a cura di Stefania Frezzotti Roma, Galleria - Gallery

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a cura di Stefania Frezzotti Roma, Galleria - Gallery
COMUNICATO
STAMPA
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a cura di Stefania Frezzotti
Roma, Galleria nazionale d’arte moderna
31 ottobre 2014- 15 febbraio 2015
Con la mostra Secessione e Avanguardia. L’arte in Italia prima della Grande
Guerra 1905-1915, la Galleria nazionale d’arte moderna intende approfondire
un momento di particolare fervore innovativo all’interno della cultura artistica
e letteraria italiana immediatamente precedente la prima guerra mondiale. Un
periodo breve - ideologicamente segnato da contrasti politico-sociali e da un
crescente nazionalismo - durante il quale artisti e critici si interrogano sui concetti di modernità e avanguardia.
Mentre l’Ottocento, il ‘secolo lungo’, moriva, e con esso veniva meno l’entusiastica fiducia nel progresso della belle époque, una generazione di giovani artisti
si poneva in contrapposizione al consolidato sistema ufficiale delle esposizioni
(le mostre degli Amatori e Cultori a Roma, le Biennali a Venezia), contestando i
criteri conservatori e selettivi che regolavano partecipazioni ed esclusioni, rivendicando libertà espressiva e autonomia di canali espositivi alternativi.
Come era già avvenuto a Monaco, a Berlino, a Vienna, gruppi di artisti italiani giovani e meno giovani sceglievano di associarsi nel comune segno della Secessione,
sia interpretata, alla lettera, come separatismo, divisione netta e antagonistica, sia
come manifestazione che raccoglieva le forze più innovative intorno a concetti
modernisti, ma in cui non tardarono a penetrare elementi di avanguardia.
La mostra della Galleria nazionale prende l’avvio dal 1905, anno in cui Gino Severini e Umberto Boccioni organizzano nel Ridotto del Teatro Nazionale di Roma
una Mostra dei Rifiutati la quale, benché non riuscisse pienamente nel tentativo
di opposizione efficace alle esposizioni annuali degli Amatori e Cultori, costituì
un primo germe di opposizione. Attraverso otto aree tematiche – che comprendono oltre 170 opere - il percorso si apre all’inizio del secolo nel clima del socialismo umanitario, di cui Giuseppe Pellizza da Volpedo è precursore, raccolto a
Roma intorno a Giovanni Cena, Duilio Cambellotti e Giacomo Balla, qui presente con il ritratto monocromo di Lev Tolstoj. Seguono gli artisti italiani che avevano avuto una significativa partecipazione alle esposizioni europee indipendenti
o secessioniste: Gaetano Previati, ammirato per la spiritualità simbolista al Salon de la Rose-Croix e alla Internationale Kunstausstellung di Monaco; Medardo
Rosso, che partecipa alla grande rassegna sull’impressionismo organizzata dalla
Wiener Sezession nel 1903; Giovanni Segantini, presente sia al Salon du Group
de XX a Bruxelles sia alle esposizioni della Secessione di Monaco e di Vienna,
invitato dagli artisti stessi della cerchia klimtiana.
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Le esigenze di rinnovamento e di apertura internazionale si polarizzano fra il
1908 e il 1915 a Venezia e a Roma, nelle manifestazioni di Ca’ Pesaro e della Secessione romana. Nella successione delle prime sale si può seguire l’intrecciarsi
delle due manifestazioni. Dalle attività espositive della Fondazione Bevilacqua
La Masa, che nel 1913 sono sospese perché troppo “eversive” rispetto alla Biennale veneziana, emergono Gino Rossi, Tullio Garbari, Ubaldo Oppi, Vittorio
Zecchin, Guido Marussig, ma soprattutto Arturo Martini e Felice Casorati, che
imprimeranno un segno incisivo nello sviluppo dell’arte italiana degli anni ventitrenta del secolo. La varietà dei riferimenti del gruppo di Ca’ Pesaro spazia dalla
secessione viennese al primitivismo, dal paesaggismo nord-europeo a Gauguin
e al sintetismo di Pont-Aven, ma anche al nuovo rappresentato dalle opere prefuturiste di Boccioni, al quale nel 1910 viene dedicata una mostra individuale.
La Secessione romana denuncia fin dalla denominazione - “Esposizione Internazionale d’Arte della Secessione”- la volontà di riallacciarsi programmaticamente agli analoghi movimenti di area tedesca e austriaca, proponendo al tempo
stesso un più marcato collegamento alle ricerche artistiche europee recenti nel
tentativo di sprovincializzare la cultura italiana. Desta un vivo scalpore nel 1913
la sala dell’arte francese che, a distanza di tre anni dalla mostra al Lyceum di Firenze sull’impressionismo in cui era esposto per la prima volta in Italia un dipinto
di Vincent Van Gogh, (quel Giardiniere ora alla Galleria nazionale), presenta una
rassegna dell’arte francese che parte dall’impressionismo per arrivare alle ultime
tendenze, con artisti come Pierre Bonnard, Félix Vallotton, Édouard Vuillard,
Kees van Dongen. L’area mitteleuropea è rappresentata dal simbolismo di Franz
von Stuck e dello svizzero Ferdinand Hodler, il quale confluisce nel 1900 nella
Secessione viennese e monacense; nel 1914 arriva a Roma l’attesissimo nuovo
gruppo austriaco capeggiato da Gustav Klimt (fra gli esponenti Kolo Moser e
Egon Schiele). Del tutto eccezionale la presenza a Roma degli artisti russi del
Mir Iskusstva (o Mondo dell’Arte, di cui fanno parte Filipp Andreevič Maljavin e
Igor’ Emmanuilovič Grabar’) gruppo artistico espressione dell’omonima rivista
fondata nel 1898 a Pietroburgo da Sergej Djagilev, rifondato nel 1910 da Nikolaj
Rerich .
Anche a Roma, come a Venezia, si evidenziano tendenze diverse con piena libertà espressiva: dalle interpretazioni elegantemente mondane del divisionismo
di Camillo Innocenti, Arturo Noci, Plinio Nomellini, alle novità plastiche di Roberto Melli, fino ad accogliere artisti provenienti da Ca’ Pesaro: Mario Cavaglieri, Lorenzo Viani, Zecchin, i ‘ribelli’ Rossi, Casorati, Martini. Nelle ristrettezze del
clima bellico calano infine le presenze straniere nelle ultime edizioni, mentre si
affermano i giovani Felice Carena, Pasquarosa Bertoletti, Armando Spadini.
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La dirompente novità dei Futuristi, ambiguamente emarginati dalle secessioni
romane, trova una propria sede nella Galleria Permanente Futurista di Giuseppe
Sprovieri, che nel 1914 ospita esponenti europei dell’astrattismo-futurismo, fra i
quali i russi Alexander Archipenko e Aleksandra Ekster, saldando la circolarità
espositiva delle tendenze in atto. La Galleria Sprovieri è il vero laboratorio sperimentale, sfidando il pubblico e la critica con le opere di Umberto Boccioni,
Giacomo Balla, Luigi Russolo, Carlo Carrà, Gino Severini, del primo Depero.
Ca’ Pesaro e Secessione romana rappresentano quindi i poli di un’avanguardia
‘moderata’, contrapposta all’avanguardia radicale del Futurismo, che intende incidere in maniera rivoluzionaria sul linguaggio artistico, sulla psiche dell’uomo
moderno, sulla realtà politica. La mostra si chiude sulla tabula rasa che il conflitto
mondiale attua nei confronti di ogni aspirazione avanguardista, inglobandone lo
slancio vitale. All’entusiastico interventismo futurista, alla nuova, modernissima
iconografia della guerra nelle “dimostrazioni patriottiche” di Cangiullo, Marinetti, Balla, si contrappone la poetica del silenzio e dell’assenza, presagio del
dramma imminente, del primo De Chirico.
L’iniziativa rientra nel Programma ufficiale delle commemorazioni per il centenario della Grande Guerra della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Struttura di
Missione per gli Anniversari di interesse nazionale.
Mostra
SECESSIONE E AVANGUARDIA.
L’arte in Italia prima della Grande Guerra 1905-1915
SCHEDA
INFORMAZIONI
Periodo
31 ottobre 2014 – 15 febbraio 2015
A cura di
Stefania Frezzotti
Sede
Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea
Viale delle Belle Arti 131, Roma
Ingresso per disabili: via Gramsci 71
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Orari di apertura
martedì - domenica dalle 10.30 alle 19.30
venerdì fino alle 22.00
(la biglietteria chiude alle 18.45; il venerdì chiude alle 21.15)
Chiusura il lunedì
Biglietto
ingresso museo-mostra intero 13 euro, ridotto 10,50
Prima domenica del mese accesso gratuito
Informazioni
tel. +39 06 32298221
www.gnam.beniculturali.it
Catalogo
Electa
Ufficio stampa
GNAM
Laura Campanelli
tel. +39 06 32298328
[email protected]
Electa
Gabriella Gatto
tel. +39 06 47497462
[email protected]
cartella stampa
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MOSTRA
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Nel 1911, l’anno della guerra di Libia, impresa colonialista che divide politici e
intellettuali fra neutralisti e interventisti, l’Italia libera e indipendente celebra il
cinquantenario della propria unità con grandi eventi: l’inaugurazione del Monumento
a Vittorio Emanuele II e l’Esposizione Internazionale d’Arte a Valle Giulia.
Il fregio decorativo commissionato a Edoardo Gioia era originariamente
collocato nell’atrio del Padiglione delle Feste di Marcello Piacentini, il luogo
deputato alle cerimonie ufficiali e agli spettacoli di grande pubblico.
Circondata da Vittorie bronzee, fra rami di ulivo e di alloro, simboli della pace
e della gloria, l’Italia è una giovane donna moderna, accompagnata dalle
Muse, protettrice delle Arti, incoronata dal suo Genio, ma anche vittoriosa, se
necessario, con la forza.
Ricco di reminescenze dell’arte classica, barocca, dell’estetismo inglese,
il fregio vuole celebrare un’immagine del potere raggiunto dalla nazione,
incarnare sentimenti di italianità e nazionalismo senza tuttavia ricorrere alla
retorica, ma con aerea leggerezza, come si conviene alla sede di esposizione.
Il senso della patria, l’affermazione della recente nazione, confluiscono nella
ricerca di una identità in primo luogo culturale.
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Nel 1901, attratti dalla vitalità e dalle opportunità offerte dalla capitale, i
giovani Umberto Boccioni e Gino Severini giungono a Roma, dove iniziano a
frequentare lo studio di Giacomo Balla, di cui ammirano la libertà nella tecnica
divisionista, la novità del taglio fotografico, l’isolamento dell’immagine. Ma,
benché il loro maestro facesse parte della giuria, le loro opere non sono
accettate alla LXXV Esposizione della Società degli Amatori e Cultori. Pertanto,
nel marzo del 1905 Boccioni e Severini danno vita ad una polemica Mostra dei
Rifiutati nel foyer del Teatro Nazionale, ponendosi in aperto contrasto con la
manifestazione ufficiale di antica storia. Delusi dalla vicenda romana, entrambi
gli artisti, fra il 1905 e il 1906 si trasferiscono a Parigi, laboratorio delle prime
avanguardie. Tuttavia, nel marzo del 1906 l’Autoritratto di Severini, esposto
alla prima Mostra dei Rifiutati, sarà scelto per la copertina del ”L’Avanti della
Domenica”, periodico socialista che ospita nelle proprie pagine gli intellettuali
più avanzati. Nello stesso arco di tempo, tra il 1905 e il 1906 il giovane Carlo
Carrà, formatosi sul pensiero anarchico e socialista, realizza il dipinto Allegoria
del lavoro, commissionatogli dalla Cooperativa Pittori e Imbiancatori di Milano
di cui l’artista faceva parte. La tematica del lavoro e delle sue implicazioni
sociali, molto avvertita nell’Italia del nord in cui l’industrializzazione è più
avanzata, è interpretata da Carrà utilizzando ancora un linguaggio simbolista, in
cui la figura dell’operaio emerge seminudo come un eroe mitologico fra figure
allegoriche, l’incudine, il martello.
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MOSTRA
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“Sento che non è più tempo di fare l’Arte per l’Arte, ma dell’Arte per l’Umanità”,
aveva scritto Giuseppe Pellizza da Volpedo, che nel Quarto Stato (1901),
esposto per la prima volta a Torino nel 1902 e poi a Roma nel 1907 presso gli
Amatori e Cultori, aveva rappresentato l’avanzare delle classi lavoratrici in una
visione utopica di progresso e di giustizia sociale.
Nel difficile percorso di allineamento del nuovo Stato italiano alla situazione
economica e politica europea, gli ideali di uguaglianza e solidarietà propri
del socialismo umanitario, alimentati dalla lettura di testi di scrittori tedeschi
e russi, trovano a Roma un centro particolarmente avanzato di letterati e
artisti raccolti intorno a Giovanni Cena, Giacomo Balla, Giovanni Prini, Duilio
Cambellotti, Sibilla Aleramo. La traduzione in italiano nel 1899 di “Che cosa è
l’arte?” di Tolstoj imprime alle concezioni socialiste ulteriori finalità educative
e morali: il fine dell’arte non è piacere estetico per pochi, ma strumento di
progresso dell’umanità, di educazione del popolo per il miglioramento delle
condizioni di vita e il superamento delle differenze sociali. Le idee di Tostoj,
al quale Balla dedica un emblematico ritratto, raffigurando lo scrittore con
la camicia tradizionale dei contadini russi e un aratro sullo sfondo, trovano
attuazione nella fondazione delle scuole per contadini dell’Agro Pontino e in
opere ispirate agli ambienti rurali delle Paludi Pontine, come nel gesso per La
fonte della palude di Duilio Cambellotti, restaurato per questa occasione.
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Per tutto l’Ottocento le esposizioni internazionali europee erano state un
formidabile strumento di informazione e circolazione delle idee. Alcuni artisti
italiani furono particolarmente influenti, invitati e premiati alle più importanti
mostre indipendenti e secessioniste organizzate in Europa.
Fra questi il divisionista Gaetano Previati, attentamente studiato da Boccioni
nella fase pre-futurista, si afferma a livello internazionale al Salon de la
Rose-Croix di Parigi, alle mostre della Secessione di Monaco e Berlino, con
dipinti pervasi dalla luce e da una spiritualità mistica. Grande è stata la
notorietà di Giovanni Segantini in ambito internazionale, ammirato per la
raffinatezza stilizzata delle sue opere panteiste in particolare dagli artisti della
Secessione viennese: invitato d’onore con 29 opere già alla prima esposizione
del 1898, oggetto di uno studio monografico e di una vasta retrospettiva
che i secessionisti gli dedicheranno nel 1901 a seguito della sua morte. La
dirompente novità della plastica di Medardo Rosso viene colta sia da Boccioni
nei suoi studi sui rapporti fra la figura e lo spazio, sia dai secessionisti viennesi
che invitarono lo scultore all’ampia mostra sull’Impressionismo organizzata
nel 1903 a Vienna da Klimt e Carl Moll. Il critico Ardengo Soffici inoltre
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contribuisce a far conoscere Rosso in Italia in occasione della “Prima Mostra
Italiana dell’Impressionismo” al Lyceum Club di Firenze (1910), dove, oltre alle
opere degli impressionisti storici, era esposto anche Il Giardiniere di van Gogh
(collezione permanente Sala 15). L’area simbolista tedesca è rappresentata
da Franz von Stuck, fondatore della Secessione di Monaco, particolarmente
influente in Italia sugli artisti del decadentismo. La cultura secessionista
tedesca ha una parte preponderante sulla formazione di Adolfo Wildt, scultore
di eccelsa tecnica, che nelle sue opere rielabora la scultura rinascimentale,
Michelangelo, il tardo gotico, fino ad una drammatica deformazione
espressionista.
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SALA 5
Le periodiche rassegne della Biennale di Venezia offrivano la possibilità di
una conoscenza ravvicinata degli artisti stranieri più affermati. Nel primo
decennio del secolo la pittura spagnola, di cui Ignacio Zuloaga è l’artista
più rappresentativo, gode di grande fortuna sia a Venezia che a Roma,
dove assume le caratteristiche di un fenomeno di moda per la forte carica
coloristica.
Parallelamente, già dal 1908-10 emerge una tendenza espressionista all’interno
della stessa cerchia klimtiana. Tra i protagonisti di questo gruppo, Kolo Moser
è stato tra i principali innovatori nella grafica della Vienna di inizio secolo e
il più importante collaboratore della rivista “Ver Sacrum”. Colpito dai dipinti
dello svizzero Ferdinand Hodler, caratterizzati da quegli elementi di euritmia,
ripetizione simmetrica e allegoria tipici della pittura simbolista, Moser raffigura
figure femminili attraverso un linearismo fortemente accentuato e un uso
antinaturalistico del colore.
Il linearismo teso delle figure di Hodler lascia un segno anche nelle opere di
Egon Schiele, il più noto protagonista dell’espressionismo austriaco. Nella sua
linea tormentata e appuntita, attraverso colori forti, talvolta acidi, Schiele è il
pittore che più drammaticamente fa affiorare le inquietudini della Vienna dei
primi novecento.
All’interno della cultura secessionista Aroldo Bonzagni mostra una precoce
adesione alla deformazione espressionista, a tratti caricaturale, come si può
rilevare nel dipinto Moti del ventre, derivato dalla Salomè di von Stuck, ma
rovesciandone completamente il significato, o nel contemporaneo San Sebastiano,
ispirato a “Le Martyre de Saint Sebastien” di Gabriele D’Annunzio rappresentato a
Parigi nel 1911.
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Nel 1898 la nobildonna Felicita Bevilacqua La Masa aveva lasciato per
testamento al Comune di Venezia il palazzo di Ca’ Pesaro sul Canal Grande
per farne una sede espositiva destinata ad accogliere quei giovani artisti e
artigiani veneti normalmente esclusi dalle grandi esposizioni internazionali,
come la Biennale, rivolta invece ad artisti già affermati. Solo a partire dal 1908
fu possibile realizzare, sotto la direzione del critico Nino Barbantini, mostre
annuali, che divennero ben presto rassegne di grande interesse su giovani
artisti emergenti.
Le mostre di Ca’ Pesaro, pur con una certa eterogeneità, riuscirono a delineare
una visione unitaria di fondo: gli artisti veneti guardavano al secessionismo di
Monaco e di Vienna per vicinanza geografica e culturale, ma erano aggiornati
anche sul sintetismo francese, ispirandosi per esempio a Pont-Aven come
esperienza da replicare nella laguna veneta. Questo fu il ruolo di Gino Rossi,
il quale, tornato da un soggiorno in Bretagna, avviò un sodalizio artistico
ed umano con lo scultore Arturo Martini. I due artisti erano accomunati
dall’interesse per il primitivismo (che, nel caso di Gino Rossi, passava per
Gauguin e i Nabis), in una singolare mediazione tra modernità e tradizione. Tali
tendenze coinvolsero anche il pittore trentino Tullio Garbari, il quale vi giunse
dopo una ricerca improntata sull’estetica secessionista viennese, analoga a
quella che conduceva, in quegli stessi anni, il friulano Guido Marussig sul tema
della pittura di paesaggio.
Tra le più importanti iniziative promosse da Barbantini a Ca’ Pesaro è la sala
individuale dedicata a Umberto Boccioni, invitato a esporre nel 1910 con un
cospicuo numero di dipinti del periodo divisionista, ma la presenza dell’artista
fu significativa come prima testimonianza dell’interesse per le novità futuriste
in area veneta.
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Nell’ambito delle mostre della Secessione romana, gli artisti toscani
costituirono una presenza numerosa e costante. Tra questi, va ricordato in
particolare Plinio Nomellini: già membro della giuria di ammissione e della
commissione di collocamento della Secessione, l’artista livornese aveva
un’importante sala personale di ventidue dipinti alla prima mostra della
Secessione. Protagonista dei suoi dipinti è il colore, sempre vivace e luminoso,
e una libera interpretazione della tecnica divisionista affine alle coeve tendenze
dei più giovani secessionisti italiani. La presenza dell’artista in tale contesto,
inoltre, s’inscriveva nel dibattito che la Secessione si proponeva di animare sul
rapporto tra pittura, scultura e arti decorative: il mobilio e la decorazione per
la sua personale erano stati eseguiti dalla ditta Spicciani di Lucca, con la quale
l’artista aveva già precedentemente collaborato.
A Nomellini si deve inoltre l’organizzazione delle sale delle mostre della
Secessione romana dedicate alla “Giovane Etruria”, gruppo toscano che aveva
esordito all’Esposizione Nazionale di Belle Arti di Milano nel 1906 e di cui
facevano parte, fra gli altri, Galileo Chini, Llewelyn Lloyd, Elisabeth Chaplin.
Galileo Chini fu tra i più apprezzati alla Secessione, anche grazie ai suoi
successi internazionali. Alla mostra del 1914 – lo stesso anno in cui realizza
l’imponente decorazione di gusto secessionista viennese per la Sala Meštrovic
dell’undicesima Biennale di Venezia – l’artista espose alcuni dei dipinti realizzati
in Thailandia, dove soggiornò dal giugno del 1911 al settembre del 1913. Vi si era
recato per realizzare gli affreschi della Sala del Trono dell’Ananta Samakhom
di Bangkok, commissionatigli dal re Rama V, il quale aveva avuto modo di
apprezzare le sue doti di decoratore con la visita alla “Sala del Sogno” della
Biennale di Venezia del 1907.
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Tra i membri fondatori della Secessione romana, Camillo Innocenti, Arturo
Noci, Aleardo Terzi condividevano la tecnica divisionista applicata a soggetti
elegantemente mondani, nudi femminili sensuali, scene intimiste o interni
borghesi. Innocenti in particolare, che alla Biennale di Venezia del 1909 aveva
avuto una sala personale con venti opere, aveva svolto un ruolo di tramite
con la galleria Bernheim-Jeune di Parigi per assicurare la presenza di artisti
francesi alla prima esposizione della Secessione del 1913. Aleardo Terzi, pittore
e illustratore, oltre ad esporre dipinti ed opere di grafica, aveva disegnato le
copertine dei cataloghi della Secessione e la decorazione di alcune sale.
All’interno della folta presenza degli artisti romani, già nel 1913 Cipriano Efisio
Oppo, Roberto Melli e Vincenzo Costantini danno vita al “Gruppo Moderno
Italiano”, con aspirazioni moderatamente avanguardistiche. Il nuovo gruppo,
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al di là degli intenti, non lascerà un segno incisivo, ma Oppo, pittore e critico
influente, dal 1915 assumerà la direzione della Secessione imprimendo
un’ulteriore svolta. Alle ultime edizioni del 1915 e del 1916, già in piena guerra,
si afferma una nuova generazione di artisti, come Felice Carena, Pasquarosa
Bertoletti, proveniente da villa Strohl-Fern come pure Oskar Brázda, Armando
Spadini; denominatore comune è per Oppo una pittura moderna priva di
eccessi, aperta alle novità francesi ma ben radicata nella tradizione pittorica
italiana. Spadini, che nel 1915 avrà una sala personale, è considerato, non
solo da Oppo, ma dalla critica in genere come l’artista emergente, emblema
di un percorso italiano che riesce a liberarsi dal confronto con le esperienze
straniere.
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La vocazione internazionale delle mostre delle Secessioni romane permette
di esporre per la prima volta a Roma alcuni dei protagonisti del rinnovamento
artistico europeo degli ultimi vent’anni, in buona parte assenti alla precedente
Esposizione Internazionale del 1911.
Il momento più importante è senza dubbio rappresentato dalla “Sala
dell’Impressionisti Francesi” alla prima Secessione. L’ampia selezione delle
diverse tendenze dell’arte moderna francese a partire dall’impressionismo
storico, passa attraverso le scene intimiste di Pierre Bonnard, le nature morte di
Édouard Vuillard e gli interni di Félix Vallotton – che mostrano il superamento
delle originali posizioni nabis di questi artisti – fino a Matisse e Cézanne, alle
opere fauves di Kees Van Dongen.
In questa occasione la Femme en Blanc è donata alla galleria Bernheim-Jeune
alla Galleria nazionale d’arte moderna. Alla prima Secessione romana la scultura
è rappresentata da opere di Émile-Antoine Bourdelle, artista vicino a Rodin del
quale è stato collaboratore, e di Libero Andreotti, ormai pienamente parigino e
nutrito delle novità della plastica francese, da Bourdelle a Maillol. Una selezione
di vetri artistici di Hans Stoltenberg Lerche e di sculture animalier di Rembrandt
Bugatti testimoniano invece l’interesse del movimento secessionista per le
arti applicate e la decorazione di ambienti. Alla seconda esposizione del 1914,
una presenza importante è quella dei pittori russi di “Mir Iskusstva” (“Il Mondo
dell’Arte”), gruppo artistico espressione dell’omonima rivista fondata nel 1898
a Pietroburgo da Sergej Djagilev con l’intento di aprire l’arte russa al confronto
europeo. Tra i protagonisti si trovano Igor’ Emmanuilovic Grabar’, pittore e
critico, importante divulgatore in Russia delle novità dell’arte francese, e Filipp
Andreevic Maljavin, interprete di un ritorno al folklore della tradizione russa.
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Intorno alla metà degli anni Dieci, Venezia e Roma sono i poli entro i quali
si muovono i fermenti più innovativi della cultura artistica italiana. Tra i
protagonisti del legame tra mondo veneziano e romano è Roberto Melli,
scultore e pittore sensibile alle più importanti novità contemporanee – dalla
pittura fauve e matissiana, alla plastica di Boccioni – che si fa promotore del
coinvolgimento dei giovani dissidenti di Ca’ Pesaro alle mostre romane.
Felice Casorati è uno degli artisti simbolo di questo collegamento VeneziaRoma. Il nudino, ispirato a Klimt nella tematica della vita della donna e nel nudo
femminile su uno sfondo decorato, è una testimonianza dei punti di riferimento
dell’artista intorno al 1912-13, quando comincia a ricevere i primi riconoscimenti
sia alla Biennale di Venezia, sia a Ca’ Pesaro (che gli dedica una personale nel
1913), sia alla prima Secessione romana dove espone una prima volta con il
gruppo veneto Il sogno del melograno e nel 1915 con una sala personale di
quattordici opere.
Arturo Martini partecipa, non senza scalpore, alle mostre della Secessione,
presentando nel 1914 opere radicalmente innovative, come La prostituta, Il
buffone, Uomo spesse volte incontrato.
L’importanza del rinnovamento di Martini - certamente lo scultore più
importante del Novecento - e della sua Fanciulla piena d’amore è testimoniato
dallo stimolo impresso alla produzione plastica di Casorati che, a partire dal
1914, realizzerà alcune sculture segnate da un’impronta primitivista, come
Maschera nera e Maschera rossa, quest’ultima esposta alla Secessione del 1915.
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Le sale individuali tenute nel giro di meno di un anno alla Biennale di Venezia
del 1910 e all’Esposizione Internazionale di Roma del 1911 segnano l’apice
della risonanza suscitata da Klimt in Italia. Il successo dell’artista viennese
è riscontrabile negli acquisti dello Stato: Salomè (o Giuditta) per la Galleria
Internazionale d’Arte Moderna di Venezia e Le tre età della donna per la Galleria
nazionale d’arte moderna di Roma (collezione permanente sala 16).
Casorati è tra i primi a recepire, a partire dal 1912, la pittura di Klimt. Nella
Preghiera, il pittore ne deriva alcuni aspetti (ad esempio nella composizione
e nel prato fiorito) e dimostra la ricezione della lettura klimtiana dell’arte
giapponese, evidente nel kimono della fanciulla, nella stilizzazione della figura.
Vittorio Zecchin coglie gli aspetti più decorativi della produzione di Klimt,
particolarmente sedotto dai motivi geometrici ornamentali che caratterizzano
soprattutto le opere del periodo aureobizantino, che utilizza nei pannelli
decorativi a tematica orientale esposti sia a Ca’ Pesaro, sia alle Secessioni
romane, alle quali partecipa sin dalla prima edizione del 1913 nella sala veneta.
Una eco klimtiana si scorge anche nella Giulietta nell’atelier di Padova di
Mario Cavaglieri, in particolare nell’uso di patterns decorativi di derivazione
giapponese, innestati su una base di origine postimpressionista perfezionatasi
a contatto con la pittura dei Nabis intimisti a Parigi nel 1911. Come Casorati e
Zecchin, anche Cavaglieri è artista di collegamento tra il mondo di Ca’ Pesaro
e quello delle Secessioni: Vasi cinesi e tappeto indiano, caratterizzato da una
materia ricca e da cromatismi accesi, è esposto a Roma nel 1915, suscitando sia
apprezzamento, sia perplessità da parte della critica.
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Attraverso il Futurismo l’Italia partecipa con un ruolo di primo piano al clima
delle avanguardie, in uno scambio di idee e di influenze in particolare con
Francia e Russia. Il tramite italiano con Parigi e con le avanguardie internazionali
è costituito soprattutto da Ardengo Soffici, artista e critico d’arte per “La Voce”
e poi per “Lacerba”. Se dalla Francia si diffonde il Cubismo e l’esempio di autori
come Cézanne, Picasso e Delaunay, dall’Italia proviene il gruppo dei futuristi
che, capeggiato da Marinetti, inizierà da Parigi un tour europeo di esposizioni
in diverse capitali (1912-1913). Dalla Russia Archipenko e Aleksandra Ekster si
trasferiscono nella capitale francese, ma sono anche in stretto contatto con
gli italiani: Boccioni visita lo studio dello scultore ucraino nel 1912; Soffici
condivide lo studio con la Ekster dal 1911 al 1914; nel dicembre 1913 apre a
Roma la Galleria Sprovieri dove futuristi russi e italiani esporranno insieme.
Motivi quali la scomposizione della forma, il rapporto fra figura e spazio, la
velocità, il dinamismo, la simultaneità, sono sviluppati anche nello studio
dei loro effetti sulla psicologia dell’individuo, sugli stati d’animo. Dinamismo
universale che si riflette nell’accesa tavolozza di Severini, debitrice
dell’orfismo francese nello studio della luce, e alle ricerche di Boccioni nelle
relazioni tra la figura, lo spazio, il movimento (vedi anche Antigrazioso e
Cavallo+Cavaliere+Caseggiato in collezione permanente, sala 20). Si consuma
intanto la rottura con la Secessione romana da parte di Balla e dei Futuristi,
che, inizialmente coinvolti, esporranno poi per proprio conto al Teatro Costanzi
il 21 febbraio 1913.
Le sperimentazioni avviate nel frattempo da Balla sulla luce e sul colore
producono il cruciale risultato delle Compenetrazioni iridescenti, le cui forme
triangolari trapassano dal gusto decorativo secessionista a valore significante
futurista ponendosi sul crinale tra Secessione e Avanguardia.
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SALA 13
Il rifiuto della realtà, il “non senso” della vita e della storia, alimentato dalla
filosofia di Schopenauer e di Nietzsche, si manifestano già nel giovane de
Chirico con il dipinto Lotta di centauri (1909), dichiaratamente ispirato alla
pittura mitologica e suggestiva di Arnold Böcklin nella visione di una umanità
primordiale e semiferina. La tradizione rinascimentale del ritratto su uno
sfondo di paesaggio attraverso una finestra aperta, insieme a fonti figurative e
stilistiche tedesche, sono assimilate nel Ritratto della madre del 1911, nel quale
l’artista conferma il ritorno ad una figuratività classica, ad un’arte che rilegge il
museo decisamente contrapposta all’anti-passatismo distruttivo del Futurismo.
Sono queste le premesse per il successivo passaggio di de Chirico alla
Metafisica, come nel dipinto La torre rossa (1913) nel quale la misteriosa torre
emerge nello spazio disabitato della piazza, fra le ombre che si allungano oltre
le arcate vuote, prive di presenza umana, generando un senso di inquietudine,
silenzio, sospensione del tempo. Sono questi gli anni in cui anche Carlo Carrà e
Gino Severini voltano decisamente le spalle al Futurismo, considerando ormai
chiusa la stagione avanguardistica. La ballerina del San Martino di Carrà e la
Danseuse articulée di Severini, entrambe del 1915, nella loro natura di manichini
meccanici preannunciano, nel clima della guerra, una umanità prossima alla
disumanizzazione.
SALA 14
L’ideologia rivoluzionaria del movimento futurista, la sua spinta verso la visione
di una modernità operativa in grado di scardinare e attualizzare ogni aspetto
della vita quotidiana, viene definita dai suoi epigoni attraverso la specifica
formulazione di veri e propri manifesti programmatici.
Del 1914 è il Manifesto dell’architettura futurista a firma del comasco
Antonio Sant’Elia in cui vengono espressi i principi di una nuova idea di
architettura rappresentati nei progetti della Città Nuova. In questi studi la città
interpreta l’espressione di un dinamismo che applica i caratteri di velocità
e multifunzionalità già promulgati nel primo Manifesto futurista del 1909. La
verticalizzazione delle unità abitative, i ponti, le aerostazioni e le strade su
più livelli sono il compimento di tale avveniristica e frenetica idea di città
industriale e moderna. Allo stesso modo l’architetto Mario Chiattone rielabora
le esigenze di una società in trasformazione, realizzando progetti per il Palazzo
PERCORSO
MOSTRA
della moda o per il Padiglione per concerti, intese come le “cattedrali” della
nuova modernità.
Fortunato Depero e Giacomo Balla nel marzo 1915 pubblicano il Manifesto della
ricostruzione futurista dell’universo, in cui annunciano la ridefinizione radicale di
tutti gli aspetti della vita quotidiana; abiti, mobili, strumenti musicali e oggetti
d’uso comune sono reinterpretati in chiave creativa e ludica.
Tale attitudine, già presente a suo modo nelle varie esperienze moderniste,
è qui proposta come ripensamento totale del legame tra arte e vita. Gli
arredamenti e gli strumenti musicali di Balla, così come le sculture giocose
di Depero, riguardano una visione totale dell’arte che si estende con forza e
originalità anche agli elementi più ordinari della vita quotidiana.
14
SALA 15
Il clima di collaborazione e cosmopolitismo delle avanguardie non esclude,
in particolare nei Futuristi italiani, una vocazione nazionalista che si va
intensificando negli anni precedenti all’entrata dell’Italia nella Prima guerra
mondiale.
Il Futurismo si fa portabandiera dell’anelito a una riscossa nazionale. La
rappresentazione delle folle e delle piazze nel corso delle manifestazioni
interventiste e il sostegno alla “guerra sola igiene del mondo”, secondo lo
slogan marinettiano, sono l’esito estremo della convinzione di poter cambiare
il mondo attraverso un rinnovamento del linguaggio e delle forme espressive
in tutte le arti. La “ricostruzione futurista dell’universo” sembra attuabile solo
attraverso la effettiva distruzione del vecchio mondo passatista.
Nel “radioso maggio” del 1915 le dimostrazioni patriottiche a favore
dell’intervento in guerra si moltiplicano e hanno un’influenza decisiva nel
rompere il fronte neutrale. I Futuristi sono in prima linea nelle piazze a
coinvolgere gli incerti: la casa di Marinetti e lo studio di Balla sono punti di
riferimento nell’ambiente romano per la progettazione di manifesti, mostre,
serate e manifestazioni. Per divenire energici strumenti di propaganda
interventista le opere adottano un linguaggio insieme popolare e
modernissimo, che ha qualcosa del manifesto pubblicitario e della bandiera,
ricorrendo alla sistematica introduzione dell’elemento verbale in funzione
sinestetica ed esortativa, oltre che descrittiva.
Con la dichiarazione di guerra del 24 maggio numerosi artisti partiranno
volontari per il fronte, molti per non tornare.
SCHEDA
CATALOGO
SECESSIONE E AVANGUARDIA.
L’ARTE IN ITALIA
PRIMA DELLA
GRANDE GUERRA
1905-1915
15
a cura di
Stefania Frezzotti
editore
Electa
formato
21 X 28
pagine
320
illustrazioni
270
prezzo
45 €
Saggi
6 Cronologia. Storia, arte e cultura in Italia
dal 1905 al 1915 nel contesto europeo
Matteo Piccioni
18 1905-1915: il dibattito artistico in Italia
fra mostre e riviste
Maria Vittoria Marini Clarelli
26 La vita inesplosa
Andrea Cortellessa
40 Scuole arte utopia. Maria Montessori
e l’ambiente artistico romano di inizio
Novecento
Maria Paola Maino
46 “Una inquietudine singolarissima”:
giovani artisti
tra Ca’ Pesaro e Secessione romana
Nico Stringa
58 Gli italiani e la Secessione (1913-1916):
un crocevia per l’arte a Roma
Eugenia Querci
70 “L’alfabeto della pittura moderna”.
Gli artisti stranieri alla Secessione
Stefania Frezzotti
82 La scelta di Balla. Dalla Secessione al
Futurismo
Mariastella Margozzi
90 Giorgio de Chirico e la nascita della
metafisica.
L’“altra” avanguardia italiana, 1910-1911
Fabio Benzi
Catalogo
108 I. Prologo: inquietudini artistiche e sociali
120 II. Indipendenti e Secessionisti nelle mostre
europee
136 III. La protesta di Ca’ Pesaro
146 IV. Fra Venezia e Roma
160 V. La Secessione romana: mondanità e
intimismo
168 VI. La Secessione romana: il dialogo
internazionale
194 VII. Dentro l’avanguardia
238 VIII. Nazionalismo, interventismo
246 Bibliografia
COLOPHON
16
COLOPHON
17