RECENSIONI
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RECENSIONI A lan B ullock , Hitler. Studio sulla ti rannide, Mondadori, Milano 1955, (tra duzione dall’ inglese di Cesare Salinaggi e Bice Vivenza), pp. 658. Questo poderoso lavoro sulla biografia di Hitler e sulla società politica in cui il nazionalsocialismo si sviluppò, giunse al potere e condusse la Germania alla cata strofe, non avrebbe potuto essere scritto se allo storico fosse mancata la più re cente documentazione, che non aveva so stenuto altri egregi lavori precedenti sul fenomeno nazista. Le fonti cui mi rife risco, rappresentate dai documenti testi moniali inediti del processo di Norim berga e dagli Atti editi di esso (22 parti, H .M .S.O . Londra, 1946-1950), dai dieci volumi di documenti sulla Nazi Conspi racy and Aggression (U. S. Govt. Prin ting Office, Washington, 1946-1948), dai Documents on British Foreign Policy 1919-1939 (H .M .S.O ., Londra, 1946-. . .), dai Documents on German Foreign Po licy, 1918-1945 del ministero degli Esteri tedesco (H .M .S.O ., Londra, 1948-. . .), oltre s ’intende ai discorsi, agli scritti di Hitler, alle memorie dei gerarchi nazisti, dei pochi oppositori e alla varia lettera tura, hanno consentito all’autore di com porre un quadro straordinariamente ricco di notizie, di informazioni sconosciute, in cui le vicende narrate non si fondano mai su di una sola versione ma escono confermate da un esame comparato di più fonti. Con questa ricchezza di materiali a di sposizione, scelti ed impiegati con sensi bilità critica, l ’A . non indulge mai alla più facile aneddotica, frequente negli studi biografici, ma sostiene il suo lungo di scorso con un esame nutrito di fatti e di pensiero, che si estende a tutta la politica tedesca fra le due guerre. Così egli esamina come nella repubblica di Weimar abbia potuto mettere radici la tirannide e come essa sia cresciuta fatal mente su se stessa, sino alla catastrofe. Anzitutto entra nel quadro la Germa nia con la particolare situazione del pri mo dopoguerra: una repubblica nata dai Consigli degli operai e dei soldati, il cui nerbo è rappresentato dalla socialdemo crazia, ma che è minata dall’opposizione dell’ estrema, che rifiuta il suo appoggio alla « borghesia » socialista al potere, e dalla destra tradizionale dei militari, dei burocrati, dei finanzieri della società guglielmina, ciecamente nazionalista. Pur di perdere la repubblica, la destra monar chica e restauratrice non solo sarà dispo sta a respingere l’alleanza degli altri par titi in difesa di essa, ma ad associarsi le squadre di Hitler e ad assumerne il capo in un governo di coalizione. Il progetto non le riuscirà, poiché Hitler le imporrà la resa senza condizioni. Ma ciò non to glie che l ’attributo « nazionalista » — os serva l’A . — che era stato l’orgoglio del più forte partito di destra, diventasse si nonimo di infedeltà alla nazione. Sul pae se che aveva sempre trovato, nell’amore alla disciplina, l’ acquetamento delle sue brame politiche e il simbolo dell’ armonia sociale, pesava ancora una volta la man canza di un forte partito liberale, garan te delle istituzioni parlamentari e repub blicane. Dall’altra parte dello schieramen to pesavano negativamente le incapacità della socialdemocrazia ad uscire dagli schemi di un sindacalismo conservatore per difendere lo stato dalla violenza na zista, ed ancor più la determinazione dei capi comunisti, nonostante la lotta con dotta nelle strade contro le S .A ., a battersi in primo luogo — secondo la li nea politica approvata da Mosca — con tro i socialdemocratici, loro rivali nel mo nopolio della classe operaia. Prima di salire al potere, nelle libere elezioni Hitler non ottenne mai più del 37% dei voti. Se il rimanente 63% dei tedeschi avesse fatto fronte comune con tro di lui, il suo tentativo di trionfare con mezzi legali sarebbe fallito. Egli avrebbe dovuto cambiare tattica e abban donare le vie legalitarie per quelle vio lente. Ora, per quanto le simpatie dei generali andassero ad ogni possibile sov vertitore della repubblica, l’esercito in Germania, forte della sua tradizione, rap presentava pur sempre una forza con cui l ’irregolare Hitler avrebbe dovuto in ogni caso fare i conti, e non è detto che la partita fosse per riuscirgli. L ’incapacità dei lavoratori tedeschi, che pur costituivano i 3/4 della popolazione, a tenersi uniti nei loro ideali politici e nelle loro forze tattiche, è già stata in dicata da A . Rosemberg, nella sua Storia 84 Recensioni della Repubblica Tedesca del 1934 (l’altra opera fondamentale sul periodo, di cui ■ abbiamo la traduzione italiana), come la causa principale del fallimento di quest’ultima, insieme con l’ insipienza bor ghese che della tirannia aveva tiepida mente tollerato l’ avvento. Senonchè nel Rosemberg faceva velo al giudizio certo ossequio marxistico ai meriti esclusivi delle masse operaie, che già però nel 19 14 avevano dimenticato il loro impegno di solidarietà internazionale per cedere pur esse aj mito della grande Germania, come più tardi fatalmente si acqueteran no, dopo tanto sangue versato, alla rea zione trionfante. Dove infatti andranno mai a finire, sotto l’esecrato regime, quei cinque milioni di voti comunisti del 1932? La resistenza o meglio l’opposizione che fu poi opposta a Hitler durante la se conda guerra mondiale fu tutta militare o ben limitatamente intellettuale. Anche senza togliere alcun merito al Rosemberg, il Bullock non cade in tali schemi prestabiliti e metodologicamente si presenta più adatto a valutare quanto vi possa essere di sostanzialmente determi nante per la storia nelle componenti bio grafiche di un uomo delle proporzioni di Hitler. Premesso che le condizioni della Ger mania postbellica erano favorevoli all’av ventura nazista, premessa la situazione eccezionale in cui trovavasi lo stato ba varese nelle mani di un governo regio nale conservatore, avverso ai poteri repubblicano centrali (e pertanto ricettaco lo dei controrivoluzionari insoddisfatti di tutto il Reich e culla delle formazioni pa ramilitari, o corpi franchi, che i generali della Reichwehr vedevano crescere con soddisfazione ad elusione dei ferrei li miti posti dal trattato di pace al recluta mento regolare), l’ A . riconosce ad Hitler un temperamento eccezionale di politico, portato è vero dalle vicende sulla cresta dell’onda, ma il cui ruolo di protagonista è determinante nella tragica avventura corsa dall’Europa. Austriaco di nascita, da una Vienna borghese che l’ aveva respinto emigrato a Monaco di Baviera, pittore senz’arte, si arruola in un reparto bavarese, si com porta coraggiosamente in guerra e, sui 30 anni, nell’aprile 1920, esordisce im provvisamente alla politica quale membro del Comitato direttivo del partito dei la voratori tedeschi, che prenderà poco do po il nome di partito nazionalsocialista tedesco, in parallelo con il corrispondente partito austriaco, che tanti servizi renderà poi al Führer della grande Germania. Due furono le qualità o i caratteri fon damentali di Hitler in questo suo primo periodo di vita pubblica, sino alla con quista del potere, intorno ai quali il Bul lock tesse la sua storia. Per un aspetto, un uomo dall’animo violento e tragico quale il suo seppe misurare i suoi atteg giamenti e dosare le parole, ora irruenti come valanghe nell’anatema contro i ca pi tolardi di Versailles e la peste ebraica, ora pieni di lusinga per i più facili e co muni sentimenti del popolo tedesco: il suo primato e l’ irrazionale orgoglio di razza : « Sapeva suonare come un virtuo so su quel piano delle corde sensibili che è il cuore della piccola borghesia », dirà di lui il ministro Schacht. I principii esposti nel Mein Kam pf non risuonano quale vuoto esibizionismo, ma divengono nelle mani dell’A . uno stru mento di interpretazione della condotta totale di Hitler, che la sua biografia ri conferma. Alcune espressioni paradossali illuminano una parte del suo successo, quale sottile propagatore di m iti: « Poi ché le masse hanno scarsa familiarità con le idee astratte, le loro nozioni sono di ordine prevalentemente sentimentale... è sempre più difficile combattere contro la fede che contro la ragione », oppure: « il popolo è più accessibile alla grossa men zogna che alla piccola... al popolo non verrebbe mai in mente di fabbricare men zogne colossali, nè crederebbe che altri possano aver l ’impudenza di deformare la verità in modo infame ». Le massime del Mein Kam pf, mai sostanzialmente tradite, sono come lo schema morale in cui andò di volta in volta a collocarsi la sua azione: esse possono ben ritmare il procedimento biografico, per cui sono di continuo richiamate dall’A . Un consumato maestro di propaganda si potrebbe dunque definire l ’Hitler, se riuscì a soddisfare la sua volontà di po tenza sfruttando l’odio, che egli contribuì a ingigantire, contro i « traditori » che si erano seduti al tavolo della pace: repub blica, marxismo ed ebraismo, erano spet tri di ottimo rendimento, facilmente evo cagli alla coscienza tedesca per chi sape va, come Hitler, possederne le chiavi. Anche la demagogia sociale di Hitler fu sempre abilmente guidata dalle sue antenne di consumato propagandista : sconfessò a suo tempo il socialismo di Otto e poi di Gregor Strasser, in misura diversa i soli idealisti del movimento: Recensioni proclamò che solo chi intendeva « non esservi nulla al mondo superiore alla Ger mania, popolo e terra, terra e popolo » poteva dirsi « socialista », e offrì per con tro ai suoi piccoli borghesi, « quel tipo di estremismo che si confaceva loro: ra dicale, antisemita, contrario ai trusts e al grande capitale, ma allo stesso tempo (a differenza dei comunisti e dei socialde mocratici) socialmente rispettoso dell’or dine borghese ». Tale radicalismo, egli poi alimentò del « rancore » che in lui aveva una carica inesauribile e che era il sentimento dominante nella Germania del 1930: sentimento che sovra ogni al tro chiedeva di essere soddisfatto e che Hitler concorse a soddisfare, indicando via via ai tedeschi i più sapienti obiettivi verso cui dirigerlo. Nonostante che l’Alto Comando tede sco fosse assai più disposto a reprimere con la forza i moti rivoluzionari delle sinistre e ad indulgere o addirittura pro teggere quelli delle destre, come ebbe a insegnare il Putsch di Kapp del 1920, e nonostante che la Baviera si prestasse meglio di ogni altro Stato tedesco a ten tativi del genere, dopo il fallito Putsch di Monaco del 1923, — in cui egli ebbe a fianco il vecchio Ludendorf e in cui cedette alla irrequietezza delle sue mili zie — Hitler preferì sino alla fine lot tare in una pseudo-legalità. Anche nei momenti più tragici, egli seppe trattenere dai passi decisivi la furia scatenata delle sue S. A ., e attendere il successo dal suffragio popolare. Fu questa « legalità » il secondo carat tere fondamentale del successo nazista, per cui « l’ aristocrazia delle fogne, avida di potere e di ricchezza » potè in soli due anni passare dal 1 3, 3% dei voti al le elezioni per il Reichstag, del settem bre 1930, al 37,3% del luglio 1932. Ed anche in seguito, fondamentalmente con l'intrigo e non con la violenza se pur sotto la minaccia delle sue ingenti forze paramilitari, l’abile condotta di Hitler riuscì con opportune alleanze con la de stra nazionale dei finanzieri e degli in dustriali a neutralizzare gli ultimi due Cancellierati di Papen e di Schleicher, ri fiutando di entrare in negoziati per divi dere il potere con costoro, di cui si era pur valso successivamente nell’opposizio ne, sino a che l ’ex piccolo caporale ba varese fu chiamato dal presidente Hindemburg e investito del Cancellierato. Altro elemento concorrente al successo nazista ci pare essere stato lo studio dei 85 futuri compiti di governo, cui attese fin dal 1928 l’organizzazione del partito, che allora si era divisa in due grandi settori : quello condotto da Gregor Strasser, in teso ad attaccare il regime esistente e quello, presieduto da Constantin Hierl, volto alla preparazione dei quadri del futuro stato nazista e diviso in varie branche di attività, dall’agricoltura al l’economia, alla cultura, alle questioni le gali, tecniche e del lavoro. Tale capacità di attesa, per così dire riflessiva, di que sta rovinosa macchina nazista, va posta a confronto con l’ insufficiente prepara zione dei socialdemocratici che mai erano usciti, negli anni di inconsapevole aspet tativa, dal dibattito delle questioni sin dacali e di tecnica elettorale. Ci siamo limitati ad esaminare nella biografia gli anni di preparazione, ma tutto lo studio successivo è degno di molta attenzione: dalla demolizione del l ’organizzazione sindacale e dalla soppres sione di ogni superstite manifestazione di libera vita politica alla repressione dei complici di ieri (fra tutte la drammatica uccisione di Rohm, il comandante del la S. A ., e del suo corrotto stato mag giore) ai campi di sterminio per l’oppo sizione, all'abile gioco della politica este ra, che fu un vero gioco a spese dei mi nisteri occidentali, alla preparazione del la guerra, minutamente esaminata dall’A . nelle lotte interne con i generali, assai più prudenti e timorosi del Führer, agli intrighi diplomatici accoppiati ai ge sti di forza che portarono alle grandi vio lazioni internazionali dell’Austria, della Cecoslovacchia, della Polonia, ma anche agli irreparabili errori, fra tutti l’attacco alla Russia del 1941. A questo punto, con la compiuta asso lutezza del dominio, s ’accompagna in Hitler la più folle delle solitudini inte riori sino alla morte disumana che, così procrastinata, coronò alla fine la più cri minosa e gigantesca volontà di distruzio ne per il popolo tedesco, dopo che lo era stata per tutto l’ universo non di razza germanica. Giorgio V accarino Poliakov-Sabille, G li Ebrei sotto l’occu pazione italiana, trad, di Piero Malvez zi, ed. Comunità, Milano, 1956, pp. 187, L . 1000. 11 presente volume è diviso in tre par ti, la prima del Poliakov, « Gli Ebrei sot to l’occupazione italiana », le altre due 86 Recensioni del Sabille: « L ’atteggiamento degli Italiani in Croazia verso gli Ebrei persegui tati » e « L ’atteggiamento italiano verso gli Ebrei nella Grecia occupata ». Il libro, preceduto da una introduzione di Isaac Schneersohn, Presidente del Cen tro di Documentazione Ebraica Contem poranea, è stato compilato in base a do cumenti autentici, ritrovati « negli archi vi degli uffici amministrativi tedeschi, ita liani e francesi, dove furono in gran par te abbandonati nella fuga precipitosa che non concesse il tempo di distruggerli. Essi rivelano con quanta decisione e con quanta insistenza i Tedeschi e il governo di Vichy tentarono di costringere gli Ita liani a mettere scrupolosamente in atto quelle misure che Hitler aveva adottato contro gli Ebrei ». 11 libro, attraverso la pubblicazione di tale materia documentaria, ha per fine di dimostrare che gli Italiani, in tutta la zona Sud-Orientale della Francia occupa ta, invece di perseguitare gli Ebrei, im piegavano sistemi destinati a frustrare l’attuazione delle disposizioni tedesche e francesi. Quando la Germania chiedeva all’ Italia di agire secondo lo spirito delle disposizioni tedesche, l’Italia si rifiutava e resisteva. Alla constatazione di questo at teggiamento da parte degli Italiani, frut to del sentimento avverso del popolo, l’ autore contrappone invece il fatto che i Tedeschi nella loro stragrande maggio ranza erano consenzienti ai crimini che il nazismo compiva contro gli Ebrei. Non solo sapevano, ma vi collaboravano, nono stante qualcuno oggi tenti di dimostrare che la massa in Germania ignorava i de litti perpetrati contro l’ umanità dai suoi stessi connazionali. Dalla lettura di questa opera documen taria prende rilievo la profonda diver genza che separa lo spirito mediterraneo da quello teutonico. Infatti nella prefa zione che segue all’introduzione, Justin Godart cita un rapporto tedesco in cui si denuncia che le autorità italiane d ’oc cupazione in Francia si propongono di trattare la questione ebraica alla « ma niera latina ». Chi esce piuttosto male da questa rac colta di documenti della Gestapo, è la Francia di Vichy. Il 28 gennaio 1941 il dottor Knochen, SS Standartenfuehrer, inizia un rapporto affermando che, essen do impossibile coltivare nel popolo fran cese sentimenti antisemiti basati su prin cipi ideologici, si potrebbero attrarre i Francesi col denaro ad appoggiare l’anti semitismo: « l’ internamento di circa 100.000 Ebrei stranieri che vivono a Pa rigi permetterebbe a molti Francesi del le classi inferiori di salire nei ranghi del medio ceto » (pag. 15). Si trattava di guadagnare il tempo per duto con gli Italiani, che avevano fatto ostruzionismo alla campagna antiebraica nella zona della Francia da loro occupata; quando gli Italiani, dopo il settembre 1943, se ne andarono di là, allora i T e deschi si scatenarono a rastrellare Ebrei nel territorio ex-italiano. Il 4 settembre 1943 l’Obersturmfuehrer Roethke in un documento che ha per oggetto: « Prepa rativi per l ’applicazione di misure anti ebraiche nella zona di occupazione italia na » così propone: « Poiché gli italiani nella loro zona d’influenza hanno proibi to la stampigliatura delle carte di iden tità e delle tessere di razionamento, è più difficile individuare gli elementi sospetti appartenenti alla razza ebraica, di quanto lo sia nella prima zona di occupazione, dove noi abbiamo il controllo dei registri degli Ebrei. Di conseguenza è necessario incaricare i Francesi antisemiti perchè scoprano e denuncino gli Ebrei travestiti o nascosti. Il denaro non dovrebbe avere alcuna influenza (proporre di pagare 100 franchi per ogni Ebreo) » (pag. 12 1). Le stesse considerazioni intorno alla tolleranza degli Italiani verso gli Ebrei, leggiamo nei due scritti del Sabille che riguardano le situazioni di Croazia e di Grecia. Comunque, sia nell’un caso che nell’altro il crollo dell’Italia 1*8 settem bre ebbe come conseguenza un maggior infierire dei Tedeschi sulle masse ebree che si trovarono senza più alcuna possi bilità di, benché esigua, protezione. Una sufficiente bibliografìa, intercalata nel testo, accompagna l ’importante docu mentazione. B ianca C eva A ldo D e Jaco, L a città in s o rg e , Roma, Editori Riuniti, 1956, L . 600. Quarantotto ore dopo la dichiarazione di guerra del io giugno 1940, accolta dai napoletani con un senso di « attonita preoccupazione » alla quale facevano con trasto le grida più o meno spontanee di esultanza dei pochi fascisti locali, le si rene di allarme mettevano per la prima volta la città a contatto con la nuova realtà. Doveva essere questo l’inizio di un lungo periodo di immensi e sanguino Recensioni si sacrifici, contrassegnato da 105 bombar damenti, 22.000 morti e 100.000 vani di strutti. Mentre l’ostilità alla guerra fasci sta aumentava tra la popolazione in pro porzione diretta ai lutti e alle distruzioni, si iniziava la riorganizzazione delle forze antifasciste, alla quale gli avvenimenti del 25 luglio 1943 portavano un potente in cremento. Manifestazioni per la pace ve nivano effettuate, nonostante l’opposizio ne delle autorità badogliane, da operai e studenti, rispettivamente nel capoluogo e a Castellammare di Stabia. 8 settembre 1943: canti e grida di gioia percorrono improvvisamente le vie della martoriata città. La notizia dell’avvenuto armistizio, diffusasi in un baleno, veniva accolta dai cittadini come la fine di un incubo (« Parve che ognuno avesse di menticato, nella speranza alfine di un do mani più tranquillo, i mille motivi di pianto dell’oggi, i lutti d ’ogni famiglia », pag. 33). Restava, è vero, l’interrogativo circa l’atteggiamento dei Tedeschi. Ma la situazione di questi ultimi, che del resto non ignoravano certamente lo stato d ’a nimo della popolazione, non era certa mente delle migliori. La presenza di forti reparti italiani e l’ imminente avanzata degli Anglo-Americani, sbarcati a Saler no, rendeva la loro posizione pressocchè insostenibile. L ’ insipienza e l’irresponsa bilità delle autorità civili e militari doveva essere loro di insperato aiuto. La domenica 12 settembre, i Tedeschi, favoriti da questa situazione, dopo avere sopraffatto i soldati italiani, si impadro niscono completamente della città. Non mancano gli episodi di valorosa anche se sfortunata resistenza, che vengono repres si con inaudita ferocia (ricorderemo tra questi quello del presidio e del deposito del 48° artiglieria di Nola, conclusosi con l’ eccidio di dieci ufficiali italiani, pp. 4952). I plotoni di esecuzione nazisti entra no immediatamente in azione per domare i renitenti al « nuovo ordine ». La caccia all’uomo si inizia in tutti i quartieri, l’U niversità viene incendiata, i negozi svali giati e una zona della città « compresa nell’ambito di 300 metri dal litorale di tutta la provincia » sgombrata forzatamente. E questo mentre il giornale fasci sta « Roma » annuncia con compiacenza che la situazione della città va notevol mente migliorando, avendo « ai primi in consulti gesti di una plebaglia amorfa ed incosciente » fatto seguito « un immediato ritorno di ordine e di disciplina che sono imposti dalla solennità dell’ora ». Ai T e 87 deschi si affiancarono i pochi fascisti, fat ti segno al disprezzo generale. Infine il comandante nazista Scholl, credendo di avere col terrore completamente fiaccato lo spirito di resistenza dei Napoletani, si appresta a mettere in esecuzione quello che costituisce il suo piano prestabilito: la razzia della popolazione valida. Viene così promulgato « il decreto per il servi zio del lavoro nazionale » per il quale so no precettati i giovani appartenenti alle classi dal 1925 al 1929. Ma nonostante le minaccie l’ordine viene quasi completa mente ignorato. Uno sgrammaticato ma nifesto del comandante Scholl annuncia va in data 26 settembre, che « complessi vamente circa 150 persone» avevano «cor risposto » alla chiamata in quattro sezio ni della città, sui 30.000 che avrebbero dovuto presentarsi. 11 manifesto annuncia va l’ istituzione di ronde militari per la ricerca degli inadempienti e così conclu deva : « Coloro che non presentandosi so no contravvenuti agli ordini pubblicati, saranno dalle ronde senza indugio fucila ti » (p. 120). A partire da questo momen to la città veniva sottoposta dai nazisti ad uno spietato rastrellamento, quartiere per quartiere, strada per strada. Ma lo scoppio dell’ insurrezione popolare, impe dì, all’alba del 28 settembre, ai Tedeschi di sviluppare i loro disegni criminali. « In quale zona della città, in quale quartiere del centro e della periferia — si chiede il De Jaco — è incominciata la lotta arm ata?... Per altro già dappertutto dalle prime luci dell’alba gruppi di gio vani avevano incominciato a girare per i loro quartieri, armati di un fucile o di una pistola... Così si spararono i primi colpi. I giovani apparivano all’angolo e — senza cercar riparo che solo dopo, sulla esperienza dei primi caduti, avreb bero imparato l’arte di difendersi — im bracciavano il fucile e sparavano » (pp. 148-150). Si inizia còsi il racconto delle quattro giornate dell’insurrezione vera e propria, narrate dal De Jaco nella parte centrale del libro, che videro il potente esercito tedesco sgominato da una popo lazione armata con mezzi di fortuna, pro venienti per la maggior parte dalle ca serme abbandonate. Dal Vomero a Mergellina, da Chaia al Rettifilo, da Acerra a Ponticelli, la città si trasformò in un im menso vulcano. Vogliamo tra i tanti epi sodi di eroismo, nei quali si sminuzzò la lotta, ricordare gli episodi dei giovani di ciassettenni Filippo Illuminato e Pasquale Formisano, morti mentre armati di bom be a mano si lanciavano contro i mezzi 88 Recensioni corazzati (p. 184), quello dello scugnizzo Gennaro Capuozzo di 11 anni, ucciso da una cannonata mentre sparava dal ter razzo del convento delle Filippine (p. 196) e quello dell’ altro scugnizzo Antonio Ga rofalo di 12 anni, ucciso mentre correva dall’uno all’altro dei combattenti per ri fornirli di munizioni (p. 196), alla memo ria dei quali verrà assegnata la medaglia d ’oro. La sera del 30 settembre, il colonnello Scholl era costretto a lasciare con le sue truppe la città che egli si era proposto di trasformare in « fuoco e cenere ». La la sciava come un vinto dopo avere barat tato la propria salvezza con quella di 47 ostaggi detenuti dai Tedeschi nel Campo sportivo del Vomero. 11 giorno dopo la città salutava l’arrivo delle truppe AngloAmericane liberatrici, accolte in nome dei patrioti dal Comitato di Liberazione N a zionale. In quell’occasione, l’allora ministro Leopoldo Piccardi rivolgeva ai patrioti un saluto, nel quale l ’autore (pp. 314-315), crede di ravvisare un fine non chiaro, specialmente per l’invito a « riprendere disciplinatamente le proprie occupazioni ». E questo mi sembra l’ unico punto del li bro nel quale il De Jaco venga meno alla sua sempre mantenuta obbiettività, pur nella spiegabile esaltazione del contributo del resto rilevante dato alla lotta dal Par tito Comunista, al quale l’autore appar tiene. La motivazione della medaglia d ’oro al valore militare assegnata alla città conclude questo studio, che tra quelli usciti finora sull’argomento è senz’altro il più completo, particolarmente per la de scrizione della prospettiva generale, della situazione sociale e dell’ambiente nel qua le l’insurrezione si affermò e uscì vitto riosa. F ranco P edone C laude G. B owers, Missione in Spagna, Feltrinelli, Milano, 1957, pp. 542, Li re 2.500. Un giorno dell’estate 1936 sei camions carichi di munizioni furono fermati dai gendarmi francesi al confine franco-spa gnolo di Hendaye. Erano stati inviati d ’ urgenza dal governo catalano a soccor so dei difensori di Irun assaliti dalle trup pe ribelli di Mola, ma dopo una corsa disperata lungo le strade della Francia meridionale, non poterono rientrare nel territorio della Repubblica in conseguenza di un fatto nuovo nella politica interna zionale: il patto di non intervento sti pulato allora dalle principali potenze. Po chi giorni dopo i difensori di Irun, segui ti da parte della popolazione, dovettero riparare sul suolo francese e la bandiera nazionalista sventolò al confine pirenaico. Contemporaneamente dal Marocco afflui vano in Spagna, protette dagli aerei di Mussolini e dalle navi di Hitler, le trup pe del generale Franco. In questo episodio narrato dal Bowers, il primo di una lunga serie, si riassume l’intero aspetto internazionale del conflit to spagnolo : guerra italo-germanica alla democrazia spagnola, con la neutralità complice delle grandi democrazie mon diali. L ’aver visto chiaramente sin dal 1936 queste verità, oggi evidenti, e soprattut to l’averle ripetutamente (ma ahimè inu tilmente) riferite al proprio governo costi tuisce il principale merito politico del Bo wers che fu Ambasciatore degli Stati Uni ti presso la Repubblica spagnola dal 1933 al 1939. L ’opera del Bowers può dividersi in due parti: la prima narra le tempestose vicende della Repubblica dal 1933 al 1936; la seconda la guerra civile vera e propria. La descrizione del primo periodo, visto da un osservatorio eccezionale quale po teva essere l’ ambasciata americana a M a drid, è fatta con grande vivacità di tinte e ricchezza di particolari. Le principali fi gure politiche dell’epoca, Alcalà Zamora, Azana, Lerroux, Gil Robles, Prieto etc. sono giudicate con ponderata obiettività. L ’ intricata situazione che portò al preva lere alterno delle destre cattoliche e della sinistra democratica e quindi alla ribellio ne dell’esercito, dietro il quale stava tutto lo schieramento politico reazionario, è de scritta minutamente; forse con l’ unica li mitazione derivante di per sè stessa dal fatto che l’ ambasciatore aveva praticamente solo contatti ad alto livello. Ben ché invero l'onesto Bowers abbia molto spesso viaggiato nel paese per rendersi conto delle sue condizioni generali, è chiaro che il suo quadro lascia nell’ombra vari aspetti di molti episodi importantis simi, quali ad esempio la ribellione asturiana del 1934. Invero il Bowers sembra essenzialmente preoccupato di sfatare la leggenda inte ressata, alimentata dai circoli reazionari spagnoli e puntualmente raccolta da tut Recensioni te le destre europee, di un paese in pre da al terrore « rosso ». Reazione assai giusta ma che, nello sforzo della dimo strazione, tende qualche volta a dare una immagine troppo idillica della situazione. Comunque, se si considera che il Bo wers non intendeva fare opera di storico ma solo narrare le sue esperienze, del resto eccezionali, occorre riconoscere che il suo giudizio è spesso assai accurato ed esatto e l ’immagine sempre viva e ori ginale. Valga come esempio l’ individuazione delle forze sostenitrici del movimento scoppiato nel luglio 1936 fatta dal Bowers in un suo rapporto inviato a Cordell Hull. Da un lato stavano i monarchici, i proprietari terrieri, gli industriali e i fi nanzieri, gli alti ecclesiastici, i militari e i fascisti; dall’altro, un governo in cui « non v ’era neppure un socialista, fosse pur moderato dal tipo Besteire », non v ’ era nessuno che non potesse venir defi nito « democratico o repubblicano nel senso americano o francese del termine ». Eppure questa semplice verità non fu vo luta capire dagli uomini responsabili del le grandi democrazie che di fatto unifor marono la loro azione politica alla tesi fa scista che giustificava il proprio inter vento agli occhi delle destre e dei mode rati di tutto il mondo asserendolo diretto contro il tentativo di instaurare un go verno comunista in Europa occidentale. La seconda parte del libro, cioè la de scrizione della fase bellica del dramma spagnolo, è tutta dominata, come abbia mo detto, dalla dimostrazione del caratte re premeditato dell’intervento italo-tedesco e degli errori di valutazione delle de mocrazie. Il giudizio di Bowers, sorretto dai numerosi impressionanti episodi nar rati, può essere senz’ altro condiviso, tran ne che per alcuni fatti non sufficientemente documentati o interpretati in mo do discutibile. Per noi italiani è particolarmente inte ressante l’affermazione ripetuta dal Bo wers secondo la quale esistevano sin dal 1936 accordi tra Mussolini ed elementi 89 monarchici spagnoli per un aiuto fascista in caso di rivolta delle destre. Ecco una pagina di storia contemporanea a tutt'oggi assai oscura. Naturalmente la seconda parte del li bro differisce profondamente dalla prece dente, anche in relazione all’avvenuto cambiamento di osservatorio: non è più l’ ambasciata di Madrid, ma è la cittadi na di St. Jean de Lutz, dove erano state concentrate le rappresentanze diplomati che, quando non è addirittura il caccia torpediniere americano Cayuga, dove Bo wers stabilì per qualche tempo quello che chiama « l’ ambasciata galleggiante ». Ormai non tutte le fonti d’ informazio ni sono di prima grandezza e la lonta nanza dal centro e le versioni interessate possono avere deformato alcuni episodi, anche se la buona fede di Bowers sem bra indubitabile. Così, tanto per citare un esempio, assai lacunoso sembra il giu dizio dell’ autore sugli anarchici catalani e sui fatti del maggio 1937 che portarono alla loro eliminazione da parte di organiz zazioni comuniste. Bowers sembra aderire superficialmente al giudizio di marca co munista che volle vedere in quegli uomi ni degli ingenui confusionari o degli au tentici traditori. Per una ben più appro fondita analisi della tragedia dell’anarchi smo catalano, rimandiamo piuttosto il lettore alle vivide pagine di George Orwell nel suo « Omaggio alla Catalogna ». Resta però che con tutti i suoi difetti e le sue limitazioni, l’opera di Bowers è an cora forse la più viva e interessante tra le pochissime pubblicate in lingua italiana sulla guerra spagnola. 1 non piccoli meriti, di una ricca docu mentazione, dei vivaci ricordi personali, di un giudizio sereno ed obiettivo e del profondo amore per il paese compensa no largamente i difetti. Si tratta di un’o pera che non può, in ogni caso, venir di menticata da chi volesse arricchire la scarsissima storiografia nazionale sull’epi sodio spagnolo. Lucio C eva