Rapporto di sintesi generale

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Rapporto di sintesi generale
RAPPORTO DI SINTESI GENERALE
INTRODUZIONE............................................................................................................. 2
PRIMA PARTE – GLI OBBLIGHI PROCEDURALI NELLA GIURISPRUDENZA
DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO TEMI PRINCIPALI.... 5
I. Le condizioni materiali di detenzione e il sovraffollamento carcerario................ 5
II. L’articolo 6-1 della Convenzione EDU e il diritto applicabile al sistema
carcerario ..................................................................................................................... 34
III. Il diritto alla tutela della salute garantito dall’articolo 3 della Convenzione
EDU .............................................................................................................................. 66
SECONDA PARTE – RAPPORTO COMPARATO .................................................. 84
CONCLUSIONE........................................................................................................... 154
ELENCO DELLE SENTENZE E DELLE DECISIONI .......................................... 160
ELENCO DELLE PUBBLICAZIONI CITATE ....................................................... 168
This publication has been produced with the financial support of the Criminal
Justice Programme of the European Union. The contents of this publication are the
sole responsibility of the University of Florence and can in no way be taken to
reflect the views of the European Commission.
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INTRODUZIONE
1. Fino ad oggi in letteratura è stata dedicata scarsa attenzione all’evoluzione del diritto
dei detenuti a contestare la gestione e le decisioni a cui sono soggetti, in connessione col
progressivo riconoscimento dei diritti sostanziali e procedurali in Europa.
2. In particolare, lo sviluppo del diritto penitenziario europeo, il suo impatto sui rimedi
nazionali a disposizione dei detenuti e le sfide (legate ai problemi ricorrenti) all’autorità
della Corte europea dei diritti dell’uomo e al suo meccanismo sono stati trascurati dalla
letteratura.
3. La ricerca sul carcere si è concentrata soprattutto sul disuguale riconoscimento dei
diritti dei detenuti in Europa nei diversi periodi storici (gli anni settanta per alcuni autori,
gli anni duemila per altri), sui meccanismi di garanzia (giurisprudenza / legislazione) e
sulla corrispondenza fra il rifiuto della teoria dei poteri impliciti e la promozione dei
diritti dei detenuti.
4. Sotto questo aspetto, la creazione di una tutela specifica per i detenuti da parte della
giurisprudenza della Corte di Strasburgo, in particolare nel primo decennio degli anni
duemila, è stata ampiamente descritta. In particolare è stato descritto specificamente
(Belda, 2010) il ventaglio di tecniche interpretative utilizzate dalla Corte per espandere in
modo singolare il contenuto e la portata dei diritti garantiti ai detenuti dalla legislazione e
così ottenere lo scopo, implicito nella legislazione, di proteggere la dignità umana.
5. Meno attenzione è stata prestata ai requisiti derivati dalla giurisprudenza europea per
garantire l’effettività dei diritti così riconosciuti e, soprattutto, ai loro effetti sul diritto
nazionale. Tuttavia, un insieme di diritti sostanziali per i detenuti è stato creato (vedi i
capitoli della prima sezione) quando la giurisprudenza sperimentava un fenomeno di
“proceduralizzazione dei diritti” a partire dalla metà degli anni novanta (Dubout, 2007).
Ciò avrebbe avuto delle ripercussioni nel campo che si è aperto allora.
6. La proceduralizzazione è “il processo attraverso cui la giurisprudenza impone alle
autorità nazionali un obbligo procedurale diretto a rafforzare la protezione nazionale dei
diritti garantiti dalla Convenzione” (Dubout, 2007). L’inosservanza di un obbligo
procedurale diventa quindi una violazione della Convenzione anche se non è provato che
il diritto sostanziale protetto sia stato leso. Questo movimento copre al tempo stesso
l’effettività dei diritti, un concetto che “si riferisce al problema generale di trasformare
ciò che deve essere in realtà o, in altri termini, di passare dalla dichiarazione di un
principio giuridico alla sua applicazione effettiva o attuazione nel mondo” (ChampeilDesplat & Lochak, 2008). Il carcere si presta bene agli obblighi procedurali, perché il
fatto che i detenuti siano così dipendenti dalle autorità e non possano essere visti dal
pubblico generale rende concreto il rischio che i diritti siano solo formali. Perciò la Corte
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e i ricorrenti hanno fatto molto riferimento ai requisiti procedurali. La recezione degli
obblighi procedurali nel diritto interno, da un lato, e i rapporti dei detenuti con i rimedi
così riconosciuti, dall’altro, sono perciò parametri essenziali per misurare la portata del
processo europeo di riconoscimento dei diritti in carcere.
7. Per capire come la Corte si è rapportata al problema del carcere bisogna capire la sfida
che esso rappresenta.
8. Secondo le ultime statistiche pubblicate per il progetto SPACE1, al 1 settembre 2014
negli Stati del Consiglio d’Europa erano detenute 1.600.324 persone; le carceri europee
erano al massimo della capienza con 91 detenuti per 100 posti (la mediana era ancora più
alta: 93), e il 27,5% delle amministrazioni penitenziarie aveva problemi di
sovraffollamento. Dal 2009 la densità carceraria europea rimane vicino al massimo.
9. D’altra parte la Corte europea si è trovata di fronte a un grave problema di saturazione
che ne minaccia la stessa esistenza. Il contesto è cambiato quando la Corte è uscita dalla
sua precedente situazione di congestione. All’apertura dell’anno giudiziario, il 29 gennaio
2015, il Presidente della Corte fu lieto di annunciare “una situazione statistica abbastanza
soddisfacente”. Il numero di cause pendenti si era ridotto a 69.900 alla fine del 2014, con
un calo del 30% in un anno. Tuttavia i ricorsi ripetitivi in materia carceraria impongono
un grosso onere alla gestione della Corte e, soprattutto, la mancanza di effetti durevoli
delle sue sentenze pone gravi dubbi sulla sua autorità.
10. La Corte ha accertato in molti casi che c’è un problema strutturale relativo alle cattive
condizioni di detenzione o al sovraffollamento carcerario e ha iniziato a pronunciare delle
sentenze pilota o quasi pilota in alcuni casi di violazioni gravi e ripetitive della
Convenzione. In una sentenza pilota il compito della Corte non è solo decidere su una
violazione in un caso specifico ma anche identificare l’eventuale problema sistemico e
dare allo Stato indicazioni chiare del tipo di provvedimenti correttivi necessari a
risolverlo. Anche le sentenze quasi pilota rilevano l’esistenza di un problema sistemico o
strutturale, ma a differenza delle sentenze pilota si astengono dal prescrivere dei
provvedimenti generali per sradicarlo. Le sentenze pilota e quasi pilota sono oggetto di
monitoraggio assiduo da parte del Comitato dei Ministri, responsabile di controllare
l’attuazione di tutte le sentenze (articolo 46 della Convenzione EDU).
11. Sotto questo aspetto vorremmo dedicare maggiore attenzione a una breve analisi
storica dello sviluppo del diritto penitenziario europeo, all’importanza del principio di
sussidiarietà, alla competenza degli Stati nazionali nei ricorsi e alle funzioni del diritto
effettivo di proporre ricorso per la soluzione dei problemi strutturali, dando speciale
rilievo alle sentenze pilota e quasi pilota.
1
http://wp.unil.ch/space/files/2016/05/SPACE-I-2014-Report_final.1.pdf
3
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12. Attraverso la ricerca teorica ed empirica (costituita soprattutto da interviste a giudici,
direttori di carcere e personale penitenziario, detenuti, avvocati e membri di ONG), svolta
in 10 paesi europei compresi Stati oggetto di monitoraggio speciale da parte della Corte
di Strasburgo e destinatari di sentenze pilota e quasi pilota (Italia, Belgio, Romania,
Bulgaria e Regno Unito), ci proponiamo di analizzare gli effetti e i limiti della
giurisprudenza della CEDU e del contenzioso davanti alla Corte nello sviluppo dei rimedi
interni e delle realtà carcerarie nazionali.
13. Questi effetti possono essere analizzati in primo luogo attraverso i criteri stabiliti
dalla Corte di Strasburgo per valutare i sistemi di ricorso interni e la loro idoneità a
prevenite e risarcire le violazioni dei diritti umani specialmente nel campo delle
condizioni di detenzione e dell’assistenza sanitaria: effettività, prontezza e velocità,
indipendenza, contraddittorio, accesso e accertamento dei fatti, onere della prova, poteri
del giudice e le sue decisioni.
14. Analizzeremo quindi uno dopo l’altro le caratteristiche istituzionali degli organi di
controllo, la portata delle loro indagini, i loro poteri di correggere le violazioni osservate
in carcere e l’adeguatezza del procedimento rispetto alla situazione reale dei detenuti.
15. Sarà allora il momento di misurare la capacità delle disposizioni procedurali in vigore
di garantire l’effettività dei diritti riconosciuti in particolare dalla Convenzione EDU.
Questo approccio richiede in particolare un’analisi delle condizioni in cui i detenuti, gli
operatori giuridici e le ONG usano questi mezzi giuridici (interni ed europei) per
promuovere la causa dei detenuti.
4
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PRIMA PARTE – GLI OBBLIGHI PROCEDURALI NELLA GIURISPRUDENZA
DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
TEMI PRINCIPALI
I. LE CONDIZIONI MATERIALI DI DETENZIONE E IL SOVRAFFOLLAMENTO CARCERARIO
Inizialmente esaminate sotto il profilo della protezione definita “indiretta”2 – già nel 1962
la Commissione europea dei diritti dell’uomo affermava che l’articolo 3 si può applicare
a questa materia3 – dal 20004 le condizioni di detenzione rientrano direttamente
nell’ambito della protezione della Convenzione5. Perciò, come ha osservato B. PastreBelda, la protezione del benessere fisico e morale di un detenuto ha fatto nel corso di
mezzo secolo un “grande salto di qualità”: i giudici europei non sono più obbligati “a
esaminare se la violazione allegata leda un diritto garantito dalla Convenzione,
[essendo] il diritto a condizioni dignitose di detenzione [incluso] espressamente
nell’articolo 3, attraverso l’interpretazione dinamica della Corte europea”6. Sotto questo
aspetto il diritto a condizioni fisiche di detenzione umane è la manifestazione più
evidente della protezione per categorie enunciata dalla Corte, sulla base del rispetto della
dignità. F. Sudre ha quindi dimostrato che “mentre l’articolo 3 si applica a qualunque
uomo, percepito come unità nella sua interezza […] la giurisprudenza europea ha
favorito la nascita di una protezione per categorie che, prima di un approccio analitico,
introduce la divisione degli uomini e tiene conto di particolari categorie di individui.
Fondata sul meccanismo della protezione indiretta, attraverso una transizione graduale
la protezione per categorie diventa una protezione specifica”7.
Nello stesso arco di tempo la Corte ha organizzato la garanzia procedurale del diritto
fisico così consacrato. Lo ha fatto quasi esclusivamente nell’ambito dell’articolo 13 della
Convenzione, molto marginalmente in quello dell’articolo 6, e mai sotto il profilo
procedurale dell’articolo 3. Gli obblighi procedurali della Convenzione figurano anche
2
Una tecnica che consiste nell’estendere l’applicabilità della Convenzione EDU ad aree che non sono
incluse espressamente nel testo della Convenzione. La Convenzione, a differenza di altri strumenti di
protezione dei diritti umani (come ad esempio l’articolo 10 del Patto internazionale delle Nazioni Unite sui
diritti civili e politici del 1966) non si riferisce espressamente ai detenuti e a fortiori alle condizioni di
detenzione. L’articolo 3 della Convenzione EDU dispone perciò che “Nessuno può essere sottoposto a
tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”.
3
Commissione europea dei diritti dell'uomo, 8 marzo 1962, dec. Ilse Koch v. FRG, Ann. 5, p. 127. Sempre
in questo senso, Commissione europea dei diritti dell'uomo, 9 maggio 1977, dec. X v. Switzerland, DR 11,
p. 216.
4
Dalla sentenza Kudła v. Poland [GC], 26 ottobre 2000, n. 30210/96.
5
Sulla questione della natura diretta di questa protezione v. B. Ecochard, "L’émergence d’un droit à des
conditions de détention décentes garanti par l’article 3 de la Convention EDH", RFDA, 2003, pp. 99-108.
6
B. Belda, Les droits de l'homme des personnes privées de liberté, Contribution à l'étude du pouvoir
normatif de la Cour européenne des droits de l'homme, Bruylant/LGDJ, 2010.
7
F. Sudre, "L’économie générale de l’article 3 CEDH", in C.-A. Chassin (dir.), La portée de l’article 3 de
la Convention EDH, coll. "Rencontres européennes", Bruylant, Brussels, 2006, pp. 7-19, spec. pp. 16-17.
5
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nelle considerazioni citate nel verificare se i ricorrenti avessero rispettato la norma
dell’esaurimento dei mezzi di ricorso interni, disposta dall’articolo 35 § 3 b). Infatti la
logica dietro questa norma si basa, secondo la Corte, “sull’ipotesi, riflessa nell’articolo
13, che l’ordinamento interno preveda un rimedio effettivo contro le violazioni dei diritti
definiti dalla Convenzione. Questo è un aspetto importante della natura sussidiaria del
meccanismo stabilito dalla Convenzione”. I requisiti di un rimedio effettivo in materia di
condizioni fisiche di detenzione fanno parte della struttura più generale delineata dalla
Corte ai sensi dell’articolo 13, dato che la giurisprudenza precisa che, essendo questo
dovere di garanzia relativo a diritti specifici, può essere adempiuto in modi diversi a
seconda del diritto che lo Stato deve garantire e della situazione specifica in questione8,
avendo le autorità nazionali uno spazio di manovra considerevole in quest’area.
Ciononostante la Corte si è trovata a precisare come deve operare la protezione in materia
di condizioni di detenzione. Si può già indicare che gli obblighi in quest’area sono
strutturati in due parti a seconda dello scopo del rimedio: i rimedi detti “preventivi”,
diretti a produrre un miglioramento delle condizioni fisiche di detenzione, e i rimedi
compensatori, diretti a ottenere il risarcimento del danno causato da queste ultime9.
Nonostante che la Corte usi una formulazione non interamente aggressiva10, con cui
attribuisce il “valore più alto” [al] rimedio “in grado di porre fine alla violazione
continuata dell’articolo 3”, questa è in realtà la caratteristica richiesta imperativamente
dalla giurisprudenza relativamente a un meccanismo nazionale che deve essere messo a
disposizione di chi sta soffrendo per il trattamento incriminato11. Dopo che l’interessato
ha lasciato l’istituto in questione, deve avere accesso a un meccanismo che dia
riparazione a questa violazione e logicamente un rimedio compensatorio sarebbe
sufficiente12.
Rispetto agli sforzi della Corte di trovare un’interpretazione che garantisca il diritto al
rispetto della dignità umana – che è un principio essenziale della protezione sancita
dall’articolo 3 della Convenzione – l’analisi dei mezzi procedurali applicati dalla
giurisprudenza13 per assicurare l’attuazione pratica degli obblighi della Convenzione
concernenti la sistemazione dei detenuti è un indicatore particolarmente appropriato del
posto e della funzione del diritto a un rimedio effettivo nella costruzione del diritto
penitenziario europeo. Al di là dei problemi relativi alla ratio interna della giurisprudenza
della Corte europea dei diritti dell’uomo in tema di carcerazione, delle considerazioni
sistemiche concernenti i metodi applicati dalla Corte per risolvere il problema strutturale
8
Cfr. ad esempio Boudaïeva and others v. Russia, 20 marzo 2003, n. 15339/02.
Cfr. Roman Karasev v. Russia, no. 30251/03, § 79, 25 novembre 2010, e Benediktov v. Russia, n. 106/02,
10 maggio 2007, §29.
10
Ananyev and others. v. Russia, 10 gennaio 2012, n. 42525/07; 60800/08.
11
Cfr. Canali v. France, 25 aprile 2013, n. 40119/09.
12
Cfr. Lienhardt v. France (dec.), 13 settembre 2011, n. 12139/10.
13
Che come vedremo sono cercati quasi esclusivamente nell’ambito dell’articolo 13.
9
6
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delle condizioni di detenzione deplorevoli in tutto il continente14, che mette in gioco
direttamente la sua autorità, e più prosaicamente per affrontare l’ondata di ricorsi che
chiedono un esame serio degli obblighi procedurali concepiti dalla Corte.
L’articolazione delle esigenze di politica penitenziaria con il diritto processuale e la
politica giurisprudenziale generale seguita dalla Corte per rinviare alle autorità nazionali
l’onere del contenzioso penitenziario saranno analizzate nelle sezioni dedicate, da un lato,
agli obiettivi riduzionisti nel contesto dell’articolo 5 della Convenzione, e dall’altro alle
sentenze pilota. Per parte loro, le considerazioni che seguono – tenendo conto solo dei
requisiti procedurali contenuti nelle sentenze – cercano di tenere conto del modo in cui la
Corte intende creare dei meccanismi di rimedio nazionali e di cogliere la relazione fra
obblighi procedurali e diritto sostanziale rispetto al diritto a condizioni di detenzione
dignitose. Per comprendere il contenuto e la portata degli obblighi procedurali in
questione, è necessario in primo luogo richiamare le condizioni dell’emergere del diritto
a condizioni di detenzione dignitose (1°). Si esamineranno poi i requisiti procedurali
europei analizzando il diverso funzionamento dei meccanismi interni diretti ad attuare il
diritto garantito dall’articolo 3 (2°).
1. Portata del diritto a condizioni di detenzione dignitose, oggetto della protezione
procedurale
1.1. Genesi del diritto a condizioni di detenzione rispettose della dignità umana
La Corte è passata dalla “fase di ignoranza delle condizioni generali di detenzione a
quella del riconoscimento del diritto di ogni detenuto a condizioni rispettose della dignità
umana”15. A partire da questa evoluzione, il decennio 2000-2010 ha visto sotto questo
aspetto un indubbio aumento del contenzioso penitenziario a Strasburgo. Certo, la
Commissione europea dei diritti dell’uomo ha ammesso che le condizioni fisiche di
detenzione possono costituire un trattamento disumano o degradante. Nel “caso greco” è
pervenuto a tale conclusione in relazione al sovraffollamento e alle carenze del
riscaldamento, dei servizi sanitari, della biancheria da letto, dell’alimentazione, della
ricreazione e dei contatti con il mondo esterno16. F. Sudre ricorda tuttavia che la
Commissione ha condannato le condizioni di detenzione solo se ricorrevano due
circostanze: un ambiente oggettivamente degradante e l’intenzione di umiliare il
14
Il sovraffollamento costituisce, agli occhi della Corte, un problema strutturale o endemico in molti paesi
europei, come la Russia (Ananyev v. Russia), la Romania (Florea v. Romania, n. 37186/03, 14 settembre
2010), la Moldova (Ciorap v. Moldova, n. 12066/02, 19 giugno 2007), l’Ucraina (Malenko v. Ukraine, n.
18660/03, 19 febbraio 2009, Visloguzov v. Ukraine, n. 32362/02, 20 maggio 2010), la Bulgaria (Neshkov v.
Bulgaria), l’Italia (Torreggiani v. Italy), l’Ungheria, il Belgio (Vasilescu v. Belgium); la Polonia
(Orchowski v. Poland, n. 17885/04, 22 ottobre 2009).
15
F. Tulkens, "Droits de l’homme en prison", in J.-P. Céré (dir), Panorama européen de la prison,
L’Haramattan, coll. "sciences criminelles", 2002, p. 39.
16
Reclami nn. 3321/67 e altri, rapporto della Commissione del 5 novembre 1969, annuario 12.
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detenuto17. In definitiva “il rifiuto da parte della Commissione di tenere conto nel suo
esame delle regole minime europee in materia lasciava a lui il compito di fissare la
soglia in funzione dei dati specifici in questione”, e tale soglia era messa a un livello
molto alto18.
Il diritto a condizioni di detenzione umane è stato sancito veramente grazie a una
sentenza concernente il diritto alla salute in carcere. Coma nota F. Tulkens19 questi due
diritti, il diritto alla tutela della salute e quello a condizioni dignitose, trovano la loro
“matrice comune” nella sentenza Kudła v. Poland del 26 ottobre 2000 (citata prima), in
cui la Grande Camera ha riassunto così gli obblighi dello Stato: “l’articolo 3 impone allo
Stato l’obbligo di garantire che una persona sia detenuta in condizioni compatibili col
rispetto della dignità umana, che il modo e il metodo di eseguire il provvedimento non la
sottopongano a un’angoscia o a un dolore di intensità superiore al livello inevitabile di
sofferenza inerente alla detenzione, e che, date le esigenze pratiche della carcerazione, la
sua salute e il suo benessere siano garantiti adeguatamente, anche col prestarle la
dovuta assistenza medica”.
In rapida successione due sentenze del 2001 pronunciate nel campo delle condizioni
materiali riconobbero che esse possono essere esaminate in quanto tali, abbandonando
quindi l’elemento intenzionale come condizione necessaria di un trattamento contrario
all’articolo 3. Nel caso Peers v. Greece del 19 aprile 2001, la Corte concluse
all’unanimità per una violazione dell’articolo 3 della Convenzione a causa delle
condizioni materiali di detenzione del ricorrente. Questi era stato rinchiuso in una cella
male illuminata, munita di una sola finestra chiusa nel soffitto, senza ventilazione e senza
una toilette separata, e occupata da due detenuti. Nel caso Dougoz v. Greece le condizioni
di detenzione sono state qualificate dalla Corte europea come un trattamento degradante
(violazione dell’art. 3), in particolare a causa del grave sovraffollamento e della
mancanza di biancheria da letto, uniti alla durata eccessiva della detenzione in tali
condizioni (circa 17 mesi in tutto).
Inoltre l’abbandono dell’elemento intenzionale come componente necessaria del
trattamento vietato è la traduzione pratica dell’abbassamento della soglia di gravità che fa
scattare la protezione dell’articolo 3.
17
F. Sudre, "L’article 3bis de la Convention européenne des droits de l’Homme : le droit à des conditions
de détention conformes au respect de la dignité humaine", Prev. art., p. 1508. Per sostenere questa
affermazione l’autore fa riferimento alla decisione della Commissione europea dei diritti dell’uomo 15
maggio 1980, McFeeley and others v. United Kingdom, n. 8317/78, p. 54.
18
B. Ecochard, L'émergence d'un droit à des conditions de détention décentes garanti par l'article 3 de la
Convention européenne des droits de l'homme, RFDA 2003, p. 99.
19
F. Tulkens, Les prisons en Europe. Les développements récents de la jurisprudence de la Cour
européenne des droits de l’homme, Déviance et Société 2014/4 (Vol. 38).
8
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1.2. Base e valore legale dell’obbligo di assicurare condizioni dignitose di detenzione
L’evoluzione appena descritta è parte dell’origine di un approccio evolutivo più ampio e
generale che tende a valutare in maniera più rigorosa le violazioni dei diritti
fondamentali. B. Belda20 ha mostrato che, in questo contesto, l’abbassamento della soglia
di gravità procede di pari passo con una ridefinizione dei concetti contenuti nell’articolo
3 attraverso la nozione di dignità della persona umana. Il principio del rispetto della
dignità umana costituirebbe l’obiettivo fondamentale perseguito dalla Corte europea
quando applica, e dunque interpreta, la Convenzione EDU alle persone private della
libertà. Secondo Belda il giudice europeo adotta un approccio interpretativo particolare
quando applica i diritti convenzionali ai detenuti, al fine di accordare a questi ultimi una
tutela privilegiata dei loro diritti a causa della complessità del loro status. Ponendosi
nell’ambito dell’articolo 3, che non prevede alcuna eccezione alla proibizione dei
trattamenti disumani e degradanti, la Corte sancisce un diritto intangibile a delle
condizioni di detenzione dignitose. Di conseguenza la Corte afferma che spetta allo Stato
rispondente “organizzare il suo sistema carcerario in modo che sia assicurato il rispetto
della dignità dei detenuti, quali che siano le difficoltà finanziarie o logistiche”21.
Questo approccio interpretativo, con il quale la Corte si è impegnata ad aggiornare le
potenzialità del testo per costruire una protezione per categorie delle persone detenute, si
è accompagnato a una incorporazione della dottrina di altri organi del Consiglio
d’Europa, in primo luogo il soft law giurisprudenziale scaturito dall’attività del CPT.
Questo approccio si iscrive in una tendenza più generale a tenere conto delle fonti esterne
nella giurisprudenza europea. Come rileva B. Belda, in tal modo si costruisce
progressivamente un diritto comune europeo della detenzione il cui capomastro è il
giudice europeo che utilizza come “strumenti fondamentali”22, poi assimilati al diritto
convenzionale, fonti normative di diversa forza.
È il caso, in particolare, dei requisiti relativi alla superficie di cui devono disporre i
detenuti rinchiusi in celle collettive. Nella sentenza Kalashnikov v. Russia del 200223, per
valutare se la dimensione della cella del ricorrente, che misurava 17m² ed era occupata da
un numero di detenuti variante fra 18 e 24, ponga problemi ai sensi dell’articolo 3 della
Convenzione, la Corte “ricorda che il CPT ha fissato a 7m² a persona la superficie
minima approssimativa auspicabile per una cella di reclusione (si veda il secondo
rapporto generale – CPT/Inf (92) 3, §43), cioè 56m² per otto detenuti” (§97). La Corte,
dopo aver precisato che “un sovraffollamento grave è sempre stato la regola nella cella”,
conclude pertanto che “questo stato di cose pone in sé un problema grave nella
prospettiva dell’articolo 3 della Convenzione” (§97).
20
Tesi citata supra.
Cfr. ad esempio, Varga and others. v. Hungary, 10 marzo 2015, n. 14097/12.
22
A differenza degli "strumenti metodologici" rappresentati dai metodi di interpretazione.
23
Corte europea dei diritti dell’uomo, 15 luglio 2002, Kalashnikov v. Russia.
21
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1.3. Ambito del diritto a condizioni dignitose
Nella sentenza Dougoz v. Greece, prima citata24, dopo aver ricordato “che le condizioni
di detenzione possono talvolta costituire un trattamento disumano o degradante”, la
Corte europea precisa gli elementi di cui tenere conto per valutare il livello minimo di
gravità. Precisa i due elementi che determinano l’applicabilità dell’articolo 3, cioè “nel
valutare le condizioni di detenzione, si deve tenere conto dei loro effetti cumulativi oltre
che delle allegazioni specifiche del ricorrente” (§46)25. Nella specie la Corte conclude
per un “trattamento degradante” a causa delle condizioni materiali di detenzione
inaccettabili (sovraffollamento e assenza di letti o biancheria da letto) “unite alla durata
eccessiva della sua detenzione in tali condizioni” (§48).
Tuttavia, come la Corte ha avuto più volte occasione di ricordare, quando il
sovraffollamento di un istituto è tale da privare le persone detenute di uno spazio vitale
sufficiente, questo elemento può costituire in quanto tale un trattamento contrario
all’articolo 3: “La Corte rileva che quando si è trovata di fronte a dei casi di
sovraffollamento flagrante, ha ritenuto che tale elemento da solo potesse bastare a
concludere per la violazione dell’articolo 3 della Convenzione”26. A questo riguardo il
Comitato europeo per la prevenzione della tortura (CPT) ha affermato molto presto che
un maltrattamento può “non essere deliberato ma risultare da deficienze organizzative o
da mezzi insufficienti”27. La Corte si appoggia ormai sempre di più ai rapporti del CPT28
secondo il quale ogni persona detenuta deve poter disporre di uno spazio vitale di almeno
4m² in una cella collettiva e di 7m² in una cella singola, con la precisazione che i servizi
sanitari sono esclusi dal calcolo29. Per parte sua, la Corte ha riscontrato un trattamento
disumano e degradante ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione quando “lo spazio
personale concesso al ricorrente era inferiore a 3m²”30. Va altresì precisato che, se del
caso, la Corte tiene conto del fatto che “lo spazio nelle celle era ridotto dalla presenza di
mobili”31.
Nel complesso, come riassume la Corte nelle sue sentenze32, essa “deve tener conto dei
tre elementi seguenti:
24
Corte europea dei diritti dell’uomo, 6 marzo 2001, Dougoz v. Greece.
Nello stesso senso cfr. Corte europea dei diritti dell’uomo, 4 maggio 2006, Kadikis v. Latvia (no. 2), §49.
26
20 ottobre 2011, Mandić and Jović v. Slovenia, nn. 5774/10 e 5985/10, §77; Corte europea dei diritti
dell’uomo, 21 giugno 2007, Kantyrev v. Russia, n. 37213/02, §50-51; Corte europea dei diritti dell’uomo,
29 marzo 2007, Andrey Frolov v. Russia, n. 205/02, §47-49.
27
Secondo rapporto generale sulle attività del CPT nel periodo dal 1 gennaio al 31 dicembre 1991.
28
Cfr. Larralde J-M,
29
V. fra gli altri CPT/Inf (2012) [Moldavia], §57; CPT/Inf (2009) 22 [Lituania], § 35; CPT/Inf (2009) 1
[Serbia], §49.
30
Mandic and Jovic v. Slovenia, cit. supra, §77; Kantyrev v. Russia, cit. supra, §50-51; Andrey Frolov v.
Russia, cit. supra, §47-49; 15 luglio 2012, Kalashnikov v. Russia, n. 47095/00, §97.
31
Torreggiani and others v. Italy, cit. supra, § 75.
32
Corte europea dei diritti dell’uomo, 10 gennaio 2012, Ananyev v. Russia, n. 42525/07, §146 a 148.
25
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(a) ciascun detenuto deve avere un posto letto individuale nella cella;
(b) ciascun detenuto deve avere a disposizione almeno 3m2 di spazio calpestabile;
(c) la superficie complessiva della cella deve essere tale da permettere ai detenuti
di muoversi liberamente fra gli elementi del mobilio.
L’assenza di uno degli elementi di cui sopra determina di per sé una forte
presunzione che le condizioni di detenzione costituiscano un trattamento
degradante in violazione dell’articolo 3".
Peraltro, “il periodo in cui un individuo è detenuto nelle condizioni incriminate
costituisce un fattore importante da considerare”33. In effetti la Corte affronta la
questione se le eventuali cattive condizioni siano compensate dalla possibilità
riconosciuta agli interessati di uscire dalla cella durante il giorno34. Così nella sentenza
Valasinas è la possibilità di circolare liberamente nella sezione dalle 6.30 fino alle 22 e
l’esistenza di toilette e bagni separati dal luogo per dormire che porta a respingere la
censura di violazione dell’articolo 3 (§§103-107). Viceversa nella sentenza Mandić and
Jović v. Slovenia35 del 20 ottobre 2011 (nn. 5774/10 e 5985/10), concernente la
reclusione per sette mesi di due detenuti in celle dove non disponevano che di 3m², la
Corte osserva la circostanza che gli interessati fossero tenuti in cella 21 ore e mezza al
giorno in attesa di giudizio, nonostante il fatto che l’istituto fosse idoneo dal punto di
vista sanitario e che la cella avesse una toilette separata e chiusa (§§79-80).
Al di là di questo problema spaziale, la Corte ricorda regolarmente che “laddove il
sovraffollamento non era così grave da porre un problema ai sensi dell’articolo 3 (…)
altri aspetti delle condizioni di detenzione (sono) da prendere in esame per valutare il
rispetto di questa disposizione”36. Essa fa quindi particolare attenzione alle condizioni
materiali e sanitarie nell’esaminare “fattori come la possibilità del ricorrente di
beneficiare di un accesso alle toilette in condizioni rispettose dalla sua intimità, la
ventilazione, l’accesso alla luce naturale, lo stato degli apparecchi di riscaldamento
oltre che la conformità alle norme igieniche”37.
Perciò anche nei casi in cui il ricorrente aveva una cella con uno spazio vitale personale
superiore a 3m², la Corte ha ugualmente concluso per una violazione dell’articolo 3
tenendo conto dell’esiguità della cella unita alla mancanza di ventilazione e di luce,
33
Torreggiani and others v. Italy, cit. supra, §66; 8 novembre 2005, Alver v. Estonia, n. 64812/01, §56; 15
luglio 2002, Kalashnikov v. Russia, n. 47095/99, §102.
34
Valasinas v. Lithuania, 24 luglio 2001, n. 44558/98, §107; Nurmagomedov v. Russia, 16 settembre 2004,
n. 30138/02, decisione sull’ammissibilità.
35
Cit. supra.
36
Torreggiani and others v. Italy, cit. supra, § 69.
37
26 gennaio 2011, Cucolas v. Romania, n. 17044/03, §87; 20 gennaio 2011, Nisotis v. Greece, n.
34704/08, §39.
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caratterizzata in particolare dalla necessità di tenere accesa la luce artificiale tutto il
giorno38, e che può essere peggiorata dalla presenza di sbarre di metallo sulla finestra39,
dall’accesso limitato agli spazi all’aria aperta40 o dalla mancanza totale di intimità nelle
celle a causa dell’assenza di chiusura dell’area sanitaria e della sua prossimità con lo
spazio vitale41. La Corte tiene anche conto dell’insalubrità dei locali42 o dell’infestazione
delle celle da parte dei parassiti43 che, come ha già sottolineato, impone
all’amministrazione di porre in essere delle misure di disinfestazione e dei controlli
regolari delle celle44. Ritiene parimenti inaccettabile che chiunque possa essere detenuto
in condizioni che implicano l’assenza di protezione adeguata contro le precipitazioni e le
temperature estreme45.
A partire dal 2005 la Corte è stata chiamata regolarmente a controllare le condizioni di
trasporto dei detenuti durante i trasferimenti. Essendo una questione nuova, si è fondata
sulle conclusioni del CPT a proposito della dimensione dei compartimenti utilizzati per il
trasporto. La questione è stata sollevata principalmente nelle cause contro la Russia e
l’Ucraina. La Corte ha constatato una violazione in molti di questi casi, a causa delle
condizioni affollate del trasporto, del numero e della frequenza dei trasporti in tali
condizioni46 e dell’uso di un cellulare normale per trasportare un paziente in stato
postoperatorio da un ospedale all’altro47.
2. Campo di applicazione e contenuto degli obblighi procedurali: le condizioni
generali dell’effettività del rimedio
Secondo la Corte, per valutare l’effettività di un sistema di tutele giuridiche occorre
tenere conto in modo realistico non soltanto dei rimedi disponibili in teoria
nell’ordinamento interno ma altresì del contesto giuridico e politico generale in cui
38
9 ottobre 2008, Moisseiev v. Russia, n. 62936/00, §125; 18 ottobre 2007, Babouchkine v. Russia, n.
67253/01, §44; 19 luglio 2007, Trepachkine v. Russia, n. 36898/03, §94 Peers v. Greece, cit. supra, §§7072.
39
10 agosto 2007, Modarca v. Moldavia, n. 14437/05.
40
Corte europea dei diritti dell’uomo, 17 gennaio 2012, István Gábor Kovács v. Hungary, n. 15707/10,
§26.
41
1 marzo 2007, Belevitskiy v. Russia, n. 72967/01, §§73-79; 2 giugno 2005, Novoselov v. Russia, n.
66460/01, §§32 e 40-43; Peers v. Greece, cit. supra, §73; Ananyev and others versus Russia, cit. supra,
§165; Moiseyev v. Russia, cit. supra, §124.
42
20 gennaio 2011, Payet v. France, n. 19606/08, §§80-84; 25 aprile 2013, Canali v. France, n. 40119/09,
§52.
43
Kalashnikov v. Russia, cit. supra, §98; Modarca v. Moldavia, cit. supra.
44
Ananyev and others versus Russia, cit. supra, §159.
45
Mathew v. Netherlands: cella fatiscente in cui l’occupante era esposto al calore del sole.
46
Cfr. Khudoyorov v Russia, n. 6847/02, 8 novembre 2005, ECHR 2005-X.; Yakovenko v Ukraine, n.
15825/06, 25 ottobre 2007; Vlasov v Russia, n. 78146/01, 12 giugno 2008; Starokadomskiy v Russia, n.
42239/02, 31 luglio 2008; Moiseyev v Russia, n. 62936/00, 9 ottobre 2008.
47
Tararieva v. Russia, n. 4353/03, 14 dicembre 2006.
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operano48. La Corte è stata chiamata a precisare le caratteristiche necessarie degli organi
interni chiamati a conoscere dei ricorsi in tema di sovraffollamento carcerario e di
condizioni materiali di detenzione. In particolare l’ha fatto in modo fortemente
pedagogico nelle considerazioni che ha dedicato, sulla base dell’articolo 46, ai
provvedimenti a cui sono tenuti gli Stati in seguito a una sentenza pilota o quasi pilota.
2.1. Natura dell’organo competente sui reclami
In maniera costante, nella prospettiva dell’articolo 13 la Corte ritiene che l’“istanza
nazionale” a cui si riferisce questa disposizione non deve essere necessariamente un
organo giurisdizionale. Se non lo è, si terrà conto dei suoi poteri e delle sue garanzie per
valutare l’effettività del rimedio che si esercita per suo tramite49. Dato il ruolo
riconosciuto tradizionalmente negli ordinamenti nazionali ai ricorsi interni
all’amministrazione penitenziaria, la questione principale che si pone da questo punto di
vista è se tale sistema risponde ai requisiti dell’articolo 13. A questo riguardo,
l’accettazione ai fini di questo articolo di meccanismi non giurisdizionali porta talvolta a
delle formulazioni ambigue in materia di condizioni materiali di detenzione, che lasciano
intendere che il ricorso a un livello superiore dell’amministrazione penitenziaria potrebbe
essere considerato sufficiente. Inoltre in una sentenza del 1988 la Corte ha ritenuto che un
reclamo al direttore del carcere concernente la violazione delle norme sul controllo della
corrispondenza dei detenuti costituisca un rimedio conforme ai requisiti dell’articolo
1350.
Più vicino a noi, nelle sentenze quasi pilota Orchowski e Norbert Sikorski v. Poland, la
Corte dichiara che essa “preferisce incoraggiare lo Stato a istituire un sistema efficiente
di ricorsi alle autorità carcerarie e alle autorità incaricate di sorvegliare l’esecuzione
delle pene, che sono in posizione migliore dei tribunali per prendere rapidamente dei
provvedimenti idonei, in particolare ordinare il trasferimento di un detenuto per
collocarlo stabilmente in una cella conforme alle norme della Convenzione” (Sikorski,
§41). Nella sentenza pilota Neshkov and others. v. Bulgaria, la Corte dichiara che la
soluzione di un ricorso a un’autorità amministrativa può essere accettata, ma ricorda
subito dopo che i poteri e le garanzie procedurali di tale autorità sono elementi di cui
tenere conto per stabilire se il rimedio in questione è efficace (§182). In realtà la
motivazione della sentenza Neshkov sembra rinviare in modo un po’ frettoloso alla
soluzione delle sentenze quasi pilota polacche51, che per parte loro delineavano uno
schema a due livelli, reclamo all’amministrazione e ricorso al giudice dell’esecuzione
penale, in modo da facilitare un intervento rapido idoneo a far cessare il trattamento
48
Akdivar and others v. Turkey, [GC], 16 settembre 1996, n. 21893/93, §§68-69; A.B. v. Netherlands, 29
gennaio 2002, n. 37328/97, §73.
49
Cfr. Kudła v. Poland, cit. supra, §157.
50
Boyle and Rice v. United Kingdom, 27 aprile 1988, n. 9659/82 e 9658/82.
51
Norbert Sikorski v. Poland e Orchowski v. Poland.
13
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incriminato. Anche la menzione nella sentenza Neshkov della sola autorità
amministrativa, senza fare riferimento al giudice, appare criticabile e non sembra rendere
conto fedelmente della situazione giuridica.
In definitiva, l’analisi del contenuto degli obblighi enunciati nella giurisprudenza, in
particolare in termini di indipendenza, non lascia spazio a dubbi sull’insufficienza, ai fini
dell’articolo 13, di un sistema di ricorsi interni all’amministrazione penitenziaria. La
giurisprudenza della Corte ritiene così che un ricorso gerarchico che lascia all’autorità
adita la facoltà di coinvolgere nel procedimento l’amministrazione convenuta senza
prevedere il contraddittorio non costituisca un rimedio effettivo52. Nella sentenza
Sławomir Musiał v. Poland del 20 gennaio 200953, la Corte ricorda nella prospettiva della
norma sull’esaurimento dei ricorsi interni che “un detenuto che desidera contestare le sue
condizioni di detenzione può (…) essere tenuto in linea di principio ad adire il giudice
dell’esecuzione penale”. Nel caso Radkov v. Bulgaria (n. 2)54, allo Stato convenuto che
faceva valere la possibilità aperta al detenuto di ricorrere all’amministrazione del carcere,
di cui il ricorrente si era avvalso nel caso in questione, la Corte risponde che, a parte il
fatto che il ricorso presentato nella specie non aveva sortito alcun effetto, “il governo non
ha citato delle possibilità specifiche del ricorrente di avviare dei procedimenti e ottenere,
in quanto il ricorso fosse fondato, un miglioramento concreto delle condizioni di
detenzione” (§55).
Più fondamentalmente, a parte il fatto che le esigenze di indipendenza e di imparzialità
dell’articolo 6§1 possono entrare in gioco55, l’obbligo procedurale risultante dagli articoli
3 e 13 implica che le persone chiamate a conoscere delle allegazioni di maltrattamento
siano indipendenti da quelle implicate nei fatti incriminati, il che presuppone l’assenza di
qualsiasi legame gerarchico o istituzionale e un’indipendenza pratica56. Lo stesso vale per
le condizioni materiali di detenzione. Così la sentenza pilota Ananyev and others v.
Russia57, dichiara categoricamente che “la Corte non ritiene che le autorità carcerarie
[direttore del carcere e autorità gerarchiche regionali] abbiano un punto di vista
abbastanza indipendente da rispondere ai requisiti dell’articolo 13: dovendo conoscere
di un reclamo concernente le condizioni di detenzione di cui sono responsabili,
sarebbero in realtà in una situazione di giudici in causa propria” (§101).
Quanto alla possibilità di prevedere un ricorso obbligatorio all’amministrazione prima di
adire qualunque organo di reclamo esterno, tale dispositivo può condurre a una
violazione dell’articolo 13 se ha come conseguenza di ostacolare l’intervento rapido e in
52
Horvat v. Croatia, n. 51585/99, § 47.
28300/06.
54
Radkov v. Bulgaria (no 2), n. 18382/05, 10 febbraio 2011.
55
Cfr. anche la sezione sull’articolo 6.
56
Cfr. tra molte Kelly and others v. United Kingdom, 4 maggio 2001, n. 30054/96, §114.
57
Ananyev and others v. Russia, 10 gennaio 2012, n. 42525/07; 60800/08.
53
14
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tempo utile della decisione dell’organo conforme ai canoni convenzionali58. A parte
questa dimensione temporale, tale sistema appare problematico in sé. Nella decisione di
ammissibilità nel caso Valasinas v. Lithuania59, la Corte respinge il meccanismo di
ricorso preventivo obbligatorio all’amministrazione, ritenendo che un ricorso sulle
condizioni di detenzione all’autorità carceraria o a un’altra autorità governativa sarebbe
stato esaminato sulla base di considerazioni economiche e politiche più generali, e che
pertanto un reclamo al potere esecutivo non avrebbe potuto rispondere correttamente ai
reclami personali del ricorrente sotto questo aspetto. In definitiva, malgrado le ambiguità
risultanti dalla redazione di certe sentenze, i requisiti convenzionali impediscono
chiaramente di considerare i ricorsi al’amministrazione penitenziaria come rimedi
effettivi.
Anche se gli Stati sono liberi di scegliere la natura e la configurazione dei rimedi da
istituire, ciò non impedisce alla Corte di promuovere dei modelli ben precisi. Così nel
caso Ananyev v. Russia la Corte prospetta la costituzione ex nihilo di un meccanismo
implicante eventualmente delle personalità esterne, non necessariamente professionisti
della giustizia, citando il modello delle commissioni sui reclami olandesi e dei Boards of
Visitors britannici60. Questa posizione è reiterata nella sentenza pilota bulgara (§282).
La Corte sembra quindi circospetta riguardo all’attitudine dei giudici ordinari a farsi
carico adeguatamente dei reclami delle persone detenute, senza esplicitare le
considerazioni che la portano a questa conclusione. Tuttavia non sembra realmente
informata sui sistemi che promuove. Così la sentenza Ananyev v. Russia fa riferimento ai
Boards of Visitors, quando hanno cambiato nome quasi dieci anni prima e, soprattutto,
non sono dotati dei poteri richiesti dalla sentenza stessa, mettendo in dubbio la natura
informata di questa valutazione, peraltro ripresa nella sentenza pilota bulgara. Allo stesso
modo, la preferenza accordata al giudice dell’esecuzione penale rispetto ai giudici con
competenza generale compare per la prima volta nelle sentenze quasi pilota polacche61,
nello stesso momento in cui la Corte europea constata l’ineffettività dei rimedi interni.
Con riferimento all’ordinamento italiano, la Corte interviene quando non ha avuto ancora
la possibilità di controllare l’effettività delle riforme realizzate dalle autorità in seguito
alla sentenza pilota Torreggiani. Prudentemente la sentenza pilota ungherese62 non
orienta lo Stato convenuto verso un sistema in particolare.
58
Cfr. ad esempio Payet v. France, Plathey v. France, n. 48337/09, 10 novembre 2011, cfr. anche Ananyev,
§101.
59
Valasinas v. Lithuania, n. 44558/98, 14 marzo 2000.
60
Quest’ultimo riferimento è il risultato di un errore in quanto questo meccanismo, che non era già più in
vigore, non rispondeva ai requisiti enunciati dalla stessa Corte.
61
Orchowski v. Poland, n. 17885/04; Norbert Sikorski v. Poland, n. 17599/05, 22 ottobre 2009.
62
Varga and others v. Hungary, cit. supra.
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Peraltro, può capitare che la Corte stessa imponga l’intervento di un organo
giurisdizionale. Così nel caso di detenuti collocati in locali disciplinari non abitabili63, la
Corte prevede espressamente, considerata l’importanza delle ripercussioni di una
detenzione in cella disciplinare, la necessità di una “istanza giurisdizionale” che esamini
la forma oltre che il merito di tale provvedimento. Tale soluzione può tuttavia essere
ritenuta come un’estensione dell’esigenza dell’intervento di un giudice, sancita nel
campo affine dell’isolamento per motivi di ordine e sicurezza (che può durare molti
anni).
Più in generale, le prerogative che la Corte esige dall’organo (vedi infra), in particolare la
forza vincolante delle decisioni, hanno chiaramente la natura di quelle solitamente
attribuite al potere giurisdizionale.
2.2 Caratteristiche del procedimento
2.2.1 Accessibilità dell’organo competente
Anche se la Corte rifugge dal proporre un modello del sistema di ricorsi più adatto a
soddisfare i requisiti dell’articolo 3, la preferenza accordata a delle autorità indipendenti
o a un giudice specializzato attesta un’attenzione particolare alla reattività del
meccanismo e alla sua conoscenza dell’ambiente carcerario, ma altresì alla sua
accessibilità alle persone detenute. Diversi aspetti sono presi in esame a questo titolo, in
misura variabile: il costo del procedimento, il grado di complessità delle norme e dei
passaggi procedurali, la protezione contro le ritorsioni, etc.
Nella sentenza Ananyev la Corte si compiace del fatto che il procedimento di ricorso
preventivo previsto dal diritto interno non abbia costi per il ricorrente (§109). Per quel
che riguarda il rimedio compensatorio da istituire in attuazione della sentenza, la Corte
afferma che non deve comportare un regime di spese di giustizia che gravi in modo
eccessivo su chi presenta un ricorso fondato (§228). Sulla base dell’articolo 6 la
giurisprudenza ritiene in generale che la capacità del ricorrente di pagare le spese di
giustizia e la fase del procedimento in cui queste spese vanno pagate sono altrettanti
elementi di cui tener conto per stabilire se l’accesso al giudice è stato ostacolato. Delle
restrizioni di natura puramente finanziaria, totalmente disconnesse dalle prospettive di
successo del ricorso, devono essere oggetto di un esame particolarmente rigoroso. La
Corte si mostra assai severa al riguardo di meccanismi che comportano una tassazione del
ricorso al giudice in materia di condizioni di detenzione64.
63
Nel caso Payet le celle della sezione disciplinare non erano dotate di finestre ma di un lucernario opaco
sul soffitto. Le condotte d’areazione erano infestate dai volatili e le aree aperte erano spesso inondate
dall’acqua piovana. Il ricorrente vi era rimasto per 45 giorni. Nella seconda sentenza il ricorrente era stato
messo in una cella che era stata devastata da un incendio dove regnava un odore soffocante.
64
Articolo 70.4 delle Regole penitenziarie europee del 2006.
16
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Per quel che riguarda l’accesso all’assistenza legale, la giurisprudenza si mostra assai
scarsa. Nella prospettiva dell’equo processo, tiene conto della mancanza di assistenza
legale ma solo per rafforzare il suo ragionamento, non sulla base del diritto di accesso al
giudice, nel cui quadro esamina di solito la questione del gratuito patrocinio, ma sotto il
profilo della mancata comparizione personale davanti all’organo giudicante65. È da notare
però che nella sentenza Aden Ahmat v. Malta del 23 luglio 201366, vertente sulla materia
degli stranieri irregolari, affine a quella delle condizioni materiali di detenzione, e il cui
ragionamento dunque può essere portato nel campo del contenzioso penitenziario, la
Corte ha affermato espressamente che l’assenza di un sistema strutturato di assistenza
legale poneva in sé un problema di accessibilità del rimedio, quale che ne sia il merito
(§66). Tuttavia non sembra che a tutt’oggi tale posizione abbia preso piede nel campo del
contenzioso penitenziario, quando un paese come la Russia, che è stato oggetto di un
procedimento di sentenza pilota, non prevede il gratuito patrocinio in questo campo. In
realtà la Corte insiste piuttosto sull’accesso agli organi competenti da parte dei detenuti in
persona, sottolineando la semplicità dei passaggi procedurali67 o esigendo un adattamento
delle norme sull’accertamento dei fatti (vedi infra).
Quando la situazione incriminata concerne delle persone con problemi mentali le autorità
devono usare delle cautele specifiche, che impongono loro di agire d’ufficio per
controllare la situazione degli interessati. Così nella sentenza Sławomir Musiał v. Poland
la Corte ritiene che, essendo il ricorrente affetto da problemi psichiatrici che ne
diminuivano le facoltà mentali, “non dovesse pretendersi né attendersi che egli
utilizzasse in modo assolutamente accurato tutti i rimedi concessi dal codice
dell’esecuzione penale” (§73). Per respingere l’eccezione sollevata dal governo
convenuto del mancato esaurimento dei rimedi, la Corte sostiene che le autorità
carcerarie fossero la causa della sua situazione, che era descritta nelle richieste di
scarcerazione e nei reclami al Mediatore (§74). Perciò nel contesto particolare dei
detenuti incapaci di agire da soli, tenuto conto del loro stato psichico, l’obbligo
procedurale positivo imposto in tal modo – valutare la fondatezza dei reclami nonostante
l’assenza di un’istanza presentata regolarmente – obbliga le autorità amministrative e
giudiziarie a una grande vigilanza per poter ignorare le norme procedurali vigenti quando
ciò è richiesto dalla condizione del ricorrente68. Alcuni casi riguardanti dei detenuti che
65
Vasilyev v. Russia, 10 gennaio 2012, n. 28370/05; Beresnev v. Russia, 24 dicembre 2013, n. 37975/02.
Cfr. a questo riguardo il rapporto sull’articolo 6.
66
N. 55352/12.
67
Neshkov, cit. supra, §191; mutatis mutandis, Marin Kostov v. Bulgaria, n. 13801/07, §§ 47-48, 24 luglio
2012.
68
Tale prescrizione è simile a quella applicata alle persone con tendenze suicide condotte nella sezione
disciplinare (cfr. Keenan v. UK).
17
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non presentano tali problemi indicano un’esigenza di agire d’ufficio69, ma tale obbligo
non appare sistematizzato in giurisprudenza come nell’ipotesi precedente.
L’ostacolo maggiore all’esercizio dei rimedi in carcere, cioè la paura di ritorsioni, sembra
ormai preso in considerazione dalla Corte. Nella sentenza Neshkov and others v. Bulgaria
la Corte ha cura di precisare che i detenuti devono essere in grado di esperire i rimedi
senza timore di punizioni o altre conseguenze pregiudizievoli (§191), grazie all’appoggio
delle Regole penitenziarie europee. La Corte si basa mutatis mutandis sulla soluzione
scelta in un caso in cui il ricorrente era stato messo in isolamento a causa dei suoi reclami
al procuratore70. Questa innovazione non è ancora sfociata in una prescrizione
“operativa” che imporrebbe un meccanismo specifico di tutela del ricorrente.
2.2.2 Un processo regolamentato che garantisce la partecipazione del ricorrente
Per soddisfare i requisiti dell’articolo 13 l’esame dei reclami dei detenuti deve seguire un
procedimento definito dalla legge che garantisce la partecipazione degli interessati. Si
tratta sia di permettere l’accertamento dei fatti in contraddittorio che di evitare che i
reclami dei detenuti rimangano lettera morta. Da una parte, gli interessati devono essere
messi in grado di rispondere alle memorie difensive dell’amministrazione, perché le loro
allegazioni non siano annullate dalle affermazioni contrarie dell’amministrazione
penitenziaria. Dall’altra, l’organo deve essere obbligato dalle norme procedurali a
decidere effettivamente sui reclami che gli sono stati sottoposti.
A questo riguardo, autorità come il Pubblico ministero, che in certi Stati dell’Europa
centrale e orientale ha il compito di controllare la legalità degli atti dell’amministrazione,
sono state ritenute insufficienti ai fini dell’articolo 13, se i detenuti non sono messi in
grado di seguire il corso del procedimento e di contestare le affermazioni
dell’amministrazione. La Corte ha analizzato il sistema vigente in Russia, nel quale la
procura può effettuare delle visite a sorpresa negli istituti di detenzione, indagare e
avviare una procedura d’infrazione in caso di mancanze, alla quale le autorità carcerarie
sono legalmente tenute a rispondere entro un mese, sotto forma di un rapporto attestante i
provvedimenti presi per correggerle. Nonostante il carattere coercitivo della procedura, la
Corte ritiene che questo sistema non possa essere considerato un rimedio effettivo perché
la procura non ha l’obbligo di ascoltare il reclamante e quest’ultimo non ha alcun diritto
di ottenere informazioni sul modo in cui l’organo di vigilanza ha esaminato il ricorso,
dato che il procedimento si svolge tra la procura e l’organismo controllato71. La stessa
valutazione è stata data riguardo al sistema bulgaro72. È da notare che sono le stesse
69
Cfr. ad esempio Kalashnikov v. Russia (dec.), 18 settembre 2001, n. 47095/99.
Il riferimento è all’articolo 70.4 delle Regole penitenziarie europee del 2006, e, mutatis mutandis, Marin
Kostov v. Bulgaria, n. 13801/07, §§ 47-48, 24 luglio 2012.
71
Pavlenko, n. 42371/02, §§88-89, 1 aprile 2010; Aleksandr Makarov, n. 15217/07, §86, e Ananyev, cit.
supra, §99.
72
Neshkov and others v. Bulgaria, cit. supra, §212.
70
18
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considerazioni, oltre a quelle relative all’assenza di poteri vincolanti, che portano la Corte
a rifiutare di considerare il Garante e istituzioni simili come rimedi effettivi ai sensi
dell’articolo 1373.
È da notare che il controllo operato dalla Corte sul terreno dell’articolo 6-1 nel
contenzioso risarcitorio relativo alle condizioni di detenzione si manifesta essenzialmente
attraverso la questione della partecipazione dei ricorrenti alle udienze, trattandosi di
situazioni in cui la loro testimonianza è giudicata cruciale per la definizione del
contenzioso74.
2.2.3 Celerità dell’intervento del giudice
L’esigenza di celerità permea la giurisprudenza relativa ai “rimedi preventivi”, la cui
funzione è far cessare rapidamente un trattamento contrario all’articolo 3 (cfr. per
esempio Varga and others v. Hungary75, §49). Secondo il principio generale enunciato
dalla Corte, infatti, “l’effettività dei rimedi richiesti dall’articolo 13 presuppone che
possano impedire l’esecuzione di provvedimenti contrari alla Convenzione le cui
conseguenze sono potenzialmente irreversibili (...)"76. Anche se gli Stati godono in
materia di un certo margine di discrezionalità77, il procedimento in questione deve poter
condurre a una decisione dell’organo competente in tempi brevi. Questa esigenza di
celerità copre anche la fase esecutiva del provvedimento ordinato dal giudice, come
ricorda la decisione Stella v. Italy78. In altre parole, la Corte verifica che
l’amministrazione si trovi costretta dal meccanismo interno ad attuare rapidamente i
provvedimenti prescritti dal giudice. La giurisprudenza non indica scadenze temporali
precise, poiché il grado di rapidità richiesto per il procedimento dipende in linea di
principio dalla natura della violazione allegata e dalle circostanze79. Tuttavia alcune
sentenze, come quella pronunciata nel caso Ananyev and others v. Russia (citato supra),
danno delle indicazioni sulle aspettative della Corte. Dopo aver ricordato che il
meccanismo deve permettere un esame “pronto e accurato” dei ricorsi (§214), la sentenza
ritiene soddisfacente il termine di dieci giorni impartito al giudice interno per decidere
(§109).
La condizione temporale è precisata meglio quando il trattamento incriminato ha una
durata predefinita per legge, perché qui trova applicazione il principio generale secondo
cui un rimedio che non può essere applicato in tempo utile non è né adeguato né effettivo.
73
Cfr. ad esempio Ananyev and others, cit. supra, §§105-106.
Cfr. il capitolo sull’articolo 6.
75
10 marzo 2015, n. 14097/12, 45135/12, 73712/12.
76
Cfr. ad esempio Payet v. France, n. 19606/08, cit. supra, §127.
77
Ibid.
78
Stella and others v. Italy, dec. 16 settembre 2014, n. 49169/09, 54908/09, 55156/09, §48.
79
Čuprakovs v. Latvia, 18 dicembre 2012, n. 8543/04, §50.
74
19
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Così nel caso Kadikis v. Latvia (n. 2)80 la Corte condanna lo Stato convenuto per
l’impossibilità in cui si era trovato il ricorrente di iniziare un ricorso suscettibile di porre
rimedio alle sue condizioni di detenzione entro il termine della sua carcerazione, che era
di 15 giorni. Un altro esempio è il contenzioso sui provvedimenti disciplinari subiti in
condizioni materiali deplorevoli. La Corte ha avuto occasione di affermare che un
rimedio insuscettibile di essere applicato prima della fine dell’esecuzione di una sanzione
subita in un locale disciplinare insalubre non risponde ai requisiti dell’articolo 13. La
Corte ha deciso così in due cause contro la Francia concernenti delle sanzioni disciplinari
della durata di 45 giorni. Nel caso Payet v. France il detenuto era stato messo in una cella
esigua, buia e senza ventilazione. Nell’altro caso il ricorrente era stato messo in una cella
calcinata con un’atmosfera soffocante. Nei due casi la Corte censura l’impossibilità di
adire un giudice prima della fine della sanzione a causa dell’obbligo, previsto dal diritto
interno, di ricorrere preliminarmente all’amministrazione. Essa afferma che “tenuto conto
dell’importanza delle ripercussioni di una detenzione in cella disciplinare, un ricorso
effettivo che consenta al detenuto di contestare non solo il merito ma la forma, e dunque i
motivi, di tale provvedimento davanti a un’istanza giurisdizionale è indispensabile”
(Payet, §133). Anche se in queste sentenze la Corte si riferisce alla sua giurisprudenza in
tema di provvedimenti di allontanamento degli stranieri, che in certe circostanze esige
che il rimedio abbia effetto sospensivo81, non specifica se tale caratteristica è richiesta in
materia di sanzioni disciplinari.
Infine, anche i procedimenti risarcitori per il cosiddetto rimedio compensatorio devono
essere “rapidi” (Stella cit. supra, §61), anche se si comprende che la posta in gioco qui è
minore poiché non si tratta di mettere fine a un trattamento in corso. L’esigenza sembra
piuttosto quella di un termine ragionevole di cui all’articolo 6-1, a cui del resto si riferisce
in materia la sentenza Ananyev (§228).
2.3 I metodi applicati dal giudice
2.3.1 Amministrazione della prova
Secondo i giudici europei, “affinché un rimedio interno in materia di condizioni di
detenzione possa ritenersi effettivo, l’autorità o l’organo giurisdizionale competente a
conoscerne deve deciderlo in conformità ai principi pertinenti enunciati dalla
giurisprudenza della Corte”82. Questa esigenza concerne in primo luogo la cognizione
dei fatti e, di conseguenza, l’amministrazione della prova, che deve equivalere a quella in
vigore a Strasburgo. In materia, nel silenzio della Convenzione o del Regolamento della
Corte, la giurisprudenza ha stabilito un criterio generale che è quello, molto rigoroso,
80
N. 62393/00, 4 maggio 2006.
Conka v. Belgium, n. 51564/99.
82
Neshkov and others v. Bulgaria, 27 gennaio 2015, n. 36925/10, §187.
81
20
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della prova “al di là di ogni ragionevole dubbio”83. Come ha osservato Béatrice PastreBelda, “si tratta di conseguenza di un principio per lo meno rigoroso e che, di primo
acchito, pone l’onere della prova interamente a carico di chi allega una violazione della
Convenzione”84.
Tuttavia, nel timore che il regime della prova indebolisca la protezione convenzionale, la
Corte ha fortemente attenuato il rigore di questo principio sottolineando che i
procedimenti davanti ad essa non presuppongono sempre il principio secondo cui chi
afferma qualcosa deve provare la verità delle sue allegazioni85. Questa attenuazione è
particolarmente evidente nel campo penitenziario86. Infatti, come osserva Pastre-Belda,
“poiché l’accertamento della verità dei fatti allegati condiziona l’applicabilità delle
disposizioni convenzionali intangibili, è fondamentale per il ricorrente, privato della
libertà di movimento, che l’onere della prova non incomba esclusivamente su di lui, tanto
più quando si tratta di allegazioni gravi”87. La Corte tiene conto del contesto
interpretativo degli obblighi convenzionali, cioè la completa dipendenza del ricorrente
dall’amministrazione che rende impossibile l’accertamento dei fatti allegati nelle
condizioni ordinarie. Quasi tutti gli elementi suscettibili di provare la verità delle
allegazioni si trova nelle mani dell’amministrazione convenuta, che controlla l’accesso ai
locali interessati e tiene concretamente il ricorrente in una situazione di soggezione.
Perciò la Corte afferma che “incombe alle autorità nazionali l’onere di raccogliere i dati
suscettibili di dimostrare che una situazione denunciata dal ricorrente a Strasburgo è
conforme alla Convenzione”88.
Lo stesso principio vale per il contenzioso sulle condizioni di detenzione. La Corte
afferma costantemente che il procedimento previsto dalla Convenzione non si presta a
un’applicazione rigorosa del principio affirmanti incumbit probatio perché,
“inevitabilmente, il governo convenuto è talvolta il solo ad avere accesso alle
informazioni suscettibili di confermare o confutare le affermazioni del ricorrente”; “il
semplice fatto che la versione del governo contraddice quella fornita dal ricorrente, in
mancanza di documenti o spiegazioni pertinenti da parte del governo, non potrebbe da
83
Ireland v. United Kingdom, che precisa peraltro che il sistema è quello di una valutazione libera delle
prove: “la Corte, padrona della sua procedura e del suo regolamento (…) valuta in piena libertà non
soltanto l’ammissibilità e la rilevanza ma anche la forza probatoria di ciascun elemento del fascicolo”
(§617).
84
Tesi, cit. supra, p.
85
Il principio affirmanti incubit probatio.
86
Cfr. anche la sezione sulla violenza fra detenuti e da parte del personale penitenziario, nonché quello
sulla protezione del diritto alla vita.
87
Tesi, p.
88
Wegera v. Poland, 19 gennaio 2010, n. 141/07, §69, a proposito della privazione del diritto di visita di un
detenuto.
21
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solo portare la Corte a respingere delle allegazioni dell’interessato perché non
dimostrate”89.
In virtù dell’equivalenza attesa della protezione assicurata dal giudice interno, giudice di
diritto comune della Convenzione EDU, la Corte prescrive a quest’ultimo di osservare un
regime probatorio simile se non identico. Così la sentenza pilota Ananyev and others v.
Russia ricorda in modo molto esplicito (§228) che nel meccanismo di ricorso atteso dalle
autorità russe l’onere gravante sul ricorrente deve essere assolto da un semplice principio
di prova del maltrattamento. Si deve solo pretendere dall’interessato che produca degli
elementi a lui facilmente accessibili, come una descrizione dettagliata delle sue
condizioni di detenzione, delle testimonianze o delle risposte degli organi di controllo
(garante, commissione di sorveglianza, etc.); spetterà poi alle autorità confutare queste
allegazioni producendo i documenti che dimostrano come le condizioni di detenzione non
violino l’articolo 3 della Convenzione.
Questo sistema di protezione risponde alla volontà di far funzionare i meccanismi di
ricorso nonostante gli ostacoli che si frappongono all’esercizio dei diritti nella
detenzione, che attengono alla disuguaglianza strutturale radicale che caratterizza la
situazione delle parti processuali. Esso opera in due tempi. Una prima fase è segnata da
un adattamento dell’oggetto e del metodo della prova, che è tale che il ricorrente sia
tenuto dalla procedura solo ad un “onere dell’allegazione”, ossia l’obbligo di suffragare il
reclamo per dargli una consistenza sufficiente che permette poi l’apertura della seconda
fase dell’esame. Quest’obbligo si traduce in un meccanismo probatorio negativo che
impone all’amministrazione l’onere di smentire le affermazioni dell’avversario
producendo elementi per confutarle.
Perciò la Corte ha operato in una logica di semplificazione dei meccanismi procedurali al
fine di mettere la protezione dell’articolo 13 alla portata delle persone detenute. Questa
logica consente di affrontare i mali più diffusi nei sistemi penitenziari europei:
promiscuità legata al sovraffollamento, insalubrità, edifici inadatti a ospitare delle
persone, etc. Detto altrimenti, gli oggetti del contendere si prestano a delle descrizioni e a
delle discussioni sulle prove in termini assai semplici. La giurisprudenza non sembra aver
realmente affrontato la questione dei mezzi istruttori, in particolare le perizie, per avere
un professionista che chiarisca al giudice delle questioni tecniche90. Non è detto che il
dispositivo delineato dalla giurisprudenza attuale possa permettere di trattare
adeguatamente delle dispute vertenti su questioni complesse. Questo tipo di dispute è
destinato a presentarsi sempre più spesso, dati i vasti programmi di modernizzazione e di
89
Brânduşe v. Romania, n. 6586/03, §48, 7 aprile 2009; Ananyev and others v. Russia, cit. supra, §123;
Torreggiani v. Italy, cit. supra, §72.
90
Per un esempio concernente l’esigenza di una perizia per l’accertamento dei fatti in un altro contenzioso
(colpa medica) nella prospettiva dell’ambito procedurale dell’articolo 8, cfr. S.B. v. Romania (n. 24453/04).
22
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costruzione in tutto il continente, e considerando la proliferazione di dispositivi elaborati
di sicurezza passiva nell’architettura carceraria.
2.3.2 Condizioni per l’utilizzo delle qualificazioni giuridiche
Nella prospettiva dell’articolo 13, la Corte esige che i giudici nazionali adottino dei
metodi di identificazione dei trattamenti contrari a questo articolo uguali a quelli elaborati
dalla sua giurisprudenza e descritti in precedenza.
In primo luogo, il divieto di tali trattamenti non deve essere influenzato dall’applicazione
di qualificazioni del diritto interno. È pertanto contrario all’articolo 13 un sistema in cui il
ricorso alla protezione (in questo caso un risarcimento) a causa delle cattive condizioni di
detenzione è condizionato dalla dimostrazione della colpa personale dei responsabili
penitenziari91. Lo stesso vale quando gli organi nazionali cercano soltanto una violazione
formale delle norme interne od omettono di tenere conto degli effetti cumulativi dei
diversi aspetti delle cattive condizioni di detenzione92. Così nel caso Neshkov and others
v. Bulgaria la Corte osserva che, anche se il diritto interno sulla responsabilità
extracontrattuale dello Stato consente di ottenere un risarcimento in caso di trattamento
disumano e degradante, chiunque desideri avvalersi di questo rimedio deve provare
l’“illegalità”, nel senso del diritto bulgaro, dei provvedimenti presi dalle autorità
carcerarie invece di cercare di provare che ha subito tale trattamento. Quando sono
investite di un reclamo concernente le cattive condizioni di detenzione, la Corte osserva
che il più delle volte i giudici bulgari tengono conto solo delle disposizioni legislative e
regolamentari interne e non del divieto generale di trattamenti disumani e degradanti
posto dalla Convenzione. Il diritto a un ordine di trasferire un detenuto in un altro istituto
come rimedio preventivo è ugualmente ostacolato dal fatto che i giudici amministrativi
non prendono tale provvedimento se non ricorrono le condizioni rigorose
dell’“illegalità”.
Viceversa, uno statuto giuridico del detenuto definito in termini troppo vaghi per
permettere al giudice di operare un controllo di legalità costituisce un aspetto di cui
tenere conto per accertare la mancanza di effettività del rimedio93.
La Corte ha inoltre dovuto precisare che in una causa per risarcimento, in cui è necessario
provare il danno, la persona non deve essere assoggettata a delle dimostrazioni complesse
del danno morale causato dal trattamento disumano o degradante risultante dalle cattive
91
Cfr. Aleksandr Makarov, cit. supra, §§77 e 87-89; Benediktov, §§ 29 e 30.
Aleksandr Makarov v. Russia, cit. supra, §§98-100; Iacov Stanciu v. Romania.
93
Yaroshonen v. Turkey, n. 72710/11.
92
23
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condizioni di detenzione94. Il diritto interno deve sancire una forte presunzione legale in
materia95.
3. I poteri del giudice
Come si è detto, l’ambito procedurale della tutela dei detenuti contro le cattive condizioni
materiali di detenzione si suddivide in due branche. Da una parte, le garanzie destinate a
proteggere gli interessati contro l’occorrenza o la continuazione di un trattamento
contrario all’articolo 3 (rimedio cosiddetto “preventivo”); dall’altra quelle destinate ad
assicurare il risarcimento dei danni già fatti e già finiti. La Corte precisa che questi due
rimedi devono coesistere. In altre parole, il detenuto che lamenta le sue attuali condizioni
di detenzione deve poter ottenere riparazione del danno subito.
3.1 Rimedi preventivi atti a far cessare il trattamento incriminato
La questione decisiva è se la persona interessata può ottenere dal giudice interno un
rimedio diretto e appropriato e non semplicemente una protezione indiretta dei diritti
garantiti dall’articolo 3 della Convenzione96. Pertanto un rimedio esclusivamente
compensatorio non sarebbe ritenuto sufficiente in quanto non ha un effetto “preventivo”,
non potendo impedire la continuazione della violazione allegata né permettere ai detenuti
di ottenere un miglioramento delle loro condizioni materiali di detenzione97. L’attitudine
che deve avere il meccanismo di apportare dei cambiamenti nelle condizioni di vita degli
interessati ha diverse implicazioni giuridiche e fattuali.
3.1.1 Provvedimenti obbligatori e sufficientemente determinati
Per essere ritenute un rimedio preventivo effettivo le decisioni dell’organo competente
devono essere “vincolanti ed esecutive” (Ananyev, §216), cioè dotate in se stesse di forza
vincolante per l’amministrazione convenuta. Quest’ultima deve giuridicamente obbligata
a prendere dei provvedimenti o a tenere un certo comportamento in conseguenza di esse.
Questo aspetto è particolarmente importante perché in numerosi Stati europei sono incerti
lo statuto e la portata delle decisioni prese dall’istituzione del giudice dell’esecuzione
penale, organo con vocazione ad essere l’istanza di controllo.
La forza vincolante delle decisioni in questione può essere incerta nel diritto interno, nel
qual caso la Corte deve cercare nei fatti quali sono le implicazioni concrete. Nella
sentenza pilota Torreggiani and others v. Italy si poneva la questione se il ricorso al
Magistrato di sorveglianza (MS) costituisse un prerequisito per poter adire il giudice
94
Neshkov and others v. Bulgaria, 27 gennaio 2015, §128.
Ananyev v. Russia, §228.
96
Cfr., fra altre, Mandić and Jović v. Slovenia, nn. 5774/10 e 5985/10, §107, 20 ottobre 2011.
97
Fra molte altre, Cenbauer v. Croatia (dec.), n. 73786/01, 5 febbraio 2004; Norbert Sikorski v. Poland, n.
17599/05, § 116, 22 ottobre 2009; Mandić and Jović v. Slovenia, cit. supra, §116; Parascineti v. Romania,
n. 32060/05, § 38, 13 marzo 2012.
95
24
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europeo, come voleva il governo. La legge prevedeva in particolare che il magistrato ha il
“potere di disporre i provvedimenti necessari a eliminare le eventuali violazioni dei
diritti” degli interessati, con ordinanza. A questo riguardo la natura controversa della
decisione del MS, giurisdizionale o amministrativa, “non è determinante” agli occhi dei
giudici europei. Tuttavia l’eccezione opposta dallo Stato si scontra con l’incertezza che
circonda la portata delle ordinanze del MS, poiché la Corte osserva che la mancata
esecuzione per molti mesi della decisione a favore di uno dei ricorrenti indebolisce la tesi
governativa che tali decisioni siano vincolanti per l’amministrazione (§54). In ogni caso
il requisito dell’effettività è incompatibile col fatto che “un detenuto che ha ottenuto una
decisione favorevole moltiplichi i ricorsi al fine di ottenere il riconoscimento dei suoi
diritti fondamentali al livello dell’amministrazione penitenziaria”.
Nella decisione Stella v. Italy, che ha concluso la procedura di sentenza pilota contro
questo Stato, la Corte rileva “con interesse che il nuovo rimedio precisa adesso la forza
vincolante delle decisioni (…). Tali decisioni sono prese nel rispetto del principio del
contraddittorio fra le parti e sono vincolanti per le autorità amministrative competenti.
Queste ultime devono attivarsi entro un termine stabilito dal giudice – il che in via di
principio soddisfa il criterio della celerità delle procedure – scaduto il quale si può
procedere a un’esecuzione forzata” (§49).
La mancanza di effetti del rimedio può derivare dall’indifferenza dell’amministrazione
verso delle decisioni prese nel quadro di un meccanismo ritenuto altrimenti effettivo.
Questa vigilanza si è manifestata molto presto. Così, decidendo sull’ammissibilità del
caso A.B. v. Netherlands del 5 settembre 200098, la Corte rileva che il ricorso civile che
non è stato esperito dal ricorrente era in sé di grande valore. Tuttavia, “nel valutare
questo rimedio alla luce degli accertamenti del CPT (…) la Corte dubita che un
procedimento ingiuntivo avrebbe potuto porre rimedio alle violazioni allegate dal
ricorrente. Di più, nelle sue brevi osservazioni su queste procedure il governo non ha
minimamente dimostrato che il ricorso avrebbe costituito un rimedio effettivo nella
specie”. Nella decisione sul merito99 la Corte, per respingere l’eccezione di
inammissibilità e concludere per la violazione dell’articolo 13, si dice colpita “dalle
considerazioni del tribunale (…), da cui risulta chiaramente che le autorità (…) sono
rimaste totalmente passive per più di un anno senza ottemperare alle sei ingiunzioni di
correggere le gravi mancanze strutturali in materia di igiene elementare e di carattere
umanitario” (§73).
La Corte ha visto nell’imprecisione delle prerogative del giudice un ostacolo concreto
all’autorità delle sue decisioni. Ritiene anche che egli debba disporre di un ampio
ventaglio di mezzi giuridici in grado di sradicare la violazione che accerta (Ananyev,
98
99
N. 37328/97.
29 gennaio 2002.
25
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§214). Una delle aspettative della Corte in materia è la capacità del dispositivo di
utilizzare dei provvedimenti destinati a fronteggiare temporaneamente una situazione di
sovraffollamento, in modo che non raggiunga la soglia di gravità del trattamento
contrario all’articolo 3 (Ananyev, §208). I giudici del Palazzo dei diritti dell’uomo
sembrano sedotti dal dispositivo attuato dalle autorità polacche in seguito a una decisione
della Corte costituzionale del 26 maggio 2008, secondo cui il fenomeno del
sovraffollamento carcerario nel paese per la sua natura grave e cronica era da solo
suscettibile di essere qualificato come trattamento disumano e degradante e che pertanto
le disposizioni legislative che consentivano all’amministrazione di prendere dei
provvedimenti per ridurre la superficie per detenuto a meno di 3m² erano incostituzionali
(vedi Norbert Sikorski, §§75-88). Il diritto risultante dalla riforma legislativa prevede che
il giudice possa sospendere l’esecuzione di una condanna, per una durata massima di sei
mesi, quando il numero dei detenuti su scala nazionale eccede la capacità globale del
sistema penitenziario. Inoltre la legge prevede adesso che, all’infuori di circostanze
eccezionali, il direttore dell’istituto possa mettere un detenuto in una cella in cui dispone
di una superficie inferiore a 3m², ma superiore a 2m², per non più di 14 giorni. Il
provvedimento può essere prorogato solo con l’autorizzazione del giudice e per una
durata totale di 28 giorni. Può essere reiterato nei confronti dell’interessato solo dopo un
periodo di 180 giorni.
Nella decisione Latak v. Poland100, che conclude le procedure di sentenza pilota Norbert
Sikorski e Orchowski, la Corte, pur dichiarando di non volere pregiudicare la sua
posizione sull’effettività del rimedio introdotto dalla riforma, ha cura di sottolineare che
“la legge non specifica soltanto le circostanze in cui le norme di legge sullo spazio
minimo possono essere derogate e la durata massima del provvedimento, ma riconosce
al detenuto nuove possibilità di contestare la decisione dell’amministrazione di ridurre il
suo spazio in cella” (§87). Parimenti, la Polonia serve chiaramente d’esempio nella
sentenza Ananyev (vedi in part. §§61-65, e §207).
3.1.2 Provvedimenti che tengono conto, se del caso, del problema strutturale del
sovraffollamento
La giurisprudenza della Corte, e in particolare le sentenze pilota e quasi pilota
concernenti il sovraffollamento carcerario, affermano che per essere effettivo il ricorso
preventivo deve permettere al giudice di agire sulle circostanze all’origine della
violazione. Così nella sentenza Ananyev la Corte afferma sul terreno dell’articolo 46
(esecuzione della sentenza) che “tenuto conto della natura onnipresente e strutturale del
problema del sovraffollamento, conviene pensare a dotare i giudici russi di strumenti
giuridici che permettano loro di esaminare il problema sottostante al ricorso individuale
e affrontare efficacemente le situazioni di violazione massiccia e simultanea dei diritti dei
100
(dec.) n. 52070/08, 12 ottobre 2010.
26
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detenuti nei centri di custodia cautelare” (§219; si veda anche in questo senso Norbert
Sikorski, §160). Questo ragionamento, secondo cui “le disfunzioni dei rimedi ‘preventivi’
in situazioni di sovraffollamento dipendono in gran parte dalla natura strutturale del
fenomeno”, porta la Corte a ritenere, nella sentenza pilota Torreggiani v. Italy, che il
meccanismo di ricorso di fronte al giudice non sia in pratica effettivo. Infatti la Corte
dichiara di “capire facilmente che le autorità carcerarie italiane non sono in grado di
eseguire le decisioni dei magistrati di sorveglianza e di garantire ai detenuti delle
condizioni di detenzione conformi alla Convenzione” (§54). La Corte aveva già fatto
queste considerazioni nelle sentenze pilota contro la Polonia, dove ritiene che “è
improbabile che la decisione di un giudice civile dia una soluzione globale al problema
delle condizioni di detenzione inadeguate, dato che essa non può agire sulle circostanze
sottostanti” (Norbert Sikorski v. Poland, citata supra, §160).
La sentenza Ananyev v. Russia esplicita la preoccupazione soggiacente a questa esigenza,
cioè che il provvedimento che l’organo di reclamo è chiamato a prendere per correggere
una carenza accertata nel caso di specie non aggravi la sorte degli altri detenuti
provocando di conseguenza altre violazioni della Convenzione (Ananyev, §§111-112). Ne
deriva, implicitamente ma necessariamente, che il solo potere dato al giudice di ordinare
il cambio di cella del ricorrente, che avrebbe l’effetto di aggravare le conseguenze del
sovraffollamento per gli altri detenuti dell’istituto, è insufficiente.
Più specificamente la Corte respinge, nella prospettiva del requisito dell’effettività, i
sistemi di reclamo in cui l’organo competente non può rimediare alle carenze accertate
senza aggravare la sorte degli altri detenuti dello stesso istituto (Ananyev, §§111-112). In
queste condizioni il solo potere dato al giudice di ordinare il cambio di cella del
ricorrente è insufficiente. Perciò gli organi di reclamo devono essere in grado di agire sul
flusso di detenuti negli istituti interessati. Nella sentenza Strucl and others v. Slovenia101,
la Corte invita le autorità a istituire un meccanismo che permetta ai ricorrenti di ottenere
una “reazione rapida ai reclami”, consistente, se del caso, nel trasferimento in un istituto
non sovraffollato (§141). La sentenza Orchowski v. Poland sottolinea che dei
trasferimenti incessanti possono tradire gli obblighi convenzionali, il che suona come un
avvertimento contro la tentazione di gestire il sovraffollamento con lo spostamento
continuo dei detenuti in sovrannumero.
Trattandosi di problemi spesso endemici che affliggono tutto o una parte del territorio
nazionale, l’ordine di trasferire il detenuto può rivelarsi insufficiente quando il sistema
nel suo insieme è sovraffollato. Perciò l’organo di ricorso può trovarsi nella stessa
situazione dei servizi penitenziari, essere nell’impossibilità di dare alla controversia una
soluzione individuale che non vada a detrimento degli altri detenuti, anch’essi di fronte al
101
20 ottobre 2011, n. 5903/10, 6003/10, 6544/10.
27
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sovraffollamento102. Nonostante il carattere lancinante del problema su scala continentale
e la gravità della posta in gioco per lei stessa103, la Corte si è astenuta dal portare il
ragionamento fino in fondo, e dall’esigere esplicitamente che l’organo di reclamo abbia il
potere di impedire la reclusione nell’istituto o di ordinare delle scarcerazioni.
La sentenza Ananyev and others v. Russia si mostra però favorevole a dei dispositivi di
questo tipo, ma senza collegarli formalmente al diritto a un rimedio effettivo. Infatti nel
contesto dei provvedimenti proposti per affrontare il problema del sovraffollamento nelle
carceri cautelari (parte della sentenza distinta da quella dedicata al sistema di ricorsi da
istituire), la sentenza prende posizione a favore di norme sulla capacità massima e la
capacità operativa (§205), della possibilità data al direttore del carcere di rifiutare nuovi
ingressi (§206), di meccanismi per governare i provvedimenti di gestione del
sovraffollamento (§207).
Nella decisione Stella v. Italy (che chiude la procedura della sentenza pilota italiana) non
analizza gli strumenti a disposizione del giudice nel quadro del nuovo rimedio preventivo
ma prende in esame i provvedimenti di politica penale generale adottati e il
miglioramento sensibile delle statistiche penitenziarie per concludere che “la situazione
attuale del sistema penitenziario italiano sembra offrire alle autorità amministrative
competenti un contesto più favorevole all’utilizzo effettivo delle decisioni giudiziarie. Si
tratta secondo la Corte di un aspetto cruciale di cui bisogna tener conto nel valutare
l’effettività in pratica del rimedio in questione” (§50). E questo nel momento in cui il
sistema penitenziario rimane saturo, mettendo in dubbio la capacità del giudice di
sottrarre gli interessati alla situazione che lamentano. Così la Corte concede apertamente
al governo italiano un premio di incoraggiamento per la direzione data alla politica
penale e la riforma rapidamente applicata al sistema dei rimedi, a costo di indebolire i
requisiti procedurali. A beneficio di questo, il controllo delle prerogative del giudice
sembra essere sospeso in particolare104.
3.2 I cosiddetti rimedi “compensatori”
Secondo la Corte, dopo aver lasciato l’istituto nel quale ha subito le condizioni
inadeguate il detenuto deve avere un diritto azionabile a un indennizzo per la violazione
che è già avvenuta105. Si tratta del ricorso compensatorio menzionato supra. L’indennizzo
può avere due forme: un risarcimento o una riduzione della pena da scontare in ragione
del pregiudizio subito. A questo riguardo la Corte ritiene che una decisione o un
provvedimento favorevole al ricorrente è sufficiente a non qualificarlo più come una
102
Cfr. ad esempio Kalashnikov v. Russia (dec.), 18 settembre 2001, n. 47095/99.
Cfr. la sezione sulle sentenze pilota.
104
La Corte lo specifica.
105
Cfr. Sergey Babushkin, cit. supra, § 40.
103
28
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“vittima” solo se le autorità nazionali hanno riconosciuto, esplicitamente o in sostanza, e
poi riparato la violazione della Convenzione106.
3.2.1 Il rimedio pecuniario
La Corte ritiene che l’ammontare del risarcimento accordato non costituisce soltanto una
questione di valutazione del danno, che verterebbe unicamente su una questione di fatto:
rappresenta anche un elemento costitutivo del rimedio effettivo ai sensi dell’articolo 13
della Convenzione e quindi la sua insufficienza può costituire in sé una violazione della
norma giuridica prevista da questa disposizione107.
A questo riguardo, il livello del risarcimento concesso per il danno morale non deve
essere irragionevole in relazione alle decisioni prese dalla Corte in casi simili; il diritto di
non subire trattamenti disumani o degradanti è “così fondamentale e centrale nel sistema
di protezione dei diritti dell’uomo che l’autorità nazionale o il tribunale che trattano la
questione dovranno addurre delle ragioni stringenti ed eccezionalmente gravi per
giustificare la decisione di concedere meno o nessun risarcimento a titolo di danno
morale”108.
Nel caso Shilbergs v. Russia la Corte ha ricordato in modo particolarmente esemplare gli
obblighi in materia che gravano sui tribunali nazionali. Ha messo in causa il versamento
di un risarcimento di 50 euro per una detenzione subita, in particolare, in una cella
estremamente fredda e umida, senza illuminazione adeguata. Si è dichiarata inoltre
preoccupata dal ragionamento del tribunale russo che aveva valutato l’ammontare del
risarcimento facendo riferimento in particolare al “grado di responsabilità della direzione
e alla sua mancanza di mezzi finanziari”. La Corte ha ammesso che nell’applicare il
principio del risarcimento i giudici nazionali possono tenere conto della condotta
dell’interessato e delle circostanze.
Ricorda però che le difficoltà finanziarie o logistiche, oltre che l’assenza di una vera
intenzione di umiliare o degradare il ricorrente, non potevano essere addotte dalle autorità
nazionali per esimersi dall’obbligo di organizzare il sistema penitenziario in modo da
assicurare il rispetto della dignità dei detenuti109. La Corte ha ritenuto anormale che i
tribunali nazionali riducano l’ammontare del risarcimento da versare al ricorrente per una
colpa dello Stato facendo riferimento alla mancanza di fondi di quest’ultimo. Ha ritenuto
che l’esiguità dei mezzi a disposizione dello Stato non doveva valere come un’attenuante
della colpa ed era quindi irrilevante per valutare i danni ai sensi del criterio
compensatorio. Inoltre la Corte ha sottolineato che i giudici interni, come custodi dei
diritti e delle libertà individuali, avevano il dovere di dimostrare la loro disapprovazione
106
Torreggiani, §38
Rhazali and others v. France, (dec.), n. 37568/09.
108
Ananyev, cit. supra, §230.
109
Mamedova v. Russia, n. 7064/05, §63, 1 giugno 2006.
107
29
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del comportamento illecito dello Stato attraverso l’attribuzione di una somma adeguata e
sufficiente a titolo di risarcimento e interessi, tenendo conto dell’importanza
fondamentale del diritto di cui avevano constatato la violazione, pur ritenendolo
accidentale. Questo avrebbe trasmesso il messaggio che lo Stato non poteva ridurre a
niente i diritti e le libertà individuali o aggirarli impunemente (Shilbergs, citato supra,
§§71-79).
Data la solennità con cui la Corte richiama la funzione del rimedio compensatorio110,
suona strana la soluzione adottata nel caso Stella v. Italy (che chiude la procedura di
sentenza pilota), consistente in qualche modo in un premio finanziario dato allo Stato che
ottempera rapidamente agli obblighi della sentenza pilota. O, detto altrimenti, nel tenere
conto ai fini della valutazione del danno subito di parametri totalmente estranei alle
circostanze della causa. La Corte era chiamata a pronunciarsi, in particolare, su un
criterio che prevedeva un risarcimento di 8 euro per ogni giorno passato in condizioni
ritenute contrarie alla Convenzione. Per dare la sua benedizione a dei livelli di
risarcimento così bassi, la Corte afferma che “quando uno Stato ha fatto un passo
importante istituendo un rimedio risarcitorio per riparare a una violazione della
Convenzione, si deve concedergli un margine di apprezzamento maggiore perché possa
organizzare questo rimedio interno in modo coerente col suo ordinamento giuridico e le
sue tradizioni, in conformità al livello di vista del paese (si veda, fra gli altri, il caso
Cocchiarella [GC], citato supra, § 80). Perciò la Corte può perfettamente accettare che
uno Stato dotatosi di rimedi diversi e le cui decisioni conformi alla tradizione giuridica e
al livello di vita del paese sono rapide, motivate ed eseguite con celerità, riconosca delle
somme che, pur essendo inferiori a quelle stabilite dalla Corte, non sono irragionevoli”
(ibid., §96).
3.2.2 Il rimedio sotto forma di sconto di pena
Nella sentenza Ananyev v. Russia la Corte afferma, a proposito di un sistema di rimedi
poggiante sulla concessione di uno sconto di pena, che i tribunali devono riconoscere la
violazione dell’articolo 3 in modo sufficientemente chiaro e accordare il risarcimento
riducendo la pena in modo espresso e misurabile. Se le decisioni dei giudici interni non
danno una spiegazione specifica della misura in cui la constatazione e il riconoscimento
di una violazione dell’articolo 3 ha determinato una riduzione di pena, la Corte ritiene
che tale riduzione non privi di per sé l’individuo leso dello status di vittima. Questa
esigenza di misurabilità presuppone la possibilità giuridica di una valutazione
individualizzata dell’effetto della violazione sui diritti della Convenzione e del
risarcimento specifico che deve essere accordato alla persona lesa. Uno sconto
automatico calcolato in base a coefficienti di riduzione predefiniti può difficilmente
essere compatibile con questa esigenza di valutazione individualizzata. Inoltre la Corte è
110
Posizione reiterata nella sentenza pilota Ananyev, cit. supra.
30
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del parere che una riduzione automatica di pena ai criminali condannati che sono stati
reclusi in strutture insalubri può nuocere all’interesse pubblico alla sanzione penale111.
Nel caso Stella v. Italy, citato supra, la Corte era chiamata ancora una volta a
pronunciarsi su un sistema di riparazione ai sensi del quale le persone detenute che
dovevano ancora finire di scontare la pena potevano vedersi riconoscere uno sconto di
pena pari a un giorno per ogni dieci di detenzione incompatibile con la Convenzione. La
Corte afferma questa volta che una riduzione di pena, a certe condizioni, può costituire
una riparazione soddisfacente delle violazioni della Convenzione in materia penale,
quando le autorità nazionali hanno, esplicitamente o nella sostanza, riconosciuto e poi
risarcito la violazione della Convenzione (§59). Affermando di non essersi dovuta
pronunciare su tale sistema nel quadro dell’articolo 3, ricorda di aver già ritenuto
soddisfacente la concessione di uno sconto di pena in modo espresso e misurabile nel
caso di mancato rispetto dell’obbligo di un “termine ragionevole” di cui all’articolo 6 §1
della Convenzione, o quando le autorità nazionali non abbiano trattato il caso di una
persona sottoposta a custodia cautelare con la diligenza richiesta dall’articolo 5 §3 della
Convenzione. Nel caso di specie la Corte approva il meccanismo in quanto, da un lato, lo
sconto è concesso esplicitamente per risarcire la violazione dell’articolo 3 della
Convenzione e, dall’altro, il suo impatto sul quantum di pena dell’interessato è
misurabile. Di più, ritiene che “questa forma di risarcimento presenti il vantaggio
innegabile di contribuire a risolvere il problema del sovraffollamento accelerando la
scarcerazione delle persone detenute”.
3.3 Il diritto a un rimedio effettivo e i cambiamenti del diritto penale
Il disconoscimento su larga scala del diritto a delle condizioni dignitose è descritto come
una circostanza che giustifica la limitazione del potere dello Stato di definire
discrezionalmente la sua politica penale. Per citare la sentenza pilota Varga and others v.
Hungary, “quando uno Stato non è in grado di garantire a ogni detenuto delle condizioni
di detenzione compatibili con l’articolo 3 della Convenzione, la posizione costante della
Corte e di tutti gli organi del Consiglio d’Europa è stata quella di ritenere che la
soluzione più appropriata del problema del sovraffollamento sarebbe la riduzione del
numero dei detenuti con l’utilizzo più frequente delle misure punitive non privative della
libertà (si veda Norbert Sikorski, citato supra, §158) e con la limitazione del ricorso alla
carcerazione preventiva (si veda Ananyev and Others, citato supra, §197)” (§104).
Tuttavia questa posizione non è vista dalla Corte come un’autorizzazione a intervenire
liberamente nel campo delle politiche penali, come fanno alcuni corti costituzionali. In
quanto giudice internazionale, ritiene che la sua funzione non sia quella di operare
111
La Corte si riferisce alla sentenza Dimitrov and Hamanov v. Bulgaria, n. 48059/06 e 2708/09, §129, 10
maggio 2011.
31
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direttamente su tali politiche. Tuttavia vede nel principio
un’autorizzazione ad agire sul terreno dei rimedi nazionali.
di
sussidiarietà
La sentenza Ananyev and others v. Russia afferma chiaramente questa posizione. In essa
la Corte spiega, a proposito delle azioni da compiere per risolvere il problema del
sovraffollamento, che “il ruolo della Corte non è quello di dare consigli al governo
convenuto su un tale processo di riforme complesse, tanto meno di raccomandare un
modo particolare di organizzare il suo sistema penale e penitenziario (…). Il Comitato
dei Ministri ha una posizione e mezzi migliori per controllare i provvedimenti che la
Russia deve prendere per assicurare delle condizioni adeguate di custodia cautelare in
conformità alla Convenzione” (§194). Questo vincolo non si applica al sistema dei rimedi
interni, perché “la situazione non è però la stessa per quel che riguarda la violazione
dell’articolo 13 (…) in conformità all’articolo 46 della Convenzione, le conclusioni della
Corte in virtù di questa disposizione necessitano di cambiamenti chiari e precisi
dell’ordinamento giuridico nazionale (…)” (§212).
In queste condizioni la Corte intende utilizzare il rimedio effettivo davanti ai giudici
interni come una leva per agire indirettamente sulle politiche e le prassi penali. Le
sentenze pilota che, secondo il Regolamento, danno luogo all’identificazione di un
problema strutturale e alla designazione dei provvedimenti da prendere per risolverlo112,
traducono molto chiaramente la rottura logica fra la constatazione di una violazione e i
provvedimenti correttivi enunciati. Dopo aver descritto e analizzato il problema sistemico
conseguente alle politiche e alle prassi penali, queste sentenze prendono poi la strada di
enunciare delle trasformazioni da operare nei meccanismi di ricorso. Detto questo, la
Corte può mostrarsi più o meno insistente riguardo al riorientamento della politica penale
dello Stato convenuto. Certe sentenze si mostrano precise nell’indicare le riforme attese.
È il caso in particolare della sentenza Ananyev che, come si è detto, non esita a suggerire
delle azioni e dei meccanismi precisi per limitare la popolazione detenuta, come il
numero chiuso. Altre si limitano a osservazioni molto generali. Così il timido richiamo,
nella sentenza pilota Torreggiani v. Italy113, alla dottrina riduzionista del Consiglio
d’Europa nasconde a malapena una presa di distanza rispetto al metodo volontarista
impiegato nella sentenza Ananyev.
112
L’articolo 61.3 del Regolamento della Corte dispone che "La Corte deve indicare nella sentenza pilota
da essa adottata la natura del problema strutturale o sistemico o della disfunzione da essa constatata e il
tipo di misure riparatorie che la Parte contraente interessata deve prendere a livello interno in
applicazione del dispositivo della sentenza".
113
La Corte “desidera ricordare in questo contesto le raccomandazioni (…) che invitano gli Stati a
incoraggiare i procuratori e i giudici a ricorrere il più possibile alle misure alternative alla detenzione e a
riorientare la loro politica penale verso un minor ricorso all’incarcerazione allo scopo, fra l’altro, di
risolvere il problema della crescita della popolazione carceraria (si vedano in particolare le
raccomandazioni del Comitato dei Ministri Rec(99)22 e Rec(2006)13)".
32
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La giurisprudenza è quindi segnata da una forte tensione fra, da un lato, l’imperativo di
garantire l’effettività del diritto a delle condizioni di detenzione conformi al diritto al
rispetto della dignità, tanto più presente perché questo diritto è intangibile, e dall’altro la
preoccupazione di far valere il principio di sussidiarietà e di mettere i giudici interni in
prima linea nel trattamento di questo contenzioso di massa. Da questo punto di vista,
l’opzione scelta in definitiva dalla Corte di spostare sulla popolazione detenuta l’onere di
avviare delle procedure suscettibili da ultimo di smuovere i decisori pubblici e i giudici
lascia dubbiosi, tanto sono numerosi gli ostacoli concreti all’esercizio dei diritti in carcere
e versatili gli orientamenti di politica penale seguiti nel continente. In questo contesto la
decisione Stella and others v. Italy traduce un entusiasmo ben comprensibile di fronte ai
risultati della procedura della sentenza pilota Torreggiani che tale decisione conclude: “la
Corte non può che compiacersi dell’impegno dello Stato convenuto. Apprezza i risultati
significativi ottenuti finora grazie agli sforzi considerevoli fatti dalle autorità italiane a
vari livelli, e constata che il problema del sovraffollamento carcerario in Italia, benché
persistente, presenta oggi delle proporzioni meno drammatiche” (§54). Anche se è
contrassegnata dal realismo dal punto di vista dei rapporti fra la Corte e gli Stati membri,
tale strategia giurisprudenziale sembra un’arma molto debole contro i processi di
strumentalizzazione politica del diritto penale che operano in numerosi contesti interni e
che disattivano le garanzie giuridiche di categorie sempre maggiori di individui,
scalzando così i fondamenti stessi della protezione dell’“umano irriducibile” stabiliti
progressivamente dagli organi della Convenzione.
33
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II. L’ARTICOLO 6-1 DELLA CONVENZIONE EDU E IL DIRITTO APPLICABILE AL SISTEMA
CARCERARIO
Mentre la giudiziarizzazione114 segnala l’uscita dallo Stato amministrativo e la ricerca di
una nuova forma democratica115, interrogare il ruolo delle disposizioni dell’articolo 6 che
garantiscono il diritto a un processo equo116 nelle dispute che sorgono nella detenzione
torna a rendere conto del grado di integrazione del carcere nello spazio comune, dal di là
dell’affermazione di principio che le persone incarcerate conservano i loro diritti
fondamentali a eccezione della libertà di movimento.
Da questo punto di vista questo standard europeo è un indicatore particolarmente
affidabile per tre motivi. Primo, è a priori immune dall’inerzia storica che affligge gli
apparati normativi penitenziari117, in quanto opera largamente secondo categorie
giuridiche proprie, distinte dalle qualificazioni dei diritti nazionali. Infatti, per evitare che
uno Stato si nasconda dietro le definizioni proprie del suo diritto interno per sottrarsi agli
obblighi convenzionali e per superare la diversità degli ordinamenti giuridici nazionali, la
Corte ha fatto ricorso a delle “nozioni autonome”, cioè delle “nozioni che il giudice
separa dal contesto giuridico nazionale per dotarle di un senso ‘europeo’ valido per tutti
gli Stati contraenti” 118. Poi, l’articolo 6 ha ampiamente dimostrato la sua attitudine a
produrre delle innovazioni giuridiche importanti, avendo operato delle trasformazioni
114
Un movimento che è descritto come comprendente tre fenomeni: la tendenza a fare del giudice l’arbitro
indispensabile di questioni precedentemente autonome (lavoro parlamentare, politica estera, etc.),
l’aumento di volume del contenzioso che tende a trasformare la giustizia in un bene di consumo comune, e
la penetrazione della forma giurisdizionale nelle sfere governative o internazionali; cfr. A. Garapon (dir.),
La prudence et l’autorité : l’office du juge au XXIe siècle, IHEJ Paris 2013.
115
Ibid.
116
1. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un
termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a
pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa
penale formulata nei suoi confronti. La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l’accesso alla sala
d’udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell’interesse della
morale, dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli
interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o, nella misura giudicata
strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità possa portare pregiudizio
agli interessi della giustizia. 2. Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua
colpevolezza non sia stata legalmente accertata. 3. In particolare, ogni accusato ha diritto di: (a) essere
informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della
natura e dei motivi dell’accusa formulata a suo carico; (b) disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie
a preparare la sua difesa; (c) difendersi personalmente o avere l’assistenza di un difensore di sua scelta e, se
non ha i mezzi per retribuire un difensore, poter essere assistito gratuitamente da un avvocato d’ufficio,
quando lo esigono gli interessi della giustizia; (d) esaminare o far esaminare i testimoni a carico e ottenere
la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico; (e) farsi
assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata in udienza.
117
Gilles Chantraine e Dan Kaminski, « La politique des droits en prison », Champ pénal/Penal field
[online], Séminaire Innovations Pénales, pubblicato online il 27 settembre 2007, consultato il 20 gennaio
2015. URL: http://champpenal.revues.org/2581; DOI: 10.4000/champpenal.2581.
118
L. Maulino, « Convention européenne des droits de l’homme, obligations procédurales et pluralisme » in
Pluralisme et juges européens des droits de l’homme, M. Levinet (dir.), Bruylant 2010.
34
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profonde in tutti i campi del diritto, al punto da costituire sicuramente lo strumento di
armonizzazione più potente119. Infine il suo utilizzo è ampiamente padroneggiato dai
cittadini europei, dato che le violazioni accertate su questa base rappresentavano da sole
il 24,14% delle sentenze pronunciate dalla Corte nel 2015120.
Data la lettera dell’articolo 6§1, si è posta in primo luogo la questione dell’inclusione del
carcere nel suo campo di applicazione. In realtà la Corte l’ha posta molto presto:
“l’articolo 6§1 si applica soltanto all’esame di ‘contestazioni su diritti e obblighi di
carattere civile’ e della ‘fondatezza di ogni accusa in materia penale’. Di conseguenza ci
sono ‘cause’ che sfuggono alla sua disciplina perché non ricadono in alcuna di queste
categorie”121. Da questo punto di vista la Commissione dei diritti dell’uomo122 riteneva
che le contestazioni relative al regime penitenziario appartenessero in via di principio al
diritto pubblico, sfuggendo pertanto sia all’ambito penale che a quello civile dell’articolo
6§1. Questo valeva “riguardo alla situazione di subordinazione del detenuto rispetto
all’amministrazione penitenziaria e tenuto conto del fatto che tutti i privilegi delle
persone incarcerate concessi a fini di interesse generale nel quadro degli obblighi dello
Stato al buon andamento dell’esecuzione penale”123.
Tuttavia questa concezione è stata messa alla prova dall’utilizzo da parte della Corte di
nozioni autonome nell’interpretare la portata dell’articolo 6. La Corte ha intrapreso
rapidamente una decostruzione casuistica degli ambiti inizialmente esclusi dall’articolo
6-1124, ritenendo che la nozione civile non fosse riducibile alle sole controversie di diritto
privato, sicché il contenzioso di diritto pubblico non poteva essere tenuto totalmente fuori
dalla garanzia del processo equo. L’ambito civile dell’articolo 6 si è progressivamente
esteso. Ritenendo che questa disposizione procedurale attuasse la tutela giurisdizionale
degli altri diritti e libertà, la Corte ha affermato l’autonomia anche della “materia penale”
fin dal 1976 con la sentenza Engel v. The Netherlands (§ 98).
119
Si veda il bilancio dell’incidenza delle sentenze nel documento Survey, forty years of activity 19591998, http://echr.coe.int/Documents/Survey_19591998_BIL.pdf.
120
Fatti e cifre 2015.
121
Le Compte, Van Leuven and De Meyere v. Belgique, § 41. I riferimenti completi alle sentenze sono
disponibili alla fine del documento.
122
La Commissione europea dei diritti dell’uomo, l’organo incaricato di vagliare preliminarmente i ricorsi,
è stata abolita con l’entrata in vigore nel 1998 del Protocollo n. 11 alla Convenzione. Da allora tutte le
decisioni provengono dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU). Da allora in poi le decisioni citate
sono sentenze o decisioni della CEDU, salvo diversa indicazione.
123
X. v. Germany (dec.), che concerne i procedimenti relativi alle condizioni di lavoro in carcere e alla
proibizione fatta al ricorrente di inviare denaro all’esterno.
124
Van Drooghenbroeck v. Belgium.
35
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Poiché la dottrina dei limiti impliciti125 era stata scartata dalla Corte126, il carcere non
poteva restare ermetico alle evoluzioni in atto negli altri ambiti, civile e penale, di questa
disposizione. Con la sentenza Golder v. The United Kingdom, concernente il rifiuto
dell’amministrazione di autorizzare un detenuto a consultare un avvocato in vista di
un’azione per diffamazione contro un agente di custodia che l’aveva chiamato in causa in
un episodio di violenza, la Corte riconosceva l’applicabilità dell’articolo 6§1 a una
“azione progettata [che] avrebbe riguardato un incidente relativo alla vita in carcere”
(§40). Alcuni anni dopo la Corte afferma solennemente nella sentenza Campbell and Fell
v. The United Kingdom che “la giustizia non può arrestarsi alla porta delle prigioni e
niente, nei casi appropriati, permette di privare i detenuti della protezione dell’articolo
6”.
Tuttavia questa entrata in scena dell’articolo 6 si scontra frontalmente con le logiche del
carcere: il principio della parità di armi, che mette le parti rigorosamente sullo stesso
piano, nega l’asimmetria costitutiva della relazione carceraria; i principi del
contraddittorio e della pubblicità sono in contrasto col segreto che circonda l’esercizio del
potere dietro le mura; l’esigenza di un processo entro un termine ragionevole ignora il
controllo sovrano del tempo da parte dell’amministrazione, etc. Inoltre, una volta
riconosciuta l’applicabilità dell’articolo 6, sorge inevitabilmente la questione delle
condizioni effettive della sua applicazione.
Perciò l’analisi dell’uso dell’articolo 6 nel contenzioso sui diritti dei detenuti richiede in
primo luogo di determinare quali sono i “casi appropriati” che esigono la sua
applicazione o, in altre parole, della portata di questa disposizione nell’ambito
penitenziario. Deve poi rendere conto dell’uso che fa la giurisprudenza delle garanzie che
sancisce nelle controversie che coinvolgono i detenuti.
1. La portata della protezione: l’articolo 6§1 “non può arrestarsi alla porta delle
prigioni”
1.1. L’aspetto penale: un intervento limitato alla repressione disciplinare
1.1.1 Affermazione del principio dell’applicabilità del diritto comune
i. Riconoscimento precoce di una tutela procedurale in materia disciplinare
Gli organi della Convenzione ritengono costantemente che l’articolo 6 non sia applicabile
ai procedimenti relativi a questioni concernenti l’esecuzione penale127. In altre parole, se
125
A metà degli anni sessanta la Commissione ha adottato la teoria secondo cui il rapporto di soggezione in
cui si trovano le persone detenute di fronte all’amministrazione giustificava automaticamente dei limiti a
certi diritti peraltro riconosciuti dalla Convenzione.
126
De Wilde, Ooms and Versyp v. Belgium.
127
N. 20872/92, decisione della Commissione del 22 febbraio 1995, Decisions and reports (DR) 80, p. 66.
Pronunciata sulla base dell’articolo 7, la sentenza della Grande Camera Rio del Prada v. Spain sfuoca il
36
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questa disposizione si applica a tutto il procedimento diretto ad accertare la fondatezza di
ogni “accusa128 in materia penale”, la sua portata non va al di là della fase di
determinazione della pena, se distinta dall’accertamento della colpevolezza129. Perciò
questa disposizione non si applica all’esame di una domanda di grazia130, o dei
provvedimenti diretti al reinserimento sociale, come ad esempio la liberazione
condizionale131 o il permesso di uscire per ottenere un lavoro esterno132. Non si applica
neppure alle procedure concernenti un regime di alta sicurezza strettamente legato alle
qualificazioni penali decise dalle autorità giudiziarie133.
Tuttavia si è posta molto presto la questione se una “accusa” formulata nel corso
dell’esecuzione penale fosse soggetta alle garanzie del processo equo, anche quando
fosse giudicata dagli organi disciplinari invece che dal giudice penale. Nella sentenza
Engel and others v. The Netherlands, relativa a sanzioni detentive inflitte a dei militari, la
Corte si è in effetti dichiarata in dovere di assicurarsi che “l’ambito disciplinare non si
sovrapponesse indebitamente a quello penale” (§81), per impedire che le garanzie
dell’articolo 6 siano neutralizzate dalle qualificazioni del diritto interno. Per definire un
confine fra i due la Corte ha elaborato tre serie di criteri, precisando di farlo
“limitatamente all’ambito del servizio militare”: 1) la qualificazione del diritto interno; 2)
la natura dell’infrazione; 3) la gravità della pena inflitta all’interessato (§§82-83).
La Commissione europea dei diritti dell’uomo, nel caso Kiss v. The United Kingdom, si è
rapidamente pronunciato a favore dell’applicazione dei criteri della sentenza Engel and
others v. The Netherlands al contenzioso disciplinare penitenziario, confortato in ciò
dalla Corte alcuni anni dopo. Nella sentenza Campbell and Fell v. The United Kingdom la
Corte ammette con il governo “che nel contesto carcerario ci sono ragioni pratiche e
politiche a favore di un regime disciplinare speciale, per esempio considerazioni di
sicurezza, l’interesse dell’ordine, la necessità di reprimere la cattiva condotta dei
detenuti con la maggior prontezza possibile, l’esistenza di sanzioni ‘su misura’ di cui i
giudici di diritto comune possono non disporre e il desiderio delle autorità carcerarie di
conservare il controllo della disciplina all’interno dei loro istituti” (§69). Pertanto,
appoggiandosi al principio generale dell’applicabilità dell’articolo 6 al contenzioso
confine fra “sentenza” ed “esecuzione della sentenza”. La sentenza Antonio Messina v. Italy in definitiva va
nella stessa direzione perché accetta di controllare nella prospettiva dell’articolo 5§1(a) la mancata
concessione di uno sconto di pena.
128
L’“accusa” segna il punto di partenza dell’istanza ai fini dell’articolo 6§1 (penale). La nozione di
“accusa” riveste un carattere autonomo in rapporto al diritto interno, essendo analizzata nella sua accezione
sostanziale e non formale. Di conseguenza si definisce come: la comunicazione ufficiale, proveniente
dall’autorità competente, del rimprovero di aver commesso un reato, o un atto che ha ripercussioni
importanti sulla situazione del sospetto.
129
Cfr. i casi T. & V. v. The United Kingdom [GC]; Dementyev v. Russia, §§24-25.
130
Asociación de Aviadores v. Spain; Montcornet de Caumont v. France (dec.).
131
Aldrian v. Austria.
132
Boulois v. Luxembourg [GC].
133
Enea v. Italy [GC].
37
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penitenziario stabilito nella sentenza Golder v. The United Kingdom e a quello della
preminenza del diritto, ritiene che i criteri elaborati nella sentenza Engel and others v.
The Netherlands valgano mutatis mutandis in materia penitenziaria, ed è in questo quadro
che si iscriveranno le sentenze successive concernenti le punizioni inflitte ai detenuti.
ii. Criteri di demarcazione fra “disciplina pura” e “materia penale”
Stando alla giurisprudenza, il primo “criterio Engel”, relativo alla qualificazione –
disciplinare o penale – utilizzata nel diritto interno è indicativo e serve solo come punto
di partenza dell’analisi.
Più decisivo134 è il secondo criterio, che verte sulla natura dell’infrazione, potendo entrare
in gioco diverse considerazioni. Occorre esaminare la portata della norma giuridica in
questione, se è rivolta esclusivamente a un gruppo specifico o riguarda tutti per natura.
Nella sentenza Campbell and Fell v. The United Kingdom la Corte dà questa spiegazione:
“la cattiva condotta di un detenuto può rivestire forme diverse: alcune infrazioni
riguardano palesemente la sola disciplina interna, ma non si potrebbe dire lo stesso per
tutte. Alcune, per cominciare, possono rivelarsi più riprovevoli di altre (…). Di più:
l’illegalità di questo o quell’atto può non dipendere dalla circostanza che sia stato
commesso in carcere; un comportamento contrario al regolamento penitenziario
costituisce a volte anche un reato. Così delle violenze gravi sulla persona di un agente
possono corrispondere ai reati di percosse e lesioni personali; se l’insubordinazione e
l’incitamento all’insubordinazione non ricadono nel campo del diritto penale generale, i
fatti sottostanti possono fondare un’accusa di associazione a delinquere” (§71). Occorre
quindi considerare che i fatti disciplinari contestati possono corrispondere a un’infrazione
suscettibile, “almeno in teoria”, di repressione sul terreno del diritto penale ordinario135.
Si tiene conto di altri parametri sulla base di questo secondo criterio, come la circostanza
che l’atto di inizio della procedura rientra nei poteri legali di esecuzione di un’autorità
pubblica136, la funzione della norma giuridica, repressiva o dissuasiva137, o ancora la
subordinazione della condanna a un accertamento di colpevolezza138.
L’ultimo “criterio Engel” riguarda la natura e la gravità della sanzione, cioè la pena
massima prevista dalla norma applicabile. La giurisprudenza afferma che una privazione
della libertà suscettibile di essere inflitta a titolo repressivo appartenga in generale al
134
Jussila v. Finland [GC], § 38.
Ezeh and Connors v. The United Kingdom, § 104.
136
Benham v. The United Kingdom [GC], § 56.
137
Nel caso Balsyte–Lideikiene v. Lithuania relativo a un’infrazione amministrativa di diffusione di scritti
razzisti, la Corte “attribuisce un’importanza particolare all’articolo 20 del Codice sulle infrazioni di diritto
amministrativo, che dispone che il fine della sanzione amministrativa è punire i colpevoli e dissuaderli dal
recidivare. La Corte ricorda che un carattere punitivo è il consueto tratto distintivo di una sanzione penale”
(§58).
138
Benham v. The United Kingdom [GC], § 56.
135
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diritto penale: “in una società legata alla preminenza del diritto, ricadono nella ‘materia
penale’ le privazioni della libertà che possono essere inflitte a titolo repressivo, tranne
quelle che per loro natura, durata o modalità di esecuzione non possono causare un
danno importante. Così vogliono la gravità della posta in gioco, le tradizioni degli Stati
contraenti e il valore che la Convenzione attribuisce al rispetto della libertà fisica della
persona”139.
Inoltre la Corte ha stabilito il principio secondo cui si deve presumere che una privazione
della libertà appartenga alla “materia penale”. Questa presunzione non può essere
superata “che a titolo puramente eccezionale e solo se è impossibile ritenere che queste
privazioni della libertà implichino un ‘danno importante’ per loro natura, durata o
modalità di esecuzione”140. Benché il principio si riferisca implicitamente alla pena
comminata, “posta in gioco principale” del processo, la Corte non perde di vista la pena
effettivamente inflitta, e a volte si basa solo su di essa141, il che è difficile da giustificare
dato che tale ragionamento torna a far dipendere le garanzie procedurali applicabili in
tutto il procedimento da un evento che ne costituisce il punto di arrivo. Inoltre, alla luce
del criterio della natura e della gravità della pena, la collocazione in un locale disciplinare
non è di per sé sufficiente142.
Per quel che riguarda l’articolazione dei criteri Engel, la Corte ritiene in generale che il
secondo e il terzo siano alternativi e non necessariamente cumulativi: perché trovi
applicazione l’articolo 6 può bastare che l’infrazione in questione sia, per natura, ritenuta
“penale” ai sensi della Convenzione o che essa renda la persona passibile di una sanzione
che, per natura e gravità, è considerata appartenere alla sfera “penale”143. Nei casi Black
v. The United Kingdom e Young v. The United Kingdom la Corte ritiene che, sebbene il
fatto rimproverato ai due ricorrenti detenuti di disobbedire a un ordine legale rivesta, nel
diritto interno come per natura, un carattere disciplinare, nella specie si trattasse di
un’accusa penale ai fini dell’articolo 6§1 a causa della natura e della gravità della perdita
dello sconto di pena comminata ed effettivamente inflitta144. Tuttavia si può adottare un
approccio cumulativo quando un’analisi distinta di ciascun criterio non consente di
pervenire a una conclusione univoca145.
In un periodo successivo la Corte ha optato per attenuare l’importanza del terzo criterio
del caso Engel rispetto al secondo. Nella sentenza della Grande Camera Jussila v.
Finland [GC], concernente un procedimento di regolarizzazione tributaria, la Corte ha
affermato anche che non esiste nella sua giurisprudenza “un precedente autorevole che
139
Engel and others v. The Netherlands, § 82.
Ezeh and Connors v. The United Kingdom [GC], § 126.
141
See e.g. Payet v. France; Plathey v. France; Cocaign v. France.
142
Payet v. France; Plathey v. France; Štitić v. Croatia.
143
Ezeh and Connors v. The United Kingdom [GC], § 126
144
42 days, and 3 and 5 days respectively, pronounced.
145
Ibid.
140
39
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ritenga la tenuità della sanzione, in materia fiscale o altrove, un fattore decisivo per
escludere dal campo di applicazione dell’articolo 6 un’infrazione che riveste altrimenti
un carattere penale” (§35). Nel caso di specie, pur rilevando la “tenuità della sanzione”
(§38), la Corte dichiara applicabile l’articolo 6 al procedimento tributario esclusivamente
in ragione della “natura dell’infrazione”, criterio che è a suo parere “il più importante”
(§38).
iii. Criterio decisivo in definitiva: l’aumento della durata della detenzione da scontare in
concreto
In materia penitenziaria il terzo criterio “Engel” – relativo alla gravità e alla natura della
sanzione comminata – appare preponderante, e anche decisivo, anche dopo la
risistemazione operata dalla sentenza Jussila v. Finland [GC] che dà la priorità al criterio
della natura dell’infrazione. È la perdita dello sconto di pena, sotto qualunque forma, che
si deve considerare in carcere. La privazione aggiuntiva della libertà costituisce dunque
l’elemento che fa scattare la “penalizzazione” dell’azione disciplinare penitenziaria.
La sentenza Campbell and Fell v. United Kingdom, che nello stesso tempo inaugura la
giurisprudenza in materia e ne fissa il quadro generale, fa dipendere la qualificazione
dalla sola perdita di sconto di pena a cui era esposto il ricorrente in conseguenza del
procedimento disciplinare (§72). Ricordando che una privazione della libertà suscettibile
di essere inflitta a titolo repressivo rientra in generale nella “materia penale”, la Corte
osserva come la circostanza che il diritto interno consideri i provvedimenti in questione
come privilegi più che diritti non sia realmente importante. L’importante sono le
conseguenze pratiche per l’interessato, e se uno sconto di pena può far nascere
nell’interessato delle speranze serie di essere scarcerato in una data più prossima di quella
risultante dalla condanna. Parimenti non è decisiva la considerazione che anche dopo la
decisione disciplinare la base legale della detenzione resta la sentenza di condanna alla
quale giuridicamente nulla si aggiunge. L’assimilazione a una pena si impone quando
“prolungando la detenzione ben al di là di quel che sarebbe avvenuto senza di essa, la
sanzione si avvicina a una privazione della libertà anche se giuridicamente non lo è;
l’oggetto e lo scopo della Convenzione esigono di attribuire le garanzie dell’articolo 6
all’applicazione di un provvedimento così grave”. Nonostante la forte opposizione del
governo convenuto, lo stesso ragionamento si imporrà nella sentenza della Grande
Camera sul caso Ezeh and Connors v. The United Kingdom, poiché la Corte ritiene suo
dovere “al di là delle apparenze e del linguaggio usato, guardare alla realtà della
situazione” (§123).
Una volta risolta la questione della natura da attribuire, ai fini dell’articolo 6§1, a una
perdita di sconto di pena, si è posta quella di definire la nozione di “danno importante”,
ovvero la gravità richiesta per cambiare la qualificazione del provvedimento. Per quel che
riguarda la Commissione europea dei diritti dell’uomo, anche se si allinea ai criteri
40
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elaborati dalla Corte, colloca la soglia critica dell’articolo 6§1 – il numero di giorni di
detenzione aggiuntiva – a un livello elevato, aggiungendovi una considerazione
supplementare relativa alla proporzionalità della “pena”, comminata e inflitta,
all’infrazione in questione. Perciò nel caso P. v. France la Commissione afferma che
“non può ritenersi che la perdita eventuale di 18 giorni di sconto di pena sia una
sanzione di una natura e di una gravità tali da rendere l’infrazione sanzionata rilevante
per la materia penale”.
D’altra parte la Corte non darà prova della medesima cautela. Nella sentenza della
Grande Camera Ezeh and Connors v. The United Kingdom, già citata, la Corte sostiene
che le perdite di sconto di pena previste per i ricorrenti (42 giorni) e realmente inflitte
(rispettivamente 40 e 7 giorni) non potevano essere viste come “sufficientemente
trascurabili o accessorie da vincere la presunzione della natura penale delle accuse
contro di loro” (§§127-129). In modo ancora più significativo nel caso Young v. The
United Kingdom, che concerneva un fatto qualificato come avente natura puramente
disciplinare (disobbedienza all’ordine di una guardia), la Corte afferma l’applicabilità
dell’articolo 6§1 a causa della natura e della gravità della pena detentiva comminata, cioè
42 giorni, e della pena inflitta, tre giorni.
Tuttavia, in mancanza del prolungamento della pena effettivamente subita, il
procedimento disciplinare rimane fuori della portata dell’ambito penale dell’articolo 6§1.
È stato così in tre casi concernenti la Francia, Payet, Plathey e Cogaign, nei quali i
ricorrenti avevano tutti subito la durata massima della collocazione nella sezione
disciplinare (all’epoca 45 giorni) ma non allegavano alcun rifiuto effettivo di riduzione di
pena146. I tre detenuti erano perseguiti per delle infrazioni a carattere misto (disciplinare e
penale) e severamente punite dal codice penale147. La Corte è giunta alla stessa
conclusione nel caso Štitić v. Croatia, tenendo conto tuttavia, oltre che dell’assenza di
allungamento della durata della detenzione, del fatto che nel caso di specie la punizione
di sette giorni di sezione disciplinare era sospesa (§56).
1.1.2 Un’interpretazione evolutiva della sentenza?
La particolare applicazione del metodo interpretativo cosiddetto delle “nozioni
autonome” alla nozione di “materia penale” è stata descritta da M. Delmas-Marty come
un esempio di “fuzzy logic” invece che di logica razionale, formale o binaria. In effetti si
tratta “di un ragionamento che non tende verso una qualificazione in senso formale (non
penale o penale, ossia simbolicamente 0 o 1), ma pare situarsi nell’intervallo compreso
146
Nel secondo caso il ricorrente aveva fatto pervenire tardivamente il documento attestante la perdita di 40
giorni di riduzione di pena. Il presidente della Sezione ha decisio di non inserirlo nel fascicolo in
applicazione dell’articolo 38§1 del Regolamento (lettera della cancelleria datata 11 giugno 2011).
147
In questi due casi la Corte condanna lo Stato convenuto sul terreno dell’articolo 13 in collegamento con
l’articolo 3 della Convenzione.
41
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fra le categorie di non penale e penale (ossia simbolicamente l’intervallo compreso fra 0
e 1). L’opera dell’interprete consiste allora nel situare le prassi nazionali da qualche
parte entro questo intervallo”148. Agli inizi il contenzioso penitenziario ha costituito uno
dei vettori privilegiati di questo approccio flessibile. La sentenza Campbell and Fell v.
The United Kingdom e, in misura minore, la sentenza Ezeh and Connors v. The United
Kingdom hanno rappresentato dei leading cases in materia disciplinare. Questo passaggio
volontarista appare tanto più singolare perché interviene in una fase dell’edificazione del
corpus giurisprudenziale europeo che lascia poco spazio ai diritti dei detenuti149 e perché
d’altra parte va a scontrarsi con delle tradizioni giuridiche nazionali ben radicate, e
pertanto la Corte non poteva fondare la sua interpretazione evolutiva su un movimento
convergente dei diritti nazionali.
La Corte lo fa in considerazione “di un oggetto e di uno scopo concepiti come obiettivi da
conseguire, e dunque suscettibili di progresso e di estensione”150. La Corte aveva già
chiaramente affermato, nella sentenza Delcourt v. Belgium, che “in una società
democratica nel senso della Convenzione il diritto a una buona amministrazione della
giustizia occupa un posto così eminente che un’interpretazione restrittiva dell’articolo
6§1 non corrisponderebbe allo scopo e all’oggetto di questa disposizione” (§25).
L’importanza che ricopre l’articolo 6 nel sistema della Convenzione – la “preminenza del
diritto” non è concepibile senza l’accesso alla giustizia e senza concedere alle parti delle
garanzie procedurali – ha convinto il giudice europeo ad applicare i criteri della
giurisprudenza Engel al contenzioso carcerario con la sentenza Campbell and Fell v. The
United Kingdom. Come mostra Béatrice Belda151, il giudice combina interpretazione
teleologica e interpretazione autonoma al fine di “superare i vincoli intrinseci del
contesto funzionale dell’interpretazione (contesto caratterizzato dalla privazione della
libertà di movimento), e precisamente al fine di superare le apparenze o ‘false
sembianze’ dei procedimenti disciplinari penitenziari”. Perciò, “essendo l’ambiente
penitenziario soggetto in generale a un regime giuridico derogatorio, giustificato dalla
natura specifica della missione svolta dalle autorità carcerarie, la tecnica interpretativa
delle ‘nozioni autonome’ permette non solo di contrastare queste specificità, oltre che
148
M. Delmas-Marty (dir.), “ La ‘matière pénale’ au sens de la Convention EDH, flou du droit pénal ”,
Revue de science criminelle et de droit pénal comparé, 1987, pp. 819-854, spec. pp. 826-827, citato in B.
Belda, cit. supra.
149
Benché fosse stato affermato molto presto che “anche se un ricorrente si trova detenuto in esecuzione di
una condanna che gli è stata inflitta a causa di crimini perpetrati contro i diritti più elementari della
persona umana, questa circostanza non lo priva affatto della garanzia dei diritti e delle libertà definiti
nella Convenzione” (Koch v. Germany).
150
F. Ost, “Originalité des méthodes d’interprétation de la Cour EDH”, in M. Delmas-Marty (dir.),
Raisonner la raison d’Etat, P.U.F., 1989, pp. 405-463, spec. p. 424. F. Ost precisa a questo riguardo che la
Convenzione appare agli occhi della Corte europea dei diritti dell’uomo un punto di partenza per
raggiungere uno scopo più che il punto d’arrivo degli sforzi passati degli Stati membri del Consiglio
d’Europa.
151
B. Belda, Les droits de l'Homme des personnes privées de liberté, Contribution à l'étude du pouvoir
normatif de la Cour européenne des droits de l'homme (tesi), Bruylant, 2010.
42
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più in generale i particolarismi nazionali, ma anche successivamente di estendere
l’applicabilità delle garanzie convenzionali a un numero maggiore di soggetti”.
L’approccio autonomo e materiale così sviluppato ha permesso nello stesso tempo di
tenere conto delle specificità nazionali e delle “strutture complesse poco abituate a essere
soggette al diritto” e si è da allora dimostrato una tecnica particolarmente adatta a
introdurre una logica di diritto comune dietro le mura.
Come si è detto, una volta acquisita l’applicabilità dei criteri Engel alla disciplina
carceraria, l’oggetto del contenzioso è diventata la definizione della clausola del “danno
poco importante”, relativa alla presunzione della natura penale delle sanzioni che
comportano, in una maniera o in un’altra, una privazione aggiuntiva della libertà.
L’evoluzione è consistita nel far ricadere nell’ambito dell’articolo 6 delle sanzioni
(inflitte) poco gravi. La Corte sembra essersi lasciata chiudere in un approccio binario
che opera per categorie di provvedimenti (i provvedimenti privativi della libertà e gli
altri), che presenta certamente l’immenso merito della chiarezza e della prevedibilità dei
provvedimenti attesi dalle autorità nazionali ma che in questo caso va a scapito della
coerenza della giurisprudenza e, soprattutto, crea dei punti ciechi molto grandi nella
tutela dei diritti fondamentali.
Osservando attentamente la giurisprudenza in materia penitenziaria, il secondo criterio
Engel, sebbene descritto come predominante dalla sentenza della Grande Camera Jussila
v. Finland [GC], in definitiva è preso in considerazione solo per confortare l’analisi sul
terreno del terzo criterio. La funzione punitiva dell’azione disciplinare penitenziaria non
richiama l’attenzione della Corte, nonostante che obbedisca a delle esigenze di “legalità”
dei capi d’accusa e di graduazione delle pene152, a dei riti processuali, etc. che sono
ricalcati su quelli della repressione penale. Inoltre l’uso del terzo criterio è
sovradeterminato dal contesto penitenziario. Perciò il carattere afflittivo della punizione
in sezione disciplinare, forma radicale di carcerazione, non è rileva sotto questo aspetto.
Parimenti la prova indotta da questo provvedimento non è esaminata in concreto dalla
Corte153, sebbene in altri contesti giustifichi l’accertamento di una violazione154. E
tuttavia sappiamo che, secondo una delle direttive elaborate dalla Corte, la Convenzione
deve “leggersi come un tutto e interpretarsi in modo da promuovere la sua coerenza
interna e l’armonia fra le sue diverse disposizioni”155.
L’approccio restrittivo adottato sul terreno penale è però compensato, in parte, dal
subentro dell’ambito civile dell’articolo 6§1 che invece conosce oggi una dinamica
interpretativa chiaramente favorevole ai diritti delle persone detenute.
152
Cfr. Campbell and Fell, §71.
Si veda tuttavia il caso Štitić v. Croatia.
154
Cfr. ad esempio Renolde v. France, §106-109; Keenan v. The United Kingdom.
155
Stec and others v. The United Kingdom (dec.) [GC], § 48.
153
43
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1.2 L’aspetto civile: un campo d’applicazione esteso
1.2.1 Criteri esaustivi
L’evoluzione del campo del contenzioso civile nella sfera del diritto pubblico ha portato
inevitabilmente a porre la questione dell’entrata in scena dell’articolo 6§1 relativamente
all’esercizio da parte del potere pubblico della sua autorità nei riguardi delle persone
detenute.
Da questo punto di vista, riferendosi al principio della sentenza Golder v. The United
Kingdom, la Corte ha affermato che la griglia d’analisi elaborata in materia dalla sua
giurisprudenza trova applicazione nelle condizioni del diritto comune. La Corte prende in
esame tre parametri per affrontare la questione dell’applicabilità dell’articolo 6-1 nel suo
aspetto civile156: quello dell’esistenza di una “contestazione su un diritto”, quello
dell’esistenza di un diritto di cui si può dire in maniera difendibile che è riconosciuto
nell’ordinamento interno, e infine quello del “carattere civile” o no di questo diritto.
Questi diversi aspetti sono enunciati come condizioni distinte e cumulative, ma la
giurisprudenza li fa apparire piuttosto come anelli fortemente legati dell’operazione di
qualificazione ai fini dell’articolo 6§1, poiché certe caratteristiche possono essere prese in
esame a titolo dell’una o dell’altra sequenza di ragionamento secondo il caso. Perciò il
trittico appena descritto risponde a uno scrupolo pedagogico più che costituire una
descrizione formale delle differenti tappe del ragionamento della Corte.
i. Una contestazione reale e seria
Per quel che riguarda il primo aspetto, l’articolo 6§1 si applica solo se la “contestazione”,
che può riguardare sia l’esistenza stessa di un diritto che la sua estensione o le sue
modalità di esercizio, è “reale e seria”, nel senso che l’esito della procedura deve essere
direttamente determinante per il diritto in questione, “poiché all’articolo 6§1 non
bastano, per entrare in gioco, un legame tenue né delle ripercussioni lontane”. In altre
parole, un aspetto periferico della disputa non può essere preso in esame artificiosamente
nell’operazione di qualificazione del diritto. Nella sentenza della Grande Camera Enea v.
Italy [GC] la Corte precisa che è necessario tenere conto delle restrizioni che toccano i
diritti di carattere civile dell’individuo, sia “in ragione della natura delle restrizioni (per
esempio, la proibizione di beneficiare di un numero dato di visite mensili dei membri
della famiglia o il controllo continuo della corrispondenza epistolare e telefonica, etc.)
(…) che per le ripercussioni che tali restrizioni possono avere (per esempio, difficoltà a
mantenere i legami familiari o i rapporti con i terzi, l’esclusione delle attività
all’aperto)” (§106).
156
La Corte non è sempre costante nel modo in cui decostruisce le condizioni di applicabilità dell’articolo
6§1 e le articola insieme (cfr. Enea v. Italy [GC]).
44
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Inoltre, se si deve presumere che la domanda a un tribunale sia reale e seria157, non è così
se delle indicazioni chiare dimostrano che la domanda è frivola o priva di qualunque
fondamento. In un ricorso civile contro l’amministrazione penitenziaria motivato dalla
semplice presenza in carcere di detenuti contagiati dall’HIV, la Corte ha ritenuto che il
danno richiesto dal diritto interno per concedere un risarcimento in denaro fosse
impossibile da caratterizzare sulla base delle allegazioni del ricorrente158. La stessa
soluzione si è imposta riguardo a un’azione di risarcimento del danno causato dalla
mancata proiezione di film in carcere159.
ii. Un “diritto” sancito nell’ordinamento interno
Il secondo aspetto implica che il diritto in causa nella contestazione sia riconosciuto
nell’ordinamento giuridico nazionale. Infatti “la Corte non può creare, per via di
interpretazione dell’articolo 6§1, un diritto materiale privo di qualsiasi base giuridica
nello Stato interessato”. Per valutare lo statuto giuridico delle pretese del ricorrente nel
diritto interno la Corte prende come punto di partenza le disposizioni del diritto nazionale
pertinente e l’interpretazione che ne danno i giudici interni160. Da questo punto di vista la
Corte afferma che deve avere dei motivi molto seri per contraddire i tribunali nazionali
superiori statuendo, contrariamente a loro, che la persona interessata poteva pretendere in
modo difendibile di possedere un diritto riconosciuto dalla legislazione interna161.
Tuttavia l’autonomia del quadro analitico ai fini dell’articolo 6§1 opera anche qui e la
Corte deve esaminare la densità giuridica degli interessi rivendicati dal ricorrente. In
questa valutazione si deve infatti “al di là delle apparenze e del linguaggio usato,
guardare alla realtà della situazione”162.
Per valutare ai fini dell’articolo 6-1 il “diritto”, il carattere discrezionale del potere delle
autorità nell’esercizio delle loro prerogative può essere preso in esame, o anche rivelarsi
determinante. Tuttavia la sola presenza di un elemento discrezionale nella lettera di una
disposizione legale non esclude in sé l’esistenza di un diritto163. Nella causa della Grande
Camera Enea v. Italy [GC] il governo convenuto adduceva che la scelta dell’istituto in
cui scontare la pena appartiene esclusivamente ai poteri discrezionali
dell’amministrazione e si fondava su “considerazioni appartenenti interamente alla sfera
del diritto pubblico”: per esempio, l’ordine e la sicurezza, la necessità di prevenire
157
Benthem v. The Netherlands, § 32 e Rolf Gustafson v. Sweden. Nel caso Shishkov v. Russia, nonostante
il comportamento giudicato “erratico” del ricorrente, che aveva moltiplicato i ricorsi concernenti le sue
condizioni di detenzione davanti a diversi tribunali e su basi diverse, la Corte afferma che le azioni
dell’interessato non possano essere ritenute abusive o vessatorie (§ 113).
158
Skorobogatykh v. Russia (dec.).
159
Artyomov v. Russia.
160
Masson and Van Zon v. The Netherlands, § 49.
161
Ibid.
162
Van Droogenbroeck v. Belgium, § 38, § 121.
163
Camps v. France (dec.), e Ellès and others v. Switzerland, § 16.
45
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eventuali atti di violenza o dei tentativi di fuga dei detenuti. Il governo italiano spiegava
che “di fronte a un potere di tale ampiezza, la situazione soggettiva del detenuto, le sue
aspirazioni, le sue pretese, sono oggetto di una protezione puramente residuale che non
può ricevere nell’ordinamento giuridico una protezione paragonabile a quella dei
‘diritti’” (§90).
La Grande Camera obietta che “ogni restrizione che toccai diritti di carattere civile
dell’individuo deve poter essere contestata nel quadro di un procedimento giudiziario
(…). È per questa via che può realizzarsi il giusto equilibrio fa, da una parte, la
considerazione dei vincoli del mondo carcerario ai quali deve far fronte lo Stato e,
d’altra parte, la protezione dei diritti del detenuto” (§106). In altre parole, il
bilanciamento fra gli imperativi dell’ordine e della sicurezza e la protezione degli
interessi dei detenuti è materia per il giudice, perché i primi non possono costituire per
principio un ostacolo al controllo giurisdizionale.
La sequenza che segue dall’analisi dello statuto giuridico del “diritto” in questione porta
la Corte a ricercare, secondo il criterio elaborato nella sentenza della Grande Camera
Vilho Eskelinen and others v. Finland [GC]164, se i tribunali interni in situazioni simili
accettano di esaminare il fondamento della domanda di un ricorrente165. È il cosiddetto
criterio della “giudiziarizzazione benevola”166.
Riguardo a questi diversi parametri, e tenendo conto se del caso degli obblighi derivanti
dal diritto internazionale, la Corte valuta se il diritto abbia una base legale
nell’ordinamento interno. Così è la considerazione dell’assenza di un tale “diritto” ai
permessi carcerari nell’ordinamento giuridico lussemburghese che porta la Corte a
ritenere che le disposizioni dell’articolo 6-1 non si applichino alle richieste di permesso
temporaneo di uscire dall’istituto penitenziario presentate dal ricorrente nella causa della
Grande Camera Boulois v. Luxembourg [GC]. Più precisamente in questa causa la Corte
fonda il suo ragionamento sulla circostanza che nel disciplinare il regime dei permessi
carcerari il legislatore lussemburghese aveva “chiaramente l’intenzione di istituire un
privilegio non protetto da mezzi di impugnazione” (§98). Essa osserva peraltro che il
ricorrente non era stato in grado di produrre alcuna decisione, giudiziaria o
amministrativa, relativa a ricorsi esercitati contro il respingimento della richiesta di
permesso carcerario di un detenuto (§100). La Corte ritiene infine che in materia il diritto
convenzionale non sancisca alcun diritto soggettivo né vi sia una convergenza dei diritti
164
Vilho Eskelinen and others v. Finland [GC], § 41, che concerne il contenzioso della funzione pubblica.
Si veda la sentenza Ganci v. Italy, che cita in particolare il riconoscimento da parte della Corte
costituzionale di diritti a beneficio delle persone detenute.
166
Cfr. Oršuš and others v. Croatia, §105; “quando lo Stato conferisce dei diritti che si prestano a un
ricorso giurisdizionale, in linea di principio essi possono essere considerati diritti di carattere civile ai sensi
dell’articolo 6§1”.
165
46
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nazionali. Ne conclude che questa causa è diversa da quella della sentenza Enea v. Italy
[GC].
In quest’ultima causa la Grande Camera dapprima prende in esame la posizione della
Corte costituzionale italiana che ha censurato delle disposizioni dell’ordinamento
penitenziario in quanto non prevedevano un ricorso giurisdizionale contro una decisione
suscettibile di incidere sui diritti di un detenuto (§100 e §39). Successivamente fonda il
suo ragionamento sul fatto che “la maggior parte delle restrizioni che il ricorrente allega
di aver subito riguardano un insieme di diritti che il Consiglio d’Europa ha riconosciuto
ai detenuti per mezzo delle Regole penitenziarie europee, adottate dal Comitato dei
Ministri nel 1987 e precisate in una raccomandazione del 11 gennaio 2006 (Rec(2006)2).
Benché questa raccomandazione non sia giuridicamente vincolante per gli Stati membri,
la grande maggioranza di questi ultimi riconosce ai detenuti la maggior parte dei diritti
ai quali essa si riferisce e prevede dei mezzi di impugnazione contro i provvedimenti che
li limitano” (§101).
iii. Carattere civile del diritto
Indipendentemente dalla qualificazione giuridica usata nel diritto interno la Corte tiene
conto, come si è detto, del contenuto materiale del “diritto” e degli effetti che gli
conferisce il diritto interno dello Stato in causa per determinare se è di “carattere civile”.
In questa prospettiva le procedure che nel diritto interno rilevano per il “diritto pubblico”,
perché mettono in gioco le prerogative del potere pubblico, rilevano in linea di principio
per l’ambito civile dell’articolo 6§1 quando il loro esito è determinante per diritti e
obblighi di carattere privato.
Rientrano chiaramente in questa categoria le contestazioni aventi una ricaduta
patrimoniale. Lo stesso vale per le azioni di risarcimento intentate da detenuti per
ottenere un risarcimento in relazione alle violenze inflitte da funzionari dello Stato167,
all’alimentazione forzata durante uno sciopero della fame168, a cattive condizioni di
detenzione169 o ad assistenza sanitaria inadeguata170. Vale anche per le restrizioni al
diritto di un detenuto di ricevere denaro dall’esterno171.
Analogamente la Corte non ha difficoltà a decidere che ricadono nell’ambito dei diritti di
carattere privato le restrizioni ai diritti familiari, sia che si tratti di limitazioni dell’accesso
167
Aksoy v. Turkey, §92; Tomasi v. France, §121-122.
Ciorap v. Moldova.
169
Beresnev v. Russia.
170
Vasiliev v. Russia.
171
Enea v. Italy [GC]
168
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alla sala visite172 o di misure di sicurezza intorno alle visite dei parenti, come il ricorso a
un dispositivo di separazione173.
Al di là di questo nocciolo duro dei diritti di carattere privato, la concezione della Corte
di ciò che ricade nella “sfera dei diritti personali”, ed è dunque di “natura civile”, è
esaustiva e potenzialmente copre una grande varietà di situazioni che accadono dietro le
sbarre. La Corte ad esempio ha preso in esame, oltre alle restrizioni all’esercizio del
diritto di visita, le limitazioni dell’accesso al cortile dell’ora d’aria derivanti
dall’applicazione di un regime di alta sicurezza174. Nel caso Musumeci v. Italy la Corte si
riferisce, senza ulteriori precisazioni, ai limiti imposti alla “libertà personale” del
detenuto e associati a un sistema di sorveglianza rafforzata, riecheggiando il fondamento
della giurisprudenza pertinente della Corte costituzionale italiana. Nel caso Enea v. Italy
[GC], che riguarda lo stesso provvedimento, la Grande Camera concentra la sua
valutazione sulle dimensioni più classiche di impatto sui legami familiari e le ricadute
patrimoniali (§103). Senza dilungarsi sugli aspetti delle restrizioni ai diritti
dell’interessato presi in esame, nel caso Razvyazkin v. Russia la Corte fa riferimento alle
soluzioni delle sentenze Ganci, Musumeci, Enea v. Italy e Gülmez v. Turkey per sostenere
che la collocazione di un detenuto nella sezione disciplinare rientra nell’aspetto civile
dell’articolo 6§1 (§133).
In questo contesto resta in sospeso una questione centrale, l’applicazione della garanzie
del processo equo ai procedimenti di riduzione della pena. Si tratta di portare la Corte ad
applicare al contenzioso penitenziario la posizione che prende nel campo del ricovero
coattivo in ospedale psichiatrico, nel quale attribuisce un carattere civile al diritto alla
libertà175 e di conseguenza ritiene applicabile l’ambito civile dell’articolo 6§1 quando si
tratta di procedimenti concernenti la legalità di una privazione di libertà.
Nel caso Bogusław Krawczak v. Poland la IV sezione della Corte ha dichiarato di non
avere la necessità di pronunciarsi sull’applicabilità delle disposizioni dell’articolo 6§1 al
procedimento di liberazione condizionale (liberazione anticipata dei condannati), perché
le garanzie del procedimento seguito nel caso di specie erano ritenute soddisfacenti (§99).
Senza evocare la questione dell’applicabilità ratione materiae del ricorso, questa stessa
sezione nel caso Rokosz v. Poland ha dichiarato inammissibile un ricorso che adduceva la
violazione dell’articolo 6§1 in un procedimento di sospensione della pena per motivi
medici, ma per ragioni di merito. La Corte ha osservato che, a differenza del ramo penale,
il ramo civile non esige per principio la concessione dell’assistenza legale, il che ha
portato a respingere il ricorso per manifesta infondatezza.
172
Gülmez v. Turkey; Enea v. Italy [GC].
Stegarescu and Bahrin v. Portugal, § 35-39.
174
Ibid.
175
Aerts v. Belgium; Vermeersch v. France (dec.); e Laidin v. France (n. 2), §73-76.
173
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La soluzione data dalla II sezione della Corte nella sentenza Vasilescu v. Belgium è
sicuramente più netta; la Corte dichiara che “per giurisprudenza costante, essa ritiene
che l’articolo 6 non sia applicabile all’esame delle domande di libertà provvisoria o alle
questioni relative alle modalità di esecuzione di una pena privativa della libertà” (§121).
Ma questa sentenza non sembra in grado di chiudere il dibattito, tanto pare fragile il
fondamento ritenuto dalla II sezione, derivante dalla posizione della Grande Camera nella
sentenza Boulois v. Luxembourg [GC]: lungi dal sancire un principio di esclusione della
materia penitenziaria dal campo dell’articolo 6, la soluzione di quest’ultima causa
dipende soltanto da considerazioni tratte dal diritto interno lussemburghese (vedi infra).
La sentenza Boulois testimonia peraltro le evoluzioni giurisprudenziali che hanno segnato
la materia, di modo che è difficile vedervi un rallentamento della dinamica interpretativa
favorevole alle persone detenute. Resta il fatto che, allo stato, la giurisprudenza è lungi
dal formare un insieme coerente.
1.2.2 Distorsioni nella protezione garantita dal ramo “civile”
È assai notevole che il contenzioso penitenziario non è compreso fra i campi esclusi per
principio dall’articolo 6§1176. Essendo provvedimenti particolarmente sensibili dal punto
di vista dei diritti fondamentali, la giurisprudenza europea ha permesso di adire la Corte
quando gli Stati intendevano giustificare in nome delle esigenze di sicurezza e del
mantenimento dell’ordine interno, l’esistenza di uno spazio soggetto alla completa
discrezionalità dell’amministrazione. L’articolo 6§1 è subentrato all’articolo 13177,
rafforzando gli obblighi imposti agli stati (vedi infra). Tuttavia la giurisprudenza è
segnata da una certa incoerenza quando si tratta di interpretare quali sono i diritti spettanti
alla persona detenuta, e questo ha gravi ripercussioni sulla coerenza della protezione
garantita dall’ambito civile dell’articolo 6§1.
Due aspetti della giurisprudenza richiamano l’attenzione in particolare, in quanto
testimoniano la riluttanza della Corte a trarre le conseguenze del quadro analitico che lei
stessa ha elaborato: l’inapplicabilità dell’articolo 6 ai provvedimenti di riduzione della
pena e il peso variabile che hanno le norme di soft law e il diritto comparato nel
ragionamento sull’applicabilità.
In primo luogo, appaiono difficili da comprendere i parametri del ragionamento della
Corte per quel che riguarda i procedimenti di riduzione della pena, in particolare riguardo
all’importanza che hanno per la popolazione detenuta, specialmente in confronto ad altri
176
Contenzioso in materia di ingresso e soggiorno degli stranieri, tassazione ed elezioni, cfr. Vilho
Eskelinen v. Finland, §61.
177
Cfr. Ganci v. Italy. A questo riguardo bisogna notare da una parte che la Corte è padrona della
qualificazione giuridica dei fatti della causa (Gatt v. Malta, §19; Jusic v. Switzerland, §99) e dall’altra che
all’interno del quadro tracciato dalla decisione di ammissibilità del ricorso, la Corte può trattare ogni
questione di fatto o di diritto che nasce durante il procedimento di fronte a lei (Guerra and others v. Italy,
§44, Chahal v. The United Kingdom, §86 e Ahmed v. Austria, §43).
49
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aspetti della vita del detenuto che invece godono della protezione dell’articolo 6. Come si
è detto, l’atteggiamento della Corte in materia è nel migliore dei casi circospetto, dato che
la quarta sezione si è astenuta dal prendere posizione mentre la seconda ha ritenuto che la
liberazione condizionale sia fuori dalla portata dell’articolo 6, facendo riferimento alla
posizione tradizionale della Corte178, peraltro rimessa in questione dalla sentenza Enea v.
Italy [GC], e soprattutto superata dal riconoscimento del cosiddetto criterio della
“giudiziarizzazione benevola” (vedi supra).
In verità, la soluzione inversa si impone da diversi punti di vista, almeno per gli Stati che
hanno giurisdizionalizzato il campo dell’esecuzione penale. Il diritto alla libertà, centrale
in questo tipo di contenzioso, è stato qualificato come diritto di carattere civile da lungo
tempo. La Corte lo ritiene tale in modo costante quando si tratta di provvedimenti di
internamento dei malati di mente179. Così pure l’autonomia personale, presa in esame
dalla Corte a titolo dell’articolo 6§1, potrebbe giustificare la garanzia del processo equo
in materia, tanto appare fortemente in gioco nel procedimento di liberazione anticipata.
La Corte per esempio ha ritenuto che un procedimento il cui esito era importante per il
ricorrente perché, essendo diretto a privarlo della capacità giuridica, aveva delle
conseguenze per la sua autonomia personale in quasi tutti gli aspetti della vita e
comportava delle restrizioni potenziali della libertà, attenesse a dei diritti di carattere
civile180. Nella sentenza Boulois v. Luxembourg [GC] (annullata dalla Grande Camera per
altri motivi181), la Corte ha ritenuto che i procedimenti di autorizzazione temporanea a
uscire dal carcere avessero degli effetti indiretti ma certi sulla vita privata
dell’interessato, e più esattamente sulla “vita privata sociale”, poiché erano diretti a
“riorganizzare la sua vita professionale e sociale all’uscita dal carcere” (frequenza di
corsi di diploma, diverse formalità amministrative), “al fine di essere in grado di avere
un reddito da lavoro, di saldare i suoi diversi debiti e di evitare di costituire un peso per
la società”. Ritiene che “tenuto conto dell’importanza dell’interesse del ricorrente a
ritrovare un posto nella società”, una “risocializzazione fosse di importanza capitale per
proteggere il diritto del ricorrente a condurre una ‘vita privata sociale’ e a sviluppare la
sua identità sociale” (§64). Tutte considerazioni che non sono state rimesse in causa dalla
sentenza della Grande Camera su questo caso, e di cui tuttavia le decisioni successive non
hanno tenuto conto.
Si potrebbe obiettare che secondo la Corte l’ambito civile dell’articolo 6§1 non è
applicabile alle decisioni in materia di custodia cautelare, anche se mettono direttamente
in gioco la libertà individuale. Tuttavia la posizione della Corte è coerente con la
178
La sentenza Vasilescu v. Belgium rinvia ai riferimenti della sentenza Boulois v. Luxembourg [GC]
(Neumeisteri v. Austria, §§22 e 23; Lorsé and others v. The Netherlands (dec.); e Montcornet de Caumont
v. France (dec.)).
179
Aerts v. Belgium; Laidin v. France (n. 2).
180
Shtukaturov v. Russia, §71.
181
L’opposizione del legislatore nazionale a ogni forma di ricorso.
50
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protezione garantita in materia dall’articolo 5§4, considerato lex specialis in relazione
all’articolo 6§1182. Ora, allo stato della giurisprudenza, nel contesto esecutivo le
disposizioni dell’articolo 5§4 operano solo in situazioni molto limitate se non residuali183,
cosicché la mancata considerazione dell’articolo 6 porta all’assenza di protezione
convenzionale, sebbene il diritto alla libertà occupi un posto di assoluto rilievo nella
Convenzione184. Senza il concorso dell’argomento sistematico, la messa da parte – per
ora – dell’articolo 6§1 apparirebbe veramente assiomatica e difficilmente giustificabile.
In definitiva è come se la Corte temesse di fare dell’articolo 6§1 una leva da usare nelle
politiche e le prassi penali in materia di liberazione anticipata.
La giurisprudenza più recente sembra suonare la campana a morto per questa posizione
conservatrice, che appariva insostenibile rispetto alla giurisprudenza sull’accesso degli
ergastolani alla libertà condizionale. Come sottolinea il giudice Pinto de Albuquerque
nell’opinione parzialmente concorrente con cui spiega le implicazioni della sentenza della
Grande Camera Murray v. The Netherlands del 26 aprile 2016, “la decisione di non
scarcerare un detenuto o di incarceralo nuovamente deve essere presa con tutte le
garanzie procedurali di equità, come la garanzia di una decisione motivata. La
conclusione implicita che può trarsi da questa forte dichiarazione di principio da parte
della Corte è che il meccanismo della libertà condizionale deve prevedere anche
l’audizione del detenuto e l’accesso adeguato alla sua documentazione (…)”. Come
segnala il giudice portoghese, l’obbligo sostanziale relativo al reinserimento sociale a cui
si riferisce questo requisito si applica a “tutti i detenuti, compresi quelli condannati
all’ergastolo”.
Pertanto l’equità dei procedimenti di scarcerazione costituisce uno degli elementi
esaminati per valutare, nella prospettiva dell’articolo 3, la compressibilità dell’ergastolo.
La questione si iscrive in un insieme di requisiti di carattere immateriale che gli Stati
sono tenuti dal diritto internazionale a rispettare. Questa intensità giuridica è difficile da
conciliare con una logica binaria in cui i diritti procedurali sono garantiti con maggior
fermezza a certi detenuti – gli ergastolani – e totalmente ignorati quando si tratta degli
altri, compresi quelli che si trovano in una situazione simile ai primi dovendo scontare
delle pene molto lunghe. Inoltre, come osserva Pinto de Albuquerque, le esigenze del
reinserimento sociale da cui discendono gli obblighi procedurali si applicano
necessariamente non solo agli ergastolani ma come minimo ai detenuti condannati a pene
lunghe, cioè oltre i cinque anni secondo le raccomandazioni del Consiglio d’Europa. I
provvedimenti di riduzione della pena si trovano già in un ambiente giuridico molto
182
Reinprecht v. Austria, §51-55.
Si veda il rapporto sulle pene lunghe. Nella generalità dei casi la Corte giudica che il controllo di legalità
della detenzione sia incorporato nella sentenza di condanna.
184
Cfr. ad esempio Medvedev v. France [GC], §76.
183
51
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denso, che influenza inevitabilmente l’analisi della loro disciplina giuridica
nell’ordinamento interno.
In secondo luogo, l’uso nel ragionamento della Corte185 delle norme di soft law e
dell’argomento tratto dal diritto comparato non risponde a un metodo rigoroso. Nella
sentenza della Grande Camera Enea v. Italy [GC] queste due considerazioni si
combinano per giustificare l’interpretazione evolutiva data (§101). Per respingere, questa
volta, un’evoluzione giurisprudenziale, la Grande Camera si rifugia nel caso Boulois v.
Luxembourg [GC] dietro la divergenza delle prassi nazionali sullo “statuto e le modalità
di concessione dei permessi carcerari”, mentre di solito non subordina la constatazione
di una convergenza delle legislazioni nazionali degli Stati membri a un esame così
puntiglioso186. Soprattutto, le sentenze posteriori alla sentenza Boulois omettono di
integrare l’evoluzione che ha caratterizzato la giurisprudenza riguardo alla
considerazione dell’obiettivo del reinserimento, in particolare con la sentenza Vinter and
others v. The United Kingdom [GC]187. In questa sentenza la Corte si riferisce a delle
considerazioni, tratte dal diritto comparato e dal soft law del Consiglio d’Europa, ben più
generali di quelle analizzate nella sentenza Boulois v. Luxembourg [GC]. L’uso che viene
fatto dei riferimenti extraconvenzionali nell’interpretazione del “diritto” appare quindi
perfettamente discrezionale nella giurisprudenza penitenziaria.
2. Il processo equo in carcere: delle garanzie molto puntuali
2.1 Le garanzie dell’articolo 6 nella giurisprudenza europea
2.1.1 Oggetto e distribuzione delle garanzie dell’articolo 6
L’articolo 6 si presenta prima facie come un articolo che offre risorse multiple al
ricorrente detenuto, particolarmente adatte alla situazione perché di natura tale da
contrastare la propensione dell’amministrazione a governare discrezionalmente tutti gli
aspetti della vita quotidiana. Il “tribunale” dell’articolo 6 deve soddisfare una serie di
condizioni – indipendenza, specialmente rispetto all’esecutivo, imparzialità, durata del
mandato dei componenti, garanzie offerte dalla procedura – molte delle quali figurano nel
testo stesso dell’articolo 6§1. In realtà la Corte ha considerevolmente arricchito questo
testo, apportando una definizione di questi elementi ma anche deducendo delle garanzie
“implicite”, nella forma di una costruzione a castello, alcune delle quali hanno dato
origine a molti diritti o principi, definiti e delimitati dalla giurisprudenza, da rispettare nei
185
La questione del criterio relativo alla protezione del diritto nell’ordinamento interno.
Sul ruolo della convergenza nella giurisprudenza della Corte si veda H. Surrel, Pluralisme et recours au
consensus dans la jurisprudence de la Cour européenne des droits de l’homme, RTDH.
187
Cfr. Nicolas Hervieu, “Les peines perpétuelles au prisme européen de la dignité et de la réinsertion
sociale des détenus” [PDF] in Lettre “Actualités Droits-Libertés”, CREDOF, 18 luglio 2013; cfr. anche la
sentenza James, Wells and Lee v. The United Kingdom.
186
52
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procedimenti interni188. I dettagli di questi ultimi superano i limiti del presente studio, che
avrebbe molte difficoltà ad avvicinare la chiarezza e il carattere sintetico dei rapporti loro
dedicati dall’ufficio studi della Corte189. In questa sede si tratterà semplicemente di
passare in rassegna molto rapidamente i requisiti del processo equo in modo da mettere in
prospettiva la loro applicazione nel contenzioso penitenziario.
L’articolo 6 è strutturato in due paragrafi. Il primo enuncia le garanzie di cui gode ogni
individuo nel quadro di un procedimento di natura civile o penale, il secondo stabilisce le
garanzie speciali di cui gode ogni persona perseguita penalmente. È importante notare
però che le garanzie dell’articolo 6§2 e, almeno per alcune, dell’articolo 6§3190 valgono
mutatis mutandis per quei procedimenti disciplinari che il primo paragrafo disciplina allo
stesso modo che nel caso di una persona accusata di un reato.
Per quel che riguarda l’articolo 6§1, la Corte ha rapidamente precisato, in relazione a un
caso avvenuto in carcere, che “il diritto di accesso costituisce un elemento intrinseco al
diritto enunciato dall’articolo 6§1” che “garantisce a ognuno il diritto a che un tribunale
conosca di tutte le contestazioni relative ai suoi diritti e doveri di carattere civile.
Sancisce una sorta di ‘diritto al tribunale’ di cui il diritto di accesso, cioè il diritto ad
adire il tribunale in materia civile, non è che un aspetto”191. In questa prospettiva la
Corte ritiene, in materia civile, che l’articolo 6§1 possa talvolta obbligare lo Stato a
garantire l’assistenza di un difensore quando si rivela indispensabile per l’accesso
effettivo al giudice, sia perché la legge prescrive la rappresentanza di un avvocato sia per
la complessità del procedimento o della causa (in materia penale il gratuito patrocinio è
previsto espressamente dall’articolo 6§3 (c), “quando è necessario nell’interesse della
giustizia”).
Il termine “equo” ha dato origine a molti principi, una sorta di “garanzie procedurali
‘implicite’ nell’articolo 6”. In primo luogo il principio della parità di armi, secondo cui
“ogni parte di un procedimento [civile o penale] deve avere una possibilità ragionevole
di esporre le sue ragioni al tribunale in condizioni che non la mettano in uno svantaggio
rilevante rispetto alla parte avversa”. La Corte può essere condotta a esaminare molto
concretamente le rispettive situazioni delle parti192.
188
J. Meunier, La notion de procès équitable devant la Cour européenne des droits de l’homme, 2003.
Guide on Article 6, Right to a fair trial, civil limb, and Guide on Article 6, Right to a fair trial, criminal
limb, Council of Europe/European Court of Human Rights, rispettivamente 2013 e 2014.
190
Article 6-3-a, Article 6-3-b, Article 6-3-d: cfr. Albert and Le Compte v. Belgium.
191
Golder v. The United Kingdom, § 36.
192
La Corte ha perciò statuito che non assicurava alle parti gli stessi mezzi per far valere le loro ragioni il
procedimento in cui “da un lato i giudici di merito hanno permesso all’amministrazione di limitarsi a
motivare la decisione di esercitare il diritto di prelazione qualificando come ‘insufficiente il prezzo di
cessione dichiarato nell’atto’, motivazione troppo sommaria e generale per permettere [al ricorrente] di
presentare una contestazione motivata di questa valutazione; dall’altro i giudici di merito non hanno voluto
189
53
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Il principio del contraddittorio impone al giudice di vigilare affinché tutti gli elementi
della causa siano oggetto di discussione fra le parti, ed è definito dalla Corte “una delle
principali garanzie di un procedimento giudiziario”. Dal processo equo discende infine il
principio di lealtà nel produrre le prove: le regole probatorie (onere, forza probatoria,
ammissibilità, etc.) rientrano in linea di principio nella discrezionalità degli Stati, ma la
Corte ritiene di “dover ugualmente accertare se gli elementi di prova relativi ai
procedimenti contro i ricorrenti siano stati raccolti in modo tale da garantire un
processo equo”193. La Corte esige che il “tribunale” decida sulla base di prove “degne di
fede”, il che implica, da un lato, che l’interessato abbia la possibilità “di contestarne
l’autenticità e di opporsi al loro utilizzo” e, dall’altro, che il giudice “prenda in
considerazione la qualità della prova, in particolare se le circostanze in cui è stata
ottenuta ne mettano in dubbio l’affidabilità o l’esattezza”194. Implica anche
necessariamente che il giudice faccia in modo che le prove in mano a una delle parti
siano prodotte davanti a tutte per essere discusse195. Tuttavia la Corte si rifiuta di agire
come un quarto grado di giudizio196, il che rende delicata la preparazione di un ricorso
concernente le prove.
Deve ancora menzionarsi il diritto a comparire di persona il quale, sebbene riguardi in
modo particolare il processo penale, vale anche in materia civile quando il carattere o il
comportamento di una delle parti contribuisce fortemente a formare l’opinione del
tribunale (vedi infra). Infine bisogna ancora menzionare l’obbligo di motivazione delle
decisioni giudiziarie197.
Altre garanzie procedurali sono invece enunciate espressamente. La pubblicità del
procedimento, sia dell’udienza che della pronuncia della decisione del giudice, è descritta
dalla Corte come una garanzia delle parti contro una “giustizia segreta che sfugge al
controllo del pubblico” e costituisce anche “uno dei mezzi per contribuire a salvare la
fiducia nelle corti e nei tribunali”. L’articolo 6 esige ancora che il processo si svolga in
un tempo ragionevole, carattere da valutare in funzione della complessità della causa, del
comportamento del ricorrente e dell’atteggiamento delle autorità pubbliche. Poi il
permettere al ricorrente di dimostrare che il prezzo convenuto fra le parti corrispondeva al valore venale
reale del bene” (Hentrich v. France, § 56).
193
Sul principio del contraddittorio si vedano Cottin v. Belgium, §30 e Schenk v. Switzerland, §46.
194
Lisica v. Croatia, §49.
195
Laska and Lika v. Albania, §§70-71.
196
La Corte non è competente a conoscere degli errori di fatto o di diritto eventualmente commessi da un
giudice interno, salvo che e in quanto questi errori possano aver leso i diritti e le libertà salvaguardati dalla
Convenzione. Non può valutare gli elementi di fatto o di diritto che hanno condotto un giudice nazionale a
prendere una decisione invece di un’altra, altrimenti si erigerebbe a giudice di terzo o quarto grado e
ignorerebbe i limiti della sua missione (si veda la guida all’ammissibilità sul sito della CEDU).
197
A proposito del quale la Corte sottolinea che “l’articolo 6§1 obbliga i tribunali a motivare le loro
decisioni ma non può essere interpretato nel senso di esigere una risposta dettagliata a ogni argomento.
Parimenti la Corte europea non è chiamata a verificare se gli argomenti siano stati adeguatamente
trattati”.
54
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“tribunale” deve essere indipendente: l’indipendenza si valuta in relazione al potere
esecutivo e rispetto alle parti in causa198. Deve essere anche imparziale. L’imparzialità
soggettiva o personale corrisponde a quello che può pensare il giudice nel suo foro
interiore e si presume. L’imparzialità oggettiva o funzionale porta a interrogarsi sugli
indicatori oggettivi che fanno pensare che il giudice abbia un pregiudizio sulla disputa
che deve decidere. Si valuta caso per caso, ma in maniera quasi costante attraverso il
prisma dell’apparenza di imparzialità.
L’articolo 6, ai paragrafi 2 e 3, precisa poi le garanzie di cui gode “ogni persona
accusata” (§2) o “ogni accusato” (§3). La presunzione d’innocenza, articolo 6§2, implica
che l’onere della prova gravi sull’accusa. Il diritto di essere informato il prima possibile
sulla natura e i motivi dell’accusa è garantito dall’articolo 6§3 (a). Il diritto di disporre
del tempo e dei mezzi necessari alla difesa, articolo 6§3 (b), implica un diritto di accesso
al fascicolo tramite un avvocato o direttamente da parte dell’accusato se ha scelto di
difendersi da solo. Il diritto di difendersi, da soli o con l’assistenza di un avvocato di
fiducia, è oggetto dell’articolo 6§3 (c). Il diritto ai testimoni, articolo 6§3 (d), è il diritto
di convocare, interrogare o fare interrogare i testimoni a carico o a discarico. Il diritto a
un interprete è previsto al §3 (e). Infine, la Corte ritiene che il diritto di non contribuire
alla propria incriminazione sia il cuore della nozione di processo equo sancita
dall’articolo 6.
2.1.2 Portata dei requisiti dell’articolo 6§1 in materia civile o penale
Così come il ricorso alle nozioni autonome di “accusa in materia penale” e di
“contestazione di carattere civile”, è favorevole alla condizione giuridica dei detenuti,
generalmente soggetti a delle modalità amministrative di trattazione delle dispute, il
“momento” in cui entrano in gioco le garanzie dell’articolo 6 che è disconnesso dalle
categorie giuridiche nazionali. Infatti quando un’istanza deve essere ritenuta relativa a dei
“diritti e doveri di carattere civile” o ad un’“accusa in materia penale”, l’interessato ha
diritto all’esame della sua causa o dell’accusa di cui è oggetto da parte di “un tribunale”
che soddisfa le condizioni dell’articolo 6§1199. Tuttavia, ai fini di questa disposizione, un
tribunale non deve essere necessariamente un organo giurisdizionale di tipo classico,
integrato nelle strutture giudiziarie ordinarie. L’importante per assicurare il rispetto
dell’articolo 6§1 sono le garanzie previste, sia sostanziali che procedurali. Perciò un
“tribunale” si caratterizza in senso sostanziale per il suo ruolo giurisdizionale: decidere
tutte le questioni rilevanti di sua competenza sulla base di norme giuridiche e alla fine di
un procedimento organizzato. Perciò anche da questo punto di vista il campo del processo
equo non è rinchiuso nei limiti ristretti definiti a priori dagli Stati. Un organo che non
198
“Per stabilire se un organo possa essere considerato ‘indipendente’ occorre esaminare, in particolare, il
metodo di designazione e la durata del mandato dei suoi membri, l’esistenza di una protezione contro le
pressioni esterne e se c’è un’apparenza di indipendenza”.
199
Le Compte, Van Leuven and De Meyere v. Belgium, §50.
55
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risponde secondo il diritto interno alla qualifica di giurisdizione potrebbe trovarsi
soggetto ai requisiti dell’articolo 6.
L’effetto di questa logica estensiva è però attenuato dall’approccio globale che presiede
all’analisi ai fini dell’articolo 6, che contribuisce certamente al fatto che le sentenze di
condanna pronunciate su questo terreno in materia penitenziaria siano in definitiva assai
poche. L’esame nella prospettiva di questa disposizione implica infatti una valutazione
della procedura nel suo insieme. Un vizio che comporta una mancanza di equità può, a
certe condizioni, essere corretto in una fase ulteriore del procedimento davanti all’autorità
o al tribunale in questione, o altrimenti da un tribunale superiore. Questo può avvenire
solo se la decisione criticata è sottoposta al controllo di un organo giudiziario
indipendente, che ha piena giurisdizione e dà le garanzie richieste dall’articolo 6§1. Fra le
caratteristiche di un organo giudiziario con piena giurisdizione figura il potere di
riformare in tutti punti, di fatto e di diritto, la decisione dell’organo inferiore. In
particolare, deve essere competente a conoscere di tutte le questioni di fatto e di diritto
pertinenti alla disputa di cui è investito. È importante l’ampiezza del controllo così
operato, che è esaminata alla luce delle circostanze del caso200.
In particolare, anche se non è contrario alla Convenzione affidare a delle autorità
amministrative il compito di perseguire e reprimere dei comportamenti, l’interessato deve
poter portare tutte le decisioni di questo tipo che lo riguardano davanti a un tribunale che
offre le garanzie dell’articolo 6. La Convenzione non esclude quindi che in un
procedimento di natura amministrativa una “pena” sia inflitta inizialmente da un’autorità
amministrativa. Richiede però che la decisione di un’autorità che non soddisfa in sé le
condizioni dell’articolo 6§1 sia soggetta al controllo ulteriore di un organo giudiziario
con piena giurisdizione201.
Inoltre conviene tenere a mente che certi diritti garantiti dall’articolo 6 possono avere dei
limiti, come ad esempio il diritto di accesso a un tribunale, la pubblicità, la
comunicazione delle prove, etc. Questi limiti sono conformi alla Convenzione se sono
legittimi, proporzionati all’obbiettivo perseguito e se “non mettono in causa la sostanza
del diritto garantito”. In questo quadro la Corte potrà tener conto di considerazioni
attinenti alla salvaguardia dell’ordine pubblico o delle difficoltà logistiche incontrate
dall’amministrazione penitenziaria (vedi infra).
Infine, in ipotesi fortunatamente rare, la giurisprudenza ritiene che la possibilità del
detenuto di contestare le diverse implicazioni di un regime detentivo esoneri lo Stato
dall’organizzare un rimedio che permetta di mettere in causa l’utilizzo di questo regime
200
Si veda la giurisprudenza citata in Guide on Article 6, Right to a fair trial, civil limb, Council of
Europe/European Court of Human Rights, 2013, in particolare §§177-185.
201
Cfr. ad esempio la sentenza A. Menarini Diagnostics S.R.L. v. Italy, §§57-61 e i riferimenti in essa
contenuti.
56
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in quanto tale. Nel caso Enea v. Italy [GC] (§§118-120), la Grande Camera ha ritenuto
che l’impossibilità di contestare il trasferimento in una sezione ad alta sicurezza non
costituisca una violazione dell’articolo 6§1 della Convenzione, a condizione che ogni
limitazione di un diritto di “carattere civile” derivante da tale trasferimento possa essere
oggetto di ricorso giurisdizionale. Tuttavia tale soluzione sembra marginale perché la
Corte ritiene in generale che il detenuto ricorrente non debba essere costretto a
moltiplicare i passaggi procedurali per far valere il suo diritto202.
2.2 Attuazione concreta della tutela nel campo penitenziario
2.2.1 Contenzioso civile
i. Accesso a un tribunale
Il diritto di accesso a un tribunale è stato sancito in quanto tale dalla Corte nel celebre
caso Golder v. The United Kingdom [GC], concernente il rifiuto opposto dal direttore del
carcere a un detenuto che reclamava il diritto di consultare un avvocato per iniziare
un’azione di diffamazione contro una guardia che l’aveva accusato di aggressione203.
Anche se il provvedimento non implicava in sé l’impossibilità di adire il tribunale, la
consultazione di un avvocato è vista come un prerequisito indispensabile dell’azione
progettata, a causa in particolare della detenzione. La Corte sottolinea a questo riguardo
che “un ostacolo di fatto può violare la Convenzione tanto quanto un ostacolo giuridico”
(§26). Parimenti la possibilità che il ricorrente avrebbe avuto di intentare un
procedimento alla fine della detenzione è ritenuta insufficiente, secondo la Corte, perché
“un ostacolo all’esercizio effettivo di un diritto può ledere questo diritto anche se riveste
un carattere temporaneo” (ibid.).
Inoltre questa sentenza fondamentale dà conto dell’importanza attribuita all’effettività del
diritto di accesso a un tribunale. Questo imperativo porta la Corte a esigere in modo
costante che l’interessato “goda di una possibilità chiara e concreta di contestare un atto
che costituisce un’ingerenza nei suoi diritti”. In modo molto esemplare la Corte ha
202
Cfr. ad esempio Shishkov v. Russia, §135.
La Corte afferma che “l’articolo 6-1 non riconosce espressamente un diritto di accesso ai tribunali.
Enuncia dei diritti distinti derivanti dalla stessa idea fondamentale e che, riuniti, costituiscono un diritto
unico di cui non di dà una definizione precisa, nel senso stretto di queste parole” (§28). Perciò la Corte ha
dovuto cercare per via di interpretazione quali siano gli elementi o aspetti di questo diritto. La Corte si
riferisce al principio della preminenza del diritto che figura nel Preambolo della Convenzione, che in
materia civile “non è concepibile senza la possibilità di accedere ai tribunali”. La Corte ha notato nel caso
Golder v. The United Kingdom [GC] che l’articolo 6-1 doveva leggersi tenendo conto che quello “secondo
cui una contestazione civile deve poter essere portata davanti a un giudice è uno dei principi di diritto
fondamentali universalmente riconosciuti; lo stesso vale per il principio di diritto internazionale che vieta
il diniego di giustizia” (§35). La Corte ammette che il diritto di accesso ai tribunali non è assoluto. “Poiché
è un diritto che la Convenzione riconosce (cfr. gli articoli 13, 14, 17 e 25) senza definirlo nel senso stretto
della parola, c’è spazio, al di fuori dei limiti che circoscrivono il contenuto stesso di ogni diritto, per dei
limiti impliciti” (§38).
203
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giudicato che questa possibilità non era stata data ai ricorrenti del caso Stegarescu and
Bahrein v. Portugal, concernente l’isolamento di detenuti accusati di preparare
un’evasione armata. La Corte condanna la circostanza che i ricorrenti non avessero mai
avuto il testo delle decisioni amministrative che ne avevano ordinato la collocazione in
cella di sicurezza e che fossero stati informati solo del fatto che tale provvedimento era
stato preso a causa dell’esistenza di indizi di progetti di evasione in corso. Agli occhi dei
giudici europei un tal modo di procedere non consentiva agli interessati di contestare
efficacemente il provvedimento controverso. Questa esigenza sembra particolarmente
pertinente, e potrebbe in seguito servire da appoggio per sviluppare una giurisprudenza
coerente, nel contenzioso sulle misure di sicurezza nelle quali l’amministrazione
penitenziaria è rapida a invocare l’ordine pubblico per rifiutarsi di dare spiegazioni agli
interessati sulle decisioni prese nei loro confronti.
La stessa preoccupazione di assicurare un accesso al giudice realmente praticabile è
all’opera nelle cause in cui la Corte afferma che dei vincoli procedurali eccessivi, come
dover fornire l’elenco di tutte le persone interessate dal procedimento, violano il diritto di
accesso al tribunale204, e così pure delle scadenze procedurali troppo brevi205.
Il diritto di accesso al tribunale è violato in sostanza anche quando il giudice non decide
sul merito del ricorso perché è venuto meno il suo oggetto col passare del tempo. Fra i
molti casi italiani, la sentenza Enea v. Italy [GC] riguarda il procedimento intentato da un
detenuto sottoposto a un regime speciale di detenzione. Il tribunale, che aveva dieci
giorni per decidere, ha respinto uno dei ricorsi del ricorrente più di quattro mesi dopo la
sua introduzione perché la decisione contestata era decaduta. Qui l’assenza di una
decisione sul merito ha vanificato il controllo esercitato dal giudice. La Corte afferma che
il termine impartito a quest’ultimo era stato fissato a 10 giorni a causa, da un lato, della
gravità degli effetti del regime speciale sui diritti del detenuto e, dall’altro, della validità
limitata nel tempo della decisione impugnata. Nel caso Musumeci v. Italy, diverso in
quanto i giudici avevano semplicemente deciso fuori termine, la Corte tiene conto anche
del fatto che l’amministrazione non era vincolata da un’eventuale sentenza di revoca di
tutte o alcune delle restrizioni imposte e può quindi prendere, immediatamente dopo la
scadenza del termine di validità di questi provvedimenti, una nuova decisione che
reintroduce le restrizioni annullate dal tribunale206.
Non è sorprendente che nel contenzioso penitenziario la questione dell’accesso al
tribunale si ponga regolarmente nella sua dimensione finanziaria. È il caso, in primo
luogo, delle spese di giustizia eventualmente previste dal diritto nazionale. La
giurisprudenza ritiene in via generale che la capacità del ricorrente di pagare le spese di
204
Shishkov v. Russia.
Ibid.
206
In precedenza la Corte si era mossa sul terreno dell’articolo 13 per pervenire a questa stessa conclusione
sulla base delle medesime considerazioni: cfr. Messina v. Italy (n. 2).
205
58
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giustizia e la fase processuale in cui diventano esigibili sono altrettanti elementi di cui
tenere conto per accertare se l’accesso al giudice è stato ostacolato. Delle restrizioni di
natura puramente finanziaria, totalmente slegate dalle prospettive di successo della
domanda, devono essere oggetto di un esame particolarmente rigoroso.
Nel caso Cirop v. Moldova il ricorrente si era visto privare dell’accesso a un tribunale
perché la Corte suprema aveva rifiutato, a causa del mancato pagamento delle spese
processuali, di esaminare il suo ricorso relativo all’alimentazione forzata che aveva
subito. Secondo la Corte l’interessato avrebbe dovuto essere dispensato dal pagamento
delle spese, indipendentemente dalla sua capacità di pagarle, tenuto conto non solo delle
deroghe previste dal diritto interno ma anche della gravità dei fatti allegati (tortura).
Per quel che riguarda il gratuito patrocinio, la giurisprudenza ritiene che, a differenza
della regola prevalente in materia penale, l’articolo 6§1 non imponga allo Stato di
garantire il gratuito patrocinio in ogni controversia vertente su un “diritto di carattere
civile”. Può però non essere così quando il patrocinio si rivela indispensabile per un
accesso effettivo al giudice, a causa delle circostanze particolari del caso, e in particolare
della gravità della posta in gioco per il ricorrente, della complessità del diritto o della
procedura applicabile, della capacità della parte di perorare effettivamente la sua causa da
solo. In materia penitenziaria la Corte sembra assai poco incline a muoversi su questo
terreno. In molte sentenze tiene conto della mancanza di assistenza legale, ma per
rafforzare un ragionamento svolto a partire non dal diritto di accesso al giudice ma dalla
mancata comparizione personale davanti all’organo giudiziario207. L’uso ripetuto di
questo approccio riguardo al medesimo Stato convenuto è emblematico di una reale
riluttanza della Corte a prendere posizione sulla questione del gratuito patrocinio. Il caso
Rokosz v. Poland, che riguardava una richiesta di sospensione della pena per motivi
medici in una situazione che costituiva una violazione dell’articolo 3, rende conto
dell’estrema severità dell’esame della Corte su questa base. La Corte ritiene infatti che
“sebbene il procedimento avesse grande importanza per il ricorrente, non presentava
però una complessità tale da rendere indispensabile l’assistenza di un giurista di
professione per garantire al ricorrente un esame effettivo del ricorso. La Corte osserva
peraltro che l’insieme degli argomenti esposti dal ricorrente è stato esaminato dal
giudice d’appello”.
In definitiva, la giurisprudenza europea testimonia una volontà assai debole per quel che
riguarda l’esigenza di un accesso effettivo al tribunale nel contenzioso penitenziario. Gli
ostacoli concreti incontrati dai detenuti, risultanti dalla loro situazione di completa
dipendenza di fronte all’amministrazione penitenziaria, dalla loro situazione socioeconomica e dall’indisponibilità degli strumenti di accesso al diritto organizzati
all’esterno, sono presi in esame solo in modo molto incidentale dalla Corte sul terreno
207
Larin v. Russia; Vasilyev v. Russia; Beresnev v. Russia.
59
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dell’articolo 6. In altri contesti questa realtà economica appare più pregnante nell’analisi
che fa la Corte dell’effettività dell’intervento dell’organo di reclamo208.
ii. Comparizione personale e udienza pubblica
Tenuto conto della tendenza degli Stati ad affrancarsi dai vincoli logistici derivanti dal
trasferimento dei detenuti al palazzo di giustizia, la mancata comparizione personale
davanti al tribunale e l’assenza di udienza pubblica costituiscono dei terreni privilegiati
per accertare una violazione dell’articolo 6§1. Queste violazioni, che possono andare di
pari passo, sono generalmente esaminate tenendo conto di altre caratteristiche del
procedimento al fine di valutare l’equità di quest’ultimo nel suo insieme, rispetto ai
principi della parità di armi e del contraddittorio. Così come sintetizzato dalla Corte nella
sentenza Larin v. Russia, l’articolo 6 non garantisce il diritto a comparire personalmente
davanti a un tribunale civile ma un diritto più generale a far valere efficacemente le
proprie ragioni nel rispetto della parità di armi con la parte avversa. Lo Stato conserva la
scelta dei mezzi da utilizzare per garantire questi diritti. Per quel che riguarda il requisito
di un’udienza209, non si applica sistematicamente nei casi in cui lo scambio di memorie
scritte può essere più appropriato in funzione delle circostanze, ad esempio in assenza di
questioni di fatto o di diritto che non possano risolversi in modo adeguato sulla base del
fascicolo e delle osservazioni scritte delle parti. La comparizione personale, la forma
orale o scritta del procedimento, la rappresentanza legale, etc., sono tutte questioni da
analizzare nel contesto più ampio della garanzia “processo equo”: occorre verificare se al
richiedente – parte del procedimento civile – è stata offerta una possibilità ragionevole di
commentare le osservazioni fatte o gli elementi di prova prodotti dall’altra parte e di
esporre le sue ragioni in condizioni che non lo mettano in una situazione svantaggiosa
rispetto al suo avversario.
In generale, la Corte condanna quando i giudici interni hanno omesso di tenere
un’udienza o di permettere al detenuto di comparire di persona, quando il dibattimento
davanti al giudice comporta una discussione dei fatti o una valutazione della personalità
dell’interessato. L’elemento chiave risiede dunque nell’oggetto della discussione davanti
al giudice. L’intervento di un rappresentante non è sufficiente quando il ricorrente deve
essere sentito come testimone della sua causa210, cioè quando l’esposizione dei fatti che è
chiamato a fare costituisce un aspetto determinante del processo.
208
Aden Ahmat v. Malta.
La Corte rammenta che la tenuta di udienze pubbliche costituisce un principio fondamentale sancito
dall’articolo 6§1. Questo carattere pubblico protegge le parti contro una giustizia segreta che sfugge al
controllo del pubblico; è anche uno dei mezzi per mantenere la fiducia nei tribunali. Rendendo trasparente
l’amministrazione della giustizia, la pubblicità contribuisce a realizzare l’obiettivo dell’articolo 6§1, cioè
un processo equo, la cui garanzia è uno dei principi fondamentali di ogni società democratica nel senso
della Convenzione.
210
Skorobogatykh v. Russia; Kovalev v. Russia, §37; e Sokur v. Russia, § 35.
209
60
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Nel caso Gülmez v. Turkey la Corte riscontra una violazione sistemica dell’articolo 6§1
nella legislazione interna, secondo la quale il ricorso di un detenuto contro una sanzione
disciplinare era esaminato alla luce del fascicolo senza udienza pubblica. Nel caso
particolare, ha constatato che i mezzi di difesa del ricorrente erano stati esaminati solo
prima che la commissione disciplinare infliggesse le diverse sanzioni e che il ricorrente
non aveva beneficiato dell’assistenza di un avvocato per difendersi davanti ai tribunali
interni che avevano esaminato i sui ricorsi contro le sanzioni. In base all’articolo 46 della
Convenzione la Corte invita lo Stato convenuto a conformare il suo diritto interno ai
requisiti dell’articolo 6 tenendo conto delle regole penitenziarie europee.
Viceversa, in un caso in cui il giudice interno doveva decidere se l’amministrazione
penitenziaria fosse autorizzata dal diritto interno a regolare la lingua utilizzata nelle
conversazioni telefoniche, la Corte ritiene che non si ponesse alcuna questione di
credibilità tale da richiedere una discussione sugli elementi di prova o l’audizione in
contraddittorio dei testimoni. Inoltre la questione controversa poteva essere esaminata
sulla base delle memorie scritte delle parti211.
Nell’esame delle garanzie previste a favore dei detenuti la Corte tiene conto del contesto
penitenziario e verifica se il giudice ha preso provvedimenti specifici per assicurare la
partecipazione effettiva degli interessati, il che può essere fatto con un’analisi
costi/benefici delle scelte operate dal giudice interno. In un caso concernente la
contestazione di una sanzione disciplinare212, la Corte ritiene che nella specie i giudici
abbiano preso in considerazione delle soluzioni alternative per garantire la comparizione
personale dell’interessato, perché hanno tenuto udienza nell’istituto penitenziario. La
Corte riconosce che questa circostanza costituisce un ostacolo di fatto all’accesso del
pubblico e dei media all’aula di giustizia. Tuttavia, per ragioni pratiche, non si poteva
pretendere che un dibattimento tenuto nell’istituto penitenziario abbia un pubblico
equivalente a quello dei dibattimenti che si svolgono in un palazzo di giustizia. Gli
inconvenienti di una tale udienza in termini di pubblicità sono compensati dal beneficio
che ne trae l’interessato in termini di partecipazione personale. Nel caso di un
contenzioso sulla qualità delle cure prestate in carcere213, la Corte critica i giudici interni
che, davanti alla difficoltà di garantire la presenza del detenuto, non hanno cercato di
organizzare un collegamento video o un’udienza nel luogo di detenzione. Inoltre, dopo
aver respinto la richiesta del detenuto di comparire di persona, i giudici interni non hanno
cercato un modo di garantire la partecipazione effettiva dell’interessato al procedimento
chiedendogli se aveva un amico o un parente disposto a rappresentarlo né se aveva la
possibilità di contattarli e di autorizzarli ad agire in suo nome. Dato che la testimonianza
211
Nusret Kaya and others v. Turkey.
Razvyazkin v. Russia, §§142-143.
213
Vasilyev v. Russia.
212
61
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del ricorrente avrebbe costituito un elemento indispensabile per la difesa delle sue
ragioni, la Corte constata una violazione dell’articolo 6.
2.2.2 Contenzioso penale
I casi penali esaminati dalla Corte relativi allo statuto giuridico interno del detenuto sono
molto pochi. Riguardano il Regno Unito e hanno portato all’accertamento di violazioni
per due motivi: da una parte, la mancanza di indipendenza e di imparzialità oggettiva nel
procedimento disciplinare, dovuta al cumulo delle funzioni di indagine, di accusa e di
giudizio nelle mani dell’amministrazione; dall’altra la mancanza di assistenza legale.
Nel caso Whitfield and others v. The United Kingdom, concernente dei procedimenti
disciplinari, la Corte esamina congiuntamente i ricorsi relativi all’imparzialità oggettiva e
all’indipendenza strutturale dell’organo che aveva deciso i loro casi (il direttore del
carcere e il controller214). La Corte osserva che delle persone dipendenti dal Ministero
dell’interno, che si tratti dell’agente di custodia, del direttore o del controllore, hanno
redatto e sostenuto le accuse contro i ricorrenti, condotto le indagini e deciso sulla
colpevolezza e le pene inflitte. Non c’era quindi indipendenza strutturale fra le funzioni
di accusa e di giudizio (§45), in violazione dell’articolo 6§1. La Corte perviene alla stessa
soluzione nelle sentenze Black v. The United Kingdom e Young v. The United Kingdom
del 16 gennaio 2007. Nel caso Black la Corte scarta (senza controbatterlo) l’argomento
del governo215, il quale adduceva in particolare che la decisione disciplinare era
suscettibile di ricorso davanti al Garante e di una procedura di judicial review davanti alla
High Court. Il ricorrente spiegava da parte sua che il judicial review (che aveva intentato
nel caso di specie) non era l’equivalente di un’impugnazione, la quale era possibile solo a
livello dell’amministrazione centrale, ossia in delle condizioni non rispondenti ai requisiti
dell’articolo 6§1.
Nel caso Ezeh and Connors v. The United Kingdom [GC] la Grande Camera afferma che
il rifiuto da parte del direttore del carcere di autorizzare i ricorrenti a farsi rappresentare
da un avvocato ha comportato una violazione dell’articolo 6§3 (c). Perciò non era
necessario esaminare il motivo di ricorso subordinato secondo cui nell’interesse della
giustizia era necessario concedere ai ricorrenti il gratuito patrocinio ai fini del
procedimento davanti al direttore.
Si può osservare che nel caso Riepan v. Austria, concernente un processo penale tenuto
fra le mura di una prigione (un caso che a rigore non riguardava lo statuto giuridico
interno del detenuto), la Corte ha concluso per una violazione dell’articolo 6§1. Mentre il
ricorrente stava scontando una pena detentiva era stato iniziato un procedimento penale
contro di lui per minacce gravi a un sorvegliante. Era stato poi condannato dal tribunale
214
215
Funzionario incaricato di sovrintendere alle prigioni gestite da società private.
Si veda la decisione sull’ammissibilità del 27 settembre 2005.
62
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regionale seduto nel carcere stesso. In appello aveva addotto che l’udienza non era stata
pubblica perché si era tenuta nella “sezione chiusa” del carcere, a cui i visitatori non
possono accedere senza un’autorizzazione speciale, e in uno spazio troppo piccolo per
accogliere un eventuale pubblico. Dopo un’udienza pubblica tenutasi, questa volta, nei
locali della stessa Corte d’appello, quest’ultima aveva respinto il ricorso affermando che
tutte le persone interessate erano state autorizzate ad assistere al processo.
La Corte di Strasburgo ricorda che il semplice fatto che il processo abbia avuto luogo nei
locali della prigione non deve necessariamente far concludere per un’assenza di
pubblicità. Parimenti, il fatto che gli spettatori potenziali avrebbero dovuto subire certi
controlli di identità ed eventualmente di sicurezza non priva in sé il processo del suo
carattere pubblico. Tuttavia tale situazione costituisce un ostacolo serio alla pubblicità del
dibattimento. In tal caso lo Stato ha l’obbligo di prendere dei provvedimenti
compensativi per garantire che il pubblico e i media siano debitamente informati del
luogo del processo e possano effettivamente accedervi. Nel caso di specie la Corte ritiene
che il tribunale regionale aveva omesso di prendere dei provvedimenti adeguati per
compensare l’inconveniente che presentava dal punto di vista della pubblicità la tenuta
del processo nella sezione chiusa del carcere.
La Corte ritiene peraltro che il controllo effettuato dalla Corte d’appello non avesse la
portata necessaria a correggere i vizi del procedimento precedente. Quest’ultima aveva
certo il potere di riesaminare il caso in fatto e in diritto e di modificare la pena inflitta.
Resta il fatto che, a parte l’audizione del ricorrente, non ha raccolto alcuna prova e si è
astenuta in particolare dal procedere a una nuova audizione dei testimoni. Poco importa a
questo riguardo per la Corte di Strasburgo che il ricorrente non sia stato invitato a questa
udienza. In primo luogo, in virtù delle norme processuali pertinenti, la Corte d’appello
avrebbe potuto accogliere tale richiesta solo se avesse ritenuto che il modo in cui il
tribunale di primo grado aveva raccolto le prove era incompleto o viziato. In secondo
luogo, è compito dei tribunali vegliare sul rispetto del diritto dell’accusato a vedere le
prove prodotte in udienza pubblica.
Conclusione
La giurisprudenza sull’articolo 6 in materia penitenziaria è caratterizzata da un doppio
paradosso. In primo luogo, la Corte di Strasburgo ha sancito molto rapidamente il
principio dell’applicabilità delle garanzie procedurali alle persone incarcerate, in
un’epoca in cui il diritto dei detenuti non era tenuto in gran conto dagli organi di
controllo della Convenzione. E tuttavia, e nonostante la banalizzazione dell’invocazione
dell’articolo 6 a Strasburgo nel contenzioso generale, il numero di sentenze che chiamano
in causa i servizi penitenziari per questo motivo è limitato.
63
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In materia penale, la giurisprudenza si è limitata a una manciata di sentenze pronunciate
contro il Regno Unito, circoscritte al contenzioso disciplinare sulla revoca degli sconti di
pena. Non solo l’interpretazione della Convenzione non si è evoluta per esaminare da
questa prospettiva la sanzione del “carcere dentro il carcere”, ma la Corte si è astenuta
dall’applicare i precedenti britannici nelle cause che ponevano tuttavia problemi molto
simili. Dopo aver proclamato la sottoposizione del carcere a un principio di diritto
comune in materia di processo equo, la Corte si è poi sottratta alle linee direttrici della
sua giurisprudenza per adottare un approccio binario che censura solo le situazioni in cui
è palesemente in gioco un prolungamento della durata effettiva della detenzione dei
ricorrenti.
In questo contesto l’ambito civile è sembrato, all’inizio degli anni 2000, un vettore
potenziale del riconoscimento dei diritti procedurali alla popolazione detenuta. Attraverso
passaggi incrementali la Corte ha riconosciuto l’applicabilità di questo testo a diverse
categorie di provvedimenti, in particolare quelli presi in base al regime di alta sicurezza,
in cui erano visti in gioco i diritti personali dei detenuti, poi nel campo disciplinare, e poi
infine nel contenzioso risarcitorio, riguardo ai servizi carcerari o agli interessi dei
detenuti all’esterno. I progressi realizzati, a poco a poco, sono rimasti timidi. A questo
riguardo, la mancata applicazione delle garanzie del processo equo al campo dei
provvedimenti di riduzione della pena rappresenta una vera lacuna nella protezione
convenzionale dei diritti dei detenuti. Tanto più che il timore di ripercussioni sui
procedimenti di liberazione anticipata costituisce un ostacolo ricorrente all’esercizio dei
diritti in carcere. La consacrazione solenne di un approccio di principio in materia
penitenziaria che faccia rientrare nell’articolo 6 delle categorie di provvedimenti in
quanto tali, in riferimento ai diritti personali che mettono in gioco, invece dell’approccio
casuistico seguito finora, appare il solo modo di garantire una maggiore coerenza della
giurisprudenza.
Il secondo paradosso è che la natura della protezione assicurata ai sensi dell’articolo 6
concerne in definitiva una gamma di reclami molto limitata, mentre i principi del
processo equo appaiono prima facie come degli strumenti formidabili per la salvaguardia
dei diritti fondamentali nel mondo chiuso delle carceri. La giurisprudenza si concentra
essenzialmente sul diritto di accesso al tribunale nella prospettiva dell’assenza di ricorsi
in materia di misure di sicurezza e sulle carenze del diritto a comparire di persona o a
un’udienza pubblica nel contenzioso disciplinare o risarcitorio. Il contenzioso penale ha
toccato sporadicamente l’imparzialità e l’indipendenza dell’organo disciplinare e il diritto
all’assistenza legale. Dal punto di vista dell’interpretazione delle garanzie previste
dall’articolo 6, i vincoli logistici e di sicurezza legati al contesto della detenzione sono
presi in considerazione per attenuare gli obblighi processuali, ma la Corte si sforza di
controllare concretamente che i provvedimenti in questione non abbiano l’effetto di
ledere sostanzialmente il diritto garantito. Più che di un’alterazione dei principi del
64
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processo equo si tratta di adattamenti puntuali delle loro implicazioni all’ambiente
carcerario, che in ogni caso non paiono di natura tale da screditare la protezione garantita
dall’articolo 6.
In prospettiva i principi del giusto processo (contraddittorio, parità di armi, lealtà nel
produrre le prove) appaiono pieni di potenzialità per i ricorrenti incarcerati, e
possibilmente in grado di rafforzare sostanzialmente la protezione convenzionale che al
giorno d’oggi è assicurata in prevalenza sulla base dell’articolo 13 o dell’ambito
procedurale delle disposizioni normative della Convenzione. La penuria di risorse
procedurali in ambiente carcerario contribuisce certamente alla ripetitività dei ricorsi e a
una minore elaborazione delle richieste. Si può anche ipotizzare che la debole
considerazione ai sensi dell’articolo 6 degli ostacoli finanziari che si presentano in
carcere nell’accesso al giudice indebolisca l’intero edificio del “processo equo
carcerario”. L’evoluzione della giurisprudenza in materia appare certamente una delle
questioni più importanti del contenzioso penitenziario attuale. L’accesso a una giustizia
di qualità costituisce sicuramente una delle chiavi di successo della politica
giurisprudenziale mirante a fare dell’effettività dei rimedi interni una leva privilegiata per
sradicare il malfunzionamento dei sistemi penitenziari nazionali.
65
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III. IL DIRITTO ALLA TUTELA DELLA SALUTE GARANTITO DALL’ARTICOLO 3 DELLA
CONVENZIONE EDU
La Convenzione non contiene disposizioni specifiche sulla tutela della salute,
specialmente per quel che riguarda i detenuti. La Commissione ha creato per queste
persone una tutela fondata sulla convenzione, quando ha stabilito nel 1978 che la
detenzione prolungata di una persona anziana malata potrebbe porre dei problemi ai sensi
dell’articolo 3216. Due anni dopo la Commissione ha dichiarato che le autorità hanno
l’obbligo di assicurare la tutela della salute e del ben essere dei detenuti, compresi quelli
coinvolti in un atto di protesta contro l’amministrazione217. Più esplicitamente, nel
rapporto del 1993 sul caso Hurtado v. Switzerland, ha affermato che “ai sensi dell’art. 3
lo Stato ha l’obbligo specifico positivo […] di proteggere l’integrità fisica delle persone
private della libertà. L’assenza di cure mediche adeguate in tale situazione deve essere
qualificata come un trattamento disumano”.
Quest’obbligo di agire che incombe sulle autorità è stato riconosciuto dalla Corte nel
2000, per esempio nella fondamentale sentenza Kudła v. Poland, pronunciata dalla
Grande Camera, secondo cui “ai sensi di questa disposizione lo Stato deve garantire che
una persona sia detenuta in condizioni compatibili col rispetto della dignità umana, che
il modo e il metodo di eseguire il provvedimento non la sottopongano a un’angoscia o a
un dolore di intensità superiore al livello inevitabile di sofferenza inerente alla
detenzione, e che, date le esigenze pratiche della carcerazione, la sua salute e il suo
benessere siano garantiti adeguatamente, anche col prestarle la dovuta assistenza
medica” (§94). Questo quadro del carcere come luogo che non pregiudica l’essere umano
si integra perciò completamente con la definizione di salute dell’OMS: “La salute è uno
stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non consiste semplicemente
nell’assenza di malattie o infermità”.
È quindi sulla base dell’idea “matrice” di dignità, rientrante nell’ambito dell’articolo 3218,
che è stato stabilito l’obbligo positivo di tutelare la salute fisica e mentale dei detenuti,
mentre nel caso delle persone non detenute questa tutela è garantita dal diritto al rispetto
della vita privata di cui all’art. 8. Il fatto che quest’obbligo sia stato desunto da un diritto
intangibile ha contribuito certamente alla sua ascesa e la sentenza Kudła ha originato
un’ampia e ricca giurisprudenza. Il contributo di quest’ultima è stato sistematizzato dieci
anni dopo nella sentenza Xiros v. Greece, che organizza i doveri delle autorità intorno a
tre grandi principi: “il dovere di curare la persona malata durante la detenzione impone
allo Stato gli obblighi specifici di assicurare che il detenuto sia in grado di scontare la
216
Bonnechaux v. Switzerland, Report of the Commission, n. 8224/78, 5 dicembre 1979.
N. 8317/78, Dec. 15.5.80, D.R. 20, pp. 44, 138.
218
“[…] il principio del rispetto della dignità umana […] è una interpretazione fondante quando la Corte
applica i diritti sanciti dalla Convenzione […] a persone private della libertà” (Belda, §198).
217
66
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pena, di prestare le cure mediche necessarie e di adattare, se necessario, le condizioni
generali di detenzione alla situazione particolare del suo stato di salute” (§73).
A testimonianza del fatto che la questione medica si è rapidamente affermata come
problema centrale nel campo del contenzioso penitenziario di fronte alla Corte, la prima
sentenza quasi pilota nel campo carcerario è stata pronunciata nel 2005 per ovviare al
problema sistemico, osservabile in Turchia, del ritorno in carcere di persone il cui stato di
salute era stato precedentemente ritenuto incompatibile con la detenzione (Tekin Yeldis
v. Turkey, n. 22913/04, 10/11/2005). Analogamente, a testimonianza del fatto che la
Corte considera i provvedimenti procedurali interni parte essenziale della garanzia degli
obblighi statali, i giudici hanno preso posizione rispetto alle procedure da introdurre per
evitare i ritorni in carcere ingiustificati, allo scopo di sradicare questo problema
sistemico219.
Di fatto, per attuare in pratica gli obblighi materiali di tutela della salute così generati la
giurisprudenza vi ha aggiunto altri obblighi procedurali che impongono allo Stato di
garantire una tutela giuridica predisponendo delle procedure effettive. Nel 2001 con la
sentenza Keenan v. the United Kingdom, la Corte ha riscontrato una violazione dell’art.
13 dovuta alla mancanza nel diritto interno di un rimedio per sospendere
tempestivamente un provvedimento disciplinare che potrebbe peggiorare la condizione
psichiatrica dell’interessato. La Corte ha recepito con uguale rapidità le considerazioni
procedurali sotto il suo esame relative alla compatibilità della detenzione continuata di
soggetti malati o disabili con il divieto di trattamenti disumani o degradanti,
sottolineando l’importanza all’interno della tutela contro i maltrattamenti di un
procedimento giurisdizionale per la liberazione per motivi medici (Mouisel v. France,
§44), o esaminando le precauzioni prese dal giudice durante la detenzione (Price v. the
United Kingdom, §25). In seguito la Corte ha generato obblighi procedurali per vari
motivi, più spesso l’art. 13 e più raramente gli artt. 5220 e 6221. Questi obblighi sono stati
inclusi talvolta nell’argomentazione ex art. 3222. Per comprendere la portata di questi
obblighi è utile una panoramica preliminare223 degli obblighi sostanziali generati dalla
Corte su questa materia, che si tratti di salute fisica o mentale (1). La struttura e il
comportamento attesi dagli organi responsabili di accertare le violazioni del diritto alla
tutela della salute in carcere saranno esaminati in una fase successiva (2).
219
Questo problema ha dato luogo a una seconda sentenza quasi pilota nel 2013: Gülay Çetin v. Turkey.
Tekin Yeldis, cit. supra.
221
Si veda il capitolo dedicato a questo articolo.
222
Quando i fatti giustificano un’indagine (vedi sotto) o, come nel caso Aharon Schwartz v. Romania,
quando degli aspetti procedurali determinano un controllo di conformità all’art. 3.
223
Inevitabilmente parziale in uno studio degli obblighi procedurali, se non altro per la mole di
giurisprudenza in materia.
220
67
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1. Portata dell’obbligo positivo sostanziale di tutelare la salute
1.1. Obblighi generali dello Stato
i. L’adeguatezza delle cure: un principio incerto
Si è posta e si pone la questione se sia obbligatoria una qualità delle cure equivalente a
quella disponibile al di fuori del sistema carcerario o, in altre parole, la questione della
soglia di gravità che fa scattare l’art. 3. L’equivalenza delle cure è invocata sia dalle
Regole penitenziarie europee (n. 40.5) e dal CPT (CPT / Inf (93)12, §38). La Corte ha
una posizione meno categorica, sottolineando che la natura “adeguata” delle cure
mediche è “l’elemento più difficile da stabilire” (Blokhin v. Russia [GC], §137). Inoltre
la Corte precisa che il diritto protetto dall’art. 3 non implica che a tutti i detenuti sia
garantito lo stesso livello di cure delle migliori strutture sanitarie fuori dalla prigione
(Cara-Damiani v. Italy, n. 2447/05, §66, 7 febbraio 2012). Una linea di pensiero giuridico
arriva ad ammettere che “i mezzi delle strutture mediche dentro l’ordinamento carcerario
sono limitati in confronto a quelli delle cliniche civili” (Grishin v. Russia, §76, Sergey
Antonov v. Russia, §74), senza condannare la situazione esistente, a condizione che
questa differenza non abbia causato un degrado dello stato di salute del ricorrente.
Un’altra linea indica invece la posizione consolidata all’interno dell’analisi ex art. 3, cioè
che la mancanza di mezzi, quale che ne sia la ragione, o la situazione economica generale
del paese non può giustificare condizioni di detenzione contrarie al divieto assoluto
contenuto in questo articolo (Dykebu v. Albania, §33; Kuznetsov v. Ukraine 2003, §128,
Poghossian v. Georgia, §48, Elefteriadis v. Romania).
Senza chiudere questa discussione, la Grande Camera nella sentenza Blokhin v. Russia
afferma che “la Corte si riserva sufficiente flessibilità nel definire il livello minimo di
assistenza sanitaria, decidendo caso per caso. Il livello deve essere ‘compatibile con la
dignità umana’ del detenuto, ma deve anche tenere conto delle ‘esigenze pratiche della
carcerazione’” (§138). Tuttavia la Corte richiama la sua giurisprudenza secondo cui “le
cure mediche prestate nelle strutture del carcere devono essere appropriate, cioè di
livello comparabile a quello che le autorità statali si sono impegnate a prestare a tutta la
popolazione” (§137). La mancanza di riferimento alle sentenze che segnalano una
tolleranza verso cure di qualità peggiore nel sistema carcerario segnala apparentemente
l’intenzione della Grande Camera di impedire l’affermarsi di un doppio criterio in questa
materia.
ii. L’esistenza di requisiti ben definiti
Tuttavia la giurisprudenza individua well-framed requirements rispetto alla qualità delle
cure. Il diritto garantito dall’art. 3 impone la prestazione di “trattamenti medici rilevanti
alla persona malata e di cure mediche adeguate alla situazione specifica
dell’interessato” (Cătălin Eugen Micu v. Romania, §55). Secondo una giurisprudenza
68
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consolidata il semplice fatto che un detenuto sia stato esaminato da un dottore e gli sia
stato prescritto questo o quel trattamento non implica automaticamente che le cure siano
di natura adeguata (Hummatov v. Azerbaijan, § 116). Una persona malata deve poter
consultare del personale qualificato: la visita di un medico generico deve perciò essere
seguita dall’esame di uno specialista (Soysal v. Turkey, §50). Inoltre quando la malattia
di cui soffre è tale che il paziente ha bisogno di controlli regolari e sistematici collegati a
una strategia terapeutica globale diretta a risolvere i suoi problemi di salute o a impedirne
l’aggravamento piuttosto che a curarne i sintomi (Popov, citato sopra, §211, Hummatov,
§§109 e 114, e Amirov v. Russia, n. 51857/13, §93, 27 novembre 2014).
Le autorità devono prestare le cure rapidamente e seguire le prescrizioni del personale
medico (Hummatov, §§116-117; Vladimir Vasilyev v. Russia, §§65 e s.; Raffray Taddei
v. France). In generale, “la diligenza e la frequenza con cui vengono somministrate le
cure mediche sono due elementi di cui tener conto per valutare la compatibilità del
trattamento con gli obblighi di cui all’art. 3 della Convenzione” (Cătălin Eugen Micu,
§55).
iii. La prestazione delle cure in conformità all’etica medica
La Corte controlla, entro certi limiti, l’osservanza degli imperativi etici che governano il
campo delle cure mediche. Controlla la proporzionalità dell’uso di manette e ceppi
durante il trattamento medico. Perciò la Corte ha ritenuto nella sentenza Mouisel v.
France che la “debolezza fisica” del ricorrente e “l’assenza di comportamenti passati o
altri elementi che fornissero gravi motivi di temere un pericolo significativo di fuga o di
violenza” indicassero che “l’uso delle manette fosse sproporzionato alle esigenze di
sicurezza” (§47; vedi anche Hénaf v. France, §51 e Herczegfalvy v. Austria, §83).
Un’altra dimensione delle cure mediche regolarmente ignorata in carcere ma che
interessa la Corte è la riservatezza. Perciò nella sentenza Duval v. France la Corte ha
condannato la presenza di guardie durante un esame medico “che era in parte di natura
intima” (§50) e ha ricordato come il CPT raccomandi “di eseguire l’esame o visita o cura
medica del detenuto in privato e, se non richiesto altrimenti dal medico in un caso
particolare, fuori dalla vista del personale di scorta” (§51).
La Corte ha avuto anche occasione di stabilire, ai sensi dell’art. 8, che l’apertura da parte
del medico del carcere della corrispondenza di un detenuto gravemente malato diretta a
uno specialista esterno era sproporzionata (Szuluk v. the United Kingdom).
69
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La causa Sokolow v. Germany (n. 11642/11, ricorso dell’8 marzo 2016) darà modo alla
Corte di decidere sulle condizioni a cui i detenuti esercitano il diritto di accesso alla
cartella medica224.
1.2 Obblighi specifici: protezione per categorizzazione in situazioni sanitarie diverse
La Corte ha precisato la sua giurisprudenza esaminando delle situazioni mediche
specifiche a cui ha applicato il principio generale – insieme alle sue tre varianti – stabilito
nella sentenza Xiros. Così facendo ha categorizzato le principali situazioni mediche che
si verificano in carcere. Di seguito ne saranno esaminate le caratteristiche più salienti.
i. Provvedimenti preventivi: le malattie contagiose e il fumo passivo
Le autorità hanno l’obbligo di prendere dei provvedimenti preventivi per garantire la
salute dei detenuti. Secondo la Corte prevenire la trasmissione di malattie contagiose e in
particolare di tubercolosi, epatite e HIV/AIDS deve essere una priorità della sanità
pubblica, in primo luogo nel sistema carcerario (Cătălin Eugen Micu, §56). Da ciò segue
l’obbligo dell’amministrazione di eseguire, con il consenso dei detenuti, uno screening
delle principali malattie contagiose “in un tempo ragionevole” (ibid.).
Perciò il ritardo di tre anni con cui l’amministrazione aveva eseguito uno screening per
epatite C dopo la comparsa del primo sintomo e in un ambiente molto esposto
all’epidemia è stato ritenuto eccessivo (Jeladze v. Géorgie, §44). Analogamente questo
implica l’obbligo di prestare le cure necessarie. Perciò nella sentenza Kushnir v. Ukraine,
la condanna è stata motivata fra l’altro col fatto che la tubercolosi del ricorrente era
ricomparsa in carcere per la mancanza di cure preventive che avrebbero consentito di
bloccare la progressione del contagio (§§143 e s.; cfr. anche Poghosyan v. Georgia). Per
quel che riguarda l’HIV, la Corte esamina la qualità delle cure prestate in conformità alle
raccomandazioni dell’OMS sui retrovirus (Kozhokar v. Russia, §109).
Inoltre la Corte ritiene che lo Stato abbia l’obbligo di prendere i provvedimenti diretti a
proteggere un detenuto dagli effetti dannosi del fumo passivo quando è richiesto dal suo
stato di salute, sulla base degli esami medici e delle raccomandazioni dei medici curanti
(Elefteriadis v. Romania, §48). La posta in gioco è separare l’interessato dai detenuti che
fumano. Il sovraffollamento carcerario non esime le autorità dall’obbligo di tutelare la
salute dell’interessato (ibid. §50). Nel caso Elefteriadis la Corte tiene conto del fatto che
dopo un periodo di detenzione in cella insieme ai fumatori, i certificati medici rilasciati
224
Nel caso Alexander Zheludkov v. Ukraine (Communication No. 726/1996, U.N. Doc.
CCPR/C/76/D/726/1996 (2002)), il Comitato della Nazioni Unite per i diritti dell’uomo ha ritenuto che il
rifiuto persistente e immotivato da parte delle autorità di dare al detenuto ricorrente la sua cartella clinica
violi le disposizioni dell’art. 10§1 del Patto internazionale sui diritti civili e politici.
70
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da vari dottori avevano segnalato un deterioramento delle condizioni respiratorie del
ricorrente e l’insorgere di un’ulteriore malattia.
ii. Le protesi dentarie e oculari e la cura
La mancata fornitura di scarpe ortopediche per vari anni, dopo che la loro necessità era
stata dichiarata dai servizi medici, è una violazione dell’art. 3 (Vladimir Vasilyev v.
Russia, §§67-69). Lo stesso vale per il rifiuto di fornire le protesi dentarie a un detenuto
indigente e senza denti che non era in grado di comprarle con i propri mezzi (V.D. v.
Romania). Nel caso Slyusarev v. Russia, la Corte ha parimenti ritenuto che la confisca
degli occhiali del ricorrente per cinque mesi costituisse un trattamento contrario all’art. 3.
iii. Lo sciopero della fame e le cure obbligatorie
Indipendentemente dal danno che il ricorrente può essersi inflitto scegliendo di iniziare
un lungo sciopero della fame, ciò non esonera il alcun modo lo Stato dai suoi obblighi
rispetto all’art. 3 (cfr. Nevmerzhitsky v. Ukraine, sentenza del 5 aprile 2005 n. 54825/00,
§§82-106; Tekin Yıldız v. Turkey, §82). Nel caso dell’alimentazione forzata la Corte
ricorda che un provvedimento necessario a scopi terapeutici non può essere ritenuto
disumano o degradante a condizione “che la necessità medica sia stata dimostrata in
modo convincente e che le garanzie procedurali che devono accompagnare la decisione
di procedere a una misura del genere esistano e siano osservate” (Herczegfalvy v.
Austria, §82; Bogumil v. Portugal, §90), e che “il modo in cui il ricorrente è nutrito a
forza durante lo sciopero della fame non rappresenti un trattamento eccedente la soglia
di gravità minima richiesta dall’articolo 3” (Rappaz v. Switzerland, §65).
Inoltre la decisione di ordinare di nuovo la carcerazione di una persona che ha fatto uno
sciopero della fame può essere contraria all’art. 3 della Convenzione se tale persona
soffre di danni a lungo termine come la sindrome di Wernicke-Korsakoff (Uyan v.
Turkey, §§44-54; Balyemez v. Turkey, §§90-96).
iv. La disabilità fisica e le situazioni di non autosufficienza
Le persone disabili devono godere di condizioni di detenzione che consentano loro una
certa indipendenza (Arutyunyan v. Russia, §75). Perciò nella sentenza Arutyunyan il fatto
che il ricorrente, avente mobilità ridotta e afflitto da problemi di salute multipli, sia stato
collocato al quinto piano di un edificio senza ascensore quando doveva raggiungere il
pian terreno per essere curato o incontrare il suo avvocato, ha portato a dichiarare una
violazione dell’art. 3 (§§73 e s.). Analogamente, nella sentenza D. G. v. Poland, la Corte
ha condannato il fatto che un detenuto paraplegico afflitto da incontinenza non avesse
avuto accesso quotidiano al personale medico (§44). Nel caso Vincent v. France, la Corte
ha censurato il fatto che il ricorrente non potesse lasciare la cella da solo perché per
accedere alla porta occorreva togliere una ruota dalla sedia. La giurisprudenza sembra
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optare per l’adattamento delle condizioni di detenzione più che per l’obbligo di liberare
gli interessati (Helhal v. France).
La menomazione di un detenuto può imporre il ricorso a badanti per aiutarlo nelle attività
quotidiane. La Corte ha condannato più volte l’uso di altri detenuti a tale scopo, non solo
perché non sono necessariamente qualificati per questo compito e quindi non
necessariamente preparati a tale condivisione dell’intimità (Farbtuhs v. Latvia, §60;
Hüseyin Yıldırım v. Turkey, §81), ma anche perché una situazione del genere mette il
ricorrente in una posizione di dipendenza da altri detenuti (Helhal v. France, §62).
v. Compatibilità dello stato di salute con la detenzione
Per quel che riguarda la compatibilità dello stato di salute con la detenzione, la Corte
specifica che il “quadro clinico” di un detenuto è “uno dei criteri con cui valutare oggi la
capacità di sopportare la detenzione sulla base dell’art. 3 negli Stati membri del
Consiglio d’Europa. È divenuto una parte degli elementi di cui tenere conto nella scelta
del modo di scontare la pena, specialmente rispetto a tenere in carcere persone affette da
malattie mortali o da una malattia il cui stato è incompatibile con la vita in carcere nel
lungo periodo” (Gülay Çetin v. Turkey, prec., §102). La verifica corrispondente implica
un controllo triplice (alternativo o cumulativo): “a) la condizione del detenuto, b) la
qualità del trattamento concesso e c) l’opportunità di tenere il ricorrente in detenzione
alla luce del suo stato di salute” (ibid.).
Il primo criterio riguarda le condizioni materiali di detenzione. Esse includono
essenzialmente le caratteristiche della detenzione rispetto all’igiene e alla pulizia, ma
possono includere altri aspetti come le condizioni dei prelievi medici e in particolare le
precauzioni prese in tali occasioni (Mouisel v. France, §§46 e 47; Hénaf v. France, 27
novembre 2003, n. 65436/01, §§49 e s.).
Per il secondo criterio, un indicatore importante è un forte deterioramento dello stato di
salute in detenzione, che inevitabilmente genera dubbi sull’adeguatezza delle cure
prestate (Khudobin v. Russia, n. 59696/00, §84; Salakhov et a. v. Ukraine, 14 marzo
2013, n. 28005/08). Nel caso Aharon Schwartz v. Romania la Corte ha censurato il fatto
che l’interessato non avesse altre alternative che un intervento chirurgico nell’infermeria
del carcere, la cui idoneità alla chirurgia è incerta (§106).
Ma la questione importante non è solo accertare se l’interessato abbia ricevuto delle cure
mediche prescritte da un dottore qualificato (Gorodnitchev v. Russia, n. 52058/99, §91,
24 maggio 2007), per es. se ha potuto accedere a visite specialistiche e agli strumenti
tecnici necessari a curarlo. Questo secondo criterio richiede altresì di accertare se
l’interessato abbia ricevuto cure più “periferiche” rispetto alla malattia, come l’assistenza
nelle attività quotidiane e il sostegno psicologico. Da questo punto di vista l’attenzione va
72
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ai compiti che implicano l’intervento di personale qualificato piuttosto che guardie o altri
detenuti (Kaprykowski v. Poland, n. 23052/05, §74, 3 febbraio 2009, Gülay Çetin v.
Turkey, 5 marzo 2013, n. 44084/10, §112).
Il terzo e ultimo criterio, da valutare in connessione con il precedente, si riferisce
globalmente alla “capacità di affrontare la detenzione”, tenuto conto del “quadro clinico
del detenuto”. In realtà la Corte ha stabilito che in questa fase il prolungamento della
detenzione, in sé e per sé e indipendentemente dalla qualità delle cure prestate (che
possono non essere oggetto di esame, come nella sentenza Gülay Çetin v. Turkey, sopra,
§109), si ripercuote necessariamente sull’individuo. Nel caso Gülay Çetin la Corte ha
perciò ritenuto che le autorità avessero violato l’art. 3 continuando la detenzione quando
“questo non era giustificato per proteggere la società, e una completa mancanza di
diligenza da parte delle autorità sotto questo aspetto significava abbandonare il detenuto a
se stesso, senza sostegno familiare e incapace di mantenere la sua dignità rispetto all’esito
a cui la malattia lo conduceva fatalmente e inesorabilmente” (Gülay Çetin, sopra, §122).
Parimenti, la Corte ha costantemente ritenuto che la nuova carcerazione di una persona
liberata per motivi di salute è una violazione dell’art. 3, se non tiene conto dello stato di
salute dell’interessato (Rokosz v. Poland; Tekin Yıldız v. Turkey).
vi. I malati di mente
Quando è chiamata a verificare la compatibilità delle condizioni di detenzione di un
malato di mente con l’art. 3, la Corte “dapprima oggettivizza il suo approccio
riconoscendo che la natura stessa dei disturbi mentali rende le persone interessate più
vulnerabili in confronto agli altri detenuti, e che il mero fatto della loro detenzione
obbliga la Corte a verificare se questa detenzione avviene in condizioni conformi alla
dignità umana” (Tulkens & Dubois-Hamdi). La Corte ha espresso in modo molto chiaro
questo punto di vista nella sentenza Dybeku v. Albania dove ha ritenuto che il fatto che il
ricorrente fosse trattato come tutti gli altri detenuti sia sufficiente a concludere che lo
Stato non ha rispettato i suoi obblighi internazionali (§48, cfr. anche la sentenza quasi
pilota Sławomir Musiał v. Poland). Inoltre la Corte afferma che si dovrebbe “distinguere,
all’interno della vasta categoria delle malattie mentali, fra quelle come le psicosi che
comportano rischi altissimi per chi ne soffre” (Rivière v. France, §63). Ciò significa che
l’impatto della detenzione sulla salute dell’interessato si presume (Tulkens & DuboisHamdi).
Le condizioni di detenzione dei malati di mente devono adattarsi al loro disturbo225. Se
tenere i malati “in strutture non adatte alla carcerazione dei malati di mente pone gravi
problemi ai sensi della Convenzione” (Sławomir Musiał v. Poland, §94), allora la Corte
225
Per la detenzione in istituti penitenziari di soggetti perché considerati “stranieri” ai sensi del
sottoparagrafo f) dell’art. 5 §1, si veda ad esempio Aerts v. Belgium (1998, § 46).
73
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esige che “i detenuti afflitti da gravi disturbi mentali [siano] ricoverati e curati in un
ospedale adeguatamente equipaggiato e dotato di personale qualificato” (Rivière v.
France, §72).
La questione di sapere se la detenzione degli interessati debba cessare o no resta
problematica. Il giudice ad hoc Briede, nell’opinione dissenziente della sentenza Farbtuhs
v. Latvia, deplora che la maggioranza non abbia “insistito sulle ‘condizioni’ ma sul
‘tenere’ il ricorrente in carcere” e sottolinea di accettare il principio di un’interpretazione
dinamica diretta ad ampliare la portata dell’art. 3 della Convenzione, e che “questo
principio va conciliato con quello della sussidiarietà della valutazione”. A suo parere il
controllo della possibilità di continuare la detenzione rientra nell’ambito “della politica
penale e carceraria di ciascuno Stato, sulla base di considerazioni sociologiche che
vanno ben al di là dei limiti definiti dalla Convenzione”. Nel caso Rivière v. France il
giudice Cabral Barreto ha invece criticato il fatto che la Corte non abbia preso una
posizione chiara sulla questione se il ricorrente infermo di mente fosse in grado di essere
detenuto, indipendentemente dalla qualità delle cure ricevute. Nella sentenza Sławomir
Musiał v. Poland la Corte è del parere che il rifiuto di ricoverare l’interessato in un
istituto psichiatrico adatto o in un carcere dotato di una sezione psichiatrica specializzata
abbia messo inutilmente a rischio la salute del detenuto. La Corte prende una posizione
più chiara nella sentenza G. v. France dove afferma che lo stato di salute del ricorrente
era “incompatibile con la detenzione”, osservando che la detenzione aveva “ostacolato le
cure mediche” e aveva violato l’art. 3. Va rilevato che nella sentenza Renolde v. France
la Corte sulla base dell’art. 2 ha criticato il fatto che, nonostante un tentativo di suicidio e
la diagnosi dello stato mentale del detenuto, non fosse stata esaminata la possibilità di
trasferirlo in una struttura psichiatrica. Perciò gli osservatori autorizzati possono
concludere che “la recente evoluzione giurisprudenziale delinea con chiarezza una
tendenza verso la messa in questione dell’ambiente carcerario quando si tratta di
detenuti malati” (Tulkens & Dubois-Hamdi).
Le sentenze recenti sembrano mostrare che questa evoluzione stia accelerando. Nel caso
Bamouhammad v. Belgium il ricorrente, afflitto da “psicosi carceraria”, sosteneva di
essere stato sottoposto a misure di sicurezza estreme che ne avevano peggiorato la salute
mentale. La necessità di un esame psicologico era stata sottolineata da tutti gli esami
clinici che avevano confermato il peggioramento delle sue condizioni, ma i continui
sforzi avevano impedito tale esame. Un direttore di carcere aveva ritenuto che “la
detenzione del ricorrente sia stata un fallimento totale e metta in dubbio la sua capacità
di sopportare la detenzione”. La Corte osserva il contrasto tra le conclusioni dei periti
che “avevano ritenuto regolarmente dal 2011 che la detenzione del ricorrente, che
durava quasi senza interruzione dal 1984, non rispondesse più ai suoi obiettivi legittimi
ed erano favorevoli all’applicazione di misure alternative, e dall’altro lato la risposta
delle autorità carceraria che avevano costantemente rifiutato di cambiare la situazione
74
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del ricorrente nonostante il peggioramento del suo stato di salute” (§153). Conclude
quindi che le misure di sicurezza applicate e “il rifiuto delle autorità di concepire un
benché minimo adattamento della pena nonostante il peggioramento della sua salute, lo
hanno sottoposto a un disagio di intensità superiore al livello di sofferenza inevitabile
della detenzione” (§155).
Nella sentenza Murray v. the Netherlands la Grande Camera ricorda che “[g]li obblighi
imposti dall’articolo 3 possono arrivare a imporre allo Stato di trasferire i detenuti
(compresi quelli infermi di mente) in strutture specializzate al fine di ricevere cure
adeguate” (§105). Tuttavia nel caso di ergastolani afflitti da disturbi comportamentali o
della personalità che rappresentano probabili fattori di recidiva si deve fare una diagnosi,
anche senza richiesta dell’interessato, e si devono prestare cure psichiatriche o
psicologiche che diano loro una possibilità di reinserimento e una prospettiva di
liberazione (§109).
Infine va rilevato che la fragilità delle persone afflitte da disturbi mentali esige una
vigilanza speciale per i rischi di suicidio che corrono (Renolde v. France; Keenan v. the
United Kingdom; si veda il capitolo di questo studio dedicato al capitolo 2).
1.3 La metodologia di controllo della Corte europea
Per quel che riguarda la tutela della salute dei detenuti, la Corte adotta l’approccio
classico applicato ai casi di violazione dell’art. 3 della Convenzione.
i. L’accertamento dei fatti
In primo luogo, l’accertamento dei fatti. Data la loro situazione, i detenuti possono avere
difficoltà a produrre le prove dei fatti allegati. Per questo la Corte ha modificato l’onere
della prova, dato che “solo lo Stato ha accesso alle informazioni in grado di corroborare o
confutare le allegazioni” (Vladimir Vasilyev v. Russia, §54). Essa accetta pertanto che il
ricorrente produca solo un principio di prova che sta allo Stato confutare. C’è allora un
onere dell’allegazione, l’obbligo che il ricorrente fornisca una descrizione circostanziata
della situazione. Questo è illustrato nel caso Amirov v. Russia: poiché il ricorrente ha
prodotto dei documenti medici che corroborano le allegazioni, la Corte ritiene che l’onere
della prova incomba adesso sullo Stato (§91). Inoltre, sebbene la Corte riconosca il
problema di una perizia redatta da un esperto che non ha potuto visitare personalmente il
ricorrente, ritiene che la circostanza sia irrilevante perché lo Stato non ha predisposto una
perizia indipendente sull’interessato e non gli ha permesso di consultare un medico di sua
fiducia (ibid.). Quando il problema riguarda dei malati di mente, si tiene dovuto conto
della loro difficoltà a presentare un reclamo (Rivière v. France, §63). La Corte afferma
che il problema di accertare se determinate condizioni di detenzione siano incompatibili
con l’art. 3 deve tenere conto della vulnerabilità dell’interessato e in certi casi della sua
75
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incapacità di preparare coerentemente un reclamo, o anche di fare una contestazione,
contro il trattamento a cui è sottoposto e gli effetti su di lui (Murray v. the Netherlands
(GC), §106).
ii. La soglia di gravità del maltrattamento
Per costituire una violazione dell’art. 3 il danno alla salute del ricorrente causato
dall’azione o dall’inazione dello Stato deve oltrepassare una certa soglia di gravità da
stabilire caso per caso. Come illustrato precedentemente, il livello delle cure prestate
deve essere “compatibile con la dignità umana” e tener conto delle “esigenze pratiche
della detenzione”, e implicitamente, anche se in maniera altalenante (vedi sopra), della
qualità delle cure negli ospedali civili.
Un indicatore importante a questi effetti è un marcato peggioramento dello stato di salute
nella detenzione, che inevitabilmente mette in dubbio l’adeguatezza delle cure prestate in
carcere. Al contrario, la Corte insiste sul fatto che un deterioramento dello stato di salute
non è sufficiente a condannare uno Stato se tale deterioramento non è imputabile a una
mancanza di quest’ultimo.
La durata delle cure prestate al ricorrente, indipendentemente dalla gravità delle sue
condizioni, può essere un fattore decisivo. Questo è illustrato dal caso Slyusarev v.
Russia: il ricorrente, afflitto da grave miopia, era stato privato degli occhiali. Anche se
“stare senza occhiali non ha avuto effetti permanenti sulla salute del ricorrente, questi
deve averne sofferto”, “deve aver creato molto disagio nella sua vita quotidiana e dato
origine a un sentimento di insicurezza e di impotenza” (§36). La Corte ha concluso che
c’è stata una violazione dell’art. 3 “a causa della durata” della situazione denunciata
(ibid.). Tuttavia la durata della mancanza da parte dello Stato non costituisce in sé e per
sé una condizione necessaria per accertare una violazione. La Corte afferma chiaramente
nella sentenza Ashot Harutyunyan v. Armenia che il semplice fatto che un detenuto
avesse bisogno di assistenza e l’abbia chiesta inutilmente può costituire una violazione
dell’art. 3 (§114). Perciò, secondo la Corte, anche la mancata prestazione di cure mediche
che non causa un’emergenza medica o comunque un dolore grave e prolungato in
detenzione può essere ritenuta incompatibile con l’art. 3.
La Corte può tener conto del comportamento del ricorrente nell’analisi dei fatti. Perciò,
con riferimento alla sentenza Gelfmann v. France in cui la Corte aveva asserito che il
ricorrente “era ‘recalcitrante’ e non aveva accettato o aveva sospeso le cure in varie
occasioni” (§56), ha potuto affermare nella sentenza Aleksanyan v. Russia che il rifiuto
del ricorrente di ricevere delle cure può far ritenere che la sua situazione non sia grave
come sostiene (§154). Tuttavia la Corte ha precisato la sua posizione: nel caso
Aleksanyan il comportamento del ricorrente è definito “comprensibile” in quanto era
stato nell’infermeria del carcere nonostante che i medici ne avessero chiesto il
76
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trasferimento in una clinica specializzata (§154, cfr. anche nello stesso senso Aharon
Schwartz v. Romania). Inoltre è inammissibile che i detenuti in sciopero della fame
possano essere privati della protezione concessa dall’art. 3, come la Corte ha ricordato
nella sentenza Tekin Yıldız v. Turkey (§82).
Nel complesso è difficile ricostruire una metodologia precisa a partire da queste
soluzioni, tale è il livello di “eterogeneità e frammentazione” all’interno della Corte
(RANALLI). Di fatto, “a differenza del contenzioso legato alle condizioni di detenzione,
che pone problemi strutturali, il concetto di adeguatezza delle cure è particolarmente
casuistico e la giurisprudenza della Corte non permette di elaborare una cornice teorica di
principi di tutela applicabili a ogni situazione” (SIMON, §416).
2. Gli obblighi procedurali degli Stati
La Corte ha definito una serie di obblighi procedurali per permettere ai detenuti di
garantirsi l’osservanza, nell’ordinamento interno, degli obblighi sostanziali che gravano
sullo Stato. Da questo punto di vista i requisiti delineati sono simili, se non identici, a
quelli identificati nell’ambito delle condizioni materiali di detenzione. Varie sentenze in
materia sanitaria fanno riferimento alla giurisprudenza nel campo delle condizioni
materiali per definire gli obblighi relativi alle cure mediche.
2.1 Strutturazione dei rimedi giuridici
i. Rimedi preventivi, compensatori e supplementari
Tutti i detenuti infermi le cui condizioni di assistenza sanitaria o di detenzione, in
relazione al loro stato di salute, violano probabilmente la Convenzione devono avere a
disposizione, se necessario, un mezzo di tutela appropriato. Come nel caso delle
condizioni materiali di detenzione, gli interessati devono avere a disposizione dei rimedi
preventivi e compensatori in modo supplementare. I rimedi preventivi devono essere in
grado di far cessare immediatamente il trattamento contrario alla Convenzione a cui il
detenuto è sottoposto (“tutela diretta e tempestiva”). Nel caso Reshetnyak v. Russia la
Corte osserva esplicitamente come un semplice rimedio in sé e per sé sia insufficiente se
non può mettere fine alla situazione in quanto il giudice non può ordinare in questo
contesto la cessazione della violazione né imporre condizioni di detenzione o cure
mediche adeguate ai bisogni dell’interessato, e neppure sanzionare le autorità per la
violazione. I rimedi compensatori devono consentire una riparazione adeguata del danno
causato dalla violazione.
ii. Caratteri necessari del procedimento e dell’organo di controllo
L’organo di controllo deve avere un certo numero di caratteristiche che sono
generalmente specifiche della giurisdizione – la Corte fa esplicito riferimento ad esse in
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certi casi (Reshetnyak v. Russia, §71). Per quel che riguarda tali caratteristiche la
giurisprudenza si mostra allineata a quella sulle condizioni materiali di detenzione.
In primo luogo deve essere un organo indipendente. Dato che sono le autorità carcerarie a
organizzare le condizioni di detenzione – e quindi le cure mediche – dei detenuti, un
rimedio amministrativo contro tali condizioni predisposto da queste stesse autorità, che
sarebbero giudici di loro stesse, non dà sufficienti garanzie di indipendenza (Petrea v.
Romania, §34 4792/03, 29/04/2008, Patranin v. Russia, §87, 12983/14 23/07/2015;
Goginashvili v. Georgia, §55). Lo status dell’autorità di controllo nell’ordinamento
interno deve garantirne l’indipendenza e l’imparzialità (Melnik v. Ukraine, §69,
72286/01, 28/03/2006).
In secondo luogo, l’avvio del procedimento deve rendere obbligatorio il controllo. Il
reclamo a un’autorità che può decidere discrezionalmente se procedere non soddisfa
questo requisito. Non solo l’avvio del procedimento deve sempre condurre a un esame
nel merito del reclamo, ma il detenuto deve essere coinvolto nel procedimento e
informato del suo avanzamento. Perciò la possibilità prevista dal diritto russo di fare una
richiesta al pubblico ministero è ritenuta insufficiente dalla Corte, che osserva come
quest’ultimo non abbia l’obbligo di sentire il ricorrente o di informarlo sullo stato del
procedimento – “che pertanto può rimanere noto solo al pubblico ministero e
all’amministrazione penitenziaria”. Da questo punto di vista il sistema deve prevedere un
procedimento organizzato e non semplicemente affidare il controllo a un’autorità, anche
se si tratta di un organo giurisdizionale (Dermanovic v. Serbia, §41).
In base all’art. 6-1 (ambito civile), la Corte esige il rispetto del contraddittorio e
dell’uguaglianza fra le parti, che può implicare il diritto a comparire ed essere sentiti di
persona per spiegare le condizioni delle cure mediche (Vladimir Vasilyev v. Russia).
In terzo luogo, l’organo deve intervenire in modo tempestivo per far cessare
“rapidamente” il trattamento oggetto del reclamo (Dirdizov v. Russia, §73). Un
procedimento che si conclude in dieci giorni è ritenuto soddisfacente dalla Corte (ibid.,
§85).
In quarto luogo, il procedimento deve condurre a una pronuncia dell’organo competente
sull’adeguatezza delle cure o sulla compatibilità dello stato di salute con la detenzione, a
seconda dei casi. Il giudice non può limitarsi a ordinare il ricovero in un ospedale civile
per eseguire un intervento chirurgico senza decidere sul merito del ricorso (Yunusova and
Yunusov v. Azerbaijan, §129).
Infine, come si è detto, l’autorità competente deve avere il potere di far cessare la
violazione mentre è ancora in atto. Perciò una decisione con effetti puramente dichiarativi
è insufficiente (Reshetnyak v. Russia, §63). Analogamente, a prescindere dai suoi effetti
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giuridici, la decisione deve avere degli effetti pratici in quanto deve essere possibile
eseguirla. Sotto questo aspetto la Corte tiene conto della natura strutturale del problema
in questione, che può compromettere in pratica la capacità dell’amministrazione di
ottemperare alla decisione pronunciata contro di essa (Visloguzov v. Ukraine, § 64, n.
32362/02, 20/05/2010).
2.2 Procedimenti idonei a consentire la liberazione del detenuto gravemente malato o
molto anziano
La Corte ripete che non c’è un dovere generale di liberare o ricoverare in un ospedale
civile gli imputati malati (nel caso della custodia cautelare, Hunvald v. Hungary, §41 n.
68435/10, 10/12/13). Tuttavia nel caso un cui un detenuto, tenuto conto dell’età o dello
stato di salute, non è in grado di sopportare la detenzione lo Stato deve prevedere un
procedimento legale per liberarlo (Mouisel v. France, §44), in conformità all’art. 13.
I procedimenti di questo tipo devono essere disponibili indistintamente sia ai detenuti
definitivi che a quelli in attesa di giudizio. La Corte ritiene che riservare il provvedimento
di rilascio per motivi di salute solo ai condannati costituisca una discriminazione e violi
pertanto l’art. 14 della Convenzione (Gülay Çetin v. Turkey, §126 e s.). Nel caso degli
imputati la Corte si richiama per lo più agli artt. 5§3 e 4, lex specialis rispetto all’art. 13.
Lo svolgimento del procedimento deve rispondere a vari requisiti, primo fra tutti quello
della celerità che deve permettere a un detenuto con problemi di salute di ottenere
rapidamente la liberazione per motivi “umanitari” (Raffray Taddei v. France, §102).
Analogamente nel caso Gülay Çetin v. Turkey, fra gli altri “formalismi e ritardi”, il
periodo di 20 giorni che occorre al Pubblico ministero per chiedere all’organo
competente di decidere sulla sospensione della pena è stato ritenuto eccessivo, tenuto
conto della situazione di emergenza (Gülay Çetin v. Turkey, §123). Con la stessa
attenzione all’efficienza, nello stesso caso la Corte ha raccomandato alla Turchia di
ripensare il procedimento in essere contrassegnato da un “approccio eccessivamente
formale senza controllo pubblico”, oltre che il funzionamento dell’Istituto forense che
aveva un ruolo “più amministrativo che scientifico” (§148).
Nella sentenza Mouisel v. France la Corte si è pronunciata sul procedimento francese di
sospensione della pena per motivi medici (introdotto dopo la registrazione del ricorso).
Ha osservato i “nuovi rimedi di fronte al giudice responsabile dell’esecuzione della pena,
che consentono ai detenuti con gravi problemi di salute di chiedere la liberazione in tempi
rapidi; tali rimedi si aggiungono alla possibilità di chiedere la grazia per motivi medici,
che può essere concessa solo dal Presidente della repubblica francese” (Mouisel v.
France, §44). Sono evidenziati i criteri del carattere giurisdizionale (a differenza del
meccanismo della grazia presidenziale) e della celerità del procedimento.
79
European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission
La decisione delle autorità sui problemi puramente medici deve essere corroborata da una
perizia, come nel caso Xiros v. Greece in cui il giudice aveva ordinato una perizia ma se
ne era successivamente discostato, probabilmente perché non soddisfatto del suo
contenuto (la perizia concludeva per sospendere la detenzione del ricorrente). La Corte ha
ritenuto che, “se il giudice nazionale non desiderava adottare le conclusioni [della
perizia], sarebbe stato preferibile richiedere una perizia medica aggiuntiva su questo
caso controverso, invece di decidere d’ufficio su un problema fondamentalmente medico,
che costituiva il punto fondamentale nel prestare le cure al ricorrente” (§87).
Inoltre la perizia deve essere irreprensibile dal punto di vista della completezza e
dell’imparzialità (Khudobin v. Russia, §96). L’imparzialità si può ottenere consultando
vari esperti medici, diversi sia per specializzazione che per i loro legami con le autorità o
il ricorrente. Sotto questo aspetto, nel caso Aleksanyan v. Russia, la Corte ha richiesto la
costituzione di una commissione medica “bipartisan” incaricata di decidere sul ricorrente.
La Corte ha insistito, sulla base dell’art. 39 (provvedimenti d’urgenza), perché
quest’ultimo non fosse privato della possibilità di avvalersi dei servizi del suo medico di
fiducia.
Dopo che è stata consegnata, la perizia deve essere esaminata dalle autorità. Su questo
punto è illuminante il caso Contrada v. Italy (n. 2): nonostante la presentazione al giudice
competente di una dozzina di referti e certificati medici che “attestavano costantemente e
inequivocabilmente che lo stato di salute di Contrada era incompatibile col regime
carcerario a cui era sottoposto” (§82), il ricorrente aveva ottenuto gli arresti domiciliari
solo nove mesi dopo la prima richiesta e dopo nove tentativi (§§79-85; cfr. anche
Makharadze and Sikharulidze v. Georgia, §86).
Infine la sospensione della pena o la liberazione per motivi medici può essere revocata
solo per motivi medici. È solo nel caso di un “evidente cambiamento dell’idoneità medica
del ricorrente a sottostare a questo provvedimento” (Tekin Yıldız v. Turkey, §84; Gürbüz
v. Turkey, §71), attestato da una nuova perizia, che il provvedimento umanitario di
liberazione può essere revocato per motivi medici. Il malato deve allora potersi avvalere
di una impugnazione con effetto sospensivo che gli consenta di contestare la perizia
sfavorevole su cui si fonda la decisione di imprigionarlo nuovamente; tale decisione può
essere eseguita solo dopo l’esaurimento di tutti i ricorsi (Tekin Yıldız v. Turkey, §95).
2.3 L’obbligo di svolgere un’indagine approfondita
Tenuto conto del danno all’integrità fisica o psicologica derivante dall’insufficienza delle
cure mediche durante la detenzione, un dovere di indagare, “l’ammiraglia degli obblighi
procedurali” (AKANDJI-KOMBE), può applicarsi all’ambito procedurale ex art. 3.
Senza entrare nei dettagli, l’indagine deve avere le stesse caratteristiche di quella da
80
European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission
svolgere in caso di violenza e di reati contro la vita226, cioè deve essere approfondita ed
effettiva, portare all’identificazione e alla punizione dei responsabili e, se necessario,
essere avviata d’ufficio dalle stesse autorità quando sono informate di un maltrattamento.
La portata di quest’obbligo non coincide con quella degli obblighi materiali ex art. 3 nel
campo della salute. Di fatto la Corte ritiene che, quando nulla indica che i medici abbiano
agito in malafede con l’intenzione di maltrattare il ricorrente, l’obbligo positivo di
istituire un sistema giurisdizionale effettivo non implichi necessariamente un rimedio
penale. L’obbligo procedurale positivo può essere adempiuto anche se, per esempio,
l’ordinamento giuridico prevede “un rimedio civile, da solo o insieme ai rimedi penali,
diretto a stabilire la responsabilità dei dottori e, se necessario, a ottenere l’applicazione
di sanzioni civili appropriati, come per esempio il risarcimento del danno e la
pubblicazione della decisione” (Dvoracek v. Czech Republic, §111, 12927/13,
06/11/2014). L’opposto vale nelle situazioni in cui solo un procedimento penale sembra
adatto a permettere la raccolta delle prove nelle condizioni richieste dalla Convenzione.
Nel caso Mitkus v. Latvia, relativo a un’infezione forse contratta durante la detenzione a
causa della mancata predisposizione e prestazione delle cure mediche, la Corte sostiene
che le autorità avrebbero dovuto iniziare un procedimento penale sulla base del reclamo
del ricorrente (§§76 e s.)227. La Corte sostiene da un lato che la circostanza che il
ricorrente fosse in carcere limitava gravemente le sue possibilità di intraprendere le
necessarie iniziative legali davanti al giudice civile, e dall’altro che, non potendo assistere
all’udienza, l’interessato non poteva giovarsi di una discussione in contraddittorio del suo
caso. La Corte ha riscontrato una violazione dell’art. 3, che si aggiunge all’accertamento
di una violazione dell’art. 6-1 (ambito civile) a causa dell’assenza del ricorrente
dall’udienza di appello. Si può ugualmente citare il caso Hénaf v. France, in cui la Corte
critica il fatto che le autorità non abbiano aperto un procedimento d’ufficio sulla base
delle allegazioni del ricorrente, che lamentava di essere stato legato al letto d’ospedale
subito prima di un’operazione chirurgica. Tali allegazioni “erano abbastanza gravi, sia
per i fatti allegati che per lo status delle persone coinvolte”, da giustificare un’indagine
(§36).
2.4 Le garanzie nel campo delle cure obbligatorie
Come si è detto, uno dei prerequisiti perché la prestazione delle cure mediche o
l’alimentazione forzata non siano considerati sostanzialmente come un trattamento
contrario all’art. 3 è l’esistenza di adeguate garanzie procedurali.
226
Per un’analisi più approfondita si vedano i capitoli rilevanti.
La natura di quest’obbligo è relativa al contenuto del diritto nazionale. In questo caso la Corte ha
fondato le sue considerazioni sul fatto che per il diritto lituano un “procedimento penale è superiore a un
procedimento civile […] dal punto di vista dei mezzi di accertamento dei fatti e di raccolta delle prove”
(§76).
227
81
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Queste garanzie consistono in norme che enumerano precisamente abbastanza casi in cui
si può ricorrere alle cure obbligatorie, oltre che nell’adozione di decisioni motivate
riguardo ai procedimenti che coinvolgono l’interessato (Rappaz v. Switzerland, §79).
Conclusione: gli obblighi procedurali al servizio dei diritti sostanziali
A livello sostanziale, il diritto a delle condizioni di detenzione conformi alla dignità
umana e il diritto alla tutela della salute hanno un punto di partenza comune, la sentenza
della Grande Camera nel caso Kudła v. Poland, che interpreta in modo costruttivo l’art. 3
della Convenzione. Le garanzie procedurali associate all’uno o all’altro di questi diritti si
sono evolute in maniera simile. Inoltre un forte scambio fra questi due campi ha prodotto
una fusione virtuale dei requisiti della Convenzione in materia, così da formare un codice
di procedura comune i cui principi fondamentali sono i seguenti: indipendenza degli
organi di controllo, modifica delle norme procedurali allo scopo di tener conto della
situazione di soggezione del detenuto e permetterne la partecipazione al contraddittorio,
rapidità della tutela giurisdizionale, potere di far cessare la violazione accertata.
Come nel campo delle condizioni materiali di detenzione, le garanzie mirano ad
assicurare l’effettività del diritto sostanziale. Sotto questo aspetto la giurisprudenza non
pare caratterizzata da uno spostamento dal sostanziale al procedurale. Al contrario,
l’ambito procedurale ha rafforzato ed esteso gli obblighi dello Stato. Poiché la forza della
logica umanitaria è verosimilmente più vivida quando si tratta della salute invece che
delle condizioni di detenzione, in questo campo i requisiti procedurali sono più avanzati e
si scontrano più direttamente con l’esercizio sovrano del diritto di punire. In realtà la
Corte richiede di predisporre una serie di rimedi che garantiscano la scarcerazione di
persone ritenute non in grado di essere detenute a causa del loro stato di salute. Perciò nel
campo psichiatrico – ma l’accertamento si può fare anche in quello del trattamento
somatico – “la Corte è oggi pienamente consapevole che il carcere è sempre un carcere e
che, indipendentemente dai servizi e dalle infrastrutture, rimane un posto non adatto alla
cura dei problemi mentali” (Tulkens & Dubois-Hamdi).
Sotto questo aspetto l’obbligo di istituire procedure adeguate che consentano la
scarcerazione di un detenuto gravemente malato o anziano, cioè l’obbligo procedurale in
materia di salute dei detenuti, sta erodendo la tradizionale riluttanza della Corte a
interferire con gli orientamenti e le decisioni penali delle autorità nazionali228. Una
corrente dottrinale vede in questo orientamento un palese attacco al principio di
sussidiarietà (BELDA, §198), nel senso che produrrebbe uno spostamento della
valutazione della conformità delle condizioni di detenzione alla Convenzione verso
l’opportunità di continuare la detenzione; ora, “sta […] principalmente allo Stato di
228
Sotto questo aspetto si veda Neshkov et al. v. Bulgaria: “Non è compito della Corte […] fare
raccomandazioni specifiche allo Stato rispondente su come organizzare il suo sistema penale e
penitenziario” (§274).
82
European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission
bilanciare i motivi per incarcerare una persona, perché tali ragioni sono di una certa
gravità” (BELDA, ibid.).
Si potrebbe obiettare a questo punto di vista che così facendo la Corte, che oggi è meglio
informata delle reali condizioni in cui sono prestate le cure mediche in carcere e
dell’impatto della condanna sul malato, non fa altro che proteggere “dei diritti che non
sono teorici e illusori ma concreti ed effettivi”, secondo la sua linea di condotta più
tradizionale229. Inoltre i meccanismi giuridici della liberazione anticipata previsti a livello
nazionale mirano precisamente ad assicurare la sussidiarietà dell’intervento della Corte.
Soprattutto, nonostante una dinamica che tende alla sua estensione, l’obbligo di
scarcerare i malati gravi è ancora apparentemente limitato alle situazioni più estreme.
Nella maggior parte dei casi il requisito della Corte ha a che fare meno con la decisione
di continuare la detenzione che con le sue condizioni, tenuto conto dello stato di salute
del detenuto. Il pericolo di questo approccio è la medicalizzazione della detenzione al
fine di estendere il più possibile l’incarcerazione dei “casi limite”. Questa impostazione
rischia di trasformare i medici in esecutori della pena. Sotto questo aspetto vale la pena di
ricordare i principi dell’ONU sull’etica medica in carcere, secondo cui “[è] una
violazione dell’etica medica che il personale sanitario, in particolare i medici […]
[c]ertifichi o partecipi a certificare l’idoneità dei prigionieri e dei detenuti a qualsiasi
forma di trattamento o di punizione che possa influire negativamente sulla loro salute
fisica o mentale e che non sia conforme agli strumenti internazionali rilevanti, o
partecipi in qualsiasi modo all’inflizione di un trattamento o di una punizione contrari
agli strumenti internazionali rilevanti”230. E tuttavia l’aumento della durata delle pene
osservato in numerosi Stati esacerba automaticamente il problema della grande
dipendenza nella detenzione231. Tale situazione richiede una chiara affermazione
dell’obbligo di scarcerare i detenuti molto malati o gravemente dipendenti per motivi di
salute.
229
Corte europea dei diritti dell’uomo, Airey v. the United Kingdom, 9 ottobre 1979, §24.
Principi di etica medica relativi al ruolo del personale sanitario, in particolare medici, nella protezione
dei prigionieri e dei detenuti contro la tortura e gli altri trattamenti o punizioni crudeli, disumani o
degradanti, approvati dall’Assemblea generale con la risoluzione 37/194 del 18 dicembre 1982.
231
Cfr. PACE, Recommendation 2082 (2015) e Resolution 2082 (2015) sul destino dei detenuti gravemente
malati in Europa.
230
83
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SECONDA PARTE – RAPPORTO COMPARATO
1. TIPOLOGIA ISTITUZIONALE: ORGANI SPECIALIZZATI / ORGANI ORDINARI
1. Essendo il prodotto delle tradizioni giuridiche nazionali, gli organi competenti a
conoscere dei reclami dei detenuti, ai sensi dell’articolo 13 della Convenzione EDU,
assumono forme diverse.
2. Per lo più i reclami dei detenuti rientrano in competenze diverse a seconda dell’oggetto
(ad esempio porre fine a una violazione — un rimedio preventivo — o risarcirla –
"rimedio compensatorio") o della condizione personale del ricorrente (per esempio
detenuto condannato o in attesa di giudizio).
3. Possiamo però classificarli in base all’istituzione vista come l’organismo principale
deputato a proteggere i diritti dei detenuti. Sotto questo aspetto i modelli sono
essenzialmente due: organi specializzati (organo con altre funzioni o istituito
appositamente per il contenzioso penitenziario) e organi ordinari (amministrativi o
giudiziari).
1.1 Organi specializzati con competenza esclusiva o prevalente
4. Ci sono due tipi di organi specializzati. Il primo tipo ha competenza sui reclami dei
detenuti oltre a svolgere altre funzioni, e generalmente è investito di questa funzione con
l’individualizzazione della pena. Il secondo tipo è rappresentato da organismi istituiti
appositamente per la salvaguardia dei diritti dei detenuti, che è il loro scopo essenziale.
1.1.1 Organi il cui compito principale è l’individualizzazione della pena
Italia
5. Tradizionalmente l’unica autorità giudiziaria competente a proteggere i diritti dei
detenuti era il Tribunale di Sorveglianza, istituito dalla legge del 26 luglio 1975. Questa
legge escludeva la giurisdizione del giudice amministrativo sui reclami dei detenuti. Il
giudice amministrativo ha il dovere generale di valutare la legalità delle decisioni
amministrative e ha il potere di annullarle se viziate da incompetenza, violazione di legge
o eccesso di potere. Il Tribunale di Sorveglianza non ha gli stessi poteri (vedi più sotto).
6. Il 23 dicembre 2013, sotto la pressione della CEDU, è stata approvata una legge diretta
ad attuare il diritto dei detenuti di ricorrere al Tribunale di Sorveglianza, coprendo in
particolare la questione del sovraffollamento carcerario. Il giudice competente a
proteggere i diritti dei detenuti rimane il Tribunale di Sorveglianza, tranne che per i
ricorsi di lavoro carcerario che devono essere indirizzati al giudice ordinario.
84
European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission
7. Il Magistrato di sorveglianza (organo monocratico) ha il dovere di sorvegliare
l’organizzazione del carcere e di dare pareri al Ministero della Giustizia e il potere di:





decidere sull’applicazione delle misure di sicurezza per i condannati considerati
socialmente pericolosi (soggetti non imputabili con disturbi mentali (detenzione in
ospedale psichiatrico), espulsione degli stranieri condannati);
controllare e approvare il programma di trattamento svolto dal personale
penitenziario;
controllare il rispetto dei diritti dei detenuti;
applicare le misure alternative alla detenzione (come liberazione condizionale,
arresti domiciliari, etc.);
controllare la corretta applicazione delle sanzioni disciplinari ai detenuti;
8. Questa protezione include i detenuti condannati, gli internati negli ospedali psichiatrici
e i detenuti in attesa di giudizio, perché l’art. 35 si riferisce genericamente a “detenuti” e
“internati”.
9. Il Tribunale di sorveglianza non aveva ancora un rimedio risarcitorio generale per la
violazione delle norme sul lavoro carcerario, e pertanto non poteva disporre un rimedio
effettivo nel caso di asserita violazione delle norme, per esempio sulla retribuzione232.
10. Per quel che riguarda l’articolo 3 della Convenzione EDU, il procedimento è diverso
a seconda delle possibile alternative.
1) I detenuti condannati possono ricorrere al Magistrato di sorveglianza, direttamente o
tramite un avvocato. La decisione del Magistrato può essere impugnata davanti al
Tribunale di sorveglianza, la cui decisione può essere a sua volta impugnata in
Cassazione.
2) Gli ex detenuti e i detenuti in attesa di giudizio possono ricorrere al giudice civile,
direttamente o tramite un avvocato. Il procedimento è disciplinato dal codice di
procedura civile. Il giudice decide in camera di consiglio e la decisione può essere
impugnata davanti al Tribunale civile entro 10 giorni.
Spagna
11. L’autorità giudiziaria competente a proteggere i diritti dei detenuti è un giudice
penitenziario (Juez de Vigilancia Penitenciaria), anche se su alcune questioni hanno
232
Questo è il motivo di ricorso dei detenuti più frequente in Italia (la retribuzione non è più stata
aggiornata dal 1994).
85
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poteri decisionali anche l’ultimo tribunale che ha condannato il detenuto e il giudice
dell’esecuzione penale.233
12. Il Giudice di vigilanza penitenziaria ha funzioni giurisdizionali sull’esecuzione delle
condanne a pena detentiva e delle misure di sicurezza. Esercita il controllo giurisdizionale sui
poteri disciplinari delle autorità carceraria e ha competenza sulla tutela dei diritti e dei
benefici dei reclusi, oltre ad altre funzioni previste dalla legge. È sempre un giudice
monocratico.
13. Il Giudice centrale di vigilanza penitenziaria (“Juez Central de Vigilancia
Penitenciaria”) svolge le stesse funzioni ma per i detenuti condannati dalla “Audiencia
Nacional” (un tribunale con giurisdizione su alcuni specifici reati). Ha sede a Madrid. È
sempre un giudice monocratico.
14. La Sezione penitenziaria del Tribunale provinciale in ogni provincia (“Audiencia
Provincial”) decide sui ricorsi contro le decisioni del Giudice di vigilanza penitenziaria. Le
cause sono trattate da un collegio di tre membri.
15. La Seconda camera della “Audiencia Nacional” decide sui ricorsi contro le decisioni
del Giudice centrale di vigilanza penitenziaria. Ha sede a Madrid. Le cause sono trattate da un
collegio di tre membri.
16. La Seconda camera del Tribunale supremo decide sui ricorsi contro le decisioni del
Giudice di vigilanza penitenziaria che respingono una progressione di categoria o la libertà
condizionale. Il Tribunale supremo ha anche il compito di assicurare un’interpretazione
coerente e uniforme delle norme penitenziarie in alcuni casi. Le cause sono trattate da un
collegio di tre membri.
17. Il Tribunale costituzionale decide sui ricorsi che denunciano la violazione dei Diritti
fondamentali. È l’ultima istanza giurisdizionale nazionale prima di ricorrere alla CEDU nel
caso di violazione dei diritti fondamentali.
18. Tutte queste autorità giudiziarie sono organi imparziali: l’articolo 117.1 della
Costituzione afferma che: “Giudici e magistrati possono essere rimossi, sospesi dal servizio,
trasferiti o destituiti per i motivi e con le garanzie previste dalla legge”.
Germania
233
I detenuti in attesa di giudizio sono di competenza del giudice che ha deciso la custodia cautelare per
quel che riguarda i permessi, la continuità in carcere, l’intercettazione delle comunicazioni fra detenuto e
avvocato, etc. Per altre materie come reclami, richieste o sanzioni connesse alla vita in carcere i detenuti in
attesa di giudizio sono di competenza del Giudice di vigilanza penitenziaria. Anche i detenuti condannati
che non sono stati ancora classificati sono di competenza del giudice che ha pronunciato la condanna per
quel che riguarda i permessi. Per quel che riguarda le sanzioni disciplinari, il Giudice di vigilanza
penitenziaria è l’autorità competente in tutti i casi.
86
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19. La legge penitenziaria federale prevede la possibilità di ricorso giurisdizionale contro
ogni provvedimento (o atto) che violi i diritti di un detenuto, come sancito per tutti i tipi
di provvedimenti (o atti) amministrativi dall’articolo 19,4 della Legge fondamentale.
L’autorità competente è il Tribunale per l’esecuzione delle pene detentive (tribunale
penitenziario, Strafvollstreckungskammer) con sede presso il tribunale locale e l’appello
è davanti alla sezione penale dell’Alta corte regionale (Oberlandesgerichte).
20. Il Tribunale per l’esecuzione delle pene detentive è composto da un solo giudice nella
maggior parte dei casi, e da tre giudici per le decisioni riguardanti ergastolani o la
detenzione psichiatrica. Anche se i tribunali hanno una competenza territoriale, c’è
sempre la possibilità che il controllo giurisdizionale dei provvedimenti penitenziari sia
delegato a un tribunale locale che ha esperienza e contatto con questioni penitenziarie.
21. L’idea di istituire tribunali vicini alle prigioni poggiava sull’assunto teorico che in
questo modo i giudici sarebbero stati più familiari con la vita e i problemi del carcere. In
pratica i giudici dei tribunali penitenziari si recano raramente in carcere, e la vicinanza fra
giudici e direttori del carcere (che vengono da un percorso di studi simile) impedisce un
esame imparziale e completo delle richieste dei detenuti.
22. Il tribunale penitenziario in composizione monocratica non quasi alcun contatto con i
detenuti, cosicché le sue attività sono considerate puramente burocratiche, talvolta con
gravi deficienze nella conoscenza dei problemi del carcere.
23. Inoltre i tribunali penitenziari hanno competenza sia sulle questioni disciplinari che
sull’esecuzione delle condanne. Questa sovrapposizione di competenze pone un
problema, perché il tribunale può essersi fatto un’idea negativa di un certo detenuto a
causa della natura dei suoi reclami, e ciò può pregiudicare le sue opinioni quando deve
decidere sulla liberazione.
24. In Germania le controversie concernenti la responsabilità dello Stato rientrano nella
competenza dei giudici civili ma seguono regole di diritto pubblico che derogano alle
norme generalmente applicabili. La protezione dei diritti dei detenuti in attesa di giudizio
è di competenza del giudice che ha ordinato la custodia cautelare.
25. Negli ultimi decenni il controllo giurisdizionale sulle carceri è stato dominato dalla
giurisprudenza nazionale. La Corte costituzionale federale tedesca (FCC) ha avuto un
ruolo importante che ha influito sul diritto e sulla prassi penitenziari in molte materie.
Austria
87
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26. Il direttore del carcere decide sui reclami contro un comportamento o un ordine di un
membro del personale penitenziario. A decidere sui reclami contro una decisione, un
ordine o un comportamento del direttore è il tribunale penitenziario (Vollzugsgericht) con
sede presso il tribunale regionale.
27. Il tribunale penitenziario con sede in ognuna delle quattro Alte corti regionali è
rappresentato da un “consiglio penitenziario” (Vollzugssenat) – una specie di Alta corte
penitenziaria – costituito da due giudici togati e un giudice laico. Il giudice laico deve
provenire dai ranghi dei direttori di carcere o del personale penitenziario esperto e dura in
carica sei anni. Il collegio deve essere presieduto da un magistrato. Il consiglio
penitenziario è competente a decidere sui reclami contro la decisione/ordine del direttore
del carcere, contro la violazione di un diritto soggettivo a causa di un comportamento del
direttore, e contro l’eccesso di potere decisionale del direttore. Le sue decisioni sono
impugnabili davanti al Tribunale amministrativo.
28. Il consiglio penitenziario di Vienna ha un ruolo speciale: decide sui ricorsi presentati
in tutta l’Austria contro le decisioni dei tribunali penitenziari locali e di altri consigli
penitenziari, contro le decisioni del Ministero della giustizia e sui ricorsi contro l’eccesso
di potere del Ministero della giustizia.
Romania
29. Secondo la legge 254/2013 sull’esecuzione delle pene e dei provvedimenti privativi
della libertà, un giudice di sorveglianza (ro. Judecatorul de supraveghere a privarii de
libertate) è distaccato in ogni prigione con il compito di ‘sorvegliare e controllare la
legalità dell’esecuzione delle pene detentive’. In linea con questo compito il giudice di
sorveglianza risponde a i reclami dei detenuti concernenti i loro diritti, il regime
carcerario e le sanzioni disciplinari.
30. Per ottenere un rimedio preventivo i detenuti possono ricorrere direttamente al
giudice penitenziario e, contro la decisione di quest’ultimo, al tribunale penale ordinario.
31. Riguardo al rimedio compensatorio per violazione dell’articolo 3 della Convenzione
EDU, i detenuti possono ricorrere al giudice civile.
1.1.2 Organi istituiti appositamente per salvaguardare i diritti dei detenuti
Olanda
32. La competenza completa sui reclami dei detenuti spetta alla commissione ordinaria
per i reclami sin dalla sua istituzione nel 1977.
88
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33. Ogni prigione è dotata di una Commissione di sorveglianza (Commissie van Toezicht
- CvT) con la propria commissione per i reclami. La CvT è nominata dal Ministero della
giustizia per ogni istituto penitenziario. È l’organismo principale a cui ricorrere.
34. La composizione della CvT – così come è stata concepita – è un riflesso della società
e sono costituite da almeno 6 o più persone, a seconda del numero di membri deciso dal
Ministero. Oggi la CvT non ha più il compito di amministrare l’istituto ma ne è
indipendente. In ogni caso la CvT comprende un magistrato (in quanto cittadino
indipendente), un medico, un avvocato e un esperto di lavoro sociale in comunità. Inoltre
non tutti possono farne parte, soprattutto coloro la cui indipendenza è dubbia, per
esempio a causa del posto che occupano nel sistema della giustizia.
35. I membri della CvT controllano il trattamento dei detenuti e possono avere contatti
con loro a questo fine, oltre a dare consigli se necessario al direttore dell’istituto ed
eventualmente pareri al Ministero della giustizia. Possono accedere in ogni momento a
qualsiasi luogo dell’istituto penitenziario. Ogni mese un membro della CvT è nominato
"Commissario del mese", che significa che almeno una volta al mese fa le sue ore di
lavoro in ufficio, riceve i reclami scritti e prima cerca di risolverli mediando fra i reclusi e
il personale penitenziario e poi ne informa il plenum della CvT, che si riunisce
mensilmente con il direttore dell’istituto.
36. Il ricorso scritto contro le decisioni della CvT è sempre deciso da un collegio di tre
membri.
37. Il giudice di prima istanza ha anche il compito di proteggere i diritti fondamentali dei
detenuti.
Belgio – Un tentativo abbandonato di recepire il modello olandese
38. Il legislatore belga ha tentato di copiare il sistema olandese istituendo un meccanismo
di garanzia costituito da una commissione per i reclami in ogni carcere le cui decisioni
avrebbero potuto essere impugnate davanti al Consiglio centrale di sorveglianza
penitenziaria (Conseil central de surveillance pénitentiaire).
39. Le disposizioni della legge penitenziaria del 2005 sul diritto di reclamo e i suoi organi
di garanzia non sono ancora entrate in vigore. Uno dei motivi dell’ineffettività di questo
diritto è il fatto che vari decreti reali di attuazione della legge del 2005 non sono ancora
entrati in vigore. Le autorità sembrano aver abbandonato ogni idea di adeguarsi alle
prescrizioni e al piano d’azione disposti dal Consiglio d’Europa nel 2016 nel quadro
89
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dell’adempimento della sentenza quasi pilota Vasilescu c. Belgio. Il governo belga rifiuta
di istituire delle commissioni per i reclami, sebbene ciò sia stato votato dal Parlamento.
1.2 Competenze dei giudici ordinari
Francia
40. Le controversie penitenziarie sono di competenza dei tribunali amministrativi se
concernono il funzionamento del servizio penitenziario pubblico, cioè il rapporto fra i
detenuti e l’amministrazione (di solito il carcere o i servizi sanitari).
41. I tribunali amministrativi di diritto comune (che comprendono i tribunali
amministrativi, i tribunali amministrativi d’appello e, in cima alla scala, il “Conseil
d’État”, il Consiglio di Stato francese, in sigla CE) sono quindi gli organi a cui è deputato
essenzialmente di proteggere i diritti dei detenuti all’interno del carcere. Conoscono delle
controversie sulle condizioni materiali di detenzione, sulle sanzioni disciplinari,
sull’accesso all’assistenza sanitaria, i trasferimenti, etc. Negli anni 2000 la costruzione
del diritto penitenziario è avvenuta in gran parte per via giurisprudenziale riassumendosi
la legge penitenziaria del 24 novembre 2009, per quel che riguarda i diritti dei detenuti, in
una codificazione di principi e diritti già riconosciuti dai giudici.
42. Per parte loro i tribunali ordinari hanno competenza sulle controversie relative “alla
natura e ai limiti di una pena inflitta da un organo giudiziario e la cui esecuzione è
affidata alla diligenza del pubblico ministero” o agli atti inerenti allo svolgimento di un
procedimento giudiziario o che ne sono inseparabili.
43. Il giudice ordinario interviene in materia penitenziaria essenzialmente per concedere
una riduzione di pena ai condannati. A ciò provvedono delle sezioni specializzate dei
tribunali penali (in prima istanza, secondo il caso, giudice di applicazione delle pene o
tribunale di applicazione delle pene; in appello, la sezione di applicazione delle pene
della Corte d’appello; in Cassazione, solo per controllare l’esatta applicazione del diritto,
la sezione penale della Corte di Cassazione). I procedimenti di sospensione della pena e
di liberazione condizionale per motivi medici portano questi tribunali a conoscere delle
condizioni di detenzione e dell’assistenza sanitaria prestata.
44. Per quel che riguarda gli accusati, il giudice ordinario può esaminare le condizioni di
detenzione in relazione alla richiesta di scarcerazione se “sono allegati elementi
concernenti la persona in questione, sufficientemente gravi da mettere in pericolo la sua
salute fisica e mentale”. La portata di questo principio è incerta, in mancanza di
applicazioni positive. Oltre a ciò, la legge prevede che il giudice possa rimettere in libertà
un accusato in caso di patologia con pericolo la vita o di stato fisico o psichico
incompatibile con la detenzione.
90
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45. In definitiva, i tribunali di applicazione delle pene hanno solo una competenza
limitata o residuale in materia di controllo sull’amministrazione. Inoltre, in materia
penitenziaria, la giurisprudenza della Corte di Cassazione è assai poco attenta al diritto
europeo, in particolare a causa di un controllo limitato alla motivazione delle decisioni
che le sono sottoposte.
46. Il Consiglio costituzionale può essere investito nel quadro di una questione prioritaria
di costituzionalità (QPC). Tuttavia, sei anni dopo l’entrata in vigore della QPC, la
giurisprudenza testimonia in gran parte un’assenza di tutela costituzionale dei diritti dei
detenuti: il Consiglio si è pronunciato solo su due ricorsi, il primo relativo a una
disposizione legislativa che non era già più in vigore, e il secondo a una disposizione in
corso di modifica in Parlamento.
Bulgaria
I tribunali amministrativi
47. La giustizia amministrativa bulgara (28 tribunali amministrativi regionali e un
Tribunale amministrativo supremo) ha competenza su tutti i ricorsi per ottenere un atto
amministrativo ovvero la sua modifica, revoca o annullamento; un rimedio contro azioni
od omissioni illegittime dell’amministrazione; il risarcimento dei danni causati da atti,
azioni od omissioni illegali delle autorità amministrative, etc.
48. In materia di diritti dei detenuti, ai tribunali amministrativi arrivano per lo più ricorsi
di detenuti che chiedono il risarcimento dei danni causati dalle cattive condizioni
materiali di detenzione ai sensi della legge sulla responsabilità civile dello Stato e dei
municipi del 1988 (SMRDA).
49. Nel 2015 una commissione congiunta di magistrati del Tribunale amministrativo
supremo e della Corte suprema di Cassazione ha preso una decisione interpretativa per
unificare la giurisprudenza contraddittoria sui conflitti di competenza nelle richieste di
risarcimento danni. La decisione affronta questa domanda: qual è il tribunale competente
a conoscere delle richieste di risarcimento dei danni da decisioni, atti od omissioni
illegittimi dell’amministrazione penitenziaria, i tribunali ordinari o quelli amministrativi?
I giudici supremi hanno deciso all’unanimità che è competente il tribunale
amministrativo, affermando chiaramente che l’amministrazione penitenziaria è parte del
potere esecutivo e, come tale, i suoi atti e decisioni hanno natura amministrativa.
Ciononostante, anche dopo questa decisione interpretativa, il Tribunale amministrativo
supremo ha continuato a sindacare decisioni e azioni dell’amministrazione penitenziaria
che esulano dall’ambito del diritto amministrativo.
I tribunali ordinari – sezioni civili
91
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50. I detenuti hanno un accesso molto limitato ai tribunali civili. Secondo la legge
sull’esecuzione delle condanne e delle pene detentive (ESDA), la decisione del direttore
di operare delle ritenute dalla retribuzione mensile di un detenuto a titolo di risarcimento
danno è impugnabile davanti al tribunale distrettuale. Tuttavia non si trova
giurisprudenza su questo tema.
I tribunali ordinari – sezioni penali
51. In primo luogo, le sezioni penali dei tribunali ordinari intervengono nell’esecuzione
delle condanne. Le decisioni che inaspriscono la condizione giuridica del detenuto o il
regime di sicurezza sono prese dal tribunale regionale. Questo tribunale decide inoltre
sulla libertà condizionale e sulla sostituzione dell’ergastolo con una pena detentiva
temporanea. In secondo luogo le decisioni del direttore sull’isolamento a scopo
preventivo o come sanzione disciplinare e sulla confisca dei beni dei detenuti sono
impugnabili davanti al tribunale distrettuale competente per l’istituto penitenziario.
Il Pubblico ministero
52. L’ufficio del Pubblico ministero controlla la legalità dell’esecuzione di ogni
condanna, compresa la “privazione della libertà”. Il Pubblico ministero può ispezionare
un carcere senza l’autorizzazione preventiva dell’amministrazione come pure controllare
i documenti in base ai quali un individuo è detenuto; può parlare con i detenuti in privato,
esaminare proposte, reclami e richieste relativi all’esecuzione della pena, etc.
53. Nella sentenza Neshkov la CEDU ha affermato chiaramente che i reclami al Pubblico
ministero non sono un rimedio effettivo contro le violazioni dei diritti dei detenuti. La
Corte evidenzia due gravi insufficienze del procedimento di reclamo: “il reclamo al
Pubblico ministero non discende da un diritto soggettivo del reclamante ad avere giustizia
e il Pubblico ministero non ha l’obbligo di esaminare tale reclamo con la partecipazione
del detenuto o di garantire la sua partecipazione effettiva nel procedimento”.
Belgio
I tribunali amministrativi
54. In Belgio la competenza sulle controversie penitenziarie spetta al giudice
amministrativo. Al vertice della giustizia amministrativa c’è il Consiglio di Stato,
competente a giudicare e valutare la legalità delle decisioni e degli atti amministrativi del
governo e delle amministrazioni.
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55. Il Consiglio di Stato si è dichiarato competente a conoscere dei ricorsi contro le
sanzioni disciplinari perché non sono "semplici provvedimenti interni" ma hanno
implicazioni per la condizione giuridica dei reclusi (11 marzo 2003).
I tribunali civili
56. I detenuti hanno accesso anche ai tribunali civili (“tribunal de première instance” –
tribunale di prima istanza) se possono sostenere di aver subito un danno diretto dalla
violazione di un diritto soggettivo. Quando un detenuto chiede il risarcimento del danno
causato da un provvedimento che lede un suo diritto soggettivo, un giudizio di merito
davanti al giudice civile è perciò ipotizzabile. Ciononostante l’accesso ai tribunali civili è
molto limitato e la giurisprudenza in materia è piuttosto scarsa: l’urgenza delle situazioni
vissute spinge quasi sempre i detenuti a rivolgersi al Presidente del Tribunale di prima
istanza per ottenere un provvedimento cautelare. In sede cautelare il giudice agisce per
prevenire un danno e fare tutto il necessario per impedirlo, mentre nella composizione
ordinaria il Tribunale agisce per concedere un rimedio.
Inghilterra e Galles
57. Il Tribunale amministrativo è una sezione specializzata della Queen's Bench Division
dell’Alta corte di giustizia di Inghilterra e Galles. Si occupa principalmente di questioni
di diritto amministrativo e opera un sindacato giurisdizionale sulle corti e sui tribunali
inferiori ed altri organismi pubblici (principalmente per mezzo del procedimento noto
come "judicial review").
58. Il Tribunale amministrativo può sedere in composizione monocratica o in sezione
collegiale. Una sezione collegiale è formata di solito da un Lord Justice of Appeal e da un
giudice dell’Alta corte.
59. Per quel che lo riguarda, anche se è disciplinato da norme procedurali specifiche, il
Garante non ha poteri vincolanti nei confronti dell’amministrazione penitenziaria e perciò
non può essere propriamente considerato un rimedio effettivo interno (si veda il report
nazionale per una descrizione più completa).
Irlanda
60. In Irlanda la competenza sulle controversie penitenziarie spetta ai giudici ordinari –
l’Alta corte e la Corte d’appello (e la Corte suprema come ultima istanza). Come
l’Inghilterra e il Galles, l’Irlanda ha un meccanismo di reclamo precisamente definito,
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che tuttavia non costituisce uno strumento di ricorso conforme all’articolo 13 della
Convenzione (si veda il report nazionale per una descrizione più completa).
2. TIPOLOGIA SOSTANZIALE: DECISIONI E AZIONI SOTTO CONTROLLO GIURISDIZIONALE
61. La consacrazione delle garanzie procedurali segna il declino delle costruzioni
dottrinali che con vari nomi — "provvedimenti speciali", "poteri impliciti", "non
ingerenza" — avevano in comune di ritenere i detenuti privati dei loro diritti a causa della
carcerazione e delle esigenze di ordine e sicurezza dell’autorità.
62. Ancora oggi la difesa dei diritti fondamentali dei detenuti rimane indebolita, certo in
misura diversa nei diversi Stati, dalla persistenza di fattori che risalgono a queste dottrine.
Il loro peso si fa sentire nella portata dei controlli effettuati (alcuni provvedimenti o
decisioni possono ancora essere privi di rimedi) o nella loro intensità (ampiezza dei poteri
discrezionali dell’autorità).
63. Logicamente, ogni prima messa in questione di tali teorie nel diritto nazionale è
chiaramente correlata all’estensione del controllo operato dai giudici. La messa in
questione più o meno consapevole, e la conseguente apertura di possibili rimedi, può
avvenire a seconda dei casi grazie al legislatore o grazie alle corti (a livello nazionale o a
quello della Corte europea).
64. Germania, Francia e Italia sono esempi caratteristici dell’apertura di canali di ricorso
a opera di decisioni giuridiche nazionali o della Corte europea dei diritti dell’uomo.
65. L’apertura può essere operata direttamente dal giudice, come in Francia dove,
dall’inizio di questo secolo, il giudice amministrativo ha progressivamente accettato di
aprire l’aula sotto la pressione della giurisprudenza europea.
66. Può avvenire direttamente, dove il legislatore non aveva altra scelta che iniziare un
contenzioso, come è accaduto in Germania durante gli anni settanta.
67. L’Olanda è un caso a parte. L’apertura di canali è stata opera dell’esecutivo e del
Parlamento che hanno messo all’ordine del giorno le riforme che hanno portato a questi
sviluppi. Oltre per le sanzioni disciplinari, i detenuti possono reclamare per il rifiuto delle
visite in carcere, i controlli sulla corrispondenza o qualsiasi altro provvedimento che violi
i loro diritti soggettivi, o per il trasferimento in un particolare carcere. Ogni recluso ha
diritto di ricorrere alla Commissione per i reclami contro le decisioni del direttore che lo
riguardano. L’assenza di una decisione equivale a una decisione.
68. Scegliendo il termine ‘decisioni’, il legislatore intendeva escludere i reclami contro
comportamenti puramente fattuali del personale, purché non fondati su una decisione del
94
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direttore. Gli atti (od omissioni) del personale nell’adempimento del dovere possono
essere visti in linea di principio come atti del direttore.
69. Per esempio, quando il personale usa violenza contro un detenuto per metterlo in
isolamento, questo comportamento è visto come una decisione del direttore perché il
personale mette un detenuto in isolamento su ordine del direttore. A volte non è chiaro se
certi comportamenti del personale si fondino su istruzioni o sul consenso del direttore. In
tal caso il detenuto può cercare di ottenere una decisione del direttore sul comportamento
del personale. Questa decisione può essere reclamabile.
70. Il termine ‘decisione’ implica anche che non è possibile reclamare contro un parere
del direttore, per esempio il parere dato al funzionario del Ministero della giustizia che
decide sulla selezione e il trasferimento dei detenuti.
71. Infine l’applicazione del criterio della ‘decisione del direttore’ significa che i detenuti
non possono contestare regole generali come il regolamento in vigore nell’istituto di
pena.
72. Riguardo a questo ‘criterio della decisione’, si potrebbe obiettare che priva i detenuti
della possibilità di reclamare specificamente contro le condizioni di detenzione. Per poter
fare ricorso è necessario che l’oggetto sia una decisione del direttore. Questa è una
limitazione importante, che tuttavia in pratica può essere più o meno ‘aggirata’. Per
esempio, nel caso di un certo trattamento da parte di un agente di custodia il detenuto può
rivolgersi al capoufficio del direttore per chiedergli un parere sulla faccenda. Questa è
una decisione che si può impugnare. Questa tattica è chiamata ‘hink-stap sprong’ in
olandese, ovvero ‘salto triplo’.
73. È possibile reclamare contro una norma generale solo in casi specifici, ovvero quando
la norma è in contrasto con un’altra gerarchicamente superiore, ad esempio una regola
codificata dalla CEDU, o quando la norma generale è stata pubblicata troppo tardi. In
alcuni casi il giudice penitenziario ha deciso che il detenuto ricorrente contro una norma
generale in realtà intendesse reclamare contro il modo in cui la regola era stata applicata
al suo caso particolare. Si trattava per lo più di casi in cui il direttore non aveva dichiarato
inammissibile il reclamo.
74. Quando un reclamo è dichiarato inammissibile nel procedimento penitenziario perché
riguarda norme generali, è possibile invocare la tutela giuridica supplementare del
giudice civile.
75. L’esempio belga è l’esatto opposto di quello olandese. Il sistema di rimedi creato dal
legislatore sul modello olandese è stato bloccato dal rifiuto dell’esecutivo di emanare i
decreti applicativi delle disposizioni legislative sui canali di ricorso per i detenuti. La
legge del 2005 prevede espressamente la possibilità che un detenuto contesti una
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decisione che lo riguarda. Di fatto il sistema è neutralizzato dal potere esecutivo che
rifiuta di prendere i provvedimenti regolamentari attuativi della legge. D’altra parte il
giudice amministrativo usa il fatto che la legge penitenziaria non è entrata in vigore come
scusa per limitare il suo intervento ben oltre le questioni di competenza fra giudice
amministrativo e giudice ordinario.
76. In effetti la giurisprudenza del Consiglio di Stato è estremamente restrittiva. Per
esempio, ha respinto le istanze di annullamento della maggior parte dei regolamenti
penitenziari. Per mettere a repentaglio il funzionamento del sistema carcerario e per non
sovrapporsi alle prerogative e alle competenze del potere giudiziario, ha definito il suo
ambito di intervento usando l’espressione 'provvedimenti interni’ come criterio del
contenzioso amministrativo. Questa nozione è utilizzata per respingere ricorsi ritenuti
inammissibili perché il provvedimento contestato è regolato esclusivamente dal
funzionamento interno dell’amministrazione. Il supremo tribunale amministrativo ha
infatti affermato, nella fondamentale sentenza De Smedt (2003), che un provvedimento
preso per assicurare il buon funzionamento e l’ordine all’interno del carcere, ma che
potrebbe causare disagi ai detenuti per il suo carattere disciplinare, non può essere
oggetto di un’azione di annullamento. La sfera di competenza del Consiglio di Stato è
molto ristretta e limitata. L’annullamento è possibile solo se il provvedimento
disciplinare ha per oggetto la punizione di un detenuto che si è comportato male. In una
decisione del 28 giugno 2012 il Consiglio di Stato ha ampliato il suo ambito di
intervento, accettando di controllare la legalità di specifiche misure di sicurezza
(proibizione di attività, controllo della corrispondenza, sorveglianza diurna e notturna,
etc.) applicate al ricorrente, ritenendo che la decisione contestata fosse stata "presa per il
comportamento passato e presente del ricorrente e non per una minaccia permanente
alla sicurezza dell’istituto". Tuttavia la portata di questo progresso è incerta: nel
dicembre 2012, nel caso Hilami, di natura simile, il Consiglio di Stato ha ritenuto che il
ricorrente non avesse dimostrato che lo scopo unico o principale del provvedimento
contestato fosse quello di punirlo e ha affermato che si trattava di un provvedimento di
ordine interno.
77. La giurisprudenza molto restrittiva del Consiglio di Stato belga riflette principalmente
il rifiuto di esercitare un controllo effettivo sulle carceri. Nella sentenza Hilami il
Consiglio ha affermato che “se il ricorrente si ritiene vittima di abusi commessi dalle
autorità carceraria, sta a lui denunciarli davanti ai tribunali che hanno competenza
esclusiva su tali materie ai sensi dell’articolo 144 della Costituzione”, cioè il giudice
ordinario – non il giudice amministrativo.
78. Il confine tra provvedimento interno e sanzione disciplinare è sottile e tenue, come
mostra il problema delle “sanzioni dissimulate”. Alcuni avvocati ritengono che il
controllo esercitato dal Consiglio di Stato sarebbe legittimo per quel che riguarda i
96
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provvedimenti interni come minimo quando “hanno per effetto dei cambiamenti
significativi nella situazione giuridica del detenuto”.
79. È in questo contesto che a partire dagli anni ottanta i tribunali civili hanno elaborato
una limitata giurisprudenza sulle condizioni di detenzione in carcere e negli istituti di
difesa sociale. Un certo numero di ricorsi in ambiti specifici sono stati considerati
ammissibili in sede cautelare, concernenti la detenzione illegale, l’applicazione di speciali
misure di sicurezza, il sistema individuale di sicurezza specifica, il trasferimento in un
altro istituto, le perquisizioni, il rifiuto o la revoca della liberazione condizionale, il
mancato trasferimento di un internato in un istituto di difesa sociale, l’isolamento per
ragioni mediche (detenuti affetti da AIDS), il diritto all’informazione e l’imposizione di
un trattamento inumano e degradante. In numerose decisioni recenti si può anche
osservare il riferimento alla giurisprudenza della CEDU sull’articolo 3 della
Convenzione, o ai rapporti del CPT, il che tende a sottolineare l’influenza crescente sui
giudici belgi del controllo diretto o indiretto delle autorità europee.
80. Per parte sua la Germania è un caso unico, perché l’apertura delle possibilità di
contestare gli atti delle autorità carcerarie è venuta molto presto, a opera degli stessi
giudizi e all’inizio senza alcuna pressione dall’Europa. I giudici tedeschi oggi includono
la giurisprudenza e la normativa non vincolante (soft law) del Consiglio d’Europa fra i
principi di riferimento per l’incarcerazione.
81. In virtù di una tutela giurisdizionale garantita dalla Legge fondamentale, chiunque
lamenti la violazione di un suo diritto fondamentale da parte delle pubbliche autorità ha
diritto di portare la questione davanti a un giudice. Inoltre, come qualsiasi cittadino, i
detenuti possono portare un caso davanti alla Corte costituzionale federale, a condizione
che sia in gioco uno dei diritti umani fondamentali riconosciuti dalla Legge fondamentale
(il rispetto della dignità, il diritto alla vita e all’integrità fisica, etc.) e che siano stati
esperiti tutti gli altri mezzi di ricorso.
82. La dottrina della “relazione speciale di autorità” fu inequivocabilmente screditata da
una decisione pionieristica della Corte costituzionale nel 1972. Va sottolineato che la
legge penitenziaria del 1976 fu il risultato di decisioni della Corte costituzionale federale.
Spinto da varie decisioni della Corte, il legislatore creò un quadro dei diritti e dei doveri
dei detenuti e istituì un sistema di tribunali speciali (Strafvollstreckungsgerichte) per
decidere sui reclami dei detenuti e sulla richiesta di libertà condizionale.
83. La legge penitenziaria federale contempla al § 109 la possibilità di un ricorso
giurisdizionale se un provvedimento (o atto) qualsiasi viola un diritto del detenuto; ciò è
garantito per tutti i tipi di provvedimenti (o atti) amministrativi dall’articolo 19.4 della
Legge fondamentale.
97
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84. La Corte costituzionale ha richiesto fra l’altro l’approvazione di una legge
penitenziaria per gli adulti nel 1977 di una legge penitenziaria speciale per i minori nel
2006.
85. La Corte ha sempre affermato che il principio dello Stato di diritto (Rechtsstaat),
secondo cui i diritti fondamentali possono essere limitati solo dalla legge, vale per tutti i
cittadini – compresi i detenuti. La Corte ha deciso nel 1973 che i detenuti devono essere
riabilitati nel rispetto della loro dignità umana e degli altri principi costituzionali,
garantendo con ciò sia i loro interessi che quelli della società. Pertanto questa decisione
ha formalizzato un diritto alla riabilitazione di rango costituzionale.
86. La Corte ha affermato con chiarezza che i giudici devono tener conto dei principi
internazionali, in particolare le Regole penitenziarie europee e i rapporti del CPT, nel
valutare il trattamento dei detenuti (17 ottobre 2012, - 2 BvR 736/11).
Nell’ottobre 2013 un caso deciso da un tribunale regionale (LG Augsburg) ebbe un po’ di
notorietà nei mezzi di informazione. Il detenuto lamentava le conseguenze psicologiche
di 15 mesi di isolamento. Trascorreva l’ora d’aria separato dagli altri detenuti e doveva
togliersi i vestiti ogni volta che rientrava in cella. Durante i colloqui familiari era
ammanettato e separato con un vetro dai visitatori. Anche se la nozione di “isolamento”
non compare nella normativa penitenziaria, vi compare la nozione di “misure di sicurezza
particolari” (§§ 88 ss. della Legge penitenziaria federale), fra cui la separazione dagli altri
detenuti, senza limiti di tempo.
87. Quanto all’Inghilterra e al Galles, la possibilità di tutela giuridica dei diritti dei
detenuti è stata riconosciuta dai giudici prima di essere potenziata dalla legge del 1998
che ha recepito la Convenzione EDU nell’ordinamento britannico.
88. Nel caso R v Board of Visitors of Hull Prison, Ex p St Germain (1979) la corte ha
dichiarato che "nonostante la privazione della sua libertà generale, un detenuto resta
titolare di diritti residui relativi alla natura e alla condotta del suo incarceramento . . .
Una caratteristica essenziale dei diritti di un soggetto è il portare con sé il diritto di
ricorrere a un giudice a meno che la legge stabilisca altrimenti." Il caso Raymond v.
Honey (1983) ebbe inizio dall’atto di un direttore di prigione che impedì a un detenuto di
ricorrere al giudice. La Camera dei Lord affermò, a p 10 della sentenza, che "nel diritto
inglese un detenuto condannato, nonostante il suo incarceramento, conserva tutti i diritti
civili di cui non sia privato espressamente o per conseguenza necessaria . . .". L’entrata
in vigore dello Human Rights Act del 1998 ha ampliato significativamente la portata del
controllo giurisdizionale.
89. I criteri del controllo giurisdizionale sono divenuti più stringenti con la Convenzione
europea. Poiché i motivi per invocare la tutela giurisdizionale non sono diversi nel
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contesto del diritto penitenziario che in ogni altra branca del diritto, le decisioni possono
essere impugnate per illegalità, irregolarità procedurale, irrazionalità o, nel caso di diritti
protetti dallo Human Rights Act del 1998, proporzionalità.
90. Oggi, secondo S. Creighton, un avvocato specializzato in diritto penitenziario,
l’ordinamento giuridico “garantisce assistenza ai detenuti in quasi tutti gli aspetti della
vita quotidiana in carcere "234, anche se con effetti pratici molto limitati (vedi più sotto).
Le aree in cui i giudici nazionali si sono dimostrati più attivi sono il diritto all’assistenza
legale e la liberazione condizionale. Qui, come sottolinea S. Creighton, "i giudici hanno
progredito in tandem con la giurisprudenza della Corte europea".
91. Le decisioni concernenti i detenuti che possono essere oggetto di impugnativa
ricadono generalmente nei poteri del Direttore del carcere, del Segretario di Stato, della
Commissione sulla libertà condizionale e, nel caso delle sanzioni disciplinari, il giudice
distrettuale che svolge l’inchiesta indipendente.
92. Anche altri Stati hanno fatto progressi per iniziativa dei giudici, anche se molto più
tardi e spesso con meno coraggio.
93. In Francia, i possibili rimedi sono intervenuti molto tardi. I giudici qualificavano la
maggior parte delle decisioni prese dall’amministrazione come provvedimenti interni non
sindacabili. C’è stata un’evoluzione a partire dal 1995, con la possibilità di impugnare un
isolamento disciplinare. Il controllo giurisdizionale si è ampliato significativamente verso
la fine del 2007, quando il Consiglio di Stato ha stabilito che tutte le decisioni e i
provvedimenti che toccano i diritti umani dei detenuti sono impugnabili. Tuttavia questa
violazione è molto difficile da provare e dei provvedimenti gravi come un trasferimento
di solito non sono impugnabili.
94. La ONG Observatoire international des prisons (OIP-SF) ha lavorato molto per
limitare i provvedimenti di ordine interno non impugnabili, offrendo assistenza legale ai
ricorrenti che, nella maggior parte dei casi, ha portato a progressi nella giurisprudenza su
questo tema dal 2007 in poi. L’OIP-SF è all’origine di un centinaio di sentenze
pronunciate dai tribunali nazionali e di una dozzina di sentenze di condanna della Francia
da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo.
95. Per quel che riguarda il rimedio compensatorio, il Consiglio di Stato ha
recentemente allargato le condizioni per chiamare in causa la responsabilità
dell’amministrazione. Nel diritto francese coesistono tre regimi di responsabilità:
234
S. Creighton, " La défense des détenus en Grande-Bretagne ", in La défense en justice de la cause des
détenus, OIP-CNCDH-CREDOF, 2012.
99
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“responsabilità oggettiva”, “colpa semplice” e “colpa grave”. Abbandonando l’esigenza
di una colpa grave, il Consiglio di Stato ha dapprima ritenuto che una colpa semplice è
sufficiente per far valere la responsabilità dell’amministrazione in caso di suicidio di un
detenuto (2003). Questo regime di responsabilità per colpa semplice è stato poi esteso ai
casi di danni ai beni dei detenuti (2008) e all’ipotesi di morte accidentale di un detenuto
per un incendio appiccato da un compagno di cella (2008).
96. In Italia, prima della sentenza Torreggiani, c’erano solo due casi in cui un detenuto
poteva appellarsi al Tribunale di sorveglianza contro una decisione dell’autorità
carceraria, la violazione delle norme in materia di sanzioni disciplinari o di lavoro
carcerario (articolo 69 dell’ordinamento penitenziario). Una decisione della Corte
costituzionale (2006) ha dichiarato l’incostituzionalità dell’articolo 69 e ha stabilito la
competenza del giudice ordinario nel campo del lavoro carcerario. Questa decisione si
fonda sul fatto che il procedimento davanti al Tribunale di sorveglianza non garantiva un
processo equo perché non tutte le controparti avevano diritto di comparire davanti al
giudice235.
97. In ogni altro caso i detenuti potevano solo iniziare un ricorso non giurisdizionale
davanti al Tribunale: l’articolo 35 dell’ordinamento penitenziario disponeva che i
detenuti potessero comunicare con il Magistrato con un reclamo orale o scritto. Questa
lacuna era stata colmata dalla giurisprudenza nazionale che aveva progressivamente
esteso l’ambito del ricorso giurisdizionale (art. 14-ter) a tutte le violazioni dei diritti dei
detenuti.
98. Dapprima la Corte costituzionale ha riconosciuto nel 1997 che il reclamo generico
previsto dall’articolo 35 doveva considerarsi un ricorso giurisdizionale. Successivamente
la stessa Corte nel 1999 ha invitato il legislatore a estendere il ricorso giurisdizionale
previsto nel campo dei provvedimenti disciplinari e del lavoro carcerario dagli articoli 69
e 14-ter a tutti i casi in cui un detenuto allega la violazione di un diritto.
99. In mancanza di innovazioni legislative, è solo con una decisione (2003) della Corte di
Cassazione che il diritto dei detenuti a ricorrere contro ogni violazione dei loro diritti,
secondo la procedura degli articoli 69 e 14-ter, ha trovato riconoscimento giudiziario. Il
reclamo generico (articolo 35), integrato dalla procedura di agli articoli 69, 71 e 14-ter, è
divenuto così un rimedio generale e una norma cardine del sistema, applicabile in tutti i
casi di violazioni non dotate di un rimedio giuridico specifico.
235
Il diritto costituzionale di difesa non era garantito 1) riguardo al datore di lavoro che non era ammesso a
comparire o a presentare memorie, 2) riguardo ai detenuti perché tutto il procedimento si basa
principalmente su memorie scritte senza un pieno contraddittorio.
100
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100. La legge italiana del 2013, approvata dopo la sentenza Torreggiani, contiene un
ampio ventaglio di norme, dirette in particolare a dare protezione effettiva ai diritti dei
detenuti (l’istituzione di un Garante nazionale e di un nuovo procedimento
giurisdizionale per ricorrere ai Tribunali di sorveglianza).
101. Il detenuto può ricorrere al Magistrato quando l’amministrazione viola una norma
dell’ordinamento penitenziario o dei suoi regolamenti attuativi. Infatti la legge non
afferma che il detenuto può ricorrere contro la violazione di qualsiasi diritto protetto dalla
legge italiana, ma solo di quelli riconosciuti dall’ordinamento penitenziario il quale non
contiene un elenco dei diritti dei detenuti. Contiene soltanto norme sul trattamento dei
detenuti e sull’organizzazione delle istituzioni penitenziarie. Le principali norme che
riconoscono indirettamente dei diritti sono quelle sul “diritto al trattamento” e sul
principio di uguaglianza; sull’igiene personale, il cibo, l’esercizio fisico e lo sport,
l’assistenza medica; sul trattamento dei detenuti condannati; sulle relazioni familiari, i
colloqui e le telefonate; sull’istruzione; sul lavoro carcerario; sulla cura dei figli delle
detenute madri; sulla libertà di religione; sul regime disciplinare; sul diritto a un ricorso
giurisdizionale; sui limiti dei provvedimenti restrittivi; sul regime di alta sicurezza – sui
limiti ai diritti dei detenuti condannati per reati di criminalità organizzata.
102. Va segnalato che, tradizionalmente, i Tribunali di sorveglianza hanno fatto molta
resistenza ad assumersi il compito di proteggere i diritti dei detenuti e hanno concentrato
la loro giurisprudenza principalmente sulle misure alternative e di sicurezza. Per lungo
tempo hanno difeso la loro posizione argomentando che l’ordinamento penitenziario non
conferiva loro alcun potere effettivo per proteggere i diritti dei detenuti contro le
decisioni delle autorità carcerarie. Hanno rifiutato di adattarsi a questo compito anche
quando nel 2009 la Corte costituzionale ha chiarito che le decisioni della Corte sono
vincolanti per l’amministrazione penitenziaria. Questa sentenza è stata trascurata dalla
maggior parte dei Magistrati di sorveglianza. Sulla situazione attuale si veda in seguito.
103. I giudici di altri Stati mostrano un atteggiamento ancora più timido.
104. In Austria, la legge penitenziaria federale prevede la possibilità di un rimedio
giurisdizionale contro ogni provvedimento (o atto) che i violi i diritti di un detenuto.
La legge penitenziaria distingue fra due tipi di reclami.
1) Reclamo per violazione dei diritti pubblici soggettivi (§§ 120 ss.).
101
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105. Un reclamo concernente una questione giuridica può essere presentato ogni volta
che un detenuto è toccato da una decisione/ordine, se lamenta di aver subito una
violazione dei suoi diritti soggettivi e chiede una decisione sull’oggetto del reclamo. Il
reclamo può riguardare qualsiasi decisione, ordine o comportamento del personale
penitenziario. È quindi ammissibile se si presume una violazione di un diritto pubblico
soggettivo. La questione decisiva è se la disposizione legislativa pone soltanto un obbligo
a carico dell’autorità esecutiva o riconosce al detenuto anche un diritto al suo
adempimento. La questione va risolta interpretando ogni singola disposizione. Nel dubbio
si deve assumere che le norme del diritto oggettivo riconoscano anche un diritto
soggettivo.
106. Un diritto soggettivo può trovarsi in ogni articolo della legge penitenziaria, a
seconda di come la si interpreta, per esempio nell’espressione “il detenuto ha diritto a…”.
Un diritto pubblico soggettivo è ad esempio quello al tempo libero fuori dall’edificio e
all’autorizzazione a svolgere attività sportiva, a incontrarsi con un ministro del culto, a
scrivere lettere durante l’orario di lavoro, o ai colloqui.
107. Pertanto è possibile reclamare contro il rifiuto di un permesso; contro una sanzione
disciplinare; contro l’uso della forza; contro il linguaggio umiliante del personale
penitenziario che viola il principio del trattamento.
2) Reclamo per violazione delle norme regolatrici dell’autorità carceraria (§ 122).
108. I reclami di questo tipo sono diretti a contestare il potere di controllo delle autorità
carcerarie. Non iniziano un procedimento formale e non conferiscono il diritto soggettivo
a una decisione. La prassi comune è di informare per iscritto il detenuto sull’esito del
reclamo. Un reclamo sul tipo di cure mediche è possibile solo in questa forma, non come
reclamo a tutela di un diritto soggettivo.
109. Non c’è un obbligo di decidere.
110. In Irlanda, il funzionamento quotidiano delle prigioni è disciplinato dalle Regole
penitenziarie del 2007 (Regole 2007) che delineano la base legislativa del trattamento dei
detenuti.
110. Anche se è generalmente accettato che Regole 2007 siano azionabili in giudizio e
che la loro violazione possa essere oggetto di controllo giurisdizionale, non è chiaro se
tale violazione costituisca anche la violazione di un dovere legislativo. Inoltre le Regole
lasciano un ampio potere discrezionale all’amministrazione e molte sono attuate solo ‘in
quanto è possibile’, aprendo un varco a limitazioni fondate, ad esempio, sul buon ordine e
la sicurezza delle prigioni.
102
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112. Anche se i tribunali irlandesi hanno sempre espressamente affermato che i detenuti
conservano alcuni diritti costituzionali, ha sempre prevalso la dottrina delle limitazioni
necessarie all’esercizio di molti diritti per il fatto dell’incarcerazione. È enunciata nella
sentenza State (McDonagh) v Frawley in cui la corte argomenta che:
113. “… mentre … è detenuto legalmente, molti dei normali diritti costituzionali del
ricorrente sono abrogati o sospesi. Deve accettare la disciplina penitenziaria e adattarsi
all’organizzazione ragionevole della vita in carcere stabilita dalle norme penitenziarie”.
114. Tuttavia le corti riconoscono anche che qualunque limitazione deve essere
proporzionata e che “i diritti che non è necessario comprimere devono continuare a essere
rispettati”. Questo principio è stato enunciato nella sentenza Mulligan v Governor of
Portlaoise Prison (2010) in cui la corte ha affermato che qualunque restrizione
115. “… deve essere proporzionata; un diritto non può essere sminuito al di sotto dei
principi della ragionevole dignità umana e delle aspettative di una società matura. In
quanto è possibile, l’autorità carceraria deve garantire i diritti soggettivi e la dignità di
ogni detenuto.”
116. I giudici irlandesi hanno anche tradizionalmente riconosciuto un ampio margine
discrezionale ai direttori delle prigioni, e in molti casi hanno subordinato la protezione
dei diritti dei detenuti a quella della sicurezza e del buon ordine delle carceri.
117. Va aggiunto che la legge del 2003 dispone un recepimento interpretativo della
Convenzione EDU a livello sub-costituzionale e impone numerosi obblighi alle corti (le
quali devono interpretare e applicare qualunque legge o regola di diritto, in quanto è
possibile, in maniera compatibile con la Convenzione; nell’applicare la Convenzione le
corti devono tenere nel dovuto conto i principi formulati dalla giurisprudenza della
CEDU).
118. La legge del 2003 istituisce due rimedi specifici:
a. un’azione civile per violazione di un dovere legislativo da parte degli “organi
dello Stato”, diretta a ottenere il risarcimento del danno o qualunque altro ristoro
legale. Tale azione è possibile solo in mancanza di qualsiasi altro rimedio;
b. una dichiarazione di incompatibilità (di una disposizione legislativa con la
Convenzione) che può essere motivo per concedere un risarcimento danni ex
gratia.
103
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119. In Bulgaria, per quel che riguarda i tribunali ordinari, il loro intervento
nell’esecuzione della pena è limitato ai casi che toccano in modo significativo i diritti dei
detenuti e perciò esigono maggiori garanzie procedurali. Tali casi sono stabiliti
espressamente dalla legge.
120. In primo luogo, le decisioni su ogni forma di esecuzione della pena che aggiunge
nuove restrizioni alla condizione giuridica o al regime di sicurezza del detenuto spettano
al tribunale regionale. In secondo luogo, le decisioni sull’isolamento a scopo preventivo o
come sanzione disciplinare e quelle del direttore del carcere sulla confisca dei beni del
detenuto sono impugnabili davanti al tribunale distrettuale. Inoltre, la decisione del
direttore di operare delle ritenute dalla retribuzione mensile di un detenuto a titolo di
risarcimento danno è impugnabile davanti al tribunale distrettuale. Infine, il tribunale
regionale è competente a decidere sulla libertà condizionale e sulla sostituzione
dell’ergastolo con una pena detentiva temporanea.
121. Come si vede i tribunali ordinari, distrettuali o regionali, sono competenti a
conoscere di vari tipi di controversie concernenti i diritti dei detenuti. Tuttavia hanno una
competenza circoscritta dalla legge che non copre i reclami contro il trattamento
disumano e degradante connesso al sovraffollamento, alle cattive condizioni materiali,
alla mancanza di servizi igienici, all’accesso all’assistenza sanitaria.
I tribunali amministrativi
122. L’evoluzione del diritto amministrativo in Bulgaria nel decennio scorso ha portato
dei cambiamenti anche nel campo del diritto penitenziario. Essenzialmente, nuovi
strumenti di tutela giurisdizionale contro atti, decisioni e omissioni illegittimi delle
autorità amministrative sono stati introdotti con il Codice di procedura amministrativa del
2006. I detenuti hanno utilizzato questi strumenti, gli ordini preventivi e vincolanti contro
gli atti amministrativi, per contestare alcuni aspetti delle condizioni di detenzione,
comprese la qualità e l’accessibilità dell’assistenza sanitaria. Si dà di seguito una breve
descrizione di questi procedimenti e un’analisi della loro effettività nel proteggere i diritti
dei detenuti.
123. Si può dire che, in teoria e in pratica, i poteri delle autorità carcerarie continuano a
essere interpretati come una speciale categoria di poteri, esercitati in un vuoto normativo
non vincolato dai principi generali del diritto amministrativo e spesso non soggetti al
controllo dei tribunali amministrativi. È generalmente accettato che, in mancanza di
disposizione di legge contraria, la legalità degli atti delle autorità carcerarie non è
soggetta al controllo giurisdizionale ma solo a quello amministrativo da parte di
un’autorità amministrativa gerarchicamente superiore.
104
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3. TIPOLOGIA FUNZIONALE (IMPORTANZA DEL GIUDICE RISPETTO AI SUOI POTERI, IN
PARTICOLARE NEL CAMPO DELLE CONDIZIONI CARCERARIE)
124. Gli organi generalmente più coinvolti nelle controversie amministrative hanno dei
poteri rigorosamente definiti. Gli organi specializzati nel controllo carcerario hanno
spesso una funzione generica di vigilanza sulle prigioni, senza avere necessariamente
poteri specifici se non su questioni specifiche (sanzioni disciplinari, classificazione dei
detenuti, etc.).
125. Sotto l’influenza della giurisprudenza europea i poteri dei giudici tendono
palesemente ad accrescersi, rendendo possibile imporre alle autorità dei provvedimenti
vincolanti per far cessare un trattamento illegittimo — ciò che la Corte europea dei diritti
dell’uomo considera un "rimedio preventivo". In pratica, però, di fronte ai problemi di
ordine strutturale posti da una condanna a pena detentiva, questi organi sembrano male
equipaggiati.
126. L’attuazione dei rimedi compensatori (risarcire la violazione dei diritti
fondamentali) può apparire tecnicamente meno problematica. Tuttavia l’uso di questi
strumenti di ricorso è spesso reso difficile dal percorso burocratico dei reclami dei
detenuti.
127. In Italia, la giurisprudenza dei Tribunali di sorveglianza si è fondata a lungo sul
principio che le decisioni e gli ordini di tali tribunali non fossero vincolanti per le autorità
carcerarie. Questa interpretazione frustrava la potenziale effettività di tali decisioni e
scoraggiava i detenuti dal ricorrere contro le violazioni dei loro diritti.
128. Solo nel 2009 una sentenza della Corte costituzionale ha chiarito che le decisioni dei
Tribunali di sorveglianza sono obbligatorie in quanto decisioni giurisdizionali e che le
autorità carcerarie hanno il dovere di attuarle. Questa sentenza non ha però risolto il
problema dell’effettività, perché i Tribunali di sorveglianza erano ancora privi del potere
di annullare una decisione delle autorità carcerarie in violazione dei diritti di un detenuto,
nonché del potere di nominare un commissario ad acta in tutti i casi in cui le autorità
carcerarie omettevano di far cessare la violazione.
129. Secondo la nuova legge del 2013, il Magistrato può prendere dei provvedimenti
speciali ogni volta che la violazione di un diritto è così grave da costituire una violazione
dell’articolo 3 della Convenzione. Per guidare il giudice nazionale nell’interpretazione
dell’articolo 3 la norma fa riferimento esplicito alla giurisprudenza della CEDU che è
vincolante per i tribunali nazionali.
Il rimedio preventivo (articolo 35-bis):
105
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130. Quando il Tribunale accerta la violazione di una norma relativa al sistema delle
sanzioni disciplinari può annullare la decisione dell’autorità carceraria. In tutti gli altri
casi la norma non conferisce esplicitamente al Tribunale di sorveglianza il potere di
annullare una decisione amministrativa, ma stabilisce che il giudice, “accertate la
sussistenza e l'attualità del pregiudizio, ordina all'amministrazione di porre rimedio entro
il termine indicato”. La nuova norma supera i limiti di quella precedente che non
prevedeva alcuno strumento specifico per attuare le decisioni del Magistrato. Quando le
autorità carcerarie non ottemperano alla decisione del giudice è oggi possibile rivolgersi
nuovamente al Magistrato di sorveglianza che adesso ha il potere di:
a)
dare all’autorità carceraria un piano di azione dettagliato per porre rimedio alla
violazione;
b)
annullare le decisioni dell’autorità carceraria che violano la decisione del
Tribunale;
c)
nominare un commissario ad acta.
Il rimedio compensatorio (articolo 35-ter):
131. Il Magistrato di sorveglianza dispone di un altro rimedio per affrontare una grave
violazione del diritto nazionale e della Convenzione: in pendenza dell’esecuzione della
pena deve essere concessa una sua riduzione nella misura di 1 per ogni 10 trascorsi in
condizioni che violano l’articolo 3 della Convenzione. La norma ha una ratio risarcitoria
oltre che deflattiva, perché mira a ridurre il tasso di sovraffollamento carcerario.
132. Lo sconto di pena in misura del 10% non si applica nei seguenti casi:
1) detenuti in attesa di giudizio, perché uno sconto di pena può applicarsi solo in presenza
di una sentenza definitiva;
2) ex detenuti;
3) reclusi tenuti per meno di 15 giorni in violazione dell’articolo 3 e detenuti che non
hanno una pena residua da scontare sufficiente a beneficiare del risarcimento del 10%.
133. In tutti questi casi le norme prevedono un risarcimento monetario di €8,00 per ogni
giorno trascorso in violazione dell’articolo 3.
134. Fino a oggi il rimedio compensatorio è stato variamente applicato e interpretato
dalla dottrina e dalla giurisprudenza, compromettendone l’effettività potenziale. Infatti la
nuova norma non prevede un procedimento speciale per il rimedio compensatorio ma
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rimanda a quello previsto per il rimedio preventivo, e ciò ha dato luogo a errori
interpretativi.
135. La norma che prevede il rimedio compensatorio (art. 35-ter) rimanda all’articolo 69
dell’ordinamento penitenziario (sulle competenze del Magistrato di Sorveglianza), il
quale rimanda a sua volta per gli aspetti procedurali alla norma che disciplina il rimedio
preventivo (art. 35-bis). Essendo quest’ultimo un rimedio preventivo, la norma stabilisce
che il danno causato dalla violazione deve essere in atto al momento della decisione del
magistrato. Secondo un parere tecnico del Consiglio Superiore della Magistratura
(CSM)236 questo requisito si applica anche al rimedio compensatorio, sicché il Tribunale
di Sorveglianza potrebbe riconoscere lo sconto di pena giornaliero del 10% o
l’indennizzo monetario solo nel caso in cui la violazione è ancora in atto al momento
della decisione. Quindi il rimedio compensatorio non si applicherebbe alle violazioni
passate della Convenzione ma solo a quelle ancora in corso. Secondo questa
interpretazione tutti i ricorsi presentati da detenuti che non sono più in una situazione di
sovraffollamento sarebbero da respingere.
136. [Un’interpretazione di questo tipo avrebbe effetti rilevanti su tutti i ricorsi pendenti
per violazione da sovraffollamento. Grazie ai provvedimenti deflattivi presi dal governo,
la popolazione detenuta è calata da 68.000 a 54.000 unità, e perciò la maggior parte dei
detenuti non è più in una situazione di grave violazione dell’articolo 3 della Convenzione.
Questa interpretazione è stata accolta da parte della dottrina e da una parte rilevante dei
Tribunali di Sorveglianza, specialmente quelli dei distretti maggiori.]
137. Tuttavia questa interpretazione sembra impattare negativamente l’effettività del
nuovo rimedio compensatorio e aggirare la decisione della CEDU sul caso Torreggiani. I
Magistrati di Sorveglianza che aderiscono a questa linea interpretativa sembrano riluttanti
ad assumere il nuovo ruolo attribuito loro dalla riforma. In realtà l’errata interpretazione
del rimedio compensatorio e l’assenza di decisioni fondate sul rimedio preventivo
confermano il tradizionale rifiuto del proprio ruolo da parte della Magistratura di
Sorveglianza.
138. Una parte della dottrina e della giurisprudenza respinge questa linea interpretativa,
sostenendo che è viziata da un’errata lettura testuale e che vanifica l’intento del
legislatore. L’errore interpretativo è la conseguenza della non chiara distinzione fra i due
rimedi.
139. La norma sul rimedio compensatorio (art. 35-ter) dà agli ex detenuti e ai detenuti in
attesa di giudizio un termine di 6 mesi dalla fine della carcerazione per ricorrere al
236
Il CSM è l’organo di autogoverno della magistratura, competente a decidere sugli avanzamenti di
carriera e sulle sanzioni disciplinari. La sua attività di orientamento interpretativo non ha autorità
vincolante, ma può apparire ugualmente molto persuasiva alla comunità degli interpreti.
107
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giudice. Sarebbe quindi del tutto irragionevole prevedere tale termine e allo stesso tempo
pretendere che il danno sia in atto al momento del ricorso.
140. La Suprema Corte ha preso nello stesso giorno due decisioni schizofreniche che
danno al problema soluzioni opposte. Nella sentenza 43722 del 11/6/2015 la Corte ha
criticato la tecnica di redazione della norma e ne ha dato un’interpretazione sistematica
secondo cui l’esistenza di una violazione in essere non può essere un requisito per
accedere al rimedio. In un’altra sentenza dello stesso giorno (la 43727), la stessa Prima
sezione della Corte ha affermato il contrario. È poi intervenuta una successiva decisione
della Suprema Corte che ha confermato la prima interpretazione (violazione in atto non
necessaria). È degno di nota, nondimeno, che anche questa decisione è stata presa da una
sezione semplice e non dalle Sezioni Unite e pertanto non garantisce un cambiamento
della linea interpretativa dominante.
141. Va sottolineato che il nuovo ricorso giurisdizionale è stato istituito per offrire un
rimedio effettivo ai detenuti reclusi in violazione dell’articolo 3 della Convenzione EDU
a causa del sovraffollamento. Tuttavia la norma si riferisce genericamente a violazioni
dell’articolo 3 e alla giurisprudenza della CEDU, con due conseguenze: può essere
considerata un rimedio compensatorio generale per tutti i casi di violazione dell’articolo
3, non solo per il sovraffollamento. In secondo luogo i giudici italiani devono adeguarsi a
tutta la giurisprudenza della CEDU, non solo alle decisioni concernenti l’Italia ma a
qualunque decisione in tema di violazione dell’articolo 3 a opera di qualsiasi Stato
membro.
142. Inoltre, anche se il dibattito italiano dottrinale e giurisprudenziale si concentra
attualmente solo sulle decisioni della CEDU in materia di sovraffollamento, in futuro
potrebbe estendersi ad altri diritti dei detenuti come il diritto alla salute.
143. Il riferimento incrociato alla giurisprudenza della CEDU sta dando origine a un
dibattito sui criteri per calcolare lo spazio vitale minimo da garantire (specialmente la
questione se l’arredo della cella sia da includere nello spazio disponibile).
144. In Spagna i Giudici di vigilanza penitenziaria pronunciano decisioni vincolanti ed
esecutive al pari di qualunque altra autorità giudiziaria. Prescrivono i provvedimenti che
ritengono appropriati alle circostanze del caso: il trasferimento in un’altra prigione,
l’autorizzazione alle comunicazioni, la concessione della libertà condizionale e dei
permessi, ma anche un’operazione chirurgica di cataratta, etc. Purtroppo, data anche la
lentezza della giustizia, alcuni provvedimenti sono già diventati inutili quando arriva
finalmente la decisione del giudice (per esempio, può accadere che quando il GVP
autorizza finalmente un colloquio il detenuto sia già stato rilasciato).
108
European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission
145. Di regola le sentenze sono rispettate e applicate (direttamente e abbastanza
rapidamente) perché la pubblica amministrazione è obbligata a eseguire le sentenze dei
tribunali. Solo eccezionalmente è necessario un ricorso contro la mancata ottemperanza
del carcere a un ordine del tribunale.
146. I rimedi preventivi
Ci sono alcuni rimedi “puramente” preventivi che possono essere così riassunti.
1) La richiesta di un cambio di cella, di sezione o anche di istituto per timore di
conflitti con altri reclusi.
2) La richiesta di essere messi in isolamento per proteggersi.
3) L’attivazione del Protocollo per la prevenzione dei suicidi (dipende dai criteri del
personale medico e dalla Commissione trattamentale, se ritengono che un recluso
sia incline a commettere atti di autolesionismo o a tentare il suicidio).
4) La richiesta di partecipare ai programmi di mediazione a disposizione dei detenuti
(non disponibili in tutte le prigioni spagnole – sta al Direttore consentirne
l’attuazione).
5) Impedire l’immediata esecuzione di una sanzione disciplinare (se il detenuto fa
ricorso la sanzione non è eseguita fino alla decisione del giudice; tuttavia anche
alcune sanzioni impugnate possono essere eseguite immediatamente senza
attendere l’esito dell’appello).
147. Uno dei principali problemi strutturali delle carceri spagnole è la cella in comune,
tipicamente fra due reclusi. In effetti le cosiddette macroprigioni sono già progettate e
costruite con letti a castello in ogni cella in modo da accogliere più di un detenuto. Se
sorgono problemi di coabitazione il Giudice di vigilanza penitenziaria li può affrontare
individualmente applicando i rimedi summenzionati o anche con la concessione di un
“terzo grado” (che corrisponde a un regime aperto o di detenzione domiciliare) se il
detenuto in questione ne ha i requisiti. Tuttavia il Giudice di vigilanza penitenziaria non
può impedire la costruzione di macroprigioni né alterare il progetto delle loro celle. In
questo senso i poteri del Giudice di vigilanza penitenziaria possono affrontare i problemi
individuali portati alla sua conoscenza da un particolare detenuto ricorrente, ma non
possono risolvere i problemi strutturali del sistema carcerario spagnolo.
148. La Corte costituzionale e il Tribunale supremo possono tuttavia affrontare dei
problemi strutturali in certe circostanze.
I rimedi compensatori
149. In Spagna non c’è un rimedio risarcitorio specifico per i detenuti. Se un detenuto
vuole chiedere allo Stato il risarcimento dei danni derivanti dal mal funzionamento della
giustizia, deve prima fare ricorso al Segretario generale dell’amministrazione
penitenziaria (un procedimento amministrativo). In questa fase non c’è bisogno di un
avvocato. Ciò può essere tuttavia uno svantaggio per il detenuto, dati i tecnicismi di
questo procedimento.
109
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150. Se questo ricorso è respinto o non ha seguito, il detenuto può allora rivolgersi al
giudice amministrativo. In questa ha bisogno dell’assistenza di un avvocato e può
accedere a tal fine al gratuito patrocinio. L’avvocato deve essere uno specialista del
contenzioso amministrativo. (Gli ordini degli avvocati spagnoli distinguono gli avvocati e
i loro turni in base alla specializzazione. Ciò significa che l’avvocato assegnato al
detenuto per assisterlo nella richiesta di danni all’Amministrazione non è lo stesso che si
occupa dei suoi problemi penitenziari.)
151. All’Amministrazione si applica una "responsabilità oggettiva". Il danno deve essere
"personale", cioè il detenuto deve essere stato danneggiato individualmente e non può
chiedere il risarcimento del danno dovuto a cause strutturali, come ad esempio il
sovraffollamento (il detenuto dovrebbe essere stato danneggiato direttamente e
individualmente dal sovraffollamento).
152. Il procedimento dura di solito più o meno un anno. La decisione finale può essere
impugnata di fronte a un giudice superiore (sempre appartenente all’"ordine"
amministrativo). L’ammontare del risarcimento è irrisorio e può accadere che il giudice
non decida in favore del detenuto.
153. In Romania, la legge penitenziaria disciplina le soluzioni che possono essere
adottate dal giudice, ovvero, quando il reclamo è accolto in tutto o in parte, ordinare
l’annullamento o la modifica del provvedimento preso dall’amministrazione del carcere
oppure ordinare alla stessa amministrazione di provvedere come richiesto. In caso di
violazione di un obbligo relativo a un diritto delle persone private della libertà è possibile
ordinare all’amministrazione del carcere di adempiere anche per porre fine alla
violazione (per esempio, ordinare di prestare le cure mediche richieste).
154. Una serie di decisioni prese dai giudici nazionali fra il 2011 e il 2013 e favorevoli ai
ricorrenti relativamente ai rimedi preventivi per questioni come le condizioni fisiche di
detenzione, le cure mediche e l’alimentazione, sono riportate in un documento redatto
dalle autorità nazionali e accessibile sul sito web del Consiglio d’Europa237. Tuttavia il
Comitato dei Ministri e la Corte europea dei diritti dell’uomo ritengono che finora questo
canale di ricorso non sia stato effettivo (si veda più sotto).
155. La CEDU ha già accertato che, data la natura specifica di questo tipo di reclamo, i
provvedimenti giuridici suggeriti dal governo non costituiscono un rimedio effettivo (si
veda ad es. Verdes v. Romania, 24/11/2015).
237
https://rm.coe.int/CoERMPublicCommonSearchServices/DisplayDCTMContent?documentId=0900001680
5922f8
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156. In Olanda, se la Commissione per i reclami decide a favore del detenuto può
annullare la decisione del carcere, ordinare al Direttore di prenderne una nuova,
respingere un reclamo o accordare un indennizzo. I detenuti possono quindi ottenere un
indennizzo dalla Commissione per i reclami (vedi più sopra). Se un reclamo è giudicato
fondato in tutto o in parte il direttore deve revocare la sua decisione. Se ciò non è più
possibile, il presidente della Commissione può riconoscere un indennizzo al ricorrente.
157. L’indennizzo può essere in natura, ad esempio una telefonata o un colloquio in più,
ma può anche essere in denaro. L’indennizzo non ha la natura di un risarcimento pieno
vero e proprio ma ha un carattere simbolico. Per un risarcimento completo occorre
rivolgersi al giudice civile.
158. In Bulgaria, il procedimento davanti ai tribunali amministrativi è il seguente.
159. Ordini di divieto alle autorità amministrative: chiunque sia legittimato può chiedere
la cessazione di un’azione eseguita da un’autorità amministrativa senza fondamento nella
legge o in una decisione amministrativa.
160. Ordini di obbligo alle autorità amministrative: una persona può avviare un
procedimento per ordinare a un’autorità amministrativa di eseguire un atto prescritto da
una disposizione di legge. Occorre presentare un ricorso entro 14 giorni dalla richiesta
all’organo amministrativo di eseguire una certa azione. L’inazione di un’autorità
amministrativa è impugnabile indefinitamente, applicando mutatis mutandis le
disposizioni sulla contestazione di singoli atti amministrativi. Se il tribunale accoglie il
reclamo, ordina all’autorità di eseguire l’azione e fissa un termine.
161. Alla luce della giurisprudenza nazionale, la Corte nei casi Neshkov e Harakchiev
and Tolumov ha valutato nel complesso che il procedimento per ottenere un ordine del
tribunale non possa ritenersi un rimedio preventivo effettivo del sovraffollamento e delle
cattive condizioni di detenzione. Secondo la Corte, questi strumenti giurisdizionali di
tutela “potrebbero essere modellati in modo da dare spazio ai reclami relativi alle
condizioni di detenzione se tutti i punti poco chiari, come l’approccio dei tribunali a tali
richieste, l’individuazione del convenuto, la durata degli ordini alle autorità e il modo
esatto di eseguirli, compreso quando si tratta di sovraffollamento, fossero chiariti
correttamente”.
162. Per parte loro, le sezioni penali dei tribunali ordinari decidono su ogni forma di
esecuzione della pena che aggiunge nuove restrizioni alla condizione giuridica o al
regime di sicurezza del detenuto, sulla libertà condizionale e sulla sostituzione
dell’ergastolo con una pena detentiva temporanea. Possono anche annullare le decisioni
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sull’isolamento a scopo preventivo o come sanzione disciplinare e quelle del direttore del
carcere sulla confisca dei beni del detenuto.
163. Rispetto ai rimedi compensatori, la possibilità di chiedere un risarcimento danni ai
sensi della SMRDA costituisce il solo rimedio compensatorio a disposizione delle vittime
dei trattamenti disumani e degradanti dovuti alle condizioni di detenzione. Anche se la
SMRDA è in vigore dal 1989, solo nel 2003 i tribunali hanno cominciato a riconoscere il
risarcimento del danno causato dalle condizioni di detenzione. Attualmente la richiesta di
risarcimento danni è un meccanismo compensatorio generale a disposizione di chiunque,
compresi i detenuti e gli internati.
164. L’autorità competente a conoscere dei reclami contro decisioni, atti od omissioni
illegittimi da parte di funzionari amministrativi è il tribunale amministrativo in
composizione monocratica. Se il ricorso si riferisce a un atto o a un’omissione illegittimi,
tale illegittimità deve essere accertata dalla corte investita della richiesta di risarcimento.
165. In Irlanda, a seconda del provvedimento richiesto nell’uno o nell’altro tipo di
processo, la corte può scegliere di dare numerosi tipi di ordini pertinenti.
a. Un ordine di certiorari annulla o cancella una decisione per violazione della legge
o della costituzione. L’accoglimento della richiesta di un ordine di certiorari
implica che qualsiasi decisione è dichiarata nulla e priva di effetti. La corte può
anche emettere un ordine di prohibition che impedisce preventivamente di
prendere una decisione.
b. Un ordine di mandamus è un ordine della corte all’autorità pubblica di eseguire
un atto specifico (o di astenersi dal fare qualcosa) per adempiere a un obbligo di
legge. Quest’ordine è considerato un rimedio preventivo, diretto a migliorare le
condizioni materiali di detenzione. I giudici irlandesi si sono tradizionalmente
astenuti dall’interferire con le funzioni dell’esecutivo (separazione dei poteri) e,
come accennato in precedenza, hanno concesso ai direttori un ampio margine di
discrezionalità nel gestire le prigioni. Alla luce di ciò, “il mandamus è un rimedio
difficile da ottenere nel contesto carcerario, ma può essere dato in circostanze
appropriate”
(Rogan,
M.,
2014).http://www.prisonlitigationnetwork.eu/?page_id=630 - _ftn97 Nel caso
Mulligan (2010) la corte ha sostenuto che in circostanze appropriate è
“[…] competente a ordinare miglioramenti delle condizioni carcerarie se
necessario per proteggere un diritto costituzionale, e se tale protezione non
è ristretta da vincoli come la praticabilità. […] Può essere necessario allora
bilanciare la protezione e la tutela di questo diritto con altre norme
costituzionali.”
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Questa citazione mostra però che anche dove c’è la possibilità di ottenere un
ordine del giudice, qualunque azione pretesa dall’amministrazione penitenziaria
può essere giudicata contraria alle considerazioni pratiche di ciò che è possibile
nel contesto carcerario.
c. Nei procedimenti di controllo giurisdizionale la corte può anche accordare un
risarcimento danni al ricorrente (un rimedio compensatorio) a condizione che
quest’ultimo lo richieda nell’atto con cui propone il ricorso.
I procedimenti di Habeas Corpus
166. I procedimenti di Habeas Corpus sono un rimedio non generale, accessibile solo ai
soggetti in stato di detenzione. Nel ricorso di Habeas Corpus il ricorrente chiede di essere
rilasciato sostenendo che le sue condizioni sono tali da mettere in pericolo la vita o la
salute.
167. La questione in un procedimento di Habeas Corpus è “se le condizioni sono così
gravi da autorizzare la liberazione immediata”. Ciò potrebbe accadere solo in circostanze
del tutto eccezionali “in cui le condizioni in cui è tenuto un recluso possono invalidare
una detenzione che è a prima vista legale e autorizzata da un mandato” (State
(Richardson) v Governor of Mountjoy Prison [1980]). La corti irlandesi hanno
costantemente sostenuto che normalmente i detenuti dovrebbero ricorrere ad altri
strumenti processuali, come per esempio un ricorso di incostituzionalità in un
procedimento plenario o in sede di controllo giurisdizionale. L’Habeas corpus, si
sostiene, “è un rimedio speciale e importante, a cui si può ricorrere con celerità per
permettere un’indagine sulla detenzione di una persona. Il rimedio cercato è la
liberazione della persona. Non ha una portata più ampia. Non è un controllo
giurisdizionale né un procedimento plenario” (W (a Minor) v The Health Service
Executive [2014]). Come tale è un rimedio non solo eccezionale ma anche molto difficile
da ottenere in situazioni in cui la persona è stata condannata per un reato ed è detenuta
sulla base di un legittimo ordine di carcerazione.
L’azione civile
168. Tale azione può essere intrapresa nei casi in cui è argomentabile che
l’amministrazione penitenziaria o il singolo carcere abbiano il dovere di prendersi cura
del detenuto, e che tale dovere è stato violato. Alcuni esempi di possibili strade sono i
seguenti.
a. Ricorsi ai sensi dello Occupiers’ Liability Act 1995: si può sostenere che
l’amministrazione penitenziaria abbia il dovere di prendersi cura di un particolare
113
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detenuto come ‘visitatore’ delle sue strutture (il carcere). Fattispecie rientranti in
questa legge sono ad esempio il caso Power v Governor of Cork Prison (2005) in
cui il giudice ha deciso a favore del ricorrente che era scivolato sul pavimento
umido del bagno della prigione, ferendosi alla testa. Il giudice ha affermato che il
carcere aveva il dovere di prendersi cura dei detenuti predisponendo un ambiente
sicuro e ha concesso al ricorrente un risarcimento sostanziale.
b. Ricorsi fondati sul dovere di proteggere i detenuti da aggressioni di altri detenuti:
in tali casi può essere riconosciuta una responsabilità del carcere per “non essersi
debitamente curato di impedire che i detenuti sotto la sua responsabilità fossero
feriti da altri detenuti” (Binchy, W. (nd) Prisoners and the Law of Tort [on-line]).
c. Ricorsi ai sensi del Safety, Health and Welfare at Work Act 2005, alcune
disposizioni del quale si applicano alle carceri (compatibilmente con
considerazioni di custodia, buon ordine e sicurezza).
169. In Germania, il paragrafo 109 § 1 della legge sull’esecuzione delle pene prevede la
possibilità di un controllo giurisdizionale (da parte del Tribunale regionale) contro i
provvedimenti concernenti le condizioni di detenzione.
170. Se il provvedimento è illegittimo e ha violato un diritto del ricorrente, il tribunale lo
annulla. Se il provvedimento è già stato eseguito, il tribunale può anche ordinare che
l’esecuzione sia annullata dall’autorità carceraria, e in che modo, posto che la materia sia
matura per una decisione.
171. Se prima di ciò il provvedimento è divenuto inutile perché revocato o per qualche
altro motivo, il tribunale può dichiarare a richiesta che era illegittimo se il ricorrente ha
un interesse motivato a tale dichiarazione.
172. Se il rifiuto o l’omissione di un provvedimento sono illegittimi ed è stato violato un
diritto del ricorrente, il tribunale dichiara che l’autorità carceraria è obbligata ad eseguire
l’atto d’ufficio richiesto, posto che la materia sia matura per una decisione. Altrimenti il
tribunale dichiara che l’autorità è obbligata ad avvertire il ricorrente, adeguandosi al
punto di vista giuridico del tribunale.
173. Se l’autorità carceraria ha un potere discrezionale di agire, il tribunale esamina
anche se il provvedimento o il rifiuto o l’omissione violano i limiti legislativi del potere
discrezionale o se tale potere è stato esercitato in modo incompatibile con il suo scopo.
174. Un individuo ha diritto di essere risarcito dallo Stato per il danno derivante da una
violazione dei doveri d’ufficio da parte di un funzionario. Tuttavia l’obbligo di
riparazione non sussiste se la parte lesa ha volontariamente o colposamente omesso di
evitare il danno con i mezzi legali disponibili.
114
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175. Nella sentenza del 27 febbraio 2002 (no. 2 BvR 553/01), la Corte costituzionale
federale ha annullato la decisione presa dal tribunale penale in sede di controllo sulle
condizioni di detenzione di un detenuto. Il ricorrente era stato tenuto ventitré ore al
giorno per quattro giorni insieme a un’altra persona in una cella di 7,6 metri quadri. Il
bagno era all’interno della cella senza alcuna separazione dal resto della stanza. La Corte
ha ritenuto in particolare l’irrilevanza del fatto che forse il ricorrente non aveva
contestato la collocazione temporanea in tale cella durante la detenzione, perché le
autorità hanno il dovere di rispettare la sua dignità umana indipendentemente dal fatto
che avesse contestato o no il suo trattamento.
176. In Inghilterra e Galles, se la richiesta di un controllo giurisdizionale è accolta i
rimedi disponibili sono i seguenti: un ordine obbligatorio, cioè un ordine emesso da una
corte superiore che obbliga o istruisce una corte inferiore o un funzionario statale ad
eseguire correttamente i suoi doveri (noto prima come ordine di mandamus); un ordine di
annullamento che annulla la decisione presa da un organo pubblico, emesso di solito
quando l’organo ha agito ultra vires, cioè senza averne il potere (noto storicamente come
ordine di certiorari); un ordine proibitivo che impedisce all’organo pubblico di fare
qualcosa di illegittimo (noto in passato come ordine di prohibition); una dichiarazione,
cioè una sentenza del Tribunale amministrativo che chiarisce i rispettivi diritti e doveri
delle parti della causa senza emettere un ordine; un risarcimento danni, disponibile come
rimedio in sede di controllo giurisdizionale solo in circostanze limitate, cioè non per il
semplice fatto che un’autorità pubblica ha agito illegalmente ma specificamente in
violazione del diritto europeo o dello Human Rights Act del 1998.
177. Il diritto al risarcimento danni deriva normalmente dall’accertamento di una
violazione dei diritti protetti dalla Convenzione. Anche le cattive condizioni di
detenzione possono potenzialmente fondare un risarcimento danni per violazione dei
diritti della Convenzione EDU.
178. La richiesta di risarcimento danni deve soddisfare alcune condizioni: (1) che
l’illegalità o possibile illegalità accertata sia una violazione o una possibile violazione di
un diritto della Convenzione da parte di un’autorità pubblica; (2) che la corte abbia il
potere di concedere un risarcimento danni, o il pagamento di un indennizzo, nel
procedimento civile; (3) che la corte abbia accertato, tenuto conto di tutte le circostanza
del caso, che il risarcimento danni sia necessario per dare giusta soddisfazione alla
persona che ne beneficia; e (4) che la corte ritenga il risarcimento danni giusto e
appropriato. La corte non può concedere il risarcimento se non è certa che sia necessario,
ma una volta accertata tale necessità è difficile vedere come la corte lo possa ritenere se
non giusto e appropriato. Nel decidere se concedere un risarcimento e di quale entità, la
115
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corte non è vincolata rigidamente dai principi applicati dalla Corte europea nel
riconoscere un risarcimento ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione, ma deve tenerne
conto. È quindi a Strasburgo che i tribunali britannici devono guardare per orientarsi nel
risarcimento danni (si veda R (Greenfield) v Secretary of State for the Home Department
(2005).
179. Un punto critico è la portata del sindacato esercitato dai tribunali nazionali in sede di
controllo giurisdizionale delle decisioni negative del Segretario di Stato sulla liberazione
degli ergastolani. In teoria, le corti possono ordinare al Segretario di Stato di liberare
l’ergastolano se l’ergastolo non è più giustificato da legittimi motivi penologici, ma
questa non è la prassi effettiva delle corti di Inghilterra e Galles (si veda la causa
Hutchinson pendente di fronte alla CEDU).
Francia
180. Nei tribunali amministrativi i poteri del giudice sono diversi a seconda del tipo di
rimedio.
181. Il caso più noto è un ricorso per “abuso di autorità” (o azione di annullamento), nel
quale il giudice deve verificare la legalità di una decisione amministrativa e decidere se
annullarla. I detenuti possono chiedere l’annullamento di un atto regolamentare, cioè un
atto generale e astratto (decreto, regolamento interno, etc.), o di una decisione individuale
che li riguarda personalmente.
182. In caso di urgenza si può chiedere un provvedimento cautelare per:
1) sospendere una decisione illegale (una sospensiva o “référé-suspension”);
2) fermare una violazione grave e manifesta di diritti e libertà fondamentali (“ricorso per
la protezione di diritti e liberà fondamentali”, o “référé-liberté”); si applica solo in casi
eccezionali, dato che la richiesta di sospensiva (“référé-suspension”) è spesso preferibile;
un caso del genere, per esempio, è stato ravvisato nel contenzioso penitenziario per
giustificare dei provvedimenti diretti a migliorare delle condizioni materiali di detenzione
ritenute contrarie alla dignità umana (CE, 22 Dec. 2012, OIP, no. 364584);
3) porre rimedio a una situazione pregiudizievole per il detenuto (“procedimento
cautelare tutelare” o “référé-mesures utiles”): il giudice può disporre tutti i
“provvedimenti utili che non ostacolino l’esecuzione di alcuna decisione
amministrativa”. Il giudice decide entro un mese.
183. Anche se elaborato, e con una notevole mole di giurisprudenza alle spalle, il sistema
dei rimedi giuridici presenta dei chiari limiti per quel che riguarda in particolare le
condizioni di detenzione.
116
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184. I detenuti possono chiedere il risarcimento del danno causato da un atto o da una
decisione illecita dell’amministrazione penitenziaria in un procedimento cautelare
(“provvisionale”) o in un procedimento di merito.
4. TIPOLOGIA PROCEDURALE: LE NORME PROCEDURALI CHE REGOLANO IL
FUNZIONAMENTO DI QUESTE AUTORITÀ
4.1 L’accesso ai tribunali, compreso il gratuito patrocinio
185. Le norme che disciplinano il ricorso a organi specializzati rendono questi ultimi il
più accessibili possibile rispetto alle formalità procedurali. Tuttavia le norme procedurali
sono spesso in gran parte indeterminate, il che può avere un effetto negativo sulla qualità
del contraddittorio e rendere difficile ai detenuti l’accesso agli elementi di chi hanno
bisogno per sostenere la loro pretesa. Viceversa gli organi ordinari sono generalmente
meglio attrezzati sotto l’aspetto del contraddittorio e della parità di armi, ma hanno
spesso requisiti procedurali più stringenti. Quasi ovunque l’accesso o la portata del
gratuito patrocinio appare un aspetto cruciale.
186. In Italia, un detenuto può ricorrere direttamente al Tribunale di sorveglianza
competente, in qualsiasi momento e senza termini di decadenza, per denunciare la
violazione di una norma dell’ordinamento penitenziario. Per quel che riguarda il rimedio
preventivo (art. 35-bis), il danno causato dalla violazione deve essere in atto al momento
del ricorso. Nel caso speciale di un ricorso contro un provvedimento disciplinare il
detenuto deve presentarlo entro 10 dall’adozione dell’azione disciplinare.
187. Per quel che riguarda l’articolo 3 della Convenzione EDU, il procedimento è diverso
a seconda delle possibili alternative.
1)
I detenuti condannati possono rivolgersi, direttamente o tramite un avvocato, al
Magistrato di sorveglianza. La Cassazione ha confermato in una sentenza recente238 che il
procedimento per chiedere il rimedio risarcitorio ai sensi dell’articolo 35-ter deve essere
lo stesso che per il rimedio preventivo di cui all’articolo 35-bis.
2)
Gli ex detenuti e i detenuti in attesa di giudizio possono rivolgersi al giudice civile
personalmente o tramite un avvocato. La procedura è quella prevista dal Codice di
procedura civile.
238
Suprema Corte di Cassazione, decisione No. 315, 8 gennaio 2015
117
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188. L’accesso al gratuito patrocinio è un problema rilevante. I liberi professionisti
disponibili per questo servizio fanno domanda all’Ordine di appartenenza e il loro nome è
iscritto in un elenco. Numerosi ostacoli si frappongono all’accesso al gratuito patrocinio
in carcere.
189. Mentre i detenuti comunitari possono fare domanda allegando un’autocertificazione
del loro reddito, i detenuti extracomunitari devono allegare un certificato autenticato. La
procedura per ottenerlo e farlo autenticare può richiedere parecchi mesi e molti di loro
sono immigrati irregolari che dichiarano false generalità.
190. Molti carceri non forniscono l’elenco degli avvocati iscritti al gratuito patrocinio, e
pertanto i detenuti hanno difficoltà a contattare un avvocato. Spesso gli avvocati rifiutano
di prestare il gratuito patrocinio, costringendo i detenuti a contattarne diversi prima di
trovarne uno disponibile. Il rimborso del gratuito patrocinio è pagato dallo Stato 2 o 3
anni dopo la richiesta, e per questo motivo qualche volta i legali rifiutano di prestarlo. Il
Tribunale deve verificare che il richiedente abbia i requisiti e deve autorizzare il gratuito
patrocinio. Talvolta l’avvocato del gratuito patrocinio chiede denaro al detenuto per il suo
lavoro prima che arrivi l’autorizzazione del giudice.
191. In Romania occorre distinguere fra il rimedio chiesto al giudice di sorveglianza e
quello richiesto al giudice civile.
192. Il primo, concepito come un rimedio preventivo, è più accessibile perché il giudice
ha sede in carcere. Il ricorso può essere presentato al giudice di sorveglianza entro 10
giorni dalla data in cui la persona ha avuto conoscenza del provvedimento. La decisione
provvisoria del giudice di sorveglianza deve essere notificata al condannato e
all’amministrazione del carcere entro 3 giorni dalla pronuncia. Il detenuto e
l’amministrazione del carcere possono impugnare la decisione del giudice di sorveglianza
davanti al tribunale di prima istanza competente per territorio, entro 5 giorni dalla sua
comunicazione. Il ricorso è presentato al tribunale insieme al fascicolo entro due giorni
dalla loro ricezione. Il ricorso è discusso in udienza pubblica, il condannato e
l’amministrazione del carcere sono convocati e hanno la facoltà di produrre osservazioni
e conclusioni scritte. Il condannato è condotto di fronte al tribunale solo su richiesta di
quest’ultimo e in tal caso deve essere sentito. L’assistenza legale non è obbligatoria.
193. Il recente regolamento di applicazione della legge 254/2013 statuisce espressamente
che tutte le spese dovute dal detenuto in applicazione del suo diritto di petizione e
corrispondenza sono a carico dell’amministrazione penitenziaria se il detenuto non ha
avuto redditi negli ultimi 30 giorni.
118
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194. Per quel che riguarda il rimedio risarcitorio di diritto civile, il procedimento è in
contraddittorio e si osservano tutte le norme applicabili della procedura civile (possibilità
di assistenza legale, equo processo, doppio grado di giurisdizione, etc.). Questo ricorso
deve essere presentato al giudice civile competente entro tre anni dal momento in cui il
danneggiato ha avuto o potuto avere conoscenza del pregiudizio e del suo autore. Gli atti
non sono soggetti a imposta di bollo.
195. L’accesso al gratuito patrocinio non è possibile nel caso del rimedio preventivo o
compensatorio. Il detenuto deve perciò pagare un avvocato o farne a meno.
196. In alcuni casi speciali davanti al giudice civile, se il detenuto è povero può chiedere
un avvocato d’ufficio o l’esenzione dal pagamento delle spese legali. Tuttavia
l’assistenza di un avvocato d’ufficio nel contenzioso penitenziario non è prassi comune.
197. In Bulgaria le norme procedurali da seguire per richiedere un ordine del tribunale
obbligatorio o proibitivo sono le seguenti.
198. Il ricorso va presentato al tribunale amministrativo competente per territorio. Il
ricorrente deve pagare un diritto fisso di 10 lev (5 euro). Può anche chiedere al tribunale
di essere esonerato dal pagamento del diritto perché privo di mezzi. L’accesso al
patrocinio a spese dello Stato è possibile secondo le norme generali della legge sul
gratuito patrocinio. La presenza del ricorrente alle udienze non è obbligatoria.
199. Il ricorso deve essere esaminato immediatamente da un giudice singolo, che può
ordinare un’indagine della polizia o di un’altra autorità per stabilire se le azioni contestate
sono ancora in atto, in nome di chi e a quale titolo.
200. Per quel che riguarda il rimedio compensatorio un diritto fisso di 10 lev per persona
fisica (euro 5,12) è dovuto per presentare un ricorso ai sensi della SMRDA. Il tribunale
può esonerare il ricorrente dal pagamento se dimostra di essere privo di mezzi. Il
ricorrente deve pagare tutte le spese del giudizio solo in caso di soccombenza totale o se
rinuncia completamente al ricorso. Se il tribunale accoglie il ricorso in tutto o in parte il
convenuto è tenuto a pagare le spese del giudizio oltre che le spese legali del ricorrente.
Di nuovo, il tribunale può ammettere il ricorrente al gratuito patrocinio se dimostra di
essere privo di mezzi. L’avvocatura bulgara, tuttavia, non è organizzata per fornire
assistenza specializzata nel contenzioso penitenziario.
201. La richiesta di risarcimento danni deve indicare esattamente il convenuto (Direttore
generale dell’esecuzione penale). Tuttavia è frequente che i detenuti, a causa della
mancanza di preparazione giuridica e di assistenza legale, facciano ricorso invece al
Ministero della giustizia. I ricorsi contro il convenuto errato sono respinti dai tribunali.
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202. Nella sentenza pilota Neshkov la Corte ha ritenuto che la richiesta di risarcimento ai
sensi della SMRDA non sia un rimedio compensatorio effettivo, tenuto conto fra l’altro
del fatto che in qualche caso i tribunali esigono che i detenuti presentino ricorsi separati
per i danni causati da ogni singolo problema che li riguarda e li esaminano
separatamente, invece di adottare un approccio cumulativo alle condizioni di detenzione,
e che i tribunali bulgari non ritengono che il danno causato al ricorrente dalle cattive
condizioni materiali di detenzione sia da presumere.
203. In Germania, la richiesta di controllo giurisdizionale deve essere presentata dal
detenuto entro due settimane dalla comunicazione scritta o implicita del provvedimento.
Se il ricorrente non ha potuto osservare il termine senza sua colpa può chiederne la
rimessione.
204. Se il ricorrente contesta l’omissione di un provvedimento, il ricorso non è esperibile
prima di tre mesi dalla richiesta di provvedere, a meno che le circostanze del caso
richiedano un ricorso anticipato al tribunale.
205. La Corte costituzionale federale ha stabilito il principio che fraintendere il
significato chiaro di un ricorso con danno processuale del detenuto viola il diritto a una
difesa legale equa ed effettiva nonché il divieto costituzionale di decisioni arbitrarie
(BVerfG Beschl.(2001) NJW3770).
206. I due principali punti critici sono che il tribunale decide senza audizione del
detenuto (anche se può chiedere di ascoltarlo se può servire a chiarire il caso), e che può
esaminare la legalità del potere discrezionale (mal) esercitato dalle autorità carcerarie,
ma non il merito del suo esercizio.
207. Il rimedio è accessibile (per chi sa leggere e scrivere) e il procedimento si svolge in
tedesco. È interamente scritto. Il detenuto deve sostenere che i diritti conferiti dalla legge
penitenziaria sono stati violati ma le possibilità di successo sono scarse. La decisione
dell’istituto deve essere impugnata entro due settimane; l’appello deve essere presentato
entro un mese dalla decisione e redatto da un avvocato o da un assistente del tribunale
(che è richiesto di recarsi in carcere).
208. Il ricorrente riceve tutti documenti prodotti dall’altra parte (l’autorità carceraria
convenuta). Il detenuto riceve una copia scritta della decisione del tribunale.
209. Per quel che riguarda il rimedio risarcitorio, si deve osservare che in base al codice
civile “il risarcimento del danno non è dovuto se il danneggiato ha intenzionalmente o
colposamente omesso di impedirlo ricorrendo ai mezzi legali”. La Corte di giustizia
federale ritiene pertanto che il detenuto in situazione di sovraffollamento non possa
chiedere i danni se a suo tempo non ha chiesto un rimedio preventivo per far cessare
120
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l’abuso, anche se era palesemente improbabile che la direzione potesse trovare un’altra
cella (11 March 2011).
210. In Spagna i detenuti possono presentare reclami e richieste al Direttore del carcere.
Di fatto, anche se non è prevista da alcuna legge, si è affermata la prassi di presentare
prima un reclamo o una richiesta alle autorità carcerarie e solo dopo passare alle vie
giudiziarie. Se il reclamo o la richiesta sono respinti dall’amministrazione penitenziaria o
se entro tre mesi dal loro ricevimento l’amministrazione penitenziaria non compie alcun
atto, il detenuto può presentare un “ricorso di reclamo” (“recurso de queja”) al Giudice di
vigilanza penitenziaria.
211. In Francia, le norme procedurali di fronte al giudice amministrativo non sono molto
stringenti. L’assistenza di un avvocato è obbligatoria solo in alcuni procedimenti
(responsabilità civile, processi in appello o in Cassazione). I ricorsi per annullamento
devono includere il provvedimento richiesto (cioè l’annullamento di una decisione
contestata ed eventualmente un ordine del tribunale), i fatti e i motivi di diritto. Il
ricorrente deve dimostrare che l’atto impugnato è illegittimo, non solo che gli è
sfavorevole. Occorre produrre tre copie del ricorso, il che di per sé pone il problema
dell’accesso a una fotocopiatrice. In generale un ricorso non può essere dichiarato
inammissibile se prima la cancelleria non ha chiesto al ricorrente di correggerlo.
212. Per quel che riguarda il “rimedio preventivo” (strumento volto a impedire o a far
cessare un dato trattamento), la difficoltà tecnica, che può essere molto grave in certi casi,
è in realtà soprattutto quella di identificare gli strumenti procedurali appropriati.
213. Coesistono vari di procedimento, in particolare quando il giudice deve agire in via di
urgenza (procedimento cautelare). L’interazione fra i vari mezzi di tutela è molto
complessa. Di fatto i mezzi di ricorso preventivi che mirano a far cessare delle condizioni
di detenzione improprie e richiedono una gestione molto precisa del procedimento sono
presi in carico o assistiti dall’Observatoire international des prisons (OIP), e non dai
detenuti personalmente.
214. Per parte loro, i rimedi compensatori sono soggetti a requisiti più stringenti
(necessità di chiedere prima un indennizzo in via amministrativa, obbligo di assistenza
legale e di specificare il tipo di responsabilità – oggettiva o colposa). E tuttavia è
soprattutto in questo campo che è sorto un contenzioso concernente le condizioni
materiali di detenzione. Gli avvocati se ne sono fatti carico, grazie in particolare alla
disponibilità di “guide del contenzioso”.
215. I ricorsi di competenza del giudice ordinario non sono soggette a particolari
formalità e possono essere presentati all’ufficio della prigione.
Gratuito patrocinio
121
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216. In pratica, i detenuti possono chiedere il gratuito patrocinio senza bisogno di
dimostrare la mancanza di mezzi, presentando semplicemente un “certificato di
presenza”. La richiesta è fatta su un formulario apposito. Questo documento di sette
pagine pone problemi di scrittura e comprensione a numerosi detenuti. Inoltre i casi in cui
è possibile chiedere il gratuito patrocinio non sono sempre conosciuti, né c’è la possibilità
di addurre lo stato di detenzione per motivare la richiesta.
217. I beneficiari possono scegliersi un avvocato purché quest’ultimo accetti. Molti degli
avvocati intervistati239 hanno sottolineato l’insufficienza delle somme pagate dallo Stato
in confronto alla mole di lavoro richiesta da una difesa adeguata. In una sentenza del 30
dicembre 2015 il Consiglio di Stato francese (CE) ha ritenuto che lo Stato possa lasciare
a carico dell’avvocato una parte dei costi del gratuito patrocinio.
218. In Olanda, le formalità procedurali sono poche. Un detenuto può rivolgersi alla
Commissione per i reclami per contestare una decisione che lo riguarda presa dal
Direttore o a suo nome (un’omissione o un rifiuto sono equiparati a una decisione). Il
Direttore deve dare al detenuto che intende fare reclamo l’opportunità di farlo nel più
breve tempo possibile.
219. Un organo amministrativo indipendente denominato la Commissione per il gratuito
patrocinio (CGP) è incaricato di trattare tutte le questioni concernenti il sistema del
gratuito patrocinio. Esse includono il confronto fra la disponibilità di esperti legali e la
domanda di assistenza legale, oltre che la supervisone sui servizi effettivamente forniti e
il controllo della loro qualità.
220. Secondo la Costituzione ogni cittadino ha diritto di rivolgersi al giudice, chiedere
assistenza e rappresentanza legale e, se non ha mezzi sufficienti, ricevere assistenza
legale a spese dello Stato. Il sistema del gratuito patrocinio fornisce assistenza legale alle
persone con pochi mezzi. Chiunque abbia bisogno di assistenza legale professionale ma
non possa sostenerne (tutto) il costo ha diritto di avvalersi delle norme della legge sul
gratuito patrocinio.
221. Il modello olandese di gratuito patrocinio è fondamentalmente triplice.
- Preliminarmente, la disponibilità di un’applicazione online offre un aiuto digitale.
- Gli sportelli di assistenza legale operano come ‘portineria’ (orientamento preliminare).
Spiegano ai clienti le questioni giuridiche e danno consigli e informazioni. I clienti
239
Le interviste si sono svolte per preparare una monografia su un carcere della regione di Parigi (compresi
in particolare una etnografia di lunga durata e un numero significativo di interviste a detenuti e personale
penitenziario), come parte di una tesi di dottorato in sociologia (Corentin Durand, “Production et
traitement de doléances en milieu carcéral. Sociologie des communications critiques entre prisonniers et
autorités”, EHESS - Paris –superv. Liora Israël e Nicolas Dodier).
122
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possono essere indirizzati a un avvocato privato o a un mediatore, che operano come
seconda linea di assistenza legale. I clienti possono anche chiedere aiuto direttamente a
un avvocato o a un mediatore convenzionati. Se necessario i clienti possono anche essere
indirizzati ad altri professionisti o servizi di assistenza. L’organizzazione ‘LSC’ ha 30
uffici in tutto il paese, che condividono un sito web e un call centre.
- Gli avvocati e i mediatori privati offrono assistenza giuridica su questioni più lunghe e
complicate previa richiesta di un certificato. Un avvocato (o mediatore) fa una richiesta
alla CGP a nome del suo cliente. Il reddito del richiedente non deve eccedere € 25.600
(persona singola) o € 36.100 (persona coniugata/ singola con figli). Avvocati e mediatori
sono retribuiti dalla CGP, in generale un compenso fisso secondo il tipo di controversia.
Il detenuto ha diritto di cambiare avvocato in ogni momento, anche se quest’ultimo è
retribuito dallo Stato.
222. In Irlanda, i procedimenti a tutela dei diritti costituzionali (che normalmente
sarebbero connessi a un’allegata violazione delle Regole penitenziarie) possono anche
essere istituiti per mezzo di procedimenti di citazione plenari (con allegazioni scritte e
assunzione di prove orali) o di procedimenti di controllo giurisdizionale presso l’Alta
corte. I procedimenti plenari hanno il vantaggio per il detenuto e i suoi rappresentanti
legali di poter produrre prove e controinterrogare i testimoni, mentre il controllo
giurisdizionale è normale un procedimento molto più sommario. I procedimenti plenari
possono “dare più spazio all’esame delle questioni e sono spesso più adatti quando la
causa del reclamo sono le condizioni carcerarie”.
223. Esiste anche un ricorso giudiziario informale. Ogni detenuto può scrivere all’Ufficio
centrale dell’Alta corte per contestare il motivo o le condizioni della detenzione. Questi
reclami sono di natura informale e non seguono specifiche norme della corte. Quando
riceve un reclamo di questo genere la Corte conduce un’indagine, chiedendo
eventualmente un rapporto al direttore del carcere. La decisione è presa in udienza
pubblica e il procedimento
224. “[…] è un mezzo molto efficace di garantire che i detenuti non siano isolati e
abbiano un’autorità finale a cui rivolgersi per questioni di diritto. L’informalità del
sistema giova alla sua amministrazione. Nulla di questo procedimento informale
pregiudica qualsiasi forma di controllo giurisdizionale […]. Né questo sistema può
ledere il diritto delle parti interessate a ricorrere per habeas corpus a un giudice
dell’Alta corte secondo il procedimento ordinario. Il procedimento si aggiunge agli atri
diritti e garanzie procedurali. Consiste in un mezzo eccezionale di accesso all’Alta corte
a beneficio dei detenuti.”
123
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225. Questo procedimento è a disposizione di qualunque detenuto, definitivo o in attesa
di giudizio. Non si richiede che abbia rappresentanza legale. Non è chiaro quanto spesso
sia utilizzato in pratica.
226. Nessuna norma del diritto irlandese obbliga i detenuti a farsi rappresentare nelle
controversie giudiziarie relative al loro trattamento durante la detenzione. I detenuti
possono agire personalmente e iniziare un procedimento di Habeas Corpus o di controllo
giurisdizionale o plenario tramite una petizione diretta. La complessità della procedura,
compresi i requisiti probatori, rende la rappresentanza importante se non
necessaria.
227. L’Irlanda ha numerosi programmi di assistenza legale. È importante per i nostri fini
il programma di Assistenza legale – questioni relative alla detenzione, un programma ex
gratia che copre certi tipi di cause iniziate dai detenuti. Essi comprendono i ricorsi di
Habeas Corpus, le proposte di cauzione dell’Alta corte e della Corte suprema, alcuni tipi
di controllo giurisdizionale, le richieste di estradizione e del mandato di arresto europeo
(MAE). I controlli giurisdizionali coperti dal programma sono quelli diretti a ottenere un
ordine di Certiorari, Mandamus o Prohibition e che riguardano questioni penali o la
libertà personale del ricorrente. Il programma è gestito dalla Commissione per il gratuito
patrocinio, e i fondi gravano sul Ministero della giustizia.
228. Il ricorrente deve provare che non è in grado di assumere un avvocato con i propri
mezzi. La richiesta di gratuito patrocinio va fatta all’inizio del procedimento. La Corte
poi fa una richiesta al Programma se il ricorrente deve esservi ammesso e se ritiene che
l’attribuzione di un legale è giustificata dalla natura del caso. L’assistenza a carico del
Programma copre soltanto i procedimenti di sua competenza, sicché ad esempio se un
detenuto vuole intraprendere un’azione civile (mentre è detenuto) insieme a un ricorso di
Habeas Corpus, il Programma paga solo le spese di quest’ultimo. I procedimenti coperti
dal Programma devono svolgersi davanti all’Alta corte o alla Corte suprema.
229. L’avvocato assegnato alla causa può servirsi di un interprete e farsi rimborsare la
relativa spesa. Regole simili si applicano alle perizie, che possono essere rimborsate a
condizione che siano essenziali alla preparazione e alla conduzione della causa.
230. Il gratuito patrocinio è disponibile anche nelle cause civili. È subordinato alla
verifica della mancanza di mezzi, che tiene conto sia del reddito che del patrimonio. Il
richiedente deve anche dimostrare che la causa giustifica un sostegno finanziario. In
quasi tutti i casi il ricorrente deve partecipare alle spese.240 La Commissione per il
gratuito patrocinio può recuperare i costi del patrocinio da ogni indennizzo concesso a
conclusione della causa condotta con il suo aiuto.
240
Il contributo va da €30 a €150.
124
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Non è previsto il gratuito patrocinio per i ricorsi ai sensi delle Regole penitenziarie del
2007 o delle Norme sui reclami dei detenuti del 2014.
231. In Inghilterra e Galles, un paragrafo delle Regole di procedura civile dal titolo PreAction Protocol for Judicial Review’ stabilisce i passaggi preliminari per iniziare un
ricorso di controllo giurisdizionale. Il ricorrente deve esporre in una memoria preliminare
( ‘letter before claim’) la decisione che contesta, i motivi e i possibili rimedi. La risposta
del decisore deve dichiarare quali aspetti della contestazione eventualmente accoglie e
quali respinge. Se c’è una forma più immediata di impugnazione o di ricorso, va esperito
prima di intraprendere qualsiasi iniziativa giudiziaria. La richiesta di controllo
giurisdizionale deve essere presentata rapidamente e in ogni caso non oltre tre mesi dopo
che i motivi del reclamo (la decisione) si sono verificati. Il giudice ha il potere di
prorogare il termine se è provata una ‘giusta causa’, ad esempio se il ricorso appare
verosimilmente fondato e non c’è pericolo di danni a terzi causati dal ritardo.
232. Il ricorrente deve dare al convenuto un Claim Form accompagnato dall’esposizione
dei motivi del ricorso e dalle prove. Poi entro 21 giorni il convenuto deve mandare una
memoria difensiva (Acknowledgement of Service). Questo termine può essere abbreviato
dal giudice in caso di emergenza.
233. Il costo iniziale per chiedere l’autorizzazione a procedere è di £140. Un ricorrente
non assistito che ha poco reddito e nessun risparmio è esonerato dal pagamento.
234. Il giudice può dare l’autorizzazione a iniziare il procedimento (dichiarando che il
ricorso non è palesemente infondato), rifiutarla o concederla solo per certi motivi e a
certe condizioni.
235. Se il giudice dichiara il ricorso completamente infondato il ricorrente non può
procedere oltre. Negli altri casi in cui l’autorizzazione è negata il ricorrente può chiedere
di essere sentito in udienza entro sette giorni (con un costo aggiuntivo di £350). Se
l’autorizzazione è nuovamente negata può rivolgersi alla Corte d’appello. La tariffa da
pagare dopo la concessione dell’autorizzazione è di £700 (o £350 se ha già pagato per
un’udienza supplementare). Il convenuto deve dare una risposta completa entro 35 giorni
producendo le prove. In questa fase (o in casi di urgenza come l’espulsione anche prima
dell’udienza per l’autorizzazione) la Corte può prendere un provvedimento cautelare
(‘interim relief’) come l’ordine di non eseguire la decisione del convenuto.
236. Una delle questioni principali del diritto penitenziario è se e quale gratuito
patrocinio è disponibile. Nel dicembre 2013 l’accesso al gratuito patrocinio è stato
abolito nella maggior parte delle aree del diritto penitenziario, specialmente nei casi
seguenti: 1) procedimenti davanti alla Commissione per la libertà condizionale
concernenti la progressione verso un regime aperto (noti anche come pre-tariff reviews) o
il ritorno a un regime aperto; 2) selezione dei detenuti da assegnare a uno dei pochi posti
125
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disponibili nelle sezioni per madri e bambini; 3) la separazione dei detenuti e la loro
collocazione in centri di massima sorveglianza; 4) la classificazione in categoria A; 5)
l’accesso ai corsi per comportamento deviante; 6) il reinserimento e le condizioni delle
licenze; 7) i procedimenti disciplinari (quando non possono essere imposti giorni
aggiuntivi).
237. L’effetto dei tagli è stato il venir meno anche per i detenuti più vulnerabili e
svantaggiati della possibilità di accedere al gratuito patrocinio per questioni penitenziarie.
Con l’entrata in vigore del Criminal Legal Aid Regulation nel 2013, il gratuito patrocinio
è stato circoscritto a tre casi: 1) le udienze davanti alla Commissione per la libertà
condizionale quando questa ha il potere di decidere (e non solo di proporre) la
scarcerazione; 2) le udienze disciplinari in cui il detenuto rischia di vedersi aggiungere
nuovi giorni di sanzione; 3) il calcolo della pena (compreso il controllo della lunghezza
della “tariffa” imposta ai minori condannati per omicidio).
238. Il 28 luglio 2015 la Corte di appello ha accolto il ricorso della Howard League for
Penal Reform and Prisoners' Advice Service per un controllo giurisdizionale della legalità
dei cambiamenti introdotti dal Criminal Legal Aid Regulations del 2013. La Corte ha
stabilito che l’associazione ha il diritto di contestare i tagli al gratuito patrocinio per i
detenuti.
239. Nondimeno l’effettività del gratuito patrocinio nei meccanismi di ricorso è legata
alla possibilità di accedere a fondi pubblici.
240. Il Criminal Defence Service Regulation del 2001 dispone che l’assistenza legale
possa essere concessa a un individuo per questioni concernenti il suo trattamento o
situazione disciplinare in carcere (non rispetto a un procedimento attuale o potenziale
concernente lesioni personali, morte o danneggiamento), o quando è oggetto di un
procedimento davanti alla Commissione per la libertà condizionale, se il suo reddito
settimanale disponibile non supera £186 e il suo patrimonio disponibile non supera
£3.000. Ogni richiesta di un ordine di rappresentazione deve essere fatta nelle forme
previste dal CDSR. Lo Standard Crime Contract del 2010 disciplina la prestazione del
servizio di gratuito patrocinio in materia penale. Il finanziamento pubblico dipende dal
Financial Eligibility Test. L’assistenza legale non copre la rappresentazione,
indipendentemente dalle circostanze del cliente o del caso.
4.3 Celerità e speditezza del procedimento
241. Negli ordinamenti dove l’amministrazione penitenziaria è autorizzata a prendere
provvedimenti che limitano i diritti fondamentali senza un’autorizzazione legale
preventiva, la celerità del rimedio preventivo è un aspetto cruciale dell’effettività, molto
più che negli altri ordinamenti. Da questo punto di vista i meccanismi sono generalmente
imperfetti, anche se in vario grado.
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242. I procedimenti osservati non hanno effetto sospensivo. La legge tiene spesso conto
dell’esigenza di un’azione rapida, con i seguenti effetti (che possono essere combinati,
ove appropriato): un termine perentorio per esaminare il ricorso; procedimenti urgenti nei
casi in cui si allega una grave violazione; obbligo del giudice di dare priorità all’esame
del ricorso nel contesto del procedimento ordinario.
243. In Olanda, la legge prevede che la Commissione per i reclami debba decidere nel
più breve tempo possibile, e in ogni caso non oltre quattro settimane dal ricevimento del
reclamo. Questo termine può essere prorogato di altre quattro settimane e nella pratica il
procedimento finisce spesso dopo la scadenza. Non c’è un termine perentorio per la
decisione d’appello, che deve essere presa ‘nel più breve tempo possibile’. Nella prassi
l’appello richiede da due a quattro mesi. Se si tiene un’udienza, la decisione è presa
solitamente entro le sei settimane seguenti. Quando esamina un ricorso il presidente della
Commissione può sospendere la decisione del direttore o della Commissione per i
reclami. Come descritto in precedenza, la trattazione di un reclamo o di un appello
richiede tempo. Nel procedimento di reclamo il termine per decidere è quasi sempre
oltrepassato.
244. In Romania, il Giudice di sorveglianza ha 15 giorni per decidere ma il rimedio non è
ritenuto effettivo.
245. In Bulgaria, il Codice di procedura amministrativa prevede un termine di due mesi
dal ricevimento per decidere sui reclami. La decisione deve essere comunicata al
ricorrente entro sette giorni da quando è presa.
246. Il Codice prevede due tipi di ordini del tribunale – un ordine proibitivo contro le
azioni delle autorità nazionali e un ordine obbligatorio contro il mancato adempimento
dei propri doveri giuridici da parte delle autorità. Nel primo caso il giudice è tenuto a
esaminare il ricorso immediatamente. Può ordinare alla polizia o a un’altra autorità di
svolgere un’indagine per accertare se l’azione è ancora in essere, a nome di chi e a quale
titolo. Nel secondo caso non ci sono disposizioni specifiche sulla celerità e la speditezza
del procedimento.
247. Nella sentenza pilota Neshkov la CEDU ha ritenuto che siccome il procedimento per
ottenere l’ordine del tribunale non si svolge sempre con rapidità, non è sempre idoneo a
dare riparazione ai problemi che richiedono un’azione urgente (§ 209).
248. Per quel che riguarda il procedimento sui ricorsi ordinari, richieste e reclami devono
essere inviati entro tre giorni alla persona od organizzazione destinataria. Non c’è un
termine specifico per l’esame dei ricorsi dei detenuti.
249. In Francia, le azioni di annullamento non possono rispondere all’esigenza di
celerità dato il tempo che trascorre generalmente tra la presentazione e l’esame (fra 7 e 30
127
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mesi). I procedimenti cautelari possono condurre in breve tempo a un ordine o alla
sospensione di una decisione. Nondimeno i tribunali amministrativi sono stati finora
molto riluttanti a fare pieno uso dei procedimenti cautelari. Tuttavia nel 2000 sono stati
esplicitamente invitati a farne uso da parte della commissione presieduta dal Primo
presidente della Corte di Cassazione, oltre che dalla commissione d’inchiesta
dell’Assemblea nazionale francese.
250. In realtà la natura urgente di questi casi esige che il ricorrente dimostri l’esistenza di
un pregiudizio che danneggi i suoi interessi “con sufficiente gravità e immediatezza”.
Concretamente, esige che il detenuto sia in grado di presentare un certificato medico
attestante l’effetto sul suo stato di salute, la cui gravità deve essere valutata dal tribunale.
Nella sentenza del 31 ottobre 2008 il Consiglio di Stato ha evidenziato che le misure di
isolamento possono essere impugnate di fronte al tribunale amministrativo, “anche in
sede cautelare”, con ciò sembrando voler invitare i tribunali inferiori ad ammorbidire le
loro valutazioni. E tuttavia questa decisione di svolta non ha avuto seguito. Per esempio,
poche settimane dopo il Tribunale amministrativo di Parigi ha respinto per mancanza di
urgenza il ricorso di un detenuto sottoposto a condizioni di detenzione estreme, cioè
l’isolamento sociale e sensoriale per oltre cinque anni.
251. Valutare l’urgenza in un procedimento cautelare richiede un’analisi degli effetti
deleteri della decisione sulla salute fisica o mentale del detenuto. Il ricorso può essere
dichiarato inammissibile senza entrare nel merito della legittimità del provvedimento. In
altre parole, secondo la giurisprudenza, non è urgente sospendere un provvedimento
applicato illecitamente a un detenuto se non ha palesi effetti deleteri sulla sua salute …
252. Per rispondere a questa critica, alcune decisioni recenti hanno cercato di elevare il
ricorso a tutela dei diritti e delle libertà fondamentali (référé-liberté) a procedimento di
diritto comune nelle situazioni di probabile violazione degli articoli 2 e 3 della
Convenzione EDU (CE, dicembre 2012, OIP), al fine di rendere questo procedimento di
uso comune. Tuttavia il tentativo di incanalare le controversie in questo procedimento
rapido ha portato in una certa misura a un punto morto: nel termine perentorio di 48 ore i
tribunali non possono valutare i provvedimenti da prendere per risolvere delle situazioni
spesso molto intricate. Inoltre la giurisprudenza non ha cambiato posizione riguardo
all’urgenza posta da provvedimenti come l’isolamento o le sanzioni disciplinari.
253. In Italia, uno degli aspetti più critici del rimedio preventivo sembra essere la
lunghezza e la complessità del procedimento. I giudici non hanno un termine perentorio
per decidere. Di fatto il procedimento dura da 3 a 6 mesi, mentre la sentenza d’appello
può richiedere altri mesi. In ogni caso, se l’amministrazione penitenziaria ricorre in
Cassazione contro la decisione del Tribunale, questo non può iniziare il procedimento di
128
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ottemperanza e nominare il commissario ad acta. Di conseguenza il rimedio può essere
totalmente inefficace: la sua ratio è proteggere i detenuti da una violazione in atto, ma la
decisione finale del Tribunale può richiedere più di un anno.
254. Anche in Germania, la lunghezza del procedimento sembra uno degli aspetti più
problematici, a dispetto della protezione che la Corte costituzionale intendeva offrire. Il
ricorso giurisdizionale non ha effetti sospensivi. Il tribunale non ha un limite di tempo per
prendere una decisione, che di solito richiede molti mesi.
255. Il tribunale può sospendere l’esecuzione del provvedimento impugnato se c’è il
pericolo che l’esercizio di un diritto del ricorrente sia impedito o gravemente limitato, e
se la sospensione non pregiudica un interesse superiore all’esecuzione immediata. Il
tribunale può anche emettere un ordine cautelare. La decisione non è impugnabile; può
essere cambiata o revocata dal tribunale in qualsiasi momento.
Il ricorso per ottenere una decisione conforme al sottoparagrafo è ammissibile anche
prima di ricorrere per ottenere una decisione giudiziale.
256. La ragionevolezza della durata del procedimento è da valutare secondo le particolari
circostanze del caso (si veda BVerfGE 55, 349 <369>;. 60, 253 <269>). Secondo la
giurisprudenza costituzionale la tutela giuridica ha il compito, se possibile, di impedire un
atto risultante da una decisione che, anche se dichiarata illegittima, sarebbe comunque
irreversibile (si veda BVerfGE 37, 150 <153>;. 65, 1 <70>). Come ricordava Liora
Lazarus, è stato detto ai Tribunali penitenziari di esaminare i ricorsi dei detenuti il più
rapidamente possibile e di non permettere che la mancanza di chiarezza o gli errori
tecnici o di forma in un ricorso impediscano di riconoscere questa tutela; perciò devono
chiarire tutti i punti oscuri del ricorso del detenuto, se necessario telefonando a lui o
all’amministrazione del carcere per avere chiarimenti. In alcuni casi la Corte
costituzionale ha ritenuto che si sarebbe dovuta accordare una tutela cautelare per fermare
l’esecuzione di una sanzione prima che la Corte potesse esaminare dovutamente il ricorso
(2 BvR 1675/05).
257. In pratica però questo potere è utilizzato raramente dai tribunali (Laubenthal, 2015).
Purtroppo i tribunali tedeschi non offrono a questo riguardo quella tutela effettiva che
potrebbero legalmente dare.
258. In Belgio, paradossalmente, poiché la legge non prevede meccanismi di rimedio
sono stati sviluppati dei procedimenti di emergenza di una qualche rilevanza.
Nelle questioni disciplinari il Consiglio di Stato accetta una richiesta di sospensiva a due
condizioni: il ricorso deve avere buone probabilità di successo e il detenuto deve
129
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dimostrare che l’esecuzione immediata della decisione gli causerebbe un danno grave o
difficile da riparare.
259. Esistono dei procedimenti di estrema urgenza che rendono possibile ottenere dal
Consiglio di Stato la sospensiva dell’atto in tempi molto rapidi. Un detenuto potrebbe
teoricamente farne uso quando la decisione contestata può essere eseguita prima che il
Consiglio di Stato possa deliberare sulla richiesta di sospensiva. Tuttavia il ricorso va
presentato il prima possibile perché altrimenti potrebbe essere respinto. Il detenuto può
chiedere al Consiglio di Stato di predisporre dei provvedimenti provvisori per proteggere
i suoi interessi.
Per far cessare delle misure di sicurezza come l’isolamento un detenuto, attraverso il
procedimento cautelare, può chiedere un provvedimento di urgenza al presidente del
tribunale di prima istanza. Il procedimento può concludersi con una decisione nel giro di
poche settimane.
260. Nelle sentenze quasi pilota contro il Belgio (Vasilescu e Bamouhammad,
concernenti rispettivamente il sovraffollamento e le misure di sicurezza), la Corte ha
ritenuto che “questo rimedio appare in teoria sufficiente a correggere in modo immediato
una situazione in contrasto con i diritti soggettivi del detenuto. In effetti la
giurisprudenza mostra (…) che il giudice cautelare può ordinare di prendere uno
specifico provvedimento per far cessare una situazione in contrasto con i diritti soggettivi
del detenuto, per esempio riguardante i rapporti con gli altri detenuti o le misure di
sicurezza”. Tuttavia questo rimedio non è stato ritenuto effettivo rispetto al
sovraffollamento e la prassi di trasferire continuamente i detenuti è stata considerata
pericolosa.
261. In Inghilterra e Galles, dopo che il procedimento è stato autorizzato, o in casi di
urgenza anche prima dell’udienza per l’autorizzazione, la Corte può concedere un
provvedimento di urgenza (interim relief) come l’ordine di non eseguire la decisione del
convenuto prima che il caso sia stato deciso. Per quel che riguarda il rimedio
compensatorio il ristoro deve essere ‘appropriato e sufficiente’, il che significa fra l’altro
che il risarcimento deve essere pagato senza indugio (cioè entro sei mesi dalla data in cui
la decisione che lo concede è divenuta esecutiva).
4.4 Contraddittorio e accertamento dei fatti
130
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262. Anche le regole probatorie e il contraddittorio sono aspetti molto delicati rispetto
alla posizione dei detenuti nei confronti dell’autorità. Da questo punto di vista la tendenza
degli ordinamenti giuridici nazionali a tenere conto della situazione dei detenuti, in
particolare rispetto all’onere della prova, è in gran parte frustrata dalla prassi
giurisprudenziale che tende ad attenersi alle prove prodotte dall’autorità.
263. In Italia, nel procedimento di fronte al Magistrato di sorveglianza si osservano le
norme processuali generali e il detenuto può partecipare alla discussione. Anche
l’amministrazione penitenziaria oggi può partecipare alla discussione o mandare memorie
scritte. La Suprema Corte ha confermato in una recente sentenza (8/01/15) che il
procedimento per ottenere il rimedio compensatorio ex art. 35-ter deve essere lo stesso
seguito per il rimedio preventivo ex art. 35-bis. Grazie al riferimento esplicito alla
giurisprudenza della CEDU l’onere della prova ricade sulle autorità carcerarie.
264. In Romania, nell’esame dei reclami il giudice di sorveglianza ha accesso a tutte le
informazioni e può sentire le persone che possono contribuire all’accertamento dei fatti.
Per quel che riguarda il rimedio compensatorio, l’effettività del procedimento è dubbia
perché la responsabilità civile dello Stato può essere fatta valere soltanto se è provata la
colpa di chi ha commesso il fatto. Inoltre la portata del rimedio appare limitata al
controllo della conformità ai principi nazionali applicabili alle condizioni di detenzione e
non copre tutti i criteri applicati dalla Corte europea o che possono essere in contrasto
con quelli nazionali.
265. In Francia, il procedimento davanti al tribunale amministrativo è in contraddittorio.
Il giudice non può fondare la decisione su elementi che non sono stati portati
all’attenzione di entrambe le parti. In alcuni casi il tribunale ha tenuto conto di
dichiarazioni dell’amministrazione non suffragate da documenti, perché
l’amministrazione ha invocato motivi di sicurezza, ma queste decisioni restano isolate. I
procedimenti cautelari davanti ai tribunali amministrativi danno grande importanza
all’informazione orale. Quando l’informazione prodotta dall’amministrazione in udienza
è contestata, il giudice generalmente prolunga l’indagine in modo che l’amministrazione
possa produrre le prove appropriate.
266. Sia in sede cautelare che in un normale procedimento il detenuto non compare
davanti al giudice se non in casi molto rari. Non è di uso comune nemmeno la
videoconferenza, mentre è molto usata nel procedimento penale. Perciò il ricorrente non
può descrivere la situazione in cui si trova né di ciò che ha subito. L’avvocato deve
quindi fare da tramite.
267. Per quel che riguarda l’onere della prova, nel rimedio preventivo si applica il
principio generale per cui spetta all’attore suffragare adeguatamente le sue allegazioni in
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ogni causa. Un ricorso sufficientemente dettagliato rende quindi possibile avviare il
giudizio contenzioso. L’amministrazione deve ribattere alle argomentazioni
dell’avversario sulla base delle prove a favore. Inoltre i suoi poteri generali di indagine
implicano che il giudice possa prendere “tutti i provvedimenti utili a fornirgli (…) gli
elementi che lo assistano a formarsi un convincimento”, cioè richieste di documenti,
spiegazioni o “risposte” al mezzo invocato. L’incidenza di queste regole probatorie è
variabile e dipende dalla questione trattata. I tribunali sono stati relativamente protettivi
rispetto alle misure di sicurezza, l’isolamento in particolare.
268. Per le azioni di responsabilità da suicidio o morte in carcere, sembra complicato
agire di fronte al tribunale amministrativo senza aver svolto prima un’indagine penale,
dove sono sentiti i protagonisti, è accertato lo svolgimento dei fatti, etc. Ciò comporta
una mole di lavoro investigativo incompatibile con i mezzi a disposizione del giudice
amministrativo. Per quel che riguarda il contenzioso in materia di condizioni di
detenzione e carenza di assistenza sanitaria, la discussione è spesso chiarita da una o più
perizie.
269. Il diritto offre al ricorrente numerose possibilità di suffragare le sue affermazioni
con elementi tecnici fornite da specialisti. Un detenuto può usare vari procedimenti di
emergenza a questo scopo.
270. Per quel che riguarda la situazione di fronte al giudice penale, in cui un detenuto
richiede la liberazione anticipata perché le sue condizioni di detenzione hanno effetti
negativi sul suo stato di salute, l’accertamento dei fatti è interamente nelle mani.
271. In Irlanda, nei procedimenti di habeas corpus l’onere della prova ricade sull’attore
(il detenuto) ed è duplice: provare che le condizioni di detenzione sono tali da rendere
illegittima la detenzione e che le autorità carcerarie non possono o non vogliono trovare
un rimedio adeguato a tali condizioni. Il giudice può anche convertire un procedimento di
controllo giurisdizionale in un’inchiesta ex articolo 40.4 (e viceversa) se ritiene che, nelle
circostanze del caso, un procedimento di habeas corpus sarebbe più appropriato.
272. In Inghilterra e Galles il Freedom of Information Act del 2000 consente a chi
contesta una decisione di un organismo pubblico di richiedere tutte le informazioni che
ritiene rilevanti. Il codice di procedura civile dispone che ogni persona possa chiedere il
permesso di produrre mezzi di prova all’udienza di un procedimento di controllo
giurisdizionale, e che la Corte possa concludere il procedimento senza un’udienza solo
con il consenso di tutte le parti. Prima dell’udienza tutte le parti devono preparare uno
schema (‘skeleton’) dei loro argomenti a uso della corte. Le prove sono solitamente
scritte ed è rara l’audizione di testimoni.
132
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5. COERENZA DEL SISTEMA DEI RIMEDI CON LA NATURA E IL TIPO DEI RECLAMI
TRATTATI
5.1 Le sentenze pilota e quasi pilota e i loro effetti sulle politiche carcerarie nazionali
273. Molti Stati condannati da sentenze pilota o quasi pilota sono o riluttanti ad adeguarsi
ai provvedimenti generali decisi della Corte (rifiutando di prenderli) o danno risposte solo
parziali, come l’Italia.
274. Il Belgio è stato recentemente condannato per violazione dell’articolo 3 in una
sentenza quasi pilota, Vasilescu v. Belgium241, a causa del trattamento degradante dovuto
ai problemi strutturali di sovraffollamento. La Corte di Strasburgo ha ordinato al Belgio
di prendere in considerazione l’adozione di provvedimenti generali che garantiscano
condizioni di detenzione compatibili con l’articolo 3 della Convenzione, oltre che di un
rimedio effettivo che metta fine alla violazione e migliori le condizioni di detenzione.
275. Il governo belga si è impegnato a sostituire le pene detentive brevi con sanzioni
alternative e ad affrontare il nodo del sovraffollamento carcerario non solo aumentando la
capienza delle prigioni ma anche in combinazione con altre misure. Sono stati presi vari
provvedimenti per aumentare la capacità delle carceri, come la sostituzione di quelle
fatiscenti e la promozione di misure alternative alla detenzione. In primo luogo, la
capacità delle carceri è stata aumentata significativamente aprendo 3 nuove prigioni che
aumentano la capienza di 936 posti (si veda il Piano d’azione 2016).
276. Si è assistito a un aumento dell’uso del monitoraggio elettronico (da 1012 reclusi il 1
settembre 2010 a 1695 il 15 maggio 2016). Le autorità belghe hanno anche aperto
l’ospedale psichiatrico di Ghent che ha posto 260 internati fuori dall’infrastruttura
carceraria. Infine le autorità belghe si sono anche adoperate per accelerare le espulsioni
degli stranieri condannati che sono raddoppiate in meno di un anno.
277. Stando alla dichiarazione del governo, c’è statisticamente un netto declino
dell’indice di sovraffollamento da quasi 25% nel giugno 2013 a -8% nel settembre 2015;
anche la popolazione carceraria belga ha cominciato a calare, da 11.854 detenuti il 15
aprile 2014 a 10.649 il 7 luglio 2016 (-11,7%). L’ambizione del Belgio è di continuare a
ridurre la popolazione carceraria fino a meno di 10.000 detenuti e al tempo stesso di
aumentare ancora la capienza delle prigioni.
278. Negli anni a venire dovrebbero essere ancora costruite tre nuove prigioni (2.178
posti). Sono allo studio nuovi provvedimenti per ridurre ancora il numero degli internati
nelle istituzioni penali. Fra questi si possono citare i seguenti provvedimenti che avranno
un impatto strutturale diretto sulla popolazione detenuta. Sul fronte legislativo il
241
CEDU in Vasilescu v. Belgium, 25 novembre 2014, n. 64682/12.
133
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monitoraggio elettronico, che non era possibile per i detenuti in attesa di giudizio ma che
è stato esteso grazie alla legge approvata il 28 gennaio 2016.
279. Le autorità belghe si rifiutano di introdurre nuovi rimedi e intendono solo migliorare
l’effettività di quelli esistenti. Riferiscono infatti di sviluppi recenti nell’uso dei
provvedimenti cautelari (in materia di condizioni carcerarie cattive o scadenti) e del
risarcimento danni242.
280. Un’altra sentenza quasi pilota è quella pronunciata nel caso Bamouhammad v.
Belgium che riguardava il regime di alta sicurezza applicato a un detenuto e il
conseguente peggioramento della sua salute mentale a causa di una “psicosi carceraria”.
La Corte ha affermato ai sensi dell’articolo 46 (forza vincolante ed esecutività delle
sentenze) che il Belgio deve introdurre un rimedio per dare ai detenuti la possibilità di
contestare i trasferimenti e i provvedimenti speciali come quello applicato a
Bamouhammad.
281. La Corte ha preso atto dell’introduzione nel diritto belga di uno specifico diritto dei
detenuti a una commissione per i reclami annessa alla commissione di vigilanza di ogni
carcere. Tuttavia le relative norme non sono ancora entrate in vigore in mancanza di un
decreto reale di attuazione. Tenendo conto di questo la Corte ha raccomandato al Belgio
di prendere dei provvedimenti generali: l’introduzione di un rimedio adatto alla
situazione dei detenuti sottoposti a trasferimento e a provvedimenti speciali come quelli
applicati al ricorrente.
282. Per quel che riguarda l’Italia, l’impatto durevole delle sentenze pilota che hanno
condannato lo Stato per il sovraffollamento carcerario (Torreggiani v. Italy, 08/01/2013)
è discutibile. Questa sentenza faceva seguito, estendendoli, agli accertamenti della Corte
nella precedente sentenza Sulejmanovic v. Italy, divenuta definitiva nel 2009. Un primo
insieme di provvedimenti era stato presentato nel piano d’azione del 29/06/2012,
compresi mutamenti legislativi e un programma di costruzione di nuove carceri.
Nonostante questo piano la situazione di sovraffollamento in Italia rimaneva un problema
strutturale ed è stata riconosciuta come tale nella successiva sentenza Torreggiani.
283. La sentenza Torreggiani and Others v. Italy richiedeva alle autorità italiane di porre
in essere una combinazione di rimedi per dare riparazione alle violazioni della
Convenzione risultanti dal sovraffollamento carcerario.
284. Per contrastare il problema strutturale evidenziato dalla sentenza pilota Torreggiani,
l’amministrazione penitenziaria italiana ha emesso un ordine di servizio che introduceva
la sorveglianza “dinamica”. Questa è stata la sola strategia attuata dall’amministrazione
penitenziaria. Non è stato introdotto alcun miglioramento concernente le attività
242
Ibid.
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educative e lavorative. Di conseguenza, mentre prima di questo ordine i detenuti erano
abbandonati all’ozio nelle celle, ora appaiono abbandonati all’ozio nei corridoi.
285. Interrogati sui possibili miglioramenti delle loro condizioni di vita nel contesto
carcerario, tutti i detenuti hanno risposto che gli unici miglioramenti riguardavano la
limitata riduzione del sovraffollamento (la popolazione del carcere fiorentino di
Sollicciano è diminuita di circa il 30% fra il 2013 e il 2014, e il numero di detenuti per
cella di 12m2 è passato da 3 a 2) e l’accesso a un regime più aperto. Dal maggio 2014 9
sezioni su 13 del carcere maschile godono di un regime semi-aperto all’interno della
sezione per 8 ore al giorno.
286. Tuttavia, a causa dell’opposizione dei sindacati di polizia penitenziaria a questo
nuovo regime, è stato emesso un nuovo ordine di servizio che ha limitato la portata di
questo regime semi-aperto. La nuova decisione impone di classificare i detenuti secondo
la loro potenziale pericolosità, dopo un periodo di osservazione di un mese, e di
suddividerli poi tra sezioni a regime semi-aperto e a regime chiuso.
287. La legge italiana del 2013 conteneva un ampio ventaglio di norme, alcune dirette a
dare una tutela effettiva ai diritti dei detenuti (l’istituzione di un Garante nazionale e di un
nuovo rimedio giurisdizionale esperibile davanti ai Tribunali di sorveglianza), altre ad
affrontare il sovraffollamento (riforma della legge sugli stupefacenti per diminuire le
sanzioni e impedire la custodia cautelare per i reati minori, una temporanea estensione dei
permessi giornalieri per la maggior parte dei reati).
288. In particolare, in seguito a una decisione del Comitato dei Ministri del Consiglio
d’Europa (5 giugno 2014), che apprezzava il nuovo rimedio preventivo (art. 35-bis) ma
chiedeva anche di proseguire il processo di riforma, una nuova legge ha introdotto un
rimedio specifico (art. 35-ter) da esperire in caso di violazione dell’articolo 3 della
Convenzione europea. Sulla sua effettività si veda sotto.
289. Per quel che riguarda la Romania, anche gli effetti della sentenza quasi pilota e delle
altre sentenze in tema di sovraffollamento carcerario e carenza di assistenza sanitaria
devono essere messi in dubbio. In particolare, in seguito alla sentenza Stanciu Iacov
(24/07/2012) e con riguardo ai problemi generali dell’assistenza sanitaria, del
sovraffollamento e delle condizioni materiali di detenzione, nel settembre 2012 il
governo ha stabilito un nuovo programma di azioni prioritarie per risolvere il problema
sostanziale all’origine di queste sentenze e ha istituito un gruppo di lavoro incaricato di
seguirne regolarmente l’attuazione.
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290. In una lettera del maggio 2014, la ONG Apador-CH informava il Comitato dei
Ministri della situazione243. Secondo questa lettera i problemi specifici del sistema erano:
tasso di sovraffollamento, igiene carente, assenza di programmi culturali ed educativi, il
trattamento dei detenuti vulnerabili, mancanza di assistenza sanitaria idonea, problemi
legislativi (la legge n. 254/2013). I riscontri si fondavano sulle visite a 17 carceri nel
corso del 2013. Inoltre, secondo i dati ufficiali al 22 aprile 2014, la popolazione detenuta
ammontava a 29.660 unità a fronte di una capienza degli istituti di pena, calcolando 4m2
per detenuti, di 17.772 posti, quindi poco più di 2m2 a persona. Apador-CH sottolinea che
gli istituti di pena, comprese le prigioni costruite o ristrutturate nel 2012, continuano a
essere gravemente sovraffollati e non offrono condizioni adeguate. Nel corso delle visite
effettuate nel 2013 Apador-CH ha osservato, fra l’altro, situazioni in cui i detenuti
dovevano condividere il letto (carcere di Ploiesti) Nei centri di detenzione di polizia
visitati le condizioni materiali e sanitarie rimanevano precarie.
291. Una riforma legislativa entrata in vigore il 1 febbraio 2014 ha introdotto il nuovo
Codice penale e il nuovo Codice di procedura penale, oltre a nuove leggi sulla liberazione
condizionale e l’esecuzione delle pene e dei provvedimenti detentivi e non detentivi. La
riforma introduce nuove alternative alla custodia cautelare, modifica le condizioni per
applicare le misure alternative alla carcerazione e rafforza il ruolo del servizio di
liberazione condizionale. Il nuovo quadro normativo mantiene il sistema della custodia
cautelare nei centri di detenzione della polizia durante la fase istruttoria. Fra il marzo
2012 e il gennaio 2015 la capienza del sistema penitenziario, calcolata in ragione di 4m2
per detenuto, è aumentata da 17.367 a 18.986 posti e la popolazione carceraria è
diminuita da 31.448 a 30.153 detenuti.
292. Per quel che riguarda l’effettività dei rimedi, la nuova legge del 2013 consente ai
detenuti di impugnare davanti al giudice di sorveglianza ogni provvedimento che incida
sull’esercizio dei diritti riconosciuti da tale legge. Le autorità hanno citato quindici
decisioni giudiziarie rese fra il 2011 e il 2013 che hanno accolto reclami dei detenuti
relativi all’inosservanza dei principi nazionali sullo spazio vitale minimo e, in alcuni casi,
all’insufficiente dotazione delle celle. Per quel che riguarda l’aspetto compensatorio, le
autorità hanno indicato che i detenuti possono ricorrere al giudice civile secondo le
disposizioni generali della responsabilità civile per chiedere i danni del tempo trascorso
in condizioni non conformi all’articolo 3 della Convenzione.
293. Secondo la dettagliata analisi dei provvedimenti legislativi resa nota dal Servizio di
esecuzione della CEDU il 12 gennaio 2015, anche se la legge del 2013 consente al
detenuto di ricorrere al giudice, limita l’oggetto alle violazioni della legge romena che
243
https://wcd.coe.int/com.instranet.InstraServlet?command=com.instranet.CmdBlobGet&InstranetImage=25
64695&SecMode=1&DocId=2150586&Usage=2
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può essere significativamente diversa dai principi europei. La legge non consente
un’analisi globale paragonabile a quella condotta dalla CEDU. Inoltre non ci sono
informazioni sul seguito delle decisioni prese in questi casi, cioè se le condizioni di
detenzione sono state realmente rese conformi ai principi.
294. Il Comitato dei Ministri ha preso nel marzo 2015 una decisione secondo cui “i
provvedimenti legislativi presi (…) non appaiono di per sé idonei a condurre a una
soluzione durevole di questo problema in un tempo ragionevole”, e che afferma
“l’estrema urgenza con cui le autorità devono trovare un rimedio alle deficienze
strutturali che affliggono queste strutture e, in attesa di raggiungere questo obiettivo,
prendere dei provvedimenti diretti a ridurre al minimo la durata della detenzione in
strutture non idonee”. Nella decisione si osserva anche “che le informazioni pervenute
finora non consentono di concludere che i procedimenti esistenti siano dei rimedi
adeguati ed effettivi ai ricorsi relativi al sovraffollamento e alle condizioni materiali di
detenzione”.
295. Riguardo alla Bulgaria, il contenzioso sulle condizioni disumane e degradanti nelle
istituzioni penitenziarie ha prodotto un notevole corpo di giurisprudenza della CEDU
durante gli ultimi 20 anni. Questi casi riguardano il trattamento disumano e degradante
dovuto alle cattive condizioni nelle carceri (sovraffollamento, cattive condizioni sanitarie
e materiali; poche possibilità di attività fuori delle celle; applicazione prolungata di uno
speciale regime penitenziario restrittivo unito agli effetti delle inadeguate condizioni
materiali nelle carceri …). La situazione sempre peggiore e la mancanza di rimedi
effettivi contro le cattive condizioni sono culminate nella sentenza pilota Neshkov and
others v. Bulgaria (27/01/2015). La CEDU ha ritenuto unanimemente che le cattive
condizioni di detenzione in vari istituti di pena bulgari e il sovraffollamento eccessivo
violassero l’articolo 3 della Convenzione. Ha riscontrato poi una violazione dell’articolo
13 rispetto alla mancanza di rimedi effettivi per ottenere riparazione delle cattive
condizioni e del sovraffollamento. La Corte ha motivato il procedimento di sentenza
pilota con la natura sistematica, grave e persistente dei problemi identificati nel sistema
carcerario bulgaro.
296. La simultaneità di una sentenza pilota (CEDU) e di una dichiarazione pubblica
(CPT) contro la Bulgaria, entrambe concernenti problemi di trattamento disumano e
degradante dei detenuti, ha accresciuto significativamente la pressione esterna sul sistema
penitenziario bulgaro. Di conseguenza nel 2015 il Ministero della giustizia ha avviato
delle riforme in varie aree cruciali del sistema penitenziario, compresi cambiamenti di
gestione delle carceri, il miglioramento delle condizioni materiali, l’introduzione di un
nuovo meccanismo per denunciare le violenze e gli abusi fisici nelle carceri e nei centri
di detenzione cautelare. Alla fine del 2015 il Ministero della giustizia ha reso noto un
pacchetto di progetti di legge di riforma del sistema penitenziario – principalmente
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provvedimenti contro il sovraffollamento. Fra i provvedimenti più significativi proposti
vi sono la nuova disciplina giuridica dell’assegnazione iniziale dei detenuti, dei
trasferimenti e della liberazione condizionale, e il monitoraggio elettronico degli autori di
reato.
297. Inoltre, in risposta alla sentenza pilota Neshkov, il Ministero ha proposto di istituire
dei nuovi rimedi compensatori e preventivi rispetto alle condizioni di detenzione. Il
progetto di legge contemplava un procedimento speciale diretto al risarcimento dei danni
subiti a causa del trattamento disumano e degradante dei detenuti nelle carceri e nei centri
di detenzione cautelare. Il rimedio dovrebbe essere introdotto sotto forma di una nuova
sezione della SMRDA e di un nuovo corpo di norme procedurali, fra cui: inversione
dell’onere della prova; valutazione congiunta da parte dei tribunali delle condizioni e
degli altri aspetti della detenzione; conferimento ai tribunali del potere di convocare
pubblici funzionari e altri individui le cui dichiarazioni possano contribuire alla giusta
decisione della causa.
298. Riguardo al rimedio preventivo, il Ministero ha proposto l’introduzione di un nuovo
reclamo speciale al giudice amministrativo. Il rimedio dovrebbe consentire ai detenuti di
denunciare al giudice amministrativo le condizioni di detenzione che violano il divieto di
tortura e di trattamenti crudeli, disumani e degradanti, compreso il sovraffollamento. Il
tribunale amministrativo dovrebbe avere il potere di migliorare effettivamente la
situazione del ricorrente, anche ordinando il trasferimento in un’altra cella o in un altro
istituto. Il tribunale dovrebbe esaminare il caso entro sette giorni dalla presentazione del
ricorso. La decisione del tribunale amministrativo dovrebbe essere impugnabile di fronte
a un’altra sezione dello stesso tribunale.
299. Tuttavia, in seguito a cambiamenti nella direzione del Ministero della giustizia
avvenuti nel dicembre 2015, nel 2016 il progetto di legge appena descritto è stato
emendato. Alcune disposizioni chiave dirette a rafforzare la tutela dei diritti dei detenuti e
a migliorare il procedimento della liberazione anticipata, l’accesso alla giustizia, il
trasferimento dei detenuti e l’uso della forza sono state abbandonate, facendo apparire
alquanto premature le alte aspettative delle organizzazioni internazionali e degli
osservatori nazionali sulla volontà del governo bulgaro di attuare delle profonde riforme
del sistema carcerario.
300. In Inghilterra e Galles, nonostante il ruolo rilevante del potere giudiziario in
numerosi casi di altro profilo, il controllo giurisdizionale è un rimedio molto tecnico e
difficile non facilmente accessibile alla maggioranza dei detenuti. I meccanismi di ricorso
interni sono ampiamente screditati.
301. Secondo l’ultimo rapporto dell’Ispettorato penitenziario, i reclusi hanno molta poca
fiducia nelle procedure di reclamo: solo il 29% dei ricorrenti si è sentito trattato con
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equità. I detenuti hanno dichiarato di essersi spaventati quando hanno visto i modelli di
reclamo raccolti dal personale e lasciati in cassetti non chiusi a chiave. Gli intervistati
hanno anche affermato che i modelli di reclamo non erano liberamente disponibili, che ad
alcuni reclami è stato risposto dalla persona oggetto del reclamo, e che molte risposte
sono arrivate tardi. Come sottolineato da un rapporto dell’Ispettorato penitenziario
(2014), i detenuti appartenenti a minoranze etniche hanno ancora una percezione più
negativa dell’equità e dell’effettività del sistema dei reclami. Il 28% dei ricorrenti si è
sentito trattato con equità (contro il 41% dei ricorrenti bianchi) e il 22% ha denunciato
che gli è stato impedito di fare reclamo (contro il 15% dei ricorrenti bianchi).
302. Il rapporto del Garante delle carceri (marzo 2015) sottolinea che i motivi per cui i
detenuti intervistati non hanno utilizzato il sistema dei reclami interni avevano a che fare
principalmente con la paura di ritorsioni e la mancanza di fiducia nel sistema. C’erano
una sfiducia diffusa verso il sistema dei reclami interni e la convinzione che i reclami
formali fossero una perdita di tempo perché non sarebbero stati esaminati, o sarebbero
stati manomessi dal personale. Alcune persone hanno riferito di aver avuto un buon
sostegno da parte del personale penitenziario e di aver potuto rivolgersi ad esso in caso di
problemi. Era quindi meno probabile che avessero bisogno del Garante se i loro reclami
fossero stati accolti. La lunghezza del tempo impiegato dalle carceri per gestire i reclami
era un deterrente. Le persone intervistate consideravano il sistema dei reclami un
procedimento lento e macchinoso, che in definitiva non avrebbe risolto il loro problema.
Come sottolinea il rapporto del Garante, un comune motivo di preoccupazione era la
mancanza di dettagli nelle risposte ai reclami. Gli intervistati sentivano che i loro reclami
non erano stati presi sul serio o erano stati ignorati. Un tema molto comune era la paura
di ritorsioni che sembrava il motivo principale per non reclamare. Altri sostenevano che i
funzionari trattavano in modo diverso i detenuti che reclamavano; queste differenze
potevano consistere nel peggioramento del loro status di buona condotta, nel
licenziamento dal lavoro o nella revoca di benefici. Le donne ritenevano che il reclamo
sarebbe stato visto come un disturbo e avrebbe potuto influire sulla concessione della
detenzione domiciliare o della libertà condizionale.
303. Un’indagine del Garante diretta a stabilire se i gruppi sottorappresentati nel carico di
lavoro del Garante sono sufficientemente in grado di accedere al servizio ha mostrato che
pochissime persone avevano reclamato. Alcuni partecipanti avevano fatto reclamo alla
prigione ma pochissimi avevano impugnato la decisione o utilizzato la seconda fase del
procedimento. Molti partecipanti avevano fatto dei reclami verbali o si erano arrangiati sa
soli. Alcuni avevano sottoposto il loro problema all’Independent Monitoring Board
(IMB) o al Barnardo’s. La maggior parte dei detenuti che avevano inviato un reclamo al
Garante si era sentita dire che non era ammissibile, e se era stato esaminato non era stato
accolto. Gli intervistati ritenevano che il Garante non spiegasse perché non apriva
un’indagine sui loro reclami ed erano frustrati dalla mancanza di informazioni.
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Specialmente fra i partecipanti donne c’era una mancanza di fiducia nell’indipendenza
del Garante. Alcuni lo consideravano una parte dell’amministrazione penitenziaria. Ciò
era causa di scetticismo sul valore dei reclami al Garante e consideravano quest’ultimo
parte di un sistema non imparziale.
304. Molti degli intervistati dicevano di essersi rivolti all’IMB perché era più accessibile,
dato che i suoi membri si trovavano nell’istituto e si poteva andare a parlare con loro.
Questa interazione faccia a faccia era importante per alcuni partecipanti, in confronto
all’invio di un pezzo di carta. I minori che avevano contattato il Barnardo’s nel loro
istituto proponevano che il Garante fornisse un servizio simile sul posto. Ciò avrebbe
eliminato la necessità di passare attraverso il personale penitenziario, di alcuni membri
del quale non si fidavano. I detenuti intervistati erano anche favorevoli all’idea di poter
discutere il loro reclamo con una persona con cui entrare in relazione, come potevano
fare con l’avvocato. Proponevano che il Garante ampliasse il suo ambito di competenza
in modo che fosse possibile rivolgersi a lui senza dover prima passare attraverso il
sistema dei reclami interni. Agli intervistati piaceva il fatto di poter sottoporre il loro
problema all’IMB e che l’aiuto dell’IMB non fosse subordinato a particolari condizioni.
Il rapporto citato sopra sottolinea che la forma scritta del sistema dei reclami può essere
considerata uno dei principali motivi per non reclamare.
305. Riguardo all’Irlanda, gli operatori pratici intervistati ritenevano che la domanda di
contenzioso penitenziario sia notevole – come ha detto uno di loro, la domanda “supera
di gran lunga le capacità dello studio”, e un altro ha aggiunto che dà “continuamente”
lavoro da fare. Gli avvocati ricevono “moltissime richieste di assistenza dalle prigioni”
(intervista 3), spesso settimanalmente. Una delle maggiori difficoltà di ottenere dei
cambiamenti attraverso il contenzioso penitenziario è la tradizionale riluttanza dei giudici
a intervenire nel funzionamento delle prigioni. La gestione quotidiana delle prigioni è
vista come compito dei singoli direttori e sebbene in alcuni casi i giudici abbiano ordinato
all’amministrazione penitenziaria di compiere o non compiere certi atti (si veda
McDonnell v the Governor of Wheatfield Prison), la riluttanza a intervenire è ancora
prevalente. Gli intervistati hanno anche espresso la preoccupazione che le cause possano
essere compromesse da “questioni di credibilità” (intervista 2) e il fatto che quando si
presentano due versioni della stessa vicenda, i giudici tendono a stare dalla parte delle
autorità carcerarie.
306. Ad avviso di alcuni degli operatori giuridici che il sistema tenda a cercare di
risolvere le cause penitenziarie con una mediazione o una transazione. In questi casi i
cambiamenti delle circostanze personali del detenuto sono negoziati con
l’amministrazione penitenziaria; alcuni casi non arrivano alla conclusione perché i
detenuti sono rilasciati e non desiderano continuare con la causa (o viene meno la
procedibilità della causa). In generale, sebbene ci siano molte richieste provenienti dai
detenuti, “non molte cause hanno successo”. Un altro motivo di preoccupazione degli
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avvocati e dei loro clienti era la considerazione dei mezzi umani e finanziari necessari a
patrocinare una causa penitenziaria. Anche se il gratuito patrocinio è disponibile nella
maggior parte delle controversie penitenziarie, il livello (ammontare) della sua
disponibilità spesso è insufficiente a coprire i costi del contenzioso. L’impegno di tempo
delle controversie penitenziarie è notevole, non solo per le questioni giuridiche spesso
complesse ma anche per le considerazioni pratiche del tempo impiegato nella
corrispondenza con le autorità carcerarie; nei colloqui legali con i clienti; nel reperimento
delle prove; etc. È possibile recuperare i costi solo in caso di vittoria, e anche allora non
sempre si recuperano tutti. Sebbene i professionisti del diritto “cerchino di patrocinare” le
controversie penitenziarie, i limiti al gratuito patrocinio hanno una parte importante nel
decidere se accettarle.
307. In alcuni casi può essere difficile anche solo impostare la causa o accedere alle
prove necessarie. Uno dei professionisti ha citato i procedimenti disciplinari in carcere
come esempio di controversie “difficili da scandagliare”. Anche se i processi disciplinari
possono essere visti come “quasi tribunali”, i detenuti non hanno diritto alla
rappresentanza legale in udienza. Può essere difficile ottenere le prove necessarie a
contestare una decisione. I professionisti hanno anche manifestato la loro frustrazione per
il modo in cui le carceri rispondono ai loro quesiti: a volte sono ignorati, oppure la
risposta arriva in ritardo o è solo parziale. I professionisti ritenevano che l’effetto
sistemico di una causa penitenziaria vinta sia relativamente minimo. Sebbene ci siano
molte cause in corso, nonostante i problemi pratici appena descritti, c’è “penuria di
sentenze pubblicate” (intervista 1) il che rende ancora più difficile valutare l’impatto
sistematico del contenzioso. In generale, una volta risolta la situazione di un singolo
detenuto – per esempio, la persona ottiene l’accesso a un particolare servizio, dopo aver
avuto delle difficoltà – secondo i professionisti è improbabile che il problema venga
affrontato a livello sistemico. Manifestavano un po’ di ottimismo, però, sul fatto che il
sollevare i problemi e la minaccia del contenzioso contribuiscano indirettamente a
promuovere dei cambiamenti più sistemici.
308. Per quel che riguarda i meccanismi interni, i detenuti appaiono riluttanti a
servirsene. Nel 2014 l’Ispettorato penitenziario riassumeva così i motivi per cui i detenuti
non vogliono reclamare:
a. i detenuti non hanno fiducia nel sistema dei reclami;
b. sono ‘incoraggiati’ a non reclamare;
c. sono preoccupati delle conseguenze negative per la loro situazione in carcere se
dovessero reclamare;
d. i detenuti temono di essere trasferiti in un’altra prigione se reclamano;
e. in caso di reclamo grave, temono per la loro sicurezza;
f. temono di non essere protetti dalle conseguenze avverse se dovessero reclamare, e
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g. temono di vedersi negati i permessi se dovessero fare reclamo.
309. I professionisti irlandesi intervistati hanno dichiarato che molti detenuti non
conoscono ancora i meccanismi interni di reclamo. A parte la mancanza di
consapevolezza, i detenuti trovano anche barriere pratiche a intraprendere il contenzioso,
come problemi di alfabetizzazione e matematica elementare, oltre che il “fattore paura”
come la preoccupazione per le ritorsioni del personale e le conseguenze di essere
etichettato come detenuto ‘problematico’. Anche la recente introduzione del sistema dei
‘regimi incentivanti’ per cui i detenuti guadagnano certi diritti come premio della ‘buona
condotta’ contribuisce alla riluttanza dei detenuti a reclamare. Questi fattori determinano
una situazione in cui “i detenuti si adattano molto e tollerano molto’ prima di fare
reclamo o di rivolgersi al giudice. Sebbene nessuna legge vieti ai detenuti di farsi
rappresentare legalmente quando fanno reclamo utilizzando le procedure interne, la
richiesta di rappresentanza legale è spesso respinta. “Dovrebbero avere il diritto di
difesa” ma questo diritto non è garantito dalle procedure attuali. Questa era considerata
una barriera importante all’accesso dei detenuti al procedimento per reclamare. Infine,
alcuni professionisti ritenevano che anche se viene presentato un reclamo i detenuti
prendono spesso la “decisione pragmatica” di rinunciarvi dopo aver ottenuto qualche
miglioramento della loro situazione – per esempio, l’accesso a un certo servizio – nelle
trattative per risolvere la controversia. Se un detenuto decide di intraprendere un’azione
legale contro l’amministrazione penitenziaria, “di solito ci ha pensato molto bene prima”.
310. La prima valutazione esterna del nuovo sistema di reclami è venuta con il recente
rapporto del Comitato europeo per la prevenzione della tortura (CPT) seguito alla visita
in Irlanda nel 2014. Il CPT ha riconosciuto che i modelli per tutte le categorie di reclamo
sono adesso disponibili liberamente, che i cassetti per depositarli vengono svuotati ogni
giorno e che i reclami sono classificati dal Direttore del carcere. Concentrandosi sui
reclami di categoria A – cioè quelli più gravi – il CPT ha rilevato però dei problemi
importanti nel modo in cui venivano istruiti. Così ad esempio nel carcere di Mountjoy,
sebbene il registro dei reclami fosse “meticoloso”, la qualità delle indagini variava
considerevolmente. Nel caso di alcune indagini le prove non erano state raccolte
correttamente e le indagini esterne avevano subito ritardi importanti. Sono stati osservati
dei ritardi anche nel carcere di Midlands e in quello femminile di Limerick. Il CPT ha
osservato che “questi ritardi possono ripercuotersi negativamente sull’intera indagine e il
nuovo sistema di reclami rischia di perdere credibilità”. Le autorità irlandesi hanno
riconosciuto altresì che attualmente non è previsto un meccanismo di impugnazione; un
problema che si sono impegnate a correggere.
311. Alla luce di queste osservazioni è difficile valutare le probabilità di successo di un
reclamo presentato secondo il procedimento interno. Inoltre i dettagli dei reclami non
sono disponibili pubblicamente, sicché è anche difficile valutare quanto sia utilizzata la
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nuova procedura. Secondo l’esperienza dei professionisti il nuovo sistema è molto
sottoutilizzato e c’è ancora poca consapevolezza del procedimento di reclamo fra i
detenuti. Uno degli intervistati ha dichiarato che “se non sei in quel primo 5% di detenuti
consapevoli dei loro diritti, non fai reclamo”. Nelle carceri non c’è un sistema particolare
per dare informazioni ai detenuti sulle Regole penitenziarie, e su ciò a cui hanno diritto.
Sebbene siano stati fatti dei progressi nel rendere disponibili le informazioni almeno in
alcune prigioni, anche grazie all’impegno di organizzazioni come l’Irish Penal Reform
Trust e l’Irish Council for Civil Liberties, l’opinione generale condivisa dagli intervistati
era che il livello di consapevolezza dei diritti dei detenuti rimane basso.
312. I detenuti trovano anche barriere pratiche a intraprendere il contenzioso, come
problemi di alfabetizzazione e matematica elementare, oltre che il “fattore paura”
(intervista 1) come la preoccupazione per le ritorsioni del personale e le conseguenze di
essere etichettato come detenuto ‘problematico’. Anche la recente introduzione del
sistema dei ‘regimi incentivanti’ per cui i detenuti guadagnano certi diritti come premio
della ‘buona condotta’ contribuisce alla riluttanza dei detenuti a reclamare. Questi fattori
determinano una situazione in cui “i detenuti si adattano molto e tollerano molto’
(intervista 3) prima di fare reclamo o di rivolgersi al giudice. Infine, alcuni professionisti
ritenevano che anche se viene presentato un reclamo i detenuti prendono spesso la
“decisione pragmatica” (intervista 1) di rinunciarvi dopo aver ottenuto qualche
miglioramento della loro situazione – per esempio, l’accesso a un certo servizio – nelle
trattative per risolvere la controversia.
313. In Spagna, i 50 Tribunali di vigilanza penitenziaria e il Tribunale centrale di
vigilanza penitenziaria trattano un totale di 34.000 cause all’anno, il che significa che
ogni tribunale apre in media 640 fascicoli all’anno. Gli oggetti delle ordinanze sono, in
ordine decrescente: 35% i permessi, 30% la classificazione penitenziaria, 25% la libertà
condizionale e infine 10% reclami e richieste.
Per quel che riguarda i risultati della ricerca empirica, il ricorso al Giudice di vigilanza
penitenziaria è il rimedio più usato e più affidabile. Questo giudice riceve in media 18
nuovi reclami al giorno e non ha mezzi sufficienti per occuparsi di tutti appropriatamente.
Riceve reclami su questioni fondamentali ma anche su questioni minori. Tuttavia deve
esaminarli tutti e di solito non ha il tempo di condurre un’analisi approfondita e redigere
una buona motivazione. Il GVP ritiene che sarebbe utile istituire una sorta di filtro per
dare la priorità ai reclami gravi.
314. La discrezionalità o l’arbitrarietà sono prassi sistematiche nel sistema penitenziario
spagnolo. A seconda del GVP a cui è assegnato il caso, dei funzionari penitenziari e dello
stesso istituto, l’esecuzione penale può essere più o meno dura. Perciò c’è un fattore di
buona sorte nell’esecuzione della pena. La discrezionalità è più diffusa nel caso dei
detenuti schedati (FIES, Ficheros de Internos de Especial Seguimiento). Ci sono cinque
tipi di FIES (banda armata, controllo diretto, agenti di pubblica sicurezza, criminalità
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organizzata, detenuti aventi speciali caratteristiche speciali) e classificare i detenuti in
questo modo permette al carcere di limitare i loro diritti senza bisogno di spiegazioni (per
esempio, vietare l’accesso ai giornali per giorni, consegnare la posta con molto ritardo,
più perquisizioni, etc.). I detenuti spagnoli condannati non raggiungono la CEDU per vari
motivi: mancanza di informazioni o ignoranza loro o dei loro avvocati, mancanza di
mezzi e di volontà: non vogliono più combattere contro il sistema e preferiscono finire di
scontare la pena il prima possibile e dimenticare tutto ciò che ha a che fare con le cause e
i tribunali. Tutti gli intervistati sono concordi nel ritenere che sarebbe molto utile
conoscere il lavoro della CEDU su temi penitenziari, perché potrebbe servire da esempio.
In Spagna c’è poca conoscenza della CEDU e la sua giurisprudenza non ha rilevanza a
livello carcerario. Questa è una grave lacuna dell’ordinamento giuridico spagnolo che
dovrebbe essere definitivamente colmata.
315. In Germania il diritto penitenziario offre un quadro teorico-giuridico elaborato. Il
peso storico della protezione costituzionale e l’importanza attribuita al principio dello
Stato di diritto hanno prodotto uno sviluppo precoce della tutela dei diritti dei detenuti, su
iniziativa della stessa Corte costituzionale. La giurisprudenza rimane molto importante e
tiene conto del diritto europeo, compreso quello non vincolante (soft law) per ampliare i
diritti dei detenuti. Tuttavia la protezione è gravemente ostacolata dalle condizioni
restrittive di accesso al gratuito patrocinio e dalla durata dei procedimenti, ritenuta
eccessiva. L’assenza di ONG veramente attive nel contenzioso244 non basta a compensare
queste carenze e impedisce di coordinare le iniziative. Perciò il contenzioso non ha veri
effetti strutturali.
316. In Italia, la ricerca empirica mostra che i magistrati di sorveglianza non vedevano il
loro ruolo come quello di proteggere i diritti dei detenuti. Questo perché ritenevano di
non avere reali poteri di intervento contro l’amministrazione penitenziaria, anche se una
sentenza della Corte costituzionale nel 1999 ha affermato con chiarezza che le decisioni
della magistratura di sorveglianza devono ritenersi vincolanti per l’amministrazione
penitenziaria. L’introduzione del nuovo rimedio (cioè specificamente quello dell’articolo
35-bis) sembra potenzialmente in grado di cambiare questo stato di cose, influenzando
l’immagine che hanno di sé i magistrati di sorveglianza verso una reale protezione dei
diritti dei detenuti.
244
L’associazione giuridica di Brema è un’eccezione ma il suo lavoro consiste principalmente
nell’informare i detenuti sugli strumenti di tutela piuttosto che assisterli in giudizio. Anche la ONG
“Archivio penitenziario” fornisce consulenza giuridica ai detenuti. Talvolta consiglia o contatta degli
avvocati, gli avvocati iscritti all’associazione rappresentano i detenuti in giudizio, ma non lo fanno a nome
della loro organizzazione. Il lavoro scientifico prodotto dall’Archivio penitenziario ha avuto molta
influenza sulla percezione e la conoscenza dei problemi giuridici penitenziari. Di recente un ‘sindacato’ di
detenuti auto-organizzato (non riconosciuto come sindacato dalle autorità e dai tribunali) non è stato
ammesso a portare in giudizio un ricorso collettivo.
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317. Riguardo alla valutazione generale dell’ambito e del potenziale dell’articolo 35-bis,
questo rimedio ha avuto un impatto positivo sul sistema di protezione dei diritti dei
detenuti, soprattutto perché obbliga il giudice a rispondere ad ogni ricorso presentato e
afferma chiaramente la natura vincolante delle sentenze del Tribunale di sorveglianza e
prevede una procedura puntuale per l’esecuzione degli ordini (cioè la nomina di un
commissario ad acta).
318. Dal lato negativo, i membri delle ONG intervistati hanno evidenziato il problema
della complessità e della lunghezza della procedura. Inoltre, non una sola sentenza è stata
eseguita a tutt’oggi, e pertanto è impossibile provare la reale effettività degli aspetti
procedurali di questo rimedio. Uno degli aspetti più critici è l’incompatibilità della natura
urgente del rimedio con la lunghezza e la complessità della procedura. Ciò è tanto più
vero se si considera che gli ordini del Magistrato di sorveglianza e del commissario ad
acta divengono esecutivi solo dopo che la Cassazione si è pronunciata sulla questione.
319. Conoscenza del rimedio, rischio di ritorsioni, imparzialità dell’organo. Riguardo ai
detenuti intervistati, i risultati della ricerca empirica mostrano la generale mancanza di
conoscenza della disponibilità del rimedio preventivo per denunciare violazioni in atto da
parte dell’amministrazione penitenziaria. Inoltre, come constatato nel caso della sezione
femminile del carcere di Sollicciano (vedi sopra), anche quando i detenuti sono stati
informati dai membri di una ONG o da altri dell’esistenza del rimedio preventivo e della
possibilità concreta di fare ricorso utilizzando questo stesso rimedio, alcuni rifiutano
ugualmente di usarlo. In effetti, dopo ulteriori ricerche, i detenuti hanno confermato che
questa riluttanza era dovuta al timore di possibili ritorsioni da parte degli agenti di
custodia.
320. Secondo Antigone, questa riluttanza può essere spiegata anche dal fatto che i
detenuti temono che reclamare la tutela dei loro diritti possa essere controproducente.
Nello specifico, poiché lo stesso Magistrato di sorveglianza è competente sia sui ricorsi
ex articolo 35-bis che su ogni altra questione concernente l’esecuzione della pena (misure
alternative, benefici etc.): “se il detenuto si lamenta troppo, non potrà ottenere i benefici”.
321. Riguardo ai magistrati di sorveglianza, la loro opinione sul rimedio preventivo è
apparsa positiva. Si sono sentiti per la prima volta dotati di uno strumento giurisdizionale
chiaramente vincolante. Come altri intervistati, anche i magistrati hanno criticato la
complessità della procedura.
322. Riguardo alla mutata percezione del loro ruolo, i magistrati di sorveglianza sono
sembrati ancora riluttanti a svolgere la funzione di garanti dei diritti dei detenuti, anche
dopo l’introduzione del rimedio di cui all’articolo 35-bis. Si vedono ancora
principalmente come giudici dell’esecuzione penale. Come ha affermato uno di loro,
rifiuta il ruolo di controllore dell’amministrazione penitenziaria preferendo parlare di
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cooperazione con l’amministrazione stessa. Ha confermato significativamente che il
procedimento davanti al Magistrato di sorveglianza è un modo di spiegare al detenuto le
ragioni della sanzione disciplinare. Questo perché, a suo parere, l’amministrazione
penitenziaria non comunica in maniera esauriente i suoi ordini o decisioni ai detenuti.
323. I detenuti hanno molte difficoltà ad accedere a qualunque tipo di documentazione
per sostenere e suffragare i loro reclami. Prendendo ad esempio i referti medici, in molte
regioni d’Italia questa documentazione non è digitalizzata e si può trovare solo in copia
cartacea. Inoltre è spesso incompleta o poco chiara e i detenuti devono pagare per
ottenerla. In altri casi i detenuti non possono avere accesso alle relazioni ufficiali o agli
ordini dell’amministrazione penitenziaria. Significativamente, i magistrati di sorveglianza
intervistati hanno confermato che quando la parola di un detenuto è opposta a quella
dell’amministrazione penitenziaria è quest’ultima a prevalere, ribaltando completamente
il principio costantemente ribadito dalla giurisprudenza della CEDU.
324. Discutendo i ricorsi decisi da loro, i magistrati di sorveglianza intervistati hanno
confermato che i casi di violazioni denunciate ai sensi di questo rimedio apparivano
contradditori e ingannevoli. Allo stesso tempo è interessante osservare la scarsità di
ricorsi ex articolo 35-bis decisi o pendenti di fronte a loro.
325. Riguardo al rimedio risarcitorio introdotto di recente in Italia, la valutazione
generale dei magistrati di sorveglianza è sembrata negativa. Questo rimedio sembra avere
una natura ambigua. Da un lato mira a offrire tutela giurisdizionale in caso di violazione
dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Dall’altro lato ha uno
scopo esplicitamente deflattivo. Ciò incoraggia il Magistrato di sorveglianza a condurre
un’indagine personalizzata per accertare la gravità e l’entità della violazione. E tuttavia il
risarcimento consiste o in uno sconto di pena predeterminato o in un risarcimento
monetario forfettario, senza discrezionalità giudiziaria. Questo è visto come un aspetto
critico dai magistrati intervistati e li induce a confermare che un altro tipo di rimedio
sarebbe stato più appropriato. Specificamente, hanno tutti affermato che la natura
deflattiva e risarcitoria del rimedio non è coerente con la giurisdizionalizzazione prevista
dall’articolo 35-ter e che una forma automatica di tutela sarebbe stata più efficace.
326. Riguardo all’imparzialità del giudice competente sul rimedio risarcitorio, non sono
emersi problemi concernenti il giudice civile che è percepito come imparziale. Viceversa
i membri delle ONG intervistati hanno confermato che l’imparzialità del Magistrato di
sorveglianza pare compromessa dal suo ruolo di giudice dell’esecuzione penale.
327. Riguardo agli aspetti procedurali del rimedio, uno dei punti critici segnalato dai
membri delle ONG è la lunghezza del procedimento connesso al problema istruttorio. Di
fatto l’accuratezza dell’istruttoria è compromessa dall’essere la documentazione
interamente fornita dall’amministrazione penitenziaria. I detenuti non hanno alcuna
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possibilità di avere accesso a documenti ufficiali a sostegno dei loro reclami e il
Magistrato di sorveglianza decide in pratica sulla base di un’unica relazione, redatta
espressamente dall’amministrazione penitenziaria dopo l’inizio del procedimento in cui
fa dichiarazioni sulle condizioni di detenzione, il regime carcerario ai detenuti e risponde
a tutte le allegazioni del ricorrente. Non sono neppure prodotti registri, ordini o
documenti perché la documentazione ufficiale non è digitalizzata. Un altro aspetto critico
è il fatto che spesso il ricorso per il rimedio risarcitorio si riferisce alle condizioni vissute
dai detenuti in diversi istituti di pena. Come confermano i magistrati intervistati, all’inizio
il giudice era solito chiedere un rapporto a tutti gli istituti coinvolti nel caso, con un
drastico aumento dei tempi dell’istruttoria dovendo attendere tutte le risposte. Oggi
l’ultimo istituto in cui il ricorrente è stato detenuto è quello competente a fornire il
rapporto, comprese tutte le informazioni provenienti dagli altri istituti.
328. L’onere della prova che incombe all’amministrazione penitenziaria sembra ridursi a
una relazione ex post con dichiarazioni dell’amministrazione penitenziaria. In questo caso
quando la parola di un detenuto è opposta a quella dell’amministrazione penitenziaria è
quest’ultima a prevalere come affermano chiaramente i magistrati di sorveglianza
intervistati.
329. Una delle preoccupazioni dei magistrati di sorveglianza è sembrata il fatto che molti
ricorsi paiono standardizzati e non documentati, impedendo la personalizzazione della
valutazione. Ciò è dovuto, a parere dei membri delle ONG, all’impossibilità di accedere
alla documentazione ufficiale a sostegno della richiesta del ricorrente.
330. Inoltre è vero che le ONG hanno messo a disposizione una bozza di ricorso ex
articolo 35-ter. Questa bozza è stata distribuita in tutta Italia attraverso i garanti dei
detenuti. Ciò ha permesso a un’alta percentuale di detenuti di conoscere il rimedio e di
chiedere un risarcimento. Purtroppo la personalizzazione dei modelli di ricorso è stata
possibile solo negli istituti e nei casi in cui i membri delle ONG hanno potuto aiutare i
detenuti a compilarli. Ciò mostra un altro aspetto critico, l’accesso insufficiente dei
detenuti all’assistenza legale. Solo di rado i detenuti sono stati assistiti da un legale nel
redigere il ricorso ex articolo 35-ter. Solo in una fase successiva, durante il procedimento
davanti al Magistrato di sorveglianza, si nomina un avvocato che presta assistenza legale.
Il problema è che l’avvocato apprende del caso solo in occasione della prima udienza, il
che è un esempio lampante di violazione del diritto a una difesa tecnica.
331. Un altro aspetto critico è la lunghezza del procedimento. Poiché il periodo iniziale
durante il quale il Magistrato di sorveglianza attende che l’amministrazione penitenziaria
fornisca la documentazione richiesta dura alcuni mesi, è emersa una linea interpretativa
che richiama espressamente il principio processualcivilistico della “non contestazione”
(cioè, quando un’allegazione dell’attore non è contestata esplicitamente dalla controparte
deve ritenersi provata). Purtroppo questa linea di ragionamento non sta prevalendo e la
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giurisprudenza dei magistrati di sorveglianza mostra che il comportamento più diffuso è
attendere fino a sei mesi una risposta dell’amministrazione penitenziaria invece di
applicare il principio della non contestazione. Si stima che la durata totale del
procedimento possa essere di un anno o più.
332. Il caso della “incompetenza sopravvenuta”. Un altro caso critico è quello di un
detenuto che presenta il ricorso al Magistrato di sorveglianza mentre è ancora in carcere e
nelle more del procedimento (spesso a causa della sua lunghezza) viene rilasciato.
Secondo la legge un ex detenuto deve adire il giudice civile. In questi casi la
giurisprudenza italiana ha dato finora due interpretazioni. La prima asserisce che il
Magistrato di sorveglianza perde la competenza e deve dichiarare il ricorso
inammissibile. Di conseguenza l’ex detenuto è costretto a presentare un nuovo ricorso al
giudice civile dove è necessario avere assistenza legale professionale. Secondo i dati
dell’amministrazione penitenziaria il 5,2% dei ricorsi decisi finora sono stati dichiarati
inammissibili per questo motivo (829 su 16.085). Un’altra linea di ragionamento,
condivisa da uno dei giudici intervistati, assume che quando il ricorso è stato iscritto nel
registro del Tribunale di sorveglianza la competenza rimane ad esso indipendentemente
dal fine pena. Questo perché il ritardo procedurale non può essere imputato al detenuto.
Vediamo ancora una moltitudine di interpretazioni su questo punto rilevante, a causa di
un testo legislativo poco chiaro.
333. La ricerca empirica è stata condotta fra i detenuti maschi del carcere di Sollicciano e
le interviste si sono svolte fra il 14 settembre e il 23 ottobre 2015. I detenuti sono stati
scelti fra quelli che erano stati aiutati dall’Altro diritto a preparare e presentare il ricorso
ex articolo 35-ter concernente le condizioni materiali di detenzione.
334. La maggior parte dei detenuti ha dichiarato che il suo ricorso era ancora pendente
dopo un anno. Tutti i detenuti hanno risposto che gli unici miglioramenti riguardavano la
limitata riduzione del sovraffollamento (la popolazione del carcere fiorentino di
Sollicciano è diminuita di circa il 30% fra il 2013 e il 2014, e il numero di detenuti per
cella di 12m2 è passato da 3 a 2) e l’accesso a un regime più aperto. Dal maggio 2014 9
sezioni su 13 del carcere maschile godono di un regime semi-aperto all’interno della
sezione per 8 ore al giorno. Per contrastare il problema strutturale evidenziato dalla
sentenza pilota Torreggiani, l’amministrazione penitenziaria italiana ha emesso un ordine
di servizio che introduceva la sorveglianza “dinamica”. Questa è stata la sola strategia
attuata dall’amministrazione penitenziaria. Non è stato introdotto alcun miglioramento
concernente le attività educative e lavorative. Di conseguenza, mentre prima di questo
ordine i detenuti erano abbandonati all’ozio nelle celle, ora appaiono abbandonati all’ozio
nei corridoi. Inoltre, a causa dell’opposizione dei sindacati di polizia penitenziaria a
questo nuovo regime, è stato emesso un nuovo ordine di servizio che ha limitato la
portata di questo regime semi-aperto. La nuova decisione impone di classificare i detenuti
secondo la loro potenziale pericolosità, dopo un periodo di osservazione di un mese, e di
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suddividerli poi tra sezioni a regime semi-aperto e a regime chiuso. Tutte le altre
condizioni materiali di detenzione sopra elencate non sono cambiate, stando alle risposte
dei detenuti.
335. È degno di nota che il leggero miglioramento delle condizioni materiali di
detenzione avvertito dai detenuti non è legato direttamente alla tutela giurisdizionale ma a
una politica amministrativa.
336. Secondo i dati dell’amministrazione penitenziaria, fino al 13 ottobre 2015 23.600
reclusi hanno adito il Tribunale di sorveglianza, ma solo in 4.773 casi l’amministrazione
penitenziaria ha ricevuto notifica di comparire nel procedimento, a causa del gran numero
di ricorsi giudicati “inammissibili” (77% dei casi) o respinti per incompetenza (5,2%).
Non disponiamo di informazioni sulle motivazioni date dal giudice, ma secondo l’ufficio
legale dell’amministrazione penitenziaria possono essere classificate come segue: in
molti casi il ricorso era “generico”; questo dato si può spiegare con la mancanza di
assistenza idonea da parte di un avvocato o di una ONG.
337. In alcuni casi i detenuti hanno adito più di un Tribunale di sorveglianza. La maggior
parte dei ricorsi è stata respinta perché la violazione non era in atto al momento della
decisione. Secondo l’ufficio legale dell’amministrazione penitenziaria, solo i Tribunali di
quattro regioni (Puglia, Toscana, Emilia Romagna e Sicilia) accettano ricorsi di detenuti
che non sono in una situazione di violazione in atto, mentre tutti gli altri (la maggior
parte) li dichiarano inammissibili. È solo una tendenza generale, perché in alcune regioni
dei singoli giudici possono non seguire la maggioranza.
338. Nei 976 casi in cui il ricorso è stato accolto, i detenuti hanno ricevuto un
risarcimento medio di €215 per detenuto e uno sconto di pena medio di 54 giorni per
detenuto. I Tribunali di sorveglianza hanno riscontrato una violazione solo in 976 casi,
cioè solo nel 6,1% del totale, contraddicendo l’opinione della CEDU e affermando
indirettamente che il sovraffollamento non era strutturale. I dati mostrano inoltre che nel
77% dei casi i tribunali nazionali non si sono pronunciati su una possibile violazione
dell’articolo 3 della Convenzione, dichiarando il ricorso “inammissibile” perché la
violazione non era in atto al momento della decisione. Secondo i dati ufficiali sopra
riportati, 1.507 detenuti hanno fatto ricorso ai tribunali civili.
339. In Francia le cifre del contenzioso penitenziario non sono pubblicate. Nel novembre
2014 un funzionario penitenziario ha dato le cifre seguenti: nel 2013, 667 ricorsi (di cui
206 procedimenti cautelari) sono stati presentati contro l’amministrazione penitenziaria.
Nel 2003 tali ricorsi erano solo 50. Riguardo alle cause per danni, i risarcimenti concessi
ammontavano a un totale di 1.296.000 euro nel 2013, contro 4.200 euro nel 2006.
340. In campo penale i detenuti possono in teoria rivolgersi ai tribunali ordinari per
ottenere il rilascio, ma la Corte di Cassazione esige che il ricorrente alleghi “elementi
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[personali] specifici sufficientemente gravi da mettere in pericolo la salute fisica o
mentale del ricorrente” (29 febbraio 2012). Inoltre il peggioramento dello stato di salute
del detenuto deve essere attribuibile alle condizioni di detenzione. Condizioni
oggettivamente contrarie alla dignità umana non bastano a motivare il rilascio. Nel caso
Yengo v. France la CEDU ha ritenuto che il ricorso ammesso dalla Cassazione non fosse
un rimedio effettivo.
341. Davanti ai tribunali amministrativi il numero di cause relative alle condizioni di
detenzione è aumentato considerevolmente per quel che riguarda le domande di
risarcimento danni, data la mancanza di rimedi preventivi effettivi. Non risulta che il
giudice amministrativo abbia mai pronunciato una decisione di annullamento il cui
oggetto e il cui effetto fossero quelli di rimuovere un detenuto da condizioni materiali
contrarie all’articolo 3. In ogni caso il tempo di attesa per questo tipo di procedimento è
di circa un anno, e la Corte sottolinea che pertanto non è utilizzabile in casi urgenti. Le
decisioni prese su ricorsi per la protezione di diritti e libertà fondamentali e in
procedimenti cautelari protettivi mostrano l’incapacità dei procedimenti condotti davanti
ai tribunali amministrativi di risolvere il problema strutturale del sovraffollamento.
342. Il Consiglio di Stato ha ritenuto che il degrado della prigione di Marsiglia
giustificasse l’ordine di attuare vari lavori di ristrutturazione (2012). Tuttavia le
condizioni per coinvolgere il giudice rendono questo rimedio complicato, tanto che non è
stato più usato da allora. Infatti il ricorrente deve prima dimostrare l’esistenza di una
grave violazione dell’articolo 3. Perciò il procedimento non soddisfa il requisito della
condivisione dell’onere della prova. Poi il ricorrente può solo chiedere provvedimenti che
possano essere verosimilmente presi entro il termine di 48 ore che ha il giudice per
decidere; in altre parole è impossibile un esame approfondito di fattibilità.
343. Anche se il giudice ha il potere di “ordinare tutti i provvedimenti necessari alla
salvaguardia di un diritto o di una libertà fondamentale”, occorre pur sempre che la
situazione consenta “la possibilità di prendere utilmente queste decisioni di salvaguardia
entro 48 ore”. Inoltre “le misure di salvaguardia ordinate (…) per far cessare o ridurre
un pericolo derivante dall’azione o dall’omissione dell’amministrazione devono avere
effetto in un tempo brevissimo” (2013). In altre parole, il giudice può solo prendere
provvedimenti ad hoc con effetto immediato sul rischio da neutralizzare e non
provvedimenti a lungo termine o di una certa importanza che richiedono un’analisi
approfondita di fattibilità e diretti a risolvere un malfunzionamento complesso o
strutturale.
344. Da questo punto di vista tutti i provvedimenti ottenuti nel caso del carcere di
Marsiglia Les Baumettes dalla sezione francese dell’OIP con un ricorso per la protezione
dei diritti e delle libertà fondamentali concernevano certi aspetti ad hoc delle condizioni
materiali di detenzione (illuminazione, rimozione della spazzatura, metodo di
150
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distribuzione dei pasti e disinfestazione), senza tuttavia metter fine alle situazioni di
trattamento illecito poste dal Contrôleur général.
345. L’ineffettività di questi rimedi è tale che, più di un anno dopo la decisione del
tribunale, la situazione di palese degrado nel carcere di Les Baumettes permaneva ancora.
Il 18 dicembre 2013 la sezione francese dell’OIP ha presentato dei nuovi ricorsi allo
scopo di ottenere l’esecuzione effettiva degli ordini già dati.
346. Di recente la natura restrittiva del ricorso per proteggere i diritti e le libertà
fondamentali è stata confermata con riferimento al carcere di Ducos. In un ricorso
promosso dalla sezione francese dell’OIP il giudice ha accolto alcune richieste mirate ma
ha respinto tutte le richieste di provvedimenti relativi alle cause profonde del
sovraffollamento e delle improprie condizioni materiali di detenzione, osservando che
questi provvedimenti “non potevano essere ordinati nel contesto di un ricorso per la
protezione dei diritti e delle libertà fondamentali”.
347. Lo stesso Consiglio di Stato francese (in sigla CE) ha riconosciuto i limiti del suo
intervento (CE, 30 luglio 2015, no. 392043). Nel respingere un ricorso concernente il
carcere di Nîmes, ha riconosciuto apertamente che in quel carcere le “condizioni di
detenzione sono aggravate dalla diffusa mancanza di riservatezza, e che i detenuti che
vivono in queste condizioni sono perciò sottoposti a un trattamento disumano o
degradante”. E tuttavia ha ritenuto di non poter far cessare questa situazione perché il
suo “intervento […] nelle particolari condizioni di urgenza previste dall’articolo L. 5212 di cui sopra è condizionato dall’osservazione che nella situazione contestata sia
possibile ordinare utilmente e molto rapidamente le necessarie misure di
salvaguardia”.
348. Ha pertanto ordinato solo pochi provvedimenti residuali e limitati (lavori per
prevenire il rischio di incendio, distribuzione di detergenti e di lenzuola e biancheria
pulite). Ha solo invitato l’amministrazione a migliorare la situazione in modo che i
detenuti non dormano più su materassi stesi sul pavimento, ma non ha disposto
provvedimenti specifici a questo fine. Prendendo atto del suo potere limitato, il giudice
cautelare ha respinto tutte le richieste che avrebbero potuto far cessare i trattamenti
disumani nel carcere. È chiaro dunque che il giudice non può intervenire sulle vere cause
della violazione, e in particolare non può risolvere il problema del sovraffollamento.
349. A parte questi aspetti giuridici, la sociologia del diritto penitenziario ha
particolarmente insistito sui limiti materiali dell’accesso a e della disponibilità di mezzi
giuridici da parte di soggetti socialmente svantaggiati. Inoltre c’è il fatto che “la
complessità dell’ordinamento normativo e le caratteristiche della popolazione detenuta,
che proviene spesso da quartieri disagiati e con quasi nessuna qualifica, non favoriscono
151
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una conoscenza esatta delle norme, o la loro padronanza da parte della maggioranza delle
persone in carcere” (Rostaing, 2007).
350. Vari studi hanno insistito anche sulla minaccia pratica della penetrazione del diritto
nell’equilibrio fragile delle relazioni sociali in carcere, che si reggono tradizionalmente su
reciprocità e onore più che sul riferimento a norme giuridiche (si vedano i riferimenti nel
report nazionale). Ricorrere al diritto significa spesso voltare le spalle ai mezzi
tradizionali di soluzione delle controversie e ai benefici secondari che queste relazioni
informali e pregiuridiche probabilmente recano. Portare una questione davanti a un
giudice, e più in generale davanti a qualsiasi organo di controllo esterno, può essere
rischioso per i detenuti che l’amministrazione penitenziaria definisce “litigiosi” se sono
particolarmente attivi sotto questo aspetto.
351. Infine, i detenuti hanno spesso un rapporto complesso con il potere giudiziario e con
il diritto. I detenuti, che sono spesso stigmatizzati dalla carcerazione e dal percorso
sociale, mettono in gioco la loro dignità quando si rivolgono al diritto per risolvere i loro
problemi. Il ricorso al diritto appare come una “sfida morale” a superare – o ad accettare
– una doppia umiliazione: quella che consiste nel parlare apertamente con un’autorità
ufficiale, e quella che consiste nell’affermarsi – nonostante lo stigma della carcerazione –
titolare di diritti umani da rispettare (Durant, 2014). Le persone condannate a pene
detentive lunghe, particolarmente soggette a provvedimenti disciplinari e di sicurezza,
sono quelle che hanno dato inizio al contenzioso in Francia.
352. Per quel che riguarda l’accesso alle riduzioni di pena, gli individui con le ragioni più
“legittime” hanno le maggiori possibilità di guadagnarsi la fiducia dei giudici a causa
dell’immagine sociale rassicurante che proiettano. Il contesto sociale ed economico in cui
si trovano conferisce loro delle garanzie che costituiscono, agli occhi dei giudici, un
indice di probabile reinserimento sociale e di minor rischio di recidiva (Bouaga, 2015).
353. Infine occorre evidenziare il ruolo importante delle persone detenute che si
rivolgono al giudice per chiedere il rispetto dei loro diritti. Sono talvolta attivisti dei
diritti dei detenuti, e i più attivi sono definiti “litigiosi” dall’amministrazione. Anche se si
può parlare di “giudiziarizzazione carceraria” (Rostaing 2008), questa espressione si
riferisce innanzitutto alla diffusione del discorso dei diritti nelle relazioni quotidiane fra
detenuti e personale penitenziario. Sono rarissimi i detenuti che si fanno carico di
inverare questo discorso nei procedimenti, specialmente quando questi ultimi possono
durare vari anni. Tutti gli studi sull’avvio di procedimenti da parte dei detenuti
sottolineano il timore di ritorsioni formali o informali da parte dell’amministrazione
penitenziaria.
354. In questo contesto l’impulso alle dinamiche contenziose e il loro coordinamento
poggiano ancora in larga misura sulla sezione francese dell’Osservatorio internazionale
152
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delle prigioni (“Observatoire international des prisons - Section française”, o OIP-SF),
che è un protagonista del contenzioso penitenziario.
153
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CONCLUSIONE
Lo scopo di questa ricerca è l’analisi di un doppio movimento: la proceduralizzazione dei
diritti dei detenuti nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e lo
sviluppo del diritto a contestare legalmente gli atti dell’autorità applicabili a loro.
Rispetto alla giurisprudenza europea, lo sviluppo dei requisiti procedurali descritto nella
prima sezione del rapporto ha contribuito a estendere e ad aumentare i diritti dei detenuti.
Le sentenze analizzate, relative ad aspetti diversi della vita in carcere, non dimostrano
pertanto che il diritto procedurale sta intaccando quello sostanziale, come è accaduto in
altre aree245.
Le sentenze pilota e quasi pilota meritano un posto speciale sotto questo aspetto. Pur
continuando gli sforzi di sradicare dei problemi strutturali, sono anche strumenti per
smaltire i ricorsi ripetitivi che intasano le aule della Corte europea dei diritti umani246,
ove hanno un’evidente funzione gestionale. È stato sottolineato che le sentenze pilota sul
carcere avevano un difetto, i provvedimenti raccomandati non erano mai direttamente
connessi ai fatti dietro la violazione strutturale – regole e prassi delle carceri – ma ai
meccanismi interni di rimedio. In altre parole, cercavano di trasferire ai giudici nazionali
l’onere delle controversie relative a queste violazioni. La precisione delle strategie di
politica del diritto penale varia da una sentenza all’altra: alcune mostrano un’intenzione
chiara (Ananyev and others v. Russia), mentre altre sono più laconiche (Torreggiani and
others v. Italy).
Sembrerebbe che le sentenze pilota e quasi pilota abbiano avuto, tutto sommato, effetti
politici negli Stati in questione, mettendo le riforme penali all’ordine del giorno, e in
qualche caso effetti statistici, i cui effetti di lungo periodo rimangono incerti. In Romania,
secondo le autorità carcerarie, la popolazione detenuta è scesa da 31.817 il 31/12/2012 a
28.334 il 31/12/2015 (un calo dell’11% e un ritorno ai livelli del 31/12/2010). Nel corso
di un convegno a conclusione di questo progetto il Ministro della Giustizia ha lanciato un
allarme sui possibili effetti di allargamento della rete penale (aumento del controllo
esterno degli imputati senza scalfire la popolazione detenuta) come conseguenza
dell’aumentato ricorso alla libertà condizionale, nella scia della sentenza quasi pilota
Iacov Stanciu. In Bulgaria la popolazione detenuta è in calo da qualche tempo (da 11.436
il 31/12/2005 a 7.408 il 31/12/2015), ma questo sembra essenzialmente dovuto ai
cambiamenti della struttura demografica generale. Senza una strategia globale di
riduzione della popolazione detenuta, si è fatta la scelta di una politica della “porta
245
Su tale questione si veda Belda, 2010.
Grazie a 1) la trattazione collettiva dei ricorsi nazionali sullo stesso tema e 2) il trasferimento delle
controversie ai giudici nazionali.
246
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posteriore” (ridurre il numero dei reclusi attraverso provvedimenti di liberazione
anticipata).
In Italia la sentenza pilota Torreggiani ha portato a limitare l’uso della custodia cautelare,
dal 51% della popolazione detenuta nel 2009 al 40% nel 2014 e al 33% oggi, e
all’approvazione di una legge sul traffico di stupefacenti che ha consentito condanne a
pene meno gravi. Sono stati adottati dei provvedimenti temporanei, ma non sono stati
prorogati alla chiusura del procedimento di sentenza pilota (ad esempio il progetto di
aumentare lo sconto di pena maturato ogni sei mesi da 45 a 75 giorni – che è stato
abbandonato). I livelli della popolazione detenuta sono di nuovo in crescita. Si sono
tenute delle conferenze sul carcere e la politica penale, ma non hanno prodotto le riforme
annunciate.
In Belgio la strategia seguita ha mirato più ad aumentare il numero delle prigioni
nonostante le raccomandazioni contrarie del Consiglio d’Europa. I provvedimenti penali
(presi dopo la sentenza Vasilescu) si sono limitati a estendere la sorveglianza elettronica
prima del giudizio e a prevederla come pena autonoma, sulla base di una nuova condanna
alla libertà vigilata. Le statistiche ufficiali mostrano che il numero dei detenuti è calato da
11.854 il 15/4/2014 a 10.469 il 7/7/2016.
Come indicatore delle politiche penali attese dai giudici nazionali competenti sui reclami,
questa aspettativa sembra essere andata delusa. L’aumento del contenzioso si
accompagna molto spesso a una burocratizzazione ancora maggiore del suo
espletamento, il che spesso è causa di procedimenti particolarmente lunghi e della
dichiarazione di inammissibilità di una gran parte di questi reclami. Queste procedure
sono contrarie alle regole europee di alleggerire le formalità procedurali e di cercare di
prevenire i ricorsi per cattivo trattamento. Questo stato di cose è connesso alle difficoltà
incontrate dai detenuti ad applicare efficacemente i mezzi procedurali predisposti dalla
legge (vedi sotto), ma anche e soprattutto alla prevalenza delle esigenze della repressione
penale sul rispetto del diritto alla dignità, negli organismi collettivi, nel diritto e nella
prassi dei paesi osservati.
Con l’eccezione della Corte costituzionale tedesca, giudice di ultima istanza, secondo cui
l’impossibilità di assicurare condizioni di detenzione conformi al diritto alla dignità deve
portare alla liberazione delle parti interessate, i rimedi “preventivi” non sono in generale
usati tecnicamente per risolvere i problemi strutturali del sovraffollamento. Il rifiuto
tradizionale di interferire con i poteri dell’esecutivo (Italia, Irlanda e il Regno Unito) o di
scavalcare la competenza dei giudici (Belgio e Francia) è invocato generalmente per
giustificare l’astinenza del giudice. Tuttavia, come era il caso di Francia e Irlanda, la
possibilità teorica di interrompere una carcerazione non dignitosa è soggetta a tali
requisiti probatori e a tali livelli di gravità che la protezione formale è illusoria.
155
European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission
Al di là degli aspetti relativi all’uso del carcere, la ricerca rivela una grande disparità fra
i possibili rimedi a disposizione dei detenuti. Tuttavia per comparare il dinamismo della
protezione giuridica a livello nazionale occorre un’analisi simultanea e precisa dei diritti
sostanziali garantiti ai detenuti dal diritto interno e della loro formulazione – che non era
possibile nel contesto di questo progetto. Da questo punto di vista i risultati di questo
studio hanno bisogno di articolarsi con quelli di future ricerche sui diritti sostanziali che
ogni nazione riconosce ai detenuti. La ricerca rivela nondimeno alcuni fatti importanti
che possono avere implicazioni operative.
In primo luogo, la giurisprudenza europea sugli obblighi procedurali ha respinto, in linea
di principio, le teorie che attribuivano pieno potere discrezionale all’autorità. Di più, in
alcuni Stati richiamarla ha reso possibile ottenere una diminuzione significativa di
provvedimenti penitenziari visti come un grave problema dai detenuti (come le
perquisizioni corporali in Francia). Ha portato anche a un certo grado di armonizzazione
dei diritti nazionali intorno a un modello giuridico che include una procedura più o meno
garantista. Sotto questo aspetto le sentenze pilota producono cambiamenti più rapidi delle
procedure (tranne in Belgio a questo punto).
Questa costruzione rimane però incompleta. Spesso lo sviluppo si limita al passaggio da
un’assenza di rimedi disponibili a un controllo esteso degli atti dell’autorità (per esempio
grande potere discrezionale, pochi vincoli sui motivi delle decisioni amministrative che
compromettono di fatto la possibilità di utilizzare il rimedio). Il diritto penale rimane un
ramo del diritto e della giustizia secondaria che fatica a sfuggire alla ratio di eccezione
che ne ha segnato la comparsa. L’assenza di un procedimento giurisdizionale organizzato
in Spagna o lo scarso potere che i giudici italiani attribuiscono alle loro stesse sentenze
sono molto significativi in questo campo.
Talvolta il riconoscimento dei diritti gioca a sfavore degli interessati. Il contenzioso sui
casi di suicidio ha contribuito a ridurre l’indipendenza dei detenuti (in Francia e in
Inghilterra). Sotto la pressione giudiziaria, in particolare, è emersa una politica che
combina gestione del rischio e prevenzione del suicidio e ha portato a un maggiore
controllo dei detenuti (raccolta di dati, sorveglianza notturna, celle nude, etc.; cfr.
Liebling and Arnold, 2005, Cliquennois and Champetier, 2013). Allo stesso modo, il
controllo preteso dalla Corte in materia di liberazione condizionale degli ergastolani ha
prodotto nel Regno Unito la distribuzione di uno schema di valutazione del rischio nella
vita quotidiana degli interessati.
Un altro problema identificato è che il contenzioso si basa su cause con probabilità di
successo, e in questo modo può ignorare le preoccupazioni essenziali dei detenuti che
pertanto non sono prese in esame in particolare dal diritto europeo. Ad esempio, le
condizioni di detenzione in strutture fatiscenti possono dare origini ad altri problemi
156
European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission
essenziali. Un altro fenomeno che si sta diffondendo è quello dei detenuti reclusi nelle
nuove strutture conformi ai principi applicati dai giudici ma viste come meno sopportabili
delle vecchie carceri, che non riescono a contestare davanti a un giudice le loro
condizioni di vita.
Al di là della dimensione giuridica, la ricerca ha messo in luce alcune osservazioni
interessanti sui motivi che spingono a non rivolgersi al giudice, che valgono ancora di più
per gli organi ispettivi.
Il quadro che emerge, in particolare nel caso dell’Italia (con un gran numero di ricorsi
inammissibili), dimostra che la limitata formalità di un rimedio, come è spesso il caso dei
giudici penitenziari specializzati, non garantisce in alcun modo l’accesso effettivo dei
detenuti ai giudici. Questa osservazione non si limita al contenzioso: vale ugualmente per
gli organi di monitoraggio (interni o esterni) che in teoria dovrebbero essere i più
accessibili (si vedano le indagini relative all’Ombudsman inglese). Il lavoro empirico
mostra chiaramente da un lato che la popolazione carceraria non è consapevole dei propri
diritti e dall’altro le difficoltà poste dall’obbligo di presentare il reclamo per iscritto.
Sotto questo aspetto ogni vincolo procedurale specifico, come dover fare prima reclamo
alle autorità, per obbligo di legge in Austria o per prassi in Spagna, è considerato un
ostacolo aggiuntivo.
L’accesso a un giurista professionista è perciò decisivo. E tuttavia da questo punto di
vista l’assenza o il livello del gratuito patrocinio è ritenuto globalmente, tranne in Olanda,
un problema critico o importante. Il contenzioso penitenziario comporta un grosso carico
di lavoro per gli avvocati (difficoltà a raccogliere gli elementi per formalizzare il ricorso,
dispersione e inaccessibilità delle norme penitenziarie, necessità di recarsi in carcere,
etc.) ed è pagato male.
Un’altra osservazione importante, al di là delle condizioni fisiche e finanziarie connesse
all’applicazione del diritto, è che la paura di ritorsioni o di conseguenze negative in caso
di ricorso è un fattore dissuasivo importante. Può trattarsi di ritorsioni dirette degli agenti
di custodia, della revoca di benefici da parte dell’autorità, o perfino di ripercussioni
sull’accesso alla libertà condizionale e ad altre misure di individualizzazione della pena.
Per quel che riguarda in particolare i giudici specializzati, il cumulo nello stesso giudice
del ruolo di esecutore delle condanne (la concessione dei benefici e degli sconti di pena)
e di difensore dei diritti fondamentali dei detenuti è visto spesso come un problema (in
Italia ad esempio).
Questo effetto è accentuato dal fatto la popolazione detenuta spesso non si aspetta grandi
benefici dalla strada del ricorso. Da un lato la lunghezza del procedimento è
generalmente tale che il giudice interviene dopo la fine della situazione contestata (dopo
il trasferimento o la liberazione in particolare), il che in ogni caso impedisce un
157
European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission
provvedimento utile da parte del giudice. Il risultato anticipato è perciò solo simbolico (o
eventualmente finanziario). Inoltre, come si è detto, i poteri del giudice per risolvere la
controversia sono spesso inadeguati a risolvere il problema posto.
Questo stato di cose spiega in parte il basso impatto della giurisprudenza della CEDU, il
che comporta a sua volta il perdurare delle violazioni palesi e sistematiche dovute a
vincoli fisici o procedurali. Gli onorari sono spesso troppo bassi per giustificare il lavoro
legale richiesto per gestire una causa. Il diritto europeo non è citato abbastanza davanti ai
giudici (che non lo padroneggiano) e perciò non è recepito negli ordinamenti interni.
L’accesso limitato alla giurisprudenza europea nella lingua nazionale è anch’esso un
elemento bloccante da questo punto di vista. Molto spesso le sole regole note sono (nel
migliore dei casi) quelle derivanti da una condanna contro lo Stato membro (cfr. lo studio
empirico sul e il capitolo sulla Spagna). Questo fenomeno è di natura circolare: le cause a
Strasburgo coprono spesso gli stessi oggetti e hanno difficoltà a incidere su altri
problemi, che continuano.
L’esistenza e l’importanza del controllo della Corte europea dei diritti dell’uomo sulla
situazione nazionale è una combinazione di questi fenomeni: al di là ovviamente delle
condizioni delle prigioni e dell’estensione della tutela dei diritti da parte delle stesse
autorità nazionali, dipende da diversi parametri come la diffusione del diritto europeo
nella lingua nazionale, il coinvolgimento delle ONG nelle cause davanti ai giudici
nazionali (che può essere limitato dalla mancanza di mezzi e dalla pochezza dei benefici
attesi) e la cultura giuridica degli avvocati, le difficoltà pratiche nell’esaurire tutti i rimedi
nazionali, etc. Questi parametri hanno un impatto variabile e spiegano perché paesi così
diversi come l’Irlanda, la Spagna e in minor misura l’Olanda non sono, o non sono molto,
presenti nel contenzioso penitenziario a Strasburgo.
Alla luce di queste osservazioni, rispetto all’accesso ai giudici, due elementi appaiono
cruciali ma non sono disciplinati adeguatamente dal diritto europeo attuale: l’accesso al
gratuito patrocinio e il ruolo delle ONG e delle reti di giuristi professionisti.
L’assenza del gratuito patrocinio non è praticamente mai punita dalla Corte europea dei
diritti dell’uomo (cfr. il capitolo sul diritto a un giusto processo), e la difesa dei diritti
all’interno del carcere non è coperta dalla legislazione europea. Allo stesso tempo
organizzare l’accesso all’assistenza legale e alla giustizia è lasciato per lo più
all’iniziativa delle ONG o di avvocati volontari. Il sostegno finanziario alle associazioni
che promuovono l’accesso alla giustizia e alle reti più o meno formali di professionisti
che si battono per i diritti dei detenuti sembrerebbe avere un maggiore impatto sulla
protezione effettiva degli interessati. Allo stesso modo, il riconoscimento della capacità
delle ONG di rappresentare gli interessi dei detenuti davanti alla Corte europea dei diritti
dell’uomo, che può in parte compensare le difficoltà incontrate dagli interessati ad agire
158
European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission
personalmente, è ancora allo stato infantile. Si è sottolineato che, facilitando la gestione
delle controversie, riconoscere un posto migliore alle ONG potrebbe contribuire a una
soluzione più rapida dei problemi strutturali o sistemici.
La fiducia dei detenuti nella capacità dell’ordinamento giuridico di proteggere i loro
diritti, che è un fattore chiave per il successo della politica giurisprudenziale della Corte
europea dei diritti dell’uomo, dipende in gran parte dalle garanzie che li difendono da
ripercussioni negative. L’attuazione delle garanzie procedurali concernenti l’accesso alla
liberazione anticipata e il controllo della Corte europea dei diritti dell’uomo sulle
motivazioni date dai giudici nazionali in materia sono un fattore decisivo.
Infine, il compito di rimuovere i problemi strutturali dei sistemi penitenziari europei, che
la Corte europea dei diritti dell’uomo persegue con determinazione, è molto intralciato
dalla riluttanza della Corte a valutare le difficoltà di accedere ai giudici incontrate dalla
popolazione detenuta a causa della sua precarietà sociale ed economica. Il diritto a un
rimedio effettivo può avere un ruolo significativo nel correggere le prassi e le politiche
penali, a condizione che garantisca ai detenuti l’accesso a un sistema effettivo di
assistenza legale, appoggi le azioni delle associazioni e delle reti professionali e difenda
gli interessati dalle ritorsioni, in particolare proponendo provvedimenti di
individualizzazione della pena ai principi del diritto comune. La sfida rappresentata da
carceri strutturalmente sovraffollati e fuorilegge non appare insormontabile per l’autorità
dei meccanismi sovranazionali operanti per proteggere i diritti fondamentali in Europa,
tutt’altro. Le istituzioni dell’Unione europea devono svolgere pienamente il loro ruolo nel
migliorare l’accesso legale nelle prigioni del continente.
159
European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission
ELENCO DELLE SENTENZE E DELLE DECISIONI
A. Menarini Diagnostics S.R.L. v. Italy, 43509/08, 27 September 2011
Aerts v. Belgium, No. 25357/94, 30 July 1998, Reports of Judgments and Decisions 1998V
Aden Ahmed v. Malta No. 55352/12, 23 July 2013
Aharon Schwartz, No 28304/02, 12 January 2010.
Ahmed v. Austria, No. 25964/94, 17 December 1996, Reports of Judgments and
Decisions 1996-VI
Aksoy v. Turkey, No. 21987/93, 18 December 1996, Reports of Judgments and Decisions
1996-VI
Aldrian v. Austria (dec.) No.10532/83, 15 December 1987, D.R. 54, p. 27
Aleksanyan v. Russia, No 46468/06, 22 December 2008
Alexandr Dementyev v. Russia, No. 43095/05, 28 November 2013
Amirov v. Russia, No 51857/13, 27 November 2014
Antonio Messina v. Italy, No. 39824/07, 24 March 2015
Arutyunyan v. Russia, No 48977/09, 10 January 2012
Artyomov v. Russia, No. 14146/02, 27 May 2010
Ashot Harutyunyan v. Armenia, No 34334/04, 15 June 2010
Asociación de Aviadores de la Republica, Mata and others v. Spain, No. 10733/84, 11
March 1985, D.R. 41, p. 211
Balsyte –Lideikiene v. Lithuania, No. 72596/01, 4 November 2008
Balyemez v. Turkey, No 32495/03, 22 December 2005
Bamouhammad v. Belgium, No 47687/13, 17 November 2015
Bellomonte v. Italy (dec.), No. 28298/10, 1 April 2014
Benthem v. The Netherlands, No. 8848/80, 23 October 1985, A97
160
European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission
Beresnev v. Russia, No. 37975/02, 18 April 2013
Black v. The United Kingdom, No. 56745/00, 16 January 2007
Bogumil v. Portugal, No 35228/03, 7 October 2008
Bogusław Krawczak v. Poland, No. 24205/06, 31 May 2011
Boulois v. Luxembourg [GC], No. 37575/04, 14 December 2010
Campbell and Fell v. The United Kingdom, No. 7819/77 and 7878/77, 28 June 1984, A80
Camps v. France (dec.), No. 42401/98, 23 November 1999
Cătălin Eugen Micu v. Romania, No 55104/13, 5 January 2016
Centre of Legal Resources on behalf of Valentin Campeânu v. Romania, No 47848/08, 17
July 2014
Chahal v. The United Kingdom [GC], No. 22414/93,15 November 1996, Reports of
Judgments and Decisions 1996-V
Shtukaturov v. Russia, No. 44009/05, 4 March 2010
Ciorap v. Moldova, No. 12066/02, 19 June 2007
Contrada v. Italy (No 2), No 7509/08, 11 February 2014
Cocaign v. France, No. 32010/07, 3 November 2011
Cottin v. Belgium, No. 48386/99, 2 June 2005
Delcourt v. Belgium, No. 2689/65, 17 January 1970, A11
Dermanovic v. Serbia, No 48497/06, 23 February 2010
De Wilde, Ooms and Versyp v. Belgium, No. 2832/66, 2835/66, 2899/66, 18 June 1971,
A12
Duval v. France, No 19868/08, 25 May 2011
Dybeku v. Albania, No 41153/06, 18 December 2007
161
European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission
Elefteriadis v. Romania, No 38427/05, 15 January 2011
Ellès and others v. Switzerland, No. 12573/06, § 16, 16 December 2010).
Enea v. Italy [GC], No. 74912/01, 17 September 2009, Reports of Judgments and
Decisions 2009
Enea v. Italy (dec.) No. 74912/01, 23 September 2004
Engel and others v. The Netherlands, No. 5100/71, 5101/71, 5102/71, 5354/72, 5370/72,
8 June 1976, A22
Ezeh and Connors v. The United Kingdom [GC], No. 39665/98 and 40086/98, 9 October
2003, Reports of Judgments and Decisions 2003-X
Farbtuhs v. Latvia, No 4672/02, 2 December 2004
Florea v. Romania, No 37186/03, 14 September 2010
Ganci v. Italy, No. 41576/98, 30 October 2003, Reports of Judgments and Decisions
2003-XI
Gatt v. Malta, No. 28221/08, 27 July 2010, Reports of Judgments and Decisions 2010
Gelfmann v. France, No 25875/03, 14 December 2004
Goginashvili v. Georgia, No 47729/08, 4 October 2011
Golder v. The United Kingdom, No. 4451/70, 21 February 1975, A18
Grishin v. Russia, No 30983/02, 15 November 2007
Guerra and others v. Italy, No. 14967/89, 19 February 1998, Reports of Judgments and
Decisions 1998-I
Gülay Çetin v. Turkey, No 44084/10, 5 March 2013
Gülmez v. Turkey, No. 16330/02, 20 May 2008
Gürbüz v. Turkey, No 26050/04, 10 November 2005
Helhal v. France, No 10401/12, 19 February 2015
162
European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission
Hénaf v. France, No 65436/01, 27 November 2003
Hentrich v. France, No. 13616/88, 22 September 1994, A296-A
Herczegfalvy v. Austria, No 10544/83, 24 September 1992
Hummatov v. Azerbaijan, No 9852/03 and 13413/04, 29 November 2007
Hurtado v. Switzerland, No 17549/90, 28 January 1994
Hüseyin Yıldırım v. Turkey, No 2778/02, 3 May 2007
James, Wells and Lee v. The United Kingdom, No. 25119/09, 57715/09, 57877/09, 18
September 2012
Jeladze v. Georgia, No 1871/08, 18 December 2012
Jusic v. Switzerland, No. 4691/06, 2 December 2010
Jussila v. Finland [GC], No. 73053/01, 23 November 2006, Reports of Judgments and
Decisions 2006-XIV
Keenan v. The United Kingdom, No. 27229/95, 3 April 2001, Reports of Judgments and
Decisions 2001-III
Khudobin v. Russia, No 59696/00, 26 October 2006
Kiss c. The United Kingdom (dec.), No. 6224/73, 16 December 1976, D.R. 7, p. 64
Koch v. Germany, No. 1270/61, 8 March 1962, Collection 8, pp. 91-97
Kovalev v. Russia, No. 78145/01, 10 May 2007
Kozhokar v. Russia, No 33099/08, 16 December 2010
Kotsaftis v. Greece, No 39780/06, 12 June 2008
Kudła v. Poland, No 30210/96, 26 October 2000
Kushnir v. Ukraine, No 42184/09, 11 December 2014
Laidin v. France (n°2), No. 39282/987, January 2003
163
European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission
Larin v. Russia, No. 15034/02, 20 May 2010
Laska and Lika v. Albania, No. 12315/04, 17605/04, 20 April 2010.
Lisica v. Croatia, No. 20100/06, 25 February 2010
Le Compte, Van Leuven and De Meyere v. Belgium, No. 6878/75, 7238/75, 23 June 1981,
A43
López Ostra v. Spain, No 16798/90, 9 December 1994
Lorse and others v. The Netherlands (dec.), No. 52750/99, 28 August 2001
Makharadze and Sikharulidze v. Georgia, No 35254/07, 22 November 2011
Masson and Van Zon v. The Netherlands, No. 15346/89, 15379/89, 28 September 1995,
A327‑A
Matencio v. France, No 58749/00, 15 January 2004
Medvedyev and others v. Russia, No.°3394/03, 29 March 2010
Messima v. Italy (n°2), No. 25498/94, 28 September 2000, Reports of Judgments and
Decisions 2000-X
Mitkus v. Latvia, No 7259/03, 2 October 2012
Montcornet de Caumont v. France (dec.), No. 59290/00, 13 May 2003, Reports of
Judgments and Decisions 2003-VII
Mouisel v. France, No 67263/01, 14 November 2002
Murray v. the Netherlands [GC], No 10511/10, 26 April 2016
Musumeci v. Italy (dec.), No. 33695/96, 17 December 2002
Musumeci v. Italy, No. 33695/96, 11 January 2005
Neumeister v. Austria, No. 1936/63, 27 June 1968, A8
Nevmerzhitsky v. Ukraine, No 54825/00, 5 April 2005
Nusret Kaya and others v. Turkey, No. 43750/06, 43752/06, 32054/08 and others, 22
April 2014, Reports of Judgments and Decisions 2014
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P. v. France (dec.), No. 11691/85, 10 October 1986, D.R. 50, p. 263
Papon v. France, No 54210/00, 25 July 2002
Payet v. France, No. 19606/08, 20 January 2011
Plathey v. France, No. 48337/09, 10 November 2011
Poghosyan v. Georgia, No 22999/06, 12 June 2012
Price v. the United Kingdom, No 33394/96, 10 July 2001
Raffray Taddei v. France, No 36435/07, 21 December 2010
Rappaz v. Switzerland, No 73175/10, 26 March 2013
Razvyazkin v. Russia, No. 13579/09, 03 July 2012
Reinprecht v. Austria, No. 67175/01, 15 November 2005, Reports of Judgments and
Decisions 2005-XII
Renolde v. France, No. 5608/05, 16 October 2008, Reports of Judgments and Decisions
2008
Reshetnyak v. Russia, No 56027/10, 8 January 2013
Riepan v. Austria, No. 35115/97, 14 November 2000, Reports of Judgments and
Decisions 2000-XII
Rivière v. France, No 33834/03, 11 July 2006Rokosz v. Poland, No. 15952/09, 27 July
2010
Rolf Gustafson v. Sweden, No. 23196/94, 1 July 1997, Collection 1997-IV
Sakkopoulos v. Greece, No 61828/00, 15 January 2004
Schenk v. Switzerland, No. 10862/84, 12 July 1988, A140
Shishkov v. Russia, No. 26746/05, 20 February 2014
Skorobogatykh v. Russia (dec.), No. 37966/02, 8 June 2006,
Skorobogatykh v. Russia, No. 4871/03, 22 December 2009
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Sławomir Musiał v. Poland, No 28300/06, 20 January 2009
Slyusarev v. Russia, No 60333/00, 20 April 2010
Sokur v. Russia, No. 23243/03, 15 October 2009
Soysal v. Turkey, No 50091/99, 3 May 2007
Stec and others v. The United Kingdom (dec.) [GC], No. 65731/01 and 65900/01, 6 July
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Stegarescu and Bahrin v. Portugal, No. 46194/06, 6 April 2010
Štitić v. Croatia, No. 29660/03, 8 November 2007
Szuluk v. the United Kingdom, No 36936/05, 2 June 2009
T. v. The United Kingdom [GC], No. 24724/94, 16 December 1999
Tekin Yıldız v. Turkey, No 22913/04, 10 November 2011
Tomasi v. France, No. 12850/87, 27 August 1992, A241-A
Trocellier v. France, No 75725/01, 5 October 2006
Uyan v. Turkey, No 7454/04, §§ 44-54, 10 November 2005
V. v. The United Kingdom [GC], No. 24888/94, 16 December 1999, Reports of
Judgments and Decisions 1999-IX
Van Droogenbroeck v. Belgium, No. 7906/77, 24 June 1982, A50
Vasilescu v. Belgium, No. 64682/12, 25 November 2014
V.D. v. Romania, No 7078/02, 16 February 2010
Vermeersch v. France (dec.), No. 39277/98, 30 January 2001
Vilho Eskelinen and others v. Finland [GC], No. 63235/00, 19 April 2007, Reports of
Judgments and Decisions 2007-II
Vincent v. France, No 6253/03, 24 November 2010
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Vinter and others v. The United Kingdom [GC], No. 66069/09, 130/10 and 3896/10, 9
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Vladimir Vasilyev v. Russia, No. 28370/05, 10 January 2012
Whitfield and others v. The United Kingdom No. 46387/99, 48906/99, 57410/00 and
57419/00, 12 April 2005
X. v. Germany (dec.), No. 4984/71, 5 October 1972, Collection 43, pp. 28-37
Xiros v. Greece, No 1033/07, 9 September 2010
Young v. The United Kingdom, No. 60682/00, 16 January 2007
Yunusova and Yunusov v. Azerbaijan, No 59620/14, 2 June 2016
167
European Prison Litigation Network – Project supported by the European Commission
ELENCO DELLE PUBBLICAZIONI CITATE
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