Introduzione all`Approccio Centrato sulla Persona

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Introduzione all`Approccio Centrato sulla Persona
ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 1992
Introduzione all'Approccio
Centrato sulla Persona
Vincenzo Graziani
Premessa
Cosa è importante mettere nel primo numero di una nuova rivista? Ho cercato
delle risposte e mi è venuta l'idea di presentare l'approccio rogersiano
riprendendo alcuni scritti editi e inediti di Rogers. Li ho integrati con i miei
vissuti personali e professionali e con le esperienze di formazione e lavoro
condivise con molti colleghi. Ho tenuto presente l'obiettivo di fornire fin
dalla prima uscita della rivista un'idea organica, chiara e stimolante della
teoria e delle applicazioni pratiche dell'Approccio Centrato sulla Persona
(A.C.P.).
Ne è venuta fuori una composizione a quattro mani in cui io mi sono
mantenuto quasi sempre sulla parte bassa della tastiera nel ruolo di
accompagnatore.
L'intenzione è stata quella di continuare il mio dialogo ulteriore con Rogers
e la ricerca del paradigma umanistico-esistenziale su cui coniugare le mie
esperienze personali e professionali. Spero che questa "corrispondenza
d'amorosi sensi" riesca a mantenere viva e creativa in me la presenza di Carl.
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L'Ipotesi centrale
L'ipotesi centrale dell'A.C.P. è che «l'individuo ha in sé ampie risorse per
l'autocomprensione, per modificare il concetto che ha di sé e i suoi
atteggiamenti, e per autodeterminarsi nelle sue azioni (Tendenza
attualizzante, formativa, organismica)» (Rogers); Rogers parte dal
riconoscimento di questa tendenza attualizzante (actualizing tendency),
presente in ogni organismo vivente, e dalla fiducia nel positivo processo di
sviluppo del potenziale implicito in ogni persona. Questo processo tende
verso forme di ordine, complessità e sinergia sempre più elevate e può essere
osservato nel sistema stellare, minerale, biologico, così come negli esseri
umani.
Ne segue il corollario che le percezioni e i sentimenti del soggetto, il concetto
di sé, l'autostima, l'esperienza, e il criterio personale di valutazione sono
fondamentali per la comprensione e la comunicazione umana. «Le potenzialità
della persona possono essere attuate solo se mediante adeguati atteggiamenti
si fornisce alla persona un clima facili tante» (Rogers 1980).
Rogers ha ampiamente e ripetutamente descritto questi atteggiamenti. Ha
parlato di tre condizioni necessarie è sufficienti: «La prima ha a che fare con
la genuinità, l'autenticità e la congruenza...la seconda è l'accettazione, il
rispetto, la stima (Inconditional positive regard)...la terza è la comprensione
empatica» (Rogers 1980).
Negli ultimi anni della sua vita Rogers ha ampliato questo quadro con una
quarta condizione: l'essere in contatto con il Sé trascendentale, intuitivo,
creativo. Qualcosa che ha che fare con l'intuizione dell'artista o del mistico.
1. Genuinità, autenticità e congruenza
«Posso essere in modo da essere percepito come persona degna di fiducia,
sicura e congruente in senso profondo? L'esperienza mi ha insegnato che il
comportarmi sempre in modo accettante, anche se in realtà provavo noia,
scetticismo o altre forme di rifiuto, a lungo andare finiva per essere percepito
come incongruente e poco degno di fiducia»
«Posso essere abbastanza genuino e autentico da comunicare senza ambiguità
la persona che sono... se io sono veramente consapevole dei miei sentimenti e
li accetto allora posso aiutare me stesso e gli altri» (Rogers 1958).
Rogers ha dato il primo posto a questa condizione solo negli ultimi scritti, la
sua consapevolezza di questa priorità si è maturata lentamente ma
definitivamente. Le sue considerazioni sono partite dall'esperienza
terapeutica, ma poi sono risultate molto utili anche in altri contesti come la
famiglia, la scuola, la comunità.
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La congruenza rogersiana ricorda l'ottavo e ultimo stadio dello sviluppo
dell'uomo dello psicanalista e antropologo Erik Erikson: lo stadio dell'integrità
(Erikson 1972).
Ciascuno ha tratti di personalità belli e brutti. Rendersi conto di non essere
perfetti, di essere persone normali con pregi e difetti, è il primo passo per star
bene con se stessi. Una buona autostima ci permette di dare il giusto peso ai
nostri aspetti positivi e negativi, mantenendo un'immagine di sé
moderatamente ottimistica. L'orgoglio che suscita in noi la consapevolezza delle
nostre migliori qualità e della nostra unicità si tempera nella consapevolezza
del rovescio della medaglia: i nostri limiti e il bisogno del supporto degli altri.
Gli amici e le persone con cui collaboriamo possono aiutarci ad avere una
corretta percezione di noi stessi con dei feedback onesti. La meditazione è un
buon supporto tecnico per raggiungere una coscienza trasparente e la
consapevolezza di sé.
Congruenza e complessità dell'esistenza
La difficoltà di relazionarsi in modo corretto al mondo delle persone e delle
cose può essere utilmente letta lungo un continuum che va da un estremo del
senso di onnipotenza all'altro del senso di impotenza.
Il senso di onnipotenza si annida in chi, stando fuori del gioco della vita e non
compromettendosi mai, non si confronta con gli altri e così non misura il
proprio valore, non definisce la propria identità e non esprime la propria
individualità. Il prezzo che si paga per questa onnipotenza conquistata con la
chiusura agli altri e il rifugio nell'immaginario è la mancanza di trasparenza e
l'impossibilità di un riconoscimento.
Il mondo fa paura perché è concreto, pratico, ricco di contrasti e
contraddizioni; vi si esprimono tutte le emozioni positive e negative, nessuno è
risparmiato, per tutti c'è possibilità di riconoscimento. Sé non ci si confronta
con il mondo degli altri e non si rischia la sopraffazione delle emozioni
negative, non si possono valutare le proprie capacità e peculiarità e si rischia
l'impotenza e la sterilità. Nascondersi dietro il ruolo può essere comodo ma
rende infecondi. Onnipotenza maniacale e senso di depressione, impotenza e
malinconia sono i poli estremi del mondo psicotico. Il coraggio di esprimere
quello che si vive, si percepisce, si sente e si crede ci permette di uscire da
questo cerchio psicotico. Esprimersi in modo trasparente non è facile: il mondo
fa paura. Esporsi, affermare le proprie opinioni ed emozioni è rischioso. Lo
sforzo continuo di intendersi, comprendersi e riconoscersi è doloroso, talora
frustrante. La parola è essa stessa ambigua, rivela e nasconde ad un tempo la
realtà, è una sfida continua alla nostra capacità di espressione e di ascolto,
una sottile tentazione di trasformare l'ascolto in interpretazione e giudizio.
L'oscurità della parola copre o contrasta la luce della verità. Spesso è più
facile intendersi e affermarsi col linguaggio del corpo: è più semplice, più
immediato, più dolce.
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Ma se il linguaggio del corpo resta scisso dalla ricerca di una trasparenza
anche verbale e "dialettica", rischia di ridurre la relazione a semplice reciproco
"consolamentum", ad un darsi calore e farsi coraggio a vicenda di fronte alla
durezza e insoddisfazione della vita.
La trasparenza di sé è autentica quando compie l'impresa di unire e rendere
pienamente congruente il sé reale, il sé percepito e il sé ideale, e riesce a
comunicarlo sia con l'immediatezza del linguaggio del corpo che con la
profondità articolata e coniugata dell'espressione verbale. Per questo quando
incontriamo una persona vera, integrata, autenticamente genuina e priva di
pretese, l'amiamo profondamente e la rispettiamo anche se non
condividiamo un solo aspetto di quello che pensa, sente o fa.
La tendenza a sottovalutare il negativo e a mettere in risalto gli aspetti
positivi della vita produce un effetto di banalizzazione dell'esistenza e di
scotomizzazione di quelle circostanze complesse e dolorose che legittimano
anche la sofferenza l'insuccesso e la depressione.
La suddetta tendenza penalizza doppiamente chi nella vita non ha successo:
le persone stanche, insoddisfatte, amareggiate, depresse e così via, non sono
riconosciute nella autenticità della loro sofferenza e sono giudicate incapaci
di fronteggiare adeguatamente i loro problemi.
Così alla negatività di fatto delle circostanze che hanno reso loro difficile la
vita, si aggiunge quella arbitraria di un giudizio sociale che le condanna in
quanto responsabili del loro fallimento. Così, ad esempio, secondo certe
semplificazioni sulla origine delle malattie, un malato di cancro ai polmoni
sarebbe responsabile della sua tragica sorte, perché non avrebbe saputo
adottare uno stile di vita salutare (ad esempio non fumando).
Sintomatico appare anche l'atteggiamento di non pochi esperti
professionisti della salute fisica e mentale: anziché comprendere la realtà
complessa di chi sta male, si impegnano in tutti i modi a ridefinirla in
modo da mettere in risalto gli aspetti positivi e nascondere o sfumare quelli
negativi.
Dietro questo tipo di comportamento c'è la convinzione ingenua che la vita
sarà migliore se mandiamo sullo sfondo del nostro campo percettivo le cose
negative e mettiamo in figura le realtà positive: non ci si rende conto di
scambiare lo "stile di vita" con la "sostanza della vita".
A parte l'impossibilità di "comandare" alle proprie e altrui emozioni, accade
molto raramente che tecniche di suggestione e condizionamento anche molto
sofisticate, riescano a far star bene chi ha mille buone ragioni per sentirsi male
(ad es. malati terminali, malati cronici...perdita di persone care...fallimento di
un'azienda costata anni di impegno e sacrifici ecc.).
Perché tante difficoltà ad accettare le cose semplicemente per quello che
sono? Perché tanti credono di consolare e alleviare il disagio negando la realtà
stessa delle cose? Dietro questi comportamenti si nasconde un implicito
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bisogno sociale di rassicurazione: "La vita è comunque bella e ognuno deve
impegnarsi a coglierne gli aspetti positivi, per quanto negativo possa essere il
suo destino". Ne consegue che nessuno può lamentarsi, inveire, maledire la sua
sorte senza apparire un ingrato, un misantropo o un sacrilego.
Se questa banale filosofia della vita ci suggerirà, ad esempio, che " Vecchio è
bello! ", e presenterà, tramite i mass media, anziani arzilli e dinamici, in piena
forma fisica, impegnati in attività per loro altamente significative e
gratificanti, noi non sveleremo le reazioni reali anche di invidia e disperazione
di tanti vecchi concreti e vivi e per questo pienamente immersi nel positivo e
negativo della loro età.
Prima di propagandare certi modelli di vita, ci domanderemo come sarà
vissuta l'esaltazione della giovinezza, dell'allegria e della vitalità da chi non è
più giovane e dinamico, e purtroppo è costretto a vivere nella povertà di risorse
materiali, sociali e culturali.
La rimozione degli aspetti dolorosi e negativi della vita banalizza l'esistenza:
"Se esorcizziamo i demoni dal mondo anche gli angeli volano via"!
Le mezze verità che ci vengono proposte dalla reticenza dei familiari, degli
insegnanti, dei politici ecc., finiscono per impedire il nostro processo di
maturazione, e ridurre la nostra capacità di trasparenza e accettazione.
Forse anche noi, in situazioni di grave malattia e sofferenza, vorremmo
vedere solo persone forti, ottimiste, sagge e capaci di crescere spiritualmente
portando la loro croce. Faremmo bene, allora, a chiederci quale tremendo
castigo abbiamo riservato per chi reagisce all'AIDS o al cancro, alla morte con
rabbia, disperazione e depressione.
Abbiamo bisogno di aprirci di più per poter percepire la complessa
contraddittorietà della vita e lasciare trasparire tutta la vasta gamma di
emozioni positive e negative di cui siamo capaci, compresi gli scacchi e gli
insuccessi nei nostri tentativi di aiutare gli altri.
Così, per esplorare un altro luogo comune, tutti sappiamo che il supporto
degli amici favorisce il benessere globale dell'individuo, ma a che serve
ripetere tutto questo a chi è solo e non riesce a farsi degli amici.
Anche nell'esaltazione retorica dell'amore c'è una banalizzazione che
offende soprattutto chi lo ricerca disperatamente e intanto sta faticosamente
cercando di sopravvivere anche senza di esso.
Ci può aiutare ad effettuare un efficace recupero della complessa dialettica
della vita:
- l'incontro con gli scrittori tragici antichi e moderni,
- la familiarità con romanzi e saggi sensibili all'analisi delle tematiche
esistenziali.
Ci ostacola in questo coraggioso cammino verso la complessità della vita:
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- credere di migliorare le situazione sottolineandone solo gli aspetti positivi e
rimuovendo quelli negativi,
- non rendersi conto che in realtà l'oscuramento del negativo e
l'illuminazione del positivo aiuta solo chi cerca di aiutare, rendendogli il
coinvolgimento meno penoso e doloroso, giova poco a chi sta male.
- non rendersi conto che chi sta male e soffre mette in crisi un pregiudizio
molto radicato anche in chi si dedica agli altri: la positività e giustizia del
mondo,
- essere troppo centrati sulle "tecniche" della relazione di aiuto, al punto da
non cogliere il senso globale del processo in atto nella persona viva e
integrata nel contesto della sua storia personale e del suo ambiente sociale.
La congruenza in pratica
Le parole che usiamo e il tono della voce possono avere un profondo effetto
nell'ascoltatore. Parlare con calma, senza fretta e con tono di voce pacato
comunica confidenza in se stessi e fiducia nelle proprie risorse.
L'assertività porta ad esprimersi in prima persona, e a dire le proprie
opinioni tutte le volte che è possibile, anche senza essere direttamente
intervistati o richiesti di esprimersi.
Se gli altri non sono d'accordo con noi, normalmente non intendono esprimere
un rifiuto di noi come persone; del resto possiamo sempre chiedere ulteriori
informazioni se vogliamo chiarirci meglio il senso del loro rifiuto:
- Cosa ti fa dire questo?
- Puoi chiarire un po' meglio questo particolare aspetto?
- Quali dati di fatto ti portano a dire questo?
Quando non siamo d'accordo con gli altri, diciamolo loro con calma e
fermezza, mantenendoci fedeli alla nostra percezione, fino a che nuovi
elementi non ci facciano mutare le nostre posizioni. L'importante è esprimere
con immediatezza i propri sentimenti ed emozioni, senza attendere ore,
giorni, mesi.
Il timore che gli altri non ci diano più la loro simpatia, si sentano feriti, ci
contestino se diciamo loro "no", spinge molte persone a dire "sì" anche quando
in realtà vorrebbero dire "no". Questo causa spesso risentimento e stress;
infatti chi spesso dice sì quando intende dire no, trascura i suoi bisogni,
desideri ed emozioni e finisce per sopravvalutare le esigenze degli altri.
L'assertività è la capacità di dire, in modo rispettoso e sereno, un fermo no
quando questo è quello che vogliamo dire, senza sentire il bisogno di scusarsi
per non essere sempre d'accordo con gli altri. L'assertività nella pratica si
manifesta come:
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a) RISPETTO di sé: non puoi essere assertivo se non sei convinto, se
l'autostima e l'autofiducia vacillano, se non assumi la responsabilità delle tue
decisioni.
b) COMPETENZA: occorre apprendere e personalizzare le forme di risposta
assertiva per poterle usare con più calma e serenità anche in situazioni difficili: No, preferisco di no! - No, so che così non mi troverei bene! - No, non mi sento
ancora pronto!
c) CONSAPEVOLEZZA dei propri diritti: non devi scuse a nessuno per le tue
percezioni, per i tuoi gusti, desideri e aspirazioni, come per le tue scelte e
decisioni.
d) CORAGGIO: non temere di essere assertivo anche con coloro che ami, non
nascondere loro la tua rabbia dietro una maschera di falsa accettazione.
e) DIALOGO: confronta col gruppo la tua assertività; chiedi agli altri come
percepiscono la tua assertività: - Dico quello che penso? uso messaggi
ambigui? ho paura di dire no?
f) POSITIVITA' E PRECISIONE: Circostanzia il tuo "no" quando tali circostanze
sono congruenti con i tuoi pensieri e sentimenti: - Mi piacerebbe uscire con te,
ma non questa sera.
Alcuni esempi possono aiutarci a capire e riconoscere queste due
caratteristiche:
messaggio in negativo: - Penso che non ti vada di venire al cinema stasera.
messaggio in positivo: - Mi sono organizzato per andare al cinema stasera e mi
farebbe molto piacere se venissi anche tu.
Messaggio impreciso: - Tu mi dai sempre fastidio, mi critichi sempre!
Messaggio preciso: - L'altra sera mi hai ripetuto quattro volte che la cucina era
in disordine.
Messaggio impreciso: - Non mi ascolti mai!
Messaggio preciso: - Sono un esperto di problemi finanziari, la prossima volta
che tratti un affare dovresti almeno consultarmi.
Messaggio impreciso: - Mi sento annoiato!
Messaggio preciso: - Mi annoio, quando mi ripeti mille volte la stessa cosa!
Le riflessioni e indicazioni prammatiche proposte sul tema della congruenza
nascono dal desiderio di condividere con i lettori alcune preoccupazioni e
promuovere l'interesse e l'impegno verso la dolorosa chiarificazione e
l'espressione efficace della verità (Alethe-ia=non-nascosto).
L'intenzione di aiutare gli altri non giustifica la negazione o banalizzazione
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della sofferenza. Centrarsi sulla persona che soffre è facilitarne l'incontro
con la sofferenza nel rispetto della complessità dei vissuti personali e dei
contesti situazionali.
L'unico senso del soffrire sta nel cercare e identificare le radici della sofferenza
per poter impedire sofferenze future.
Il rispetto delle persone e dei fatti, l'intenzione di svelare ciò che è oscuro,
negato e rimosso, il coraggio di confrontarsi con la complessità e drammaticità
dell'esistenza non si raggiungono senza una profonda riflessione e un lungo
e faticoso training. La stessa rimozione che ci ha aiutato a sopravvivere alla
crudeltà delle persone e delle circostanze, ci impedisce di vivere
consapevolmente e responsabilmente nell'età adulta. Riprendendo un pensiero
di Alice Miller sulla sofferenza e i maltrattamenti inflitti ai bambini dirò che
occorre arrivare a tener totalmente conto dei fatti oggettivi. Non dobbiamo
consentire a nulla e a nessuno di corrompere questa fondamentale
constatazione dei fatti; non possiamo lasciarci disorientare o abbagliare da
alcun timore, non dobbiamo abbellire o mascherare nulla.
2. Accettazione
«Sono così forte e sicuro dentro di me per permettere all'altro di essere
indipendente? Sono capace di permettergli di essere quello che è: sincero o
ipocrita, infantile o adulto, disperato o presuntuoso? Gli posso accordare la
libertà di essere se stesso, oppure sento che dovrebbe seguire i miei consigli, o
essere un po' dipendente da me, o prendermi ad esempio?...Sono in grado di
accettare tutti gli aspetti che mi presenta questa persona, posso prenderla così
com'è; posso comunicargli questo atteggiamento o non posso accoglierla che
condizionatamente, accettando certi suoi atteggiamenti e disapprovandone
altri tacitamente o apertamente?» (Rogers 1958)
«Se mi dimostro capace di creare una relazione caratterizzata da parte mia
da un'autenticità trasparente, da un'accoglienza calorosa e da sentimenti
positivi di fronte a cose che fanno sì che la sua personalità sia differente
dalla mia... allora la persona con la quale io ho una simile relazione diviene
capace di vedere e di capire essa stessa gli aspetti che aveva fino ad allora
rifiutati alla coscienza... diviene capace di affrontare i problemi della vita in
modo adeguato ed emotivamente meno oneroso.» (Rogers 1951).
In italiano il termine accettazione richiama immediatamente il concetto di
"approvazione": una forma di giudizio e di valutazione del tutto incoerente
con l'atteggiamento rogersiano.
In genere il cliente viene in terapia con un sentimento negativo di sé e vive
immerso in questa immagine negativa. Approvare questi atteggiamenti
significherebbe entrare in contrasto con i vissuti stessi del cliente.
Si
tratta
semplicemente
di
mantenere
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un
atteggiamento
di
piena
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disponibilità verso l'altro, di lasciargli vivere ed esprimere i pensieri e le
emozioni che affiorano in lui di momento in momento senza volerli arginare
o direzionare, senza voler condizionare l'altro. Si tratta di un "amore nonpossessivo e disinteressato".
Il materiale prodotto nei colloqui terapeutici può rappresentare un passivo
molto pesante, ma il fatto di riferirlo in un contesto terapeutico ne cambia il
significato.
Il rapporto tra l'accettazione e l'abbassamento dell'angoscia si lascia
facilmente intravedere: Chiara Castiglioni e Sergio Maccarone notano che la
persona cui viene a mancare un contesto di accettazione si trova stretta in un
"circolo di auto-chiusura":
- a nessuno importa di me,
- devo difendermi ancora di più,
- gli altri di conseguenza mi rifiutano e si allontanano.
Solo un clima accettante può rompere questo circolo e rimettere la persona in
contatto con la sua tendenza formativa (Sé Organismico); il circolo si trasforma:
- qualcuno si interessa a me,
- non ho più bisogno di difendermi,
- posso esprimermi e sentirmi accettato.
La difficoltà dell'accettazione è nella sua autenticità. Non tutti i
comportamenti dell'altro cadono realmente nella nostra area di accettazione;
in questo caso un atteggiamento di accettazione esteriore e non congruente
con i vissuti interiori non può che disorientare e confondere. Thomas Gordon
ha ampiamente illustrato gli effetti della falsa accettazione nel contesto
familiare e scolastico (Gordon 1970,1974).
Come incrementare la propria autenticità lo abbiamo visto parlando della
congruenza. Qui possiamo aggiungere una considerazione: non si tratta di
accettare l'altro in quanto compatibile con il nostro sistema di riferimento ma
in quanto libero di avere un suo sistema di riferimento. Si tratta di aver
raggiunto noi una sufficiente integrità e indipendenza emozionale e razionale.
Nella sua lotta per la sopravvivenza della tendenza formativa l'individuo
sceglie strade di cui non sempre comprende la natura.
Ad esempio una madre sola può cercare nel piccolo figlio una fonte di sicura
soddisfazione emotiva, orientando i suoi sforzi e interessi esclusivamente sul
bambino che diventato grande continua ad essere tiranneggiato dalla
possessività della madre.
E' importante che il terapeuta si astenga dal giudicare sia nei casi in cui il
contesto di riferimento del cliente si accorda col suo sia in quelli in cui c'è
disaccordo.
Si tratta di mostrare un sincero "apprezzamento" dell'altro in modo da
essere da lui percepiti come persone che condividono l'esperienza emotiva
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che il cliente sta vivendo, pensano quello che lui pensa, sentono quello che
lui sente, desiderano quello che lui desidera, temono quello di cui lui ha paura,
senza "se", "ma", "però", "non proprio.
L'accettazione in pratica
Esprimere l'accettazione positiva con un linguaggio trasparente è un ottimo
metodo per consolidare i rapporti interpersonali.
Si tratta di condividere i sentimenti personali positivi esprimendoli in prima
persona, senza trasformarli in lodi o giudizi: "Mi fa sentire veramente bene
quando..."
Talora i sentimenti possono essere negativi, allora occorre con altrettanta
genuinità esprimerli in prima persona indicando con chiarezza i
comportamenti indesiderati, gli effetti concreti su noi e i sentimenti
congruenti: "Ho difficoltà ad accettarti quando..."
3. La comprensione empatica
«Posso permettermi di entrare completamente nell'universo dei sentimenti
dell'altro e delle sue personali concezioni e vederle dal suo stesso punto di
vista; posso penetrare nel suo universo inferiore così totalmente da perdere
il desiderio di valutarlo e giudicarlo?
«Posso entrarci con la sensibilità necessaria per muovermi liberamente
senza calpestare valori per lui preziosi? Posso comprendere questo
universo con precisione sufficiente per sentire non solo le percezioni
dell'esperienza che a lui sono evidenti, ma anche quelle che sono implicite e
che egli non vede che in modo oscuro e confuso?»(Rogers 1958).
La società dell'ascolto finisce con l'invenzione della scrittura. Piatene
esprime nel mito di Theut le sue perplessità rispetto all'avvento della
scrittura. L'ascolto profondo fa entrare il messaggio nel profondo
dell'anima. Oggi l'ascolto empatico ritorna con tutto il suo fascino nella
comunicazione terapeutica. Rogers recupera questa splendida competenza
interpersonale della comprensione empatica (empathic understanding and
empathic following).
Con l'ascolto tentiamo di integrare verbale e non verbale nella ricerca
dell'intenzionalità profonda di chi cerca di entrare in comunicazione con
noi.
Purtroppo le mediazioni linguistiche scritte e orali forniscono spesso
difesa di immagini e parole all'umana ansietà e fragilità. Svincolata dal
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servizio della verità assoluta, la parola acquisisce una sua autonomia quasi
sconfinata, divenendo disponibile praticamente a tutto: persuadere,
suggestionare, consolare, dominare, ingannare, esaltare, umiliare, ecc. Di
qui l'importanza di una riflessione epistemologica sul valore della umana
esperienza, conoscenza e comunicazione.
In questo contesto epistemologico, l'ascolto si qualifica come attenzione
costante e rigorosa al mondo fenomenologico della persona.
La reciproca adozione del campo percettivo che gli interlocutori fanno
l'uno dell'altro, è la base per una genuina comprensione; solo cercando di
entrare in questo mondo della percezione, possiamo trovare un modo
nuovo ed efficace per capire le dinamiche della personalità e facilitare lo
sviluppo umano.
II concetto del sé (self) è inteso da Rogers come il campo percettivo
dell'individuo. E' il modo in cui il mondo ci appare con i significati legati alle
emozioni ed esperienze. Questo "internai frame of reference" rende possibile
l'intera comprensione del comportamento e del perché le persone si
comportano in un certo modo. Rogers ha cominciato a dare importanza al sé,
colpito dalla frequenza con cui i suoi clienti vi facevano riferimento: "Non
posso essere me stesso;" "Non riesco a capirmi;" "Con mia madre non
manifesto mai veramente me stessa;" "Ho paura di scoprire me stessa, di
entrare in contatto con il mio io profondo". Rogers nota come la coscienza di
sé si sviluppi nei suoi clienti mediante un progressivo passaggio da un
"esternai frame of reference" (sistema di riferimento esterno), ad un "internal
frame of reference" (sistema di riferimento interno).
La persona che incontra comprensione empatica, può autoesplorarsi
raggiungendo così una migliore comprensione ed espressione di sé. Sepolto
nell'inconscio di ogni persona c'è un immenso desiderio di essere capito,
accettato e amato semplicemente così com'è. Ogni processo di sviluppo è in
qualche modo l'acquisizione di una capacità di comunicare e vivere un
rapporto. Chi non ha mai avuto rapporti umani, o ne ha avuto solo di sbagliati,
può trovare difficile credere in un'autentica possibilità di relazione: teme
sempre di vederla naufragare.
L'impegno empatico richiesto al terapeuta in questi casi è eccezionalmente
grande, e forse ancora più difficile diventa l'accettazione e il rispetto delle
limitate capacità relazionali dell'altro. La comprensione empatica riattiva la
sorgente stessa dello sviluppo: la tendenza attualizzante, il principio attivo che
porta verso l'ordine interno e la congruenza tra il sé reale, il sé percepito e il sé
ideale.
Entrare in contatto con la sofferenza, la gioia, l'emotività dell'altro, non
dirigere ma incontrare, riconoscere e accompagnare, dare spazio all'altro,
lasciare il controllo e permettere all'esperienza di essere quello che è, per
apprendere da essa in un processo continuo, fluido ed aperto alla sorpresa.
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Rispecchiamento ed empatia
L'intervento a specchio o a riflesso (Rogers 1942, 1951, 1967) assume
la fisionomia di una manifestazione di attenzione. Rappresenta una
testimonianza verbale dell'attenzione di chi ascolta a chi sta parlando. Lo
scopo è proprio quello di dare tale certezza a chi espone qualcosa. Si
tratta di un comportamento verbale che riprende gli aspetti percettivi
cognitivi ed emotivi del discorso altrui e li ripropone in forma chiara e
fedele.
Tale intervento si limita a dimostrare che si è seguito con attenzione II
discorso altrui. L'ascoltatore non ha bisogno di aggiungere commenti,
valutazioni, interpretazioni, richieste di chiarificazioni o altri tipi di
integrazioni. Ciò che differenzia il comportamento a specchio da altri
segni e manifestazioni di attenzione ( sorriso, cenni del capo, sguardo ) è il
riferimento preciso e fedele al comportamento che si sta rispecchiando. Si
tratta di una manifestazione di attenzione rigorosa, mirata a rispettare
pienamente il messaggio, evitando sovrapposizioni, valutazioni,
ristrutturazioni o altri elementi estranei al discorso originario.
La riformulazione corretta di quanto è stato detto mantiene fermo il
contenuto del discorso e si limita a cambiare l'espressione verbale; il
feedback empatico manifesta un profondo interesse per il mondo dell'altro,
per le sue percezioni, emozioni e significati.
E' certamente errato credere che il feedback empatico possa limitarsi alla
ripetizione delle ultime parole dell'interlocutore; al contrario, è necessario
stabilire una interazione in cui una persona sia in grado di offrire all'altra
una compagnia calorosa, sensibile e rispettosa allo scopo di aiutarla nella
difficile esplorazione del suo mondo personale. Rogers paragona questa
interazione a quella di una coppia di danzatori, in cui il "cliente" conduce e
il terapista segue; il fluire armonioso, spontaneo e dinamico dell'energia
durante l'interazione ha un suo ritmo e una sua particolare bellezza.
In uno dei suoi ultimi scritti (N. J. Raskin e C. R. Rogers 1987), così Rogers
riassume le caratteristiche della relazione empatica: «E'un processo attivo,
immediato e continuo. Il "counselor" si impegna al massimo per mettersi nei
panni del "cliente", per entrare in lui e vivere gli atteggiamenti e sentimenti che
viene esprimendo anziché limitarsi semplicemente ad osservarli; fa il massimo
sforzo per cogliere ogni minima sfumatura nel processo di cambiamento che
è in atto ed essere completamente preso, assorbito dai vissuti
dell'altro...Questa attitudine alla comprensione empatica deve essere acquisita
tramite un'attenzione intensa, continua e attiva alle emozioni degli altri, con
esclusione di qualsiasi altro tipo di attenzione. E' stata spesso enfatizzata la
precisione della comprensione empatica del terapista, ma è molto più
importante l'interesse a rispettare il mondo del cliente e a manifestare questa
comprensione con la richiesta di essere corretto. In questo modo il terapista
crea un processo nel quale raggiunge e vive sempre più strettamente idee ed
emozioni del cliente, sviluppando un rapporto sempre più intenso e profondo,
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basato sul rispetto dell'altro e sulla comprensione dell'altro».
Rogers ha rifiutato decisamente la riduzione della comprensione empatica
ad una pura e semplice tecnica di "riflessione delle emozioni", sostenendo che
essa va definita "un modo di essere" nel quale il terapista si immerge con la sua
sensitività nel mondo esperienziale del cliente.
E' utile e talora necessario registrare l'interazione se si vuole valutare
obiettivamente la qualità del feedback di retroflessione.
L'intervento a specchio (feedback empatico) è stato elaborato inizialmente nel
colloquio psicoterapeutico, si tratta di una situazione dominata dal
comportamento verbale, ma ciò non toglie che possano e debbano essere
rispecchiati anche aspetti non verbali come il tono di voce e la mimica facciale.
Già nella formulazione originaria (Rogers 1942), viene sottolineata la
possibilità che la riformulazione riguardi non solo il contenuto del discorso,
ma anche quegli aspetti che permettono di cogliere sfumature di stati
d'animo e sentimenti sufficientemente chiari (anche se non verbalizzati).
Si possono fare constatazioni dubitative sui sentimenti che un certo tono o
una certa espressione del volto rivelano. Si tratterà allora di un
rispecchiamento verbale di comportamenti non verbali. Con l'aiuto della
registrazione si potrà vedere se si è trattato di un effettivo rispecchiamento e,
se sì, in che misura esso è stato adeguato.
Possiamo andare oltre e dire che qualunque comportamento può essere
rispecchiato, può cioè essere fedelmente tradotto in un linguaggio verbale da
chi ha saputo usare quella peculiare forma di attenzione all'altro che è
l'empatia. Anche una ricca e creativa immaginazione verbale facilita la
risoluzione di quei problemi di traduzione connessi con le difficoltà di
adattare le risorse del linguaggio verbale alla quasi infinita gamma dei
comportamenti umani.
Due sono i rischi da evitare: l'utilizzazione di termini sconosciuti
all'interlocutore, l'uso di espressioni che richiamino ad intenzioni da lui non
chiaramente manifestate.
Si può manifestare attenzione anche ad una persona che sta in silenzio e si
rifiuta di parlare. Al contrario, non manifesta semplice attenzione chi nel
feedback esprime una qualche forma di approvazione o valutazione positiva,
come nel caso del rinforzo positivo del behaviorismo. Il rogersiano
rispecchiamento assicura accettazione e comprensione senza ricorrere ad
alcuna forma di valutazione e interpretazione.
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ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 1992
Empatia in pratica
Molte sono le tecniche studiate e utilizzate nel training sulla
comunicazione l'ascolto empatico. Tra le più note ricordiamo il laboratorio di
empatia e il responso empatico.
La definizione di responso empatico (feedback facilitante) è data da Rogers
in termini molto precisi, al fine di renderla utile non solo in campo
terapeutico-educativo ma anche in quello dell'analisi e della ricerca:
«Solo con un accurato studio del colloquio registrato è possibile
determinare in che misura l'intenzione o le intenzioni (del terapeuta) vengono
effettivamente realizzate...il giudizio soggettivo del terapeuta...non basta.
Soltanto un'analisi oggettiva delle parole, della voce e delle sue inflessioni può
determinare in modo attendibile l'effettiva intenzione che il terapeuta sta
perseguendo». (Rogers 1951).
Con questo principio dell'”implementation" o del controllo della
realizzazione effettiva delle intenzioni del terapeuta nella percezione del
cliente, Rogers riesce a contemperare l'esigenza di rispettare la libertà della
introspezione (soggettività), con la necessità di avere una conferma
sperimentale della validità del comportamento scelto dal terapeuta o
dall'educatore (oggettività). Nella sua ricerca sperimentale Rogers integra il
rigore della ricerca behavioristica con il profondo rispetto dell'interiorità e
libertà della persona che caratterizza la tradizione psicoanalitica e umanistica.
4. Un'altra condizione!
Recentemente la mia visione si è estesa ad una nuova area che non è stata
ancora studiata con metodo empirico.
Quando sono al massimo delle mie possibilità, come facili latore di gruppo o
terapista, io scopro un'altra caratteristica. Mi accorgo che quando sono nella
più a contatto col mio io ulteriore, colla mia parte intuitiva, quando in qualche
modo entro in contatto con la parte ignota di me, quando sono forse in uno
stato di leggera alterazione della coscienza, bene, allora qualunque cosa
faccia risulta pienamente terapeutico. La mia sola presenza, in tal caso, rilassa
e aiuta. Non c'è nulla che io possa fare per produrre questo, ma quando
posso rilassarmi ed entrare nel cuore di questa mia sfera trascendentale, allora
posso relazionarmi in modo imprevedibile e impulsivo; è qualcosa che non
saprei giustificare sul piano razionale, che non ha nulla a che fare col mio
processo di pensiero. Ma questi strani comportamenti finiscono per
risultare azzeccati, in qualche modo incredibile. In questi momenti sembra
che il mio spirito intimo abbia raggiunto e contattato lo spirito intimo
dell'altro. La nostra relazione trascende se stessa per diventare parte di
qualcosa di più vasto. Sono evidenti la crescita, la guarigione e l'energia.
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ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 1992
Questa manifestazione di qualcosa di trascendente si è certamente
realizzata nei gruppi in cui ho lavorato, cambiando la vita di alcuni
partecipanti. Un partecipante in un Workshop ha espresso questo vissuto
in un modo molto eloquente:
«L'ho trovata un'esperienza profondamente spirituale. Ho sentito l'unità
dello spirito nel gruppo. Respiravamo insieme, sentivamo insieme,
perfino parlavamo l'uno in nome dell'altro. Ho sentito il potere
dell'"energia vitale" che penetrava ognuno di noi. Ho sentito la sua presenza
senza gli ostacoli dell'"io" e del "tu"...»
Ho constatato che tutto questo rientra nell'ambito dell'esperienza mistica.
Le nostre esperienze, è chiaro, implicano il trascendente, l'indescrivibile,
lo spirituale. Sono spinto a pensare che io, come molti altri ho
sottovalutato l'importanza della dimensione mistica e spirituale.
In questo io non sono molto diverso dai più avanzati pensatori della
fisica e della chimica. Quando spingono le loro teorie al massimo,
delineando una "realtà" che non è altro che oscillazioni di energia, anche
loro cominciano a parlare in termini di trascendenza, di indescrivibile, di
inaspettato, un qualcosa di simile a quello che abbiamo osservato
nell'approccio centrato sulla persona.
L'approccio centrato sulla persona, infine, è innanzi tutto un modo di
essere che trova la sua espressione in atteggiamenti e comportamenti che
creano un clima che facilita la crescita. E' fondamentalmente una filosofia e
non semplicemente una tecnica o un metodo. Quando questa filosofia è
vissuta, aiuta la persona a sviluppare le sue intrinseche capacità. Quando è
vissuta, stimola anche cambiamenti positivi negli altri. Sviluppa il potere
personale, e quando questo potere è percepito, l'esperienza ci insegna che
esso è usato per le trasformazioni personali e sociali (Rogers 1980).
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Riferimenti bibliografici
Opere di Carl R. Rogers
Gordon, T., Parent Effectiveness Training, Peter H.Wyden, 1970
Gordon, T., Teacher Effectiveness Training, Peter H.Wyden, 1974
Erikson, E., Infanzia e società, Armando Armando, 1972
Jorgens, K., Sulla Verità, La Scuola, 1974
Korchin, S., J. Psicologia clinica moderna, Boria, 1977
Lazarus, R.S., Psychology and Health, vol.3, Washington, D.C. 1984
Stettbacher, J.K., Perché la sofferenza, Garzanti, 1991
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