Will Moogley Agenzia fantasmi UNA FAMIGLIA...DA

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Will Moogley Agenzia fantasmi UNA FAMIGLIA...DA
LIBRO
IN ASSAGGIO
WILL MOOGLEY
AGENZIA FANTASMI
UNA FAMIGLIA…DA
BRIVIDO! HOTEL A
CINQUE SPETTRI
DI PIERDOMENICO BACCALARIO
Will Moogley Agenzia fantasmi Una famiglia…da brivido! Hotel a
cinque spettri
DI PIERDOMENICO BACCALARIO
Agenzia fantasmi – UNA FAMIGLIA…DA BRIVIDO!
UNA NOTTATA TURBOLENTA
Willard Moogley si rigirò nel letto con un flebile lamento.
Era almeno la centesima volta che lo faceva nel corso di quella notte
tormentata. Le lenzuola erano ormai appallottolate sotto i piedi in una specie
di fagotto informe. Un esercito di nuvoloni grigi arrivato dall’oceano stava ora
versando pioggia a secchiate su tutta Manhattan e impetuosi rivoli d’acqua
scrosciavano sulle pareti della stanza del giovane Will. La tempesta infuriava
anche nello stomaco del ragazzo, che in quel preciso istante stava sognando
di essere inseguito da un vecchio contadino armato di forcone. Il vecchietto
aveva una folta barba bianca, vestiva una salopette di jeans tutta rattoppata e
si faceva sempre più vicino, sempre più vicino, finché Will, voltandosi indietro,
poté vedere il suo ghigno a meno di un passo. E il suo luccicante forcone...
Con un sobbalzo che lo fece quasi ruzzolare per terra, Wil si svegliò di colpo.
Respirando a pieni polmoni, si rese conto che era solo un sogno. E che quel
terribile vecchietto, in realtà, era soltanto Hank, il Nonno Friggi-tutto! Quello
che appariva su tutte le insegne della famigerata catena di friggitorie Hank’s.
Wil si passò una mano tra i capelli. Aveva la fronte imperlata di sudore.
— Accidenti a Tupper... — brontolò tra i denti.
In effetti, l’idea di approfittare della clamorosa offerta di una Frittura Definitiva
di Nonno Hank per soli sei dollari era stata del suo brufoloso e unico amico.
Anche se Wil, bisogna ammetterlo, non si era affatto tirato indietro. La Frittura
Definitiva era stata fantastica, niente da dire, e abbondante oltre ogni limite.
Ma ora Will ne pagava le conseguenze. Per sottolineare meglio la cosa, il suo
stomaco prese a borbottare come un generatore di corrente, in preda alla
micidiale frittura di Nonno Hank. Il ragazzo più pallido di New York allungò la
mano verso il comodino per raggiungere il bicchiere d’acqua.
Vuoto. Prosciugato. Non una goccia.
Sbuffando come un treno in corsa, si tirò giù dal letto e, inforcate le pantofole
a forma di teschio, si trascinò in cucina per prendere da bere. — Ahi! —
esclamò calpestando per errore il guscio lucido di Saetto, la tartaruga che non
trovava da giorni e che ormai pensava di aver perduto per sempre.
Attraversò il cupo corridoio d’ingresso, tra gli enormi armadi scuri alti fino al
soffitto e, nel passare accanto al salotto, credette di udire dei rumori provenire
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da Janua, la vecchia pendola che i fantasmi dell’Agenzia Fantasmi Willard
Moogley usavano come porta tra questo e l’altro mondo.
«Impossibile» pensò.
Prima di andare a dormire, infatti, aveva spostato le lancette di Janua sulle tre
e trentatré, che, come tutti i fantasmi sapevano, stava a significare che la
porta di casa Moogley era temporaneamente chiusa. E che il capo
dell’Agenzia Fantasmi non voleva in nessun caso essere disturbato.
Il ragazzo proseguì ciabattando fino al rubinetto della cucina e si riempì il
bicchiere di acqua fresca.
— I muffin fritti... Devono essere stati i muffin fritti quelli che mi hanno fregato
— considerò tra sé e sé, mentre si riavviava ciondolante verso la camera da
letto.
— Ecchissenefrega! — gracchiò il pappagallo Stazzitto, dal suo trespolo
d’argento nascosto nel buio.
In condizioni normali, Will avrebbe cercato qualcosa da scagliare contro lo
scorbutico pennuto, ma ora si sentiva decisamente troppo fiacco per qualsiasi
rappresaglia. La sua unica reazione fu quindi un semplice brontolio:
— Giuro che un giorno o l’altro mi preparo una zuppa di pappagallo...
Di colpo il ragazzo si fermò nel bel mezzo dell’ingresso e tacque. Adesso era
certo di aver sentito dei rumori provenire dalla pendola. Non poteva essersi
sbagliato di nuovo. Bastò attendere pochi secondi in silenzio e..
— Apriiitee!
Una debole voce lamentosa sibilò nell’oscurità del corridoio. Proveniva da
Janua, non c’erano dubbi. Will sospirò, deciso a tirare dritto verso il letto. Ma
a quel punto la pendola iniziò a vibrare, scossa da un forte colpo.
— Vi pregooo... apriiiteeee... — ripeté la spettrale vocina.
Will emise un grugnito e tornò sui suoi passi. Poi si posò una mano sullo
stomaco irritato ed esclamò: — Ora lo sistemo io questo scocciatore!
Armeggiando con le lancette di Janua, le posizionò sulla mezzanotte esatta,
aprendo così lo spiraglio dimensionale che permetteva ai fantasmi di entrare
in casa Moogley. Neanche il tempo di battere ciglio che dalla vecchia pendola
di ebano si materializzò la figura del fantasma rompi- scatole.
— Senti, amico... — attaccò Will in tono stizzito.
Ma le altre parole gli morirono in bocca, Il fantasma che gli era appena
apparso davanti aveva le sembianze di un timido ometto, in pigiama e
vestaglia, dall’espressione così gentile e bonaria che neppure Will se la sentì
di apostrofarlo con male parole. — Suppongo che abbia una buona ragione
per presentarsi qui a quest’ora della notte... — si limitò a dire.
Gli occhi dell’ometto, incorniciati da vecchi occhiali neri di celluloide,
cercarono timidamente lo sguardo del ragazzo.
— S-s-sì... signor Moogley, glielo garantisco — rispose con un filo di voce.
Poi, lanciando uno sguardo leggermente perplesso alle pantofole a forma di
teschio di Will, domandò: — Perché lei è il signor Moogley dell’Agenzia
Fantasmi Willard Moogley, vero?
— Certo, vecchio mio. Ha di fronte a lei Willard Moogley in persona, della
gloriosa dinastia dei Moogley! — rispose il ragazzo in tono sostenuto.
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— B-b-bene signor Moogley, il mio n-n-nome è Jerrold Plum — si presentò il
fantasma in tenuta da notte. — Mi scusi ancora per averla svegliata in questo
modo, ma vede, io s-s-sono alla disperazione e ho bisogno del suo aiuto —
aggiunse, sospirando.
— Posso immaginare — annuì Will comprensivo. — Ha bisogno di trovare
lavoro in fretta. Deve essere uno di quegli spettri che se non hanno qualche
cicciapesante da terrorizzare diventano matti.
— NOOO!!! — si affrettò a replicare l’ometto. —Al c-c-contrario signor
Moogley, io vorrei solo starmene tra-tra-tranquillo. E dormire.
Semplicemente.., dormire! Ma ci sono dei maledettissimi cicciapesanti che me
lo impediscono!
— Mmm... direi che lei abbia una storia interessante, Jerrold — commentò
Will, grattandosi il mento dopo un colossale sbadiglio. — Si cerchi una
poltrona e mi racconti tutto, per filo e per segno!
Agenzia fantasmi – HOTEL A CINQUE SPETTRI
UNA GIORNATA TREMENDA
New York.
La classica giornata tremenda.
Un cielo grigio e fosco faceva sembrare i grattacieli di Manhattan gigantesche
lapidi. Una pioggerellina fine, fitta e insistente si insinuava nel colletto del
giubbotto di pelle nera di Willard, facendolo rabbrividire. I suoi capelli neri a
frangetta gli stavano appiccicati sulla fronte come tentacoli di calamari. Le
automobili, ferme ai semafori, mandavano sbuffi di fumo bianco.
Will attraversò la strada, strascicando le scarpe da ginnastica con le stringhe
slacciate. Alto e allampanato, era chiaramente di cattivo umore: come sempre
gli accadeva in quelle circostanze, camminava curvo e ritorto, il collo in avanti
come un avvoltoio, lo sguardo torvo puntato sul marciapiede. Era così furioso
per come si stavano mettendo le cose che quasi travolse una vecchietta con
le sporte della spesa sotto il braccio davanti a Hooney, il supermercato sulla
sessantatreesima. Ed era così scoraggiato che non si accorse neppure dei
terrificanti manifesti che annunciavano il ritorno in città dei Gutterzombies, il
suo gruppo rock preferito. Passò davanti al negozio di dischi del suo amico
Leo senza nemmeno lanciare un’occhiata alla lurida vetrina stracolma di cd di
seconda mano e di vecchi dischi in vinile. Tirò dritto fino a casa, ovvero il più
vecchio e sbilenco grattacielo di tutto il quartiere, spalancò il portone con un
calcio e si cacciò dentro la cabina dell’ascensore, sgocciolando umidità dai
risvolti dei jeans.
La cabina aveva bisogno di una ripulita, così come buona parte del palazzo:
con una fatiscente moquette modello pelle di topo sul pavimento, aveva i
pannelli di legno ricoperti di scritte incise con i temperini da qualche
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teppistello e intrisi dell’insostenibile odore della camomilla infestante della
signorina Cole, l’inquilina del diciannovesimo piano.
Will registrò tutte queste informazioni senza il minimo interesse. Sbatté le
porte di legno tarlato dell’ascensore, pigiò il solito pulsante consumato e
attese lo scossone che accompagnava sempre la partenza. Ma si ritrovò a
fissare il corridoio desolato dell’ingresso. Premette una seconda volta il tasto
dell’ultimo piano.
— Fantastico — mugolò appoggiandosi alla parete di legno, sempre più
abbattuto. — Davvero fantastico.
L’ascensore era di nuovo rotto.
Era decisamente una giornata tremenda.
I vestiti gli si asciugarono al dodicesimo piano, e ricominciarono a bagnarsi,
ma di sudore, una volta superato il diciottesimo.
Arrivato al diciannovesimo piano, Will vide che la signorina Cole non aveva
ancora ritirato la bottiglia che il lattaio aveva lasciato sul pianerottolo. Questo
gli fece venire un’idea. Infastidito dalla faccenda dell’ascensore, il ragazzo
decise che quello era il giorno giusto per vendicarsi di anni di insopportabili
vapori alla camomilla. Tolse il tappo alla bottiglia e la appoggiò, inclinata,
all’ingresso. Suonò e si allontanò nel momento in cui la signorina Cole
spalancava la porta e veniva inondata da un fiume di latte rovesciato.
Will continuò a marciare fino al ventinovesimo piano, dove il grattacielo si
stringeva, sotto la punta con il grande parafulmine nero. Davanti alla porta di
casa sua.
Willard Moogley, diceva la targhetta d’ottone, drammaticamente storta, che ci
aveva inchiodato sopra.
Aggiornata il lunedì 23 giugno 2008
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