incentivanti’ per cui i detenuti guadagnano certi diritti come premio della ‘buona condotta’ contribuisce alla riluttanza dei detenuti a reclamare. Questi fattori determinano una situazione in cui “i detenuti si adattano molto e tollerano molto’ prima di fare reclamo o di rivolgersi al giudice. Sebbene nessuna legge vieti ai detenuti di farsi rappresentare legalmente quando fanno reclamo utilizzando le procedure interne, la richiesta di rappresentanza legale è spesso respinta. “Dovrebbero avere il diritto di difesa” ma questo diritto non è garantito dalle procedure attuali. Questa era considerata una barriera importante all’accesso dei detenuti al procedimento per reclamare. Infine, alcuni professionisti ritenevano che anche se viene presentato un reclamo i detenuti prendono spesso la “decisione pragmatica” di rinunciarvi dopo aver ottenuto qualche miglioramento della loro situazione – per esempio, l’accesso a un certo servizio – nelle trattative per risolvere la controversia. Se un detenuto decide di intraprendere un’azione legale contro l’amministrazione penitenziaria, “di solito ci ha pensato molto bene prima”. 310. La prima valutazione esterna del nuovo sistema di reclami è venuta con il recente rapporto del Comitato europeo per la prevenzione della tortura (CPT) seguito alla visita in Irlanda nel 2014. Il CPT ha riconosciuto che i modelli per tutte le categorie di reclamo sono adesso disponibili liberamente, che i cassetti per depositarli vengono svuotati ogni giorno e che i reclami sono classificati dal Direttore del carcere. Concentrandosi sui reclami di categoria A – cioè quelli più gravi – il CPT ha rilevato però dei problemi importanti nel modo in cui venivano istruiti. Così ad esempio nel carcere di Mountjoy, sebbene il registro dei reclami fosse “meticoloso”, la qualità delle indagini variava considerevolmente. Nel caso di alcune indagini le prove non erano state raccolte correttamente e le indagini esterne avevano subito ritardi importanti. Sono stati osservati dei ritardi anche nel carcere di Midlands e in quello femminile di Limerick. Il CPT ha osservato che “questi ritardi possono ripercuotersi negativamente sull’intera indagine e il nuovo sistema di reclami rischia di perdere credibilità”. Le autorità irlandesi hanno riconosciuto altresì che attualmente non è previsto un meccanismo di impugnazione; un problema che si sono impegnate a correggere. 311. Alla luce di queste osservazioni è difficile valutare le probabilità di successo di un reclamo presentato secondo il procedimento interno. Inoltre i dettagli dei reclami non sono disponibili pubblicamente, sicché è anche difficile valutare quanto sia utilizzata la 142 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission nuova procedura. Secondo l’esperienza dei professionisti il nuovo sistema è molto sottoutilizzato e c’è ancora poca consapevolezza del procedimento di reclamo fra i detenuti. Uno degli intervistati ha dichiarato che “se non sei in quel primo 5% di detenuti consapevoli dei loro diritti, non fai reclamo”. Nelle carceri non c’è un sistema particolare per dare informazioni ai detenuti sulle Regole penitenziarie, e su ciò a cui hanno diritto. Sebbene siano stati fatti dei progressi nel rendere disponibili le informazioni almeno in alcune prigioni, anche grazie all’impegno di organizzazioni come l’Irish Penal Reform Trust e l’Irish Council for Civil Liberties, l’opinione generale condivisa dagli intervistati era che il livello di consapevolezza dei diritti dei detenuti rimane basso. 312. I detenuti trovano anche barriere pratiche a intraprendere il contenzioso, come problemi di alfabetizzazione e matematica elementare, oltre che il “fattore paura” (intervista 1) come la preoccupazione per le ritorsioni del personale e le conseguenze di essere etichettato come detenuto ‘problematico’. Anche la recente introduzione del sistema dei ‘regimi incentivanti’ per cui i detenuti guadagnano certi diritti come premio della ‘buona condotta’ contribuisce alla riluttanza dei detenuti a reclamare. Questi fattori determinano una situazione in cui “i detenuti si adattano molto e tollerano molto’ (intervista 3) prima di fare reclamo o di rivolgersi al giudice. Infine, alcuni professionisti ritenevano che anche se viene presentato un reclamo i detenuti prendono spesso la “decisione pragmatica” (intervista 1) di rinunciarvi dopo aver ottenuto qualche miglioramento della loro situazione – per esempio, l’accesso a un certo servizio – nelle trattative per risolvere la controversia. 313. In Spagna, i 50 Tribunali di vigilanza penitenziaria e il Tribunale centrale di vigilanza penitenziaria trattano un totale di 34.000 cause all’anno, il che significa che ogni tribunale apre in media 640 fascicoli all’anno. Gli oggetti delle ordinanze sono, in ordine decrescente: 35% i permessi, 30% la classificazione penitenziaria, 25% la libertà condizionale e infine 10% reclami e richieste. Per quel che riguarda i risultati della ricerca empirica, il ricorso al Giudice di vigilanza penitenziaria è il rimedio più usato e più affidabile. Questo giudice riceve in media 18 nuovi reclami al giorno e non ha mezzi sufficienti per occuparsi di tutti appropriatamente. Riceve reclami su questioni fondamentali ma anche su questioni minori. Tuttavia deve esaminarli tutti e di solito non ha il tempo di condurre un’analisi approfondita e redigere una buona motivazione. Il GVP ritiene che sarebbe utile istituire una sorta di filtro per dare la priorità ai reclami gravi. 314. La discrezionalità o l’arbitrarietà sono prassi sistematiche nel sistema penitenziario spagnolo. A seconda del GVP a cui è assegnato il caso, dei funzionari penitenziari e dello stesso istituto, l’esecuzione penale può essere più o meno dura. Perciò c’è un fattore di buona sorte nell’esecuzione della pena. La discrezionalità è più diffusa nel caso dei detenuti schedati (FIES, Ficheros de Internos de Especial Seguimiento). Ci sono cinque tipi di FIES (banda armata, controllo diretto, agenti di pubblica sicurezza, criminalità 143 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission organizzata, detenuti aventi speciali caratteristiche speciali) e classificare i detenuti in questo modo permette al carcere di limitare i loro diritti senza bisogno di spiegazioni (per esempio, vietare l’accesso ai giornali per giorni, consegnare la posta con molto ritardo, più perquisizioni, etc.). I detenuti spagnoli condannati non raggiungono la CEDU per vari motivi: mancanza di informazioni o ignoranza loro o dei loro avvocati, mancanza di mezzi e di volontà: non vogliono più combattere contro il sistema e preferiscono finire di scontare la pena il prima possibile e dimenticare tutto ciò che ha a che fare con le cause e i tribunali. Tutti gli intervistati sono concordi nel ritenere che sarebbe molto utile conoscere il lavoro della CEDU su temi penitenziari, perché potrebbe servire da esempio. In Spagna c’è poca conoscenza della CEDU e la sua giurisprudenza non ha rilevanza a livello carcerario. Questa è una grave lacuna dell’ordinamento giuridico spagnolo che dovrebbe essere definitivamente colmata. 315. In Germania il diritto penitenziario offre un quadro teorico-giuridico elaborato. Il peso storico della protezione costituzionale e l’importanza attribuita al principio dello Stato di diritto hanno prodotto uno sviluppo precoce della tutela dei diritti dei detenuti, su iniziativa della stessa Corte costituzionale. La giurisprudenza rimane molto importante e tiene conto del diritto europeo, compreso quello non vincolante (soft law) per ampliare i diritti dei detenuti. Tuttavia la protezione è gravemente ostacolata dalle condizioni restrittive di accesso al gratuito patrocinio e dalla durata dei procedimenti, ritenuta eccessiva. L’assenza di ONG veramente attive nel contenzioso244 non basta a compensare queste carenze e impedisce di coordinare le iniziative. Perciò il contenzioso non ha veri effetti strutturali. 316. In Italia, la ricerca empirica mostra che i magistrati di sorveglianza non vedevano il loro ruolo come quello di proteggere i diritti dei detenuti. Questo perché ritenevano di non avere reali poteri di intervento contro l’amministrazione penitenziaria, anche se una sentenza della Corte costituzionale nel 1999 ha affermato con chiarezza che le decisioni della magistratura di sorveglianza devono ritenersi vincolanti per l’amministrazione penitenziaria. L’introduzione del nuovo rimedio (cioè specificamente quello dell’articolo 35-bis) sembra potenzialmente in grado di cambiare questo stato di cose, influenzando l’immagine che hanno di sé i magistrati di sorveglianza verso una reale protezione dei diritti dei detenuti. 244 L’associazione giuridica di Brema è un’eccezione ma il suo lavoro consiste principalmente nell’informare i detenuti sugli strumenti di tutela piuttosto che assisterli in giudizio. Anche la ONG “Archivio penitenziario” fornisce consulenza giuridica ai detenuti. Talvolta consiglia o contatta degli avvocati, gli avvocati iscritti all’associazione rappresentano i detenuti in giudizio, ma non lo fanno a nome della loro organizzazione. Il lavoro scientifico prodotto dall’Archivio penitenziario ha avuto molta influenza sulla percezione e la conoscenza dei problemi giuridici penitenziari. Di recente un ‘sindacato’ di detenuti auto-organizzato (non riconosciuto come sindacato dalle autorità e dai tribunali) non è stato ammesso a portare in giudizio un ricorso collettivo. 144 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission 317. Riguardo alla valutazione generale dell’ambito e del potenziale dell’articolo 35-bis, questo rimedio ha avuto un impatto positivo sul sistema di protezione dei diritti dei detenuti, soprattutto perché obbliga il giudice a rispondere ad ogni ricorso presentato e afferma chiaramente la natura vincolante delle sentenze del Tribunale di sorveglianza e prevede una procedura puntuale per l’esecuzione degli ordini (cioè la nomina di un commissario ad acta). 318. Dal lato negativo, i membri delle ONG intervistati hanno evidenziato il problema della complessità e della lunghezza della procedura. Inoltre, non una sola sentenza è stata eseguita a tutt’oggi, e pertanto è impossibile provare la reale effettività degli aspetti procedurali di questo rimedio. Uno degli aspetti più critici è l’incompatibilità della natura urgente del rimedio con la lunghezza e la complessità della procedura. Ciò è tanto più vero se si considera che gli ordini del Magistrato di sorveglianza e del commissario ad acta divengono esecutivi solo dopo che la Cassazione si è pronunciata sulla questione. 319. Conoscenza del rimedio, rischio di ritorsioni, imparzialità dell’organo. Riguardo ai detenuti intervistati, i risultati della ricerca empirica mostrano la generale mancanza di conoscenza della disponibilità del rimedio preventivo per denunciare violazioni in atto da parte dell’amministrazione penitenziaria. Inoltre, come constatato nel caso della sezione femminile del carcere di Sollicciano (vedi sopra), anche quando i detenuti sono stati informati dai membri di una ONG o da altri dell’esistenza del rimedio preventivo e della possibilità concreta di fare ricorso utilizzando questo stesso rimedio, alcuni rifiutano ugualmente di usarlo. In effetti, dopo ulteriori ricerche, i detenuti hanno confermato che questa riluttanza era dovuta al timore di possibili ritorsioni da parte degli agenti di custodia. 320. Secondo Antigone, questa riluttanza può essere spiegata anche dal fatto che i detenuti temono che reclamare la tutela dei loro diritti possa essere controproducente. Nello specifico, poiché lo stesso Magistrato di sorveglianza è competente sia sui ricorsi ex articolo 35-bis che su ogni altra questione concernente l’esecuzione della pena (misure alternative, benefici etc.): “se il detenuto si lamenta troppo, non potrà ottenere i benefici”. 321. Riguardo ai magistrati di sorveglianza, la loro opinione sul rimedio preventivo è apparsa positiva. Si sono sentiti per la prima volta dotati di uno strumento giurisdizionale chiaramente vincolante. Come altri intervistati, anche i magistrati hanno criticato la complessità della procedura. 322. Riguardo alla mutata percezione del loro ruolo, i magistrati di sorveglianza sono sembrati ancora riluttanti a svolgere la funzione di garanti dei diritti dei detenuti, anche dopo l’introduzione del rimedio di cui all’articolo 35-bis. Si vedono ancora principalmente come giudici dell’esecuzione penale. Come ha affermato uno di loro, rifiuta il ruolo di controllore dell’amministrazione penitenziaria preferendo parlare di 145 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission cooperazione con l’amministrazione stessa. Ha confermato significativamente che il procedimento davanti al Magistrato di sorveglianza è un modo di spiegare al detenuto le ragioni della sanzione disciplinare. Questo perché, a suo parere, l’amministrazione penitenziaria non comunica in maniera esauriente i suoi ordini o decisioni ai detenuti. 323. I detenuti hanno molte difficoltà ad accedere a qualunque tipo di documentazione per sostenere e suffragare i loro reclami. Prendendo ad esempio i referti medici, in molte regioni d’Italia questa documentazione non è digitalizzata e si può trovare solo in copia cartacea. Inoltre è spesso incompleta o poco chiara e i detenuti devono pagare per ottenerla. In altri casi i detenuti non possono avere accesso alle relazioni ufficiali o agli ordini dell’amministrazione penitenziaria. Significativamente, i magistrati di sorveglianza intervistati hanno confermato che quando la parola di un detenuto è opposta a quella dell’amministrazione penitenziaria è quest’ultima a prevalere, ribaltando completamente il principio costantemente ribadito dalla giurisprudenza della CEDU. 324. Discutendo i ricorsi decisi da loro, i magistrati di sorveglianza intervistati hanno confermato che i casi di violazioni denunciate ai sensi di questo rimedio apparivano contradditori e ingannevoli. Allo stesso tempo è interessante osservare la scarsità di ricorsi ex articolo 35-bis decisi o pendenti di fronte a loro. 325. Riguardo al rimedio risarcitorio introdotto di recente in Italia, la valutazione generale dei magistrati di sorveglianza è sembrata negativa. Questo rimedio sembra avere una natura ambigua. Da un lato mira a offrire tutela giurisdizionale in caso di violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Dall’altro lato ha uno scopo esplicitamente deflattivo. Ciò incoraggia il Magistrato di sorveglianza a condurre un’indagine personalizzata per accertare la gravità e l’entità della violazione. E tuttavia il risarcimento consiste o in uno sconto di pena predeterminato o in un risarcimento monetario forfettario, senza discrezionalità giudiziaria. Questo è visto come un aspetto critico dai magistrati intervistati e li induce a confermare che un altro tipo di rimedio sarebbe stato più appropriato. Specificamente, hanno tutti affermato che la natura deflattiva e risarcitoria del rimedio non è coerente con la giurisdizionalizzazione prevista dall’articolo 35-ter e che una forma automatica di tutela sarebbe stata più efficace. 326. Riguardo all’imparzialità del giudice competente sul rimedio risarcitorio, non sono emersi problemi concernenti il giudice civile che è percepito come imparziale. Viceversa i membri delle ONG intervistati hanno confermato che l’imparzialità del Magistrato di sorveglianza pare compromessa dal suo ruolo di giudice dell’esecuzione penale. 327. Riguardo agli aspetti procedurali del rimedio, uno dei punti critici segnalato dai membri delle ONG è la lunghezza del procedimento connesso al problema istruttorio. Di fatto l’accuratezza dell’istruttoria è compromessa dall’essere la documentazione interamente fornita dall’amministrazione penitenziaria. I detenuti non hanno alcuna 146 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission possibilità di avere accesso a documenti ufficiali a sostegno dei loro reclami e il Magistrato di sorveglianza decide in pratica sulla base di un’unica relazione, redatta espressamente dall’amministrazione penitenziaria dopo l’inizio del procedimento in cui fa dichiarazioni sulle condizioni di detenzione, il regime carcerario ai detenuti e risponde a tutte le allegazioni del ricorrente. Non sono neppure prodotti registri, ordini o documenti perché la documentazione ufficiale non è digitalizzata. Un altro aspetto critico è il fatto che spesso il ricorso per il rimedio risarcitorio si riferisce alle condizioni vissute dai detenuti in diversi istituti di pena. Come confermano i magistrati intervistati, all’inizio il giudice era solito chiedere un rapporto a tutti gli istituti coinvolti nel caso, con un drastico aumento dei tempi dell’istruttoria dovendo attendere tutte le risposte. Oggi l’ultimo istituto in cui il ricorrente è stato detenuto è quello competente a fornire il rapporto, comprese tutte le informazioni provenienti dagli altri istituti. 328. L’onere della prova che incombe all’amministrazione penitenziaria sembra ridursi a una relazione ex post con dichiarazioni dell’amministrazione penitenziaria. In questo caso quando la parola di un detenuto è opposta a quella dell’amministrazione penitenziaria è quest’ultima a prevalere come affermano chiaramente i magistrati di sorveglianza intervistati. 329. Una delle preoccupazioni dei magistrati di sorveglianza è sembrata il fatto che molti ricorsi paiono standardizzati e non documentati, impedendo la personalizzazione della valutazione. Ciò è dovuto, a parere dei membri delle ONG, all’impossibilità di accedere alla documentazione ufficiale a sostegno della richiesta del ricorrente. 330. Inoltre è vero che le ONG hanno messo a disposizione una bozza di ricorso ex articolo 35-ter. Questa bozza è stata distribuita in tutta Italia attraverso i garanti dei detenuti. Ciò ha permesso a un’alta percentuale di detenuti di conoscere il rimedio e di chiedere un risarcimento. Purtroppo la personalizzazione dei modelli di ricorso è stata possibile solo negli istituti e nei casi in cui i membri delle ONG hanno potuto aiutare i detenuti a compilarli. Ciò mostra un altro aspetto critico, l’accesso insufficiente dei detenuti all’assistenza legale. Solo di rado i detenuti sono stati assistiti da un legale nel redigere il ricorso ex articolo 35-ter. Solo in una fase successiva, durante il procedimento davanti al Magistrato di sorveglianza, si nomina un avvocato che presta assistenza legale. Il problema è che l’avvocato apprende del caso solo in occasione della prima udienza, il che è un esempio lampante di violazione del diritto a una difesa tecnica. 331. Un altro aspetto critico è la lunghezza del procedimento. Poiché il periodo iniziale durante il quale il Magistrato di sorveglianza attende che l’amministrazione penitenziaria fornisca la documentazione richiesta dura alcuni mesi, è emersa una linea interpretativa che richiama espressamente il principio processualcivilistico della “non contestazione” (cioè, quando un’allegazione dell’attore non è contestata esplicitamente dalla controparte deve ritenersi provata). Purtroppo questa linea di ragionamento non sta prevalendo e la 147 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission giurisprudenza dei magistrati di sorveglianza mostra che il comportamento più diffuso è attendere fino a sei mesi una risposta dell’amministrazione penitenziaria invece di applicare il principio della non contestazione. Si stima che la durata totale del procedimento possa essere di un anno o più. 332. Il caso della “incompetenza sopravvenuta”. Un altro caso critico è quello di un detenuto che presenta il ricorso al Magistrato di sorveglianza mentre è ancora in carcere e nelle more del procedimento (spesso a causa della sua lunghezza) viene rilasciato. Secondo la legge un ex detenuto deve adire il giudice civile. In questi casi la giurisprudenza italiana ha dato finora due interpretazioni. La prima asserisce che il Magistrato di sorveglianza perde la competenza e deve dichiarare il ricorso inammissibile. Di conseguenza l’ex detenuto è costretto a presentare un nuovo ricorso al giudice civile dove è necessario avere assistenza legale professionale. Secondo i dati dell’amministrazione penitenziaria il 5,2% dei ricorsi decisi finora sono stati dichiarati inammissibili per questo motivo (829 su 16.085). Un’altra linea di ragionamento, condivisa da uno dei giudici intervistati, assume che quando il ricorso è stato iscritto nel registro del Tribunale di sorveglianza la competenza rimane ad esso indipendentemente dal fine pena. Questo perché il ritardo procedurale non può essere imputato al detenuto. Vediamo ancora una moltitudine di interpretazioni su questo punto rilevante, a causa di un testo legislativo poco chiaro. 333. La ricerca empirica è stata condotta fra i detenuti maschi del carcere di Sollicciano e le interviste si sono svolte fra il 14 settembre e il 23 ottobre 2015. I detenuti sono stati scelti fra quelli che erano stati aiutati dall’Altro diritto a preparare e presentare il ricorso ex articolo 35-ter concernente le condizioni materiali di detenzione. 334. La maggior parte dei detenuti ha dichiarato che il suo ricorso era ancora pendente dopo un anno. Tutti i detenuti hanno risposto che gli unici miglioramenti riguardavano la limitata riduzione del sovraffollamento (la popolazione del carcere fiorentino di Sollicciano è diminuita di circa il 30% fra il 2013 e il 2014, e il numero di detenuti per cella di 12m2 è passato da 3 a 2) e l’accesso a un regime più aperto. Dal maggio 2014 9 sezioni su 13 del carcere maschile godono di un regime semi-aperto all’interno della sezione per 8 ore al giorno. Per contrastare il problema strutturale evidenziato dalla sentenza pilota Torreggiani, l’amministrazione penitenziaria italiana ha emesso un ordine di servizio che introduceva la sorveglianza “dinamica”. Questa è stata la sola strategia attuata dall’amministrazione penitenziaria. Non è stato introdotto alcun miglioramento concernente le attività educative e lavorative. Di conseguenza, mentre prima di questo ordine i detenuti erano abbandonati all’ozio nelle celle, ora appaiono abbandonati all’ozio nei corridoi. Inoltre, a causa dell’opposizione dei sindacati di polizia penitenziaria a questo nuovo regime, è stato emesso un nuovo ordine di servizio che ha limitato la portata di questo regime semi-aperto. La nuova decisione impone di classificare i detenuti secondo la loro potenziale pericolosità, dopo un periodo di osservazione di un mese, e di 148 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission suddividerli poi tra sezioni a regime semi-aperto e a regime chiuso. Tutte le altre condizioni materiali di detenzione sopra elencate non sono cambiate, stando alle risposte dei detenuti. 335. È degno di nota che il leggero miglioramento delle condizioni materiali di detenzione avvertito dai detenuti non è legato direttamente alla tutela giurisdizionale ma a una politica amministrativa. 336. Secondo i dati dell’amministrazione penitenziaria, fino al 13 ottobre 2015 23.600 reclusi hanno adito il Tribunale di sorveglianza, ma solo in 4.773 casi l’amministrazione penitenziaria ha ricevuto notifica di comparire nel procedimento, a causa del gran numero di ricorsi giudicati “inammissibili” (77% dei casi) o respinti per incompetenza (5,2%). Non disponiamo di informazioni sulle motivazioni date dal giudice, ma secondo l’ufficio legale dell’amministrazione penitenziaria possono essere classificate come segue: in molti casi il ricorso era “generico”; questo dato si può spiegare con la mancanza di assistenza idonea da parte di un avvocato o di una ONG. 337. In alcuni casi i detenuti hanno adito più di un Tribunale di sorveglianza. La maggior parte dei ricorsi è stata respinta perché la violazione non era in atto al momento della decisione. Secondo l’ufficio legale dell’amministrazione penitenziaria, solo i Tribunali di quattro regioni (Puglia, Toscana, Emilia Romagna e Sicilia) accettano ricorsi di detenuti che non sono in una situazione di violazione in atto, mentre tutti gli altri (la maggior parte) li dichiarano inammissibili. È solo una tendenza generale, perché in alcune regioni dei singoli giudici possono non seguire la maggioranza. 338. Nei 976 casi in cui il ricorso è stato accolto, i detenuti hanno ricevuto un risarcimento medio di €215 per detenuto e uno sconto di pena medio di 54 giorni per detenuto. I Tribunali di sorveglianza hanno riscontrato una violazione solo in 976 casi, cioè solo nel 6,1% del totale, contraddicendo l’opinione della CEDU e affermando indirettamente che il sovraffollamento non era strutturale. I dati mostrano inoltre che nel 77% dei casi i tribunali nazionali non si sono pronunciati su una possibile violazione dell’articolo 3 della Convenzione, dichiarando il ricorso “inammissibile” perché la violazione non era in atto al momento della decisione. Secondo i dati ufficiali sopra riportati, 1.507 detenuti hanno fatto ricorso ai tribunali civili. 339. In Francia le cifre del contenzioso penitenziario non sono pubblicate. Nel novembre 2014 un funzionario penitenziario ha dato le cifre seguenti: nel 2013, 667 ricorsi (di cui 206 procedimenti cautelari) sono stati presentati contro l’amministrazione penitenziaria. Nel 2003 tali ricorsi erano solo 50. Riguardo alle cause per danni, i risarcimenti concessi ammontavano a un totale di 1.296.000 euro nel 2013, contro 4.200 euro nel 2006. 340. In campo penale i detenuti possono in teoria rivolgersi ai tribunali ordinari per ottenere il rilascio, ma la Corte di Cassazione esige che il ricorrente alleghi “elementi 149 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission [personali] specifici sufficientemente gravi da mettere in pericolo la salute fisica o mentale del ricorrente” (29 febbraio 2012). Inoltre il peggioramento dello stato di salute del detenuto deve essere attribuibile alle condizioni di detenzione. Condizioni oggettivamente contrarie alla dignità umana non bastano a motivare il rilascio. Nel caso Yengo v. France la CEDU ha ritenuto che il ricorso ammesso dalla Cassazione non fosse un rimedio effettivo. 341. Davanti ai tribunali amministrativi il numero di cause relative alle condizioni di detenzione è aumentato considerevolmente per quel che riguarda le domande di risarcimento danni, data la mancanza di rimedi preventivi effettivi. Non risulta che il giudice amministrativo abbia mai pronunciato una decisione di annullamento il cui oggetto e il cui effetto fossero quelli di rimuovere un detenuto da condizioni materiali contrarie all’articolo 3. In ogni caso il tempo di attesa per questo tipo di procedimento è di circa un anno, e la Corte sottolinea che pertanto non è utilizzabile in casi urgenti. Le decisioni prese su ricorsi per la protezione di diritti e libertà fondamentali e in procedimenti cautelari protettivi mostrano l’incapacità dei procedimenti condotti davanti ai tribunali amministrativi di risolvere il problema strutturale del sovraffollamento. 342. Il Consiglio di Stato ha ritenuto che il degrado della prigione di Marsiglia giustificasse l’ordine di attuare vari lavori di ristrutturazione (2012). Tuttavia le condizioni per coinvolgere il giudice rendono questo rimedio complicato, tanto che non è stato più usato da allora. Infatti il ricorrente deve prima dimostrare l’esistenza di una grave violazione dell’articolo 3. Perciò il procedimento non soddisfa il requisito della condivisione dell’onere della prova. Poi il ricorrente può solo chiedere provvedimenti che possano essere verosimilmente presi entro il termine di 48 ore che ha il giudice per decidere; in altre parole è impossibile un esame approfondito di fattibilità. 343. Anche se il giudice ha il potere di “ordinare tutti i provvedimenti necessari alla salvaguardia di un diritto o di una libertà fondamentale”, occorre pur sempre che la situazione consenta “la possibilità di prendere utilmente queste decisioni di salvaguardia entro 48 ore”. Inoltre “le misure di salvaguardia ordinate (…) per far cessare o ridurre un pericolo derivante dall’azione o dall’omissione dell’amministrazione devono avere effetto in un tempo brevissimo” (2013). In altre parole, il giudice può solo prendere provvedimenti ad hoc con effetto immediato sul rischio da neutralizzare e non provvedimenti a lungo termine o di una certa importanza che richiedono un’analisi approfondita di fattibilità e diretti a risolvere un malfunzionamento complesso o strutturale. 344. Da questo punto di vista tutti i provvedimenti ottenuti nel caso del carcere di Marsiglia Les Baumettes dalla sezione francese dell’OIP con un ricorso per la protezione dei diritti e delle libertà fondamentali concernevano certi aspetti ad hoc delle condizioni materiali di detenzione (illuminazione, rimozione della spazzatura, metodo di 150 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission distribuzione dei pasti e disinfestazione), senza tuttavia metter fine alle situazioni di trattamento illecito poste dal Contrôleur général. 345. L’ineffettività di questi rimedi è tale che, più di un anno dopo la decisione del tribunale, la situazione di palese degrado nel carcere di Les Baumettes permaneva ancora. Il 18 dicembre 2013 la sezione francese dell’OIP ha presentato dei nuovi ricorsi allo scopo di ottenere l’esecuzione effettiva degli ordini già dati. 346. Di recente la natura restrittiva del ricorso per proteggere i diritti e le libertà fondamentali è stata confermata con riferimento al carcere di Ducos. In un ricorso promosso dalla sezione francese dell’OIP il giudice ha accolto alcune richieste mirate ma ha respinto tutte le richieste di provvedimenti relativi alle cause profonde del sovraffollamento e delle improprie condizioni materiali di detenzione, osservando che questi provvedimenti “non potevano essere ordinati nel contesto di un ricorso per la protezione dei diritti e delle libertà fondamentali”. 347. Lo stesso Consiglio di Stato francese (in sigla CE) ha riconosciuto i limiti del suo intervento (CE, 30 luglio 2015, no. 392043). Nel respingere un ricorso concernente il carcere di Nîmes, ha riconosciuto apertamente che in quel carcere le “condizioni di detenzione sono aggravate dalla diffusa mancanza di riservatezza, e che i detenuti che vivono in queste condizioni sono perciò sottoposti a un trattamento disumano o degradante”. E tuttavia ha ritenuto di non poter far cessare questa situazione perché il suo “intervento […] nelle particolari condizioni di urgenza previste dall’articolo L. 5212 di cui sopra è condizionato dall’osservazione che nella situazione contestata sia possibile ordinare utilmente e molto rapidamente le necessarie misure di salvaguardia”. 348. Ha pertanto ordinato solo pochi provvedimenti residuali e limitati (lavori per prevenire il rischio di incendio, distribuzione di detergenti e di lenzuola e biancheria pulite). Ha solo invitato l’amministrazione a migliorare la situazione in modo che i detenuti non dormano più su materassi stesi sul pavimento, ma non ha disposto provvedimenti specifici a questo fine. Prendendo atto del suo potere limitato, il giudice cautelare ha respinto tutte le richieste che avrebbero potuto far cessare i trattamenti disumani nel carcere. È chiaro dunque che il giudice non può intervenire sulle vere cause della violazione, e in particolare non può risolvere il problema del sovraffollamento. 349. A parte questi aspetti giuridici, la sociologia del diritto penitenziario ha particolarmente insistito sui limiti materiali dell’accesso a e della disponibilità di mezzi giuridici da parte di soggetti socialmente svantaggiati. Inoltre c’è il fatto che “la complessità dell’ordinamento normativo e le caratteristiche della popolazione detenuta, che proviene spesso da quartieri disagiati e con quasi nessuna qualifica, non favoriscono 151 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission una conoscenza esatta delle norme, o la loro padronanza da parte della maggioranza delle persone in carcere” (Rostaing, 2007). 350. Vari studi hanno insistito anche sulla minaccia pratica della penetrazione del diritto nell’equilibrio fragile delle relazioni sociali in carcere, che si reggono tradizionalmente su reciprocità e onore più che sul riferimento a norme giuridiche (si vedano i riferimenti nel report nazionale). Ricorrere al diritto significa spesso voltare le spalle ai mezzi tradizionali di soluzione delle controversie e ai benefici secondari che queste relazioni informali e pregiuridiche probabilmente recano. Portare una questione davanti a un giudice, e più in generale davanti a qualsiasi organo di controllo esterno, può essere rischioso per i detenuti che l’amministrazione penitenziaria definisce “litigiosi” se sono particolarmente attivi sotto questo aspetto. 351. Infine, i detenuti hanno spesso un rapporto complesso con il potere giudiziario e con il diritto. I detenuti, che sono spesso stigmatizzati dalla carcerazione e dal percorso sociale, mettono in gioco la loro dignità quando si rivolgono al diritto per risolvere i loro problemi. Il ricorso al diritto appare come una “sfida morale” a superare – o ad accettare – una doppia umiliazione: quella che consiste nel parlare apertamente con un’autorità ufficiale, e quella che consiste nell’affermarsi – nonostante lo stigma della carcerazione – titolare di diritti umani da rispettare (Durant, 2014). Le persone condannate a pene detentive lunghe, particolarmente soggette a provvedimenti disciplinari e di sicurezza, sono quelle che hanno dato inizio al contenzioso in Francia. 352. Per quel che riguarda l’accesso alle riduzioni di pena, gli individui con le ragioni più “legittime” hanno le maggiori possibilità di guadagnarsi la fiducia dei giudici a causa dell’immagine sociale rassicurante che proiettano. Il contesto sociale ed economico in cui si trovano conferisce loro delle garanzie che costituiscono, agli occhi dei giudici, un indice di probabile reinserimento sociale e di minor rischio di recidiva (Bouaga, 2015). 353. Infine occorre evidenziare il ruolo importante delle persone detenute che si rivolgono al giudice per chiedere il rispetto dei loro diritti. Sono talvolta attivisti dei diritti dei detenuti, e i più attivi sono definiti “litigiosi” dall’amministrazione. Anche se si può parlare di “giudiziarizzazione carceraria” (Rostaing 2008), questa espressione si riferisce innanzitutto alla diffusione del discorso dei diritti nelle relazioni quotidiane fra detenuti e personale penitenziario. Sono rarissimi i detenuti che si fanno carico di inverare questo discorso nei procedimenti, specialmente quando questi ultimi possono durare vari anni. Tutti gli studi sull’avvio di procedimenti da parte dei detenuti sottolineano il timore di ritorsioni formali o informali da parte dell’amministrazione penitenziaria. 354. In questo contesto l’impulso alle dinamiche contenziose e il loro coordinamento poggiano ancora in larga misura sulla sezione francese dell’Osservatorio internazionale 152 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission delle prigioni (“Observatoire international des prisons - Section française”, o OIP-SF), che è un protagonista del contenzioso penitenziario. 153 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission CONCLUSIONE Lo scopo di questa ricerca è l’analisi di un doppio movimento: la proceduralizzazione dei diritti dei detenuti nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e lo sviluppo del diritto a contestare legalmente gli atti dell’autorità applicabili a loro. Rispetto alla giurisprudenza europea, lo sviluppo dei requisiti procedurali descritto nella prima sezione del rapporto ha contribuito a estendere e ad aumentare i diritti dei detenuti. Le sentenze analizzate, relative ad aspetti diversi della vita in carcere, non dimostrano pertanto che il diritto procedurale sta intaccando quello sostanziale, come è accaduto in altre aree245. Le sentenze pilota e quasi pilota meritano un posto speciale sotto questo aspetto. Pur continuando gli sforzi di sradicare dei problemi strutturali, sono anche strumenti per smaltire i ricorsi ripetitivi che intasano le aule della Corte europea dei diritti umani246, ove hanno un’evidente funzione gestionale. È stato sottolineato che le sentenze pilota sul carcere avevano un difetto, i provvedimenti raccomandati non erano mai direttamente connessi ai fatti dietro la violazione strutturale – regole e prassi delle carceri – ma ai meccanismi interni di rimedio. In altre parole, cercavano di trasferire ai giudici nazionali l’onere delle controversie relative a queste violazioni. La precisione delle strategie di politica del diritto penale varia da una sentenza all’altra: alcune mostrano un’intenzione chiara (Ananyev and others v. Russia), mentre altre sono più laconiche (Torreggiani and others v. Italy). Sembrerebbe che le sentenze pilota e quasi pilota abbiano avuto, tutto sommato, effetti politici negli Stati in questione, mettendo le riforme penali all’ordine del giorno, e in qualche caso effetti statistici, i cui effetti di lungo periodo rimangono incerti. In Romania, secondo le autorità carcerarie, la popolazione detenuta è scesa da 31.817 il 31/12/2012 a 28.334 il 31/12/2015 (un calo dell’11% e un ritorno ai livelli del 31/12/2010). Nel corso di un convegno a conclusione di questo progetto il Ministro della Giustizia ha lanciato un allarme sui possibili effetti di allargamento della rete penale (aumento del controllo esterno degli imputati senza scalfire la popolazione detenuta) come conseguenza dell’aumentato ricorso alla libertà condizionale, nella scia della sentenza quasi pilota Iacov Stanciu. In Bulgaria la popolazione detenuta è in calo da qualche tempo (da 11.436 il 31/12/2005 a 7.408 il 31/12/2015), ma questo sembra essenzialmente dovuto ai cambiamenti della struttura demografica generale. Senza una strategia globale di riduzione della popolazione detenuta, si è fatta la scelta di una politica della “porta 245 Su tale questione si veda Belda, 2010. Grazie a 1) la trattazione collettiva dei ricorsi nazionali sullo stesso tema e 2) il trasferimento delle controversie ai giudici nazionali. 246 154 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission posteriore” (ridurre il numero dei reclusi attraverso provvedimenti di liberazione anticipata). In Italia la sentenza pilota Torreggiani ha portato a limitare l’uso della custodia cautelare, dal 51% della popolazione detenuta nel 2009 al 40% nel 2014 e al 33% oggi, e all’approvazione di una legge sul traffico di stupefacenti che ha consentito condanne a pene meno gravi. Sono stati adottati dei provvedimenti temporanei, ma non sono stati prorogati alla chiusura del procedimento di sentenza pilota (ad esempio il progetto di aumentare lo sconto di pena maturato ogni sei mesi da 45 a 75 giorni – che è stato abbandonato). I livelli della popolazione detenuta sono di nuovo in crescita. Si sono tenute delle conferenze sul carcere e la politica penale, ma non hanno prodotto le riforme annunciate. In Belgio la strategia seguita ha mirato più ad aumentare il numero delle prigioni nonostante le raccomandazioni contrarie del Consiglio d’Europa. I provvedimenti penali (presi dopo la sentenza Vasilescu) si sono limitati a estendere la sorveglianza elettronica prima del giudizio e a prevederla come pena autonoma, sulla base di una nuova condanna alla libertà vigilata. Le statistiche ufficiali mostrano che il numero dei detenuti è calato da 11.854 il 15/4/2014 a 10.469 il 7/7/2016. Come indicatore delle politiche penali attese dai giudici nazionali competenti sui reclami, questa aspettativa sembra essere andata delusa. L’aumento del contenzioso si accompagna molto spesso a una burocratizzazione ancora maggiore del suo espletamento, il che spesso è causa di procedimenti particolarmente lunghi e della dichiarazione di inammissibilità di una gran parte di questi reclami. Queste procedure sono contrarie alle regole europee di alleggerire le formalità procedurali e di cercare di prevenire i ricorsi per cattivo trattamento. Questo stato di cose è connesso alle difficoltà incontrate dai detenuti ad applicare efficacemente i mezzi procedurali predisposti dalla legge (vedi sotto), ma anche e soprattutto alla prevalenza delle esigenze della repressione penale sul rispetto del diritto alla dignità, negli organismi collettivi, nel diritto e nella prassi dei paesi osservati. Con l’eccezione della Corte costituzionale tedesca, giudice di ultima istanza, secondo cui l’impossibilità di assicurare condizioni di detenzione conformi al diritto alla dignità deve portare alla liberazione delle parti interessate, i rimedi “preventivi” non sono in generale usati tecnicamente per risolvere i problemi strutturali del sovraffollamento. Il rifiuto tradizionale di interferire con i poteri dell’esecutivo (Italia, Irlanda e il Regno Unito) o di scavalcare la competenza dei giudici (Belgio e Francia) è invocato generalmente per giustificare l’astinenza del giudice. Tuttavia, come era il caso di Francia e Irlanda, la possibilità teorica di interrompere una carcerazione non dignitosa è soggetta a tali requisiti probatori e a tali livelli di gravità che la protezione formale è illusoria. 155 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission Al di là degli aspetti relativi all’uso del carcere, la ricerca rivela una grande disparità fra i possibili rimedi a disposizione dei detenuti. Tuttavia per comparare il dinamismo della protezione giuridica a livello nazionale occorre un’analisi simultanea e precisa dei diritti sostanziali garantiti ai detenuti dal diritto interno e della loro formulazione – che non era possibile nel contesto di questo progetto. Da questo punto di vista i risultati di questo studio hanno bisogno di articolarsi con quelli di future ricerche sui diritti sostanziali che ogni nazione riconosce ai detenuti. La ricerca rivela nondimeno alcuni fatti importanti che possono avere implicazioni operative. In primo luogo, la giurisprudenza europea sugli obblighi procedurali ha respinto, in linea di principio, le teorie che attribuivano pieno potere discrezionale all’autorità. Di più, in alcuni Stati richiamarla ha reso possibile ottenere una diminuzione significativa di provvedimenti penitenziari visti come un grave problema dai detenuti (come le perquisizioni corporali in Francia). Ha portato anche a un certo grado di armonizzazione dei diritti nazionali intorno a un modello giuridico che include una procedura più o meno garantista. Sotto questo aspetto le sentenze pilota producono cambiamenti più rapidi delle procedure (tranne in Belgio a questo punto). Questa costruzione rimane però incompleta. Spesso lo sviluppo si limita al passaggio da un’assenza di rimedi disponibili a un controllo esteso degli atti dell’autorità (per esempio grande potere discrezionale, pochi vincoli sui motivi delle decisioni amministrative che compromettono di fatto la possibilità di utilizzare il rimedio). Il diritto penale rimane un ramo del diritto e della giustizia secondaria che fatica a sfuggire alla ratio di eccezione che ne ha segnato la comparsa. L’assenza di un procedimento giurisdizionale organizzato in Spagna o lo scarso potere che i giudici italiani attribuiscono alle loro stesse sentenze sono molto significativi in questo campo. Talvolta il riconoscimento dei diritti gioca a sfavore degli interessati. Il contenzioso sui casi di suicidio ha contribuito a ridurre l’indipendenza dei detenuti (in Francia e in Inghilterra). Sotto la pressione giudiziaria, in particolare, è emersa una politica che combina gestione del rischio e prevenzione del suicidio e ha portato a un maggiore controllo dei detenuti (raccolta di dati, sorveglianza notturna, celle nude, etc.; cfr. Liebling and Arnold, 2005, Cliquennois and Champetier, 2013). Allo stesso modo, il controllo preteso dalla Corte in materia di liberazione condizionale degli ergastolani ha prodotto nel Regno Unito la distribuzione di uno schema di valutazione del rischio nella vita quotidiana degli interessati. Un altro problema identificato è che il contenzioso si basa su cause con probabilità di successo, e in questo modo può ignorare le preoccupazioni essenziali dei detenuti che pertanto non sono prese in esame in particolare dal diritto europeo. Ad esempio, le condizioni di detenzione in strutture fatiscenti possono dare origini ad altri problemi 156 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission essenziali. Un altro fenomeno che si sta diffondendo è quello dei detenuti reclusi nelle nuove strutture conformi ai principi applicati dai giudici ma viste come meno sopportabili delle vecchie carceri, che non riescono a contestare davanti a un giudice le loro condizioni di vita. Al di là della dimensione giuridica, la ricerca ha messo in luce alcune osservazioni interessanti sui motivi che spingono a non rivolgersi al giudice, che valgono ancora di più per gli organi ispettivi. Il quadro che emerge, in particolare nel caso dell’Italia (con un gran numero di ricorsi inammissibili), dimostra che la limitata formalità di un rimedio, come è spesso il caso dei giudici penitenziari specializzati, non garantisce in alcun modo l’accesso effettivo dei detenuti ai giudici. Questa osservazione non si limita al contenzioso: vale ugualmente per gli organi di monitoraggio (interni o esterni) che in teoria dovrebbero essere i più accessibili (si vedano le indagini relative all’Ombudsman inglese). Il lavoro empirico mostra chiaramente da un lato che la popolazione carceraria non è consapevole dei propri diritti e dall’altro le difficoltà poste dall’obbligo di presentare il reclamo per iscritto. Sotto questo aspetto ogni vincolo procedurale specifico, come dover fare prima reclamo alle autorità, per obbligo di legge in Austria o per prassi in Spagna, è considerato un ostacolo aggiuntivo. L’accesso a un giurista professionista è perciò decisivo. E tuttavia da questo punto di vista l’assenza o il livello del gratuito patrocinio è ritenuto globalmente, tranne in Olanda, un problema critico o importante. Il contenzioso penitenziario comporta un grosso carico di lavoro per gli avvocati (difficoltà a raccogliere gli elementi per formalizzare il ricorso, dispersione e inaccessibilità delle norme penitenziarie, necessità di recarsi in carcere, etc.) ed è pagato male. Un’altra osservazione importante, al di là delle condizioni fisiche e finanziarie connesse all’applicazione del diritto, è che la paura di ritorsioni o di conseguenze negative in caso di ricorso è un fattore dissuasivo importante. Può trattarsi di ritorsioni dirette degli agenti di custodia, della revoca di benefici da parte dell’autorità, o perfino di ripercussioni sull’accesso alla libertà condizionale e ad altre misure di individualizzazione della pena. Per quel che riguarda in particolare i giudici specializzati, il cumulo nello stesso giudice del ruolo di esecutore delle condanne (la concessione dei benefici e degli sconti di pena) e di difensore dei diritti fondamentali dei detenuti è visto spesso come un problema (in Italia ad esempio). Questo effetto è accentuato dal fatto la popolazione detenuta spesso non si aspetta grandi benefici dalla strada del ricorso. Da un lato la lunghezza del procedimento è generalmente tale che il giudice interviene dopo la fine della situazione contestata (dopo il trasferimento o la liberazione in particolare), il che in ogni caso impedisce un 157 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission provvedimento utile da parte del giudice. Il risultato anticipato è perciò solo simbolico (o eventualmente finanziario). Inoltre, come si è detto, i poteri del giudice per risolvere la controversia sono spesso inadeguati a risolvere il problema posto. Questo stato di cose spiega in parte il basso impatto della giurisprudenza della CEDU, il che comporta a sua volta il perdurare delle violazioni palesi e sistematiche dovute a vincoli fisici o procedurali. Gli onorari sono spesso troppo bassi per giustificare il lavoro legale richiesto per gestire una causa. Il diritto europeo non è citato abbastanza davanti ai giudici (che non lo padroneggiano) e perciò non è recepito negli ordinamenti interni. L’accesso limitato alla giurisprudenza europea nella lingua nazionale è anch’esso un elemento bloccante da questo punto di vista. Molto spesso le sole regole note sono (nel migliore dei casi) quelle derivanti da una condanna contro lo Stato membro (cfr. lo studio empirico sul e il capitolo sulla Spagna). Questo fenomeno è di natura circolare: le cause a Strasburgo coprono spesso gli stessi oggetti e hanno difficoltà a incidere su altri problemi, che continuano. L’esistenza e l’importanza del controllo della Corte europea dei diritti dell’uomo sulla situazione nazionale è una combinazione di questi fenomeni: al di là ovviamente delle condizioni delle prigioni e dell’estensione della tutela dei diritti da parte delle stesse autorità nazionali, dipende da diversi parametri come la diffusione del diritto europeo nella lingua nazionale, il coinvolgimento delle ONG nelle cause davanti ai giudici nazionali (che può essere limitato dalla mancanza di mezzi e dalla pochezza dei benefici attesi) e la cultura giuridica degli avvocati, le difficoltà pratiche nell’esaurire tutti i rimedi nazionali, etc. Questi parametri hanno un impatto variabile e spiegano perché paesi così diversi come l’Irlanda, la Spagna e in minor misura l’Olanda non sono, o non sono molto, presenti nel contenzioso penitenziario a Strasburgo. Alla luce di queste osservazioni, rispetto all’accesso ai giudici, due elementi appaiono cruciali ma non sono disciplinati adeguatamente dal diritto europeo attuale: l’accesso al gratuito patrocinio e il ruolo delle ONG e delle reti di giuristi professionisti. L’assenza del gratuito patrocinio non è praticamente mai punita dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (cfr. il capitolo sul diritto a un giusto processo), e la difesa dei diritti all’interno del carcere non è coperta dalla legislazione europea. Allo stesso tempo organizzare l’accesso all’assistenza legale e alla giustizia è lasciato per lo più all’iniziativa delle ONG o di avvocati volontari. Il sostegno finanziario alle associazioni che promuovono l’accesso alla giustizia e alle reti più o meno formali di professionisti che si battono per i diritti dei detenuti sembrerebbe avere un maggiore impatto sulla protezione effettiva degli interessati. Allo stesso modo, il riconoscimento della capacità delle ONG di rappresentare gli interessi dei detenuti davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo, che può in parte compensare le difficoltà incontrate dagli interessati ad agire 158 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission personalmente, è ancora allo stato infantile. Si è sottolineato che, facilitando la gestione delle controversie, riconoscere un posto migliore alle ONG potrebbe contribuire a una soluzione più rapida dei problemi strutturali o sistemici. La fiducia dei detenuti nella capacità dell’ordinamento giuridico di proteggere i loro diritti, che è un fattore chiave per il successo della politica giurisprudenziale della Corte europea dei diritti dell’uomo, dipende in gran parte dalle garanzie che li difendono da ripercussioni negative. L’attuazione delle garanzie procedurali concernenti l’accesso alla liberazione anticipata e il controllo della Corte europea dei diritti dell’uomo sulle motivazioni date dai giudici nazionali in materia sono un fattore decisivo. Infine, il compito di rimuovere i problemi strutturali dei sistemi penitenziari europei, che la Corte europea dei diritti dell’uomo persegue con determinazione, è molto intralciato dalla riluttanza della Corte a valutare le difficoltà di accedere ai giudici incontrate dalla popolazione detenuta a causa della sua precarietà sociale ed economica. Il diritto a un rimedio effettivo può avere un ruolo significativo nel correggere le prassi e le politiche penali, a condizione che garantisca ai detenuti l’accesso a un sistema effettivo di assistenza legale, appoggi le azioni delle associazioni e delle reti professionali e difenda gli interessati dalle ritorsioni, in particolare proponendo provvedimenti di individualizzazione della pena ai principi del diritto comune. La sfida rappresentata da carceri strutturalmente sovraffollati e fuorilegge non appare insormontabile per l’autorità dei meccanismi sovranazionali operanti per proteggere i diritti fondamentali in Europa, tutt’altro. Le istituzioni dell’Unione europea devono svolgere pienamente il loro ruolo nel migliorare l’accesso legale nelle prigioni del continente. 159 European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission ELENCO DELLE SENTENZE E DELLE DECISIONI A. Menarini Diagnostics S.R.L. v. Italy, 43509/08, 27 September 2011 Aerts v. Belgium, No. 25357/94, 30 July 1998, Reports of Judgments and Decisions 1998V Aden Ahmed v. Malta No. 55352/12, 23 July 2013 Aharon Schwartz, No 28304/02, 12 January 2010. Ahmed v. Austria, No. 25964/94, 17 December 1996, Reports of Judgments and Decisions 1996-VI Aksoy v. Turkey, No. 21987/93, 18 December 1996, Reports of Judgments and Decisions 1996-VI Aldrian v. Austria (dec.) 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